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25 Novembre 2006
Salute
RICERCA
Un chip
identifica
i batteri
resistenti
agli
antibiotici
generici
e seleziona
i farmaci
più adatti
a eradicare
i batteri.
In poche ore
di Silvia Fabiole Nicoletto
MILANO FINANZA
V
Personal
81
Un microlaboratorio
difende dalle infezioni
U
n microchip che identifica
in poco tempo i batteri responsabili di gravi infezioni non curabili con gli antibiotici
tradizionali, aumentando così le
probabilità di sopravvivenza dei
pazienti.Il ritrovato bioingegneristico, messo a punto dalla società
Accelr8, è stato presentato in occasione di un convegno internazionale svoltosi di recente a San
Francisco.È stato definito un "Lab
on a chip", ovvero un laboratorio
in miniatura racchiuso in un chip,
capace di svolgere in modo automatizzato una serie di analisi partendo da piccole quantità di campioni biologici.
Il trattamento delle infezioni batteriche resistenti ai farmaci tradizionali è spesso rallentato dalla
necessità di identificare il ceppo
batterico responsabile dell’infezione, isolandolo e facendolo crescere in laboratorio. Il massiccio
uso di antibiotici e disinfettanti
ha infatti favorito la nascita di
ceppi batterici resistenti e quindi
molto aggressivi, che rispondono
solo a farmaci molto mirati. Questi batteri sono spesso in agguato
negli ospedali, dove pazienti con
un sistema immunitario indebolito possono contrarre infezioni pericolose come le polmoniti. I casi più
gravi vengono inviati alle unità di
terapia intensiva dove i medici
hanno a disposizione qualche giorno, a volte ore, per salvare la vita
dei pazienti. La coltura dei batteri
in laboratorio è però una procedura che può richiedere due o tre
giorni e i medici nel frattempo non
possono far altro che somministrare al paziente un antibiotico ad
ampio spettro,non diretto cioè contro un ceppo batterico specifico.
Grazie al nuovo dispositivo, però,
le cose potrebbero cambiare: il chip
permette infatti di identificare i
batteri senza doverli far crescere,
riducendo così le attese da giorni a
ore. I campioni da analizzare vengono ricavati dal paziente attraverso una procedura di lavaggio
polmonare con una soluzione salina. I batteri vengono poi separati,
sospesi in un liquido appropriato e
iniettati nel chip. Una volta all’interno, le cellule batteriche fluiscono nei vari compartimenti in cui è
suddiviso il dispositivo che sono
realizzati con un materiale che attrae i batteri sulla superficie.
A questo punto vengono immessi
nel flusso gli anticorpi, che riconoscono e si legano in modo specifico
a determinati ceppi batterici, evidenziandoli con coloranti fluorescenti che ne permettono la visualizzazione al microscopio;in questo
modo è possibile individuare le cellule batteriche vitali, quelle che
ancora si riproducono,la cui velocità di divisione è caratteristica di ogni specie.Dopo gli anticorpi, nel “microlaboratorio”
entrano in scena diversi antibiotici che sono immessi anch’essi nel flusso: se le cellule
smettono di riprodursi, significa che il farmaco immesso sarà
probabilmente efficiace nell’e-
radicare l’infezione e la
morte dei batteri viene confermata attraverso l’utilizzo di un colorante apposito.
L’aspetto conveniente è che, una
volta iniettati i campioni nel chip,
l’intera procedura è automatizzata
e richiede meno di otto ore. Uno dei
passaggi più complicati è stata la
progettazione di una superficie
che fosse allo stesso tempo “accogliente” per i batteri ma non per gli
anticorpi o per gli antibiotici. L’azienda sta ora lavorando alla messa a punto di un materiale “universale” che possa supportare la crescita di tutte le specie batteriche,
ma per ora si è concentrata sulle
una decina di specie che sono responsabili dell’80-90% dei casi di
polmonite ospedalieri. I ricercatori
sperano inoltre di poter sfruttare
la loro tecnologia anche per saggiare l’efficacia di nuovi farmaci o
di quelli già esistenti contro ceppi
batterici sconosciuti. Accelr8, società informatica convertitasi al
biotech, spera di inserire la tecnologia all’interno dei laboratori
ospedalieri entro un anno. (riproduzione riservata)
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