Il trionfo in Giulio Cesare Gallia di Il trionfo in Gallia espanse i domini di Roma e, soprattutto, fece crescere il potere personale di Giulio Cesare, console e dittatore romano, considerato uno dei personaggi più importanti ed influenti della storia. Avete sicuramente memoria, per averlo letto nei libri di scuola, di un certo Vercingetorige (il nome è indimenticabile!). Il periodo storico è il 52 a.C. e Vercingetorige era un valoroso combattente gallico che si ribellò al dominio di Roma, ma perse di fronte alla efficace leadership ed alla migliore preparazione tecnica e tattica delle legioni romane guidate da Giulio Cesare. La Gallia e le sue tribù agli inizi del 58 a.C. La Gallia corrisponde alle attuali Francia e Belgio ed era un territorio abitato da almeno quaranta popoli diversi e, per la fortuna dei romani, anche divisi. Busto di Giulio Cesare Giulio Cesare in Gallia non subì mai sconfitte clamorose, da una parte perché non dovette mai combattere i Galli in blocco, tanto erano divisi, dall’altra perché le truppe romane erano più preparate tatticamente e tecnicamente. Giulio Cesare seppe motivare il suo esercito e muoverlo con grande rapidità, dandogli un vantaggio sugli avversari, ma ebbe la fortuna di trovare sul suo cammino un popolo diviso, pur valoroso, e dei soldati romani ben addestrati e disciplinati. Anche la superiorità tecnologica ebbe un ruolo determinante per la vittoria finale dei romani. Schema delle fortificazioni costruite da Cesare ad Alesia L’ultimo bastione della difesa gallica fu la cittadella fortificata di Alesia, oggi identificata presso la località di Alise-Sainte-Reine, in Borgogna, dove Vercingetorige ed il suo esercito si erano rifugiati. Interessante la tattica di accerchiamento utilizzata dai romani. La cittadella di Alesia venne accerchiata con una circonvallazione di 16 chilometri costituita da una muraglia con torri ogni 25 metri e protetta da due fossati, uno dei quali colmo d’acqua; davanti ai fossati erano state poste delle trappole, come pali appuntiti conficcati in buchi del suolo e piccole punte metalliche nascoste tra l’erba; a protezione della prima linea di circonvallazione, ne fu costruita una seconda di 21 chilometri, che difese l’esercito romano dagli attacchi esterni di un esercito gallico di soccorso. Alla fine, resosi conto che era impossibile vincere, il condottiero gallo Vercingetorige si arrese a Giulio Cesare. La resa di Vercingetorige secondo Lionel Noel Roynner (1899) Se volete essere ancora più ammirati per le imprese tattiche e tecnologiche degli antichi romani, rispetto agli avversari, vi racconto anche della manovra di assediamento di un’altra cittadella gallica: Avaricum, oggi Bourges. Essendo Avaricum costruita su uno sperone roccioso, i romani costruirono delle rampe in legno per scalarlo, quindi superarono le mura difensive con delle torri d’assedio, dotate di una specie di scudi ricoperti di vimini, lana o cuoio, dietro i quali si ripararono gli assalitori romani. I galli cercarono di fermare l’avanzata dei romani, anche cercando di incendiare le torri d’assalto, ma fu tutto inutile perché Cesare sferrò il suo attacco decisivo durante un forte temporale. I massacri. L’esercito romano ai tempi di Giulio Cesare era formato da professionisti e, se pur fosse un vantaggio in battaglia, la loro mancanza di scrupoli ed aggressività fu tale che i loro attacchi vittoriosi si concludevano sempre con eccessi di violenza: massacri, stupri, schiavizzazioni, ecc.. Il mondo romano nel 50 a.C. dopo la Gallia conquista della Giulio Cesare fu anche scrittore delle sue imprese in Gallia: il De bello gallico celebra, infatti, le conquiste in Gallia con abbondanza di episodi di eroismo dei suoi centurioni. Il trionfo in Gallia di Giulio Cesare cambiò per sempre la storia di quelle regioni, corrispondenti all’attuale Francia e Belgio, ma anche della stessa Roma. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 85 A. Goldsworthy, Cesare. Una biografia, Roma, Castelvecchi, 2014 G.G. Cesare, La guerra gallica, Torino, Einaudi, 2006 Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri sono intimamente legati tra di loro. Tiro conobbe un’epoca di grande splendore con i Fenici e fu grazie al legno di cedro, quale preziosa merce di scambio, che il re fenicio Hiram costruì il suo potente impero. L’antica Tiro si trova nella località libanese di Sur e la Foresta dei Cedri di Dio si estende sulle pendici del monte al-Makmel, sempre in Libano. Tiro e la Foresta dei Cedri di Dio sono entrambe protette Patrimonio dell’Umanità Unesco. Mappa antichi insediamenti dei Fenici Tiro e i Fenici Con i Fenici, la città di Tiro divenne una delle città portuali più importanti di tutto il Mediterraneo. Tiro fu fondata verso il 2700 a.C. da genti della città di Sidone, situata circa 40 km più a nord. Successivamente fu conquistata dagli Egizi, sotto la cui tutela rimase per secoli, finché dovettero abbandonare la zona per concentrarsi nella difesa dell’Egitto attaccato dai Popoli del Mare; questo diede a Tiro l’opportunità di rendersi indipendente dall’egemonia egizia e diventare, sotto il regno di Hiram I, a partire dal 970 a.C., il principale centro di potere della zona siro-palestinese. Grazie all’alleanza di Hiram con la monarchia di Davide e Salomone a Gerusalemme, Tiro controllò le rotte commerciali verso il Mar Rosso, che generarono buona parte della ricchezza necessaria a rinnovare la città. Tuttavia, le sue costruzioni più impressionanti, almeno per quanto è stato ricostruito dagli storici ed in parte giunto fino a noi, risalgono all’epoca romana. Tiro oggi, l’antica strada colonnata di epoca romana La ricchezza dei fenici era basata sul commercio, principalmente di porpora e legno di cedro, di cui il Libano era ricco. La porpora, per millenni, era ottenuta dalla secrezione di una ghiandola di un mollusco gasteropode, il murice comune, così prezioso che veniva pesato prendendo come riferimento l’oro. Nell’antichità, Tiro fu il centro di produzione esclusivo della porpora e per questa ragione faceva gola alle potenze straniere. Gli assiri metterono Tiro sotto il proprio controllo nell’VIII secolo a.C., le truppe babilonesi assediarono la città nel VI secolo a.C., nel 332 a.C. venne conquistata dai soldati di Alessandro Magno e nel I secolo a.C. le truppe romane sfilarono per le sue strade. Tiro oggi foto di Véronique Dauge I resti dei monumenti architettonici che possiamo oggi ammirare dell’antica Tiro sono, però, un’eredità dei Romani (la città imperiale e la necropoli); solo nei resti dell’antica città imperiale romana sono presenti anche resti delle mura fenicie. Tiro, l’odierna Sur, si trova ad 83 km a sud di Beirut (Libano) ed Patrimonio dell’Umanità Unesco. La foresta dei cedri di Dio, Libano La Foresta dei Cedri di Dio Secondo l’Antico Testamento, l’espansione di Tiro nel continente fu legata agli stretti rapporti d’affari che il Re Hiram aveva con il Re Salomone di Gerusalemme. Il Re Salomone ricevette consulenza tecnica ed aiuto materiale da Tiro per edificare il proprio palazzo a Gerusalemme e costruirvi il suo Tempio. Secondo la Bibbia, infatti, re Salomone ricevette dai fenici di Re Hiram il legno di cedro necessario per costruire il suo palazzo ed il tempio e in cambio offrì venti città della Galilea. Il cedro, infatti, ricopriva vaste aree della regione di Tiro, corrispondente all’attuale Libano, tanto da assurgere poi a simbolo stesso del paese. Antico cedro del Libano Di antichi cedri in Libano ne esistono ancora, anche se coprono territori decisamente più contenuti, grazie anche all’UNESCO che dal 1998 protegge ciò che è rimasto di quella storica area boschiva. E’ chiamata la Foresta dei cedri di Dio e si estende sulle pendici del monte al-Makmel, nella valle di Qadisha, poco distante dalla città di Bsharre. Situata a circa 2000 metri di altitudine, comprende diverse centinaia di importanti cedri del Libano, alcuni molto antichi; quattro hanno raggiunto l’imponente altezza di 35 metri e hanno tronchi della circonferenza di 12-14 metri. Cedro del Libano La Foresta dei Cedri di Dio è rigorosamente protetta Patrimonio dell’Umanità Unesco e può essere visitata solo facendosi accompagnare da guide. Cinzia Malaguti Leggi anche I fenici su Wikipedia Foto: fonte Wikipedia e Unesco Bibliografia: National Geographic, Patrimonio dell’Umanità, vol. Asia IV, Milano, RBA, 2015 Storica NG, n. 85 F. B. Chatonnet, E. Gubel, I fenici. Alle origini del Libano, Milano, Electa Gallimard, 2008 M. Gras, P. Roulillard, J. Teixidor, L’universo fenicio, Torino, Einaudi, 2000 I. Finkelstein, N. A. Silberman, Le tracce di Mosé. La Bibbia tra storia e mito, Roma, Carocci, 2002 Alimentazione dei nostri antenati, UNICIBO a Bologna Unicibo. Storia di cibo tra Paleolitico e Neolitico è una mostra allestita al Museo di Antropologia di Bologna che ci racconta i cambiamenti alimentari nel corso del tempo attraverso una documentazione insolita: ossa e denti umani, in cui si rilevano i segni del tipo di alimentazione e dei disturbi ad essa associati durante la crescita. Unicibo Bologna, Antropologia Museo Unicibo ci mostra come ossa e denti del Paleolitico medio (Neandertaliani di Krapina in Croazia) e superiore (Taforalt, Marocco) e di Neolitici del territorio italiano gettino luce su cambiamenti ecologici ed alimentari. Ossa e denti sono, infatti, gli unici documenti che possono testimoniare la storia dell’uomo che circa 10.000 anni fa attuò una grande rivoluzione alimentare, giunta fino a noi: da cacciatoreraccoglitore e consumatore di cibo, l’uomo diventa agricoltore, allevatore e produttore di cibo. E’ il confronto della dentatura dei Neandertaliani (cacciatori-raccoglitori) con quella dei successivi Neolitici (agricoltori) a testimoniare che l’alimentazione di questi ultimi è diventata più ricca di carboidrati, grazie alla coltivazione dei cereali. I denti dei cacciatori-raccoglitori Neandertaliani sono, infatti, privi di carie, di ascessi e di perdita di denti in vita, contrariamente a quelli dei successivi Neolitici. Unicibo Museo Antropologia Bologna, antiche dentature Gli studi sui Neandertaliani di Krapina (Croazia, 130.000 anni fa) Gli studi sui denti dei Neandertaliani (Paleolitico) suggeriscono una dieta che comportava forti sollecitazioni dell’apparato orale durante la masticazione: carne cruda o poco cotta e vegetali poveri di glucidi (carboidrati). Si è, infatti, rilevato che: il 50% dei denti presenta tartaro compatibile con un alto consumo di proteine (vegetali ed animali); quasi il 50% dei denti presenta chipping (scheggiature o fratture del dente); i denti anteriori sono un po’ più colpiti (63%) rispetto a quelli posteriori (36%) che però presentano fratture molto evidenti. Nessun dente posteriore presenta usura forte (forse in relazione alla giovane età degli individui), contrariamente a quelli anteriori, molto usurati. Pertanto, la presenza di chipping in questi ultimi denti presuppone che fossero utilizzati in attività premasticatorie (strappo e frantumazione) o extra-masticatorie (denti come terza mano nello svolgere attività quotidiane). L’abbondanza di fauna, d’altra parte, suggerisce una caccia intensiva e la presenza di tagli su ossa di diverse specie implica un alto consumo di carne. Unicibo, Museo di Antropologia di Bologna La transizione dal Paleolitico (Neandertaliani, cacciatoriraccoglitori) al Neolitico (agricoltori) Da cacciatore-raccoglitore e consumatore di cibo l’uomo primitivo diventa agricoltore, allevatore e produttore di cibo. La transizione fu graduale, cioè non fu abbandonata una dieta per l’altra, ma la nuova integrò la vecchia, sperimentando le prime forme di agricoltura utilizzando le piante selvatiche già ben note nel territorio. I nostri antenati scoprirono che i semi di queste piante, se accumulati e conservati, erano fonte di energia per l’anno successivo; scoprirono che si potevano trasformare, macinandoli per fare farine che, mischiate all’acqua, potevano anche essere cotte. Gli animali selvatici che gravitavano intorno all’uomo vennero posti in recinti ed addomesticati perché utili come guardiani (il cane venne adottato dall’uomo forse già nel Paleolitico!), per la carne e per produrre un nuovo alimento introdotto con il Neolitico: il latte ed i suoi derivati. Nel Neolitico il cibo è sempre più abbondante, le società sempre più organizzate, più stratificate e la popolazione aumenta. Unicibo, Museo Antropologia di Bologna, pannello esplicativo Il successo della dieta del Neolitico (agricoltori, allevatori e produttori di cibo) Il Neolitico racconta una storia di profondi cambiamenti, stanzialità e nuove forme sociali, nuovi rapporti con il territorio e nuovi adattamenti. Il successo del Neolitico è nei numeri: 125.000 persone si stima ci fossero sulla Terra circa 1.000.000 di anni fa, 86.000.000 di persone c’erano circa 6.000 anni fa ed oggi ne contiamo circa 7.000.000.000. Il Museo di Antropologia, Anatomia comparata e Zoologia di Bologna Il Museo di Antropologia dell’Università di Bologna ci racconta tutto questo con la mostra Unicibo, fino alla fine di maggio 2016, attraverso l’esposizione di reperti originali, corredati da pannelli e video sul tema. La visita alla mostra Unicibo è l’occasione per visitare il Sistema Museale di Ateneo di Bologna. Troverete anche la sezione di Anatomia comparata con lo studio comparativo dei denti delle varie specie e il Museo di Zoologia, uno dei più importanti d’Italia, con una raccolta completa di animali (imbalsamati) di ogni fattura e specie. Cinzia Malaguti Leggi anche Quando le case avevano la porta sul tetto Bologna, sguardo da via Rizzoli verso le Due Torri (Garisenda ed Asinelli) Su Turismo a Bologna: leggi Bologna, le Torri e la Basilica di San Petronio leggi Bologna, le meraviglie di Palazzo Isolani e Corte Isolani leggi Bologna e i suoi 7 segreti leggi Il Palazzo Magnani a Bologna leggi Il Palazzo Malvezzi a Bologna Kha e Merit al Museo Egizio di Torino I reperti ritrovati nella tomba intatta di Kha nei pressi di Deir el-Medina, Egitto, sono tra gli oggetti di maggior prestigio esposti al Museo Egizio di Torino. Tomba di statuetta raffigurante Museo Torino Kha, Kha, Egizio di Kha era l’architetto-capo del faraone Amenhotep III, XVIII dinastia (1543 – 1292 a. C.); la scoperta della sua tomba, insieme a quella della moglie Merit, si deve all’archeologo egittologo Ernesto Schiaparelli ed è datata 1906, due anni dopo la scoperta della splendida tomba di Nefertari, grande sposa reale di Ramesse II (1303 a. C. – 1212 a.C.) ed una delle regine più influenti dell’Antico Egitto. Ritratto Nefertari di dalla sua tomba, Egitto, Tebe ovest, odierna Luxor La tomba di Nefertari è considerata tra le più belle della Valle delle Regine, ma non fu ritrovata intatta; i saccheggi ed il degrado hanno lasciato poco a noi posteri; l’ambiente, tuttavia, è stato oggetto di ottimi restauri, anche se il calcare fragile e ricco di sali ed il microclima ne permettono la visita in loco solo a studiosi e con specifica autorizzazione. Tomba di Merit, moglie di Kha, oggetti personali ritrovati, Museo Egizio di Torino La tomba di Kha e della moglie Merit, contrariamente a quella di Nefertari, fu trovata intatta e, quindi, completa di tutto il ricco corredo funerario che, secondo gli Antichi Egizi, doveva accompagnare il defunto nell’aldilà e consentirgli di proseguire l’esistenza nell’altra vita. Sono così stati trovati il sarcofago antropomorfo in legno di cedro di Kha decorato d’oro, quello della consorte, le mummie, vasi canopi (contenevano le viscere estratte dal cadavere durante la mummificazione), oggetti quotidiani quali tuniche, vesti, scacchiere per il gioco del senet, lenzuola, sedie, armadietti, resti di cibo fossilizzato e gli strumenti del mestiere dell’architetto. Nella tomba fu rinvenuto, inoltre, un papiro recante formule del Libro dei morti (secondo gli antichi egizi le formule magico-religiose ivi contenute servivano al defunto per proteggerlo ed aiutarlo nel suo viaggio verso l’aldilà). Di Merit, la tomba conservava anche gioielli, oggetti di bellezza e la sua splendida parrucca nera. Tutto questo è esposto nel Museo Egizio di Torino, di cui Ernesto Schiaparelli fu direttore dal 1894 fino alla sua morte, nel 1928. Tomba di Kha, oggetti ritrovati, Museo Egizio di Torino Al Museo Egizio di Torino, gli oggetti ritrovati nella tomba di Kha e Merit sono stati fedelmente riposizionati secondo l’originale criterio dispositivo. L’interessante visita al Museo Egizio è un’ottima occasione per visitare Torino e le sue quattro anime e le sue Residenze Sabaude, Patrimonio dell’Umanità Unesco. Buona visita! Cinzia Malaguti Leggi anche L’Antico Egitto in mostra a Bologna Victor Hugo, europeista liberale ed Victor Hugo fu scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese dell’Ottocento; lo ricordiamo per Notre-Dame de Paris e I miserabili, romanzi e rappresentazioni teatrali, ma Victor Hugo fu soprattutto un liberale che usò il suo talento letterario quale forma espressiva del suo impegno umanista. Victor Hugo nel 1875 L’intreccio tra idee politiche ed opere letterarie in Victor Hugo Victor Hugo nacque nel 1802 e, a soli 19 anni, pubblicò la sua prima antologia: Odi. Liberale ma non radicale, si fece subito notare per le sue idee e, nel giro di pochi anni, s’impose come principale rappresentante della giovane generazione romantica che voleva cambiare il mondo. Il teatro lo affascinava per l’immediatezza espressiva del dramma; il suo debutto teatrale avvenne con lo scandalo della rappresentazione dell’ Hernani. Victor Hugo si considerò coscienza e portavoce dell’umanità; le sue opere letterarie e teatrali furono lo strumento espressivo d’elezione delle sue idee liberali in favore delle libertà individuali, dell’emancipazione delle donne, dei diritti dei bambini, della pace, degli Stati Uniti d’Europa e dell’educazione per tutti. “Aprire una scuola è chiudere una prigione“, disse Victor Hugo. Una delle sue più grandi battaglie fu quella contro la pena di morte: “E’ il simbolo unico ed eterno delle barbarie. E’ un crimine permanente. E’ il più insolente oltraggio alla dignità umana e alla civiltà e al progresso.” Nel 1829 pubblicò un’aspra critica contro la pena di morte con L’ultimo giorno di un condannato a morte. Victor Hugo nel 1884 Victor Hugo credeva in un’umanità capace di porre fine alla miseria e alle diseguaglianze ed il mezzo per arrivare a questo risultato era la Repubblica Universale, quegli Stati Uniti d’Europa a cui tanto aspirava. Era l’Ottocento e Victor Hugo contribuì a mettere nelle menti europee quel seme di una Comunità Europea che ancora oggi è tanto difficile coltivare e mantenere vivo. Le sue opere Notre-Dame de Paris (1831) e I miserabili (1845-1862), sono ispirate dalla convinzione che la miseria non fosse un male inevitabile, come molti aristocratici pensavano, ma estirpabile; disse Victor Hugo: “Io sono tra quelli che pensano ed affermano che si possa distruggere la miseria”. Il ritorno in Francia di Victor Hugo, caricatura di André Gill Victor Hugo era contrario alla violenza ed al radicalismo e, pertanto, si dimostrò contrariato dalle azioni operaie durante l’insurrezione del 1848; si oppose altresì alla proclamazione dell’Impero (1851) da parte di Napoleone Bonaparte, definendo “un crimine” il suo colpo di Stato. Rifugiatosi all’estero, ritornò in Francia solo nel 1870, in seguito alla caduta del Secondo Impero. Nel 1876 venne eletto senatore diventando un’icona vivente della Repubblica restaurata. Victor Hugo morì nel 1885 e venne tumulato nel Panthéon di Parigi, dov’è tuttora. Tomba di Victor Hugo al Panthéon di Parigi La vita privata Victor Hugo dovette affrontare dolorose vicende familiari: il tradimento della moglie, la morte accidentale della figlia maggiore Léopoldine che annegò a 19 anni e la malattia mentale dell’ultima figlia, Adèle, l’unico (legittimi) che gli sopravvisse. dei cinque figli Chapeau! Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 85 V. Brombert, Victor Hugo e il romanzo visionario, Bologna, Il Mulino, 1987 V. Hugo, I miserabili, Milano, Mondadori, 2004 P.s.: Le immagini sono tratte da Wikipedia Giovanna di Castiglia detta la pazza Giovanna di Castiglia nacque nel 1479 a Toledo (Spagna) da Re Cattolici (Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona) e manifestò subito un carattere non convenzionale ed anticonformista, forse per questo, in quell’ambiente così severo ed ingombrante, sviluppò quell’inquietudine e sorda ribellione che le valsero il soprannome di La Pazza. Giovanna Castiglia di Giovanna di Castiglia, appena diciassettenne, venne data in sposa all’arciduca Filippo d’Asburgo, detto il Bello, e visse alcuni anni nelle Fiandre, in Belgio, in un ambiente disteso e gioioso, tanto diverso da quello severo della sua infanzia spagnola. Non rimase però a lungo in Belgio perché alla morte della madre Isabella, Giovanna venne nominata, con suo marito, erede al trono della corona di Castiglia e dovette così fare ritorno in Spagna. La severa atmosfera spagnola, l’ingombrante madre ed il ritorno nelle Fiandre del marito, riacutizzarono il carattere ribelle e malinconico di Giovanna al punto da mettere in discussione la sua capacità di governare. Castello de la Mota Un paio di episodi vengono raccontati dagli storici per avvalorare l’instabilità emotiva di Giovanna di Castiglia. Per costringere la madre a permetterle di ricongiungersi al marito tornato in Belgio, Giovanna si fece trovare oltre le mura del castello di La Mota, scalza e senza indumenti pesanti, verso le due del mattino di una delle notti più fredde dell’anno. Il secondo episodio narrato racconta di Giovanna che, tacitamente infastidita da negoziazioni avvenute a sua insaputa, si mise a correre, fino a trovare rifugio nella casa di una fornaia, dalla quale si rifiutò a lungo di uscire malgrado le suppliche del marito. Stemma di Castiglia Giovanna di La morte improvvisa di Filippo il Bello fu il colpo di grazia all’emotività di Giovanna che si rifiutò di occuparsi delle incombenze urgenti alle quali era tenuta quale regina; non sono, invece, verificabili le storie macabre che si raccontano, secondo le quali Giovanna fece estrarre dal sepolcro il cadavere del marito e lo fece collocare nella sua stanza nella speranza che potesse tornare in vita. Il monasterocastelli di Las Claras (Tordesillas), progione di Giovanna Giovanna visse quasi 50 anni reclusa nel castello di Tordesillas, dal 1506 al 1555, anno della sua morte. Venne rinchiusa dal padre Ferdinando e, alla sua morte, il figlio Carlo la volle mantenere reclusa; non fu per cattiveria, perché la famiglia, così tradizionalmente e severamente cattolica, credeva veramente che Giovanna fosse pervasa da un male da esorcizzare e, per quanto possibile, non mancò di farle visita e verificare le sue condizioni di salute. Cattedrale di Granada, cripta con i sarcofaghi (a destra) di Giovanna e Filippo il Bello Molti studi hanno sostenuto che la presunta pazzia di Giovanna obbedisse unicamente a una cospirazione politica maschile, di Filippo o Ferdinando di Aragona, i quali, togliendola di mezzo, avrebbero potuto esercitare il controllo assoluto sulla Castiglia. Questi studi affermano così che il suo disturbo mentale fosse stato deliberatamente esagerato per renderla inaccettabile come sovrana. Il ritratto che giunge fino a noi di Giovanna di Castiglia è, comunque, quello di una donna molto sensibile ed emotiva, forse poco adatta a lottare con tattica e strategia in un ambiente duro, formale e competitivo dove non c’era spazio per alcuna debolezza. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 84 E. Ferri, Giovanna la pazza, Milano, Mondadori, 1998 J. Wassermann, Donna Giovanna di Castiglia, Palermo, Sellerio, 1992