LA TETTONICA A PLACCHE E LA DERIVA DEI CONTINENTI DI WEGENER
Fino all'inizio del novecento i geologi erano convinti che i continenti e i bacini oceanici fossero forme stabili e immobili della
superficie terrestre, ma nel corso degli ultimi decenni una grande quantità di nuove informazioni e dati ha contribuito a mutare
radicalmente la nostra interpretazione circa l'attività della Terra e i conseguenti fenomeni che osserviamo sulla sua superficie (vulcani,
terremoti ecc…). Adesso interpretiamo la crosta non più rigida ma anzi formata da circa 20 zolle, o placche, di cui le maggiori sono
sei: quella africana, quella euroasiatica, quella pacifica, la zolla nordamericana, quella dell'sudamericana e infine quella antartica.
Tutte queste placche poggiano sul mantello, lo strato immediatamente sottostante la crosta terrestre (o litosfera), composto da
magma liquido, che quindi permette un certo movimento alle zolle.
L'idea che i continenti, in particolare il Sud America e l'Africa si potessero fare coincidere a formare un unico continente, era
già stata fatta presente nel 1858 da Antonio Pellegrini ma senza nessuna base scientifica se non il fatto che le coste di queste due
placche potevano coincidere in modo quasi perfetto. Ma si deve al metereologo Alfred Wegener il merito di presentare l'idea della
deriva dei continenti (1915) accompagnata da una serie di prove ed osservazioni; ipotizzò che un tempo fosse esistito un
suprecontinente, che chiamò Pangea, e questo circa 200 milioni di anni fa avesse iniziato a frammentarsi in pezzi più piccoli che sono
andati alla "deriva" verso le posizioni attuali.
Wegener, oltre alla combacibilità delle coste dei vari continenti portò altre prove, come quelle paleontologiche che indicavano la
presenza di fossili di specie identiche sia in America che in Africa, o quelle litologiche: cioè su entrambe le coste dei due continenti si
ritrovano le stesse tipologie di rocce. Portò anche delle prove paleoclimatiche, lo studio degli antichi climi, che indicano che sia in
America del Sud che in Africa, verso la fine dell'era Paleozoica (300 - 230 milioni di anni fa), vaste zone erano coperte da una coltre di
ghiaccio., geofisica e biologia e a buon diritto ha dato il nome a questa teoria che però fu messa in discussione Come abbiamo visto la
crosta terrestre è formata da una ventina di placche in movimento reciproco, ma cosa succede nei punti di contatto tra le varie
placche?
Innanzitutto bisogna distinguere tra costa continentale, spessa 100 km, costituita dal continente e dal suo proseguo sotto il
livello del mare, e crosta oceanica, "sottile" 50 km e costituita dal fondale marino.
Cosa succede quando queste croste vengono in contatto?
I punti di contatto, chiamati margini, possono essere di più tipi riassumibili in: margini divergenti, margini convergenti e
margini trasformi.
1. Nel primo caso si tratta di due placche che in realtà si stanno allontanando l'una dall'altra e lasciano uno spazio
vuoto che naturalmente viene riempito dal magma del mantello. Questo succede lungo le dorsali oceaniche dove
viene creata continuamente nuova crosta oceanica (la "pavimentazione dell'oceano Atlantico è avvenuta negli ultimi 200
milioni di anni) e le velocità sono mediamente comprese tra 2 e 10 centimetri all'anno. Non tutti i margini divergenti si
trovano sui fondali oceanici infatti si presume che il Mar Rosso sia un margine divergente di recente formazione che
coinvolgerebbe parte della zolla Africana.
2. Nei margini convergenti invece si hanno due placche che convergono appunto, cioè che si scontrano; quando
questo accade una delle due placche inizierà a scivolare al di sotto dell'altra penetrando nel mantello dove inizia a
fondersi per poi scomparire; si ipotizza che ciò avvenga intorno ai 700 Km di profondità. A seconda del tipo di margine
coinvolto (continentale o oceanico) si possono avere dei risultati morfologici dell'ambiente notevolmente diversi. Quando si
scontra una crosta continentale con quella oceanica, quest'ultima, più sottile, subdurrà sotto la crosta più spessa e
fondendosi nel mantello. Questo porta alla nascita di numerosi vulcani e terremoti lungo il margine continentale (la crosta si
fonde; aumenta il magma e ciò porta all'innalzamento di montagne e alla formazione di vulcani, valvole di sfogo) e alla
formazione di una fossa oceanica. Quando si scontrano due placche continentali si ha la creazione di grandi
montagne, probabilmente dovute al fatto che entrambe le croste hanno le stesse caratteristiche (di densità e spessore) e
quindi non vi è il facile scorrimento di una al di sotto dell'altra; infatti generalmente si ha la formazione di grandi catene
montuose (come l'Himalaia, causata dallo scontro della placca Indiana contro quella Asiatica) e corrugamenti della crosta
in genere anche di enormi dimensioni. Quando infine si scontrano due croste oceaniche, si ha la formazione di una
fossa oceanica, cioè delle lunghe e strette depressioni marine profonde anche migliaia di metri. Prima o poi una delle due
croste subdurrà e ciò provocherà la nascita di un arco di isole vulcaniche lungo una linea parallela alla fossa.. (vd. Fossa
delle Marianne e Isole delle Marianne). In tutti e tre i casi, lo scontro tra placche produce lungo i margini un'intensa
attività sismica, a volte associata a vulcanismo.
3. Nei margini trasformi si ha uno scivolamento di due placche una accanto all'altra senza che vi sia alcuna creazione o
distruzione di crosta. Un margine trasforme famosissimo è la faglia di S.Andreas, che si trova in corrispondenza della
California. Quando si ha questo sfregamento di croste, si ha un'attività sismica molto intensa e distruttrice.
Tutte queste conoscenze e prove non possono che confermare ciò che Wegener aveva ipotizzato già nel lontano 1915 e cioè
che il nostro pianeta è ancora estremamente attivo e che vi è una costante modificazione e trasformazione del paesaggio e della
morfologia.