Laboratorio di scrittura - Università per Stranieri di Siena

Claudio Porena
DISPENSE DEL LABORATORIO DI SCRITTURA
Sommario
I. GENERALITÀ ......................................................................................................................................3
II. DALLE FUNZIONI LINGUISTICHE ALLE TIPOLOGIE TESTUALI..............................................................3
III. LE VARIETÀ DI LINGUA, CON PARTICOLARE ATTENZIONE ALLA DIAMESIA ......................................4
IV. VADEMECUM (RICETTE MINIME PER ORTOGRAFIA, MORFOLOGIA, SINTASSI, LESSICO E STILISTICA)
[cfr. FORNASIERO-TAMIOZZO GOLDMANN 1994; NOVELLI 2014] ........................................................6
V. PUNTEGGIATURA (INTERPUNZIONE) [cfr. FORNARA 2010] .............................................................15
VI. IL RIASSUNTO (RISCRITTURA E SINTESI) [cfr. DEGL’INNOCENTI 2002]..........................................19
VII. CRITERI BIBLIOGRAFICI ...............................................................................................................20
VII.1. Sistema anglosassone o “all’americana” ...........................................................................20
VII.2. La scheda bibliografica e la bibliografia finale: altri consigli ...........................................21
VIII. IL SAGGIO BREVE (CFR. DEGL’INNOCENTI 2002)........................................................................22
VIII.1. Prescrittura del saggio breve .............................................................................................22
VIII.2. Scrittura del saggio breve...................................................................................................22
VIII.3. Postscrittura del saggio breve............................................................................................23
IX. LA TESI E LA TESINA (CENNI GENERALI: CFR. DEGL’INNOCENTI 2002)..........................................24
X. LA TESI E LA TESINA (APPROFONDIMENTI: CFR. ECO 1985) ............................................................24
X.1. Introduzione............................................................................................................................24
X.2. Essenza e finalità di una tesi ..................................................................................................24
X.3. L’argomento ...........................................................................................................................25
X.4. La scientificità ........................................................................................................................25
X.5. La documentazione .................................................................................................................25
X.6. La ricerca bibliografica..........................................................................................................26
X.7. Piano di lavoro .......................................................................................................................26
X.8. Altri consigli per la stesura ....................................................................................................27
X.9. Altri consigli per le citazioni ..................................................................................................27
X.10. Altri consigli per le note a piè di pagina..............................................................................27
X.11. Altro ......................................................................................................................................28
XI. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI .........................................................................................................28
I. GENERALITÀ
Ogni varietà e ogni tipologia di testo ha il suo tipo di italiano. L’italiano oggetto del corso è uno dei
vari italiani: l’italiano scritto, una lingua con caratteristiche standard tanto spiccate da non corrispondere necessariamente alle sue varietà parlate quotidianamente o alle sue varietà di registro comunque informale, colloquiale, familiare, non controllato (o non sorvegliato). Ciò significa che la
lingua non è un sistema monolitico, assolutamente uniforme, bensì un diasistema, cioè un sistema di
varietà – per così dire – satellitari rispetto al suo nucleo condiviso, ciascuna appropriata ad una determinata situazione comunicativa e ciascuna conforme al suo proprio modello, ad una relativa norma.
Questo dell’appropriatezza è infatti uno dei più importanti requisiti regolativi della testualità,
quello che più manifesta la competenza sociolinguistica del parlante o dello scrivente.
Certo, la competenza esplicita di tutte queste varietà nelle loro rispettive pertinenze realizza una
proprietà di linguaggio piuttosto avanzata, che richiede di essere attivata da atti di comunicazione
specifici e frequenti.
L’obbiettivo del corso, pur nella ristrettezza delle 36 ore, è stato dunque quello di condurre lo
studente verso un’adeguata competenza della scrittura argomentativa universitaria, attraverso e grazie a numerosi esercizi di scrittura e riscrittura, riassunti progressivi, parafrasi, tesine ecc. Ma un
corso può solo fornire degli strumenti e degli stimoli per lo sviluppo di tale competenza, non già
delle ricette miracolose.
Soprattutto vanno conciliati due fini didattici: da un lato, che lo studente eserciti e sviluppi una
capacità largamente comunicativa, che cioè abbia delle cose da esprimere (non importa con quale
mezzo linguistico), incoraggiando e valorizzando al massimo l’iniziativa e la creatività individuale;
dall’altro lato, che lo studente esprima quelle stesse cose nel modo via via più conveniente, nel senso dell’appropriatezza di cui si è detto sopra.
Ciò si rende possibile dapprima (non viceversa) lasciando che lo studente comunichi nel modo
che gli risulti più spontaneo e più disponibile; poi mostrandogli come le stesse cose possano essere
espresse nelle diverse varietà, mettendone a confronto i rispettivi modelli, ricorrendo preferibilmente a un buon numero letture e/o a produzioni di testi concreti e vari che incarnino le regole grammaticali e testuali di volta in volta operanti, evitando nei limiti del possibile di fornire regole in astratto
con un insegnamento di tipo formale e deduttivo (del tipo: “Questa è la regola X! Questo è corretto!
Questo non si scrive!” ecc.), e soprattuto facendo maturare allo studente la consapevolezza della variabilità della lingua, delle varie possibilità alternative per dire una medesima cosa, cioè di come
tutto nei fatti di lingua sia sostanzialmente possibile e lecito, ma che tutto al tempo stesso dipende
dai diversi paramenti della comunicazione, che rendono l’espressione accettabile ad un livello ma
non ad un altro.
II. DALLE FUNZIONI LINGUISTICHE ALLE TIPOLOGIE TESTUALI
Il testo è un’attività o un prodotto linguistico, sia scritto – in senso stretto – sia orale – in senso lato
–, elaborato a scopi comunicativi.
Per comunicazione s’intende ogni attività in senso stretto verbale volta a trasmettere uno o più
messaggi (o fascio d’informazioni) codificati da un (e)mittente e decodificati o fruiti da uno o più
destinatari (o riceventi), conformemente a un codice (o norma o insieme di regole ecc.), su un dato
referente (o argomento o oggetto), attraverso un contatto o canale (o mezzo di trasmissione), e
con una funzione o con più funzioni compresenti con maggiore o minore preminenza
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Le funzioni linguistiche ricalcano i sei elementi della comunicazione or ora elencati
1) la funzione denotativa (o referenziale o cognitiva), un orientamento sul referente;
2) la funzione espressiva, un orientamento sul mittente;
3) la funzione conativa, un orientamento sul destinatario;
4) la funzione fatica, un orientamento sul contatto o canale;
5) la funzione metalinguistica, un orientamento sul codice;
6) la funzione poetica, un orientamento sul messaggio.
Sulla base delle precedenti funzioni linguistiche si fonda la classificazione più concreta delle funzioni testuali:
1) la funzione descrittiva, un orientamento sensoriale sul referente (prevale la sensazione);
2) la funzione informativa, un orientamento cognitivo sul referente (prevale la cognizione);
3) la funzione espressiva, un orientamento emotivo sul mittente (prevale il sentimento);
4) la funzione argomentativa, un orientamento persuasivo sul destinatario (prevale la persuasione);
5) la funzione regolativa, un orientamento iussivo sul destinatario (prevale la prescrizione);
6) la funzione creativa (poetica e narrativa, un orientamento formale sul messaggio (prevale
la creatività espressiva e contenutistica).
Sulla base delle precedenti funzioni testuali si basa la classificazione delle tipologie testuali e dei
relativi modelli o generi testuali:
1) testi descrittivi (parti descrittive in articoli di cronaca, opere letterarie, relazioni, rapporti,
analisi e commento di testi, recensioni, sintesi ecc.);
2) testi informativi o espositivi (manuali, saggi brevi, articoli culturali e specialistici, relazioni, tesine, recensioni, sintesi, interviste, lettera personale e formale, ecc.);
3) testi espressivi (lettera personale, tema ecc.);
4) testi argomentativi (saggi, articoli d’opinione, articoli culturali e specialistici, tesine, recensioni, sintesi, interviste, lettere personali ecc.);
5) testi regolativi (manuali di istruzioni, norme, leggi, prescrizioni ecc.);
6) testi letterari (poesie, romanzi e racconti, teatro ecc.).
III. LE VARIETÀ DI LINGUA, CON PARTICOLARE ATTENZIONE ALLA DIAMESIA
L’italiano, come tutte le maggiori lingue di cultura, ha sviluppato al suo interno dei sottosistemi detti «varietà di lingua», individuati da almeno quattro «dimensioni di variazione»:
1) la diatopia (varietà geografiche: p.es. dialetti);
2) la diastratia (varietà sociali: p.es. lingua colta vs popolare);
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3) la diafasia (registri: p.es. formale vs informale);
4) la diamesia (scritto vs parlato);
5) la diacronia (varietà storiche: p.es. italiano del ’300 vs it. del 2000).
La distinzione tra scritto e parlato è attraversata da tutte le altre (che peraltro s’incrociano tutte).
Le principali differenze tra scritto e parlato sono di natura semiotica: per il parlato, tutte le
proprietà annesse al mezzo fono-acustico (accenti, intonazione, volume e timbro della voce, pause,
mimica, gestualità, vicinanza fisica, interazione, possibilità di feed-back ecc.); per lo scritto, invece,
le proprietà annesse al mezzo grafo-visivo (caratteri, punteggiatura, formattazione, allineamento,
paragrafazione ecc.).
Altre differenze generali sono: per il parlato, tempi di pianificazione ridotti, produzione e ricezione lineare del messaggio, prevalenza delle esigenze semantiche (di contenuto) su quelle sintattiche (di forma), stretto legame col contesto (deissi); per lo scritto, invece, tempi di pianificazione più
dilatati, produzione e ricezione non strettamente lineare, prevalenza delle esigenze formali sulle esigenze contenutistiche.
Differenze linguistiche generali sono: per il parlato: maggiore frammentazione, largo impiego
di cambi di progetto e di intercalari generici, riempitivi, interiezioni, esitazioni ecc. («segnali discorsivi» e «fatismi»: p.es. eh, insomma, ecco, diciamo, cioè, allora, beh, niente, guarda, senti, ascolta, capito, già, sì, certo…); vasto uso di “agganci” alla situazione («deittici»: p.es. qui, lì, ora,
allora, questo, quello ecc.); più largo uso della coordinazione (paratassi); per lo scritto, invece,
maggiore «coesione» grammaticale e maggiore «coerenza» logico-semantico-stilistica; più largo
uso della subordinazione (ipotassi) ecc.
Differenze linguistiche particolari: pronomi (parlato vs scritto: Lui mi ha dato un libro da fotocopiare vs Egli mi ha dato un libro da fotocopiare; Gli [a lei] ho detto di telefonarmi a mezzogiorno vs Le ho detto di telefonarmi a mezzogiorno; Gli [a loro] ho fornito un’informazione vs Ho
fornito loro un’informazione; Gli ho raccontato tutto quello che voleva sapere vs Gli ho raccontato
tutto ciò che voleva sapere; ecc.); dislocazioni a sinistra e a destra vs ordine standard (parlato vs
scritto: Le lezioni le comincio lunedì vs Comincio le lezioni lunedì; Le comincio lunedì le lezioni vs
Comincio le lezioni lunedì; ecc.); c’è presentativo vs ordine standard (parlato vs scritto: C’è un signore che ha scritto un annuncio vs Un signore ha scritto un annuncio; ecc.); frase scissa vs ordine
standard (parlato vs scritto: Ero io che facevo da mangiare vs Io facevo da mangiare; Non è che me
ne intenda molto vs Non me ne intendo molto; ecc.); frase pseudoscissa (l’inverso della frase scissa)
vs ordine standard (parlato vs scritto: Che facevo da mangiare ero io vs Io facevo da mangiare;
ecc.); che indeclinato vs relativo standard (parlato vs scritto: Un biglietto che c’era scritto… vs Un
biglietto in cui [nel quale] era scritto…; ecc.); risalita del clitico vs ordine standard (parlato vs scritto: L’ho dovuto fare vs Ho dovuto farlo; ecc.); forme particolari (parlato vs scritto: Non è mica giusto vs Non è affatto giusto; Niente pomodori vs Nessun pomodoro; Un sacco forte vs Molto forte;
È intelligentissimo vs È molto [assai, estremamente, quanto mai...] intelligente; ecc.); lessico (parlato vs scritto: parole passe-partout [cosa, roba, affare, coso, tizio, tipo ecc.]; vocaboli dialettali e
gergali, disfemismi ecc. vs parole specifiche e appropriate al registro e alla tipologia testuale richiesti).
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IV. VADEMECUM
(RICETTE MINIME PER ORTOGRAFIA, MORFOLOGIA, SINTASSI, LESSICO E STILISTICA)
[cfr. FORNASIERO-TAMIOZZO GOLDMANN 1994; NOVELLI 2014]
Ortografia:
- Non *un pò ma un po’.
- Non *angoscie ma angosce, non frangie ma frange ecc.: mai i diacritica nei plurali di vocaboli che finiscono con consonante + cia/gia.
- Non *malvage ma malvagie, non acace ma acacie ecc.: sempre i diacritica nei vocaboli
che finiscono con vocale + cia/gia.
- Non *un’amico ma un amico, non un amica ma un’amica: l’articolo indeterminativo maschile è sempre un (uno davanti a gruppi consonantici), mentre il femminile un(a) è
un’elisione.
- Non *qual’è ma qual è.
- Obiettivo meglio di obbiettivo, perché è parola di origine dotta (latinismo).
- Non *congegnale ma congeniale (ingl. congenial).
- Non *ingeniere ma ingegnere (da ingegno ‘macchina’ < INGENIUM; come gramigna <
GRAMINEAM).
- Non *accellerare ma accelerare (dal lat. celere ‘veloce’).
- Perciò (congiunzione conclusiva) ≠ per ciò (preposizione + pronome relativo): p.es. Fuori
pioveva; perciò ho preso l’ombrello vs Per ciò che riguarda l’esame vi saprò dire in seguito.
- Prima persona plurale del presente indicativo sempre uscente in -iamo: non *sognamo ma
sogniamo, non *spegnamo ma spegniamo, non *ci vergognamo ma ci vergogniamo ecc.
- Seconda persona plurale del congiuntivo presente (sogniate ecc.) distinta graficamente dalla seconda persona plurale dell’indicativo presente (sognate ecc.).
Qu + vocale o cu + vocale? Sempre qu + vocale tranne nei seguenti vocaboli (c etimologica):
- acuire ‘rendere acuto’
- arcuare
- circuire ‘raggirare’
- cospicuo ‘rilevante’
- cuocere
- cui (pronome relativo)
- cuoio
- cuore
- evacuare
- innocuo
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- percuotere
- proficuo ‘utile’
- promiscuo ‘misto’
- scuola
- scuotere
- vacuo ‘vuoto’
Cqu + vocale o qqu + vocale? Sempre cqu + vocale tranne in:
- soqquadro
Con apostrofo le seguenti parole:
- gli imperativi da’ (verbo dare), di’ (verbo dire), fa’ (verbo fare), sta’ (verbo stare), va’
(verbo andare);
- le parole in cui sia effettivamente caduta la sillaba finale: po’ < poco, mo’ < modo ecc.
Senza accento le seguenti parole:
- le preposizioni a, da e di;
- le congiunzioni e e se (se vuoi passare, passa);
- il pronome riflessivo atono se (p.es. se ne va in America);
- l’articolo la (p.es. la casa);
- i pronomi la, li e te (p.es. la chiamò al telefono; li prese per mano; te l’avrò detto mille volte);
- il pronome e avverbio ne (p.es. ne sono onorato; me ne vado via);
- gli avverbi di luogo qui e qua;
- il pronome si riflessivo e impersonale (Mario si lava; si dice che “non è mai troppo tardi”);
- le voci verbali dell’indicativo presente do (verbo dare), fa (verbo fare), so e sa (verbo sapere), sta e sto (verbo stare), va (verbo andare);
- le note musicali: do, re, mi, fa, sol, la e si.
Con accento le seguenti parole:
- i sostantivi dì ‘giorno’, tè (bevanda), piè ‘piede’;
- gli avverbi di luogo lì e là;
- le voci dell’indicativo presente è (verbo essere) e dà (verbo dare);
- la congiunzione né (p.es. né freddo né caldo);
- l’avverbio affermativo sì;
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- i monosillabi ciò, già, giù, più, può.
Con accento grave ( ̀) le vocali aperte:
- è, cioè, caffè, tè ecc.
Con accento acuto ( ́) le vocali chiuse:
- perché, poiché, affinché, ventitré, ecc.
Uso delle maiuscole:
- Dopo il punto fermo e generalmente (ma non tassativamente) dopo punto esclamativo e interrogativo;
- nei nomi propri di persona (antroponimi: Carlo Bianchi), nei nomi propri di luogo reali o
immaginari (toponimi: Genova, Paperopoli);
- gli appellativi di persona e di luogo possono essere scritti sia con la maiuscola sia – meglio
– con la minuscola (Dottor/dottor Rossi, Monte/monte Bianco);
- nei nomi di corpi celesti (Orsa Maggiore, Sirio ecc.);
- nei nomi di feste (Natale, Carnevale ecc.);
- nei nomi di secoli (l’Ottocento ecc.);
- nei nomi di periodi e avvenimenti storici (il Romanticismo, le Guerre Mondiali ecc.). Qualora questi nomi presentino una valenza generica, si preferisce la minuscola (p.es. il Fascismo di Mussolini vs il fascismo di un qualsiasi regime totalitario);
- nei titoli dei libri e delle opere d’ogni genere;
- nelle lettere di una sigla (acronimo: SLI = Studi Linguistici Italiani ecc.);
- nei nomi dei punti cardinali (Settentrione, Mezzogiorno, Est, Ovest ecc.);
- nei nomi etnici solo per dirimere equivoci (i Romani antichi vs i romani moderni ecc.);
- nei nomi che designano nozioni astratte contro i relativi omografi concreti (la Legge non
ammette ignoranza vs la legge n. X).
Parole che si scrivono univerbate:
- abbastanza
- almeno
- chissà
- davanti
- davvero
- dinanzi / dinnanzi
- dovunque
- eppure
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- finché
- finora
- laggiù, lassù
- neppure, neanche, nemmeno
- nonché
- oppure
- ossia
- ovvero
- ovverosia
- pressappoco
- quaggiù
- quassù
- qualora
- siccome
- soprattutto
- talora
- tuttora
Parole che si scrivono separate:
- a fianco
- a posto
- a proposito
- al di sopra / al disopra
- a di sotto / al disotto
- all’incirca
- d’accordo
- d’altronde
- di fronte
- di sotto
- in quanto
- l’altr’anno
- per cui
- poc’anzi
- quant’altro
- senz’altro
- tanto meno
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- tanto più
- tra l’altro
- tutt’altro
- tutt’oggi
- tutt’uno
Parole che si possono scrivere univerbate o separate:
- anzitempo / anzi tempo
- casomai / caso mai
- ciononostante / ciò non ostante
- controvoglia / contro voglia
- cosicché / così che
- daccapo / da capo
- dappoco / da poco
- dappresso / da presso
- dapprincipio / da principio
- dopotutto / dopo tutto
- manodopera / mano d’opera
- nondimeno / non di meno
- ogniqualvolta / ogni qual volta
- oltremodo / oltre modo
- oltretutto / oltre tutto
- perlomeno / per lo meno
- perlopiù / per lo più
- quantomeno / quanto meno
- suppergiù / su per giù
- tuttalpiù / tutt’al più
- tutti e due, tutte e due / tutt’e due
Parole con significato diverso se univerbate o separate:
- aldilà ‘oltretomba’ vs al di là ‘oltre (a)’
- dapprima ‘in un primo momento’ vs da prima ‘da un momento precedente’
- laddove ‘invece; qualora’ vs là dove ‘nel luogo in cui’
- quattrocchi ‘chi porta gli occhiali’ vs quattr’occhi ‘in confidenza (nell’espressione a
quattr’occhi)’
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Parole univerbate solo in scritti informali e scherzosi:
- eppoi vs e poi
- sennò vs se no (altrimenti)
- vabbè vs va bene
- Evvai! vs e vai!
Morfologia (articolo):
- non *l’whisky ma il whisky (semiconsonante diversa dalla vocale di uovo, uomo ecc.);
- analogamente non *il swatch ma lo swatch (lo davanti a s- complicata, cioè seguita da consonante);
- non *lo SMS ma l’SMS né *uno SMS ma un SMS ecc. (le sigle si leggono come singole
lettere e richiedono l’articolo nella forma pertinente);
- non *il pneumologo ma lo pneumologo (come in genere con tutti i nessi consonantici iniziali: s- complicata, z-, gn-, x-, ps-, pt-);
- sono invece tollerabili il pneumatico, i pneumatici, un pneumatico, perché la parola è di
uso più comune e meno dotto che non pneumologo;
- meglio Cognome senza Articolo che non Articolo + Cognome: ad es. Rossi vs *Il Rossi
ecc.
Morfologia (sostantivo):
- non *Rossi Mario ma Mario Rossi (se non richiesto altrimenti, dare precedenza al nome
sul cognome);
- professioni al femminile: meglio l’avvocata, la giudice, la ministra ecc. oppure, nei casi in
cui la tradizione lo autorizzi, la dottoressa, la direttrice ecc. (con suffissi femminili), ma non
*l’avvocatessa, *la giudicessa, *la medichessa ecc. né *donna giudice, *donna poliziotto
ecc. (o *giudice donna, *poliziotto donna ecc.; cfr. cane poliziotto, volpe femmina ecc.);
- non *i managers ma i manager (i prestiti acclimatati dall’inglese non conservano la -s al
plurale);
- diverso il caso dei prestiti dallo spagnolo e dal latino: non *il murales ma il murale, non *i
curriculum ma i curricula ecc.;
- iter al plurale, anche se voce di origine latina, resta invariato perché in italiano si è cristallizzato come tale (dunque non *itinera).
Morfologia (aggettivo):
- gli aggettivi di colori composti si declinano regolarmente nel secondo elemento: giallorosso > giallorossi, bianconero > bianconeri ecc., tranne rosanero, che rimane invariato per influsso dell’aggettivo invariabile rosa;
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- gli aggettivi composti con mezzo possono declinarsi per intero sia nel genere sia nel numero: mezzo pieno, mezza piena, mezzi pieni, mezze piene ecc., perché l’avverbio mezzo può
avere valore aggettivale (enallage);
- superlativi: non *più migliore ma migliore / più buono, non *più peggiore ma peggiore /
meno buono, non *più interiore ma interiore / più interno, non *più superiore ma superiore / più alto ecc.; come pure non *eccellentissimo, *infinitissimo ecc., perché aggettivi come eccellente, infinito ecc. hanno già di per sé un valore elativo;
- enallagi avverbio-aggettivo: non *la meglio cosa ma la miglior cosa (meglio è avverbio
non aggettivo);
- concordanze: mangio carote e peperoni crudi è da preferire a mangio peperoni e carote
crude, sia perché nelle concordanze predomina il genere maschile sia perché la seconda frase potrebbe significare ‘mangio crude solo le carote’ ecc.
Morfologia (pronome):
- il pronome allocutivo di cortesia è Lei, per i referenti sia femminili sia maschili: non
*Gentile professore, volevo comunicargli che non potrò presentarmi al primo appello ma
Gentile professore, volevo comunicarLe che... ecc.;
- evitare i vari usi inappropriati del ci: non *Il dottore era molto impegnato, ma io, che volevo parlarci solo un istante, ci ho chiesto di visitarmi ma Il dottore era molto impegnato,
ma io, che volevo parlargli solo un istante, gli ho chiesto di visitarmi ecc.; non *ci fumiamo una sigaretta? o *fumiamoci una sigaretta! ma fumiamo una sigaretta? ecc.; non *Ce
l’hai una sigaretta? ma Hai (per caso) una sigaretta? ecc.
- se proprio volessimo o dovessimo scrivere il verbo avere con il cosiddetto ci attualizzante,
magari per imitare il parlato, non scrivere mai *io c’ho, c’avevo ecc. (che si pronuncerebbero sempre e comunque io kò, io kavevo), bensì io ci ho, io ci avevo ecc. oppure in dialetto io
ciò, io ciavevo ecc.);
Morfologia (verbo):
- non si pronuncia e non si scrive (volendo indicare l’accento) *io dèvio ma io devìo, come
del resto io avvìo, io invìo, io rinvìo ecc.;
- innaffiare è la forma etimologicamente più corretta (< lat. inafflare), ma si tollera anche
annaffiare, forma analogica su annacquare, annegare ecc.
- non *scancellare ma cancellare;
- non *imprestare ma prestare;
- non *proveniendo ma provenendo (venire : venendo = provenire : provenendo);
- non *benedivo ma benedicevo (dire : dicevo = benedire : benedicevo), non *benedii ma
benedissi (dire : dissi = benedire : benedissi);
- non *soddisfavo ma soddisfacevo (fare : facevo = soddisfare : soddisfacevo) né i cong.
*(io) soddisfassi, *(loro) soddisfassero ma (io) soddisfacessi e (loro) soddisfacessero;
- le forme (io) soddisfaccio, (tu) soddisfai, (egli) soddisfà, (noi) soddisfacciamo, (loro)
soddisfanno e i cong. (io / tu / lui / lei) soddisfaccia e (loro) soddisfacciano sarebbero più
corrette delle forme (pur accettabili ormai) (io) soddisfo, (tu) soddisfi, (egli) soddisfa, (noi)
soddisfiamo, (loro) soddisfano, (io / tu / lui / lei) soddisfi e (loro) soddisfino;
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- non *disfò ma disfece;
- non *sottostarono ma sottostettero (stare : stettero = sottostare : sottostettero).
La congiunzione ma dopo il punto è tollerata:
- per segnalare il passaggio a un altro argomento: […]. Ma ora torniamo al punto di partenza ecc.;
- per introdurre una domanda: Ma è proprio vero che...? ecc.;
- per esprimere gioia o dispiacere: Ma che bella giornata! o Ma che razza di lezione è questa! ecc.;
- per introdurre un’ipotesi: Ma se dovesse piovere, come potremmo fare? ecc.;
- per introdurre una concessione: Ma ammesso pure che... ecc.;
- per fare dell’ironia: Ma bravo! ecc.;
- ecc.
Preposizioni:
- le preposizioni improprie contro, dentro, dietro, senza si combinano con di davanti ai pronomi personali (contro di me, senza di te ecc.) ma rifiutano di con altri pronomi e sostantivi
(contro qualcuno, contro il muro, senza affanno ecc.);
- non *dietro a me ma dietro di me ecc.;
- non *inerente / riguardo qualcosa ma inerente / riguardo a qualcosa;
Morfosintassi:
- non due slides ma due slide: i prestiti da lingue straniere si declinano secondo le regole
della lingua di arrivo.
- Il verbo riflettere ha due participi: riflettuto (intransitivo) e riflesso (transitivo).
- Non *bel appartamento ma bell’appartamento: l’aggettivo bello si elide davanti a vocale e
si tronca davanti a consonante (p.es. un bel cappotto).
- Non *due euri ma due euro: il nome è invariabile.
- Non *la gente parlano (concordanza logica, ad sensum), ma la gente parla, non *la maggior parte sono ma la maggior parte è ecc.
- con i verbi modali (dovere, potere, volere e sapere) costruiti con l’infinito, l’ausiliare tende
ad essere lo stesso richiesto dal verbo all’infinito: ho dovuto mangiare perché si dice ho
mangiato, sono potuto uscire perché si dice sono uscito ecc.; ma se il verbo è transitivo si
può usare anche l’ausiliare avere: ad es. ho dovuto andare ecc.;
- con i verbi riflessivi o pronominali senza risalita del clitico è tollerato l’ausiliare avere: ad
es. si è dovuto svegliare presto (non *si ha dovuto svegliare presto) vs ha dovuto svegliarsi
presto ecc.;
- è richiesto il modo congiuntivo nelle frasi completive dopo verbi di opinione, di volontà e
di timore (penso che ognuno di voi possa...); dopo verbi o locuzioni verbali impersonali che
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esprimano incertezza (sembra che le vacanze durino più a lungo) o convenienza (bisogna
che non si dica in giro...); dopo espressioni formate da è e da un aggettivo (è importante che
voi leggiate molto..);
Sintassi:
- Non proprio *ha piovuto ma meglio è piovuto: i verbi atmosferici preferiscono l’ausiliare
essere.
- Non *sono un tipo che mi diverto ma sono un tipo che si diverte; non *è uno di quelli che
ha studiato ma è uno di quelli che hanno studiato: il verbo della relativa si accorda col nome del predicato, non col soggetto della reggente.
- Non *Gentile proff. (= professori) ma Gentile prof. (singolare).
Lessico:
- evitare tipo ‘come’, ‘forse’, ‘una cosa del genere’: *quel libro è tipo un racconto oppure Vi piace leggere? *-Tipo ecc.;
- Non *redarre un dizionario ma redigere un dizionario.
- Non abusare del verbo effettuare, proprio del linguaggio burocratico: cercare sinonimi più
appropriati e specifici (non si effettuano camicie su misura ma si confezionano...; non effettuare lavori di manutenzione ma eseguire...; bene soltanto effettuare un pagamento e simili).
Semantica:
- Ci sentivamo come due gocce fuor d’acqua... Attenzione alle contaminazioni di modi di
dire o proverbi: ci sentivamo come due gocce d’acqua oppure ci sentivamo come due pesci
fuor d’acqua!
- Marco ci guardò con entrambi gli occhi... Attenzione alle tautologie (dire la stessa cosa) o
alle ridondanze (dire il superfluo): è scontato che chi guardi lo faccia con due occhi!
- I genitori devono coltivare i figli... Attenzione alla coerenza e all’appropriatezza lessicale:
semmai i genitori dovranno educare o allevare!
Stilistica:
- Il detenuto ha fregato la sorveglianza ed è evaso... Attenzione all’uniformità di registro (o
di stile o di tono): semmai il detenuto ha eluso la sorveglianza ed è evaso oppure, in un registro informale-colloquiale, il carcerato ha fregato le guardie ed è scappato.
- La cirrosi post-necrotica è una bruttissima patologia che ti becca il fegato... Semmai la
cirrosi post-necrotica è un’importante patologia a carico del fegato (a localizzazione epatica) oppure la cirrosi è una bruttissima malattia...
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V. PUNTEGGIATURA (INTERPUNZIONE) [cfr. FORNARA 2010]
La punteggiatura ha una lunga storia ed è tuttora tornata di moda (basti pensare alle emoticons, alle
abbreviazioni ecc. tipiche del linguaggio degli sms, delle chat e della posta elettronica, o all’uso dei
due punti, del punto e delle barre oblique negli stessi indirizzi web).
La punteggiatura nasce con l’affermarsi e il diffondersi nei secoli IV-XIV della lettura endofasica
(interiore, mentale), che annulla l’esigenza della respirazione e subordina la funzione prosodicoritmico-intonativa.
Gli antichi latini e greci, infatti, praticavano una lettura ad alta voce cui corrispondeva sia una generale assenza di particolari segni per le pause sia una scriptio continua, cioè una scrittura che riproduceva il continuum dell’emissione vocale, senza spazi tra una parola e l’altra, in lettere maiuscole
ricche di abbreviazioni:
LASTRINGADELFLUSSOPARLATOSENZASPAZI…
Fattori favorevoli alla nascita e all’affermazione della punteggiatura furono: 1) la già ricordata lettura endofasica; 2) l’invenzione della stampa a caratteri mobili (1455), 3) la standardizzazione operata
da Pietro Bembo e dagli altri grammatici del XVI sec.; 4) le codificazioni di grammatici posteriori
nei secc. XVII-XIX; 5) l’ampliamento degli usi interpuntivi in seguito agli sperimentalismi novecenteschi in campo letterario, giornalistico, digitale ecc.
Proviamo ad interpretare i seguenti testi senza la punteggiatura e a dare una definizione di questa:
- Maurizio è arrivato Ernesto;
- Eats shoots and leaves;
- PORTA PATENS ESTO NULLI CLAUDATUR HONESTO (a seconda della punteggiatura:
‘La porta rimanga aperta. Non si chiuda a nessun uomo onesto’ oppure ‘La porta non si apra a
nessuno. Si chiuda all’uomo onesto’. Un punto al posto sbagliato fece perdere al monaco Martino l’occasione di prendere la cappa del grado di abate, da cui il proverbio Per un punto Martin
perse la cappa);
- ecc.
Una delle definizioni possibili della punteggiatura può essere la seguente: «[la punteggiatura è]
l’insieme di segni non alfabetici, funzionali alla scansione di un testo scritto e all’individuazione
delle unità sintattico-semantiche in esso contenute» (cit. da N. Maraschio, Appunti per uno studio
della punteggiatura, in Studi di linguistica italiana per Giovanni Nencioni, Firenze, s.e., 1981, p.
188).
Le funzioni della punteggiatura sono dunque, in ordine di importanza, le seguenti: 1) la funzione
logico-sintattica; 2) la funzione stilistico-testuale; 3) la funzione prosodico-ritmico-intonativa.
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Usi del punto (.):
- alla fine di una frase o di un periodo;
- alla fine di una parola abbreviata (p.es. dott. ‘dottore’, ecc. ‘eccetera’, pag. / pagg. oppure
p. / pp. ‘pagina / pagine’, sg. / sgg. oppure s. / ss. ‘seguente / seguenti’, cfr. ‘confronta [dal
lat. confer]’, ms. / mss. ‘manoscritto/manoscritti’ ecc.);
- all’interno di una contrazione (p.es. ill.mo / ill.mo ‘illustrissimo’, spett.le ‘spettabile’,
prof.ssa / prof.ssa ‘professoressa’ ecc.);
- nelle abbreviazioni di parole plurali (p.es. AA.VV. ‘autori vari’);
- nelle abbreviazioni di nomi propri doppi (p.es. J.J. / J.-J. Rousseau ‘Jean-Jacques Rousseau’ ecc.).
La virgola (,) non va:
- tra soggetto e predicato (p.es. *Mario, mangia la mela ecc.);
- tra predicato e oggetto (p.es. *Mario mangia, la mela, salvo si tratti di un costrutto marcato, ecc.);
- tra verbo reggente e proposizione infinitiva (p.es. *Abbiamo deciso, che non andremo in
vacanza; *È interessante, che voi abbiate deciso così ecc.);
- nelle relative restrittive (o limitative o determinative), perché il legame della proposizione
relativa con ciò che la precede è più stretto (p.es. Non seguo i gran premi di Formula Uno
che mi sembrano noiosi ‘non seguo solo quei gran premi che mi sembrano noiosi’).
La virgola (,) può o deve andare...
- prima della congiunzione e, qualora cambi il soggetto (p.es. Rocco ha disegnato un albero,
e Stefano un fiore ecc.);
- nelle relative appositive (p.es. Non seguo i gran premi di Formula Uno, che mi sembrano
noiosi ‘non seguo nessun gran premio, perché mi sembrano tutti noiosi’);
- in luogo della parentesi tonda o della lineetta prima e dopo un inciso, ricordandosi di chiuderla dopo averla aperta.
Uso dei due punti (:):
- per introdurre un elenco o un discorso diretto (funzione presentativa: p.es. Per scrivere bene, alcuni ingredienti sono indispensabili: buone idee, capacità di organizzarsi, padronanza
della lingua e della grammatica, ampio vocabolario e volontà di migliorarsi ecc. oppure
Paolo esclamò: «Accidenti, mai visto niente di simile!» ecc.);
- per sostituire un’omissione (ellissi) di congiunzione (funzione sintattica: p.es. Non siamo
usciti: pioveva = Non siamo usciti, perché pioveva oppure Pioveva: non siamo usciti = Pioveva; quindi non siamo usciti ecc.
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Usi del punto e virgola (;):
- Negli elenchi complessi con virgole intercalate (funzione seriale: p.es. Per usare bene la
punteggiatura, è opportuno seguire almeno tre accorgimenti: imparare gli usi standard e
non marcati, cioè quelli che sono codificati nelle grammatiche; leggere tanto, avendo
l’accortezza di variare le tipologie testuali (non accontentarsi dei testi narrativi, ma leggere
anche quelli espositivi, descrittivi, regolativi, ecc.) e gli scrittori, in quanto ognuno di loro
ha un proprio stile, anche per ciò che riguarda l’uso della punteggiatura; scrivere tanto,
quasi quotidianamente, anche in questo caso variando i tipi di testi prodotti, da Fornara,
2010, p. 91);
- prima di un connettivo “forte” come dunque, quindi, pertanto, perciò, infatti ecc. (funzione
demarcativo-testuale: Dovrò stare alla stazione di Siena per le 10:30; pertanto mi converrà
partire col treno delle 7:00 ecc.);
- prima di una diversa tematizzazione (p.es. I cani litigano con i gatti; i gatti predano i topi
ecc.).
Usi del punto interrogativo (?):
- dopo una domanda diretta.
Usi del punto escalmativo (!):
- dopo un imperativo o un’esclamazione.
Uso dei tre puntini di sospensione (…)
- mai in numero inferiore o superiore a tre;
- alla fine di un periodo conglobano il punto di chiusura;
- entro parentesi quadre ‘[…]’ indicano un’omissione del testo nelle citazioni;
- nella figura retorica della reticenza (p.es. se dici ancora un’altra parola...) oppure per riprodurre pause di silenzio o d’imbarazzo.
Uso delle virgolette (“ ”), (« »), (‘ ’):
- le virgolette alte o inglesi (“ ”) sono preferibili per racchiudere metafore o parole avvertite
come improprie;
- le virgolette basse o francesi o sergenti o caporali (« ») sono preferibili nel discorso diretto
(non esclusive) e nelle citazioni;
- gli apici (‘ ’) sono preferibili per racchiudere il significato delle parole o delle espressioni
(ad es. P.es. Il professore di linguistica ci ha detto “amorevolmente”: «lessema significa ‘vocabolo’ o meglio ‘unità minima del sistema lessicale’»).
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Usi del trattino (-)
- per indicare la sillabazione in fine di riga (quando una parola è spezzata dall’a capo);
- per indicare intervalli in sostituzione di costrutti del tipo da... a, tra... e ecc. (p.es. 30-40
minuti ecc.);
- nei termini composti di più parole non ancora stabilizzati e quindi non ancora univerbati
(p.es. anti-ingrassante ecc.);
- nella giustapposizione di due aggettivi (p.es. indirizzo linguistico-letterario ecc.).
Usi della lineetta (–):
- in apertura e chiusura di inciso (in alternativa alle parentesi tonde o alle virgole);
- per introdurre il discorso diretto (in alternativa alle virgolette).
Usi della barra obliqua (slash):
- per indicare un rapporto di opposizione (p.es. e/o, vero/falso ecc.), di alternativa (p.es. indo-europeo/indoeuropeo ecc.) e di dipendenza (p.es. km/h ecc.);
- per dividere i versi di una poesia nelle citazioni lineari (p.es. Acoltami, i poeti laureati / si
muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti […], Montale, I
limoni, vv. 1-3, ecc.).
Uso delle parentesi tonde ( ):
- in luogo delle virgole o della lineetta per gli incisi o le parentetiche;
- per racchiudere i richiami bibliografici, i rinvii ad altri capitoli, paragrafi o commi;
- nelle didascalie dei testi teatrali (a volte in associazione al corsivo).
Uso delle parentesi quadre [ ]:
- per segnalare le omissioni nelle citazioni ‘[…]’ o eventuali commenti o precisazioni
all’interno delle citazioni stesse;
- all’interno delle parentesi tonde, come nelle formule matematiche.
Usi dell’asterisco (*):
- In luogo di un nome di persona o di luogo che s’intenda omettere (semplice o triplo): p.es.
Il sig. *** ecc.
- in linguistica storica (diacronica), per marcare le forme come ricostruite o come congettura
(p.es. formaggio, fr. fromage, dal lat. *FORMĀTICU(M) ‘cacio messo in forma’ ecc.);
- in linguistica descrittiva (sincronica), per segnalare le forme agrammaticali (p.es. *se andaressimo ecc.).
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Uso degli spazi bianchi, degli “a capo” e dei rientri:
- i segni di punteggiatura devono essere attaccati alla parola precedente e distaccati dalla
successiva (p.es. non La casa , quella al mare ,era di mio nonno .Pertanto... ma La casa,
quella al mare, era di mio nonno. Pertanto... ecc.);
- dopo un a capo, è buona norma iniziare il nuovo paragrafo con un rientro in prima riga.
VI. IL RIASSUNTO (RISCRITTURA E SINTESI) [cfr. DEGL’INNOCENTI 2002]
Il riassunto è un modello di riscrittura atto a ridurre la lunghezza del testo originale, rispettandone i
contenuti e l’organizzazione.
Le principali fasi di realizzazione del riassunto sono 1) la progettazione; 2) la lettura e analisi;
3) la stesura; 4) il controllo.
Progettazione: in questa fase occorre considerare 1) il destinatario; 2) le finalità; 3) le dimensioni richieste.
Lettura e analisi: 1) leggere con attenzione, secondo la modalità della lettura di approfondimento; 2) riconoscere tipologia e modello testuale; 3) riconoscere il registro linguistico e l’argomento o l’oggetto o la tesi principale, 4) sottolineare o evidenziare le parole-chiave e dividere il testo in blocchi; 5) individuare i concetti-chiave di ogni singolo blocco e condensarli in un titolo da
apporre in margine o comunque in prossimità; 6) collegare i blocchi tra loro e stabilirne la gerarchia; 7) riordinare i blocchi sotto forma di scaletta.
Stesura: 1) rispettare le citazioni tra virgolette, la tipologia testuale, il registro linguistico, il
punto di vista dell’autore, la successione dei concetti, degli argomenti, delle tesi, ecc.; 2) articolare
ogni punto della scaletta sotto forma di paragrafo, contraendo e variando mediante perifrasi, incisi e
parentetiche, sinonimi, iperonimi, trasformazioni di discorso diretto in discorso indiretto; 3) ordinare i paragrafi secondo l’ordine della scaletta; 4) andare a capo ad ogni cambio di paragrafo.
Controllo: verificare che 1) nessun concetto fondamentale sia rimasto fuori, 2) nessun concetto
sia stato aggiunto ex novo; 3) tutto sia stato opportunamente esplicitato; 4) l’ampiezza sia conforme
a quanto richiesto; 5) l’ortografia e la grammatica siano corrette; 6) la presentazione grafica sia
soddisfacentemente curata.
Fasi della lettura: 1) prelettura (identificare la tipologia e il modello testuale); 2) lettura esplorativa (farsi un’idea complessiva del testo e valutarne il grado di complessità); 3) lettura analitica completa (comprendere il contenuto globale del testo, verificare sul dizionario il significato
di singole parole, identificare parole-chiave [appartenenti all’area semantica dell’argomento principale e frequentemente ripetute o sostituite da sinonimi specie in collocazioni di rilievo], riconoscere
la struttura logica del testo e identificarne i blocchi, le porzioni); 4) smontaggio del testo (suddividere il testo in blocchi e riconoscerne la gerarchia); 5) lettura analitica di ciascun blocco (sottolineare o cerchiare, prendere appunti, collegare); 6) rilettura analitica completa (rileggere, riassumere, sintetizzare, schedare).
Sottolineatura: selezione sul testo, che favorisce la memoria visiva e riletture non più necessariamente complete. Consigli: 1) individuare le parole-chiave o le espressioni o le brevi frasi che
condensano i concetti-chiave, 2) usare segni grafici congeniali come righe, doppie righe, quadrature, cerchietti, segni a margine di varia natura, frecce di collegamento, usare matita e post-it ecc.
Appunti: selezione sintetica in tempo reale dei contenuti significativi del testo, che ne consente
una prima sommaria analisi. Consigli: 1) usare block-notes, quaderni o fogli a parte; 2) dividere il
foglio in modo tale da lasciare un margine abbastanza ampio per eventuali correzioni, modifiche e
integrazioni; 3) allo stesso scopo, dedicare una pagina ad ogni argomento; 4) fissare i concetti significativi in modo veloce e chiaro, con prevalenza di sostantivi, abbreviazioni, sigle, simboli, indicando sempre la fonte di provenienza (autore, titolo, pagina/e…), ecc.
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VII. CRITERI BIBLIOGRAFICI
Esistono diversi criteri o sistemi bibliografici: l’importante è mantenersi costanti, sistematici, nel
seguirne l’uno o l’altro, nel rispetto sia degli elementi più macroscopici sia dei più minuti dettagli.
Ogni bibliografia deve essere biunivoca, deve cioè contenere tutti e solo i testi effettivamente citati nel proprio lavoro.
La bibliografia finale dispone le “entrate” in ordine alfabetico per cognome e, all’interno dello
stesso cognome, per ordine cronologico; qualora la data coincida per uno stesso autore, subentra
l’ordine alfabetico del titolo, che comporta la rideterminazione delle date identiche con l’aggiunta di
lettere alfabetiche tonde minuscole (ad es. 2003a, 2003b, 2003c ecc.).
VII.1. Sistema anglosassone o “all’americana”
In questo sistema, detto anche “autore-anno”, la citazione dei testi (da ben integrare sintatticamente) avviene in modo economico segnalando a testo tra parentesi tonde il cognome dell’autore in
maiuscoletto (o in tondo) seguito dalla data, dai due punti e dal numero di pagina/pagine: ad es. «I
connettivi sono elementi che assicurano la coesione di un testo» (SERIANNI 2003: 37) / (Serianni
2003: 37)
Nella bibliografia finale questa specie di formula viene sciolta da un segno di equivalenza seguito, in caso di volume scritto da un solo autore, dal nome proprio di questi e dall’iniziale puntata del
suo cognome entrambi in tondo, dalla virgola, dal titolo in corsivo e dalla virgola, dal luogo di edizione e dal nome della casa editrice preceduti dalle virgole:
SERIANNI 2003 = Luca S., Italiani scritti, Bologna, il Mulino
oppure (con cognome in tondo):
Serianni 2003 = Luca S., Italiani scritti, Bologna, il Mulino.
In caso di saggio contenuto in una miscellanea, il segno di equivalenza è seguito dal nome proprio dell’autore e dall’iniziale puntata del suo cognome entrambi in tondo, dalla virgola, dal titolo in
corsivo e dalla virgola, dalla preposizione in seguita dal nome del curatore/dei curatori, dalla dicitura a cura di tra parentesi tonde, dal luogo di edizione e dal nome della casa editrice preceduti da
virgole, dall’intervallo di pagine in cui compare, preceduto da “pp.”:
D’ACHILLE 1994 = Paolo D’A., L’italiano dei semicolti, in Luca Serianni e Pietro Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, vol. II. Scritto e parlato, Torino, Einaudi, pp. 41-79
oppure (posponendo il curatore/i curatori al titolo della miscellanea):
D’ACHILLE 1994 = Paolo D’A., L’italiano dei semicolti, in Storia della lingua italiana, vol. II.
Scritto e parlato, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, Torino, Einaudi, pp. 41-79.
In caso di articolo contenuto in una rivista, il segno di equivalenza è seguito dal nome proprio
dell’autore e dall’iniziale puntata del suo cognome entrambi in tondo, dalla virgola, dal titolo in
corsivo e dalla virgola, dal nome della rivista in tondo tra virgolette basse e dalla virgola, dal numero romano del volume e dalla virgola, dall’eventuale numero arabo del fascicolo e dalla virgola,
dall’intervallo di pagine in cui compare, preceduto da “pp.”:
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GIOVANARDI 1993 = Claudio G., Note sul linguaggio dei giovani romani di borgata, «Studi linguistici italiani», XIX, pp. 62-78.
In caso di due o tre autori, i loro cognomi vengono uniti dal trattino sia nella formula “autoreanno” che nel suo scioglimento:
D’ACHILLE-GIOVANARDI 2001 = Paolo D’A.-Claudio G. Dal Belli ar Cipolla. Conservazione e
innovazione nel romanesco contemporaneo, Roma, Carocci.
Nel caso in cui l’autore o l’autrice di un saggio/articolo contenuto o ripubblicato in una miscellanea o in volume comprensivo coincida col curatore/autore di questi, il nome, per evitare la ridondanza, non viene ripetuto, ma indicato rispettivamente da “Id.” o da “Ead.” (‘lo stesso’, ‘la stessa’)
in tondo:
NENCIONI 1983 = Giovanni N., Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato, in Id., Di
scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, pp. 126-79.
FRESU 2006 = Rita F., “Gli uomini parlano delle donne, le donne parlano degli uomini”. Indagine linguistica in un campione giovanile di area cagliaritana e romana, «Rivista italiana di
dialettologia» XXX, pp. 23-58; rist. in Ead., Lingua italiana del Novecento. Scritture private,
nuovi linguaggi, gender, Roma, Edizioni Nuova Cultura, pp. 129-63.
Il sistema anglosassone, data la sua estrema economicità, rende praticamente superfluo l’utilizzo
delle note a piè di pagina per i rinvii bibliografici: la formula “autore-anno” viene direttamente inserita nel corpo del testo, tra parentesi tonde.
Questo sistema vanifica anche la dicitura in corsivo “op. cit.”, poiché la formula “autore-anno”
viene ripetuta ad ogni citazione.
Per lo stesso motivo, esso rende altrettanto inutile le diciture “Ibid.” e “Ivi” precedute o non dal
numero di pagina/pagine, usate nel sistema tradizionale nel caso in cui la pagina o l’opera (o viceversa) da cui si cita siano le stesse delle citazioni precedenti.
Nel caso di citazione letterale (esplicita) occorre aver cura di segnalare sempre la sua fonte, per
non incorrere in appropriazioni indebite dell’opera altrui.
Nelle citazioni riassuntive (rielaborazioni) è sempre opportuno segnalare la fonte facendola precedere da “Cfr.” (‘confronta’)
VII.2. La scheda bibliografica e la bibliografia finale: altri consigli
Segnare in alto a destra sulla scheda bibliografica la collocazione dei libri letti o consultati, per
agevolarne una nuova richiesta.
Citare sempre il luogo di edizione in lingua originale.
Prendere nota dell’anno sia della prima edizione sia dell’edizione che si utilizza (la data dell’edizione utilizzata dovrà comparire all’esterno della bibliografia finale “all’americana”, quella della
prima edizione dovrà essere segnalata tra parentesi alla fine dell’entrata).
Qualora una miscellanea raccolga gli atti di un convegno, segnalarlo sempre, perché potrebbe
essere catalogato in biblioteca sotto questa categoria.
Non confondere il luogo di edizione con quello in cui si sia tenuto un dato convegno/congresso.
Inserire le miscellanee sotto il cognome del curatore piuttosto che sotto AA.VV. (= Autori Vari).
Inserire gli autori anonimi sotto la lettera A.
Segnalare, tra parentesi tonde preceduto da Ora in, le ripubblicazioni in volume di articoli o
saggi apparsi precedentemente su riviste o altro.
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Indicare sempre i titoli delle opere in lingua originale e segnalare eventualmente la traduzione
utilizzata, tra parentesi e preceduta da tr. it. + nome del traduttore (= traduzione italiana di X).
VIII. IL SAGGIO BREVE (CFR. DEGL’INNOCENTI 2002)
Il saggio breve è un modello testuale affine al “tema-saggio” e alla tesi o tesina, di vario argomento (artistico-letterario, socio-economico, storico-politico, tecnico-scientifico) e di tipologia prevalentemente argomentativa ed espositiva (o informativa o referenziale); in esso l’autore sostiene
una tesi interpretativa su date informazioni ricavate da documentazione oggettiva; il livello di approfondimento può variare da un alto grado di specializzazione al carattere più o meno divulgativo;
dipende dalla sua destinazione editoriale; nella sua versione scolastica, si avvale di una consegna
che richiede la segnalazione di un’eventuale collocazione editoriale (volume, rivista specialistica o
divulgativa, settimanali e quotidiani ecc.), prescrive un’estensione e un tempo massimi consentiti,
segnala un argomento, più stringato di quanto non sia la traccia di un tema; si avvale di un “dossier”, cioè di una documentazione allegata (oggettiva e/o soggettiva, cioè quantitativa e/o qualitativa), in aggiunta o a sostegno del personale bagaglio culturale dello scrivente.
Nella sua produzione si distinguono tre grandi stadi: 1) la prescrittura o progettazione; 2) la
scrittura o stesura; 3) la postscrittura o messa a punto.
VIII.1. Prescrittura del saggio breve
Lettura e analisi dell’argomento e della consegna (consigli): leggere attentamente, identificare l’argomento principale e gli argomenti secondari, individuare le parole-chiave, porsi domande
che articolino gli argomenti.
Lettura, analisi e selezione del “dossier” (consigli): prendere appunti in forma di lista o di
mappa ed espanderli, individuare i rapporti e le gerarchie, collegare e disunire.
Scelta della destinazione del testo (consigli): scegliere un registro appropriato al destinatario).
Amplificazione e organizzazione dell’informazione (consigli): prendere appunti immediati di
associazioni libere, brainstorming, domande, amplificazioni (per analogia o per contrario, per causa
o per effetto, per prossimità cronologica o spaziale o ideale, per generalizzazione, per esemplificazione, per suddivisione interna, per esperienza personale, per esperienza di altri) ecc., ed organizzarle in forma di lista – verticale – o di mappa – radiale.
Elaborazione della tesi e degli argomenti (consigli): riflettere sulla documentazione, elaborare
ragionamenti, richiamare teorie, principi generali, premesse, osservazioni, citazioni di auctoritates
ecc. ed estrapolare prove a sostegno della propria tesi e a prevenzione o confutazione di eventuali
antitesi.
Elaborazione della scaletta (consigli): cancellare le idee superflue o fuorvianti; individuare
quelle primarie, gerarchizzarle, collegarle ed ordinarle secondo un criterio logico, in forma di lista o
di mappa, in modo tale che i paragrafi che corrisponderanno ai punti della scaletta risultino coerenti.
VIII.2. Scrittura del saggio breve
Sviluppo della scaletta in paragrafi (consigli): far corrispondere a ciascun punto della scaletta
un paragrafo, cioè l’unità fondamentale del testo compresa tra due a capo, dotata di interna coesione
– ossia di continuità formale, ottenuta mediante accordi corretti, anafore, catafore, sostituzioni pronominali e sinonimiche, connettivi ecc. – e dotata di esterna coerenza – ossia di qualsivoglia sorta di
22
continuità logica con i paragrafi precedenti e successivi, esplicitata mediante connettivi, quali congiunzioni, preposizioni e avverbi.
Stesura del blocco centrale del testo (consigli): espandere i paragrafi secondo le varie modalità
viste sopra; evitare sia una sintassi troppo farraginosa, difficile e pesante, per eccessivo ricorso alla
ipotassi (subordinazione), sia una sintassi all’opposto estremamente frammentaria, elementare o
semplicistica per eccessivo ricorso alla paratassi (coordinazione); rendere i paragrafi coesi e coerenti; fare attenzione alla scelta delle parole, consultandole sui dizionari, affinché il lessico sia relativamente preciso e relativamente semplice e sobrio, mai improprio; adottare un registro ossia uno
stile linguistico costante e appropriato al destinatario, al rapporto del mittente con esso, alla situazione, all’argomento e alla tipologia del modello testuale richiesto; rispettare le prescrizioni della
consegna e ottimizzare le condizioni di lavoro.
Stesura dell’introduzione (consigli): scegliere tra almeno sei diverse modalità, quali a) l’inquadramento sintetico; b) la formulazione di questioni; c) la formulazione di asserzioni; d) la citazione
che sintetizzi il tema fondamentale e che dia autorevolezza a quanto segue; e) la presentazione di un
aneddoto significativo; f) l’assenza di introduzione e l’inizio in medias res.
Stesura della conclusione (consigli): scegliere tra almeno sei diverse modalità, quali a) il riassunto sintetico; b) la formulazione di questioni; c) la formulazione di asserzioni; d) la citazione; e)
la presentazione di un aneddoto; f) l’assenza di conclusione.
Individuazione del titolo (consigli): ideare il titolo e l’eventuale sottotitolo a stesura conclusa;
scegliere tra la forma del sostantivo, con o senza articolo, del sintagma, della locuzione o della breve frase, verbale o nominale, con carattere denotativo o connotativo, con figure di suono o di sintassi o di significato o di pensiero, ma in modo comunque tale da sintetizzare il contenuto dello scritto
e da richiamare l’attenzione dei potenziali lettori, invogliandoli alla lettura.
VIII.3. Postscrittura del saggio breve
Revisione del testo (consigli): far passare qualche minuto dalla stesura per ottenere il giusto distacco critico; rileggere tutto completamente e attentamente; verificare il rispetto della consegna,
dell’aderenza al tema, dell’appropriatezza al destinatario e alla tipologia del modello testuale prescelto; porsi dal punto di vista del destinatario, per soddisfarne virtualmente le potenziali aspettative
di chiarezza, precisione, correttezza, appropriatezza, informatività, coerenza logica, equilibrio delle
parti ecc.; verificare infine che non ci siano refusi e usi maldestri, nonché l’efficacia del titolo.
Copiatura e la presentazione grafica (consigli se si scrive a mano): curare la chiarezza e la
leggibilità della grafia; lasciare margini per eventuali correzioni e modifiche; porre tra virgolette
basse («…») le citazioni e sottolineare le parole straniere non entrate stabilmente nella propria lingua; (consigli se si scrive al computer): scegliere il font e le dimensioni adeguate; lasciare adeguati
margini a destra e a sinistra; formattare adeguati allineamenti, cioè a sinistra, a destra o giustificato;
applicare l’interlinea più adeguato; evidenziare i paragrafi con rientri in prima riga e/o con spaziatura di paragrafo; arricchire lo scritto con eventuali tabelle, diagrammi, immagini ecc.; curare l’etichetta della punteggiatura; porre tra virgolette basse («…») le citazioni e formattare in corsivo il
metalinguaggio e le parole straniere non entrate stabilmente nella propria lingua; verificare che la
formattazione e le eventuali norme redazionali siano state applicate con omogeneità; salvare su
memoria.
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IX. LA TESI E LA TESINA (CENNI GENERALI: CFR. DEGL’INNOCENTI 2002)
La tesina è un modello testuale affine al saggio breve, al tema-saggio e alla relazione, ma di
ampiezza maggiore (da un minimo di 10-15 pagine ad un massimo di 50 o più), di vario argomento
e di tipologia prevalentemente argomentativa, ma anche in parte informativa e descrittiva.
La tesina deve essere corredata dalle note a piè di pagina e da una bibliografia. I criteri delle note a piè di pagina sono:
- presenza di rimandi ad altre parti del testo;
- presenza di dettagli in aggiunta o a chiarimento del testo;
- indicazione delle fonti per le citazioni del testo;
- presenza di ulteriori citazioni;
- approfondimenti di un’informazione o di un concetto.
X. LA TESI E LA TESINA (APPROFONDIMENTI: CFR. ECO 1985)
X.1. Introduzione
Lavorare a una tesi dignitosa e onesta offre allo studente l’occasione preziosa di:
- appassionarsi alla ricerca
- approfondire le conoscenze in una data materia
- acquisire e consolidare un metodo di lavoro e una capacità organizzativa
- affinare il proprio senso critico e la propria capacità argomentativa
- perfezionare la competenza linguistica e comunicativa ecc.
tutte cose che gli torneranno utili a prescindere da quali saranno le sue attività e i suoi interessi futuri.
X.2. Essenza e finalità di una tesi
La tesi è un elaborato dattiloscritto di tipologia argomentativa ed espositiva (o informativa o referenziale) che presenta a un destinatario più o meno variegato un lavoro originale di ricerca in una
data disciplina.
L’originalità del lavoro non esclude, ma presuppone, la conoscenza più o meno approfondita e
integrale della letteratura critica sull’argomento.
L’intento di questa documentazione preventiva (e continuativa) è quello di pervenire alla “scoperta” di qualcosa che non sia stato mai detto prima oppure alla formulazione del problema in una
prospettiva o in termini comunque nuovi, chiari e precisi.
Si danno diversi gradi intermedi tra una tesi assolutamente compilativa ed una assolutamente
sperimentale.
Non si può dire a priori che una tesi compilativa sia più valida/meno valida o più facile/meno
facile di una tesi sperimentale, come pure un argomento di ambito antico vs un argomento di ambito
moderno o contemporaneo: quello che conta è l’applicazione di un metodo che conferisca scientificità alla ricerca.
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X.3. L’argomento
Pari dignità hanno potenzialmente anche gli argomenti: per un buon ricercatore, nessun argomento è mai completamente banale.
È consigliabile semmai che l’argomento della tesi sia ben circoscritto o comunque ben calibrato
sulle variabili in gioco (tempi, mobilità, disponibilità economiche, entità e reperibilità/maneggiabilità delle fonti, conoscenza di lingue straniere o antiche, preparazione e motivazioni
dello studente ecc.).
Evitare titoli come: La concezione dell’anima nel pensiero filosofico-religioso di tutti i tempi e
simili; in altre parole, se la tesi si auspica un buon livello di completezza, ne dipenderà l’ampiezza
dell’argomento: in linea di massima, meglio una monografia piuttosto specifica ma esaustiva, che
non una panoramica lacunosa.
L’autore di una tesi, in virtù dei suoi approfondimenti, deve ambire a presentarsi e a dimostrarsi
come un vero “esperto” dell’argomento di cui si occupa.
Naturalmente, la panoramica può essere utile e spesso necessaria come sfondo, inquadramento o
contestualizzazione dell’oggetto principale.
Tra ricognizione panoramica e focalizzazione monografica esiste peraltro una sorta di circolo
“virtuoso”, per il quale si realizza una stretta interdipendenza tra i due momenti della ricerca: possono alternarsi o svolgersi dall’inizio alla fine.
X.4. La scientificità
Non equivale necessariamente al tasso più o meno elevato di dati e metodi quantitativi (numeri,
formule, grafici, tabelle ecc.). Dipende:
- dalla novità delle affermazioni o del punto di vista e dell’ordine con cui cose già note siano
state riformulate.
- dall’utilità della ricerca per il progresso degli studi complessivi in quella data disciplina.
- dalla riconoscibilità dell’oggetto in base alle condizioni condivise o alle regole poste dal ricercatore o da altri prima di lui.
- dalla precisa e univoca definizione del quadro terminologico-concettuale (occorre definire tutti
i termini e le categorie concettuali chiave, salvo quelli di dominio comune in una data disciplina).
- dalla seria definizione dei criteri per l’inclusione/esclusione degli aspetti da trattare: occorre
motivare sempre le scelte.
- dagli elementi che la ricerca fornisce per una sua verifica o per una sua smentita.
Una confutazione ben corroborata da prove (ben argomentata) può essere tanto scientifica quanto una dimostrazione: entrambe possono contribuire al progresso degli studi, purché non siano avventate, approssimative, superficiali, casuali ecc.
X.5. La documentazione
Occorre distinguere tra:
- fonti primarie (testi di cui si parla) e fonti secondarie (letteratura critica, testi con l’aiuto dei
quali si parla);
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- fonti di prima mano (opera originale, edizioni critiche, testimonianze autorevoli ecc.) e fonti di
seconda mano (traduzioni, antologie, resoconti di altri autori, citazioni di citazioni ecc.): occorre
preferire laddove possibile la conoscenza (e la citazione) diretta delle fonti; in ogni caso, segnalare sempre la verità del rapporto con le fonti, mai fingere di averle accostate direttamente, se
ciò non sia vero.
Nel caso in cui si citi da citazioni, verificare la loro correttezza, se non proprio sugli originali,
almeno in autori diversi e renderne conto in nota con la scrizione “cit. in X”.
Inserire inoltre nei riferimenti bibliografici, in nota o finali, solo le opere che si siano consultate
effettivamente.
X.6. La ricerca bibliografica
Si può cominciare da qualsiasi punto di partenza:
- un suggerimento del relatore
- un sito internet
- la bibliografia finale di un libro sull’argomento (letto o consultato ad hoc)
- un’enciclopedia
- un repertorio bibliografico
- il catalogo per soggetto (in caso di idee più vaghe) o per autore (in caso di idee più chiare) in
una biblioteca (ce ne possono essere di vecchi e nuovi, cartacei e non, divisi per libri e riviste
ecc.)
- un suggerimento del bibliotecario
Non esistono in assoluto fonti importanti o inutili: un’informazione decisiva può essere acquisita
con la lettura o la consultazione di un autore “minore” o di un’opera apparentemente inutile o insignificante, perfino detta di scorcio in una sua nota, in una sua parentesi ecc.
È consigliabile, per non dire necessario, trascrivere o fotocopiare tutti i riferimenti bibliografici
che si riesce a reperire sull’argomento della tesi o sulle sue attinenze.
Allestire di volta in volta per ogni lettura o consultazione effettuata delle schede bibliografiche
(con tutti i dettagli del caso ricavabili dalla copertina, dal frontespizio e dal retrofrontespizio), schede di lettura (con parafrasi, riassunti, commenti ecc.), schede delle idee, schede delle citazioni,
schede di lavoro ecc.: costituirà un promemoria e un serbatoio di materiali a cui attingere non solo
nell’ambito della tesi, ma anche per lavori futuri, anche a distanza di anni (più sono chiare e dettagliate meglio è).
X.7. Piano di lavoro
Il piano di lavoro è una sorta di scaletta o di mappa, una pianificazione orientativa, di massima,
sempre suscettibile di essere modificata nel corso del proprio lavoro, ma necessaria per creare l’abbozzo, la griglia, l’intelaiatura germinale (l’embrione della struttura) di tutta la tesi.
In pratica, questo piano di lavoro si configura sotto forma (non sempre definitiva) di titolo, introduzione e indice/sommario.
I criteri organizzativi di questo indice-scaletta possono essere cronologici, spaziali, comparativi,
di causa ed effetto, ecc. con tutte le diramazioni del caso.
Queste diramazioni dovranno configurarsi come capitoli con paragrafi e sotto(-sotto...)paragrafi, secondo una gerarchia ad albero (dove la cifra romana indichi il raggruppamento maggiore o principale e le cifre arabe quelli minori o secondari).
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È opportuno stabilire dei richiami intratestuali tra le varie articolazioni dell’indice/sommario,
per aumentarne la coesione.
X.8. Altri consigli per la stesura
Andare spesso a capo, quando l’unità del discorso lo permetta.
Scrivere di getto almeno in una prima fase; dopodiché procedere a sfrondare o eliminare le divagazioni o a dislocarle in nota o in appendice, a seconda della loro lunghezza e/o del loro contenuto.
Usare il registro appropriato allo scritto e alla destinazione.
Privilegiare un linguaggio referenziale, univoco, chiaro e preciso.
Qualora si adotti un linguaggio figurato (con moltissima parsimonia) o si faccia dell’ironia, evitare di spiegarla (equivarrebbe a dare dell’imbecille al potenziale lettore).
Non spiegare le cose ovvie o universalmente note, dando magari per scontato dettagli che lo siano meno.
Non italianizzare i nomi di battesimo degli stranieri.
Italianizzare i cognomi stranieri solo nel caso in cui la tradizione lo legittimi (ad es. Cartesio vs
Descartes ecc.).
X.9. Altri consigli per le citazioni
Le citazioni devono essere controllate e controllabili.
Citare la letteratura critica solo nei casi in cui sia funzionale alle argomentazioni.
Non citare le ovvietà che siano patrimonio comune e non frutto di ingegno individuale.
Rendere sempre riconoscibili l’autore e la fonte di una citazione, guardandosi dall’attribuire ad
un autore citazioni non sue.
Citare preferibilmente dalla lingua originale e far seguire la traduzione, a testo (tra parentesi) o
in nota.
Le citazioni devono essere fedeli: ogni ellissi deve essere segnalata (con puntini di sospensione
tra parentesi quadre) ed eventuali note dell’autore, del curatore, del traduttore devono essere racchiuse tra parentesi quadre con le rispettive sigle (NdA, NdC, NdT).
La citazione che non superi le due o tre righe può andare a testo; altrimenti va presentata in corpo minore rientrato in un blocco autonomo.
I versi di una poesia, se citati nel corpo del testo senza a capo, devono essere separati dallo slash
(… / … / …); altrimenti si danno in corpo minore rientrato in un blocco autonomo.
Attenzione a non commettere plagio: parafrasare/riassumere o altrimenti citare tra virgolette
(preferibilmente basse); soprattutto attenzione a ricordarsi di avere effettuato negli appunti vere e
proprie citazioni o meno.
X.10. Altri consigli per le note a piè di pagina
L’utilità delle note a piè di pagina per i riferimenti bibliografici è pressoché vanificata dal sistema “autore-anno” (all’americana; vedi sopra par. I.1).
Nelle note si possono però dislocare i riferimenti bibliografici di rinforzo o collaterali rispetto al
riferimento dato nel testo col sistema “autore-anno”.
Le note possono contenere anche le citazioni di rinforzo.
Possono contenere dei corollari di affermazioni date nel testo o delle loro rettifiche.
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Possono contenere la traduzione o alternativamente la versione in lingua originale di una citazione riportata nel testo.
Possono contenere i richiami intratestuali.
Avvertenza: non aggiungere o eliminare le note solo per far quadrare i conti.
X.11. Altro
Laddove possibile, preferire le parole alle cifre arabe (ad es. cinquantamila uomini vs 50.000
uomini oppure trenta chilometri vs 30 km ecc.).
Scrivere le date per esteso (ad es. 14 aprile 2014 vs 14/4/2014 ecc.).
Essere sempre costanti e sistematici (ad es. voltairiano/volterriano, USA/U.S.A. o gli uni o gli
altri senza oscillazioni)
XI. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
BONOMI-MASINI-MORGANA-PIOTTI 2003 = Ilaria B.-Andrea M.-Silvia M.-Mario P., Elementi di linguistica
italiana, Carocci, Roma.
BRUNI et alii 2006 = Francesco B.-Gabriella A.-Serena F.-Silvana T.G., Manuale di scrittura e comunicazione: per la cultura personale, per la scuola, per l’università, Bologna, Zanichelli.
BRUNI et alii 2013 = Francesco B.-Gabriella A.-Serena F.-Silvana T.G., Manuale di scrittura e comunicazione: per l’università, per l’azienda (con una grammatica in pillole di Francesca Malagnini), Bologna, Zanichelli.
DEGL’INNOCENTI 2002 = Elisabetta D., Il manuale della scrittura. Modelli, procedure, laboratorio, Milano,
Paravia.
ECO 1985 = Umberto E., Come si fa una tesi di laurea. Le materie umanistiche, Milano, Bompiani
(IX ed.; I ed. 1977).
FORNARA 2010 = Simone F., La punteggiatura, Roma, Carocci.
FORNASIERO-TAMIOZZO GOLDMANN 1994 = Serena F.-Silvana T.-G., Scrivere l’italiano. Galateo della comunicazione scritta, Bologna, il Mulino.
NOVELLI 2014 = Silverio N., Si dice? Non si dice? Dipende. L’italiano giusto per ogni situazione, RomaBari, Laterza.
SERIANNI 1989 = Luca S., Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria (con la collaborazione
di Alberto Castelvecchi), Torino, Utet libreria.
SERIANNI-TRIFONE 1994 = Luca S.-Pietro T. (a cura di), Storia della lingua italiana, vol. II, Scritto e parlato, Torino, Einaudi.
SERIANNI 2012 = Luca S., Italiani scritti (con esercizi a cura di E. Picchiorri e M.S. Rati), Bologna, il Mulino.
SOBRERO 1993 = Alberto A. S. (a cura di), Introduzione allo studio dell’italiano contemporaneo, vol. II. La
variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza.
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