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Scienza e diritto nella giustizia della Chiesa
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I. Antropologia e personalismo conciliare
Tre questioni fondamentali tra magistero,
legislazione e giurisprudenza
L’antropologia conciliare e il personalismo conciliare sono tra le espressioni più note della svolta del Concilio Vaticano II e tra le più incisive sul
diritto della Chiesa cattolica.
Nell’immediato post-Concilio la giurisprudenza canonica ha preso atto
dei nuovi principi conciliari e li ha rielaborati in chiave giurisprudenziale. L’antropologia e il personalismo conciliare hanno così acquisito una
rilevanza processuale e una fisionomia giuridica preparando la strada alla
riforma del Codice canonico1.
Dall’ampia accezione del magistero, antropologia e personalismo conciliare sono quindi passati attraverso due ulteriori livelli espressivi: prima quello
tipicamente giurisprudenziale e poi quello propriamente legislativo. A livello
Sulla relazione e sulla rispondenza della rinnovata normativa canonica al principio personalista teo-antropologico conciliare si veda soprattutto E. Corecco - L. Gerosa, Il diritto
della Chiesa, Jaca Book, Milano 1995, in particolare il cap. IV e per la materia matrimoniale
le pp. 180-203. Sull’impostazione gius-personalista della riformata legislazione canonica si
veda anche A. Longhitano (a cura di), Il Codice del Vaticano II. Matrimonio canonico fra tradizione e rinnovamento, 2a ed., EDB, Bologna 1991, specialmente J.M. Serrano Ruiz, L’ispirazione
conciliare nei principi generali del matrimonio canonico, pp. 15-97, e per gli aspetti giuridico-psicologici del consenso matrimoniale, P.A. Bonnet, Il consenso matrimoniale, pp. 159-222 e M.F.
Pompedda, Incapacità di natura psichica (can. 1095), pp. 223-237. Per comprendere la portata
interdisciplinare della nuova disciplina codiciale in materia matrimoniale e soprattutto la
dimensione giuridica degli aspetti psico-patologici del consenso matrimoniale di cui al can.
1095 CIC 1983 si veda soprattutto M.F. Pompedda, Studi di diritto matrimoniale canonico, Giuffrè,
Milano 1993 (vol. I) e 2002 (vol. 2). Sempre in chiave giuridico-antropologica, cfr. anche R.
Latourelle (a cura di), Vaticano II: bilancio&prospettive. Venticinque anni dopo (1962-1987), 2a
ed., Cittadella, Assisi 1988, in particolare nel volume I gli studi di A. Stankiewicz, Rilevanza canonica della comunione coniugale, pp. 771-783, e di R.L. Burke, Vaticano II e legge matrimoniale: la
prospettiva del can. 1095, pp. 784-795. Sul punto va considerata anche la riflessione di C. Burke,
Riflessioni sul can. 1095, «Il Diritto ecclesiastico», 102 (1991), pp. 406-427. Del resto S. Ferrari,
Riflessioni conclusive, in Id. (a cura di), Il nuovo Codice di Diritto canonico. Aspetti fondamentali
della codificazione postconciliare, Il Mulino, Bologna 1983, pp. 227-235 ha efficacemente rilevato
il dato giuridico preliminare, cioè che la stessa Costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges
«afferma ripetutamente che il referente del nuovo Codice di diritto canonico è il Concilio
Vaticano II» (p. 227). In una prospettiva interdisciplinare, storica, giuridica e antropologica,
i ‘precedenti’ del can. 1095 CIC 1983 nel periodo preconciliare e conciliare sono analizzati
nel saggio di J. Carreras, L’antropologia e le norme di capacità per celebrare il matrimonio (i precedenti
remoti del can. 1095 CIC ’83), «Ius ecclesiae», 4 (1992), 1, pp. 79-150.
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SCIENZA E DIRITTO NELLA GIUSTIZIA DELLA CHIESA
giurisprudenziale la necessità di riconsiderare le nullità canoniche matrimoniali alla luce della concezione personalista della relazione coniugale ha portato alla costruzione di nuove categorie giuridiche. A livello legislativo l’esigenza
di riformare il Codice canonico secondo la nuova prospettiva antropologica
ha prodotto, principalmente nell’ambito del diritto canonico matrimoniale,
norme a dimensione interdisciplinare giuridico-antropologica.
Nel suo insieme, il processo di graduale evoluzione semantica e di progressiva articolazione giuridica del personalismo conciliare si è sviluppato
in risposta a tre grandi questioni.
La prima questione è legata al rinnovamento ecclesiologico: con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è posta la questione antropologica:
«Chi è l’uomo?»2.
La seconda corrisponde invece all’esigenza di riformare il diritto matrimoniale canonico aggiornandolo alle nuove acquisizioni delle scienze umane moderne: nel diritto si è quindi aperta la questione giuridica:
«Come agisce l’uomo?».
La terza questione è legata infine alla necessità di attualizzare la giustizia
ecclesiastica in materia matrimoniale senza sconfessare i principi essenziali dell’antropologia cristiana. Per capire se e come i risultati della ricerca
scientifica possono adattarsi al quadro antropologico-cristiano tradizionale
la giurisprudenza ecclesiastica si è dovuta chiedere «Quale scienza?»3.
Per la seconda e per la terza questione il ruolo della giurisprudenza rotale è stato determinante, contribuendo al seguito della svolta antropologica
conciliare con l’apporto offerto non soltanto alla sua concreta attuazione,
ma anche all’elaborazione delle sue più avanzate espressioni normativointerdisciplinari.
In tal senso, è paradigmatico il caso della norma del can. 1095 del nuovo
Codice canonico con cui il Legislatore ha codificato i risultati della giurisprudenza rotale in materia matrimoniale suddividendo il campo delle nullità a
causa psichica nelle fattispecie della «mancanza di sufficiente uso di ragione», del «difetto di discrezione di giudizio» e dell’«impossibilità per cause di
natura psichica di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio»4.
Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, in AAS 58 (1966), pp. 1025-1115. Letteralmente,
la domanda è posta al n. 10 tra gli «interrogativi più profondi dell’uomo» e due volte al n.
12. Cfr. anche Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 10 febbraio 1995, in AAS 87
(1995), p. 1014, n. 2.
2
Le tre questioni antropologica, giuridica e scientifica scandiscono lo svolgimento della nostra ricostruzione. Questa soluzione narrativa trae spunto dalla ricostruzione di G. Versaldi, v.
Psicologia e diritto matrimoniale, in C. Corral Salvador - V. De Paolis - G. Ghirlanda (a cura di),
Nuovo Dizionario di Diritto Canonico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 886-891.
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Per un primo apprezzamento del contributo della giurisprudenza canonica in materia si
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Le tre fattispecie dell’incapacità psichica consensuale costituiscono
quindi l’effetto della positivizzazione di categorie elaborate nella giurisprudenza, cioè di un processo i cui esiti sembrano superare ciò che la «vocazione essenzialmente giurisprudenziale» del diritto della Chiesa cattolica
avrebbe lasciato prevedere5.
Possiamo dunque considerare le incapacità consensuali ob causas naturae
psychicae del can. 1095 CIC come la manifestazione più macroscopica di un
processo di autentica «tribunalizzazione» del diritto matrimoniale canonico6:
a fronte delle lacunae legis che si presentavano in questo campo7, può essere
infatti riconosciuta alla giurisprudenza rotale, dalla svolta antropologica conciliare in poi, una funzione di vera e propria creazione e supplenza legislativa8.
vedano: Aa.Vv., La giurisprudenza della Rota Romana sul matrimonio (1908-2008), LEV, Città del
Vaticano 2010 e qui, in particolare, i contributi di U. Navarrete, Il concetto di matrimonio nella
giurisprudenza della Rota Romana, pp. 7-8, di G.P. Montini, La Rota Romana e i Tribunali locali,
pp. 41-61, di A.M. Punzi Nicolò, L’incapacità consensuale prima della codificazione del 1983, pp.
63-75, di G. Caberletti, L’insufficiente uso di ragione ed il defectus discretionis iudicii, pp. 77-107, di
M. Mingardi, L’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, pp. 109-126. Si vedano
inoltre: Aa.Vv., L’incapacità di intendere e di volere nel diritto matrimoniale canonico (can. 1095 1-2),
LEV, Città del Vaticano 2000, e qui, in particolare, i contributi di G. Erlebach, Defectus usus
rationis et discretionis iudicii (can. 1095, nn. 1-2). Il contributo della giurisprudenza rotale: dagli inizi
agli anni ’60, pp. 219-234, di E. Turnaturi, Defectus usus rationis et discretionis iudicii (can. 1095,
nn. 1-2). Il contributo della giurisprudenza rotale: anni ’70-80, pp. 235-270 e di A. Stankiewicz, Il
contributo della giurisprudenza rotale al Defectus usus rationis et discretionis iudicii: gli ultimi sviluppi
e le prospettive nuove, pp. 271-294 [anche «Monitor ecclesiasticus», 125 (2000), 1, pp. 332-364].
Sul contributo della giurisprudenza al n. 3 del can. 1095 CIC si veda: Aa.Vv., L’incapacità di
assumere gli oneri essenziali del matrimonio (can. 1095, n. 3), LEV, Città del Vaticano 1998 (per i
riferimenti relativi ai singoli contributi del volume si veda infra, nota 114).
G. Lo Castro, Introduzione, in Pompedda, Studi, vol. II, p. 1. Sulla vocazione giurisprudenziale
del diritto della Chiesa cattolica con particolare riferimento alla materia matrimoniale ancora G. Lo Castro, Sulla vocazione giurisprudenziale del diritto nella Chiesa e il matrimonio canonico,
in Id., Matrimonio, diritto e giustizia, Giuffrè, Milano 2003, pp. 147-171.
5
Riferito all’ambito giuridico, il termine «tribunalizzazione» è di R. Hirschl, The Judicialization of Politics, in K. Whittington (a cura di), Oxford handbook of Law and Politics, Oxford 2008,
pp. 119-141. Si veda ancora R. Hirschl, The Judicialization of Mega-Politics and the Rise of Political
Courts, «Annual Review of Political Science», 11 (2008), pp. 93-118; Id., The New Constitutionalism and the Judicialization of Politics Worldwide, «Fordham Law Review», 75 (2006), pp. 721-754.
Su posizioni analoghe anche R. Bork, The judge’s role in Law and Culture, «Ave Maria Law
Review», 1 (2003), pp. 19-29.
6
Cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 1984, in AAS 76 (1984), pp.
643-649, in particolare p. 647, n. 6.
7
Cfr. F. Finocchiaro, La giurisprudenza nell’ordinamento canonico, in A. Albisetti (a cura di),
Saggi (1973-1978), Giuffrè, Milano 2009, pp. 485-506 (anche «Ius canonicum», 15 (1975), n.
30, pp. 113-131). «Non sempre è vero», ha affermato Francesco Finocchiaro, «che la ‘giurisprudenza’ sia solo, e in ogni ipotesi, ‘mediatrice’ e non ‘creatrice’ di norme, così come non
è vero, in assoluto, che il legislatore sia sempre ‘creatore’ di norme e mai ‘mediatore’ fra la
disciplina giuridica e i concreti interessi della comunità associata» (p. 486). Con peculiare
riferimento all’ordinamento canonico l’Autore osservava come tale funzione creatrice del8
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Del resto, l’ampiezza e l’indeterminatezza delle fattispecie dell’incapacità psicologica consensuale del can. 1095 CIC avrebbero consentito alla
la giurisprudenza sia riconducibile principalmente «al carattere ‘aperto’ dell’ordinamento
canonico nei confronti di attività produttrici di norme giuridiche diverse dalla legislazione,
conservato dal codex [l’Autore, che scrive nel 1975, fa ovviamente riferimento al Codice canonico del 1917, n.d.a.], il quale, con riferimento all’attività del giudice [...] ammette ipotesi
di ‘supplenza’ alla mancanza della norma derivante dalla legge. Una supplenza che il c. 20
del codex ha previsto in modo esplicito [nel Codice canonico del 1983, il can. 19, n.d.a.]»
(pp. 492-493). Si veda poi A. Albisetti, Considerazioni sulla dottrina del precedente nella giurisprudenza canonica, in Id., Tra diritto ecclesiastico e canonico, Giuffrè, Milano 2009, pp. 69-78 [anche
in P. Trimarchi - G. Cattaneo (a cura di), Studi in onore di Cesare Grassetti, I, Giuffrè, Milano
1980, pp. 1-13]. Sviluppando l’analisi del Finocchiaro, Alessandro Albisetti ha osservato come
«la tesi che la giurisprudenza svolgerebbe una vera e propria funzione creatrice del diritto» dimostra tutta la sua validità «anche nell’ambito di quegli ordinamenti che, informati
al criterio della separazione dei poteri, sono soliti concepire la giurisprudenza non tanto
come fonte ‘riconosciuta’ di norme giuridiche, quanto come forza mediatrice tra la volontà
astratta del legislatore e la sua concreta realizzazione». Secondo l’Autore l’ipotesi «sembra
aver trovato, a maggior ragione, conferme e applicazioni» proprio «nell’ordinamento canonico» il quale, non ispirato al principio della separazione, «è, per sua natura, caratterizzato
da una particolare ‘elasticità’» (pp. 69-70). E così, «l’affermazione del primato della legge su
ogni altra fonte del diritto appare, infatti, ampiamente mitigata dall’esplicito riconoscimento
di un’ipotesi di supplenza alla mancanza di una norma promanante da fonte legislativa o
consuetudinaria» (p. 75). Si veda anche in Id., Ermeneutica giurisprudenziale, diritto canonico e
common law, in Aa.Vv., Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, I, Giuffrè, Milano 2002, pp. 1-12.
Analogamente al Finocchiaro, anche G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, Nuova Edizione,
Il Mulino, Bologna 2002, p. 55 – non a caso proprio nel paragrafo intitolato al «diritto suppletorio» – ha osservato come «il giudice non è un meccanico riproduttore della volontà del
legislatore che esaurisce la sua funzione in una mediazione tra la norma giuridica generale
e il caso concreto». E che anzi esso come «voce viva dell’ordinamento» (qui l’Autore si rifà
espressamente al Finocchiaro) svolge «un procedimento non arbitrario, ma non privo di discrezionalità». Nella prospettiva della nomopoiesi giurisprudenziale anche Roberto Mazzola
ha affermato che «sia che lo si consideri voce della legge o più in generale dell’ordinamento,
il giudice assume in qualche misura il ruolo di coautore della realtà normativa», cfr., anche
per l’ampiezza dell’impianto bibliografico, R. Mazzola, Il diritto vivente nell’ordinamento giuridico della Chiesa, in R. Bertolino - S. Gherro - G. Lo Castro, Diritto ‘per valori’ e ordinamento
costituzionale della Chiesa, Atti delle giornate canonistiche veneziane, 6-7 giugno 1994, Giappichelli, Torino 1996, pp. 310-361, in particolare le pp. 355-361 (la citazione è a p. 355).
Con un riferimento specifico alla materia matrimoniale canonica si veda P. Moneta, La Rota
Romana, in Aa.Vv., La giurisprudenza della Rota Romana sul consenso matrimoniale (1908-2008),
LEV, Città del Vaticano 2009, pp. 25-35, il quale a p. 34 ha parlato della «funzione propulsiva
[della Rota Romana, n.d.a.] nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico e nel suo adeguamento alle mutate esigenze dei tempi» emersa «negli anni immediatamente successivi al
Concilio Vaticano II, quando si fece particolarmente sentire l’esigenza di un adeguamento
della legislazione canonica vigente [...] alla dottrina conciliare». Naturalmente anche Id., La
giustizia nella Chiesa, Nuova Edizione, Il Mulino, Bologna 2002. Infine, per rapportare la tesi
della funzione nomopoietica della giurisprudenza canonica al campo delle nullità psichiche
consensuali cfr. F.M. Pompedda, La funzione della giurisprudenza nel diritto matrimoniale canonico,
in S. Gherro (a cura di), Studi sulle fonti del diritto matrimoniale canonico, Cedam, Padova 1988,
pp. 1-33; Id., La giurisprudenza come fonte di diritto nell’ordinamento canonico matrimoniale, in Id.,
Studi di diritto processuale canonico, Giuffrè, Milano 1995, pp. 3-41, e in particolare le pp. 25-37.
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Rota Romana ampi margini di creazione giuridica anche in una fase successiva alla norma neocodiciale9.
La «tribunalizzazione» del diritto matrimoniale canonico, di cui la Rota
Romana è stata l’indiscussa protagonista, è un processo che assume quindi
una portata giuridica ‘di sistema’ a cui si deve, prima ancora della formulazione del can. 1095 CIC, l’interpretazione giuridica delle aperture del magistero alla moderna scienza sperimentale e l’attuazione del personalismo
conciliare nell’ordinamento canonico.
In un’accezione positiva la «tribunalizzazione» del matrimonio canonico è il fenomeno più emblematico dell’elasticità e della dinamicità del
diritto canonico.
Dello stesso fenomeno si può dare, tuttavia, anche un’accezione negativa10.
Infatti, proprio l’ampiezza interdisciplinare, cioè sia giuridica, sia psicoantropologica, delle fattispecie dell’incapacità psicologica consensuale, ha
ben presto palesato tutti i rischi, attuali e potenziali, intrinseci al fenomeno
della «tribunalizzazione»11.
L’indeterminatezza della formulazione del can. 1095 CIC 1983 è stata rilevata anche da
Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 1984, p. 648, n. 7. Del resto, se non altro per
l’ampiezza e la complessità delle categorie giuridiche richiamate, sembra adattarsi perfettamente anche al can. 1095 CIC 1983 ciò che in una prospettiva teologica più ampia è stato
osservato da G.B. Varnier, Per un diverso rapporto nell’ordinamento canonico tra diritto universale
e diritto particolare, in Aa.Vv., Studi in onore di Sergio Antonelli, ESI, Napoli 2002, pp. 711-722 a
p. 717, e cioè che «il Legislatore non sembra essere riuscito ad attuare compiutamente il suo
progetto di riforma e il testo del Codice, preparato in un periodo di transizione, riflette le
stesse contraddizioni e incertezze che attraversarono la Chiesa del tempo».
9
A tal proposito osserviamo che nell’ambito del diritto pubblico laico il termine «tribunalizzazione» è stato utilizzato prevalentemente in senso critico per denunciare l’inerzia e le
omissioni legislative su temi politicamente sensibili. Secondo Hirschl, The Judicialization of
Politics, p. 121, infatti, il termine «tribunalizzazione» indica «il trasferimento verso le corti di
argomenti politici di grande rilievo» e cioè, di fatto, «una conveniente ritirata per quei politici che non hanno voluto o che non sono stati capaci di risolvere difficili controversie pubbliche nella sfera politica. Può costituire anche una strategia di rifugio per i politici che cercano
di evitare di prendere decisioni impopolari e/o cercano di evitare il collasso di coalizioni di
governo strutturalmente fragili o bloccate». Per evitare inappropriate sovrapposizioni terminologiche, precisiamo che nella dottrina canonistica l’espressione «giuridicizzazione» del
matrimonio canonico è stata utilizzata in una prospettiva molto diversa. In modo analogo,
invece, si è parlato nella dottrina sia canonistica, sia ecclesiasticistica, di «giustizializzazione»
del matrimonio canonico. Entrambe le espressioni, però, sono tendenzialmente riconducibili in senso lato alla «‘riduzione’ dell’incommensurabile realtà sacramentaria e spirituale nelle
strettoie del diritto, nei formalismi estremi della procedura e del giudizio», cfr. G. Dalla Torre, Matrimonio e funzione giudiziaria, in P.A. Bonnet - C. Gullo (a cura di), Il giudizio di nullità
matrimoniale dopo l’Istruzione ‘Dignitas connubii’, Parte Prima: I principi, LEV, Città del Vaticano
2007, pp. 235-248 e, in particolare le pp. 235-236. Per un inquadramento storico-giuridico di
questo fenomeno si veda Moneta, La giustizia nella Chiesa, specialmente le pp. 9-34.
10
In proposito cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, in AAS
82 (1990), pp. 872-877, in particolare p. 875, n. 5: «Il giudice [...] deve sempre guardarsi dal
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Non a caso, nel recente passato, il can. 1095 CIC 1983 ha attirato l’attenzione degli specialisti più per gli arbitrii interpretativi a cui si è prestato
che per la sua capacità di sintonizzare il diritto canonico e la giustizia della
Chiesa con l’effettiva realtà esistenziale della persona e del matrimonio.
Alcuni Tribunali ecclesiastici si sono infatti dimostrati fin troppo sensibili
allo psicologismo di certe correnti della psichiatria e della psicologia contemporanee12.
Trasferito in ambito processuale lo psicologismo scientifico è diventato psicologismo giuridico. Come ha osservato Giovanni Paolo II a pochi
anni dalla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, una tale
prospettiva giuridica ha determinato «il moltiplicarsi esagerato e quasi automatico delle dichiarazioni di nullità, in caso di fallimento di matrimonio, sotto il pretesto di una qualche immaturità o debolezza psichica dei
contraenti»13.
rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale». In parallelo cfr. Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 29 gennaio 2010,
in AAS 102 (2010), pp. 110-114, in particolare p. 113: «In questo senso, la considerazione
esistenziale, personalistica e relazionale dell’unione coniugale non può mai essere fatta a
scapito dell’indissolubilità, essenziale proprietà che nel matrimonio cristiano consegue, con
l’unità, una peculiare stabilità in ragione del sacramento». Ancora recentemente, l’accezione
negativa generale del fenomeno della «tribunalizzazione» è stata efficacemente tradotta da
Giovanni Battista Varnier in «disinvolta applicazione delle norme canoniche soffocando la
certezza del diritto in nome della pastorale», cfr. G.B. Varnier, Unicità dell’ordinamento giuridico
della Chiesa di Roma: tradizione e rinnovamento, in V. Parlato (a cura di), Cattolicesimo e ortodossia
alla prova, Soveria Mannelli, Rubbettino 2010, pp. 9-27, la citazione si trova a p. 26. Invece,
l’accezione negativa specifica della «tribunalizzazione» in materia matrimoniale è stata individuata da Marco Ventura nello «squilibrio» tra l’ideale giuridico-teologico dell’indissolubilità
e la pratica giudiziale della nullità (cfr. M. Ventura, Sullo squilibrio tra ideali e pratiche nel diritto
matrimoniale canonico di fine millennio, in El matrimonio y sua expresión canónica ante el III milenio,
X Congreso International de Derecho canónico, Eunsa, Pamplona 2000, pp. 821-831).
Generalmente, lo psicologismo giuridico, inteso come tendenza all’allargamento delle ipotesi di incapacità psicologica giuridicamente rilevante, è stato associato alla giurisprudenza
dei Tribunali ecclesiastici americani e in particolare nord-americani, canadesi e olandesi, cfr.
O. Fumagalli Carulli, Psicologia e diritto nel matrimonio canonico, in Id., Il matrimonio canonico
dopo il Concilio, Giuffrè, Milano 1978, pp. 133-160 (p. 137 in particolare). Analogamente P.
Moneta, Il matrimonio nel nuovo diritto canonico, 4a ed., ECIG, Genova 2008, p. 93, ha imputato
questa tendenza ai Tribunali ecclesiastici dei Paesi di tradizione anglosassone. Tuttavia è stato
osservato che la critica andrebbe più opportunamente estesa «a tutti i tribunali ecclesiastici»:
cfr. Z. Grocholewski, Il giudice ecclesiastico di fronte alle perizie neuropsichiatriche e psicologiche.
Considerazioni sul recente discorso del Santo Padre alla Rota Romana, «Apollinaris», 60 (1987), 1-2,
pp. 183-203, in particolare p. 184. Anche in inglese: Id., The ecclesiastical judge and the findings
of psychiatric and psycological experts, «The jurist», 47 (1987), pp. 449-470 e in francese: Id., Le
juge ecclésiastique face aux expertises neuropsychiatriques et psycologiques, «L’Année canonique», 30
(1987), pp. 17-42.
12
Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 5 febbraio 1987, in AAS 79 (1987), pp. 14531459, p. 1458, n. 9.
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Una nuova fase sembra essersi aperta dopo le allocuzioni pontificie alla
Rota Romana del 1987 e del 1988 e soprattutto dopo l’Istruzione integrativa Dignitas connubii (2005). Intervenendo con le necessarie precisazioni
sulle questioni giuridico-interdisciplinari più controverse della materia matrimoniale, il Legislatore canonico sembra aver voluto segnare un’inversione di tendenza provando a contenere gli eccessi della «tribunalizzazione»14.
1. «Chi è l’uomo?»: la questione antropologica nel Concilio Vaticano II
L’antropologia e il personalismo conciliare identificano ormai un passaggio specifico e determinante dell’ecclesiologia, del diritto e della storia
stessa della Chiesa cattolica del Novecento sviluppando su piani diversi di
lettura una grande complessità teologica, antropologica e giuridica.
Sul piano interpretativo più superficiale e immediato antropologia conciliare e personalismo conciliare sono espressioni accomunate da almeno quattro analogie.
In primo luogo entrambe rispondono alla questione antropologica fondamentale del Concilio: «chi è l’uomo?»15. Le rispettive formulazioni evocano infatti il valore e la centralità della persona e così stabiliscono una
«continuità» e una «complementarietà» tra la prospettiva ad intra della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium16 e la prospettiva ad extra
della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes17.
In secondo luogo, antropologia e personalismo conciliare sono entrambe espressioni emblematiche di una nuova sensibilità maturata nella Chiesa
cattolica per la moderna ricerca sperimentale nel campo antropologico.
Nel loro insieme contengono ed esprimono l’idea di un personalismo a
carattere antropologico in cui le costruzioni teologico-antropologiche classiche si avvalgono del moderno punto di vista scientifico prendendo coscienza della realtà storica dell’uomo nel mondo, cioè della sua condizione
esistenziale effettiva.
Attualmente, nell’esperienza giuridica laica, il fenomeno della «judicialization» sembra
interessare soprattutto la disciplina del fenomeno religioso. Al riguardo la pubblicistica laica
parla addirittura di «juristocracy»: cfr. R. Hirschl, Towards Juristocracy: The Origins and Consequences of Constitutionalism, Cambridge University Press, Cambridge 2004.
14
15
Cfr. supra, nota 2.
Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, 21
novembre 1964, in AAS 57 (1965), pp. 5-67.
16
G.P. Milano, v. Vaticano II, in Enciclopedia del diritto, XLVI, Milano 1993, pp. 240-284, in
particolare la p. 265.
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