Un nuovo modello di resistenza agli antibiotici che sta

Medicina
Il nemico
dentro
Darren Braun
Un nuovo modello di resistenza agli antibiotici
che sta diffondendosi a livello globale potrebbe
lasciarci presto senza difese contro un gran numero
di pericolose infezioni batteriche
58 Le Scienze
514 giugno 2011
di Maryn McKenna
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Le Scienze 59
A
Maryn McKenna è una giornalista scientifica free-lance. Ha raccontato epidemie
della maggior parte dei continenti. È l’autrice di SUPERBUG: The Fatal Menace of
MRSA (Free Press, 2010) e di Beating Back the Devil: On the Front Lines with the
Disease Detectives of the Epidemic Intelligence Service (Free Press, 2004).
ll’inizio dell’estate 2008, Timothy
Walsh dell’Università di Cardiff, in Galles, ricevette una mail da
un suo conoscente, Christian Giske, medico del Karolinska Institut.
Giske aveva in cura un uomo di 59 anni ospedalizzato a gennaio
2008 ed era preoccupato da un batterio che una normale coltura
aveva inaspettatamente mostrato nell’urina del paziente. Walsh dirigeva un laboratorio di genetica della resistenza batterica agli antibiotici, e dunque poteva dare un’occhiata a quel germe.
Dopo molte analisi Walsh scoprì che si trattava di Klebsiella
pneumoniae, un batterio che nei pazienti ospedalizzati è una delle
cause più frequenti di polmoniti e infezioni ematiche. Quel ceppo,
però, aveva un gene mai osservato da Walsh. Il gene rendeva Klebsiella, già resistente ad antibiotici usati in casi critici, insensibile
all’ultimo gruppo di sostanze che si era dimostrato affidabile e sicuro: i carbapenemi. L’unico farmaco che mostrò qualche effetto fu
la colistina, il cui uso era stato interrotto da anni a causa di effetti tossici sui reni. Walsh chiamò l’enzima prodotto da questo gene
New Delhi metallo-beta-lattamasi, o NDM-1, dalla città in cui l’uomo aveva contratto l’infezione prima di ritornare in Svezia.
Walsh pensò che probabilmente c’erano altri casi, e insieme a
Giske cercò di rintracciarli. Nell’agosto 2010 pubblicarono i risultati su «Lancet Infectious Diseases»: avevano scoperto 180 soggetti portatori del gene. NDM-1 era distribuito in Klebsiella in India e
in Pakistan, e si era già diffuso nel Regno Unito portato da persone
che avevano viaggiato in Asia meridionale per cure mediche o per
visitare amici e parenti. La brutta notizia era che in alcuni casi si
era diffuso a un genere batterico diverso: da Klebsiella a Escherichia coli, che vive nell’intestino di ogni organismo a sangue caldo
ed è diffuso nell’ambiente. Quel trasferimento fece ipotizzare che il
gene non rimaneva confinato alle infezioni ospedaliere, ma si spostava nei batteri dell’intestino, diffondendosi con strette di mano,
baci e maniglie di porte senza essere scoperto.
C’era anche un’altra possibilità: il delicato equilibrio fra batteri
e farmaci, messo in moto nel 1928 con la scoperta della penicillina, cominciava a pendere in modo definitivo dalla parte dei batteri, e molte infezioni letali tenute a bada per decenni dagli antibiotici avrebbero potuto colpire di nuovo.
Altro modello di resistenza
La fine del miracolo operato dagli antibiotici non è un argomento nuovo. Da quando ci sono gli antibiotici, c’è l’antibioticoresistenza: il primo batterio resistente alla penicillina fece la sua
comparsa addirittura prima che questo antibiotico venisse messo
O r i g i n e d i u n b at t e r io c at t i v o
La roulette della resistenza
L’uso costante di antibiotici, che favorisce la resistenza ai farmaci in numerose specie batteriche, ha prodotto una nuova, tremenda minaccia. Il nuovo ceppo, descritto
nella figura qui sotto, ha avuto origine da alcuni batteri del genere Klebsiella portatori del gene KPC, che li ha resi insensibili ad antibiotici noti come carbapenemi. Due cicli di trattamenti inefficaci hanno spianato la strada alla proliferazione di batteri portatori del gene KPC. Fatto ancora più preoccupante, come mostrato a destra, Klebsiella e
altri batteri gram-negativi condividono facilmente geni KPC e altri geni di resistenza, il
che potrebbe renderli impermeabili a tutti i farmaci.
in commercio, negli anni quaranta. E per quasi tutto quell’arco di
tempo i medici avevano lanciato l’allarme riguardo il rischio di restare senza farmaci a causa dalla diffusione globale di organismi
resistenti alla penicillina negli anni cinquanta, proseguita con la
resistenza alla meticillina negli anni ottanta e con quella alla vancomicina negli anni novanta.
Questa volta, però, la previsione di una catastrofe post-antibiotica arrivava da una parte diversa del mondo microbico. I geni
che danno resistenza ai carbapenemi, non solo quello che codifica per NDM-1, sono comparsi negli ultimi dieci anni in un gruppo
di batteri chiamati gram-negativi. Questa denominazione indica la
risposta a una colorazione che riguarda la membrana cellulare. Il
suo significato però è più complesso. I batteri gram-negativi sono
promiscui: possono scambiarsi frammenti di DNA, quindi un gene per la resistenza comparso, per esempio, in Klebsiella può diffondersi velocemente in E. coli, Acinetobacter e altre specie gramnegative. Al contrario, i geni dell’antibiotico-resistenza dei batteri
gram-positivi tendono a raggrupparsi nella stessa specie. I batteri
gram-negativi sono più difficili da eliminare con gli antibiotici,
perché hanno una membrana a doppio strato difficile da penetrare anche per i farmaci più potenti, e hanno particolari difese cellulari. Inoltre ci sono meno opzioni per combatterli. Attualmente
le aziende farmaceutiche producono un piccolo numero di nuovi
antibiotici, addirittura per i batteri gram-negativi non c’è nessun
nuovo composto in produzione. Complessivamente, questa sfortunata coincidenza di elementi potrebbe diffondere il disastro dai
centri medici a comunità più vaste.
La resistenza ai carbapenemi ha già causato infezioni in ambiente ospedaliero, come nel caso del paziente svedese infettato
da Klebsiella, quasi incurabile. Oltre ai carbapenemi, i medici hanno a disposizione pochi altri farmaci (alcuni risalgono al periodo
dei primi antibiotici), incapaci però di raggiungere tutti i nascondigli dei batteri nell’organismo o con effetti collaterali tanto gravi da
non poter essere usati con sicurezza.
Anche se le infezioni collegate all’assistenza sanitaria sono difficili da curare, di solito si scoprono perché i pazienti – anziani,
persone debilitate o in terapia intensiva – sono sotto stretta osservazione. Lo scenario che fa trascorrere notti insonni alle autorità sanitarie prevede una diffusione silente di geni in grado di
conferire resistenza ai carbapenemi in batteri che causano malattie quotidiane come E. coli, che oltre a essere molto diffuso è responsabile della stragrande maggioranza delle infezioni del tratto
urinario. Walsh fa l’esempio di una donna che va dal medico per
K. pneumoniae
resistente
60 Le Scienze
particolarmente preoccupante
perché questi batteri sono molto
diffusi e si scambiano facilmente i
geni. Inoltre, ancora non è stato
sviluppato alcun nuovo farmaco per
combattere questi microrganismi.
Questo insieme di fattori implica
che molte persone negli ospedali e in
comunità più grandi potrebbero
morire a causa nuove e incurabili
infezioni ematiche, del tratto urinario
e di altri tessuti.
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Plasmide
K. pneumoniae
Enzima KPC
Primo ciclo
di antibiotic
o
Antibiotico
Un trattamento esteso favorisce
i ceppi resistenti
In un ambiente inondato dagli antibiotici, come le unità di terapia
intensiva, riescono a sopravvivere e quindi a moltiplicarsi solo
batteri con geni che conferiscono resistenza. Nell’immagine
qui sopra, il gene KPC ha codificato per un enzima (verde)
che attacca l’antibiotico carbapeneme (arancione), addirittura
prima che il farmaco attraversi lo strato esterno della doppia
membrana del batterio.
Secondo ciclo di antibiotico
E. coli
E. coli resistente
Copia del gene
per KPC
La resistenza si diffonde
alle altre specie batteriche
Il gene KPC che conferisce resistenza ai carbapenemi si trova
su filamenti circolari di DNA, i plasmidi, esterni al cromosoma
cellulare. Durante la riproduzione sessuale batterica, due cellule
formano un ponte, consentendo al plasmide e ai suoi geni di
trasferirsi da una cellula all’altra. I batteri gram-negativi sono
abili in questo tipo di trasferimento, che permette a cellule mai
trattate con antibiotici di diventare resistenti. La resistenza KPC
aumenta la sua pericolosità quando si trasmette a E. coli
e ad altri batteri gram-negativi che causano infezioni comuni.
Bryan Christie
carbapenemi, un gruppo di antibiotici
visti come «ultima risorsa». Due dei
più importanti geni di resistenza sono
indicati come NDM-1 e KPC.
La resistenza ai carbapenemi
nei batteri gram-negativi è
Cromosoma
batterico
K. pneumoniae resistente
(portatore del gene KPC)
In breve
In un gruppo di batteri indicati
come gram-negativi è emersa una
resistenza che minaccia di rendere
incurabili molte infezioni comuni.
In particolare, alcuni geni
conferiscono resistenza ai
Gene per KPC
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Le Scienze 61
Perdere l’aiuto degli antibiotici
Il conflitto in atto da 83 anni fra batteri e farmaci creati per distruggerli si colloca a metà strada fra un gioco del tipo «tiro al bersaglio» e una strategia di distruzione totale. Per quasi ognuno degli
antibiotici prodotti fino a oggi, i batteri hanno sviluppato un fattore di resistenza che li protegge dall’attacco dei farmaci. Per quasi ognuno dei fattori di resistenza le aziende farmaceutiche hanno
prodotto un farmaco più aggressivo. Fino a oggi, appunto.
Nel corso dei decenni il conflitto si è spostato a favore dei
batteri, come un’altalena che lentamente si allontana dal suo pun- Scoprire una minaccia nascosta
to d’equilibrio. In fondo, i batteri hanno l’evoluzione dalla loro
Quando Walsh e Giske hanno pubblicato i risultati relativi a
parte: impiegano 20 minuti per dare vita a una nuova genera- NDM-1 su «Lancet Infectious Diseases», l’articolo suscitò un clazione mentre ai ricercatori servono dieci anni o più per svilup- more immediato. I funzionari sanitari indiani gridarono allo scanpare un nuovo farmaco. Inoltre, qualsiasi uso
dalo, affermando che i medici occidentali, spinti
Senza lo sviluppo dall’invidia, stavano cercando di minare la fiodi antibiotici, anche quello ragionevole, causa
resistenza, sollecitando quella che è chiamata
di nuovi farmaci rente industria del turismo medico del Subconpressione selettiva. In genere, solo pochi batteri
tinente indiano.
in grado di
con mutazioni casuali favorevoli sopravvivoLa scoperta della KPC invece non provocò alno all’attacco di un antibiotico. Questi batteri sconfiggere i nuovi cun tipo di fermento. Arrivò silenziosa, in uno
si riproducono, occupando lo spazio vitale che
delle centinaia di campioni raccolti nel 1996 in
ceppi di batteri
l’antibiotico ha liberato uccidendo i fratelli senospedali statunitensi. Il progetto per cui erano
sibili, e trasmettono i geni che li hanno protetstati prelevati i campioni si chiamava Intensiresistenti
ti. (Ecco perché è importante fare un ciclo comCare Antimicrobial Resistance Epidemiology
potremmo dover ve
pleto di antibiotici: per eliminare tutti batteri
(ICARE) ed era un’iniziativa comune dei Centers
convivere per
che causano un’infezione, non solo quelli più
for Disease Control and Prevention (CDC) e della
sensibili). Ma la resistenza non si diffonde solo
University. ICARE doveva monitorare il
lungo tempo con Emory
per via ereditaria. Scambiandosi frammenti di
modo in cui erano usati gli antibiotici nelle uniil rischio di
DNA, i batteri possono diventare resistenti sentà di terapia intensiva e in altri reparti ospedaza essere esposti a farmaci.
contrarre infezioni lieri, nella speranza di capire dove avrebbe poÈ possibile osservare un modello di resistentuto emergere un nuovo organismo resistente.
impossibili
za-che-vince-il-farmaco-che-vince-la-resistenIn un campione inviato da un ospedale del
za nell’evoluzione di Staphylococcus aureus, un
North Carolina fu trovato Klebsiella. Non era
da curare
batterio gram-positivo: inizialmente insensibiinusuale. Klebsiella provoca una comune infele alla penicillina, poi alle penicilline sintetiche – inclusa la meti- zione ospedaliera, a causa di una conseguenza quasi inevitabile
cillina, per cui è stato chiamato MRSA (acronimo da Methicillin- dei trattamenti intensivi a cui vengono sottoposti i pazienti: elevaresistant Staphylococcus aureus) – poi alle cefalosporine come il te dosi di antibiotici a largo spettro distruggono l’ecologia del tratKeflex e infine alla vancomicina, potente farmaco usato come ul- to intestinale, e causano diarrea che contamina l’ambiente circotima risorsa. I batteri gram-negativi hanno seguito uno schema si- stante, i pazienti e le mani di medici e infermieri che li curano. «Se
mile, inattivando penicilline, cefalosporine, macrolidi (eritromici- pensiamo a un paziente in un’unità di terapia intensiva, sedato, in
na e azitromicina, o Zithromax) e lincosamidi (clindamicina). Ma ventilazione forzata, ci rendiamo conto che non può alzarsi e anfino a poco tempo fa i carbapenemi eliminavano anche le infezio- dare in bagno», spiega Arjun Srinivasan, direttore dei programmi
ni più resistenti in maniera sicura e affidabile, rendendo questi an- di prevenzione dei CDC per le infezioni associate alle cure sanitatibiotici l’ultima risorsa per i batteri gram-negativi, la barriera fi- rie. «Se sono incontinenti, il personale dovrà pulirli. Molti strunale che separa le infezioni curabili da quelle non curabili. Erano a menti si trovano vicino al paziente e ci sono numerose superfici
buon mercato e a largo spettro, cioè erano efficaci contro numero- che potrebbero contaminarsi».
si organismi, oltre che estremamente potenti.
L’infezione da Klebsiella in un’unità di terapia intensiva non era
Potremmo trovare una via d’uscita con un’altra classe di anti- stata una sorpresa, mentre lo era stato il risultato delle analisi. Cobiotici, almeno fino a quando i batteri non ci raggiungeranno di me atteso, il campione del North Carolina era resistente a una lunnuovo. Ma se nei prossimi dieci anni non ci sarà all’orizzonte una ga lista di antibiotici, inclusa la penicillina. Ma il campione era renuova classe di farmaci capaci di eliminare questi recentissimi su- sistente anche a due carbapenemi, imipenem e meropenem, a cui
pergermi, potremmo dover convivere con il rischio di molti tipi di Klebsiella aveva sempre risposto. Il campione non era totalmeninfezioni incurabili per un tempo particolarmente lungo.
te resistente, ma i risultati dei CDC indicavano che sarebbero sta«È stato difficile scoprire nuovi composti attivi contro i batteri te necessarie dosi elevate di carbapenemi per curare un’infezio-
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E p i d e m iolo g i a
gram-negativi e al tempo stesso non tossici per la salute umana»,
afferma David Shlaes, medico e consulente per lo sviluppo di farmaci. «Con un antibiotico tentiamo di uccidere qualcosa dentro di
noi, senza farci del male. Quando ci si pensa, è stimolante». L’ultimo nuovo antibiotico autorizzato per infezioni causate da batteri
gram-negativi è stato il doripenem, un carbapeneme approvato
dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 2007.
La situazione sarebbe già abbastanza grave se si limitasse alle poche centinaia di casi portatori del gene NDM-1 scoperti fino a
oggi. Ma negli ultimi cinque anni un altro gene che conferisce una
resistenza simile grazie all’enzima KPC, cioè Klebsiella pneumoniae
carbapenemasi, si è diffuso sul pianeta. E sembra seguire il modello degli organismi resistenti alla penicillina degli anni cinquanta, e
dagli MRSA degli anni novanta: all’inizio provoca epidemie in pazienti ospedalieri vulnerabili, e poi si diffonde nella comunità.
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Minaccia globale
Nei quattro anni successivi al primo isolamento del gene KPC in uno sconosciuto ospedale del North Carolina, nessuno fu in grado di
trovare alcuna prova della sua diffusione.
Ma una volta che i batteri portatori del
gene hanno innescato epidemie in diversi ospedali di New York, l’assalto
era ormai in atto. Questi batteri viaggiarono velocemente verso Francia,
Colombia, Canada, Grecia e Cina.
Un’epidemia scoppiata in Israele si
è diffusa in Regno Unito, Norvegia,
Italia e diversi altri paesi europei.
North Carolina, 1996
New York, 2000
Parigi, 2005
Casi successivi
Stati dove nel 2010 è stata
confermata la resistenza
KPC (37 in totale)
ne. L’enzima che dava quella resistenza attaccava i carbapenemi
prima che potessero attraversare la membrana interna della parete cellulare.
Prima di allora non era mai stato osservato uno schema di resistenza come quello della KPC. Quindi gli epidemiologi iniziarono a
lavorare al problema con una sgradevole sensazione di allarme. «Si
trattava di un nuovo genere di resistenza, ma quando hai a disposizione solo un unico campione non è possibile prevedere quanto
potrebbe diventare comune», afferma Jean B. Patel, vice-direttore dell’ufficio dei CDC che si occupa di resistenza antimicrobica. «E
per lungo tempo non ci furono altri campioni simili a quello».
Epidemia a New York
George Retseck
quella che sembra una semplice cistite. Non essendoci i presupposti per sospettare una resistenza agli antibiotici, il medico prescriverebbe farmaci che non sono più efficaci, mentre la diffusione
dell’infezione potrebbe procedere senza ostacoli lungo il tratto urinario fino a raggiungere reni e, con conseguenze devastanti, sangue. «Non avremmo niente con cui curarla», conclude.
Per diversi anni il campione di Klebsiella del North Carolina rimase un inquietante caso fortunato. Poi, nel 2000, alcuni pazienti ricoverati in quattro unità di terapia intensiva al Tisch Hospital
del Langone Medical Center dalla New York University, a Manhattan, svilupparono infezioni da Klebsiella insolitamente aggressive
e resistenti a quasi tutte le classi di farmaci che un medico di terapia intensiva avrebbe voluto usare. Era la prima volta che i medici
della New York University osservavano infezioni resistenti ai carbapenemi. Quattordici pazienti svilupparono polmoniti, infezioni
chirurgiche e setticemie altamente resistenti ai farmaci, e altri dieci risultarono portatori asintomatici del germe KPC. Otto di quei 24
pazienti morirono. Le analisi mostrarono che quel Klebsiella aveva
lo stesso gene KPC del North Carolina.
Presto l’ospedale avrebbe capito quanto era difficile contenere quel batterio resistente. Con un numero così elevato di farmaci inefficaci, l’unica opzione era il vecchio protocollo che prevedeva una rigorosa pulizia per essere certi che il batterio resistente
non si diffondesse sulle mani di inconsapevoli operatori sanitari. Il
Langone Medical Center mise i pazienti infetti in isolamento, chiedendo a chiunque entrasse nelle loro stanze di indossare camici e
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guanti e controllando che le persone si lavassero e disinfettassero
le mani. Quando queste misure non furono più sufficienti, le soluzioni di lavaggio usate nelle unità di terapia intensiva furono sostituite. E quando le infezioni tornarono alla carica i medici si concentrarono sulla cura dei pazienti infetti, scoprendo che alcuni con
infezioni del tratto urinario erano stati colpiti da schizzi durante il
cambio delle sacche in cui l’urina era raccolta: gli schizzi avevano
contaminato anche gli operatori sanitari e l’ambiente. Ci volle un
anno per riprendere il controllo dell’epidemia.
Due anni dopo lo stesso batterio altamente resistente comparve chissà come negli ospedali di Brooklyn, mostrando ancora una
volta quanto possa essere difficile contenere Klebsiella portatrice
del gene KPC. Un ospedale scoprì due pazienti infetti nell’agosto
2003, li mise in isolamento e iniziò le procedure per il controllo
dell’infezione. Tuttavia, dalla fine del febbraio 2004 furono diagnosticati 30 nuovi casi che si diffusero in tutta la struttura. Un
altro ospedale identificò un paziente nel dicembre 2003, ne scoprì altri due nel febbraio 2004 e alla fine di maggio alla lista si aggiunsero altri 24 pazienti, nonostante gli sforzi aggressivi per bloccare la diffusione del batterio.
I batteri portatori del gene KPC si diffusero all’Harlem Hospital,
dove nella primavera 2005 causarono un’epidemia di sette setticemie a cui sopravvissero solo due pazienti. Questi batteri arrivarono
anche al Mount Sinai Medical Center, dove i ricercatori testarono
tutti i pazienti ricoverati nelle tre unità intensive sperando di capire le cause della rapida diffusione dell’epidemia. Ciò che scoprirono aiutò a spiegare perché i batteri stavano diventando un problema. Il 2 per cento dei pazienti nelle unità intensive era portatore
del ceppo resistente: non manifestavano i sintomi, ma costituivano un rischio infettivo per gli altri.
Gli ospedali di New York erano diventati terreno fertile per i
batteri resistenti, un evento che i numeri nazionali confermarono.
Nel 2007 il 21 per cento dei campioni di Klebsiella raccolti a New
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geciclina, un farmaco più recente, e alla colistina, già in uso da
un decennio. La tigeciclina, messa in commercio nel 2005, è stato il primo di una nuova classe di antibiotici chiamati glicilcicline.
Visto che in passato i batteri non hanno sperimentato il meccanismo di azione di questo antibiotico, non hanno ancora sviluppato una resistenza significativa nei suoi confronti. Ma la tigeciclina non si diffonde bene nel sangue o nella vescica, e ciò la rende
inefficace per infezioni ematiche e del tratto urinario causate dalla KPC e dalla NDM-1. (Inoltre, lo scorso anno la FDA ha aggiornato le informazioni riportate nei foglietti illustrativi dell’antibiotico, con un avvertenza relativa al fatto che per alcuni pazienti con
infezioni gravi aumenta inspiegabilmente il rischio di decesso). La
colistina, invece, appartiene a una piccola classe di farmaci chiaDiffusione mondiale
mati polimixine, che risale agli anni quaranta. Anche la colistina
Da New York, il ceppo di Klebsiella portatore del gene KPC si ha controindicazioni: oltre a danneggiare i reni, non riesce a penediffuse in altre aree degli Stati Uniti. All’inizio fu scoperto in zo- trare bene nei tessuti. Questi problemi hanno impedito per decenne dove spesso i newyorkesi si recano e dalle quali tornano – New ni a questo antibiotico di essere usato in modo diffuso, e potrebbero averne conservato l’utilità così a lungo; negli ultimi anni però
Jersey, Arizona e Florida – poi molto più lontano.
La resistenza ai carbapenemi non è una malattia da segnalare l’aumento dell’uso di colistina ha prodotto anche un aumento delalle autorità sanitarie, il che significa che se un laboratorio di ana- le resistenza nei suoi confronti.
Oltre a tigeciclina e colistina, però, non ablisi scopre un ceppo del genere non è obbligato
L’Organizzazione biamo quasi nulla. Tra il 1998 e il 2008, la FDA
a informarne le autorità. Perciò l’ampiezza gloha approvato 13 nuovi antibiotici. Solo tre avebale della diffusione del gene KPC non è nomondiale della
vano nuovi meccanismi di azione, cioè qualche
ta. Nel 2009, però, metà degli ospedali di ChicaSanità ha
caratteristica che i batteri non avrebbero ricogo avevano scoperto il gene KPC in alcuni loro
nosciuto rapidamente, e nessuno debellava le
pazienti. Un anno dopo la percentuale era sadichiarato
infezioni causate da batteri gram-negativi. Nel
lita al 65 per cento. Alla fine del 2010 i batteri
la resistenza
2009 la Infectious Disease Society of America
con KPC avevano fatto ammalare seriamente i
pazienti ospedalizzati in 37 Stati federali. Una
agli antibiotici un ha fatto i conti della ricerca sui nuovi antibiotici e ha scoperto soltanto 16 antibiotici in fase di
volta che i CDC hanno iniziato a seguire le tracevento di sanità
sviluppo, a fronte di centinaia di domande per
ce del batterio, hanno scoperto che gli ospedapubblica di
nuovi farmaci inviate ogni anno alla FDA. Otto
li non erano preparati al suo arrivo. «Abbiamo
16 antibiotici erano pensati per curare infeconstatato più e più volte che un campione che
interesse globale dei
zioni da batteri gram-negativi, ma nessuno saci era stato spedito da un ospedale finiva per
non essere il primo», dice Patel. «Quando i sanitari cercavano nei rebbe stato utile contro gram-negativi estremamente resistenti coloro archivi scoprivano dati che, semplicemente, non avevano cat- me i batteri KPC e i NDM-1.
Queste statistiche spiegano la situazione: senza dirlo esplicitaturato l’attenzione di nessuno».
Nel febbraio 2005 un ottantenne di Parigi che viveva da cinque mente, la maggior parte delle industrie farmaceutiche ha deciso che
anni con un tumore alla prostata si recò d’urgenza in ospedale. I i farmaci per infezioni resistenti ai carbapenemi sono troppo impemedici scoprirono che aveva introdotto in ospedale Klebsiella con gnativi da sviluppare e che si possono usare solo per un breve peil gene KPC; probabilmente era stato infettato da quel ceppo in se- riodo di tempo prima che si sviluppi resistenza, quindi non vale la
guito a un’operazione eseguita a New York mesi prima. Si è trat- pena investire. «Stiamo arrivando al punto in cui dobbiamo iniziatato del primo caso noto di diffusione della KPC dagli Stati Uniti re seriamente a investire molto denaro in nuovi composti, cioè in
a un altro paese, ma non dell’ultimo. Presto furono scoperti cep- molecole che noi e soprattutto i batteri non abbiamo mai visto», dipi di Klebsiella con il gene KPC originari di New York in pazien- ce Walsh. «E non ce ne servono una o due, ma dieci o venti».
L’espansione dell’epidemia ha costretto gli ospedali a riconsideti in Colombia, Canada, Cina e Grecia. Questi ceppi hanno causato una piccola epidemia che ha colpito 45 persone nell’ospedale di rare le misure di sicurezza. Le strutture che sono riuscite a controlTel Aviv e che, tramite pazienti e operatori sanitari, si è diffusa a lare i batteri sostengono che gli sforzi richiedono estrema determinazione e concentrazione. I loro protocolli includono il lavaggio
Regno Unito, Norvegia, Svezia, Polonia, Finlandia, Brasile e Italia.
quotidiano dei pazienti con antisettici e la pulizia delle superfiChe cosa ci attende in futuro?
ci nelle camere, senza trascurare neppure le più piccole giunture e
Oggi le autorità considerano la diffusione della resistenza ai car- gli angoli di monitor e computer, addirittura ogni 12 ore. «Mi prebapenemi – a partire da KPC, NDM-1 e da altri geni – «un evento occupa la disinfezione delle superfici. Di solito è il punto in cui gli
di sanità pubblica di interesse internazionale», secondo la dichia- ospedali falliscono», dice Michael Phillips, responsabile del conrazione che ha reso l’Organizzazione mondiale della Sanità nel no- trollo sulle infezioni al Langone Medical Center, da dove si è svivembre 2010. Questa dichiarazione è dovuta anche al fatto che si luppata l’epidemia a New York. Phillips ha contribuito a creapuò fare poco per fermare la diffusione di organismi resistenti ai re Clean Team, un progetto che promuove la collaborazione tra
carbapenemi: attualmente funzionano ancora solo pochi antibioti- esperti di controllo delle infezioni e personale ospedaliero. Nei suoi
primi sei mesi di attività, il progetto è riuscito a stroncare l’insorci, e sono ben lontani dall’essere perfetti.
La maggior parte di queste infezioni risponde ancora alla ti- gere di diverse infezioni.
Co n t r ollo d e ll’ i n f e z io n e
York aveva il gene KPC, a confronto con il cinque per cento raccolto nel resto del paese. Nel 2008 un ospedale di New York riferì
che il proprio tasso di KPC era salito al 38 per cento.
Per definizione, i pazienti delle unità intensive sono gravemente
malati: hanno subito traumi, soffrono di tumori, insufficienza dei
principali organi, senza singola causa quindi i loro decessi possono essere complicati da decifrare. Ma nei casi che coinvolgono la
KPC non c’è alcun dubbio, afferma John Quale, professore associato di medicina al Downstate Medical Center della State University
of New York, che ha curato alcuni dei primissimi pazienti. «Ci sono
stati casi in cui il trattamento ha fallito nonostante gli sforzi», spiega. «E i pazienti sono morti».
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Un protocollo meticoloso
Gli operatori sanitari sono spesso portatori involontari di resistenza batterica. Gli ospedali con epidemie controllate di infezioni resistenti ai carbapenemi sono stati costrette ad adottare rigorose misure igieniche e di sorveglianza.
Identificare
Per evitare di non scoprire ogni potenziale caso, gli ospedali francesi usano tamponi rettali per
testare pazienti che stanno per essere ospedalizzati e che hanno una storia di precedenti infezioni
resistenti a diversi tipi di farmaci.
Sterilizzare
Medici e infermiere devono lavarsi le mani per prassi e indossare guanti. I pazienti vengono
detersi ogni giorno con antisettici. Tutte le superfici delle loro stanze sono igienizzate, comprese le
tastiere dei computer.
Analizzare
Helen King/Corbis
I campioni di laboratorio sono continuamente analizzati e si aggiornano le misure per il controllo
delle infezioni fino all’eliminazione completa dei germi con resistenza multipla agli antibiotici.
I rapporti più recenti su KPC mostrano quanto devono essere
ossessivi gli operatori sanitari in fatto di pulizia. Lo scorso anno
28 pazienti in due ospedali francesi sono stati infettati da un ceppo
di Klebsiella resistente nel corso di una visita con endoscopi, sonde flessibili a fibre ottiche che passando per la gola raggiungono il
tratto digerente. Gli ospedali pensavano di avere sterilizzato le loro
attrezzature, ma Klebsiella si era intrufolato ugualmente.
Anche le squadre sanitarie stanno incrementando la sorveglianza, nella speranza di identificare i pazienti che sono portatori e
isolarli prima che infettino gli altri. La Francia, per esempio, ha
istituito un’analisi obbligatoria che impiega strisci rettali per i pazienti ospedalizzati in altri paesi a causa di un’infezione a resistenza multipla; l’analisi viene eseguita il giorno stesso del ricovero in
una struttura francese. «Nel mio ospedale, è stato trasferito dal Marocco un paziente che era portatore di resistenza ai carbapenemi»,
dice Patrice Nordmann, capo dei dipartimenti di batteriologia e virologia all’Hôpital Bicetre di Parigi, che nel 2005 ha curato il primo caso francese di KPC. «Abbiamo isolato il paziente, abbiamo
dato l’allarme e abbiamo evitato un’epidemia».
Nel 2009 i CDC hanno pubblicato linee guida per aiutare gli
ospedali a controllare i batteri resistenti ai carbapenemi. Le linee
guida non raccomandavano però di testare ogni singolo paziente, come invece prevedeva la strategia francese, sostenendo che i
batteri sono distribuiti nei continenti in modo ancora troppo irregolare per giustificare costi e tempo dello staff necessario.
Mantenere gli organismi resistenti ai carbapenemi fuori dagli
ospedali è importante non solo per controllare le epidemie fra i pazienti debilitati, ma anche per prevenire la diffusione alle persone che lavorano nella sanità. John Quale e altri medici che hanno
documentato la diffusione di KPC nella città di New York ritengono che alcuni di questi batteri possano essere stati trasportati inconsapevolmente da medici, infermieri e personale ausiliario che
svolge mansioni diverse in differenti istituzioni. Motivo ancora più
importante, si deve impedire che questi batteri condividano i loro geni con altre specie batteriche come E. coli, che si trovano negli ospedali e sono molto diffusi nell’ambiente. Un E. coli rinforzato dal gene KPC potrebbe sfuggire da un ospedale, sottraendosi a
ogni schema di sorveglianza.
Questa fuga si è verificata almeno in un caso. Nel 2008 alcuni medici israeliani avevano curato in ospedale un anziano mol-
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to malato, ma senza segni evidenti di resistenza ai carbapenemi.
Durante la sua prima settimana in ospedale, si era infettato con
batteri KPC. Nel giro di un mese il gene KPC si era spostato dall’infezione causata da Klebsiella a un E. coli nell’intestino dell’uomo,
creando un ceppo molto resistente ma che rispondeva ancora a dosi elevate di antibiotici. Questo trasferimento di geni si era verificato in ospedale, sotto la pressione evolutiva dei farmaci che l’uomo stava ricevendo. Ma a gennaio di quest’anno alcuni ricercatori
di Hong Kong hanno riferito che il fenomeno si stava verificando
anche fuori dagli ospedali. Un paziente che si era recato in una clinica locale per un day hospital si era rivelato portatore silente di
un ceppo di E. coli che aveva acquisito NDM-1. E non c’erano dati
relativi all’ospedalizzazione di questa persona.
Guardando al futuro, gli scienziati prevedono che potrebbero
emergere ceppi batterici gram-negativi completamente resistenti,
che si formeranno molto tempo prima della produzione dei farmaci che li potrebbero sconfiggere. Alcuni scienziati non devono nemmeno immaginare un evento del genere: lo hanno già osservato nella realtà. Tre anni fa i medici del St. Vincent Hospital di
Manhattan, a New York, hanno curato due casi di Klebsiella resistenti a qualsiasi arma farmacologia a disposizione. Un paziente è
sopravvissuto, l’altro è deceduto. «Per un medico nei paesi sviluppati è assai raro assistere al decesso di un paziente per un’infezione che prende il sopravvento, e per la quale non ci sono alternative
terapeutiche», hanno scritto in una rivista medica. «Non avevamo
alcun trattamento efficace da offrire». Presto casi del genere potrebbero diventare fin troppo comuni, a meno che l’evoluzione dei
batteri rallenti, o lo sviluppo dei farmaci acceleri.
n
per approfondire
Carbapenem-Resistant Enterobacteriaceae: A Potential Threat. Schwaber M.J.
e Carmeli Y., in «Journal of the American Medical Association», Vol. 300, n. 24,
pp. 2911-2913, 24 dicembre 2008.
The Spread of Klebsiella pneumoniae Carbapenemases: A Tale of Strains,
Plasmids, and Transposons. Munoz-Price L.S. e Quinn J.P., in «Clinical Infectious
Diseases», Vol. 49, n. 11, pp. 1736-1738, 1° dicembre 2009. http://cid.
oxfordjournals.org.
Does Broad-Spectrum Beta-Lactam Resistance Due to NDM-1 Herald the
End of the Antibiotic Era for Treatment of Infections Caused by Gram-Negative
Bacteria? Nordmann P. e altri, in «Journal of Antimicrobial Therapy». Pubblicato
on line il 28 gennaio 2011.
Le Scienze 65