PSI e pratiche magiche

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OTTOBRE-DICEMBRE 1.981
ANNO 81° "" N. 4
Spedizione in Abbo posto . Gruppo 4°
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Fenomeni PSI e pratiche magiche
di GIOVANNI IANNUZZO
Gli antropologi e gli etnologi hanno spesso pubblicato relazioni di
ricerche sul campo, nel corso delle quali osservarono pratiche «magiche» che implicavano presumibilmente eventi psi. Queste ricerche sono
state condotte prevalentemente tra primitivi, nell'ambito di gruppi umani non acculturati. Su questo problema esiste un certo numero di rassegne. Alcune di esse sono state pubblicate in inglese (vedere per esempio Van De Castle, 1975, 1977; Zorab, 1957; Humprey, 1944 e Pobers, 1956) e una in olandese (Fisher, 1940). In italiano esistono due
lavori di De Martino (De Martino, 1946, 1973) ed un importante studio di Bozzano che dedicò a questo problema un'opera (Popoli primitivi
e manifestazioni paranormali, Armenia Ed.), che tuttora rappresenta una
delle più esaurienti rassegne sull'argomento (Bozzano, 1974). Recentemente un breve articolo di Iannuzzo ha discusso dei rapporti tra pratiche magiche e fenomeni paranormali, presentando anche una rassegna
di relazioni etnologiche su questo problema (Iannuzzo, 1980).
La presenza di componenti psi nelle pratiche magiche e la sua rilevanza - da diverse prospettive - per le ricerche parapsicologiche è un
argomento che presenta un ampio interesse; purtroppo alcuni aspetti
di questo problema non sono stati indagati con la dovuta attenzione,
come per esempio la connessione tra credenze magiche ed eventi psi.
Questo argomento è assai interessante per le sue implicazioni parapsicologiche, poiché, per quello che sappiamo, alcune popolari credenze
magiche potrebbero anche essere basate su fatti psi o comunque connesse con essi. Un esempio di questa interpretazione può essere costituito dalla credenza nella « jettatura », che, pur essendo certamente una
superstizione, presenta alcuni aspetti meritevoli di attenzione da parte
del parapsicologo. Inoltre non è stata mal suggerita, sinora, una tipologia degli eventi magici in relazione alle loro probabili componenti psi..
Questo articolo dIscute una tipologia delle pratiche e delle pretese
magiche nelle quali possono essere implicate capacità paranormali e presenta una rassegna di resoconti antropologici nei quali sono state descritte ricerche sul campo e osservazioni di eventi psi presso culture
primitive.
Per ciò che concerne le comuni pretese magiche, esse sono tradizionalmente di due tipi: la pretesa di poter conoscere il mondo senza
l'ausilio dei sensi e la pretesa di poter modificare magicamente - per
mezzo della volontà, o grazie alla mediazione di entità superiori -
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MAGICHE
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l'assetto del mondo. Gli antropologi e gli etnologi hanno ampiamente
discusso sia delle «leggi» che possono essere sottese ad una presunta
azione magica (vedere per esempio Frazer, 1911) sia del rapporto che
esiste tra gli aspetti sociologici di una cultura e le espressioni di pretese
magiche, sia ancora dei moduli di pensiero che possono essere sottesi
a tali pretese. In ogni caso, qualunque sia il punto di vista dominante,
il mago pretende sempre (e in ogni epoca) di agire in due modi: «conoscendo» il mondo e «agendo» su di esso. In questo scritto definiremo la pretesa magica di « conoscere» il mondo senza l'ausilio dei sensi:
Potere di conoscenza, e quella di « agire» magicamente su di esso: Potere di azione. Cominceremo con l'esaminare il materiale etnografico disponibile sulla prima di queste « pretese» magiche.
Potere di conoscenza
Esistono molti resoconti etnografici riguardanti il «potere di conoscenza» del mago, implicante presumibilmente componenti extrasensoriali.
Callaway, un religioso che indagò a lungo il sistema religioso degli
Zulu, riporta la descrizione di metodi di divinazione presso quel popolo.
Egli racconta di come gli Zulu riescano a indovinare dove si trovi un
oggetto che si sia perso e che risulta apparentemente introvabile (Callaway, 1884). Gli uomini della tribù - come risulta dalla descrizione
di Callaway - si introflettevano, meditando e cercando «dentro di
essi» il luogo dove la cosa che era stata persa poteva trovarsi, con una
tecnica che Callaway definisce di « divinazione interiore»; ad un certo
punto lo Zulu sentiva di aver trovato la cosa che cercava e sapeva perfettamente in quale luogo poteva trovarla. Il reverendo si stupiva di
come questa visione puramente interiore fosse vivida almeno quanto la
visione reale dell'oggetto. I veggenti Zulu sapevano inoltre adoperare la
veggenza per ritrovare oggetti nascosti, sui quali essi erano stati informati di proposito in maniera erronea o imprecisa per metterli alla prova.
Sembra anche che questi maghi fossero in grado di prevedere alcuni
eventi con molta esattezza.
Per diventare stregone occorreva essere posseduto dagli spiriti: quando ciò avveniva (e quindi il soggetto era divenuto un veggente) egli era
sottoposto ad una severa prova per accertare le sue reali capacità, prova
che Callaway così descrive:
« Prendono oggetti di varia natura: uno prende grani di collana e si
reca a nasconderli; altri nascondono lance; altri braccialetti, altri i loro
bastoni, altri i loro grembiuli, altri i loro ornamenti, altri le loro marmitte, altri le loro ceste. E dicono: "vediamo se proprio troverà queste
cose, oppure no".. Altri nascondono spine di granturco, o di amabele o
di ujiba, o cime di upoko ». Il superamento della prova è necessario
presso la cultura zulu perché gli aspiranti stregoni vengono riconosciuti
come tali dalla comunità.
Adrian K. Boshier riferisce in tempi molto più recenti di prove indi-
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GIOVANNI
IANNUZZO
scutibili di capacità paranormali presso le tribù presso le quali fu ospitato in Africa (Bokoni, Blatlokwa, Bakata). Egli dà inoltre testimonianza
di un rituale molto simile a quello descritto da Callaway a proposito
dell'iniziazione a stregone (Boshier, 1974). Il futuro stregone viene inizialmente posseduto dagli spiriti. Questa fase - che dimostra che il
soggetto è stato scelto per fare questa professione - viene seguita da
un duro apprendistato. Per dare la prova dei suoi effettivi poteri, l'aspirante sangoma deve riuscire a trovare degli oggetti che i suoi maestri
hanno nascosto nei luoghi più impensati e il superamento della prova
è anche in questo caso la conditio sine qua non dell'iniziazione.
prevede l'ap« L'addestramento di un sangoma - scrive Boshier
prendimento di certe canzoni, di danze speciali, l'ingestione di emetici a fini purificatori, nonché la continua presenza del Baba (maestro)
che osserva la sua twasa (allievo) con molta attenzione, notando le particolari manifestazioni del suo spirito. Essi sono. quotidianamente incoraggiati a rafforzare ed usare lo spirito che li sta possedendo. Devono cercare in continuazione, giorno e notte, cose che il Baba ha "nascosto" in
qualche parte del villaggio. All'inizio l'insegnante dice alla twasa che
c'è qualcosa nascosto per lei, ma, col procedere dell'addestramento, il
Baba non informa più. l'iniziata a parole: la chiama servendosi di metodi
telepatici. Si può ricorrere a leggere droghe, qualora le manifestazioni
dello spirito vengano ad indebolirsi, oppure per chiarire il significato di
sogni e di esperienze allucinatorie ».
Padre Trilles riferisce su fenomeni di conoscenza paranormale rinvenuti presso i Pigmei della foresta equatoriale (Trilles, 1932). Egli racconta tra l'altro, di uno stregone di clan che era capace di predire nel
corso di una danza magica, in maniera estremamente particolareggiata e
vivida, quale sarebbe st\1to il risultato di una battuta di caccia all'elefante. Lo stregone cadeva in trance e mimava i movimenti degli animali
e dei cacciatori indicando che cosa sarebbe accaduto e come la caccia
si sarebbe conclusa. Padre Trilles afferma che venivano precisate non
soltanto circostanze generiche, ma tutto ciò che poteva riguardare l'esito
della caccia, compreso il numero di zanne d'elefante che sarebbero state
prese e si fa garante della assoluta veridicità del responso.
Lang descrive anch'egli un caso di veggenza relativa ad una battuta
di caccia all'elefante, riferendosi ad un fatto di cui fu protagonista D.
Leslie che a sua volta lo espone in un suo famoso e ormai rarissimo
libro (Leslie, 1875; Lang, 1900). Leslie, che doveva prendere parte a
una battuta di caccia all'elefante, attendeva i suoi cacciatori; giunto al
luogo dove aveva dato loro appuntamento non vi trovò nessuno. Si
rivolse allora ad uno stregone del luogo per avere qualche informazione
e questi gli chiese nome e numero dei cacciatori. Avute queste notizie
egli accese un fuoco per ogni cacciatore (erano otto) e vi buttò sopra
radici che bruciando emanavano un fumo profumato. Grazie a particolari erbe lo stregone cadde in trance e al risveglio raccolse le ceneri di
ognuno dei fuochi e tracciò con esse le immagini degli uomini sui quali
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PSI
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Leslie chiedeva informazioni. Di ognuno di essi disse cosa gli era accaduto e il resoconto risultò esatto in ogni particolare.
Matthews descrive un episodio che riguarda le ragazze appartenenti
ad un particolare culto delle Bahamas, che cadevano in trance contemporaneamente, anche a grande distanza tra loro, e che in stato di trance
erano in grado d descrivere accuratamente fatti 'che si stavano svolgendo
a grande distanza (Matthews, 1886). Prince afferma che egli stesso fu
testimone di una precognizione, poiché uno stregone dell' Africa occidentale avrebbe predetto un evento personale riguardante un suo socio
(Prince, 1967). Massaia (riportato in Caimpenta, 1935) descrive con
scetticismo e unilateralità religiosa pratiche magiche etiopiche e abissine,
ma proprio per questo carattere non oggettivo, la sua testimonianza assume un valore ancora maggiore, quando scrive:
«Fra i Galla, dunque, ed anche gli abissini, divenuti 'ormai quasi
tutti pagani come quelli, in ogni occasione si suole ricorrere ai maghi;
e principalmente quando, lesi nella vita, nella roba, nell'onore, ecc., non
sanno a chi dare la colpa del danno ricevuto. Ed il mago, spiega il
mistero dicendo: il tale ha rubato, il tal'altro ha ucciso, per istigazione
di quello avvenne il danno. Talvolta il padre della bugia dice' la verità... ».
Gorer (1935) narra un episodio probabilmente genuino di chiaroveggenza, nel quale un veggente dell'Africa occidentale descrisse accuratamente la sua casa, posta a mille miglia di distanza, e Ballowell (1942)
ebbe rivelati numerosi particolari, per via precognitiva, riguardanti suo
padre e alcuni membri del suo gruppo. Presso i Negas indiani furono
pure rilevati fenomeni di chiaroveggenza che sembrano essere abbastanza probanti (Button, 1921).
Gusinde (1937) riferisce di un caso di divinazione dovuto ad uno
stregone che in sua presenza previde l'arrivo di uno stormo di uccelli
che effettivamente giunsero l'indomani. De Martino (1973), riportando
questo episodio, non nega l'evidenza di un fenomeno di probabile natura «paranormale », ma suggerisce la possibilità alternativa che possa
essersi trattato di un caso di iperestesia. Bisogna però considerare che,
se il caso citato è vero, è abbastanza difficile interpretarlo in termini
di iperestesia, poiché l'avvistamento avvenne un giorno dopo la divinazione e risulta quindi difficile pensare che la portata di una eventuale
iperestesia sia tanto grande.
Laubscher, uno psichiatra sud africano, constatò empiricamente le ca.,
pacità di uno stregone Tembu, Salomon Daba (Laubscher, 1938). Egli
descrive numerosi episodi relativi a capacità di veggenza rilevate nel
corso delle sue ricerche presso la cultura Bantu. Uno degli episodi più
convincenti è anche descritto in un articolo pubblicato in Italiano (Laubscher, 1976):
«(Salomon Daba) Abitava a circa cento chilometri dall'ospedale
Komani, dove prestava servizio, e ci eravamo messi d'accordo per fare
un'esperimento una domenica mattina. All'insaputa di tutti, avevo com-
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prato un borsellino rosso, e il negoziante lo aveva impacchettato in carta
velina bianca, coperta da un secondo involto color marrone. Lo chiusi
a chiave in un cassetto e la domenica mattina, alle dieci circa, a quarantotto chilometri dal villaggio di Salomon fermai la macchina, lasciandovi sopra Van der Merwe, mio assistente e brillante linguista Xhosa.
lo scesi lungo un fosso di circa due metri e mezzo e quando fui fuori
vista scavai una buca nel terreno sconnesso con una pietra piatta e
grigia. Seppellii il borsellino, lo ricoprii di sabbia piantandovi sopra la
pietra predetta sormontata da un'altra scura, e lasciai tutto così. Van
der Merwe non era al corrente del mio piano. Quando arrivai al villaggio la danza era già cominciata. Salomon iniziò a danzare e mi
descrisse in ogni particolare, senza omettere nulla, sia pure parlando
a intervalli, tutta la faccenda del borsellino e come lo avessi seppellito
nel fosso. Non riuscii a trovare alcun'altra spiegazione possibile, all'infuori di una spiccata facoltà telepatica ».
Shirokorogoff (1935) descrive numerosi episodi di natura paranormale presso i Tungusi. Egli scrive tra l'altro:
«
In stato di grande concentrazione gli sciamani (Tungusi), come al-
tre persone, possono entrare in comunicazione con altri sciamani e con
individui comuni. Presso tutti i gruppi tungusi questo si fa del tutto intenzionalmente per necessità di carattere pratico, specialmente per casi
urgenti... Nel pratico intento di ottenere una comunicazione del genere
la persona deve pensare senza interruzione a un'altra persona, ed esprimere un desiderio, come, per esempio: "Per favore, vieni qui (in un dato
luogo)". Ciò 'deve essere ripetuto finché si vede la persona chiamata o
finché si apprende che la persona ha inteso il richiamo. Si pu,ò vedere
la persona fisicamente, nel suo ambiente naturale. Più tardi, quando si
incontra la persona chiamata, si può chiederle conferma dell'ambiente
e del luogo nel momento della chiamata ». L'autore descrive numerosi
altri episodi del genere (di presumibile natura paranormale) e descrive
anche la capacità degli sciamani di avere percezioni extrasensoriali di
natura estatica durante le sedute magiche.
De Vesme (1931) racconta un'esperienza del già citato padre Trilles.
Nell'episodio si parla di un certo Negema Nzago, uno stregone molto
noto per i suoi poteri. Egli disse a padre Trilles che ci sarebbe stato
un convegno dei maghi della regione in un luogo che si trovava a quattro giorni di cammino dal villaggio dove Nzago e Trilles si trovavano,
e il convegno doveva aver luogo l'indomani. Naturalmente padre Trilles si mostrò alquanto incredulo -poiché riteneva che la distanza fosse
troppa per poter essere coperta in un giorno solo. Ma lo stregone gli
assicurò il contrario e gli chiese se volesse assistere alla sua partenza
quella sera. Giunto all'appuntamento, Trilles gli chiese, per avere in
qualche modo una prova dell'effettivo viaggio dello stregone, di passare
da un villaggio che si trovava sul cammino che Negema Nzago avrebbe
dovuto percorrere e di avvertire un amico di venirlo a trovare per portargli alcune cose. Lo stregone accettò, dopodiché diede inizio a un
complicato rito e si immerse in un sonno catalettico; il corpo divenne
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assolutamente rigido e Trilles vide un grosso serpente nero, scaturito dal
nulla che circondava il corpo dello stregone. Padre Trilles, per evitare
che vi fosse qualche trucco, non lasciò la capanna sino al mattino e al
risveglio del mago si sentì dire che la commissione affidatagli era stata
perfettamente compiuta e che il suo messaggio era stato recapitato. In
effetti tre giorni dopo la persona « chiamata» si presentò al villaggio e
disse a Trilles di aver sentito (nella notte nella quale lo stregone aveva
effettuato il suo « viaggio») una voce che dall'esterno della casa in cui
abitava gli aveva detto di andare da lui.
Il colonnello Van Del' Post (1958) descrive alcuni fenomeni di orientamento presso i boscimani sud africani del Kalahari, che hanno certamente qualcosa in comune con fenomeni di natura telepatica. Van del'
Post fece anche delle prove empiriche. Una volta chiese per esempio ad
una sua guida (un indigeno di nome Nxu) di indicare esattamente la
direzione del villaggio da cui erano partiti, che distava circa duecentocinquanta miglia, e il boscimano la indicò con esattezza pari a quella
della bussola di Van del' Post. Sempre lo stesso autore afferma che
spesso i suoi accompagnatori indigeni gli riferirono di possedere la capacità di comunicare a distanza tra loro, paragonando tale loro capacità
al telegrafo. Ronald Rose (1957) riporta interessanti testimonianze sull'uso della psi come comune mezzo di comunicazione presso gli aborigeni australiani.
Maddox (1923) osservò che le capacità paranormali non solo erano
notevolmente diffuse tra gli Zulu e i Beciuana del Sud Africa e altre
tribù del Borneo, del Perù, del Paraguay e della Siberia, ma anche che
la paranormalità presso queste popolazioni è considerata ereditaria, e
che, nell'ambito di alcune famiglie i figli vengono addestrati all'uso di
queste capacità e sono quindi avviati alla professione di veggente.
Evans-Pritchard (1937) conferma che presso alcune popolazioni africane esiste la convinzione che la psi sia ereditaria, oltre naturalmente
a mettere in evidenza la presenza di questo tipo di capacità. Freuchen
(1935) riporta testimonianza di episodi di divinazione estremamente precisa presso gli Esquimesi dell'Artico; la divinazione si basa sui movimenti più o meno liberi e volontari del piede e si rivela di notevole
esattezza. Lo stesso autore (Freuchen, 1953) ha inoltre assistito alle
pratiche divinatorie di una strega che riusciva a indovinare l'arrivo di
una nave a vapore che conteneva merci necessarie alla sua gente.
Trilles descrive anche fenomeni di comprensione di lingue sconosciute, di cui sono protagonisti gli stregoni pigmei:
« In uno dei viaggi che facemmo con monsignor Le Roy - scrive
-, lo Stregone del villaggio in cui arrivammo la sera, ci descrisse con
molta esattezza la via che avevamo percorsa, la lista del nostro pasto,
e anche la conversazione tenuta. Una delle cose dette nella nostra conversazione era particolarmente tipica. Avevamo incontrato una piccola
tartaruga. "Può servire per la cena di stasera" mi disse Monsignor Le
Roy, ed io aggiunsi ridendo, poiché avevamo molta fame: "Se occorre,
aggiungeremo la testa della guida". Ora noi parlavamo in francese, lingua
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di cui lo stregone non capiva una parola, e tuttavia senza muoversi dal
suo villaggio, in cospetto di tutti, egli ci aveva "visto" nel suo specchio
magico, e ci ripeteva quello che avevamo detto» (Trilles, 1932).
Rasmussen (1929) ha rilevato fenomeni di presumibile natura paranormale presso le tribÙ esquimesi. Uno di essi - discusso da De Martino (1948) - riguarda la predizione, da parte di uno sciamano, di un
movimento dei ghiacci polari che poi fu verificato dai componenti della
spedizione di Rasmussen. Anche in questo caso De Martino suggerisce
la possibilità che si sia trattato di un caso di iperestesia.
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Massajoli (1974) a proposito dei Subtjava (un gruppo etnico compatto che vive in una regione presso la città di Leon, nella parte nordoccidentale del Nicaragua, che sta attraversando una fase di veloce acculturazione) descrivendo le loro credenze magiche, scrive che:
« ...permane, soprattutto fra gli anziani, una certa superstizione e
il timore verso la stregoneria e le sue possibili manifestazioni. Si dice
che taluno ricorra ancora a persone, che pare abbiano poteri supernormali. Forse, su questo argomento (riguardo al quale è comprensibile una
certa diffidenza a dare delle risposte precise), sarebbe molto interessante
poter fare delle indagini prolungate e approfondite ». Lo stesso autore
si occupa pure, seppur brevemente, nella stessa pubblicazione, d~i Maribios, a proposito dei cui stregoni riporta una notizia interessante:
«Oviedo ricorda un episodio nel centro maribio di Gaucama: un
cacique cui si rivolsero i genitori di un bambino che era scomparso,
disse che il sogno gli aveva rivelato che il piccolo era stato rapito da
due texores, specie di stregoni che si erano trasformati in grandi animali, uno bianco e uno nero, per mangiarlo. Il mattino seguente, testimonia Oviedo, si trovarono i resti del bambino ».
Castaneda fornisce numerose e interessanti informazioni non solo sugli straordinari fenomeni presentati dai. brujos yaquis, ma anche sulle
tecniche utilizzate per acquisire la conoscenza di uno stregone. Egli
infatti fu per oltre dieci anni apprendista stregone di Don Juan Matus,
un brujo di una comunità yaqui, che lo addestrò alle arti magiche.
L'esperienza di Castaneda è molto suggestiva; dopo aver conosciuto per
caso Don Juan, in una assolata stazione di autobus dell' Arizona meridionale e aver saputo che era uno yerbero (un esperto di piante medicinali), Castaneda aveva saputo che Don Juan era anche qualcosa di piÙ:
cioè un brujo, uno stregone, un depositario dei segreti del potere magico. Così iniziò il suo apprendistato che lo avrebbe condotto ad acquisire il potere magico, il potere di conoscenza, come lo stesso Don
Juan lo chiama. Sono molto interessanti le descrizioni del mondo concettuale degli stregoni yaquis e le loro interpretazioni «esoteriche»
della realtà. Castaneda ha sinora pubblicato cinque volumi sulla sua
straordinaria esperienza (Castaneda, 1968, 1971, 1972, 1974, 1977) i
primi tre dei quali, e il primo in particolare, sembrano essere molto piÙ
attendibili e convincenti degli altri.
Pur ammettendo che l'esperienza di Castaneda non è stata certamente l'unica (Boshier, già citato, fece la stessa esperienza in Africa, ve-
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PSI
E PRATICHE
MAGICHE
341
nendo iniziato sino al grado di stregone), questo etnologo peruviano
descrive in maniera molto efficace alcuni modelli concettuali del pensiero
magico e numerose pratiche magiche. Castaneda è stato comunque criticato. Richard De' Mille (1976) ha affermato che nelle opere di Castaneda l'apprendistato magico con Don Juan è stato del tutto inventato.
Comunque, le descrizioni di Castaneda (specialmente per quello che riguarda l'uso di droghe allucinogene per la stimolazione dell'ESP e alcune tecniche di Don Juan per trasformarlo in guerriero, prima, e in uomo
di con()scenza
-
o stregone -
poi), sembrano
avere un certo grado di
attendibilità. Seri dubbi vengono invece destati specialmente dalla sua
più recente opera (che in Italia è stata presentata come «romanzo»)
che descrive il suo agire da stregone.
Beattie (1963) riporta casi di stregoneria presso i Bunyoro e un lavoro di Belo (1960) è dedicato a fatti magici accaduti a Bali (stati di trance). Esistono numerose rassegne su fenomeni di conoscenza paranormale
nel corso di pratiche magiche. Relativamente all'Africa, all'Australia e
alla Giamaica, rispettivamente H. Trilles (1914), Elkins (1944) e Williams (1934) descrivono numerosi eventi di natura paranormale. Fatti
magici probabilmente implicanti eventi psi sono stati descritti da Huxley, relativamente ad Haiti (Huxley, 1969).
Un aspetto abbastanza importante del potere di conoscenza è la
sua relazione con sostanze allucinogene, o comunque droghe in grado,
in qualche modo, di stimolare questo «potere ». Esempi di questo tipo
sono ampiamente riportati dal già citato Castaneda (la prima parte del
suo noviziato consistè proprio nell'ingestione di droghe allucinogene stimolanti presumibilmente l'ESP). La Barre (1959) narra alcuni episodi
implicanti probabilmente la psi, rilevati presso indiani americani che
usavano abitualmente il peyotl, e Maè Govern (1927) afferma che l'ingestione di una sostanza allucinogena (una bevanda ricavata dalla Banisteripsis Caapi o ayahllasca) presso tribù amazzoniche sembra incrementare le capacità telepatiche, da lui indiscutibilmente rilevate. Un caso
di ESP in seguito all'ingestione di questa stessa droga è riportato da
Wilkins (1948): un colonnello brasiliano, sotto l'effetto di questa droga,
percepì la morte della sorella, a 2900 chilometri di distanza, fatto di
cui ebbe conferma un mese dopo. Kensinger (1973) studiando l'uso della
droga presso i Cashinaua del Perù, rilevò pure episodi di natura indiscutibilmente paranormale. Osterreich (1966) discute di trance e possessione - e della loro rilevanza per processi di conoscenza magica presso popoli primitivi.
Come si vede, esiste molto materiale sul problema del poter di conoscenza, la più abituale delle pretese magiche. Dai dati disponibili sembra che si possa affermare che in molte pratiche magiche siano implicate capacità psi di perèeiione extrasensoriale. Rispetto a questo materiale. sufficentemente vasto, esistono dati relativamente limitati invece
per ciò che riguarda la pretesa deI mago di poter modificare, con l'azione magica, il mondo.
342
GIOVANNI
lANNUZZO
Potere di azione
Una delle più documentate forme di questo presunto potere riguarda
la possibilità di realizzare guarigioni con mezzi presumibi1mente magici.
D. St. C1air (1971) riferisce in uno suo libro di episodi di guarigione
magica cui ebbe modo di assistere in Brasile, riportando tra l'altro un
caso riguardante un bambino di otto anni dai piedi ampiamente deformati. Un guaritore di nome Pa1merio li baciò e subito dopo il bambino,
che sino a pochi minuti prima si trascinava a stento a causa della sua
deformità, se ne andò camminando normalmente e coi piedi quasi normali nella forma. Eliade (1966) riporta numerosi casi di guarigione magica attribuibile agli sciamani e alle loro tecniche. Descrive casi di esperti sciamani che aprono il corpo di un individuo e «operano» senza
che in realtà si veda alla fine dell'operazione alcun segno di ferita. Alcuni sciamani inoltre sembrano essere in grado di aprirsi l'addome con
un coltello senza riportarne alcun danno. Sempre Eliade, nella stessa
opera, distingue tra la figura dello sciamano e dello stregone, a proposito dell'arte magica della guarigione. Uno degli aspetti più interessanti
di questa differenza è che lo sciamano, durante la trance che accompagna queste prestazioni, afferma di abbandonare il suo corpo. Altri
stregoni si dichiarano invece posseduti da spiriti. Lo sciamano è in grado
di controllare gli spiriti, ma non è posseduto da loro.
Questo aspetto del potere magico di sciamani e stregoni è in stretta
correlazione con il problema delle «guarigioni»
spirituali. Lo stesso
libro di Sto Clair fornisce un parere favorevole ai poteri terapeutici di
Zè Arigò, un discusso guaritore brasiliano apparentemente capace di
operare con mezzi di fortuna (come coltelli arrugginiti) senza alcun
danno per il paziente. Altri rapporti positivi sono quelli di Fuller (1974)
e soprattutto quello di Puharich (1974, 1975) che fornisce anche delle
personali esperienze. Tra l'altro Arigò affermava che, per tramite suo,
operasse lo spirito di un medico tedesco. Parere nettamente negativo su
Arigò è stato invece espresso da Ouevedo che ha a lungo studiato i
trucchi che potrebbero essere utilizzati in questo tipo di pratiche (Angela, 1978).
Una polemica ben più ampia sorse, qualche anno fa, nei confronti
delle pretese guarigioni prodotte dai notissimi «logurghi» delle Fili'ppine (chiamati anche curanderos) , apparentemente capaci di realizzare
vere e proprie operazioni chirurgiche semplicemente con le mani nude.
Alcuni rapporti su questo fenomeno (Valentine, 1973, e Sherman, 1967)
non forniscono alcuna prova della realtà di queste pratiche e non dimostrano in alcun modo che i «curanderos»
filippini siano in grado di
operare producendo ferite nel corpo del paziente che poi rimarginano
spontaneamente, alla fine dell'operazione, senza traccia alcuna di cicatrici. Nolan (1974) mette in luce l'evidente fraudolenza di queste pratiche, e l'italiano Granone ha evidenziato in queste pratiche l'esistenza
di trucchi (Granone, 1972). Sempre Granone (1973, 1975, 1976) ha
sost~nuto la presenza di capacità di guarigione paranormak in almeno
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PSI
E PRATICHE
MAGICHE
343
qualche guaritore-chirurgo, anche se è indiscutibile la frode perpetrata
con l'utilizzazione di trucchi di grande effetto.
Un problema che, più che quello delle « guarigioni» magiche - o
« spirituali» - interessa il presunto «potere d'azione» del mago, è
quello della padronanza del fuoco che, tra l'altro, è anche uno dei
fenomeni di questo tipo più diffuso, anche se, assai stranamente, la
maggioranza degli autori americani lo ha sistematicamente ignorato. Van
De Castle (che è il più noto esperto americano di review sui nessi tra
parapsicologia e antropologia) in una sua recente rassegna (Van De
Castle, 1977) ha citato un numero assai limitato di ricerche su questo
argomento. Inoltre la sua scelta è stata assai selettiva e parziale. Stupisce, nel lavoro in questione, per esempio, che Van De Castle non abbia
nemmeno citato un noto lavoro italiano sul problema, opera di Piero
Cassoli, citando invece lavori molto più vecchi e probabilmente meno
attendibili. Poiché Cassoli è anche membro della Parapsychological Association, una simile citazione sarebbe stata assai opportuna.
Stregoni, membri di particolari comunità o adepti di alcuni culti sembrano essere in grado di camminare sul fuoco senza ustionarsi. Gaddis
(1967) riporta numerosi casi di questo tipo. Un libro di Kenne (1949)
riporta un'esperienza compiuta all'Università delle Haway: 576 persone
passeggiarono su uno strato di carboni ardenti lungo quattro metri e
mezzo. Ad un'analisi compiuta alla fine dell'esperimento, soltanto nove
di essi mostravano segni di ustioni. Thompson (1894, 1895) riferisce
di una cerimonia detta Vilal'ilareivo durante la quale i membri del clan
Na ilankata dell'isola di Mbenga, nell'arcipelago delle Figi, hanno la
capacità di attraversare una fornace in virtù del loro potere sul fuoco.
Thompson descrive il luogo che i passeggiatori sul fuoco dovevano
attraversare: un fosso scavato in una piccola radura a poca distanza
dal mare, poco profonda e larga diciannove piedi. Grossi ceppi in fiamme e grosse pietre rotonde erano poste nella fossa sino a quando il
luogo della prova non era che: «un ammasso al calor bianco, da cui
sprizzavano piccole lingue di fiamme bianche, e il calore era così intenso che in confronto il sole bruciante costituiva un gradevole sollievo ».
Nella parte successiva della cerimonia venne spianato il fossato e cominciò la passeggiata. Venne anche fatta una prova empirica: una delle
pietre sulle quali i membri del clan avevano passeggiato venne messa
a contatto con un fazzoletto che si bruciò in quella parte che aveva toccato la pietra direttamente e s'ingiallì per il resto. I piedi dei camminatori, alla fine della cerimonia, erano invece intatti. È interessante notare che la capacità di non bruciarsi poteva essere contagiata, fatto,
questo, che si ritrova in numerose relazioni sui fenomeni e nella letteratura riguardante i fenomeni medianici.
Successivamente, Ocken (1898) constatò anch'egli questo fenomeno
nelle Figi e riportò più dettagliate informazioni concernenti per esempio
i valori della temperatura della fornace che i membri del clan dovevano
attraversare. Gudgeon (1899) constatò fenomeni di incombustibilità
nell'isola Bar~tonga, nell'arcipelago delle Cook ~ fec~ l~Ii stesso la prova
344
GIOVANNl
IANNUZZO
di attraversare la fornace senza riportarne alcuna ustione: egli attraversò
la fornace rovente insieme con alcuni suoi collaboratori e solo uno
rimase ustionato (gli europei che attraversarono la fornace erano quattro).
Henry (1893) descrive pure passeggiate sul fuoco compiute in Polinesia, ed alle quali parteciparono degli europei. Sayce (1933) osservò
nel Natal alcuni episodi di incombustibilità e rilevò anch'egli la possibilità che questa capacità fosse in qualche modo contagiosa. Roth (1933)
constatò pure questo fenomeno e notò nel suo studio che la temperatura
delle pietre era tanto elevata da carbonizzare l'estremità delle pertiche
con le quali le pietre venivano uniformemente sparse nel fossato. Fulton (1902) osservò passeggiate sul fuoco pure nelle isole Figi durante la
cerimonia dei Vilavilareivo e cercò di spiegare il fenomeno dèll'incombustibilità con le caratteristiche fisiche delle pietre che venivano utilizzate per riempire il fossato (che assorbivano, secondo l'autore, il calore
e lo irradiavano molto lentamente), interpretazione questa che è comunque contestata - per la sua limitatezza - da De Martino (1973). Su
questo problema sono state anche compiute due ricerche sperimentali
(Price, 1936; Brown, 1938).
In Italia, Cassoli (1958) si è occupato del problema della pirobazia
(dal greco: passeggiata sul fuoco) presso gli Anastenaridi, una setta religiosa greca la cui origine è avvolta dalla leggenda e sulla quale sono
stati compiuti numerosi studi relativamente alla presunta incombustibilità mostrata dai suoi membri nel corso di una tipica cerimonia religiosa
(Dimantoglou, 1953, Papachristodoulou, 1953, 1953a, 1953b; Tanagras,
1953, 1956; Gault 1954). La leggenda degli Anastenaridi ci viene così
raccontata dallo stesso Cassoli:
« Si narra che nel 1257, o press'a poco, nel villaggio di Kosti, nel
nord della Tracia, la piccola chiesa di San Costantino un giorno prese
fuoco. Kosti è abbreviazione di San Costantino. Mentre i poveri abitanti
del paese stavano ad assistere impotenti alla distruzione della loro chiesetta, udirqno dei sospiri lamentosi che provenivano dal fuoco. Poiché,
contandosi, si accorsero che erano tutti presenti, pensarono che fossero
le loro vecchie Icone che, di tra le fiamme, chiedevano aiuto. Si credeva, infatti che le Icone potessero, in certi momenti, parlare. Alcuni
volenterosi si buttarono nel fuoco, presero le otto Icone dalla Chiesa e,
so1;.togli attoniti sguardi dei villici, uscirono dalle fiamme senza che neppure un capello si fosse bruciato. Le Icone divennero proprietà privata
dei salvatori e furono trasmesse di generazione in generazione fino ad
oggi ».
Cassoli, sovvenzionato da un granI della Parapsychology Foundation,
osservò alcuni esempi di passeggiata sul fuoco. Così egli descrive una
delle cerimonie delle quali fu testimone:
« Si forma una coltre di brace viva di circa 10-15 cm. di spessore,
su una superficie di 14 piedi per 12. Nel buio, le braci brillano illuminando i visi di quelli che, come noi, circondano il braciere. Sto pensando tra me, e lo comunico ad alta voce ai miei compagni: "È impossibile
che entrino dentro a quella fornace. Ora succederà qp.alcosa per cui
FENOMENI
l'SI
E PRATICHE
MAGICHE
345
l'entrata sarà rimandata ad un momento più ragionevole". Non ho neppure terminato di concretare il mio pensiero che vedo Yavassin gettare
le scarpe, che erano state precedentemente slacciate, mentre altri pure si
cavano calze e scarpe. E immediatamente dopo lo vedo entrare a passo
tranquillo e ritmato di danza in mezzo a quel forno. Per attraversare il
braciere sono necessari sette passi. Subito lo segue una donna che entra
nel fuoco non pestando la brace, bensì strisciando i piedi sotto la coltre
ardente, sicché i tizzoni vengono a scorrerle sopra la caviglia, come tracciando un solco. Il suo procedere è lento e fa circa sei passi striscianti
sotto la brace prima di uscirne. Da quel momento è una sarabanda,
un'orgia indescrivibile che si svolge sotto i nostri occhi attoniti. Quattro sono le persone che si alternano sul braciere, due uomini e due
donne. Ad un tratto una giovane ragazza di venticinque anni circa si
cava le scarpe e, fra le evidenti preghiere della madre che tenta di dissuaderla, si getta anche lei sul fuoco. Parlare di esaltazione isterica, di
rito orgiastico, di possessione mistica, di furore della folla non è certo
troppo. Il tamburo, da ore, non ha interrotto il suo ritmo ossessionante,
anche le guardie vengono prese dall'esaltazione e, per allontanare dal
fuoco la gente che vorrebbe gettarvisi, usano mezzi quali solo una persona estremamente eccitata e incontrallata può usare (...). lo cerco di
convincermi che non ho sognato e che quello che ho veduto è proprio
vero. La mente mi si riempie di dubbi e di timori ».
Vi sono delle rassegne e degli studi a carattere para psicologico, sul
fenomeno dell'incombustibilità (Lang, 1900-1901; Stowell e Mahaluxmivala, 1927-1928; Thomas, 1934; Gibson, 1952 e Dimantoglou, 1952),
ed anche alcuni tentativi di interpretazione decisamente limitati.
Nonostante che esistano numerose prove dell'uso di pratiche fraudolente intenzionali, è certo che, almeno in alcuni casi, sciamani e stregoni utilizzino realmente capacità di psicocinesi per produrre fenomeni
di tipo magico. BogorHZ (citato in De Martino, 1973) descrive un caso
in cui assistette ad un fenomeno di probabile natura psicocinetica che
ebbe per protagonista una sciamana Chulchee:
«Dopo aver preso una larga pietra rotonda della grandezza di una
testa umana, la collocò sul tamburo e soffiando su essa da tutti i lati,
cominciò a borbottare e a russare al modo di uno "spirito". Essa richiamava la nostra attenzione mediante dei segni, poiché, essendo posseduta
dallo "spirito", aveva perduto la facoltà di parlare, e quindi prese a
spremere con entrambe le mani la pietra. Poi una colonna ininterrotta
di piccolissime pietre cominciò a cadere dalle sue mani. La cosa si
protrasse per buoni cinque minuti, fino a che non si formò un mucchio
giù sulla pelle. La pietra più larga, tuttavia, rimase liscia e intatta,
come era naturale che fosse. Sedevo vicinissimo alla prestigiatrice, e
non mi riuscì di scoprire la provenienza di queste pietre. Ma tutta la
parte superiore del suo corpo era completamente nuda, e accessibile
all'ispezione. Dopo alcuni momenti feci improvvisamente richiesta alla
sciamana di ripetere il trucco, per vedere di coglierla impreparata: ma
346
GIOVANNI IANNUZZO
essa subito prese la sua pietra, e ne fece prorompere un flusso di piccole pietre, tuttavia di maggiori proporzioni delle precedenti ».
Bogoraz è uno scettico e quindi la sua testimonianza è maggiormente
degna di fede. Cakaninkij riporta numerosi episodi comprovanti una
presumibile psicocinesi (citato in Ohlmarkr1, 1939). Gusinde ha pure
rilevato presunti fenomeni di psicocinesi presso gli stregoni Selk'nam
(opera citata). Jacolliot (1901) descrive invece la capacità di un fachiro
di poter muovere un pesante vaso di bronzo (presumibilmente per psicocinesi) in qualunque direzione gli fosse stata da lui indicata.
Alterazioni in un registratore e in una pellicola fotografica, indotte
volontariamente, sono riportate rispettivamente da St. Clair e Van De
Castle. Haraldsson e Osis (1977) hanno riportato le loro osservazioni
sui fenomeni psicocinetici di un leader religioso dell'India meridionale
che sembra in grado di poter produrre fenomeni di tipo PK piuttosto
evidenti (comparsa e scomparsa di oggetti).
Esistono alcuni casi di «potere d'azione» poco chiari, come per
esempio quello riportato, nell'opera citata, da Trilles a proposito di una
guarigione magica che, per molti versi, è decisamente inusuale; Trilles
riferisce di un caso di guarigione di febbre algida dovuta all'azione di
uno stregone che « trasferì » la febbre dal malato ad un albero:
« Il chinino si era dimostrato impotente. Lo stregone lo fece trasportare sotto un albero (Mpala) a larghe foglie, poi eseguì i passi rituali
dapprima sul malato, poi sull'albero. Subito le foglie di quest'ultimo
cominciarono ad agitarsi, poi ad attorcigliarsi e a cadere. Essudazione
abbondante del malato: all'indomani era guarito ».
In questo caso è presumibile che l'azione dello stregone sia stata
duplice: da un lato quella terapeutica, volta a guarire il malato di febbre algida; dall'altro, puramente psicocinetica, avente come « bersaglio »
le foglie dell'albero.
Una rassegna di lavori relativi ai meccanismi di azione delle guarigioni magiche (o meglio ai «presunti» meccanismi coinvolti in esse)
.
può ritrovarsi in Ehrenwald (1977).
Alcune ricerche sono state pure compiute su un argomento tipicamente magico, quello dei «sortilegi» e della «magia nera ». Il materiale disponibile è comunque limitatissimo. Cannon (1942) esamina il
problema delle morti per voodoo, ed ipotlzza che tali morti improvvise
non dovute ad alcuna causa specifica siano da imputare alla paura. Halifax-Grof discute di alcune cause, di natura 'fondamentalmente psicodinamica, che possono essere implicate nel fenomeno (Halifax-Grof,
1974). Queste interpretazioni concordano tra loro nel ritenere che gli
effetti dei sortilegi sarebbero provocati da fatti psicologici che agiscono
sulla vittima del sortilegio stesso, spesso causandone la morte. In questi processi può entrare in azione il sistema simpatico-adrenergico (Cannon), oppure il sistema parasimpatico (Halifax-Grof). Le interpretazioni disponibili si rivelano insufficenti, comunque, a spiegare il fenomeno.
Yn altr<? sconcertante aspetto del «potere d'azione» degli stregoni
FENOMENI
PSI
E PRATICHE
MAGICHE
347
è la capacità presunta di controllare gli eventi e gli elementi atmosferici.
Basti pensare alle danze della pioggia che avevano il compito di provvedere a mutare condizioni atmosferiche sfavorevoli in favorevoli per
la comunità. Le prove di questo presunto fenomeno sono abbastanza esigue. Boshier (opera citata) riporta un esempio di questo tipo di «potere », da lui rilevato durante il suo apprendistato magico:
« Un lunghissimo periodo di siccità aveva costretto quella gente (gli
indigeni presso i quali Boshier viveva, ndr) a dedicarsi nuovamente alla
caccia. Ormai la situazione era così tragica che si faceva di tutto per
scoprire le cause di una simile calamità. A questo scopo si rivolsero
anche a me e ne derivò una lunga discussione fra il capo e i suoi consiglieri, durante la quale io chiesi come mai nel corso del mio peregrinare
alla ricerca di pitture rupestri, avessi scoperto i tamburi tribali nascosti nel fondo di una caverna. La mia rivelazione fu seguita da una certa
costernazione, poiché la caverna era stata oggetto di un rituale magico
per impedire a chiunque di scoprirla o di entrarvi. Successivamente mi
dissero che i tamburi sacri erano stati nascosti in seguito alle minacce
fatte dai missionari europei alla fine dell'ultimo secolo. Quelli più anziani mi informarono che sarebbero stati più che felici di dportare fuori
i tamburi, a patto che io li assicurassi che il dio dell'uomo bianco non
si sarebbe vendicato. Inoltre, avevano bisogno di sangue per far rivivere l'antico cerimoniale. Feci loro rilevare l'assurdità di un sacrificio
umano, ma i miei timori furono immediatamente fugati da un vecchio
stregone il quale mi spiegò che la sua gente aveva abbandonato simili
pratiche già da lungo tempo; invece, avevano bisogno di altro sangue,
quello della madre terra. Quando mi offersi di procurar loro una certa
quantità di ematite, mi risposero con garbo che prima dovevano vedere
il materiale, dal momento che solo l'ocra impiegata dai loro antenati era
atta alla bisogna. Non avevo altra scelta che recarmi alle antiche miniere
dello Swaziland.
«
Nel giro di un mese tornai con un carico di ematite che fu gioio-
samente accettata, e così iniziarono i preparativi per una delle loro cerimonie più importanti. Essendo stato iniziato alla scuola di quei tamburi,
non mi è concesso descrivere il rituale nei suoi dettagli. A grandi linee
esso prevede il sacrificio di un bue al cui grasso viene mischiata l'ocra
macinata. Questo "sangue" è versato sui tamburi che vengono percossi
ininterrottamente dall'alba al tramonto, per tutta la durata della cerimonia. Mi fu detto che tutto ciò avrebbe definitivamente placato gli spiriti,
poiché essi non avevano mai rifiutato una simile offerta di sangue. E
qui devo sottolineare il fatto che la stagione delle piogge 1965-1966,
nel Transvaal settentrionale, fu una delle più propizie degli ultimi decenni: l'acqua cadde dal cielo a fiumi» (Boshier, 1974).
Conferma etnografica dell'esistenza di rituali magici specifici per placare la violenza degli eventi atmosferici (nella fattispecie le trombe marine) ci vengono dagli studi su alcuni aspetti del folklore siciliano. In
Sicilia esistevano dei rituali atti a « spezzare» le trombe marine; tali
ev~nti atmosferici sare~ber? infatti ~té\ti ~str~mamente df\nnosi per l'~c;()-
348
GIOVANNI
IANNUZZO
nomi a dei pescatori siciliani, oltre che estremamente pericolose per le
barche da pesca.
« Un evento temuto dai marinai, quando si trovavano in mare aperto, - scrive Losacco (1972) a proposito dei pescatori delle isole Eolie
- era la comparsa di qualche manica di cuda di rattu, cioè di una
tromba marina che avrebbe potuto rovesciare la barca e condurre tutti
alla morte. Lo scongiuro ritenuto valido perché la tromba si dissolvesse
era: forza del Padre, sapienzadel Figlio, virtù dello Spirito Santo ti taglio
manica che ti decanto. Era però grave peccato pronunciare queste parole quando l'evento si verificava, a meno che non fosse presente un prete
per assolvere subito l'incauto; occorreva invece impararle a memoria la
notte di Natale, al momento dell'elevazione, o il Venerdì Santo, ma si
potevano anche pronunziare la sera dell'Epifania. L'arciduca Luigi Salvatore racconta che un prete non volle concedere per molto tempo l'assoluzione al padre di uno dei suoi marinai che aveva pronunciato lo scongiuro ».
Non è chiaro quale fosse l'efficacia dello scongiuro (simili rituali
esistono tuttora), ma le tradizioni popolari assicurano che fosse davvero
notevole.
Quelle che abbiamo passato in rassegna sono le principali espressioni del potere d'azione del mago. Risulta chiaro che, mentre per quello
che riguarda il potere di conoscenza è abbastanza facile descrivere le
manifestazioni di questa «pretesa magica », per quello che riguarda il
potere d'azione, una descrizione precisa delle sue espressioni è molto
approssimativa. Se il mago vuole agire sul mondo ha molti modi per
farlo, o, comunque, molti più modi di quanti ne abbia per conoscerlo.
Non c'è dubbio che la manifestazione più clamorosa e affascinante
del potere d'azione magico sia il «sortilegio », ovvero la capacità di
modificare l'esistenza di altri esseri umani, nel bene o nel male, per
mezzo della magia. Su questo problema esiste una. mole estremamente
esigua di letteratura e di ricerche. Per quello che riguarda la Sicilia,
ho personalmente condotto alcune ricerche che non intendo esporre in
questo scritto. Da tali ricerche è evidenziabile una certa «tipologia»
del sortilegio, che si esprime in tre categorie fondamentali:
a) il « malocchio ». Non si tratta in questo caso di un procedimento
magico rituale, bensì di un procedimento magico «spontaneo », nel
senso che esso non riguarda individui che esercitino la professione di
mago, bensì la « capacità », posseduta da alcune persone, di danneggiare
un individuo semplicemente «desiderando»
di danneggiarlo. Sarebbe
troppo lungo (ed esulerebbe dagli scopi di questo scritto) descrivere le
origini di questa credenza. Tradizionalmente si ritiene che alcuni individui, per invidia, odio o altro, possano danneggiare le persone invidiate o odiate col semplice atto volitivo. Non trattandosi di un procedimento rituale, non si tratta di una espressione di potere magico d'azione. Non c'è dubbio che, comunque, il potere d'azione si basi su premesse concettuali simili, anche se tali premesse sono, in quei casi, ritualizzate. È invece magica o rituale l'azione con la quale i « maghI» rie-
FENOMENI
PSI
E PRATICHE
MAGICHE
349
scono a « togliere il malocchio », cioè a riequilibrare la situazione creata
da questi « influssi» per mezzo dell'annullamento dell'influsso stesso. È
facile dedurre che, a parte la fondamentale differenza rituale-non rituale
il principio magico che sta sotteso ad ambedue queste forme di «potere » è lo stesso. Su questo problema esiste una vasta letteratura etnologica.
b) La « fattura». In questo caso si tratta di un vero e proprio rituale
atto a danneggiare ritualmente una persona, per mezzo di una azione magica che è espressione del potere d'azione. L'origine di questa credenza
si perde nella notte dei tempi. Anche su questo argomento esiste una
vasta letteratura etnologica. La fattura è una pratica tradizionale di
magia nera che sfruttando le capacità del mago di modificare il mondo,
danneggia altre persone. Delle leggi magiche precise (quelle di magia
simpatica e contagiosa, per esempio) costituiscono il substrato concettuale di questa credenza.
c) Il « pignateddu ». È un'espressione tipicamente siciliana che probabilmente trova riscontro nelle tradizioni di altri paesi, anche se su
questo argomento non ho informazioni interculturali. Pignateddu è una
parola siciliana che significa « pentolino» ed indica il mezzo col quale
viene perpetrata l'azione magica: in altri termini si tratta dei filtri magici,
realizzati facendo ingerire all'individuo da «stregare» alcune pozioni
trattate magicamente che possono ottenere vari effetti: dal malessere alla
morte, all'alterazione delle capacità mentali e all'assoggettamento all'altrui volontà. È un tipo di sortilegio molto noto e diffuso, una variante
« alimentare» della fattura.
d) La « jettatura ». In questo caso il fenomeno non è tipicamente
magico. La jettatura è l'espressione di una capacità inconscia, inintenzionale, per la quale un individuo che sia dotato di questo poco invidiabile potere danneggia involontariamente le persone con cui viene a
contatto. Abitualmente confusa col malocchio, la jettatura se ne differenzia perché è del tutto non-intenzionale. Mentre chi «getta il malocchio » lo fa intenzionalmente per danneggiare un'altra persona, lo jettatore non ha alcuna intenzione di danneggiare altre persone, ma è la sua
stessa presenza a causare eventi negativi. Su questo fenomeno non esistono studi antropologici particolarmente degni di nota, né studi parapsicologici, a parte un capitolo di un libro di Rene Haynees (1970) e gli
studi ormai classici, ma aneddotici, di Tanagras. Esiste invece una vastissima letteratura psicologica e psicoanalitica che spiega questi fenomeni
come espressione di fattori psicodinamici specifici in coloro che credono
a queste capacità (vedi, per esempio, Servadio, 1961).
In un breve articolo pubblicato su una rivista popolare, Iannuzzo
(1981) ha esposto una possibile interpretazione paranormale di questi
fenomeni, anche se l'interpretazione psicoanalitica è in grado di spiegarli in maniera estremamente esauriente. In ogni caso, è impossibile
negare che per ognuno di questi fenomeni esiste una certa mole di
materiale aneddotico che pone in discussione la possibilità della presenza in essi di fattOli paranormali.
Abbiamo ritenuto opportuno citare queste «pretese» magiche in
350
GIOVANNI
IANNUZZO
questa rassegna per dare un quadro piÙ completo di quello che abbiamo
chiamato «potere d'azione ». Su questo aspetto del potere magico esistono informazioni molto limitate, cert'amente minori di quelle disponibili sul «potere di conoscenza ». È comunque indiscutibile l'apparente
evidenza aneddotica dei fenomeni di potere d'azione relativi alle pratiche di magia nera. Una documentazione non raccolta con criteri scientifici, ma certamente suggestiva per la sua spontaneità è possibile trovarla, per esempio in Cassoli (1974) e nella corrispondenza da lui tenu-
ta con i lettori di una nota rivista popolare
«<
Il Giornale dei Misteri »).
Sugli aspetti psicologici ed etnologici di queste pratiche esiste una vasta
letteratura.
Verso una parantropologia?
Le pratiche magiche sono state approfonditamente studiate da numerose scienze dell'uomo. Storici, etnologi, antropologi per non parlare di
psicologi e psicoanalisti, hanno dedicato lavori estremamente interessanti
al problema della genesi delle pratiche magiche e della persistenza di
esse nel mondo moderno. Modelli sociologici estremamente elaborati,
relativi ai moduli di pensiero magici e al loro impatto sociale sono stati
pure elaborati. Eppure tali ricerche e tali modelli si dimostrano in genere del tutto insufficenti come proposte interpretative di quell'affascinante segreto che è il « potere magico ». Questo problema è stato opportunamente sollevato da Ernesto De Martino:
« A'ppena lo studioso - scrive - si volge al mondo magico, nell'intento di penetrarne il segreto, subito si imbatte in un problema pregiudiziale dal quale dipende in sostanza l'orientamento e il destino della
ricerca: il problema dei poteri magici. Ordinariamente tale problema
viene eluso con molta disinvoltura, in quanto si assume come ovvio
presupposto che le pretese magiche ,siano tutte reali e che le pratiche
magiche siano tutte destinate all'insuccesso: onde sembra addirittura
ozioso sottoporre a verifica il presupposto, esi ritiene assai piÙ proficuo
stabilire come la magia possa sorgere e mantenersi ad onta della ovvia
irrealtà delle sue pretese e ad onta degli inevitabili insuccessi a cui sono
sottoposte le sue pratiche. Eppure proprio in questo presupposto "ovvio"
non meritevole di verifica si cela in realtà un intrecio di gravissimi
problemi, tralasciati e occultati da una pigrizia mentale così stranamente tenace da costituire per se stessa un problema» (De Martino,
1973).
Il problema che a questo punto si pone è quello di vedere se il
segreto del « potere magico» possa essere in qualche modo svelato dalla
parapsicologia. Se tra psi e potere magico non v'è alcun nesso, non esiste alcun crisma di attendibilità per ricerche convergenti tra parapsicologia e etnologia, altrimenti è necessario chiarire i termini della questione. Non v'è dubbio che le pratiche magiche possano essere interpretate
in termini di pratiche volte a produrre un effetto psi. Quello che abbiamo
chiamato il « potere di conoscenza» altro non è se non espressione tradi-
FENOMENI
PSI
E PRI\TlCHE
MAGICI-IE
351
zionale e popolare di quella che chiamiamo ESP, ed in tali termini può
essere interpretata. Più complessi sono i problemi posti da una interpretazione del potere d'azione, ma la sua spiegazione in termini di PK
o - come nei casi di sortilegio - di suggestione :inentale, può forse dare
qualche contributo alla risoluzione dei problemi posti dalla natura del
potere cosiddetto magico.
Esiste quindi non solo la possibilità, ma anche la necessità di una
convergenza tra parapsicologi& ed antropologia e). Sul problema generale dei rapporti t'l'a parapsicologia e antropologia esistono numerosi
contributi, relativi alla presenza della paranormalità presso culture primitive e alla importanza teorica di questo fatto. Weiant (1960) ha discusso di questo argomento, narrando pure qualche interessante aneddoto. Pobers ne ha discusso in un simposio della CIBA Foundation sulla
ESP, i contributi al quale furono raccolti in volume da Wolstenholme
e Miller (1956). La Parapsychology Foundation ha dedicato una delle
sue « conferences» ai rapporti tra parapsicologia e antropologia, a Londra nel 1974. Abbastanza recentemente inoltre, è stato pubblicato un
ponderoso volume curato da J. Long (1978) sull'argomento con alcuni
importanti contributi. Il volume contiene le relazioni presentate al
Rhine-Swanton Interdisciplinary Sympusium 01 Parapsychology and Anthropology, tenuto nel 1974 a Città del Messico. Le relazioni di questo
simposio occupano metà volume; la restante metà è dedicata ad altri
studi, non direttamente scritti da parapsicologi anche se il volume è assai
interessante. Ad esso sono state dedicate ampie recensioni da Reichart
(1978) e Barker (1979).
C'è insomma un certo fervore di interesse intorno ai rapporti tra
parapsicologia e antropologia, anche se queste ricerche sono poste in
secondo piano rispetto alla ricerca sperimentale. Eppure la ricerca parapsicologica sui fenomeni antropologici meriterebbe una maggiore attenzione, per il valore che essa può avere per la comprensione della natura
della psi.
Infatti, la ricerca sperimentale sulla psi, quella cioè che è stata pri"
vilegiata sino ad ora, ha dimostrato ben poco sulla natura di queste
capacità. Anzi, si deve onestamente ammettere che le ricerche nel campo
sono attualmente in profonda crisi. La scoperta del cosiddetto «effetto
dello sperimentatore» e) (per una rassegna vedere Kennedy e Taddo-
(1) È evidente che in questo scritto col termine
all'antropologia
culturale.
«antropologia»
ci si riferisce
(2) È stato definito «effetto dello sperimentatore»
l'azione psi che uno sperimentatore è in grado di esercitare sui risultati di un esperimento parapsicologico.
Poiché non conosciamo i limiti della psi, se ne deduce che uno sperimentatore
può influenzare, direttamente per psi, i risultati di un esperimento che in questo
modo dipenderebbe da lui molto più di quanto dipenda dai soggetti. Questa possibilità, naturalmente,
pone in crisi tutto il modello sperimentale in parapsicologia 'sperimentale, poiché non è più possibile distinguere il soggetto sperimentale
dallo sperimentatore.
352
GIOVANNI
IANNUZZO
nio, 1976) pone in crisi lo stesso modeUo sperimentale e non c'è dubbio
che l'espressione di Pratt, secondo la quale l'unica cosa che la parapsicologia abbia sinora accertato è che la psi esiste, ha un fondo di verità.
Sarebbe lungo (e alieno dagli 'scopi di questo scritto) analizzare perché
la ricerca sperimentale sulla psi ha faJ1ito fondamentalmente i suoi scopi,
ma sta di fatto che sempre con maggiore attenzione gli studiosi si rivolgono allo studio della psi spontanea, così come si manifesta nella vita
reale, per comprendere la reale natura di queste capacità. Nelle pratiche
magiche la psi si presenta secondo caratteristiche che non possono che
interessare chi si occupa della psi spontanea; ci si trova di fronte, infatti,
ad una gran serie di eventi: a parte i fondamentali concettuali di magia
e stregoneria, maghi e stregoni sembrano in grado di utilizzare la loro
ESP per e&pletare il loro « potere di conoscenza ».
Allo stesso modo sembrano essere in grado di utilizzare la loro PK
per esercitare il loro potere d'azione. C'è da chiedersi anzitutto se questo sia realmente possibile, e, casomai lo fosse, come un mago utilizza la
sua psi, come la stahilizza, quali tecniche usa a questo scopo e quali
sono i limiti delle sue capacità e le modalità di tali azioni. Stabilite che
siano almeno un certo numero delle citate questioni, esse potrebbero essere
rapportate alle modalità d'uso della psi nelle società acculturate, ai fenomeni spontanei rilevati in esse, alle manifestazioni psi in genere. Inoltre simili ricerche potrebbero fornire un supporto interdisciplinare ad
ulteriori ricerche parapsicologiche. In un mio articolo (Iannuzzo, 1980)
discussi alcune questioni relative all'importanza di ricerche parapsicologiche su eventi magici abitualmente di pertinenza antropologica. Poiché
il mio pensiero in merito non è mutato, riporto quanto allora scrissi:
«Le ricerche compiute indicano, inoltre, decisamente, che le prevenzioni dell'antropologia tradizionale nei confronti delle pratiche magiche sono del tutto ingiustificate. A questo punto il discorso interessa
maggiormente' l'antropologo di quanto possa interessare il parapsicologo.
Se l'antropologia -
come diceva la Mead
-
studia il comportamento
dei 'popoli nella loro terra, deve studiare anche la paranormalità di quei
popoli, il modo in cui ne influenza i costumi sociali. Se gli antropologi
accettassero questo punto di vista, ne verrebbe fuori un'immagine rivoluzionariadella struttura delle società primitive, nelle quali, per esempio,
il ruolo dello stregone non sarebbe quello di un ciarlatano che adempie
ad una funzione sociale precisa, bensì quello di un sensitivo che adopera la psi in funzione sociale. Le teorie, secondo le quali la psi può'
avere una utilizzazione pratica o influenzare il nostro modo di vivere,
potrebbero esserne rafforzate. Si potrebbe inoltre evidenziare quanto la
psi influenza la vita sociale di gruppi primitivi. La scelta di una sorgente
di un territorio di caccia, di un'erba medicinale è dovuta a fatti casuali
o all'azione dell'ESP? E quanto la cultura tradizionale di tali gruppi è
stata condizionata dalla psi? Numerosi parapsicologi sottolineano con
insistenza l'importanza che i fenomeni psi hanno nella vita di tutti i
giorni. Questa acquisizione sembra valida per tutti i gruppi umani, anche se di diversa cultura, e, probabilmente, anche per gli animali. Pos-
FENOMENI
PSI
E PRATICHE
353
MAGICHE
sono però esistere delle differenze relative al grado di evoluzione di una
cultura.
Presso le società primitive, per esempio, la paranormalità si presenta
secondo gli stessi "modelli" e con le stesse caratteristiche con cui la conosciamo in Occidente? Forse che strutture sociali più complesse, civilizzazione, organizzazioni maggiormente articolate modifichino alcuni aspetti della dinamica della paranormalità? D'altra' parte è ben noto che
esist~ una notevole differenza tra la psicologia di membri di culture
progredite e quella di membri di culture primitive. Non potrebbe essere
la stessa cosa per la paranormalità? ».
A tutti questi quesiti potrebbe rispondere una nuova disciplina che
vorrei qui definire « parantropologia», nel significatogreco di « che sta
oltre l'antropologia ». Una definizione di questa nuova branca della parapsicologia potrebbe essere: scienza che studia quegli aspetti della vita
sociale, della cultura e delle tradizioni popolari che hanno aspetti presumibilmente paranormali o che possono in qualche modo essere connessi
ai fenomeni psi.
Non è questa la sede per discutere i principi metodologici di questa
branca della parapsicologia e nel contempo dell'antropologia, o i suoi
fondamenti filosofici e concettuali. Vorrei qui invece dire che una disciplina con tali caratteristiche potrebbe dare fondamentali contributi alla
comprensione della psi, affiancandosi, come disciplina metodologicamente ed epistemologicamente autonoma alla parapsicologia sperimentale.
Più strettamente connessa al filone delle scienze umane, una "«parantropologia» potrebbe indagare, infatti, alcuni aspetti della psi (in
soggetti che la adoperano abitualmente, per professione, o in soggetti
che ne sono dotati senza adoperarla professionalmente, presso diverse
culture caratterizzate da orientamenti diversi nei confronti della realtà
e del mondo) che non sono indagabili dalla parapsicologia sperimentale.
Certamente, andrebbe più approfonditamente discussa la base concettuale di una simile disciplina, e i suoi fondamenti filosofici, ma la possibilità di indagare la psi nei suoi aspetti culturali è realmente carica
di implicazioni per la parapsicologia e degna di considerazione.
Questa rassegna ha voluto discutere di alcuni contributi al problema
di una interpretazione
psi delle credenze
e delle pratiche
magiche
-
alla luce delle attuali ricerche interdisciplinari di parapsicologia e antropologia - ed ha inteso fornire alcuni spunti di riflessione e alcuni suggerimenti per una discussione epistemologica. Forse è giunto il momento di riflettere sull'opportunità di dedicare a ricerche sino ad oggi
fondamentalmente trascurate (o considerate con sufficenza) una specifica
attenzione scientifica e una concreto autonomia filosofica e metodologica. Sarebbe auspicabile un dibattito su questo problema. A quasi un
secolo dalla fondazione della Society for Psychical Research, una riflessione critica su questo aspetto della ricerca parapsicologica potrebbe rivelarsi oltre che utile, necessaria.
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SUMMARY
The Autor analyses the possibility of the presence of psi-factors in «magic
practices »; he devides magie practices into two fundamental
categories: une
related to a «power of knowledge », whieh would allow the magician to know
the world through magie; the other related to a «power or action », which would
allow the magician to act on the world through magie. The AutoT brings a wide
review of parapsychological
and anthropological
contributions
to the problem;
he emphasizes the importance of these researches fOl: the understanding
of nature
of «psi» and suggestes they could become object or study by a new branch of
parapsychology, para-anthropology, which could investigate the «cultural»
aspects
of psi through a wide convergency between parapsychology and anthropology.
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