Tettonica delle Placche
1) Sviluppo storico del concetto
• Prima di Wegener
• La teoria della deriva dei continenti di Wegener
• Dopo Wegener
2) Prove a sostegno della teoria
• L’età dei fondali oceanici
• Paleomagnetismo
• Vulcanismo
3) Caratteristiche e localizzazione dei limiti di placca
• Margini divergenti
• Margini convergenti
• Margini trasformi
4) Teorie alternative alla tettonica delle placche
• La teoria della Terra in espansione
Ipotesi precedenti la teoria di Wegener
1596 Il cartografo olandese Abraham Ortelius nel suo lavoro Thesaurus Geographicus
suggerisce per la prima volta che i continenti possano non essere rimasti sempre nelle loro
attuali posizioni. Egli afferma che le Americhe siano state “allontanate dall’Europa e
dall’Africa… da terremoti ed inondazioni”.
1620 L’astronomo inglese Francis Bacon scrive della sorprendente coincidenza tra le linee
di costa sulle due sponde dell’Atlantico. Egli conclude che i continenti separati
dall’Atlantico costituiscono un puzzle di pezzi che un tempo erano uniti e per qualche
motivo si sono staccati e separati.
1858 Lo studioso francese Antonio Snider-Pellegrini pubblica il volume La creation et ses
mystéres dévoilés che include una mappa in cui l’Africa e l’America sono unite. Egli
suggerisce che Americhe Africa ed Europa costituissero un tempo un unico continente,
basandosi soprattutto sullo studio di flore fossili.
1885 Il geologo austriaco Edward Suess fornisce ulteriori conferme all’ipotesi di Bacon
basandosi sull’esame dei fossili. Egli suggerisce che tutti i continenti dell’emisfero
meridionale fossero un tempo uniti, data la somiglianza tra i fossili in essi rinvenuti.
I continenti prima della separazione
I continenti dopo la separazione
Da A. Snider-Pellegrini: La creation et ses mystéres dévoilés, 1858
La Teoria della Deriva dei continenti di Alfred Wegener
Alfred Wegener (1880-1930) ottenne nel 1904 un PhD in astronomia all’Università di
Berlino; in seguito si interessò di geofisica e degli sviluppi nei campi della meteorologia e
della climatologia.
Nel 1906 divenne tutor all’Università di Marburgo. Prese parte tra il 1906 e il 1913 a diverse
spedizioni in Groenlandia per lo studio della circolazione dell’aria nelle zone polari.
Nel 1924 divenne professore di meteorologia e geofisica all’università di Graz, in Austria.
Morì nel 1930, durante l’ennesima spedizione in Groenlandia, nel tentativo di portare
soccorso ad alcuni colleghi bloccati nell’entroterra.
Wegener iniziò ad interessarsi alle ipotesi sulle somiglianze paleontologiche tra le due
sponde dell’Atlantico nel 1911.
All’epoca la scienza ortodossa spiegava tali somiglianze con la formazione di ponti effimeri
tra i continenti. Egli, colpito dalla concomitanza delle evidenze paleontologiche e della
coincidenza tra le linee di costa, si formò l’idea della fondamentale correttezza dell’ipotesi
che i continenti fossero un tempo uniti e si dedicò alla ricerca di ulteriori prove.
Nel 1915 pubblicò l’opera fondamentale The origin of continents and oceans, ripubblicata
successivamente con espansioni nel 1920 e nel 1922. In quest’opera egli formula
compiutamente la teoria conosciuta in seguito con il nome di Deriva dei Continenti.
Deriva dei Continenti
Circa 300 milioni di anni fa i continenti formavano una singola massa, chiamata
Pangea (dal greco “tutta la Terra”). La Pangea si era successivamente
frammentata, a partire da 200 milioni di anni fa circa, ed i singoli frammenti da
allora si allontanano l’uno dall’altro.
Benché Wegener non fosse stato il primo a sostenere un’ipotesi del genere egli fu il
primo a presentare numerose prove a favore della stessa, provenienti da campi di
studio disparati.
Prove formulate prima di Wegener
•
Conformità delle linee costiere, accentuata se si considera l’isobata –200 m
•
Somiglianze paleontologiche
Nuove prove formulate da Wegener
a.
Argomenti geologici e litologici
b.
Argomenti paleontolgici
c.
Argomenti paleoclimatici
a. Argomenti geologici
Wegener studiò le similarità esistenti tra i vari blocchi continentali. Grandi lineamenti
strutturali e province geologiche combaciavano quando si riavvicinavano i blocchi.
Inoltre diede molta importanza alla posizione delle morene terminali delle grandi
coperture glaciali quaternarie. I movimenti principali ebbero luogo nel Cretaceo e
Terziario. Inoltre molti giacimenti presenti in Africa e Sud America contenevano
minerali con le stesse caratteristiche geochimiche e strutturali
b. Argomenti paleontolgici
Per spiegare identità o similarità floristiche e faunistiche tra continenti differenti, all’inizio
del secolo, ammettevano che tra essi potessero essere esistiti dei ponti continentali sottoforma
di grandi lingue di terra che poi sarebbero sprofondati negli oceani. Wegener sulla base di
evidenze geofisiche e sul principio dell’isostasia rifiuta questa ipotesi e dimostra che i
continenti oggi separati, si sono staccati e allontanati da un unico grande continente.
c. Argomenti paleoclimatici
Le più importanti evidenze paleoclimatiche ci vengono fornite dalle rocce sedimentarie.
Le tilliti sono indizio sicuro di glaciazioni, i depositi di carbone indicano condizioni
umide, le evaporiti testimoniano climi aridi, rocce carbonatiche indicano climi
tropicali. Altri indizi sono i fossili.
La stessa sequenza caratteristica di tilliti - arenarie, peliti e carbone lave basaltiche, si riscontra in diversi continenti
La distribuzione di rocce della stessa età corrisponde,
accostando l’America meridionale e l’Africa
Tracce di abrasione glaciale e depositi glaciali (tilliti), mostrano una
distribuzione incompatibile con l’attuale posizione dei poli, ma anche
con qualsiasi altra possibile posizione degli stessi, per cui non sono
attribuibili a migrazione dei poli e quindi delle fasce climatiche
Migrazione apparente dei poli, ogni continente
traccia un percorso diverso
Wegener propose inoltre per la prima volta un meccanismo che potesse spiegare il
movimento dei continenti.
Egli ipotizzò che la rotazione della Terra generasse forze centrifughe e di marea in grado
di far scivolare i continenti sulla crosta oceanica.
Wegener inoltre propose una teoria orogenetica alternativa a quella allora in voga della
contrazione terrestre. Secondo Wegener l’attrito causato dallo scorrere dei continenti sulla
crosta oceanica provocava corrugamenti sul fronte avanzante dei continenti (catene tipo
Ande o Montagne Rocciose) e la collisione tra due continenti dava luogo a corrugamenti
più intensi (catene tipo Alpi e Himalaia).
La reazione alla teoria di Wegener fu quasi uniformemente ostile.
Il problema principale consisteva nel meccanismo in grado di muovere i continenti. Le
forze centrifughe e di marea sono troppo deboli per muovere i continenti, inoltre l’attrito
causato dallo scorrimento sulla crosta oceanica darebbe luogo a deformazioni molto più
accentuate di quelle osservate.
Un altro problema consisteva nel fatto che Wegener suggeriva velocità di allontanamento
tra America ed Europa estremamente elevate e poco credibili, di circa 250 cm/anno.
Alcuni geologi appoggiarono almeno in parte la teoria di Wegener, come il geologo
svizzero Emile Argand che sostenne come la collisione tra continenti fosse la migliore
spiegazione possibile per le deformazioni da lui riscontrate nelle Alpi svizzere.
Sviluppi successivi alla formulazione della teoria di Wegener
1930 Il geologo inglese Arthur Holmes (1890-1965) suggerisce un meccanismo alternativo
a quello proposto da Wegener per spiegare la deriva dei continenti: basandosi su recenti
studi di sismica applicata al mantello, che indicavano come questo non si comportasse come
un corpo solido, egli ipotizzò che un mantello non completamente solido e molto duttile
potesse essere soggetto a circolazione convettiva; la parte superiore delle celle convettive
del mantello avrebbe potuto fornire la spinta necessaria al movimento dei continenti.
Conscio delle difficoltà incontrate da Wegener egli precisò che la sua ipotesi era “puramente
speculativa” e che “non ha alcun valore scientifico finché non sarà avvalorata da evidenze
indipendenti”.
1935 Il geologo giapponese Kiyoo Wadati (1903-1995) suggerisce che la distribuzione dei
terremoti e dei vulcani del Giappone possa essere correlata alla deriva dei continenti.
1940 Il sismologo statunitense Hugo Benioff (1899-1968) osserva che la distribuzione di
vulcani e terremoti è correlata, e che essi si concentrano soprattutto lungo i margini dei
continenti; inoltre osserva che i sismi profondi disegnano un piano inclinato sotto le
principali aree vulcaniche, noto oggi come piano di Benioff.
1947 I rilievi della nave oceanografica Atlantis mettono in evidenza che lo spessore dei
sedimenti sui fondali oceanici è molto ridotto e la loro età recente.
La teoria dell’espansione dei fondali oceanici di Arthur Hess
Il geologo americano Arthur Hess (1906-1969), propose nel 1962 una nuova ipotesi per
spiegare la topografia dei fondali oceanici, che prese spunto della teoria di Wegener.
Egli durante la II guerra mondiale si era imbarcato su una nave dotata di apparecchiature in
grado di rilevare il fondale oceanico. In questo periodo fu colpito dalla presenza di rilievi
sottomarini, noti come seamounts e soprattutto di rilievi isolati dalla cima piatta, che chiamò
guyot.
guyot La cima piatta, che ora si trovava a diverse centinaia o migliaia di metri di profondità,
sembrava indicare erosione subaerea di questi rilievi.
Al termine della guerra Hess continuò i rilievi dei fondali oceanici e scoprì numerose
dorsali oceaniche,
oceaniche tali da costituire una rete continua che si estende in tutti gli oceani. In
seguito alla scoperta nel 1953 che queste dorsali erano spesso dotate di una rift valley
centrale, interessata da intensa attività vulcanica, Hess cominciò a formulare una nuova teoria
che potesse spiegare queste nuove scoperte.
In una pubblicazione del 1962 Hess inserì tutte le nuove scoperte in una nuova teoria, che
egli stesso chiamò “dell’espansione dei fondali oceanici”
oceanici (sea-floor spreading). Egli ipotizzò
che le rift valley fossero zone di risalita di magma e di formazione di nuova crosta oceanica.
Ciò avverrebbe in corrispondenza delle zone ascendenti delle celle convettive del mantello e
provocherebbe l’allontanamento dei due settori di crosta oceanica adiacenti alla rift valley.
Hess inoltre propose che la crosta oceanica si sarebbe poi inabissata in corrispondenza delle
fosse oceaniche poste in prossimità dei margini continentali e che i continenti avrebbero
giocato un ruolo passivo trasportati come parte integrante di grandi placche litosferiche
soprastanti la zona convettiva del mantello.
Carta topografica dei fondali oceanici
Il modello di convezione termica nel mantello proposto da Hess
Utilizzando l’idea di Holmes delle celle convettive, Hess ipotizzò che il materiale caldo
risalga al di sotto delle dorsali, si divida in due rami divergenti, si raffreddi
allontanandosi, si appesantisca e quindi torni in profondità chiudendo il ciclo e
originando forti attriti (da cui i terremoti).
La prova che gli mancava fu fornita dal paleomagnetismo
La teoria dell’espansione dei fondali oceanici spiega:
-la giovane età dei fondali oceanici
-la presenza di archi insulari
-la presenza di profonde fosse oceaniche
-la presenza dei guyot e dei seamounts
-la presenza delle dorsali oceaniche
-la presenza della rift valley e l’attività vulcanica ad essa associata
La teoria di Hess fu accolta con favore negli ambienti scientifici e provocò
un ulteriore fermento di ricerche che, in pochi anni, portò alla formulazione
da parte di Tuzo Wilson (1963-1965) della teoria della tettonica delle
placche;
placche essa nasce come sintesi globale dei diversi contributi fino ad allora
apportati, con particolare riferimento alle teorie di Wegener e Hess.
La teoria della tettonica delle placche
Tuzo Wilson fu negli anni ’30 studente alla Princeton University dove conobbe Hess, allora
giovane ricercatore nella stessa università. In seguito divenne professore di geofisica
all’università di Toronto, Canada, incarico che mantenne dal 1947 al 1974 quando andò in
pensione.
Nella formulazione di Tuzo Wilson la teoria prevede la suddivisione della Terra in 12
placche litosferiche.
litosferiche La crosta di ogni placca può essere solo oceanica o in parte oceanica
ed in parte continentale. Il movimento delle placche è dovuto al meccanismo proposto da
Hess di convezione del materiale mantellico dell’astenosfera.
Wilson apportò due contributi maggiori alla teoria, che contribuirono a fornirle solide basi e
a renderla bene accetta negli ambienti accademici:
- spiegò la presenza di catene vulcaniche all’interno delle placche (ad es. la catena delle
isole Hawaii) con il concetto di hot spot,
spot ovvero della presenza di punti caldi con radici
sottostanti il mantello litosferico: questi punti ancorati in profondità lasciano sulla placca
che gli scorre sopra una striscia di vulcani di età crescente allontanandosi dall’hot spot
- risolse i problemi prettamente geometrici e dinamici del movimento relativo tra placche
introducendo il concetto di margini trasformi che andava ad aggiungersi a quelli già
proposti da Hess di margini attivi e passivi.
L’attivita vulcanica è dovuta ad una sorgente profonda; la placca
litosferica muovendosi al di sopra della sorgente trascina i vulcani
attivi lontano dalla zona di alimentazione, finchè essi non
vengono più riforniti di magma e diventano inattivi. L’hot spot
produce inoltre un rigonfiamento termico della litosfera, per cui i
vulcani inattivi allontanandosi dall’hot spot tendono a sprofondare
dando luogo prima ad isole più piccole e poi a seamounts o guyot.
Distribuzione globale dei principali punti caldi attivi
Prove a sostegno della teoria della tettonica delle placche
1) L’età dei fondali oceanici
- prima del XIX secolo era comune l’idea che il fondale oceanico fosse piatto e di
profondità indefinita
- nel XIX secolo scandagli dei fondali oceanici rivelarono che essi possono
presentare una topografia accidentata
- nel 1947 si scoprì che i sedimenti depositati sui fondali oceanici avevano uno
spessore ridotto; ciò intaccava l’ipotesi corrente secondo la quale i fondali
oceanici rappresentavano la porzione più antica della crosta terrestre e quindi
dovessero essere ricoperti da elevati spessori di sedimenti
- negli anni ’50 si definirono i principali lineamenti dei fondali oceanici, le dorsali
e le fosse oceaniche
- negli anni ’60 e ’70 dragaggi e carotaggi sui fondali oceanici permisero di
raccogliere e datare con metodi paleontologici i sedimenti oceanici, i primi
sedimenti sopra le lave risultarono di età crescente allontanandosi dalle dorsali e
comunque mai di età anteriore al giurassico.
Spessore totale dei sedimenti
2) Paleomagnetismo
- all’inizio del XX secolo il paleomagnetologo francese B. Bruhnens (1906)
e, più tardi, in modo più accurato il paleomagnetologo giapponese M.
Matuyama (1920) classificarono le rocce magnetizzate in due classi,
rispettivamente a polarità normale,
normale ovvero analoga a quella attuale terrestre,
e a polarità inversa,
inversa ovvero opposta a quella attuale terrestre
- negli anni ’40 si scoprì che rocce della stessa età hanno sempre lo stesso
tipo di magnetizzazione e si attribuì questo fenomeno a periodiche ma
irregolari inversioni di polarità del campo magnetico terrestre;
terrestre si ricostruì,
basandosi su migliaia di misure paleomagnetiche, una scala cronologica
delle inversioni di polarità negli ultimi 25 milioni di anni
- negli anni ’50 si cominciarono ad effettuare misure del campo magnetico
sugli oceani da aerei con l’uso di magnetometri sviluppati durante la
guerra per la rilevazione di sottomarini; esse evidenziarono la presenza di
anomalie magnetiche positive e negative,
negative attribuite all’effetto della
magnetizzazione residua delle rocce dei fondali oceanici (basalti) che può
sommarsi al campo terrestre annuale se le rocce possiedono una polarità
normale, dando luogo ad un’anomalia positiva, o sottrarsi se le rocce
possiedono polarità inversa, dando luogo ad un’anomalia negativa
- la distribuzione delle anomalie in bande alternate, parallele alle dorsali
oceaniche, con sequenza analoga a quella della scala geocronologica
ricostruita per gli ultimi 25 milioni di anni, confermò definitivamente la
giovanissima età dei fondali oceanici e la loro età crescente
allontanandosi dalle dorsali
Carta che mostra la distribuzione delle anomalie magnetiche sulla Dorsale Reykjanes;
in nero le anomalie positive, in bianco quelle negative.
3) Vulcanismo
- i geofisici americani Vine e Matthews proposero nel 1963 un modello che
spiegasse la formazione delle bande magnetiche alternate disposte parallelamente
alle dorsali oceaniche. Essi ipotizzarono che l’attività lavica in corrispondenza
della rift valley producesse colate basaltiche. Durante il raffreddamento si ha la
formazione di cristalli di magnetite (abbondante nelle rocce basaltiche), i quali si
dispongono parallelamente all’orientazione del campo magnetico terrestre.
Quando la temperatura della roccia scende al di sotto del punto di Curie (580 ºC
per la magnetite e 680 ºC per l’ematite) la magnetizzazione acquisita dovuta
all’isoorientamento dei cristalli ferromagnetici diviene stabile (magnetizzazione
termorimanente) e può essere persa solo per successivo riscaldamento al di sopra
del punto di Curie
- Vine e Matthews proposero che le lave magnetizzate fossero trasportate sulla
litosfera oceanica lontano dalle dorsali; ad ogni inversione di polarità del campo
magnetico terrestre corrisponde un’inversione della polarità residua delle lave
basaltiche
- nel 1979 ulteriori prove dell’attività vulcanica in corrispondenza delle dorsali
oceaniche furono acquisite tramite l’esplorazione diretta con il batiscafo Alvin,
che misurò forti anomalie termiche associate a black smokers e fu in grado anche
di filmare eruzioni sottomarine
Modello teorico della formazione delle bande magnetiche. Nuova crosta oceanica
si forma continuamente dalle creste della dorsale, solidifica ed allontanandosi con
l’espansione del fondale dalla cresta diventa sempre più vecchia.
a.
b.
c.
Espansione della dorsale circa 5 milioni di anni fa
Espansione circa 1-3 milioni di anni fa
Situazione odierna
Caratteristiche e localizzazione dei limiti di placca
Le zone di contatto tra le placche litosferiche costituiscono regioni dove si
concentrano preferenzialmente i più intensi fenomeni geologici
(magmatismo, sismicità, tettonica, vulcanismo, plutonismo ecc.), a causa
del movimento relativo di placche semirigide su una superficie sferica.
I limiti di placca vengono classificati in funzione del movimento relativo
delle due placche a contatto
Margine divergente: la componente prevalente del movimento relativo è
divergente
Margine convergente: la componente prevalente del movimento relativo è
convergente, i poli rotazionali sono coincidenti o vicini
Margine trasforme: la componente prevalente di movimento è parallela al
margine
Divergente
Convergente
Trasforme
Margini divergenti
Le placche litosferiche si allontanano le une dalle altre e si accrescono attraverso la
formazione di nuova litosfera. Si possono distinguere due tipi di margini divergenti:
1) Margini intracontinentali
- assottigliamento della litosfera
- tettonica distensiva
- rift valley accentuata, spesso parzialmente occupata da laghi
- vulcanismo prevalentemente esplosivo
- magmatismico alcalino per decompressione anidra profonda del
mantello astenosferico ed interazione con la crosta continentale
- sismicità accentuata da intermedia a superficiale
- l’esempio migliore è la Rift Valley nell’Africa orientale
- il Mar Rosso costituisce un margine divergente in fase di incipiente
oceanizzazione, nel settore meridionale si è già formata crosta oceanica
che manca ancora nel settore settentrionale
2) Margini intraoceanici
- assottigliamento estremo della litosfera
- formazione di una dorsale oceanica
- rift valley assiale più o meno accentuata
- tettonica distensiva
- vulcanismo effusivo
- magmatismo tholeiitico per decompressione anidra del mantello
astenosferico a bassa profondità
- intensa attività idrotermale
- esempi estremi sono la dorsale medio-atlantica e la dorsale
pacifica orientale
Margini divergenti:
Dorsali medio-oceaniche
Margini divergenti:
Continentali
L'arcipelago Hawaiiano è un allineamento di centri eruttivi generatosi per
lo spostamento della zolla pacifica su un hot-spot.Questa particolare
geometria può essere spiegata immaginando una sorgente magmatica fissa,
posta al di sotto di una placca litosferica in migrazione.
2a) Margini a basso tasso di espansione (1-5 cm/anno)
- dorsale oceanica poco estesa ma molto rilevata
- formazione di una rift valley assiale molto accentuata
- presenza di numerosissimi centri eruttivi puntuali che nella rift valley
raggiungono densità elevatissime e tendono a sovrapporsi, e che danno
luogo a seamounts (ne sono stati stimati 2.5 milioni di altezza superiore ai
200 m nell’Atlantico del nord)
- la formazione di nuova crosta avviene attraverso una serie di singole
eruzioni distanziate nel tempo
Sezione schematica di un margine
divergente a basso tasso di espansione
2b) Margini a tasso di espansione intermedio (5-10 cm/anno)
- presentano caratteri intermedi
- la rift valley è poco accentuata (50-200 m di profondità)
- sono presenti meno centri eruttivi di dimensioni maggiori ed allungati
nella direzione della dorsale
- la formazione di nuova crosta avviene attraverso eruzioni fissurali di
limitata estensione ed eruzioni puntuali
2c) Margini ad elevato tasso di espansione (> 10 cm/anno)
- dorsale oceanica molto estesa ma poco rilevata
- rift valley assiale poco accentuata o assente
- presenza di vulcani fissurali lunghi anche decine di km
- la formazione di nuova crosta avviene a partire da camere magmatiche
assiali lunghe anche decine di km e persistenti
- fino ad 80 km dall’asse si formano vulcani centrali attivi
Margini convergenti
Le placche litosferiche tendono ad avvicinarsi finchè una si immerge sotto l’altra lungo un
piano inclinato (detto piano di benioff)
- presenza di una profonda fossa oceanica in corrispondenza della zona in cui la placca
subdotta si flette
- presenza di archi vulcanici a magmatismo prevalentemente calcalcalino
- sismicità elevata da superficiale a profonda lungo il piano di Benioff
Margini convergenti di subduzione
Viene subdotta la litosfera oceanica
1) Convergenza oceano-oceano (Isole Marianne, Tonga)
- la fossa oceanica è molto profonda a causa dello scarso apporto di sedimenti in assenza
di un continente il magmatismo, inizialmente tholeiitico, si modifica presto in
calcalcalino, è assente l’interazione dei magmi con la crosta continentale
- il piano di Benioff presenta inclinazioni elevate
- presenza di una fossa oceanica e un arco vulcanico insulare
2) Convergenza oceano-continente (Giappone, Indonesia, Ande)
- la fossa oceanica è relativamente meno profonda a causa dell’elevato apporto di
sedimenti dal continente
- il magmatismo è calcalcalino e può evolvere verso condizioni alcaline in stadi senili. Si
può avere la formazione di un arco vulcanico separato dal continente da un bacino di
retroarco. In tal caso l’arco vulcanico è molto sviluppato, complesso e con vulcanismo
fortemente esplosivo. In alternativa l’arco magmatico può impostarsi direttamente sul
continente con vulcani inseriti nella catena orogenetica.
- il piano di Benioff presenta inclinazioni basse
- presenza di una fossa oceanica e un arco magmatico continentale
Sezione schematica di una zona di subduzione
Margini convergenti: l’anello di fuoco del Pacifico
Sezione schematica di un margine continentale di tipo
oceano-oceano o di tipo continente-oceano, con
formazione di un bacino di retroarco
Sezione schematica di un margine convergente di
tipo oceano-continente, con arco vulcanico
impostato sul continente
Margini convergenti collisionali
Viene subdotta la litosfera continentale
3) Convergenza continente-continente (Himalaia, Alpi, Urali)
- la bassa densità delle rocce della crosta continentale rispetto a quelle del mantello
impedisce la loro subduzione, per cui quando crosta continentale giunge sulla placca
subdotta in corrispondenza della fossa va a collidere con la crosta continentale della placca
antistante generando complesse strutture orogeniche
- la sisimicità è elevata, di solito superficiale
- il magmatismo è prevalentemente alcalino con forte interazione con materiale di crosta
continentale ed anche fusione di porzioni di crosta continentale (anatessi)
- il vulcanismo è distribuito in modo disomogeneo ed è fortemente esplosivo
- la costituzione di un orogene a falde di ricoprimento, con complesse strutture tettoniche a
pieghe e faglie dà luogo a sollevamenti che generano estese ed elevate catene montuose
- il piano di Benioff è assente, o nelle fasi iniziali della collisione, permane come lembo
residuo sottostante l’orogene
- nella collisione possono rimanere pinzati lembi di crosta continentale che, negli orogeni
antichi costituiscono l’unica testimonianza della crosta continentale pre-giurassica
Sezione schematica della collisione tra India ed
Eurasia, con formazione dell’orogene himalaiano
3) Convergenza continente-oceano (Taiwan)
- la placca sovrastante è costituita da litosfera oceanica mentre quella in sottoscorrimento è
rappresentata da litosfera continentale, il sistema si caratterizza per la formazione di una
zona di notevole raccorciamento
Fase terminale della subduzione
con collisione continentale e
chiusura del bacino oceanico
Margini trasformi
Le due placche scorrono l’una accanto all’altra
1) Margini trasformi intraoceanici
- connettono due margini divergenti
- zone di faglia che dislocano le dorsali oceaniche per permettere loro di adattarsi alla
geometria sferica della superficie terrestre
- sismicità intensa e superficiale (terremoti devastanti)
- attività magmatica molto ridotta
2) Margini trasformi intracontinentali (faglia di San Andreas,
faglia del Mar Morto)
- possono connettere margini di qualsiasi tipo
- estesi sistemi di faglia che dislocano crosta continentale fino a grande profondità
- sismicità intensa e superficiale (terremoti devastanti)
- attività magmatica molto ridotta o assente
- possono generare localmente zone compressive con pieghe o distensive con bacini
Distribuzione mondiale delle principali faglie
trasformi intraoceaniche
La faglia di San Andreas, con la distribuzione dei principali terremoti
Scorrimento della placca pacifica rispetto a quella nordamericana lungo un
fascio di faglie subparallele, di cui la più nota è la faglia di San Andreas
La faglia di San Andreas
La teoria della Terra in espansione
Una teoria globale dei fenomeni geologici, basata sull’idea fondamentale di una Terra in
espansione è andata sviluppandosi contemporaneamente all’affermarsi della teoria della
tettonica delle placche, senza comunque mai acquistare sufficiente credito da poter realmente
competere con essa.
I contributi maggiori si devono a Egyed (1957), Cox e Doell (1961), Creer (1965), Heezen
(1960 e, soprattutto Carey (1954 e 1970).
Carey propone che la Terra sia costituita da 8 poligoni di primo ordine analoghi alle placche
litosferiche. Egli ritiene che il tasso di formazione di nuova litosfera in corrispondenza delle
dorsali oceaniche sia di gran lunga superiore a qualsiasi tasso di consunzione delle stesse si
possa ragionevolmente ipotizzare per le zone di subduzione, ne consegue che la superficie
totale della Terra è in aumento. Egli inoltre ritiene che le zone di subduzione siano in realtà
aree in estensione.
Basandosi sull’area totale della crosta oceanica Carey stima un aumento della superficie
terrestre del 76% negli ultimi 200 ma, pari ad un aumento del raggio di circa il 33%.
L’assenza di crosta oceanica più antica di 200 ma viene spiegata da Carey con una Terra
precedente tale epoca la cui crosta era unicamente continentale e con una superficie totale pari
a quella attuale dei continenti.
Modello di Terra in espansione
Carey sostiene che il raggio terrestre si stia espandendo ad una velocità di circa 8 mm
l’anno e che tale espansione sia avvenuta soprattutto a partire dal paleozoico.
Altri Autori e, soprattutto, Creer, sostengono che l’espansione avvenga ad un tasso molto
inferiore, pari a circa 0.5 mm l’anno e che sia stata costante nel corso di tutte le epoche
geologiche.
Egli spiega il fenomeno dell’espansione terrestre con una diminuzione progressiva, non
meglio specificata, del valore della costante gravitazionale universale G.
Un’ipotesi recente spiega l’espansione con il passaggio del nucleo dallo stato di plasma a
quello atomico con conseguente notevole aumento di volume.
I principali punti deboli della teoria della Terra in espansione sono:
- si ipotizza una Terra con inizialmente crosta unicamente continentale, mentre
resti di crosta oceanica antica sono presenti in tutti gli orogeni
- esistono numerose evidenze di una tettonica compressiva in corrispondenza
delle zone di subduzione, quali i meccanismi focali compressivi dei terremoti, la
presenza di pieghe compressive e di falde di ricoprimento dovute ad
accorciamento crostale
- la ricostruzione della Pangea è impossibile su una Terra di raggio ridotto in
quanto i limiti tra i continenti non coincidono più
- non si conoscono motivi fisici validi per una variazione nel tempo della
costante G
In definitiva si sostiene che la teoria universalmente accettata debba essere
quella che meglio spieghi o approssimi l’insieme di tutte le osservazioni
disponibili.
Così seppure la teoria della Terra in espansione possa fornire alcune spiegazioni
alternative essa sembra oggi spiegare meno bene della teoria della tettonica delle
placche l’insieme dei fenomeni osservati.
Siti italiani sulla tettonica delle placche
http://www.geologia.com
Sito con una parte didattica sui principali temi della geologia
http://vulcan.fis.uniroma3.it/lisetta/index.html
Sito sulla geologia dell’Italia
http://www.osve.unina.it/tettonic.htm
Pagina del sito dell’università di Napoli sulla tettonica delle placche
http://spazioweb.inwind.it/gpscienze
sito di biologia e scienze della Terra con una pagina dedicata alla tettonica delle placche
http://digilander.iol.it/wegener/index.htm
Sito dedicato a Wegener con approfondimenti su deriva dei continenti, tettonica delle
placche e teorie alternative
http://io.ingrm.it/relaeste/placche.htm
Pagina dell’ING sulla tettonica delle placche
http://guide.supereva.it/geologia/didattico
Sito didattico sulla geologia
http://ftp.dipteris.unige.it/geofisica/ITA/DID/tettonica.html
Sito dell’università di Genova con belle immagini
http://www.comune.modena.it/scuole/carducci/monti/tettonica/intro_tettonica.htm
Sito di una scuola di Modena con pagine sulla tettonica delle placche
Siti in inglese sulla tettonica delle placche
http://master.ph.utexas.edu/vicki/studW.htm#1620
Sito dell’università del Texas, completo e ricco di immagini
http://www.uky.edu/ArtsSciences/Geology/webdogs/plates/reconstructions.html
Sito con mappe animate dei movimenti della Pangea
http://www.ruf.rice.edu/~leeman/billarcmaps.html
Sito dedicato ai margini convergenti e alle zone di subduzione con splendide immagini
http://pubs.usgs.gov/publications/text/dynamic.html
Sito che sviluppa ampiamente il punto di vista storico
http://webspinners.com/dlblanc/tectonic/ptABCs.shtml
L’ABC della tettonica delle placche
http://geollab.jmu.edu/Fichter/PlateTect/
Sito generale sulla tettonica delle placche con note per l’insegnante
http://oceanography.geol.ucsb.edu/Support/ODP/TeachersMan.html
Manuale di geologia per gli insegnanti con una capitolo sulla tetonica delle placche
http://pubs.usgs.gov/publications/text/wegener.html
La biografia di Wegener
http://www.gps.caltech.edu/~gurnis/Movies/movies-more.html
Sito con filmati in formato .mpg sulla convezione nel mantello
http://www.geocities.com/CapeCanaveral/Launchpad/8098/3.htm
sito sulla teoria della Terra in espansione di Carey
http://www.wincom.net/earthexp/n/navmain.htm
altro sito sulla Terra in espansione
http://www.3rivers.net/~dbaker/plate_tec/plate9.htm
sito sui terranes
http://www.geology.gov.yk.ca/publications/summaries/framework.html
Programma di ricerca sui terranes dello Yukon
http://www.uwgb.edu/dutchs/platetec/plhist94.htm
Ricostruzioni del moto delle placche
http://www.earth.nwu.edu/individ/seth/107/
Sito sulla tettonica delle placche con belle immagini
http://www-sst.unil.ch/research/seismic/w_alps.htm
Sito sulla geologia delle Alpi
http://newmedia.avs.uakron.edu/geology/ge/ch/pte/tpb.htm
margini trasformi
http://www.sprl.umich.edu/GCL/paper_to_html/gaia.html
l’ipotesi Gaia
http://www.pibburns.com/catastro.htm
sito sul catastrofismo
http://www.gp.terra.unimi.it/giornateassereto/assereto.html
Le giornate assereto, la ricerca presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università
degli Studi di Milano, seminari aperti a tutti