Il trionfo in Gallia di Giulio Cesare,Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri

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Il trionfo in
Giulio Cesare
Gallia
di
Il trionfo in Gallia espanse i domini di Roma e, soprattutto,
fece crescere il potere personale di Giulio Cesare, console e
dittatore romano, considerato uno dei personaggi più
importanti ed influenti della storia.
Avete sicuramente memoria, per averlo letto nei libri di
scuola, di un certo Vercingetorige (il nome è
indimenticabile!). Il periodo storico è il 52 a.C. e
Vercingetorige era un valoroso combattente gallico che si
ribellò al dominio di Roma, ma perse di fronte alla efficace
leadership ed alla migliore preparazione tecnica e tattica
delle legioni romane guidate da Giulio Cesare.
La Gallia e le sue
tribù agli inizi del 58
a.C.
La Gallia corrisponde alle attuali Francia e Belgio ed era un
territorio abitato da almeno quaranta popoli diversi e, per la
fortuna dei romani, anche divisi.
Busto
di
Giulio
Cesare
Giulio Cesare in Gallia non subì mai sconfitte clamorose, da
una parte perché non dovette mai combattere i Galli in blocco,
tanto erano divisi, dall’altra perché le truppe romane erano
più preparate tatticamente e tecnicamente.
Giulio Cesare seppe motivare il suo esercito e muoverlo con
grande rapidità, dandogli un vantaggio sugli avversari, ma
ebbe la fortuna di trovare sul suo cammino un popolo diviso,
pur valoroso, e dei soldati romani ben addestrati e
disciplinati. Anche la superiorità tecnologica ebbe un ruolo
determinante per la vittoria finale dei romani.
Schema delle fortificazioni
costruite da Cesare ad
Alesia
L’ultimo bastione della difesa gallica fu la cittadella
fortificata di Alesia, oggi identificata presso la località di
Alise-Sainte-Reine, in Borgogna, dove Vercingetorige ed il suo
esercito si erano rifugiati. Interessante la tattica di
accerchiamento utilizzata dai romani. La cittadella di Alesia
venne accerchiata con una circonvallazione di 16 chilometri
costituita da una muraglia con torri ogni 25 metri e protetta
da due fossati, uno dei quali colmo d’acqua; davanti ai
fossati erano state poste delle trappole, come pali appuntiti
conficcati in buchi del suolo e piccole punte metalliche
nascoste tra l’erba; a protezione della prima linea di
circonvallazione, ne fu costruita una seconda di 21
chilometri, che difese l’esercito romano dagli attacchi
esterni di un esercito gallico di soccorso. Alla fine, resosi
conto che era impossibile vincere, il condottiero gallo
Vercingetorige si arrese a Giulio Cesare.
La resa di Vercingetorige
secondo Lionel Noel Roynner
(1899)
Se volete essere ancora più ammirati per le imprese tattiche e
tecnologiche degli antichi romani, rispetto agli avversari, vi
racconto anche della manovra di assediamento di un’altra
cittadella gallica: Avaricum, oggi Bourges. Essendo Avaricum
costruita su uno sperone roccioso, i romani costruirono delle
rampe in legno per scalarlo, quindi superarono le mura
difensive con delle torri d’assedio, dotate di una specie di
scudi ricoperti di vimini, lana o cuoio, dietro i quali si
ripararono gli assalitori romani. I galli cercarono di fermare
l’avanzata dei romani, anche cercando di incendiare le torri
d’assalto, ma fu tutto inutile perché Cesare sferrò il suo
attacco decisivo durante un forte temporale.
I massacri. L’esercito romano ai tempi di Giulio Cesare era
formato da professionisti e, se pur fosse un vantaggio in
battaglia, la loro mancanza di scrupoli ed aggressività fu
tale che i loro attacchi vittoriosi si concludevano sempre con
eccessi di violenza: massacri, stupri, schiavizzazioni, ecc..
Il mondo romano nel 50 a.C.
dopo la
Gallia
conquista
della
Giulio Cesare fu anche scrittore delle sue imprese in Gallia:
il De bello gallico celebra, infatti, le conquiste in Gallia
con abbondanza di episodi di eroismo dei suoi centurioni.
Il trionfo in Gallia di Giulio Cesare cambiò per sempre la
storia di quelle regioni, corrispondenti all’attuale Francia e
Belgio, ma anche della stessa Roma.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 85
A. Goldsworthy, Cesare. Una biografia, Roma, Castelvecchi,
2014
G.G. Cesare, La guerra gallica, Torino, Einaudi, 2006
Tiro, i Fenici e la Foresta
dei Cedri
Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri sono intimamente legati
tra di loro. Tiro conobbe un’epoca di grande splendore con i
Fenici e fu grazie al legno di cedro, quale preziosa merce di
scambio, che il re fenicio Hiram costruì il suo potente
impero. L’antica Tiro si trova nella località libanese di Sur
e la Foresta dei Cedri di Dio si estende sulle pendici del
monte al-Makmel, sempre in Libano. Tiro e la Foresta dei Cedri
di Dio sono entrambe protette Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Mappa antichi insediamenti
dei Fenici
Tiro e i Fenici
Con i Fenici, la città di Tiro divenne una delle città
portuali più importanti di tutto il Mediterraneo. Tiro fu
fondata verso il 2700 a.C. da genti della città di Sidone,
situata circa 40 km più a nord. Successivamente fu conquistata
dagli Egizi, sotto la cui tutela rimase per secoli, finché
dovettero abbandonare la zona per concentrarsi nella difesa
dell’Egitto attaccato dai Popoli del Mare; questo diede a Tiro
l’opportunità di rendersi indipendente dall’egemonia egizia e
diventare, sotto il regno di Hiram I, a partire dal 970 a.C.,
il principale centro di potere della zona siro-palestinese.
Grazie all’alleanza di Hiram con la monarchia di Davide e
Salomone a Gerusalemme, Tiro controllò le rotte commerciali
verso il Mar Rosso, che generarono buona parte della ricchezza
necessaria a rinnovare la città. Tuttavia, le sue costruzioni
più impressionanti, almeno per quanto è stato ricostruito
dagli storici ed in parte giunto fino a noi, risalgono
all’epoca romana.
Tiro oggi, l’antica strada
colonnata di epoca romana
La ricchezza dei fenici era basata sul commercio,
principalmente di porpora e legno di cedro, di cui il Libano
era ricco. La porpora, per millenni, era ottenuta dalla
secrezione di una ghiandola di un mollusco gasteropode, il
murice comune, così prezioso che veniva pesato prendendo come
riferimento l’oro. Nell’antichità, Tiro fu il centro di
produzione esclusivo della porpora e per questa ragione faceva
gola alle potenze straniere. Gli assiri metterono Tiro sotto
il proprio controllo nell’VIII secolo a.C., le truppe
babilonesi assediarono la città nel VI secolo a.C., nel 332
a.C. venne conquistata dai soldati di Alessandro Magno e nel I
secolo a.C. le truppe romane sfilarono per le sue strade.
Tiro oggi
foto di Véronique Dauge
I resti dei monumenti architettonici che possiamo oggi
ammirare dell’antica Tiro sono, però, un’eredità dei Romani
(la città imperiale e la necropoli); solo nei resti
dell’antica città imperiale romana sono presenti anche resti
delle mura fenicie.
Tiro, l’odierna Sur, si trova ad 83 km a sud di Beirut
(Libano) ed Patrimonio dell’Umanità Unesco.
La foresta dei cedri di
Dio, Libano
La Foresta dei Cedri di Dio
Secondo l’Antico Testamento, l’espansione di Tiro nel
continente fu legata agli stretti rapporti d’affari che il Re
Hiram aveva con il Re Salomone di Gerusalemme. Il Re Salomone
ricevette consulenza tecnica ed aiuto materiale da Tiro per
edificare il proprio palazzo a Gerusalemme e costruirvi il suo
Tempio. Secondo la Bibbia, infatti, re Salomone ricevette dai
fenici di Re Hiram il legno di cedro necessario per costruire
il suo palazzo ed il tempio e in cambio offrì venti città
della Galilea. Il cedro, infatti, ricopriva vaste aree della
regione di Tiro, corrispondente all’attuale Libano, tanto da
assurgere poi a simbolo stesso del paese.
Antico cedro del
Libano
Di antichi cedri in Libano ne esistono ancora, anche se
coprono territori decisamente più contenuti, grazie anche
all’UNESCO che dal 1998 protegge ciò che è rimasto di quella
storica area boschiva. E’ chiamata la Foresta dei cedri di Dio
e si estende sulle pendici del monte al-Makmel, nella valle di
Qadisha, poco distante dalla città di Bsharre. Situata a circa
2000 metri di altitudine, comprende diverse centinaia di
importanti cedri del Libano, alcuni molto antichi; quattro
hanno raggiunto l’imponente altezza di 35 metri e hanno
tronchi della circonferenza di 12-14 metri.
Cedro del Libano
La
Foresta
dei
Cedri
di
Dio
è
rigorosamente
protetta
Patrimonio dell’Umanità Unesco e può essere visitata solo
facendosi accompagnare da guide.
Cinzia Malaguti
Leggi anche I fenici su Wikipedia
Foto: fonte Wikipedia e Unesco
Bibliografia:
National Geographic, Patrimonio dell’Umanità, vol. Asia IV,
Milano, RBA, 2015
Storica NG, n. 85
F. B. Chatonnet, E. Gubel, I fenici. Alle origini del Libano,
Milano, Electa Gallimard, 2008
M. Gras, P. Roulillard, J. Teixidor, L’universo fenicio,
Torino, Einaudi, 2000
I. Finkelstein, N. A. Silberman, Le tracce di Mosé. La Bibbia
tra storia e mito, Roma, Carocci, 2002
Alimentazione
dei
nostri
antenati, UNICIBO a Bologna
Unicibo. Storia di cibo tra Paleolitico e Neolitico è una
mostra allestita al Museo di Antropologia di Bologna che ci
racconta i cambiamenti alimentari nel corso del tempo
attraverso una documentazione insolita: ossa e denti umani, in
cui si rilevano i segni del tipo di alimentazione e dei
disturbi ad essa associati durante la crescita.
Unicibo Bologna,
Antropologia
Museo
Unicibo ci mostra come ossa e denti del Paleolitico medio
(Neandertaliani di Krapina in Croazia) e superiore (Taforalt,
Marocco) e di Neolitici del territorio italiano gettino luce
su cambiamenti ecologici ed alimentari. Ossa e denti sono,
infatti, gli unici documenti che possono testimoniare la
storia dell’uomo che circa 10.000 anni fa attuò una grande
rivoluzione alimentare, giunta fino a noi: da cacciatoreraccoglitore e consumatore di cibo, l’uomo diventa
agricoltore, allevatore e produttore di cibo. E’ il confronto
della dentatura dei Neandertaliani (cacciatori-raccoglitori)
con quella dei successivi Neolitici (agricoltori) a
testimoniare che l’alimentazione di questi ultimi è diventata
più ricca di carboidrati, grazie alla coltivazione dei
cereali. I denti dei cacciatori-raccoglitori Neandertaliani
sono, infatti, privi di carie, di ascessi e di perdita di
denti in vita, contrariamente a quelli dei successivi
Neolitici.
Unicibo Museo
Antropologia
Bologna,
antiche
dentature
Gli studi sui Neandertaliani di Krapina (Croazia, 130.000 anni
fa)
Gli
studi
sui
denti
dei
Neandertaliani (Paleolitico) suggeriscono una dieta che
comportava forti sollecitazioni dell’apparato orale durante la
masticazione: carne cruda o poco cotta e vegetali poveri di
glucidi (carboidrati). Si è, infatti, rilevato che: il 50% dei
denti presenta tartaro compatibile con un alto consumo di
proteine (vegetali ed animali); quasi il 50% dei denti
presenta chipping (scheggiature o fratture del dente); i denti
anteriori sono un po’ più colpiti (63%) rispetto a quelli
posteriori (36%) che però presentano fratture molto evidenti.
Nessun dente posteriore presenta usura forte (forse in
relazione alla giovane età degli individui), contrariamente a
quelli anteriori, molto usurati. Pertanto, la presenza di
chipping in questi ultimi denti presuppone che fossero
utilizzati in attività premasticatorie (strappo e
frantumazione) o extra-masticatorie (denti come terza mano
nello svolgere attività quotidiane). L’abbondanza di fauna,
d’altra parte, suggerisce una caccia intensiva e la presenza
di tagli su ossa di diverse specie implica un alto consumo di
carne.
Unicibo,
Museo
di
Antropologia di Bologna
La transizione dal Paleolitico (Neandertaliani, cacciatoriraccoglitori) al Neolitico (agricoltori)
Da cacciatore-raccoglitore e consumatore di cibo l’uomo
primitivo diventa agricoltore, allevatore e produttore di
cibo. La transizione fu graduale, cioè non fu abbandonata una
dieta per l’altra, ma la nuova integrò la vecchia,
sperimentando le prime forme di agricoltura utilizzando le
piante selvatiche già ben note nel territorio. I nostri
antenati scoprirono che i semi di queste piante, se accumulati
e conservati, erano fonte di energia per l’anno successivo;
scoprirono che si potevano trasformare, macinandoli per fare
farine che, mischiate all’acqua, potevano anche essere cotte.
Gli animali selvatici che gravitavano intorno all’uomo vennero
posti in recinti ed addomesticati perché utili come guardiani
(il cane venne adottato dall’uomo forse già nel Paleolitico!),
per la carne e per produrre un nuovo alimento introdotto con
il Neolitico: il latte ed i suoi derivati. Nel Neolitico il
cibo è sempre più abbondante, le società sempre più
organizzate, più stratificate e la popolazione aumenta.
Unicibo, Museo Antropologia
di
Bologna,
pannello
esplicativo
Il successo della dieta del Neolitico (agricoltori, allevatori
e produttori di cibo)
Il Neolitico racconta una storia di profondi cambiamenti,
stanzialità e nuove forme sociali, nuovi rapporti con il
territorio e nuovi adattamenti. Il successo del Neolitico è
nei numeri: 125.000 persone si stima ci fossero sulla Terra
circa 1.000.000 di anni fa, 86.000.000 di persone c’erano
circa 6.000 anni fa ed oggi ne contiamo circa 7.000.000.000.
Il Museo di Antropologia, Anatomia comparata e Zoologia di
Bologna
Il Museo di Antropologia dell’Università di Bologna ci
racconta tutto questo con la mostra Unicibo, fino alla fine di
maggio 2016, attraverso l’esposizione di reperti originali,
corredati da pannelli e video sul tema.
La visita alla mostra Unicibo è l’occasione per visitare il
Sistema Museale di Ateneo di Bologna. Troverete anche la
sezione di Anatomia comparata con lo studio comparativo dei
denti delle varie specie e il Museo di Zoologia, uno dei più
importanti d’Italia, con una raccolta completa di animali
(imbalsamati) di ogni fattura e specie.
Cinzia Malaguti
Leggi anche Quando le case avevano la porta sul tetto
Bologna,
sguardo
da
via
Rizzoli verso le Due Torri
(Garisenda ed Asinelli)
Su Turismo a Bologna:
leggi Bologna, le Torri e la Basilica di San Petronio
leggi Bologna, le meraviglie di Palazzo Isolani e Corte
Isolani
leggi Bologna e i suoi 7 segreti
leggi Il Palazzo Magnani a Bologna
leggi Il Palazzo Malvezzi a Bologna
Kha e Merit al Museo Egizio
di Torino
I reperti ritrovati nella tomba intatta di Kha nei pressi di
Deir el-Medina, Egitto, sono tra gli oggetti di maggior
prestigio esposti al Museo Egizio di Torino.
Tomba
di
statuetta
raffigurante
Museo
Torino
Kha,
Kha,
Egizio
di
Kha era l’architetto-capo del faraone Amenhotep III, XVIII
dinastia (1543 – 1292 a. C.); la scoperta della sua tomba,
insieme a quella della moglie Merit, si deve all’archeologo
egittologo Ernesto Schiaparelli ed è datata 1906, due anni
dopo la scoperta della splendida tomba di Nefertari, grande
sposa reale di Ramesse II (1303 a. C. – 1212 a.C.) ed una
delle regine più influenti dell’Antico Egitto.
Ritratto
Nefertari
di
dalla
sua tomba, Egitto,
Tebe
ovest,
odierna Luxor
La tomba di Nefertari è considerata tra le più belle della
Valle delle Regine, ma non fu ritrovata intatta; i saccheggi
ed il degrado hanno lasciato poco a noi posteri; l’ambiente,
tuttavia, è stato oggetto di ottimi restauri, anche se il
calcare fragile e ricco di sali ed il microclima ne permettono
la visita in loco solo a studiosi e con specifica
autorizzazione.
Tomba di Merit, moglie di
Kha, oggetti personali
ritrovati, Museo Egizio di
Torino
La tomba di Kha e della moglie Merit, contrariamente a quella
di Nefertari, fu trovata intatta e, quindi, completa di tutto
il ricco corredo funerario che, secondo gli Antichi Egizi,
doveva accompagnare il defunto nell’aldilà e consentirgli di
proseguire l’esistenza nell’altra vita. Sono così stati
trovati il sarcofago antropomorfo in legno di cedro di Kha
decorato d’oro, quello della consorte, le mummie, vasi canopi
(contenevano le viscere estratte dal cadavere durante la
mummificazione), oggetti quotidiani quali tuniche, vesti,
scacchiere per il gioco del senet, lenzuola, sedie,
armadietti, resti di cibo fossilizzato e gli strumenti del
mestiere dell’architetto. Nella tomba fu rinvenuto, inoltre,
un papiro recante formule del Libro dei morti (secondo gli
antichi egizi le formule magico-religiose ivi contenute
servivano al defunto per proteggerlo ed aiutarlo nel suo
viaggio verso l’aldilà). Di Merit, la tomba conservava anche
gioielli, oggetti di bellezza e la sua splendida parrucca
nera. Tutto questo è esposto nel Museo Egizio di Torino, di
cui Ernesto Schiaparelli fu direttore dal 1894 fino alla sua
morte, nel 1928.
Tomba di Kha, oggetti
ritrovati, Museo Egizio di
Torino
Al Museo Egizio di Torino, gli oggetti ritrovati nella tomba
di Kha e Merit sono stati fedelmente riposizionati secondo
l’originale criterio dispositivo.
L’interessante visita al Museo Egizio è un’ottima occasione
per visitare Torino e le sue quattro anime e le sue Residenze
Sabaude, Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Buona visita!
Cinzia Malaguti
Leggi anche L’Antico Egitto in mostra a Bologna
Victor Hugo,
europeista
liberale
ed
Victor Hugo fu scrittore, poeta, drammaturgo e politico
francese dell’Ottocento; lo ricordiamo per Notre-Dame de Paris
e I miserabili, romanzi e rappresentazioni teatrali, ma Victor
Hugo fu soprattutto un liberale che usò il suo talento
letterario quale forma espressiva del suo impegno umanista.
Victor Hugo nel 1875
L’intreccio tra idee politiche ed opere letterarie in Victor
Hugo
Victor Hugo nacque nel 1802 e, a soli 19 anni, pubblicò la sua
prima antologia: Odi. Liberale ma non radicale, si fece subito
notare per le sue idee e, nel giro di pochi anni, s’impose
come principale rappresentante della giovane generazione
romantica che voleva cambiare il mondo. Il teatro lo
affascinava per l’immediatezza espressiva del dramma; il suo
debutto teatrale avvenne con lo scandalo della
rappresentazione dell’ Hernani.
Victor Hugo si considerò coscienza e portavoce dell’umanità;
le sue opere letterarie e teatrali furono lo strumento
espressivo d’elezione delle sue idee liberali in favore delle
libertà individuali, dell’emancipazione delle donne, dei
diritti dei bambini, della pace, degli Stati Uniti d’Europa e
dell’educazione per tutti. “Aprire una scuola è chiudere una
prigione“, disse Victor Hugo.
Una delle sue più grandi battaglie fu quella contro la pena di
morte: “E’ il simbolo unico ed eterno delle barbarie. E’ un
crimine permanente. E’ il più insolente oltraggio alla dignità
umana e alla civiltà e al progresso.” Nel 1829 pubblicò
un’aspra critica contro la pena di morte con L’ultimo giorno
di un condannato a morte.
Victor Hugo nel 1884
Victor Hugo credeva in un’umanità capace di porre fine alla
miseria e alle diseguaglianze ed il mezzo per arrivare a
questo risultato era la Repubblica Universale, quegli Stati
Uniti d’Europa a cui tanto aspirava. Era l’Ottocento e Victor
Hugo contribuì a mettere nelle menti europee quel seme di una
Comunità Europea che ancora oggi è tanto difficile coltivare e
mantenere vivo. Le sue opere Notre-Dame de Paris (1831) e I
miserabili (1845-1862), sono ispirate dalla convinzione che la
miseria non fosse un male inevitabile, come molti
aristocratici pensavano, ma estirpabile; disse Victor Hugo:
“Io sono tra quelli che pensano ed affermano che si possa
distruggere la miseria”.
Il
ritorno
in
Francia
di
Victor
Hugo,
caricatura
di
André Gill
Victor Hugo era contrario alla violenza ed al radicalismo e,
pertanto, si dimostrò contrariato dalle azioni operaie durante
l’insurrezione del 1848; si oppose altresì alla proclamazione
dell’Impero (1851) da parte di Napoleone Bonaparte, definendo
“un crimine” il suo colpo di Stato. Rifugiatosi all’estero,
ritornò in Francia solo nel 1870, in seguito alla caduta del
Secondo Impero. Nel 1876 venne eletto senatore diventando
un’icona vivente della Repubblica restaurata. Victor Hugo morì
nel 1885 e venne tumulato nel Panthéon di Parigi, dov’è
tuttora.
Tomba di Victor Hugo al
Panthéon di Parigi
La vita privata
Victor Hugo dovette affrontare dolorose vicende familiari: il
tradimento della moglie, la morte accidentale della figlia
maggiore Léopoldine che annegò a 19 anni e la malattia mentale
dell’ultima figlia, Adèle, l’unico
(legittimi) che gli sopravvisse.
dei
cinque
figli
Chapeau!
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 85
V. Brombert, Victor Hugo e il romanzo visionario, Bologna, Il
Mulino, 1987
V. Hugo, I miserabili, Milano, Mondadori, 2004
P.s.: Le immagini sono tratte da Wikipedia
Giovanna di Castiglia detta
la pazza
Giovanna di Castiglia nacque nel 1479 a Toledo (Spagna) da Re
Cattolici (Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona) e
manifestò subito un carattere non convenzionale ed
anticonformista, forse per questo, in quell’ambiente così
severo ed ingombrante, sviluppò quell’inquietudine e sorda
ribellione che le valsero il soprannome di La Pazza.
Giovanna
Castiglia
di
Giovanna di Castiglia, appena diciassettenne, venne data in
sposa all’arciduca Filippo d’Asburgo, detto il Bello, e visse
alcuni anni nelle Fiandre, in Belgio, in un ambiente disteso e
gioioso, tanto diverso da quello severo della sua infanzia
spagnola. Non rimase però a lungo in Belgio perché alla morte
della madre Isabella, Giovanna venne nominata, con suo marito,
erede al trono della corona di Castiglia e dovette così fare
ritorno in Spagna. La severa atmosfera spagnola, l’ingombrante
madre ed il ritorno nelle Fiandre del marito, riacutizzarono
il carattere ribelle e malinconico di Giovanna al punto da
mettere in discussione la sua capacità di governare.
Castello de la Mota
Un paio di episodi vengono raccontati dagli storici per
avvalorare l’instabilità emotiva di Giovanna di Castiglia. Per
costringere la madre a permetterle di ricongiungersi al marito
tornato in Belgio, Giovanna si fece trovare oltre le mura del
castello di La Mota, scalza e senza indumenti pesanti, verso
le due del mattino di una delle notti più fredde dell’anno. Il
secondo episodio narrato racconta di Giovanna che, tacitamente
infastidita da negoziazioni avvenute a sua insaputa, si mise a
correre, fino a trovare rifugio nella casa di una fornaia,
dalla quale si rifiutò a lungo di uscire malgrado le suppliche
del marito.
Stemma di
Castiglia
Giovanna
di
La morte improvvisa di Filippo il Bello fu il colpo di grazia
all’emotività di Giovanna che si rifiutò di occuparsi delle
incombenze urgenti alle quali era tenuta quale regina; non
sono, invece, verificabili le storie macabre che si
raccontano, secondo le quali Giovanna fece estrarre dal
sepolcro il cadavere del marito e lo fece collocare nella sua
stanza nella speranza che potesse tornare in vita.
Il
monasterocastelli
di
Las
Claras
(Tordesillas),
progione di Giovanna
Giovanna visse quasi 50 anni reclusa nel castello di
Tordesillas, dal 1506 al 1555, anno della sua morte. Venne
rinchiusa dal padre Ferdinando e, alla sua morte, il figlio
Carlo la volle mantenere reclusa; non fu per cattiveria,
perché la famiglia, così tradizionalmente e severamente
cattolica, credeva veramente che Giovanna fosse pervasa da un
male da esorcizzare e, per quanto possibile, non mancò di
farle visita e verificare le sue condizioni di salute.
Cattedrale di Granada,
cripta con i sarcofaghi (a
destra) di Giovanna e
Filippo il Bello
Molti studi hanno sostenuto che la presunta pazzia di Giovanna
obbedisse unicamente a una cospirazione politica maschile, di
Filippo o Ferdinando di Aragona, i quali, togliendola di
mezzo, avrebbero potuto esercitare il controllo assoluto sulla
Castiglia. Questi studi affermano così che il suo disturbo
mentale fosse stato deliberatamente esagerato per renderla
inaccettabile come sovrana.
Il ritratto che giunge fino a noi di Giovanna di Castiglia è,
comunque, quello di una donna molto sensibile ed emotiva,
forse poco adatta a lottare con tattica e strategia in un
ambiente duro, formale e competitivo dove non c’era spazio per
alcuna debolezza.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 84
E. Ferri, Giovanna la pazza, Milano, Mondadori, 1998
J. Wassermann, Donna Giovanna di Castiglia, Palermo, Sellerio,
1992
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