I fondi raccolti da AIRC vengono utilizzati per finanziare
studi in diversi settori della ricerca oncologica.
In ogni numero spiegheremo ai nostri lettori cosa
ci aspettiamo dai ricercatori esperti in quell’area
OBIETTIVO...
La resistenza ai farmaci
Le cellule
del tumore
sono tutte uguali?
Le cellule che compongono
una massa tumorale non
sono mai geneticamente
identiche, anzi. Una delle
caratteristiche del cancro è
la cosiddetta instabilità
genetica: le mutazioni del
DNA avvengono con una
rapidità non comune.
Quando la massa viene esposta all’azione di un
farmaco antitumorale, le cellule sensibili ai suoi
effetti muoiono, ma alcune, tra cui le staminali tumorali hanno caratteristiche genetiche diverse e sono in
grado di resistere alla terapia. Saranno queste ultime
a continuare a moltiplicarsi e quindi in breve tempo
tutto il tumore diventerà resistente alla cura.
È per questa stessa ragione che le chemioterapie
sono costituite quasi sempre da cocktail di farmaci: è difficile che una cellula acquisisca contemporaneamente la resistenza a più sostanze, quindi
si punta sul fatto che dove la prima ha fallito può
agire la seconda.
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Una delle cause principali
del fallimento di un trattamento antitumorale è lo sviluppo
di resistenze agli effetti dei farmaci da parte delle cellule.
Per questa ragione è
necessario investire sulla
ricerca che si occupa di
capire quali sono i processi attraverso i quali
le cellule cancerogene
attivano la capacità di
sopravvivere alle chemioterapie.
Vi sono altri modi con cui
il tumore diventa resistente
ai farmaci?
Alcuni farmaci antitumorali
sono progettati per bloccare
l’azione di particolari enzimi
che controllano la crescita
e la divisione cellulare.
Per proteggersi da questa azione, la cellula tumorale è
in grado di agire sul gene che produce gli enzimi bersaglio della terapia e di aumentarne la quantità mediante
il meccanismo dell’amplificazione genica. In pratica se
il farmaco è la freccia e l’enzima il bersaglio, il numero
dei bersagli aumenta a dismisura mentre quello delle
frecce nella faretra (ovvero la quantità di farmaco che si
può somministrare) resta inalterato. Col tempo, quindi,
la terapia perde efficacia. La ricerca punta a trovare sostanze in grado di interferire con l’amplificazione genica
per mantenere l’efficacia della cura.
È possibile che il tumore modifichi il bersaglio
di un farmaco?
Grazie alle mutazioni genetiche, la cellula tumorale può modificare il
bersaglio di un farmaco. Se il bersaglio è la serratura su cui deve
agire la chiave-farmaco, ogni sua alterazione rende la cura
inefficace.
In tal modo il farmaco disegnato per interagire con un bersaglio ben preciso non riesce più a riconoscerlo come tale.
È quanto è accaduto, per esempio, con alcuni farmaci biologici, anticorpi disegnati per ‘attaccare’ uno specifico bersaglio. Dopo un po’, però, questo modifica la sua struttura e il farmaco, per quanto ‘intelligente’ non è in grado di
adattarsi ai cambiamenti e diventa inefficace.
È possibile che
un farmaco perda
il suo bersaglio?
Anche questo è un evento
possibile ed è una delle
conseguenze della rapidità
con cui si manifestano le
mutazioni genetiche nelle
cellule tumorali. Un
esempio tipico è quello del
tumore della mammella,
che può essere curato con
un farmaco attivo contro gli
ormoni estrogeni, il
tamoxifene.
Se alcune cellule mutano diventando indipendenti
dall’ormone, cioè non hanno più bisogno degli ormoni per crescere, il fatto che il farmaco interferisca con gli estrogeni non le disturba più.
Le cellule mutate riusciranno a sopravvivere alla
cura e a replicarsi, e quindi in breve tempo tutto il
tumore non sarà più aggredibile con il tamoxifene.
È possibile che
un tumore diventi
resistente a più terapie
contemporaneamente?
Sì, questo può accadere.
Il fenomeno si chiama
multiresistenza ai farmaci (in
inglese multidrug resistance,
o MDR).
Le cause possono essere molteplici, ma una delle
più note è l’amplificazione (in pratica l’aumento dell’attività) di un gene noto come MDR1, che conferisce alla cellula una particolare resistenza. La ricerca scientifica sta tentando di elaborare terapie in
grado di interferire con l’azione nefasta del gene
MDR1, che produce una proteina capace di bloccare l’ingresso del farmaco chemioterapico nella
cellula (quindi di proteggerla dalla sua azione).
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