UNIVERSITA POLITECNICA DELLE MARCHE Facoltà di Medicina e Chirurgia Scuola di Dottorato in Biotecnologie Biomediche – 11° ciclo OMEOSTASI DEI TELOMERI NELLE SINDROMI MIELODISPLASTICHE Dottoranda Dott.ssa Eleonora Berardinelli Tutor Prof. Pietro Leoni INDICE I ABBREVIAZIONI III SOMMARIO VI 1. INTRODUZIONE 1 1.1. I TELOMERI 1 1.1.1. Scoperta dei Telomeri 1 1.1.2. Struttura E Lunghezza Dei Telomeri Umani 3 1.1.2.1. Il t-loop e le shelterin 3 1.1.2.2. La lunghezza dei telomeri nelle cellule normali 4 1.1.2.3. La lunghezza dei telomeri e l’invecchiamento cellulare 6 1.1.3. La Telomerasi 7 1.1.3.1. Subunità ad RNA (hTR) della telomerasi 8 1.1.3.2. Proteine associate ad hTR 9 1.1.3.3. Subunità catalitica (hTERT) della telomerasi 10 1.1.3.4. Proteine associate ad hTERT 11 1.1.4. Regolazione Dell’attività Della Telomerasi Umana 1.1.4.1. Caratteristiche del gene hTR e sua regolazione trascrizionale 11 12 1.1.4.2. Caratteristiche del gene hTERT e sua regolazione trascrizionale 14 1.1.4.3. Regolazione epigenetica della trascrizione di hTERT 18 1.1.4.4. Ruolo del signalling sulla regolazione di hTERT 20 1.1.4.5.Meccanismo alternativo di allungamento dei telomeri (ALT) 21 1.2. LE SINDROMI MIELODISPLASTICHE 25 1.2.1. Presentazione Clinica 26 1.2.2. La Diagnosi 28 1.2.2.1. Sangue periferico e midollo osseo 28 1.2.2.2. Analisi citogenetica 30 1.2.2.3. Analisi molecolare e mutazioni puntiformi 32 1.2.2.4. Modificazioni epigenetiche 33 1.2.2.5. Citometria a flusso 37 1.2.2.6. Esame istologico del midollo 38 1.2.3. Classificazioni Delle Sindromi Mielodisplastiche 1.2.3.1. Classificazione FAB 38 38 I 1.2.3.2. Classificazione World Health Organization 2001 41 1.2.3.3. Classificazione World Health Organization 2008 40 1.2.4. Fattori Prognostici 43 1.2.4.1. International Prognostic Scoring System 42 1.2.4.2. Cariotipo 44 1.2.4.3. Età 44 1.2.5. Nuovi Fattori Prognostici 45 1.2.5.1. LDH 45 1.2.5.2. Conta piastrinica 46 1.2.5.3. Fibrosi midollare 47 1.2.5.4. Trasfusione dipendenza 47 1.2.5.5. WHO based Prognostic Scoring System 47 1.3. TELOMERI E TELOMERASI NELLE PATOLOGIE ONCOLOGICHE 48 1.3.1. Malattie Con Disordini Dei Telomeri E Cancro 48 1.3.2. Telomeri E Telomerasi Nelle Neoplasie Ematologiche 50 1.3.3. Telomeri E Telomerasi Nelle SMD E Nelle LAM 51 2. SCOPO DELLA TESI 54 3. MATERIALI E METODI 55 3.1. PAZIENTI 55 3.2. PREPARAZIONE DEL CAMPIONE 57 3.3. ANALISI DELLA LUNGHEZZA DEI TELOMERI 57 3.4. ANALISI DELL’ATTIVITÀ TELOMERASICA 59 3.5. ANALISI DELL’ESPRESSIONE GENICA 61 3.6. ANALISI DEL CICLO CELLULARE 65 3.7. ANALISI STATISTICA 65 4. RISULTATI 65 4.1. LUNGHEZZA DEI TELOMERI 66 4.2. ESPRESSIONE DI hTERT 68 4.3. ATTIVITÀ TELOMERASICA 71 4.4. ESPRESSIONE DEI FATTORI DELLA TRASCRIZIONE 73 4.5. CICLO CELLULARE 78 5. DISCUSSIONE 79 6. BIBLIOGRAFIA 84 II ABBREVIAZIONI AA Anemia Aplastica AAM Agoaspirato midollare ALT Alternative Lengthening of Telomeres AP APB Alkaline phosphatase ALT-associated PML bodies bHLHZ Basic helix-loop-helix zipper BL Burkitt's Lymphoma BSA CB Bovine serum albumin Crisi Blastica CDR Commonly deleted region CMML Chronic Myelomonocytic Leukaemia CMN Cellule Mononucleate DAP Death Associated Protein Kinase DC Discheratosi Congenita DDIT 3 DNA-damage-inducible-transcript 3 DKC1 Discheratina DIG Digoxigenin DLCL Diffuse Large Cell Lymphoma DNMT DNA Methyltransferase dNTP Deoxy-nucleotide triphosphate EDTA FAB Ethylenediaminetetraacetic acid French American British FC Fase Cronica FISH Fluorescent In Situ Hybridization FL Follicular Lymphoma GAPDH GEP Glyceraldehyde 3-phosphate dehydrogenase Gene Expression Profiling HAT Histone Acetyl Trasferase HDAC Histone Deacetylase HMT Histone Methyltransferase hnRNA Heterogeneous nuclear ribonucleoproteins HPV Human Papilloma Virus III hTERT Human Telomerase Reverse Trascriptase hTERT-AT hTERT-All Trascripts hTERT-FL hTR hTERT-Full Length Human Telomerase RNA Component IM Imatinib IPSS Intenational Prognostic Scoring System ISCN International System for human Cytogenetic Nomenclature IWGM-MDS International Working Group on Morphology of Myelodysplastic Syndrom LAL Leucemie Acute Linfoblastiche LAM Leucemia Mieloide Acuta LINE-1 Long Interspersed Nucleotipe Elements-1 LLC Leucemia Linfatica Cronica LMMC Leucemia Mielomonocitica Cronica LnH MAPK Linfoma Non-Hodgkin’s Mitogen-Activated Protein Kinase MBP Metal Binding Proteins MCL Mantle Cell Lynphoma MEKK1/ JNK Mitogen-Activated Protein Kinase Kinase Kinase 1/C-Jun-NH2-Kinase MM Mieloma Multiplo MZF-2 Myeloid Zinc Finger Protein 2 MZL Marginal Zone Lymphomas NF-Y Nuclear Factor-Y NCBI National Center for Biotechnology Information OD Optical Density p53 o tp53 Tumor Suppression Protein 53 PBS Phosphate Buffered Saline PCR PKC Polymerase Chain Reaction Protein Kinase C PLT Platelets PML Promyelocytic Leukaemia Nuclear Bodies PMN Polymorphonuclear Neutrophil RA Refractory Anemia RAEB-1 Refractory Anaemia with Excess of Blasts-1 IV REAB-2 Refractory Anaemia with Excess of Blasts-2 RAEB-T Refractory Anaemia with Excess of Blasts in Transformation RARS Refractory Anaemia with Ring Sideroblasts RCMD Refractory Cytopenia with Multilineage Displasia RCUD Refractory Cytopenia with Unilinear Displasia RN Refractory Neutropenia RT Refractory Thrombocytopenia SDS Sodium Dodecyl Phosphate SEER Surveillance Epidemiology and End Results SMD Sindromi Mielodisplastiche SMD-AR Sindromi Mielodisplastiche-Alto Rischio SMD-BR Sindromi Mielodisplastiche-Basso Rischio snoRNA Small nucleolar RNA SNP-A Single Nucleotide Polymorfism-A SPSS Statistical Package for the Social Sciences SSC Saline Sodium Citrate TAE Tris-Acetate EDTA Buffer TBP TATA-box binding protein TEP1 Telomerase associated protein 1 TFs Transcription Factors TMM Telomere lenght maintenance mechanism TRAP Telomere Repeat Amplification Protocol TRF Telomere Rescriction Fragments TRF1 Telomere Repeat Binding Factor 1 TRF2 Telomere Repeat Binding Factor 2 TSA Trichostatin A VPM Volume Piastrinico Medio WHO World Health Organization WPSS WHO based Prognostic Scoring System WT-1 Wilm’s Tumor 1 V SOMMARIO I telomeri sono delle strutture altamente conservate situati nella parte terminale dei cromosomi degli eucarioti, sono formati da sequenze di DNA (TTAGGG)n ripetuto in tandem e da proteine ad esse associate. Le regioni telomeriche sono implicate in molteplici funzioni biologiche. Le sindromi mielodisplastiche (SMD) rappresentano un insieme di disfunzioni clonali delle cellule staminali emopoietiche caratterizzate da displasia, ematopoiesi inefficace che coinvolge una o più linee di maturazione delle cellule mieloidi e da un elevato rischio di progressione in leucemia acuta mieloide (LAM). In questo studio sono stati analizzati la lunghezza dei telomeri (TFR), l’attività telomerasica (AT) e l’espressione dei geni hTERT, cmyc, mad1 e p53 nel midollo osseo di pazienti affetti da SMD (n=109), da LAM (n=47) e nei controlli (n=24). Sono stati suddivisi i pazienti affetti da SMD in due gruppi sulla base dello score IPSS: pazienti SMD-BR (IPSS basso ed intermedio-1, n=83) e pazienti SMD-AR (IPSS intermedio-2 ed alto, n=20). Sono stati analizzate separatamente le leucemie mielomonocitiche croniche (LMMC, n=8) e le LAM. La TFR era minore nelle SMD rispetto ai controlli (p<0.001); tra le SMD la TFR era superiore nelle SMD-BR rispetto alle SMD-AR (p<0.01), tali dati dimostravano un’accentuata erosione dei telomeri con il progredire della malattia. I pazienti mostravano un’espressione di hTERT e un’attività telomerasica molto eterogenee e non si evidenziavano differenze significative. Il gene mad-1 era iperespresso nelle SMD rispetto ai controlli (p<0.01). L’espressione di c-myc aumentava nel gruppo delle SMD-AR e nelle LAM (p<0.05 e p<0.01, rispettivamente). Il gene p53 era espresso allo stesso livello dei controlli in tutti i gruppi di pazienti analizzati. In conclusione l’omeostasi della regione telomerica, in particolare la lunghezza dei telomeri e l’espressione di alcuni fattori della trascrizione coinvolti nella sua regolazione, come c-myc e mad-1, potrebbero essere utilizzati in futuro per stratificare i pazienti in accordo con il sistema di classificazione del rischio di progressione della sindrome mielodisplastica. VI 1. INTRODUZIONE 1.1 I TELOMERI 1.1.1 Scoperta Dei Telomeri I telomeri sono strutture specializzate formate da un complesso di DNA non codificante e proteine la cui principale funzione è quella di proteggere le estremità dei cromosomi lineari (de Lange et al., 1990). Sono stati osservati per la prima volta negli anni ‘30-‘40 del secolo scorso grazie al lavoro indipendente di Herman Müller e Barbara McClintock. Il primo, irradiando cromosomi di Drosophila melanogaster ai raggi X, notò come le estremità dei cromosomi irradiati, a differenza del resto del genoma, non presentassero alterazioni quali delezioni ed inversioni. Ciò grazie alla presenza di una cappello protettivo che Müller stesso denominò prima "gene terminale" e quindi telomero, dai vocaboli greci "telos" (termine) e "meros" (parte, Müller 1938). La McClintock descrisse invece come, in Zea mays, la rottura dei cromosomi si traducesse nella formazione di cromosomi ad anello e dicentrici grazie all'adesione e alla fusione alle estremità dei frammenti. Ella poté dimostrare che, indipendentemente dal danno subito, le estremità potevano essere ricostituite dall'acquisizione di nuovi telomeri. Da queste osservazioni la McClintock, a differenza di quanto fece Müller, concluse che i telomeri giocano un ruolo cruciale nel mantenimento dell'integrità dei cromosomi poiché sono strutture aventi la capacità di impedire riarrangiamenti cromosomici quali le fusione end-to-end e la formazione di cromosomi ad anello e dicentrici (McClintock 1941). La lunghezza delle sequenze telomeriche nelle cellule somatiche varia a seconda del numero di divisioni cellulari che una cellula ha subito (Samassekou 2010). Ad ogni ciclo cellulare una parte della sequenza telomerica viene persa (da 50 a 200 bp ogni ciclo di replicazione) a causa del problema della replicazione terminale già postulato da James Watson nel 1972 (Watson 1972; Blackburn 2005). Nel modello di replicazione semi-conservativa del DNA, la DNA polimerasi non riesce a replicare il 3’ del filamento lagging una volta rimosso il primer ad RNA, determinando un progressivo accorciamento di tale filamento ad ogni fase S del ciclo cellulare. Negli anni '70 del secolo scorso Alexsei Olovnikov mise in relazione il problema della replicazione terminale, e quindi del progressivo accorciamento delle sequenze telomeriche, con gli esperimenti sulla senescenza cellulare e l'inibizione della proliferazione 1 di Leonard Hayflick che hanno portato all'identificazione del cosiddetto ‘limite di Hayflick’, corrispondente al numero di divisioni cellulari possibili per una determinata cellula (Hayflick 1965). Per Olovnikov, il progressivo accorciamento dei telomeri agisce come un orologio interno che determina il numero di divisioni che una cellula può effettuare nel corso della sua vita e quindi controlla il processo dell'invecchiamento cellulare (Olovnikov 1971 e 1973). Questo pionieristico modello è tutt'ora univocamente accettato dalla comunità scientifica, che considera l’accorciamento dei telomeri quale orologio molecolare per il ciclo vitale delle cellule (Wright & Shay, 2001). Sia Watson che Olovnikov avevano postulato l'esistenza di un meccanismo che permettesse il mantenimento della lunghezza dei telomeri durante la replicazione del DNA. Il lavoro del gruppo di Elizabeth Blackburn alla Yale University e di quello di Jack Szostak della Harvard Medical School a partire dagli anni '80 sono stati fondamentali per gettare luce sulla reale natura delle sequenze telomeriche e dell'enzima predisposto alla loro sintesi. Applicando la sequenza esanucleotidica CCCCAA scoperta all'estremità dei cromosomi del micronucleo di Tetrahymena thermophila dal gruppo della Blackburn (Yao et al., 1981), Szostak riuscì a far replicare stabilmente dei plasmidi lineari in Saccharomyces cerevisiae. I due ricercatori conclusero che se il lievito era in grado di riconoscere e utilizzare le estremità provenienti da un organismo non affine come T. thermophila, il meccanismo di funzionamento dei telomeri e le stesse sequenze telomeriche erano altamente conservate durante l'evoluzione (Szostak & Blackburn, 1982; Birmingham 2001). Essi notarono inoltre come dopo diversi cicli di replicazione in lievito i plasmidi clonati avessero una lunghezza maggiore rispetto all'inizio, e diedero ragione del fatto che il lievito possedesse un meccanismo di allungamento dei telomeri (Shampaj et al., 1984). In seguito la Blackburn e la sua studentessa Carol Greider arrivarono all'identificazione dell'enzima che sintetizza i telomeri, la "telomere terminal transferase" oggi chiamata telomerasi. Esse furono in grado di dimostrare che estratti cellulari di T. thermophila avevano la capacità di catalizzare l'inserzione su degli oligonucleotidi di ripetizione tandem TTGGGG (Greider & Blackburn, 1985). Per questo lavoro, vera pietra miliare della biologia molecolare, Elizabeth Blackburn e Carol Greider, insieme a Jack Szostak sono stati insigniti del premio Nobel per la medicina nel 2009. 2 1.1.2. Struttura E Lunghezza Dei Telomeri Umani 1.1.2.1 Il t-loop e le shelterin Nell’uomo i telomeri sono formati da migliaia di sequenze ripetute TTAGGG (Moyzis et al., 1988). La struttura telomerica si conforma in modo tale che il filamento 3’, ricco di G e quindi chiamato G-strand sporge per ca 35-600 nucleotidi per poi ripiegarsi su se stesso e legarsi con la sequenza complementare al 5’ dell’altro filamento, ricco in C e quindi chiamato C-strand (Stewart et al., 2003, Makarov et al., 1997; Figura 1). Tale struttura a t-loop viene quindi decorata con un complesso di sei proteine, denominato shelterin (de Lange 2005 e 2009) che svolge tre funzioni fondamentali nel meccanismo di regolazione della lunghezza e della struttura dei telomeri (crf. par. 1.1.2.2). Le shelterin sono TRF1, TRF2, POT1, TPP1, TIN2 e Rap1 (Figura 1.1 de Lange et al., 2005). Figura 1.1 Struttura dei telomeri. I telomeri sono composti da sequenze ripetute TTAGGG e da un complesso proteico, shelterin (in alto a sinistra). La shelterin è formata da proteine specifiche per i telomeri: TRF1 e TRF2 che legano il filamento doppio e POT1 che lega il singolo filamento. A queste sono legate anche TIN2, TPP1 e Rap1 (in basso a sinistra). Il t-loop dei telomeri con l’invasione del doppio filamento (in alto a destra) (de Lange et al., 2009). Le shelterin sono importanti per tre motivi: determinano la struttura dell’estremità del telomero, sono implicate nella generazione e nella stabilizzazione del t-loop e controllano la sintesi del DNA telomerico da parte della telomerasi (de Lange 2005). La caratteristica fondamentale del t-loop è che grazie ad esso la porzione finale risulta nascosta all’interno di una struttura chiusa non accessibile. Le dimensioni della porzione ad anello non sembrano essere importanti nella stabilizzazione delle struttura, in quanto in cellule umane sono stati osservati sia t-loop molto grandi (25 Kb) che molto piccoli (1 Kb). In vitro, TRF2 e TRF1 3 hanno attività di rimodellamento del DNA, importante nella generazione dell’estremità a singolo filamento del G-strand e quindi nella formazione del t-loop (Griffith et al., 1999; Stansel et al., 2001). Le shelterin intervengono sulla struttura assunta dal filamento 3’ grazie a TRF2 e POT1 che ne controllano la lunghezza (van Steensel et al., 1998; Hockemeyer et al., 2005, Zhu et al., 2003). In particolare POT1 è coinvolta nel controllo dell’attività nucleasica all’estremità 5’ (Sfeir et al., 2005; Hockemeyer et al., 2005). Le shelterin giocano un ruolo essenziale nel mantenere la lunghezza dei telomeri entro un determinato intervallo di valori, regolando l’accesso della telomerasi sui telomeri stessi attraverso un meccanismo di feedback negativo che agisce in cis. (Smogorzewska & de Lange, 2004 e riferimenti ivi citati). Se un determinato cromosoma ha telomeri troppo lunghi questo meccanismo può inibire l’azione della telomerasi. Se invece un cromosoma ha telomeri troppo corti, il meccanismo di controllo permette l’azione della telomerasi e quindi l’allungamento del telomero stesso. Le shelterin, ed in particolare la componente POT1 (Loayza & de Lange, 2003; Liu et al., 2004) hanno un ruolo chiave in questo meccanismo agendo come inibitori sul telomero stesso, con un processo stocastico influenzato dalla quantità totale di shelterin legate al telomero. Poiché la quantità di shelterin è proporzionale alla lunghezza delle ripetizioni TTAGGG, i telomeri più lunghi hanno una maggior concentrazione di inibitori della telomerasi. Mutanti difettivi in POT1 sono infatti caratterizzati da cromosomi con telomeri lunghi (Loayza & de Lange, 2003). 1.1.2.2 La lunghezza dei telomeri nelle cellule normali Nell'uomo la lunghezza dei telomeri varia, nella popolazione normale, dalle 5 alle 15 Kb (de Lange et al., 1990) ed è influenzata dal corredo genetico, dall'età e da fattori ambientali. Vi è inoltre una differenza d’organo e tessuto specifica. Ad esempio i telomeri degli epatociti fetali hanno una lunghezza media di 13 Kb, quella delle cellule del sangue da cordone ombelicale di ca 12 Kb; mentre cellule del sangue midollare di individui adulti varia dalle 10 Kb alle 8.5 Kb (Vaziri et al., 1994). Analizzando i telomeri di differenti tessuti dello stesso individuo si nota come la lunghezza media nella corteccia cerebrale e nel miocardio sia maggiore che nel fegato e nella corteccia renale (Takubo et al., 2002). Un'altra differenziazione si ha analizzando individui di età diversa. Alla nascita il fegato e la corteccia renale mostrano telomeri lunghi più di 13,5 Kb mentre il miocardio e la corteccia celebrale hanno telomeri lunghi meno di 13 Kb (Takubo et al., 2002). Questa differenza tra neonati e adulti può essere spiegata ipotizzando che cellule dotate di capacità proliferativa diversa possiedono meccanismi diversi di mantenimento, influenzati anche dal microambiente cellulare (Takubo 4 et al., 2002). È noto che sulla lunghezza dei telomeri agisca anche una componente genetica che fa si che un individuo che presenta telomeri lunghi per un determinato tipo di tessuto generalmente ha telomeri lunghi anche in altri tessuti (Takubo et al., 2002). Altri autori riportano differenze di lunghezza in diversi tipi cellulari all'interno dello stesso tessuto come nel caso delle sottopopolazioni leucocitarie (Hoffmann et al., 2009; Martens et al., 2002; Rufer et al., 1998, 1999). Le cellule staminali adulte hanno telomeri più lunghi delle cellule somatiche cui danno origine (Flores et al., 2008). Nelle cellule staminali emopoietiche umane i telomeri delle cellule CD34+CD38− sono più lunghi di quelli delle cellule CD34+CD38+ (Van Ziffle et al., 2003; Vaziri et al., 1994). Un'altro studio dimostra come le cellule del sangue midollare abbiano telomeri solo 600 bp più lunghi delle cellule del sangue periferico (Sakoff et al., 2002). La lunghezza dei telomeri può variare sia da una cellula all'altra dello stesso tessuto, sia tra un cromosoma e l'altro all'interno della medesima cellula. Numerosi studi mostrano una rilevante eterogeneità nello stesso tipo cellulare di uno medesimo individuo (Harley et al., 1990; Moyzis et al., 1988; Rufer et al., 1998, 1999; Weng et al., 1997). L' eterogeneità a livello delle braccia di ogni singolo cromosoma è invece stata osservata per la prima volta da Lansdorp e collaboratori (Lansdorp et al., 1996). I telomeri a livello del 17p, del 19p e del 20q sono in assoluto i più corti dell'intero genoma, mentre quelli sul 5p, sul 3p, sul 4q e sul 1p sono i più lunghi (Martens et al., 1998; Mayer et al., 2006; Perner et al., 2003; Samassekou et al., 2009). Vi è inoltre una differenza tra cromosomi omologhi e tra cromosoma X attivo e inattivo; in particolare entrambe le braccia del cromosoma attivo hanno telomeri più lunghi di quelli nel cromosoma X inattivo (Londono-Vallejo et al., 2001; Surralles et al., 1999). La differenza può arrivare fino alle 6 Kb in cellule senescenti (Baird et al., 2003). Lo studio dei telomeri sulle singole braccia ha permesso inoltre di stabilire che 12,5 unità di ripetizioni TTAGGG costituiscono la lunghezza minima di un telomero per impedire la fusione dei cromosomi in assenza della protezione delle shelterin e di attività telomerasica (Capper et al., 2007). La lunghezza minima cala a sole sette unità TTAGGG in presenza di attività telomerasica (Xu & Blackburn, 2007). L'estrema variabilità nella lunghezza dei telomeri tra individui diversi suggerisce che questa sia un tratto determinato geneticamente. Lo confermano studi su gemelli monozigotici e dizigotici e le loro famiglie. In particolare viene dimostrato che la lunghezza dei singoli telomeri aventi la medesima origine genetica è praticamente identica (Slagboom et al., 1994; Graakjaer et al., 2003 e 2006). Non è ancora chiaro quale sia il tipo di ereditarietà che 5 controlla la lunghezza dei telomeri. Alcuni dati mostrano una ereditarietà legata all'X (Nawrot et al., 2004), mentre altri lavori suggeriscono un'ereditarietà di tipo paterno (Njajou et al., 2007; Nordfjall et al., 2005, 2010). Sono stati identificati numerosi loci che sembrano essere coinvolti nell'omeostasi della lunghezza dei telomeri tra i quali si annoverano 3p26.1, 10q26.13, 12q12.22, e 14q23.2 (Andrew et al., 2006; Mangino et al., 2008; Vasa-Nicotera et al., 2005). All'interno della popolazione giapponese è stata identificata una variante T/C (Timina/Citosina) in posizione −1327 bp del promotore di hTERT legata alla lunghezza dei telomeri. Gli individui che presentano il genotipo T/T in posizione −1327 hanno telomeri più lunghi di quelli di individui che hanno genotipo C/C (Matsubara et al., 2006a,b). Questa correlazione tra genotipo in posizione −1327 bp del promotore di hTERT e lunghezza dei telomeri non è stata però confermata in altre popolazioni (Nordfjall et al., 2007). Recentemente è stato associato alla lunghezza dei telomeri un locus che comprende il gene codificante la componente a RNA della telomerasi (Codd et al., 2010). Oltre la componente genetica, diversi fattori ambientali come l'obesità, il fumo di sigaretta e lo stress sono stati negativamente correlati con la lunghezza dei telomeri (Collins et al., 2003; Epel et al., 2004; Epel 2009; Simon et al., 2006; Valdes et al., 2005). 1.1.2.3 La lunghezza dei telomeri e l’invecchiamento cellulare Studi sia in vitro che in vivo dimostrano l’esistenza di una correlazione negativa tra l’età di una cellula e la lunghezza dei suoi telomeri. In coltura, fibroblasti, linfociti e cellule staminali emopoietiche perdono dalle 37 alle 120 bp ogni divisione cellulare (Harley et al., 1990; Vaziri et al., 1993, 1994). Di conseguenza, i telomeri vengono considerati alla stregua di un orologio mitotico per determinare l’età di una cellula o di un tessuto. Studi su individui di età diversa mettono in evidenza che le estremità telomeriche si accorciano dalle 9 alle 147 bp all’anno, a seconda dell’organo/tessuto analizzato. Fanno eccezione la corteccia cerebrale e il miocardio che non mostrano perdite rilevanti (Takubo et al., 2002). Altri studi riportano un tasso di erosione nei linfociti da sangue periferico di 53 bp/anno, nei granulociti di 39 bp/anno (Hoffmann et al., 2009), e nel pancreas di 36 bp/anno (Ishii et al., 2006). Il tasso di erosione dei telomeri è influenzato oltre che dalla capacità di proliferazione, anche dal sistema di mantenimento dei telomeri stessi e dal microambiente cellulare. Nonostante l’espressione della telomerasi, le cellule staminali emopoietiche hanno telomeri più corti in individui di età avanzata e, se coltivate in vitro, perdono in media 1–2 Kb di estremità telomeriche in sole quattro settimane di coltura (Lee et al., 2003; Vaziri et al., 1994; Engelhardt et al., 1997). Al contrario nelle cellule della linea germinale (spermatozoi) la 6 lunghezza dei telomeri è positivamente correlata all’età (14,5 Kb negli ultracinquantenni, 12,8 Kb negli individui con meno di vent’anni; Kimura et al., 2008). Il tasso di perdita di sequenze telomeriche varia con l’età, è più alto nell’infanzia (1 Kb tra gli 0 e i 4 anni di età) e decresce progressivamente dopo i 5 anni di età in cui si stabilizza a meno di 100 bp all’anno (Frenck et al., 1998). Alla nascita non sembra esserci una differenza tra i due sessi (Okuda et al., 2002), mentre nell’età adulta i telomeri dei linfociti nei maschi hanno un tasso di erosione maggiore che nelle femmine, forse a causa dell’effetto degli ormoni sessuali (Moller et al., 2009). 1.1.3 La Telomerasi La telomerasi è una DNA polimerasi RNA dipendente che sintetizza l'aggiunta di ripetizioni telomeriche alle estremità dei cromosomi (Greider & Blackburn, 1985). L’enzima umano è formato da una subunità catalitica costituita da un polipeptide di 1132 aminoacidi codificato dal gene hTERT (human Telomerase Reverse Trascriptase; Nakamura et al., 1997; Kilian et al., 1997; Harrington et al., 1997) e da una componente ad RNA codificata dal gene hTERC (o hTR) di 450 nucleotidi (Feng et al., 1995), che serve da stampo per la sintesi del DNA telomerico. Entrambi i geni sono fortemente conservati negli eucarioti e sono stati isolati in numerosi organismi tra cui i lieviti (Nakamura et al., 1997; Singer & Gottschling, 1994; Counter et al., 1997), nel topo e in numerosi protozoi (Blasco et al., 1995 e 1997; Greenberg et al., 1998; Collins & Gandhi, 1998; Lingner et al., 1997; Romero & Blackburn, 1991). Il fatto che sia possibile ripristinare l'attività telomerasica in cellule telomerasi-negative coesprimendo hTERT e hTR dimostra che queste due componenti sono i requisiti minimi per avere attività telomerasica in vitro (Vaziri & Benchimol, 1998; Wen et al., 1998). È sufficiente però aggiungere un tag al C-terminale della porzione catalitica che l'enzima perde di funzionalità in vivo (Ouellette et al., 1999; Counter et al., 1998). Sembra chiaro quindi che l'assemblaggio di una telomerasi funzionante e la sintesi dei telomeri siano processi multistadio, finemente regolati, che coinvolgono più fattori, tra cui la maturazione, il processamento e l’accumulo di hTR, il trasporto nel nucleo, modificazioni post-traduzionali di hTERT, l'assemblaggio tra componente catalitica e quella a RNA, quindi il riconoscimento del substrato (l'estremità telomerica) e la sintesi di nuovo DNA telomerico (Aisner et al., 2002). Le proteine associate alla telomerasi sono coinvolte in tutti questi processi e sono richieste per l’attività e la funzione biologica dell’enzima (Cong 2002). Dati sperimentali condotti sia in cellule umane che in S. cerevisae mostrano come la telomerasi verosimilmente 7 agisce sotto forma di un complesso contenente 2 o più subunità catalitiche e componenti a RNA (Beattie et al., 2001; Wenz et al., 2001; Moriarty et al., 2002). 1.1.3.1 Subunità ad RNA (hTR) della telomerasi È la componente della telomerasi che fornisce lo stampo per l'attività di trascrittasi inversa della componente catalitica (Feng et al., 1995). È espressa a livelli misurabili in tutti i tessuti indipendentemente dall'espressione di attività telomerasica e di hTERT, che invece risulta finemente regolata a più livelli (Avilion et al., 1996; Poole et al., 2001). La sua espressione aumenta tuttavia di oltre 5 volte nelle cellule cancerose caratterizzate da elevati livelli di attività telomerasica, fatto che suggerisce anche per hTR un controllo trascrizionale. (Yi et al., 1999; Kim et al., 1994; Cairney & Keith, 2008). HTR è trascritto dalla RNA polimerasi II e subisce un processamento all'estremità 3' che porta alla formazione di un RNA maturo di 451 nucleotidi (Feng et al., 1995). La porzione che agisce da stampo per la sequenza telomerica è compresa tra i nucleotidi 46 e 53 (Feng et al., 1995; Mitchell et al., 1999a). Essa cade all'interno della sequenza compresa tra i nucleotidi in posizione 10 e 159 che costituiscono la minima porzione in grado di interagire con la porzione catalitica e dare origine ad attività telomerasica in vitro (Beattie et al., 2000). Sebbene si possano riscontrare divergenze a livello di sequenza, la struttura secondaria dell'RNA prodotto da hTR è altamente conservata nei vertebrati. Ciò indica l'importanza che tale struttura tridimensionale svolge nell'interazione con hTERT (Chen et al., 2000). A livello della struttura secondaria si possono riconoscere quattro domini funzionalmente conservati: uno pseudonodo (CR2/CR3), un dominio CR4/CR5, un dominio tipo box H/ACA (CR6/CR8), tipico dei piccoli RNA nucleolari (snoRNA) ed essenziale per la maturazione e l'accumulo dell'RNA hTR e un dominio CR7 (Chen et al., 2000; Mitchell et al., 1999a; Mitchell & Collins, 2000; Figura 1.2). 8 Figura 1.2 La struttura secondaria della subunità ad RNA della telomerasi (hTR). In evidenza i domini conservati (dall’alto): dominio CR4-CR5; dominio dello psudonodo (CR2/CR3); dominio box H/ACA (CR6/CR8) e dominio CR7 (Chen et al., 2000). 1.1.3.2 Proteine associate ad hTR I domini conservati individuati nella struttura tridimensionale di hTR sono siti di riconoscimento di proteine leganti hTR a funzione stabilizzante, di maturazione e di localizzazione (Chen et al., 2000). Il motivo H/ACA garantisce a hTR l’interazione con diverse proteine leganti gli snoRNA: la dyskerin (DKC1), hGAR1 (human glycine-and arginine-rich domain protein 1), NHP2 (H/ACA ribonucleoprotein complex subunit 2), hNOP10 (Nucleolar protein 10; Dragon 2000; Dez 2001; Mitchell et al., 1999a; Pogacic et al., 2000). L'interazione con proteine nucleolari suggerisce la possibilità che la telomerasi possa assemblarsi a livello del nucleolo, come accade per le altre ribonucleoproteine. A conferma di ciò sono stati identificati su hTERT dei domini di localizzazione nucleolare (Etheridge et al., 2002). 9 Altre proteine leganti hTR in vivo sono le hnRNA (heterogeneous nuclear ribonucleoproteins) C1, C2, A1 e UP1 (Fiset & Chaboy, 2001; Ford et al., 2000; LaBranche et al., 1998). In particolare C1 e C2 interagiscono specificatamente con un tratto di 6 basi uridinilato in hTR, promuovendo l'interazione della telomerasi con i telomeri (Ford et al., 2000). Le proteine A1 e UP1 interagiscono simultaneamente sia con i telomeri che con hTR; ciò può far supporre che queste abbiano un ruolo fondamentale nell’accesso della telomerasi ai telomeri (Fiset & Chaboy, 2001; LaBranche et al., 1998). 1.1.3.3 Subunità catalitica (hTERT) della telomerasi La componente catalitica hTERT è stata purificata inizialmente in Euplotes aediculatus prendendo il nome di p123 (Lingner et al., 1996 e 1997) che mostrava spiccate analogie con la proteina Est2p di S. cerevisiae coinvolta nel meccanismo di omeostasi dei telomeri (Lendvay et al., 1996). In hTERT sono riconoscibili quattro principali regioni funzionali: un dominio regolativo Nterminale (R), un dominio di legame all'RNA (RB), un dominio tipico delle trascrittasi inverse (RT) e un dominio di dimerizzazione al C-terminale (C, Figura 1.3; Kelleher et al., 2002; Dwyer et al., 2007). Figura 1.3 Struttura del dominio di hTERT. hTERT ha un dominio N-terminale contenente un blocco GQ (dominio ipomutabile I), un dominio RNA-binding (RB) con all’interno due motivi conservati QFP e T (dominio ipomutabile III e IV), il dominio della trascrittasi inversa (RT), e un dominio debolmente conservato all’estensione C-terminale (Dwyer et al., 2007). L'allineamento delle sequenze primarie delle porzioni catalitiche della telomerasi di numerose organismi mostra come diversi motivi (GQ, T2, QFP e T) all'interno del dominio regolativo e di legame all'RNA sia conservato (Figura 1.3). Inoltre i motivi individuati nel dominio RT sono comuni alle altre retrotrascrittasi umane (Figura 1.3, Dwyer et al., 2007). Da notare la presenza di un tipico motivo delle telomerasi, il motivo T all’interno del dominio RB. 10 Oltre la complessa regolazione trascrizionale che sarà ampiamente discussa più avanti, l'attività telomerasica subisce un controllo posttraduzionale attraverso un meccanismo positivo di fosforilazione ed uno negativo di defosforilazione (Li et al., 1997 e 1998). 1.1.3.4 Proteine associate ad hTERT In estratti cellulari di Tetrahymena thermophila due proteine, chiamate p80 e p95, vengono purificate con l'attività telomerasica (Collins et al., 1995). Esse rappresentano le prime proteine associate alla porzione catalitica della telomerasi e, sebbene non siano essenziali all'attività, giocano un ruolo importante nell'omeostasi dei telomeri (Mason et al., 2001; Miller & Collins, 2000). L’omologo di mammifero di p80, TEP1 (telomerase-associated protein 1) è stato identificato nell'uomo, nel topo e nel ratto. TEP1 contiene un dominio Cterminale che interagisce con la porzione catalitica e un dominio N-terminale che interagisce con l'RNA (Harrington et al., 1997; Nakayama et al., 1997). Nonostante l’interazione con entrambe le subunità della telomerasi, TEP1 non sembra essere essenziale alla sua attività (Majumdar et al., 2001). Il folding della porzione catalitica è guidato dal complesso di chaperonine hsp90 e p23. Al contrario di ciò che accade nelle altre trascrittasi inverse, hsp90 e p23 rimangono stabilmente associate alla proteina anche a folding avvenuto (Holt et al., 1999). Si pensa che il legame stabile tra porzione catalitica e RNA tipica della telomerasi, ma non delle altre trascrittasi inverse, sia la causa della necessità di trattenere le chaperonine per mantenere la corretta struttura tridimensionale durante la sintesi dei telomeri. (Forsythe et al., 2001). La regione al C-terminale di hTERT interagisce, sia in vitro che in vivo, con proteine della famiglia 14-3-3 responsabili della localizzazione subcellulare delle proteine con cui interagiscono (Seimiya et al., 2000; Muslin & Xing, 2000). Mutazioni di hTERT nella regione che interagisce con 14-3-3 portano all’abolizione dell’interazione e alla conseguente localizzazione citoplasmatica di hTERT (Seimiya et al., 2000). 1.1.4 Regolazione Dell’attività Della Telomerasi Umana Di norma le cellule somatiche sono prive di attività telomerasica misurabile con le comuni metodiche di rilevazione. Nell’individuo adulto quelle cellule che sono soggette a continui cicli di replicazione senza andare incontro a senescenza, quali i linfociti attivati, le cellule staminali emopoietiche midollari, le cellule germinali, le cellule dei follicoli piliferi, le cellule dell’endometrio, sono invece caratterizzate dall’espressione di attività telomerasica necessaria 11 al mantenimento dell’omeostasi dei telomeri e alla stabilità genomica (Kim et al., 1994). Durante lo sviluppo embrionale la telomerasi è attiva già dallo stadio di blastocisti e permane nella maggior parte dei tessuti embrionali fino alla ventesima settimana di gestazione, dopo della quale i livelli tendono ad abbassarsi (Wrigth et al., 1996; Bachor et al., 1999). I tessuti fetali in cui la telomerasi rimane attiva più a lungo sono: il fegato, il polmone, la milza e i testicoli, mentre nel cuore, nel cervello e nei reni i livelli si abbassono più precocemente (Ulaner & Giudice, 1997). Nel cuore la perdita di attività telomerasica è concomitante con la perdita dell’espressione dell’mRNA di hTERT mentre nei reni è contemporanea ad un cambiamento nel pattern di splicing dell’pre-mRNA di hTERT (Ulaner et al., 1998). Quanto detto suggerisce l’esistenza di una regolazione generale dell’attività telomerasica che viene “spenta” nelle cellule somatiche e rimane “accesa” in particolari tessuti. La deregolazione dell’espressione della telomerasi è stata strettamente associata a numerose patologie umane (Marciniak & Guarente, 2001). Ne è un esempio la Discheratosi Congenita in cui mutazioni a livello di hTR o del gene codificante la discheratina determinano una mancata attivazione della telomerasi con un conseguente rinnovo difettoso degli epiteli e una emopoiesi inefficiente (Mitchell et al., 1999b; Vulliamy et al., 2001). L’attività telomerasica è sovraregolata in circa il 90% dei tumori solidi ed emopoietici, a conferma del fatto che il controllo della lunghezza dei telomeri è intimamente connesso con la capacità proliferativa delle cellule (Kim et al., 1994; Shay & Bacchetti, 1997). L’attività telomerasica è finemente regolata attraverso diversi meccanismi che agiscono a più livelli. In primis vi è la regolazione trascrizionale, attiva sia sul promotore di hTERT che su quello di hTR. Per molti anni gli studi sulla regolazione si sono incentrati quasi esclusivamente sul promotore di hTERT in quanto la visione classica della regolazione della telomerasi si basa sulla considerazione che la disponibilità di hTERT fosse il fattore limitante e che hTR fosse ubiquitariamente espresso indipendentemente dall’espressione dell’attività telomerasica (Ducrest et al., 2002; Liu et al., 2000; Cairney & Keith, 2008). Vi è quindi il controllo del processamento degli RNA prodotti a partire da hTERT e hTR, il controllo della traduzione della porzione catalitica e del suo inport nucleare, l’assemblaggio della ribonucleoproteina completa e funzionante e l’accesso alle estremità telomeriche. 1.1.4.1 Caratteristiche del gene hTR e della sua regolazione trascrizionale HTR è stato il primo componente della telomerasi ad essere stato clonato nel 1995. Il suo ruolo nel meccanismo di tumorogenesi è stato ipotizzato fin dalla sua scoperta in quanto hTR è di norma iper-espresso nelle cellule trasformate e la sua inibizione specifica in vitro causa 12 un accorciamento della lunghezza dei telomeri ed una riduzione dell’attività telomerisica in linee cellulari immortalizzate (Feng et al., 1995). Il gene hTR si trova in singola copia in posizione 3q26.3, regione cromosomica che risulta comunemente amplificata nelle cellule cancerose dei tumori solidi (Soder et al., 1997). Il meccanismo fondamentale che controlla l’espressione genica di hTR è la regolazione trascrizionale. Il promotore contiene una CCAAT box vicino al sito di inizio della trascrizione oltre ad una TATA box sul filamento complementare come tipico dei geni trascritti dalla RNA polimerasi II (Zhao et al., 1998). La regione minima richiesta per l’attività del promotore parte da 272 bp a monte del sito di inizio della trascrizione contenente 4 CG-box, siti di legame per i fattori trascrizionali della famiglia Sp1 (Sp1 ad azione attivante, Sp3 ad azione reprimente), di cui tre posizionati a valle della CCAAT box con azione reprimente la trascrizione, e uno a monte della CCAAT box, con azione positiva sulla trascrizione (Zhao et al., 2000 e 2003). Il sito immediatamente a valle della CCAAT box svolge l’azione repressiva più forte a causa della sua prossimità con il sito di legame per il Nuclear factor-Y (NF-Y). L’oncosoppressore pRb ha azione positiva, ma agisce in maniera indiretta modulando sia Sp1 che NF-Y (Zhao et al., 2003). Figura 1.4 Regolazione trascrizionale di hTR. Sono evidenziati la sequenza CCAAT legante il complesso NF-Y, la TATA box e i siti di legame per Sp1. (da http://www.biocarta.com/pathfiles/m_tercPathway.asp, non modificato). 13 La modulazione di Sp1, attraverso cicli di fosforilazione e defosforilazione, è mediata dalla cascata di trasmissione del segnale delle mitogen-activated protein kinase (MAPK). È perciò stato ipotizzato un coinvolgimento delle MAPK sulla regolazione positiva dell’attività del promotore hTR (Cairney & Keith, 2008). Un’altra chinasi coinvolta, che però regola negativamente l’attività di hTR, è la mitogen-activated protein kinase kinase kinase 1 (MEKK1)/c-jun-NH2-kinase (JNK) che dirige l’attività e l’espressione del promotore di hTR attraverso il legame con Sp3 (Bilsland et al., 2006). Le analisi di sequenza hanno dimostrato la presenza di isole CpG nelle zone regolative del gene hTR facendo ipotizzare che la metilazione potesse giocare un ruolo per la sua regolazione genica. È stato invece dimostrato che i livelli di metilazione del promotore non sono correlati con il grado di espressione di hTR, sia nelle cellule normali che in quelle tumorali, indipendentemente dall’attività telomerasica (Guilleret et al., 2002a). Esiste invece una connessione con l’ipermetilazione del promotore hTR e la repressione dell’espressione di hTR in linee cellulari ALT (Alternative Lengthening of Telemeres, cfr. par. 1.1.4.5) che suggerisce l’esistenza di meccanismi di regolazione contesto specifici (Hoare et al., 2001). 1.1.4.2 Caratteristiche del gene hTERT e della sua regolazione trascrizionale Il gene hTERT, presente in singola copia in posizione 5p15.23, è lungo ca 41 Kb di DNA e codifica un mRNA formato da 16 esoni e 15 introni (Figura 1.5; Cong et al., 1999; Bryce et al., 2000). Come nel caso di hTR, la regione che lo contiene è frequentemente amplificata in numerose neoplasie, determinando così un aumento del dosaggio genico di hTERT (Saretzki et al., 2002). Il gene hTERT, in particolare durante lo sviluppo embrionale, è sottoposto a splicing alternativo tessuto-specifico che è in grado di modulare la funzionalità della telomerasi (Ulaner et al., 1998; Ulaner et al., 2000). Tra i vari prodotti genici ci sono: il trascritto full-length che è l’unico ad essere efficacemente tradotto nella proteina attiva, un trascritto denominato hTERT a cui mancano 36 nt al 5’ dell’esone 6 (hTERTα sembra avere un’azione inibitrice dell’attività telomerasica), un trascritto denominato hTERT a cui mancano gli esoni 7 e 8 e altri vari prodotti dati da inserzioni più o meno estese, che sono prodotti durante lo sviluppo ma non producono la proteina funzionante ed hanno una qualche funzione regolatrice (Cong et al., 2002; Colgin et al., 2000; Yi et al., 2000). 14 Figura 1.5 Struttura del gene hTERT. Il gene hTERT (5p15.33) è formato da in 16 esoni e 15 introni a ca 2 Mb dai telomeri. Sono presenti: il dominio specifico della telomerasi (dominio T), il dominio della trascrittasi inversa (dominio RT) e la regione al C-terminale della proteina hTERT (Cong et al., 2002). Figura 1.6 Regolazione trascrizionale del promotore di hTERT in cui sono evidenziati gli attivatori (frecce verdi) i repressori (frecce rosse) e i principali siti di legame per i fattori della trascrizione descritti nel testo (da Cairney & Keith, 2008). 15 La sequenza minima richiesta per l’attività del promotore di hTERT in vitro è contenuta nella regione tra l’inizio della traduzione e 330 bp a monte. L’ analisi della sequenza rivela che il promotore di hTERT è carente sia del TATA box che del CCAAT box, ma contiene numerose isole CpG per il controllo epigenetico, 5 CG-box per i fattori di trascrizione della famiglia Sp1 (Kyo et al., 2000), 2 E-box (5’-CACGTG, Wick et al., 1999; Horikawa et al., 1999) riconosciuti dalla famiglia c-myc/max/mad e di numerosi altri fattori della trascrizione a effetto positivo e negativo riportati qui di seguito. C-myc. C-myc è un oncogene membro della famiglia c-myc/max/mad, fondamentale nel controllo della proliferazione cellulare, della differenziazione e dell’apoptosi (Grandori et al., 2000). Lesioni a suo carico o nella sua regolazione sono correlate all’insorgenza di numerose patologie oncologiche (DePinho et al., 1991). La famiglia c-myc/max/mad codifica dei fattori trascrizionali caratterizzati da un dominio attivatore al N-terminale e un dominio zip elicaloop-elica (basic-helix-loop-helix-zipper, bHLHZ) al C-terminale. Sia c-myc che mad possono dimerizzare con max ma il loro legame porta ad effetti opposti: infatti l’eterodimero c-myc/max attiva l’espressione genica, mentre l’eterodimero mad/max compete con cmyc/max per il legame l’E-box del promotore, reprimendo l’espressione genica (Grandori et al., 2000). Il livello di espressione di c-myc, in molti casi, sembra essere confrontabile con quello di hTERT: alto nelle cellule immortalizzate e basso in quelle in senescenza (Wang et al., 1998). Sp1. L’azione di Sp1 sui 5 CG-box localizzati tra i 2 E-box presenti è essenziale per l’inizio della trascrizione di hTERT (Kyo et al., 2000). Sp1 interagisce con i componenti del meccanismo generale di trascrizione come le TATA-box binding protein (TBP) e i fattori associati a TBP per aiutare l’inizio della trascrizione nei promotori, come hTERT, mancanti di sequenza TATA (Emili et al., 1994; Cong & Bacchetti, 2000). Human papillomavirus 16 E16. I papilloma virus umani (HPVs) sono associati a lesioni ano-genitali che possono portare alla formazione di cellule cancerose (zur Hausen 2000). Il gene virale E6 contribuisce all’immortalizzazione delle cellule infettate attraverso la promozione dell’espressione di hTERT e alla conseguente attivazione della telomerasi con un meccanismo dipendente da c-myc e da p53 (Wang et al., 1998; Veldman et al., 2001). Ormoni steroidei. L’attività della telomerasi umana è rilevabile nell’endometrio sano umano durante il ciclo mestruale ed è strettamente correlata con l’attività proliferativa delle cellule dell’endometrio, suggerendo che gli ormoni steroidei sessuali regolino l’attività telomerasica (Kyo et al., 1997). Le analisi di sequenza hanno evidenziato nel promotore hTERT due elementi sensibili agli estrogeni in posizione -950 bp e in posizione -2754 bp a monte del sito 16 di inizio della traduzione (Kyo et al., 1999). Molti studi mostrano come la regolazione trascrizionale di hTERT sia direttamente correlata agli estrogeni nei tessuti ormone-sensibili (Misiti et al., 2000). L’attivazione del promotore hTERT da parte degli estrogeni è stata osservata anche nel cancro al seno dove l’elemento estrogeno-sensibile in posizione -2754 bp ha un ruolo fondamentale sia nell’attivazione diretta di hTERT che nell’attivazione indiretta attraverso l’induzione di c-myc estrogeno-dipendente (Kyo et al., 1999). Il promotore hTERT è inoltre target dell’azione del progesterone, antagonista degli estrogeni, di cui promuove l’inibizione dell’attivazione estrogeno-indotta (Wang et al., 2000). Mad-1. Mad-1 è un membro della famiglia c-myc/max/mad, ed è attivo in forma eterodimerica mad/max in competizione con l’eterodimero c-myc/max per il legame con l’Ebox (Grandori et al., 2000). Nelle cellule proliferanti in cui vengono espressi sia hTERT che la telomerasi, gli E-box del promotore hTERT sono occupati dall’eterodimero c-myc/max, mentre nelle cellule senescenti questo eterodimero viene scambiato con mad/max portando alla repressione dell’espressione genica e dell’attività telomerasica (Xu et al., 2001). In più cmyc è iperespresso nelle cellule positive alla telomerasi, come le cellulare immortali e le cellule tumorali, mentre l’espressione di mad-1 è di solito bassa. La situazione si inverte nelle cellule umane somatiche e nelle cellule differenziate, in cui hTERT viene represso, dove la concentrazione di mad-1 è di gran lunga maggiore rispetto a quella di c-myc (Cong et al., 2002). Wilm’s tumor 1 tumor suppressor. Il gene del tumore di Wilm (WT1) codifica un fattore della trascrizione attivo in fase embrionale e in numerosi tumori solidi ed ematologici (Oh et al., 1999, Sugiyama 2001). A seconda del contesto, può fungere sia da attivatore che da repressore della trascrizione. Sul promotore di hTERT è presente un sito di legame specifico a -352 bp a monte dell’inizio della traduzione che implica quindi un’azione diretta di WT1 nella repressione di hTERT durante la differenziazione cellulare (Englert et al., 1998, Oh et al., 1999). p53. La tumor suppression protein 53 (TP53 o p53) è un fattore trascrizionale che inducendo l’arresto del ciclo cellulare e favorendo l’apoptosi in risposta a vari tipi di danno cellulare, determina l’arresto del processo tumorogenico (Levine 1997; Asker et al., 1999). Vari studi hanno dimostrato che p53 inibisce l’attività della telomerasi attraverso la repressione trascrizionale di hTERT indipendentemente dall’arresto del ciclo cellulare o dall’apoptosi ma con la mediazione di Sp1 (Xu et al., 2000). MZF-2 e E2F-1. Sul promotore di hTERT sono stati riscontrati anche siti di legame per E2F1 e MZF-2 (Myeloid zinc finger protein 2), due fattori di trascrizione che agiscono 17 reprimendone la trascrizione (Crowe & Nguyen, 2001; Fujimoto et al., 2000). MZF-2 è il fattore trascrizionale con il sito di legame più lontano dal core del promotore, si lega in una regione tra -594 bp e -764 bp a monte dall’ATG (Fujimoto et al., 2000), mentre per E2F-1 esistono due siti di legame localizzati in prossimità del sito di inizio della traduzione (Won et al., 2002). Per entrambi i fattori trascrizionali una loro iperespressione porta ad una repressione dell’espressione di hTERT e ad una diminuzione dell’attività della telomerasi (Crowe & Nguyen, 2001; Cong et al., 2002). 1.1.4.3 Regolazione epigenetica della trascrizione di hTERT La metilazione della citosina presente nelle isole CpG localizzate soprattutto nei promotori dei geni eucariotici è uno dei meccanismi principali di repressione genica (Horikawa & Barrett, 2003). Durante il processo di trasformazione cancerosa determinati geni vengono silenziati a seguito della metilazione del loro promotore, determinando i classici fenotipi cancerosi come la perdita del controllo del ciclo cellulare, l’instabilità genomica o la capacità di produrre metastasi (Esteller 2002). La presenza di isole CpG nel promotore di hTERT porta ad ipotizzare una correlazione generale tra la metilazione del promotore e la sua espressione. Le analisi effettuate da gruppi diversi portano però a risultati contrastanti: mentre alcuni hanno riscontrato la correlazione tra metilazione e repressione di hTERT (Shin et al., 2003; Lopatina et al., 2003; Liu et al., 2004) altri gruppi non riportano una significativa correlazione tra espressione e lo stato metilazionale (Devereux et al., 1999; Dessain et al., 2000), altri ancora invece hanno messo in evidenza come l’ipermetilazione delle isole CpG si osservasse anche in cellule cancerose hTERT-positive e come l’ipometilazione fosse tipica delle normali cellule hTERT-negative (Guilleret et al., 2002b). Solo in tempi più recenti si è visto che nelle cellule cancerose telomerasi-positive almeno uno dei due alleli di hTERT presenta una regione ipometilata in prossimità del punto di inizio della trascrizione, nonostante l’elevato livello di metilazione in regioni più a monte (Zinn et al., 2007). Questi autori hanno inoltre ipotizzato che, in questo contesto particolare, rimodellamenti cromatinici a carattere positivo a livello della regione ipometilata giocano un ruolo nella regolazione di hTERT. I rimodellamenti cromatinici indotti da modificazioni (acetilazione/metilazione) delle proteine istoniche sono dei potenti regolatori dell’espressione genica (Stein et al., 2000). Trattando le cellule con tricostatina A (TSA), un potente inibitore dell’istone deacetilasi (HDAC) si ha un forte aumento dell’espressione di hTERT e dell’attività telomerasica nelle cellule normali ma non in quelle cancerose. Dati 18 sperimentali portano a ipotizzare un meccanismo che coinvolge Sp1 nel suo sito di legame presente nella regione interessata (Figura1.7; Cong & Bacchetti, 2000; Takakura et al., 1999). A B Figura 1.7 Regolazione trascizionale (A) e rimodellamento cromatinico (B) del promotore del gene hTERT. A) Sono evidenziati i fattori della trascrizione, +1 indica il sito di inizio della trascrizione. B) Me, metilazione degli istoni; Ac, acetilazione degli istoni (da Kyo et al., 2008 modificato). Sebbene Sp1 rientri nella categoria degli attivatori trascrizionali di hTERT, la sua azione sembra essere duplice a seconda del microambiente cellulare. È noto infatti che Sp1 può interagire con HDAC, convogliarlo sul promotore di hTERT, promuovere la deacetilazione degli istoni e quindi la repressione della trascrizione (Suzuki et al., 2000). Sp1 interagisce però anche con p300, un coattivatore trascrizionale che possiede attività istoneacetiltransferasica (HAT) che porta quindi all’attivazione del promotore (Suzuki et al., 2000). Rimodellamenti cromatinici mediati dall’acetilazione/deacetilazione degli istoni rientrano anche nel meccanismo d’azione della famiglia c-myc/mad/max. Nelle cellule leucemiche il complesso c-myc/max è associato ad istoni acetilati e quindi a hTERT attivamente espresso. Il 19 complesso antagonista mad/max è associato a istoni deacetilati e a un abbassamento dell’espressione di hTERT (Xu et al., 2001). Sulla regolazione di hTERT interviene anche la metilazione degli istoni. In cellule tumorali telomerasi positive la forte metilazione dell’istone H3-H4 è strettamente associata ad un’alta espressione di hTERT (Atkinson et al., 2005). Il promotore di hTERT è un target di SMYD3, un’istone metiltransferasi specifica per H3-H4 che si lega a tre sequenze bersaglio CCCTCCC localizzate tra -60 bp e -30 bp dal sito di inizio della traduzione (Liu et al., 2007). Questi autori hanno ipotizzato un modello, riassunto in Figura 1.7, secondo cui il legame di SMYD3 sul promotore hTERT determina la metilazione di H3 che funge da evento scatenante per il richiamo di HAT e l’accesso di Sp1 e c-myc sui loro siti di legame su hTERT. 1.1.4.4 Ruolo del signalling sulla regolazione di hTERT Analizzando l’espressione di hTERT e l’attività telomerasica di numerosi tessuti, sia sani che tumorali, si sono osservate delle discordanze in quanto elevati livelli di mRNA non sempre erano associati ad elevati livelli di attività. Ciò porta a ipotizzare che l’espressione di hTERT non è sempre sufficiente a produrre una telomerasi attiva e che quindi le modificazioni posttraduzionali, come la fosforilazione/defosforilazione, giocano un ruolo nel cambiamento tra stato attivo e inattivo della telomerasi (Ulaner et al., 2000; Rohde et al., 2000; Cong et al., 2002). È noto infatti che il trattamento con imatinib mesilato, un potente inibitore della tirosin chinasi, è in grado di abbassare i livelli di attività telomerasica in cellule leucemiche telomersi positive (Uziel et al., 2005). La protein chinasi C (PKC) fa parte di una larga famiglia di chinasi fosfolipide dipendenti, coinvolta nella crescita cellulare, nella differenziazione e nella carcinogenesi. La famiglia consiste di circa 10 isoforme con più di 100 substrati differenti (Liu 1996). Varie isoforme di PKC sono coinvolte nella regolazione dell’attività telomerasica in differenti tipi cellulari e in diverse condizioni fisiologiche. Ad esempio PKC è coinvolta nella fosforilazione di hTERT e nella regolazione dell’attività telomerasica nelle cellule di cancro al seno (Li et al., 1998). La protein chinasi B (o Atk chinasi) è coinvolta nell’attivazione della telomerasi umana attraverso la fosforilazione in due siti specifici (Breitschopf et al., 2001; Kang et al., 1999). Al contrario di PKC e Atk, la tirosin chinasi c-Abl, fosforilando hTERT inibisce l’attività telomerasica (Kharbanda et al., 2000). La fosforilazione di hTERT è importante anche durante l’attivazione dei linfociti CD4. In questo contesto l’induzione dell’attività telomerasica è indipendente dall’aumento della quantità di proteina stessa. Il meccanismo di attivazione prevede la fosforilazione di hTERT e 20 la sua traslocazione dal citoplasma, dove è inattiva, al nucleo dove assume la forma attiva (Liu et al., 2001). Questo meccanismo si riscontra anche durante la proliferazione delle cellule della muscolatura liscia vascolare di ratto, dove la fosforilazione di hTERT ne determina la traslocazione citoplasma-nucleo e la conseguente attivazione (Minamino et al., 2001). 1.1.4.5 Meccanismo alternativo di allungamento dei telomeri (ALT) Tutte le linee cellulari umane immortalizzate hanno un meccanismo di mantenimento della lunghezza dei telomeri (telomere length maintenance mechanism, TMM) per compensare l’accorciamento dei telomeri che accompagna la proliferazione cellulare (Colgin & Reddel, 1999; Henson & Reddel, 2010). Oltre al già descritto meccanismo che coinvolge la telomerasi, è stata evidenziata la presenza di un meccanismo alternativo indipendente dalla telomerasi stessa detto ‘Alternative Lengthening of Telomeres’ (ALT) (Bryan et al., 1995). Fu scoperto per primo nei lieviti, si notò anche nelle cellule di mammifero, dove si ipotizzò la presenza di questo meccanismo alternativo grazie all’analisi della lunghezza dei telomeri nelle cellule immortalizzate telomerasi-negative. In queste cellule la lunghezza viene infatti mantenuta costante anche dopo centinaia di duplicazioni senza l’intervento della telomerasi (Bryan et al., 1995; Rogan et al., 1995). Circa il 90-95 % dei tumori umani e circa il 60-70 % delle linee cellulari immortalizzate sono telomerasi-positivi (Shay & Bacchetti, 1997). Il restante 30-40 % delle cellule immortalizzate ed il 5-10 % di quelle cancerose sono telomerasi-negative e quindi usano il meccanismo ALT (Bryan et al., 1995; Henson et al., 2002). Anche se la definizione di ALT comprende tutti i meccanismi di mantenimento della lunghezza dei telomeri (TMM) non esistono evidenze che portano a pensare all’esistenza di più di un meccanismo ALT (Bryan & Reddel, 1997). I telomeri delle cellule ALT conservano diverse caratteristiche canoniche, come la presenza delle ripetizioni TTAGGG nel doppio filamento con una coda terminale a singolo filamento ricca di G (G-tail), la presenza del complesso della shelterin e di altre proteine associate ai telomeri, e l’abilità di formare il t-loop (Cesare & Reddel, 2010). In aggiunta a queste, le cellule ALT mostrano altre caratteristiche del tutto inusuali, come l’abbondanza di DNA con sequenza telomerica, non appartenente ai cromosomi. Questo DNA extracromosomale prende varie forme, nella maggior parte dei casi si trova sotto forma di DNA circolare a doppio filamento chiamato t-circle (Cesare & Griffith, 2004), DNA circolare parzialmente a singolo filamento chiamato C-circle o G-circle a seconda di quale base sia più presente (Henson et 21 al., 2009), DNA lineare a doppio filamento (Tokutake et al., 1998), ed un complesso di DNA ad alto peso molecolare detto ‘t-complex’ (Nabetani & Ishikawa, 2009). Nelle cellule ALT il DNA dei telomeri (sia cromosomale che extracromosomale) e le proteine associate ad esso possono presentarsi come ‘promyelocytic leukaemia nuclear bodies’ (PML nuclear bodies) che nel caso specifico prendono il nome di ‘ALT-associated PML bodies’ (APB; Jensen et al., 2001). Il DNA telomerico presente negli APB può dinamicamente passare dalla forma cromosomale a quella extracromosomale (Molenaar et al., 2003). Sebbene gli APB contengano proteine specifiche per la ricombinazione attiva nel meccanismo ALT, non è ancora chiaro se l’attività ALT stessa abbia sede sugli ABP (Jensen et al., 2001). La presenza di DNA telomerico all’interno delle APB ha permesso di spiegare la grande abbondanza di DNA con sequenze telomeriche non appartenente ai cromosomi (Tokutake et al., 1998) Fondamentale è la stretta correlazione tra la presenza delle APB e quella di ALT, che porta le APB ad essere ottimi marker per l’individuazione delle cellule ALT+ (Yeager et al., 1999). Un’altra caratteristica evidente delle cellule ALT riguarda la loro grande eterogeneità a livello della lunghezza dei telomeri (Bryan et al., 1995), la loro rapidità nel cambiarla (Perrem et al., 2001) e l’elevato livello di ricombinazione della regione telomerica (Londono-Vallejo et al., 2004). Nelle cellule tumorali telomerasi-positive o nelle cellule immortali la lunghezza dei telomeri è relativamente omogenea, ed è di circa 10 Kb, mentre nelle cellule ALT+ la lunghezza di media è di circa 20 Kb, con un range che va da meno di 3 Kb a più di 50 Kb (Opitz et al., 2001). È inoltre stata ipotizzata una correlazione temporale tra l’evento di immortalizzazione in vitro e la comparsa delle caratteristiche del fenotipo ALT (Yeager et al., 1999). 22 Figura 1.8 Visualizzazione dei telomeri nelle cellule (a) ALT e in quelle (b) telomerasi-positive grazie alla l’Ibridazione Fluorescente in situ (Fluorescence in situ hybridization, FISH), si può notare l’eterogeneità nella lunghezza dei telomeri nelle cellule ALT. È stata usata una sonda fluorescente DNA telomerico-specifica (rosa) (da Henson et al., 2002). Anche se ormai è appurato il fatto che il meccanismo delle ALT si basa sulla ricombinazione, il processo dell’allungamento dei telomeri è ancora in parte sconosciuto (de Boeck et al., 2009). Gli studi fatti portano a pensare che il modello migliore che spieghi l’attività delle ALT sia quello in cui una coda di un telomero a singolo filamento invade un telomero a doppio filamento, o si lega ad un DNA telomerico a singolo filamento, usandolo come stampo per la sintesi di nuove sequenze telomeriche, o per allungare se stesso. Lo stampo può far parte dello stesso telomero formando un t-loop, del telomero del cromatide fratello, di un altro cromosoma o del DNA extracromosomale presente nelle cellule ALT (Cesare & Reddel, 2010). 23 Figura 1.9 Meccanismi di sintesi altenativa del DNA mediati dalla ricombinazione dei telomeri nelle ALT. L’allungamento può avvenire tramite ricombinazione dello stesso telomero grazie alla formazione di un t-loop al suo interno (a), al telomero del cromatide fratello (b), di un DNA telomerico lineare extracromosomale (c),o DNA telomerico circolare extracromosomale (d). I segmenti obliqui di colore grigio indicano il sito di taglio del filamento ricco di C (da Cesare & Reddel, 2010). 24 1.2 LE SINDROMI MIELODISPLASTICHE Le Sindromi Mielodisplastiche (SMD) comprendono un ampio spettro di disordini mieloidi clonali (neoplastici) caratterizzati da emopoiesi inefficace, citopenie, anomalie qualitative delle cellule del sangue e dei loro precursori, anomalie cromosomiche clonali ed una variabile probabilità di evolvere in Leucemia Acuta Mieloide (LAM, Lichtman 2000). Le SMD comprendono entità nosologiche che vanno dall'anemia a decorso indolente, con una scarsa probabilità di progressione in LAM, alle citopenie multilineari, clinicamente più difficili da gestire, fino alle LAM oligoblastiche, definite sindromi preleucemiche (HamiltonPaterson 1949). La proliferazione clonale di cellule emopoietiche multipotenti in questo gruppo di malattie è accompagnata da effetti molto variabili su tutte e tre le linee cellulari e di solito si associa ad un'aumentata apoptosi dei precursori midollari. Anomalie qualitative come la forma e la dimensione delle cellule e degli organelli subcellulari possono essere presenti in ogni linea cellulare. L’ incidenza delle SMD è di circa 3 e 12 casi per 100.000 abitanti per anno, con variazioni legate in parte a vere differenze geografiche e/o etniche e parte alla diversa capacità di diagnosi e selezione dei singoli centri. Tutti gli studi fatti sono concordi nell'evidenziare un aumento dell'incidenza correlato all'età (Tabella 1.1), rendendo le SMD un problema di interesse geriatrico; questo dato è confermato da uno studio di popolazione condotto dal Surveillance Epidemiology and End Results (SEER) americano (Aul et al., 1992; Williamson et al., 1994; Rådlund et al., 1995; Maynadié et al., 1996; Bauduer et al., 1998; Iglesias Gallego et al., 2003; Ma et al., 2007). L'insorgenza di una SMD prima dei 50 anni è, infatti, abbastanza rara se si fa eccezione per i pazienti trattati con radio- o chemioterapia eseguite per altre neoplasie (Aul et al., 1992; Groupe Francais de Morfologie Hematologique 1987; McNally et al., 1997; Luna-Fineman et al., 1999). L'incidenza delle SMD nell'infanzia (tra 5 mesi e 15 anni) è di circa un caso per milione per anno. La maggior parte dei casi di SMD nell'infanzia esordisce come ereditarie predisponenti, come la sindrome di Down e l'anemia di Fanconi (Novitzky 2000; Hasle et al., 2003; Kardos et al., 2003). L'incidenza annuale delle SMD dopo i 20 anni aumenta, secondo una funzione logaritmica, da meno di uno per milione di abitanti, a più di 20 per 100.000 nei settantenni (Eisenstaedt et al., 2006). L'incidenza nei maschi è maggiore rispetto alle femmine. 25 Incidenza (%) per fasce d’età < 50 Aul et al., 1992 0,2 Williamson et al., 1994 0,5 Rådlund et al., 1995 0,7 Maynadié et al., 1996 <1 50-59 5,3 Ma et al., 2007 22,8 15,0 49,0 1,6 2,0 80 70-79 4,9 Bauduer et al., 1998 Iglesias Gallego et al., 2003 60-69 Incidenza 4,1 89,0 15,0 11,0 25,0 (%) globale 12,6 3,5 30,0 7,2 3,2 7,2 0 4,5 6,8 25,5 56,7 8,0 <1 2,2 8,1 21,1 36,3 3,4 Tabella 1.1 Incidenza delle SMD secondo vari studi; da Sindromi mielodisplastiche. Dalla teoria alla pratica clinica. (da Aloe Spiriti et al., 2007; modificata). 1.2.1 Presentazione Clinica Il sospetto clinico di SMD è strettamente correlato all’età del paziente. Le indagini epidemiologiche suggeriscono un aumento esponenziale di incidenza correlato all’aumento dell’età. Una SMD è un evento eccezionale sotto i 30 anni ed è relativamente frequente in età avanzata. Il sospetto che deve innescare le procedure diagnostiche iniziali, oltre ai segni ed ai sintomi, deve tenere in considerazione in primis l’età del paziente. Anemia. L’anemia ed i sintomi ad essa correlati costituiscono il motivo che induce più frequentemente a sospettare una SMD. L’85% dei casi si presenta con anemia alla diagnosi (emoglobina inferiore a 12 g/dl) ed il 25% ha un valore inferiore a 8 g/dl. L’anemia, pur essendo l’alterazione più frequente, si associa ad altre citopenie in circa la metà dei casi; un’anemia isolata costituisce l’unica alterazione dell’emocromo in circa il 35% dei casi. Neutropenia. Talvolta il quadro di esordio di una SMD è una neutropenia isolata che perdura e peggiora nel tempo. Molti casi sono diagnosticati in modo del tutto occasionale. All’esordio circa due terzi dei pazienti sono neutropenici, anche se nella maggior parte dei casi si presentano anche anemici. Normalmente il limite inferiore dei neutrofili (PMN) è considerato 1.500/mmc; in relazione alla conta granulocitaria la neutropenia può essere classificata come lieve (1.000/mmc < PMN < 1.500/mmc), moderata (500/mmc < PMN < 1.000/mmc) o grave (PMN < 500/mmc). Un valore di PMN inferiore a 1.000/mmc pone il paziente ad un grave rischio infettivo. 26 Le infezioni presentano l’esordio clinico di un’elevata percentuale di SMD. Infezioni polmonari ricorrenti, delle vie urinarie, sepsi ed ascessi cutanei sono le forme più frequenti, di origine prevalentemente batterica. Le infezioni sono anche la causa più frequente di decesso nei pazienti affetti da SMD, in particolare nelle forme più ad alto rischio. Ad aumentare il rischio infettivo contribuiscono anche le alterazioni funzionali dei granulociti che presentano deficit di chemiotassi, di fagocitosi e di attività battericida (Boogaerts et al., 1983). Morfologicamente i granulociti si presentano ipogranulati con cromatina addensata. Sul piano fisiopatologico la neutropenia può essere il risultato di una diminuita produzione midollare, di un’aumentata distruzione periferica o di un sequestro splenico. Piastrinopenia. Nell’ambito delle SMD si definisce piastrinopenia una riduzione delle piastrine (PLT) al di sotto di 100.000/mmc (Greenberg et al., 1998; Kantarjian et al., 2007). Una conta piastrinica inferiore a 20.000/mmc è considerata ad elevato rischio emorragico (Kantarjian et al., 2007). La piastrinopenia svolge un ruolo preponderante nel determinare le complicanze emorragiche nei pazienti affetti da SMD. Nella casistica di 816 pazienti, arruolati nel 1997 per la messa a punto dell’International Prognostic Scoring System (IPSS), i piastrinopenici erano solo il 37% del totale (Greenberg et al., 1998). Un’analisi effettuata su 18 studi clinici ha evidenziato un’incidenza media del 65% con un’ampia variabilità oscillante tra il 23% ed il 93%. La revisione della casistica di 2.410 pazienti mielodisplastici seguiti all’MD Anderson Cancer Center di Houston identifica un’incidenza del 67% all’esordio (Kantarjian et al., 2007); si tratta, tuttavia, di una casistica che seleziona un’alta percentuale di forme secondarie (25%) e di casi con score IPSS intermedio-2 o alto (38%). Una piastrinopenia isolata è tuttavia una forma di presentazione clinica infrequente che si riscontra solo nel 7% dei casi. Pancitopenia. Una citopenia bi- o trilineare costituisce il sintomo d’esordio in circa il 60% delle SMD e quasi sempre l’anemia è presente. In un soggetto anziano il sospetto di una SMD si pone in particolare per i casi che si presentano con pancitopenia moderata dove la diagnosi più frequente è tra un’epatopatia cronica ed una patologia midollare primitiva. 27 1.2.2 La Diagnosi 1.2.2.1 Sangue periferico e midollo osseo Il percorso che porta alla diagnosi di una SMD si avvale di numerosi strumenti quali l’emocromo, l’aspirato midollare, la biopsia osteomidollare e l’analisi citogenetica a cui, più recentemente, si sono aggiunte valutazioni di tipo citofluorimetrico e di biologia molecolare che, integrandosi, concorrono ad una sempre più precisa definizione diagnostica e prognostica di questi disordini (Fig. 1.10). L’emocromo è il primo e più semplice esame di laboratorio che permette di far sospettare una SMD: il tipico paziente che giunge all’osservazione del Medico è un soggetto anziano con un’età media di 65-70 anni che presenta una o più citopenie; alcuni pazienti possono presentare sintomi diversi quali sanguinamenti o sintomi legati ad una infezione o ad una patologia autoimmune (Heaney & Golde, 1999). L’esame microscopico ottico dello striscio di sangue periferico, con determinazione della formula leucocitaria su almeno cento elementi cellulari leucocitari, può dare informazioni molto utili per una diagnosi differenziale. Al fine di poter rilevare e valutare questi aspetti è tuttavia necessario che il preparato citologico sia adeguatamente allestito e colorato con colorazioni tipo May Grumwald Geimsa o similari. L’esame di un preparato citologico di aspirato midollare, adeguatamente allestito e colorato, rappresenta la più importante indagine diagnostica in un paziente con sospetta SMD (Valent et al., 2007). Accanto alla colorazione di May Grumwald Geimsa deve sempre essere allestita anche una colorazione per la determinazione del ferro (reazione di Perls) per enumerare i sideroblasti ad anello. Il midollo è generalmente iper- o normocellulato, anche se in alcuni casi può essere ipocellulato. Per una diagnosi di SMD almeno il 10% delle cellule di una data filiera deve mostrare una chiara displasia. Poiché il sistema di classificazione si basa, oltre che sulla valutazione delle alterazioni displastiche, anche sulla determinazione della percentuale delle cellule blastiche, il loro riconoscimento è di primaria importanza per l’attribuzione dei singoli casi alle diverse sub-entità. I mieloblasti sono riconosciuti sulla base di diverse caratteristiche nucleari, tra cui l’elevato rapporto nucleo/citoplasma, la presenza di nucleoli e la fine cromatina nucleare. L’International Working Group on Morphology of Myelodysplastic Syndrom, nel 2008, (IWGM-MDS) ha revisionato una serie di midolli di pazienti affetti da SMD ed ha formulato alcune raccomandazioni riguardanti l’identificazione ed il conteggio dei blasti anche alla luce del fatto che la WHO (World Health Organization) non ha mai dato raccomandazioni 28 Figura 1.10 Aspirato midollare: zona di prelievo, cresta iliaca. specifiche su questo aspetto e che la valutazione dei blasti midollari non è uniforme nella comune pratica clinica (Mufti et al., 2008). L’IWGM-MDS ha raccomandato che i mieloblasti siano inoltre classificati come granulati e non granulati. I blasti agranulati corrispondono ai blasti di tipo I della classificazione FAB (French-American-British). I blasti granulati sono cellule che hanno le caratteristiche nucleari dei blasti ma hanno anche granulazioni citoplasmatiche: essi includono i blasti di tipo II della classificazione FAB ed i blasti di tipo III (Goasguen et al., 1991). Nelle SMD è pertanto utile individuare le seguenti categorie : promielociti normali; blasti granulati; blasti non granulati; promielociti displastici. Vista l’importanza del riconoscimento delle anemie refrattarie con sideroblasti ad anello, l’IWGM-MDS ha ridefinito i precisi criteri per il riconoscimento dei sideroblasti ad anello (Mufti et al., 2008). I sideroblasti ad anello devono rispondere ai seguenti criteri: avere almeno cinque granuli a distribuzione perinucleare; i granuli possono sia circondare l’intero nucleo, sia essere localizzati in porzioni dell’area perinucleare o coprire almeno un terzo del nucleo. L’IWGM-MDS ha inoltre definito tre tipi di sideroblasti ad anello: 29 tipo I (meno di cinque granuli di ferro nel citoplasma); tipo II (cinque o più granuli di ferro ma non in una disposizione perinucleare); tipo III o sideroblasti ad anello (cinque o più granuli in posizione perinucleare che circondano il nucleo o interessano almeno un terzo della circonferenza nucleare). 1.2.2.2 Analisi citogenetica L’analisi citogenetica midollare è un’indagine essenziale indicata non solo a scopo diagnostico, per individuare le caratteristiche anomalie cromosomiche, ma anche per l’importante ruolo prognostico. Per consenso si ritiene che debbano essere analizzate almeno 20-25 metafasi midollari. Il cariotipo deve essere riportato secondo le linee guida International System for human Cytogenetic Nomenclature (ISCN; No authors listed 1981). Sulla base di queste linee guida si definisce “clone” la presenza di due cellule midollari che mostrano un’anomalia strutturale o un’acquisizione di materiale cromosomico o di almeno tre cellule midollari che presentino la stessa perdita di materiale cromosomico. Un cariotipo complesso è invece definito dalla presenza di almeno tre lesioni citogenetiche clonali indipendenti in almeno due cellule. Durante il follow-up il cariotipo dovrebbe essere ripetuto, in caso di progressione, ad almeno 6-12 mesi di distanza. Nei casi dubbi (per esempio in caso di ridotto numero di metafasi) viene raccomandata l’indagine di Fluorescent In Situ Hybridization (FISH) in interfase (Valent et al., 2007) che includa almeno le sonde per studiare le seguenti regioni cromosomiche: 5q31, CEP7, 7q31, CEP8, 20q, CEPY e p53. Alterazioni cromosomiche sono dimostrabili nel 40-70% dei pazienti affetti da SMD; nelle forme secondarie l’incidenza si aggira attorno al 90% (Mufti 1992; Rigolin et al., 1998; Olney & Le Beau, 2001; Haase et al., 2007). Le delezioni cromosomiche sono le alterazioni più frequentemente osservate (Tabella 1.2). Nelle SMD secondarie a trattamenti chemioterapici includenti alchilanti, il cariotipo risulta nella maggior parte dei casi complesso, con anomalie che interessano nel 90% dei casi i cromosomi 5 e 7 (monosomia del 7, 7q-, monosomia del 5, 5q-). Nel caso di un trattamento con inibitori delle topoisomerasi, si osservano spesso alterazioni a carico del cromosoma 11q23 (Olney & Le Beau, 2001). Il riscontro di una lesione citogenetica può rivestire anche un ruolo diagnostico. Non esistono lesioni citogenetiche patognomoniche delle SMD essendo molte di esse riscontrabili anche nelle LAM, specialmente nell’anziano (Mufti 1992). Alcune anomalie ricorrenti sono state recentemente riconosciute come evidenza presuntiva per una diagnosi di SMD in presenza di 30 una citopenia persistente in assenza di una diagnosi morfologica definitiva (Vardiman et al., 2009). Altre anomalie genetiche, quali del (20q) e +8, non sono invece considerate specifiche, essendo state riscontrate in altre emopatie che rispondono bene alla terapia immunosoppressiva e che non mostrano segni morfologici di displasia in un lungo follow-up (Maciejewski et al., 2002; Steensma et al., 2003; Gupta et al., 2006). La perdita del cromosoma Y nelle cellule emopoietiche sarebbe invece un fenomeno associato all’invecchiamento (Pierre & Hoagland, 1972). Pertanto non è ancora chiaro se queste anomalie siano necessariamente indicative di SMD quando le caratteristiche morfologiche non sono indicative. La valutazione del cariotipo alla diagnosi è stata inserita in molti sistemi prognostici e riveste anche importanza per la risposta al trattamento con nuovi farmaci quali ad esempio la lenalidomide nella Sindrome 5q- (List et al., 2006) o di pazienti che ricevono trattamenti intensivi (Alessandrino et al., 2008). In particolare nell’IPSS, sulla base del tipo e del numero di anomalie, sono stati identificati tre gruppi citogenetici a diversa prognosi e rischio di progressione in LAM. Aberrazioni non bilanciate (acquisizione o perdita di materiale cromosomico) Anomalie strutturali (traslocazioni reciproche bilanciate, inversioni, inserzioni) *del(5q)-monosomia 5 (20-32%) *del(7q)- monosomia 7 (10-17%) *monosomia 17/17p- (1-7%) *der/del(11q) (3%) *del(12p) (2-6%) *del (13q)/-13 (2%) *iso17q (1-3%) *del(9q) (0,5-1%) *idic(X)(q13) (0,5-1%) trisomia 8 (8-21%) del(20q) (1-14%) monosomia Y (3-10%) trisomia 11 (1-2%) trisomia 21 (2%) traslocazioni bilanciate (6%) *t(3;21)(q26;q21) *inv(3)(q21;q26) *t(11;16)(q23;p13.3) *t(1;3)(p36.3;q21.1) *t(2;11)(p21;q23) *t(6;9)(p23;q34) *t(12p) *anomalie complesse (più di tre cromosomi) (10-20%) Tabella 1.2 Anomalie citogenetiche; da Chromosomal deletions in the myelodysplastic syndrome. (Mufti 1992; modificata). *Anomalie cromosomiche ricorrenti considerate, come evidenza, presuntive per una diagnosi di SMD in presenza di una persistente citopenia in assenza di una definitiva diagnosi morfologica di SMD. 31 1.2.2.3 Analisi molecolare e mutazioni puntiformi Le indagini di tipo molecolare rivestono un ruolo ancora in via di definizione nell’inquadramento diagnostico delle SMD. Tra le metodiche molecolari che oggi vengono utilizzate vi è lo studio dei profili di espressione genica (GEP) con i microarray. Caratteristici profili di espressione genica sono stati osservati nei pazienti con anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (upregolazione di geni correlati ai mitocondri, tra cui quelli coinvolti nella sintesi dell’eme quali ALAS2) e con sindrome 5q-, nei quali si è osservata una up regolazione di geni istonici del cluster HIST1 e di geni correlati al citoscheletro actinico e una down regolazione di geni assegnati alla Commonly Deleted Region (CDR) sulla regione 5q, quali SPARC e RPS14 (Boultwood et al., 2007). La valutazione dei GEP, pur molto promettente, necessita di ulteriori studi per meglio definirne l’impatto diagnostico e prognostico. Recentemente è stato poi dimostrato, con una tecnica di RNA silencing, che la perdita parziale della funzione di RPS14 potrebbe avere un ruolo nella patogenesi della sindrome 5qe di forme congenite di insufficienza midollare (Ebert et al., 2008). In certe condizioni cliniche l’analisi mutazionale può invece rivestire un ruolo diagnostico. Un esempio è rappresentato dallo studio della mutazione V617F del gene JAK2 nelle SMD con caratteristiche mieloproliferative ed in alcuni pazienti con del(5q) (Ingram et al., 2006; Boissinot et al., 2006; Renneville et al., 2006; Szpurka et al., 2006). Recentemente, in analogia a ciò che è stato osservato per le sindromi mieloproliferative croniche Ph-negative, si è valutata l’incidenza delle mutazioni del gene TET2 nelle SMD (Delhommeau et al., 2009). L’interesse nell’analisi di TET2 mutato sorge dall’osservazione, secondo cui i pazienti che presentano la mutazione hanno una prognosi migliore (Kosmider et al., 2009). Benché questo dato non sia stato confermato da studi successivi (Jankowska et al., 2009) permane tuttavia molto interesse per questa molecola, dato che potrebbe rivestire un ruolo importante come regolatore dell’idrossilazione della metilcitosina (come l’analogo TET1), e dunque in qualche modo influenzare la regolazione dell’assetto cromatinico e, ipoteticamente, la risposta a farmaci che coinvolgano meccanismi epigenetici. Il ruolo patogenetico nelle SMD di mutazioni di TET2 e di mutazioni di JAK2, riscontrabili in meno del 10% dei casi, non è stato comunque chiarito, potrebbe trattarsi di alterazioni molecolari esprimenti l’instabilità genomica del clone e non la causa della patologia. L’iperespressione del gene Wilms Tumor-1 (WT-1) sembra essere un marker universale di malignità e di progressione nelle patologie mieloproliferative. Anche nelle SMD, alti livelli di 32 trascritto per WT-1 correlano con la progressione della patologia e con il grado di rischio IPSS (Greiner et al., 2008). 1.2.2.4 Modificazioni epigenetiche Le modificazioni epigenetiche sono eventi potenzialmente reversibili che determinano riarrangiamenti cromatinici trasmissibili da una cellula alla sua progenie. Tali modificazioni modulano ed alterano l’espressione genica senza cambiare la sequenza del DNA e senza nessuna nuova informazione genetica. Modificazioni epigenetiche sono date da metilazione del DNA, acetilazione, fosforilazione, ubiquitinazione degli istoni e generazione di siRNA. La modulazione dell’espressione genica è dunque regolata principalmente da quello che è stato definito “codice istonico” e dall’ipermetilazione delle isole CpG (Turner 2005). Le isole CpG sono dei tratti ripetitivi di citosina e guanina che si localizzano nel DNA, generalmente in corrispondenza dei promotori di alcuni geni. L’aggiunta di CH3 alle isole CpG è un fenomeno che impedisce la trascrizione del gene a valle. La metilazione delle citosine è compiuta da enzimi specifici chiamati DNA metiltransferasi (DNMT), DNMT1 di mantenimento e DNMT3a e DNMT3b per la metilazione de novo. La metilazione del DNA è reversibile e la sua modulazione regola l’embriogenesi, l’inprinting, l’inattivazione del cromosoma X ed il differenziamento. Le isole CpG metilate sono molto rare nell’intero DNA. In molte neoplasie, solide ed ematologiche, determinate isole CpG sono ipermetilate in maniera non fisiologica e dunque i geni a valle sono stabilmente silenziati (Santini et al., 2001). In un recente studio, sono state valutate la metilazione globale e l’acetilazione istonica in 54 pazienti affetti da carcinoma renale a cellule chiare e sottoposti a nefrectomia parziale. Sono state osservate una ipermetilazione globale ed una ipoacetilazione istonica, inoltre il grado di metilazione e quello di acetilazione rispettivamente aumentava e diminuiva con l’aumentare del grado di Fuhrman (identificato come fattore prognostico più importante all’analisi uni variata; Minardi et al.,2009). Le modificazioni epigenetiche sono ormai considerate un evento cruciale nella carcinogenesi e nella crescita tumorale e l’interplay tra metilazione globale del DNA ed acetilazione istonica è coinvolto nei processi di trascrizione genica e di anomalo silenziamento di alcuni geni (Herranz & Esteller, 2007; Vaissière et al., 2008). La metilazione del DNA è studiata in molti tipi di tumore: un’ipermetilazione globale nel carcinoma della mammella sembra associata ad un’aumentata resistenza al Docetaxel, l’ipometilazione dei Long Interspersed Nucleotipe Elements (LINE-1) nel carcinoma polmonare non a piccole cellule sembra essere un marker prognostico negativo. La 33 metilazione del DNA sembra essere rilevante anche nel carcinoma squamocellulare della cute, nel carcinoma prostatico ed addirittura come marker di rischio cardiovascolare (Kastl et al., 2010; Saito et al., 2010; Laing et al., 2010; Ribarska et al., 2010; Kim et al., 2010). La metilazione globale nelle SMD è stata poco studiata, piuttosto è stata esaminata la metilazione di alcuni geni in particolare. In un recente studio pubblicato dal gruppo di Voso è emerso che l’anomala ipermetilazione dei promotori dei geni CDH1, TBSP-1, COX-2, DAPK1 e GSTP1 è maggiore nelle SMD e nelle LAM therapy related rispetto alle stesse patologie diagnosticate de novo (Voso et al., 2010). Nelle SMD sembra essere presente anche un’ipermetilazione di LINE-1 che, secondo gli autori, può essere utilizzata come marker di ipermetilazione globale nelle SMD (Römermann et al., 2007). Recentemente Issa e collaboratori hanno descritto l’ipermetilazione di alcuni geni che controllano la proliferazione e l’adesione cellulare nelle SMD, inoltre, hanno dimostrato una correlazione con l’aggressività della malattia e la maggiore probabilità di progressione leucemica (Issa 2010). Il gruppo cinese di Lin ha studiato la metilazione del promotore del gene DNA-damage-inducible-transcript 3 (DDIT 3) ed ha trovato che l’espressione di questo gene è down regolata nelle neoplasie mieloidi, comprese le SMD. La metilazione delle isole CpG del promotore di questo gene è risultata anomala nel 31,8% dei casi; non vi è, però, nessuna correlazione tra l’ipermetilazione di DDIT 3 e la presentazione clinica o il sottotipo di SMD. Anche se la sopravvivenza del gruppo di pazienti “ipermetilati” è risultata minore rispetto agli altri (12 versus 23 mesi), la differenza non è risultata statisticamente significativa (p = 0,137). Questi dati suggeriscono che l’ipermetilazione di DDIT 3 potrebbe rappresentare uno degli eventi iniziali nella patogenesi delle SMD (Lin et al., 2010). Una metilazione aberrante ed alcune delezioni cromosomiche potrebbero essere responsabili della progressione da SMD a LAM: il gruppo americano di Cleveland ha studiato con la tecnica dei microarray la metilazione del DNA e con gli high density Single Nucleotide Polymorfism-A (SNP-A) il genotipo di 184 pazienti affetti da SMD o LAM per studiare il silenziamento di alcuni geni oncosoppressori. Tutti i campioni analizzati hanno mostrato un pattern aberrante di metilazione, mentre le delezioni cromosomiche sono state osservate nel 79% dei pazienti affetti da SMD e nel 90% dei pazienti affetti da LAM, ma non erano uniformemente distribuite nel genoma. Il gene oncosoppressore identificato come maggiormente coinvolto nella progressione a LAM è FZD9, sul cromosoma 7: i pazienti che presentavano il silenziamento di FZD9 avevano un outcome peggiore. Questi risultati indicano che l’abnorme metilazione e le delezioni cromosomiche contribuiscono al silenziamento dei geni oncosoppressori, anche se la 34 metilazione sembra avere un’influenza maggiore (Jiang et al., 2009). Nelle SMD è stato dimostrato che alcuni geni, quali p15ink4b, death associated protein kinase (DAP kinasi), SOCS-1, E-caderina, recettore estrogenico e RAR sono frequentemente ipermetilati (Voso et al., 2004; Teofili et al., 2003). L’ipermetilazione incrementa con la progressione della malattia, dunque sembrerebbe direttamente correlata alla sua patogenesi. In particolare, nelle SMD, l’ipermetilazione di p15 è associata a perdita di espressione della proteina e correla con una sopravvivenza minore rispetto a quella di pazienti in cui il promotore di p15 non è ipermetilato. In aggiunta, p15INK4b non è ipermetilato nelle SMD a basso rischio, mentre diviene frequente nelle SMD ad alto rischio, che presentano un’incidenza di ipermetilazione del 23% alla diagnosi, del 30% negli stadi più avanzati e del 60-70% nelle LAM secondarie a SMD (Aggerholm et al., 2006). Il gruppo tedesco di Hopfer ha analizzato la cinetica dei sottotipi delle DNMTs e la metilazione aberrante dei promotori dei geni chiave dell’emopoiesi; in vitro è stato creato un modello di emopoiesi displastica ponendo in coltura cellule CD34+, provenienti da donatori sani e da pazienti affetti da SMD, con eritropoietina, trombopoietina e G-CSF. L’espressione di tutte le isoforme di DNMTs era aumentata durante la trombopoiesi, mentre l’espressione della DNMT1 era aumentata durante l’eritropoiesi. Nelle SMD ad alto rischio è stata trovata un’associazione tra un’aberrante metilazione dei promotori e l’espressione di tutte le isoforme di DNMTs. I dati di questo studio suggeriscono che tutte le isoforme di DNMTs sono coinvolte nell’aberrante metilazione delle cellule displastiche (Hopfer et al., 2009). Oltre alla metilazione ed alle DNMT, ci sono altri “attori” nella regolazione dell’espressione genica: gli istoni. L’ottamero istonico forma il “rocchetto” attorno al quale si avvolge il filamento di DNA (Richmond & Davey, 2003). Quando tali istoni presentano il loro terminale NH2acetilato, le due cariche negative si respingono ed il DNA non si avvolge strettamente agli istoni, rimanendo aggredibile da parte delle RNA polimerasi e dei fattori di trascrizione; viceversa, quando il DNA regionale è metilato, si reclutano in loco complessi corepressivi formati da diverse proteine, tra cui ovviamente le DNMT e le Istone Deacetilasi (HDAC) (Spotswood & Turner, 2002). La conseguente deacetilazione degli istoni, accompagnata da altre specifiche modifiche, porta ad un assetto del DNA che lo rende inaccessibile alla trascrizione. Nelle cellule normali esiste un equilibrio tra regioni di cromatina accessibili ai fattori di trascrizione (Transcription Factors, TFs) e regioni rese “mute” da fenomeni epigenetici quali la metilazione delle isole CpG e la perdita dell’acetilazione istonica. Quattro coppie di proteine istoniche (due coppie di H3, due di H4, due di H2b e due di H2a) costituiscono il nucleosoma attorno al quale è avvolto il DNA. La metilazione del DNA 35 avviene sulle citosine grazie agli enzimi DNMT e porta al reclutamento di Metal Binding Proteins (MBP), corepressori e HDAC che localmente deacetilano le code lisiniche degli istoni, mentre gli enzimi istone metiltransferasi (HMT) metilano le lisine non più acetilate. Nelle zone di DNA accessibili ai fattori di trascrizione, i residui lisinici degli istoni sono acetilati e metilati in residui diversi (Figura 1.11, Figura 1.12). Figura 1.11 Rimodellamento cromatinico in una cellula normale; da Sindromi mielodisplastiche. Dalla teoria alla pratica clinica (Aloe Spiriti et al., 2007; modificata). Figura 1.12 Legenda della Figura 1.10. Nelle cellule mielodisplastiche questo equilibrio è profondamente alterato; molto frequentemente si ha una ipermetilazione delle isole CpG situate in zone di DNA 36 normalmente trascritte e questa alterata metilazione recluta in maniera stabile proteine leganti metili in vaste zone del DNA, rendendole non trascrivibili. Il risultato è la mancata produzione di mRNA per proteine oncosoppressive o correlate alla maturazione emopoietica. La terapia epigenetica porta alla reinduzione dell’espressione genica grazie all’azione demetilante di Decitabina ed Azacitidina (Figura 1.13). DNMT HDAC CR Trascrizion e genica MBP HP-1a HMT CA HAT TFs MBP HMT HMT Figura 1.13 Rimodellamento cromatinico in una cellula displastica; da Sindromi mielodisplastiche. Dalla teoria alla pratica clinica. (Aloe Spiriti et al., 2007; modificata). 1.2.2.5 Citometria a flusso Nella fase diagnostica la valutazione citofluorimetrica di una sospetta SMD è di aiuto nella valutazione dei blasti CD34+, dei monociti, della componente mieloide maturante e della componente eritroide (Ogata et al., 2006; Wells et al., 2003; Malcovati et al., 2005a; Della Porta et al., 2006). Lo studio citofluorimetrico può fornire indicazioni di tipo quantitativo e qualitativo. Dal punto di vista quantitativo è possibile definire la percentuale di blasti, che nella maggior parte dei casi esprimono il CD34, e quindi concorrere ad un più preciso inquadramento diagnostico soprattutto nei pazienti con campioni midollari morfologici subottimali. Dal punto di vista qualitativo è possibile invece riconoscere anomalie fenotipiche maturative che, pur non essendo specifiche per le SMD, si sono dimostrate in relazione al grado di 37 displasia valutato all’esame morfologico e pertanto possono essere d’aiuto a differenziare le SMD da quadri di tipo reattivo o da altre neoplasie mieloidi clonali (Loken et al., 2008). La citofluorimetria potrebbe rivestire un ruolo nella definizione della prognosi delle SMD, in quanto i risultati citofluorimetrici correlano con i sistemi prognostici attualmente utilizzati (Ogata et al., 2006; Malcovati et al., 2005a; Della Porta et al., 2006; Maynadié et al., 2002; van de Loosdrecht et al., 2008). È stata poi anche dimostrata una correlazione tra uno score immunofenotipico e la prognosi in pazienti sottoposti a trapianto allogenico di midollo osseo (Scott et al., 2008). 1.2.2.6 Esame istologico del midollo L’esame istologico del midollo è oggi raccomandato in tutti i casi di sospetta SMD perché fornisce indicazioni importanti relativamente a diversi aspetti quali la cellularità globale, la percentuale di blasti CD34+ e l’aumentata angiogenesi. Nei casi di sospetta SMD è sempre raccomandabile una valutazione di tipo immunoistochimico che utilizzi come pannello minimo di marcatori il CD34, un marcatore megacariocitario e la triptasi (un antigene correlato alle mastcellule). In casi specifici possono essere poi utilizzati altri marcatori quali il CD3, il CD20, il CD25 ed il CD117 (Valent et al., 2007). Per la valutazione della percentuale dei blasti, l’approccio migliore è contare i progenitori CD34+ (Oriani et al., 1996). 1.2.3 Classificazioni Delle Sindromi Mielodisplastiche 1.2.3.1 Classificazione FAB Da venticinque anni la classificazione FAB rappresenta lo standard per la classificazione delle SMD. Distingue i pazienti affetti da SMD a seconda della morfologia, della presenza di sideroblasti ad anello, della percentuale di blasti midollari e periferici e di monocitosi (Tabella 1.3, Bennett et al., 1982). 38 Diagnosi Refractory Anaemia (RA) Refractory Anaemia with Ring Sideroblasts (RARS) Refractory Anaemia with Excess of Blasts (RAEB) Refractory Anaemia with Excess of Blasts in Transformation (RAEB-T) Chronic Myelomonocytic Leukaemia (CMML) Blasti midollari (%) Blasti periferici (%) <5 <1 <5 <1 5-20 <5 20-30 >5 5-20 <5 Sideroblasti ad anello > 15% -/+ corpi di Auer Monociti > 1.000/l Tabella 1.3 Classificazione FAB delle SMD; da Proposals for the classification of the myelodysplastic syndromes. (Bennett et al., 1982; modificata). 1.2.3.2 Classificazione World Health Organization 2001 Nel 2001 la World Health Organization (WHO) ha proposto alcune revisioni dell’approccio morfologico della classificazione FAB, tenendo conto dell’impatto prognostico negativo dei livelli più alti di blasti e della multilinearità della displasia. Infatti, la sopravvivenza dei casi affetti SMD con blastosi midollare superiore al 20% è sovrapponibile alla quella dei pazienti affetti da LAM; pertanto la soglia della percentuale di blasti midollari per una diagnosi di LAM è stata abbassata dal 30% al 20%, eliminando così la categoria FAB di RAEB-T. La CMML è stata integrata nelle Sindromi Mielodisplastiche/Mieloproliferative Croniche. Di grande rilievo prognostico è stato il riconoscimento di alcuni sottotipi: l’Anemia Refrattaria con o senza Sideroblasti ad Anello (con displasia della sola linea eritroide) e l’Anemia Refrattaria con Displasia Multilineare con o senza Sideroblasti ad Anello (con 10% di displasia in almeno due linee cellulari) (Tabella 1.4; Jaffe et al., 2001; Vardiman et al., 2002). La multilinearità della displasia distingue pazienti a prognosi intermedia rispetto a quelli con la sola displasia eritroide a prognosi buona. È stata inoltre isolata in un sottogruppo distinto la sindrome caratterizzata da una delezione isolata del braccio lungo del cromosoma 5 [del(5q)] (Giagounidis et al., 2004). 39 Diagnosi Sangue Periferico Midollo osseo Refractory Anaemia (RA) Anemia Non blasti Displasia eritroide < 5% di blasti < 15% di sideroblasti ad anello Anemia Non blasti Displasia eritroide < 5% di blasti 15% di sideroblasti ad anello Refractory Cytopenia with Multilineage Displasia (RCMD) Bi- o pancitopenia Non blasti Non corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia in più del 10% delle cellule o in due o più linee cellulari Non corpi di Auer < 15% di sideroblasti ad anello Refractory Cytopenia with Multilineage Displasia and Ring Sideroblasts (RCMD-RS) Bi- o pancitopenia Non blasti Non corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia in più del 10% delle cellule o in due o più linee cellulari Non corpi di Auer 15% di sideroblasti ad anello Refractory Anaemia with Excess of Blasts-1 (RAEB-1) Pancitopenia < 5% di blasti Non corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia uni- o multilineare 5-9% di blasti Non corpi di Auer Refractory Anaemia with Excess of Blasts-2 (RAEB-2) Pancitopenia 5-19% di blasti corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia uni- o multilineare 10-19% di blasti corpi di Auer Myelodysplastic Sindrome, unclassified (MDS-U) Pancitopenia Rari blasti Non corpi di Auer Displasia unilineare nei granulociti o nei megacariociti < 5% di blasti Non corpi di Auer Refractory Anaemia with Ring Sideroblasts (RARS) Myelodysplastic Sindrome with isolated del(5q) Anemia < 5% di blasti piastrinosi aumento dei megacariociti con nuclei ipolobati < 5% di blasti Non corpi di Auer del(5q) isolata Tabella 1.4 Classificazione WHO 2001 delle SMD; da Classification of tumors: pathology and genetics of tumors of haematopoietic and lymphoid tissues (Jaffe et al., Ed World Health Organization. IARC Press, Lyon 2001, modificata). 40 1.2.3.3 Classificazione World Health Organization 2008 Di recente, nel 2008, la classificazione della WHO è stata ulteriormente revisionata (Tabella 1.5). I sottotipi morfologici possono essere categorizzati in tre gruppi di rischio sulla base della sopravvivenza e dell’evoluzione leucemica. Il gruppo a basso rischio comprende la Citopenia Refrattaria con Displasia Multilineare (RCUD) e l’Anemia Refrattaria con Sideroblasti ad Anello (RARS). A rischio intermedio sono le Citopenie Refrattarie con Displasia Multilineare (RCMD) con o senza Sideroblasti ad Anello e le RAEB-1. La RAEB-2 costituisce il gruppo ad alto rischio (Swerdlow et al., 2008) Diagnosi Sangue Periferico Midollo osseo Refractory Cytopenia with Unilinear Displasia (RCUD): Refractory Anaemia (RA) Refractory Neutropenia (RN) Refractory Thrombocytopenia (RT) Non blasti Displasia unilineare < 5% di blasti < 15% di sideroblasti ad anello Refractory Anaemia with Ring Sideroblasts (RARS) Anemia Non blasti Displasia eritroide < 5% di blasti 15% di sideroblasti ad anello Refractory Cytopenia with Multilineage Displasia (RCMD) Bi- o pancitopenia Non blasti Non corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia in più del 10% delle cellule o in due o più linee cellulari Non corpi di Auer < 15% di sideroblasti ad anello Refractory Anaemia with Excess of Blasts-1 (RAEB1) Pancitopenia < 5% di blasti Non corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia uni- o multilineare 5-9% di blasti Non corpi di Auer Refractory Anaemia with Excess of Blasts-2 (RAEB2) Pancitopenia 5-19% di blasti corpi di Auer Monociti < 1.000/l Displasia uni- o multilineare 10-19% di blasti corpi di Auer Myelodysplastic Sindrome, unclassified (MDS-U) Pancitopenia Rari blasti Non corpi di Auer Displasia unilineare nei granulociti o nei megacariociti < 5% di blasti Anemia Neutropenia Piastrinopenia 41 Non corpi di Auer Myelodysplastic Sindrome with isolated del(5q) Anemia < 5% di blasti piastrinosi aumento dei megacariociti con nuclei ipolobati < 5% di blasti Non corpi di Auer del(5q) isolata Chronic Myelomonocytic Leukaemia (CMML) < 20% di blasti Monociti > 1.000/l Displasia uni- o multilineare < 20% di blasti Atypical Chronic Myeloid Leukemia (aCML) Leucocitosi neutrofila 10% precursori neutrofili < 20% di blasti < 10% monociti Displasia neutrofila < 20% di blasti Juvenile Myelomonocytic Leukemia (JMMC) < 20% di blasti Monociti > 1.000/l BCR-ABL1 assente < 20% di blasti BCR-ABL1 assente Unclassified MDS/Myeloproliferative Neoplasia (MDS/MPN) BCR-ABL1 assente < 20% di blasti Morfologia mista tra MDS e MPN BCR-ABL1 assente Refractory Anaemia with Ring Sideroblasts with thrombocytosis (RARS-T) Anemia Non blasti Piastrine 450.000/l BCR-ABL1 assente Displasia eritroide < 5% di blasti 15% di sideroblasti ad anello Megacariociti atipici BCR-ABL1 assente Tabella 1.5 Classificazione WHO 2008 delle SMD; da Classification of tumors of haematopoietic and lymphoid tissues (Swerdlow et al., 2008). 1.2.4 Fattori Prognostici Successivamente alla classificazione FAB, che oltre a rappresentare il primo tentativo di “mettere ordine” nelle SMD ha anche evidenziato di possedere una rilevante valenza prognostica, sono stati proposti numerosi modelli finalizzati a determinare le possibilità di sopravvivenza ed il rischio di evoluzione leucemica delle SMD (Mufti et al., 1985; Sanz et al., 1989; Aul et al., 1992; Morel et al., 1993). Questi hanno prevalentemente incluso variabili quali la percentuale di blasti, le caratteristiche istologiche midollari, le citopenie periferiche, l’età ed il cariotipo e sono stati basati sulla combinazione di differenti punteggi (score) attribuiti ad ognuno di questi parametri, sulla base del peso prognostico di ciascuno di essi. 42 1.2.4.1 International Prognostic Scoring System L’International Prognostic Scoring System (IPSS), pubblicato nel 1997, è il più noto e diffuso sistema di classificazione prognostica delle SMD. È stato proposto dall’International MDS Risk Analysis Workshop, che ha utilizzato una combinazione di dati clinici, morfologici e citogenetici ottenuti da 816 pazienti riportati in sette studi precedenti, basati sul rischio, da cui sono state ricavate variabili prognostiche statisticamente significative (Tabella 1.6, Greenberg et al., 1998). Variabili prognostiche Blasti midollari Cariotipo Citopenie* 0 0,5 <5 5-10 Normale, Altre -Y, anomalie del(5q), del(20q) 0-1 Punteggio 1,0 - 1,5 2,0 11-20 21-30 Complesso, anomalie del cromosoma 7 2-3 Tabella 1.6 Variabili prognostiche e relativo punteggio dell’IPSS; da International scoring system for evaluating prognosis in Myelodysplastic Sindrome (Greenberg et al., 1997; modificata). *Neutrofili < 1.500/l, emoglobina < 10,0 g/l, piastrine < 100.000 / l. L’analisi univariata ha individuato le anomalie citogenetiche, la percentuale di blasti midollari ed il numero di citopenie periferiche quali parametri con maggiore impatto sull’evoluzione in LAM; le stesse variabili sono anche predittrici della sopravvivenza insieme all’età ed al sesso (minore sopravvivenza nei pazienti anziani a rischio intermedio e basso e nei maschi). In particolare viene confermata l’importanza del cariotipo con l’identificazione di tre sottogruppi citogenetici con prognosi “buona” (cariotipo normale, delezione isolata del cromosoma Y, delezione isolata del braccio lungo del cromosoma 5, delezione isolata del braccio lungo del cromosoma 20), “intermedia” (tutte le anomalie citogenetiche non incluse nei gruppi a prognosi buona e severa) e “severa” (cariotipi complessi con più di tre anomalie o le anomalie del cromosoma 7). Il tempo alla progressione leucemica per le quattro classi di rischio identificate (basso, intermedio-1, intermedio-2, alto) è rispettivamente di 9,4, 3,3, 1,1 e 0,2 anni; anche la sopravvivenza mediana risulta omogeneamente distribuita nelle classi di rischio: 5,7 anni nel gruppo a basso rischio, 3,5 anni nell’intermedio-1, 1,2 anni nell’intermedio-2, 0,4 anni nell’alto rischio (Tabella 1.7). 43 Punteggio Rischio Sopravvivenza mediana (anni) 0 0,5-1,0 1,5-2,0 ≥ 2,5 Basso INT-1 INT-2 Alto 5,7 3,5 1,2 0,4 Tabella 1.7 Classi di rischio secondo l’IPSS; da International scoring system for evaluating prognosis in myelodysplastic syndromes. (Greenberg P et al., 1997; modificata). Sebbene l’IPSS fornisca un metodo di larga applicazione per la valutazione prognostica delle SMD, esso raggruppa in classi omogenee pazienti con patologie diverse per caratteristiche biologiche e per presentazione clinica; inoltre non viene contemplato un punteggio che consideri l’età. 1.2.4.2 Cariotipo Recentemente è stato riconsiderato il valore prognostico del cariotipo, raccogliendo dati su 2.072 pazienti valutabili per la citogenetica, di cui 1.084 (52,3%) con anomalie cromosomiche alla diagnosi (Haase et al., 2007). Gli 802 pazienti del gruppo a prognosi buona includevano quelli con cariotipo normale o con anomalie (singole o associate ad una sola ulteriore alterazione) 9q-, 15q-, t(15q), 12p-, +21, 5q-, -X, -Y, t(1q), t(7q), t(11q) e -21. I pazienti a prognosi intermedia venivano suddivisi in INT-1 (11q- e +8) o INT-2 (+19, 7q-, tutte le anomalie del cromosoma 3, -7, cariotipi complessi fino a tre alterazioni). I 127 pazienti con più di tre anomalie cariotipiche o t(5q) si associavano alla prognosi peggiore. Le principali novità introdotte rispetto allo schema IPSS riguardano l’anomalia t(7q), considerata a basso rischio, e la presenza di cariotipi con più di tre anomalie citogenetiche, incluse nella categoria a rischio intermedio. 1.2.4.3 Età Anche l’età rappresenta un fattore prognostico determinante per la sopravvivenza nelle SMD. Una recente casistica di 232 pazienti ha fornito ulteriori informazioni sui fattori prognostici che influenzano la sopravvivenza e l’evoluzione in LAM nei pazienti con età inferiore a 50 anni (Kuengden et al., 2006). La sopravvivenza mediana si è confermata significativamente migliore (48 versus 25 mesi) rispetto a quella dei pazienti più anziani. Tale differenza è risultata particolarmente evidente nei soggetti in terapia di supporto (176 versus 23 mesi) ed è 44 stata osservata prevalentemente nei rischi IPSS basso o INT-1 (mediana di sopravvivenza non raggiunta versus 45 mesi). Nei pazienti a basso rischio la sopravvivenza globale a 20 anni è risultata dell’86%. La mediana di sopravvivenza è di soli 8 mesi nelle fasce di rischio INT-2 e alto e non differisce da quella dei pazienti con età maggiore di 50 anni. All’analisi multivariata nei pazienti non trattati con chemioterapia intensiva o allotrapianto, la percentuale di blasti midollari maggiore del 10%, LDH elevato e rischio IPSS alto sono risultati i principali fattori prognostici negativi. 1.2.5 Nuovi Fattori Prognostici La più recente classificazione WHO ha confermato di possedere un’importante rilevanza prognostica in analisi di validazione retrospettive (Malcovati et al., 2005b; Germing et al., 2006a) e prospettiche (Germing et al., 2006b). Nello studio di Germing e collaboratori del 2006 è stata confermata la migliore prognosi dei pazienti con RA o RARS (sopravvivenza mediana non raggiunta) e 5q- (40 mesi), rispetto a quella meno favorevole dei pazienti con displasia multilineare, con o senza sideroblasti ad anello, (RCMD 31 mesi, RCMD-RS 28 mesi) o con eccesso di blasti (RAEB-1 27 mesi, RAEB-2 12 mesi). SMD con una quota blastica inferiore al 5% e displasia unilineare, trattate con l’associazione eritropoietina fattore di crescita granulocitario, hanno evidenziato una più elevata probabilità di risposta ed una sopravvivenza significativamente maggiore (56% a 67 mesi) rispetto ai 28,5 mesi dei pazienti con displasia multilineare che ricevono un analogo trattamento (Howe et al., 2004). La presenza di citopenie multiple e di displasia multilineare peggiora in maniera significativa la prognosi delle SMD a basso rischio (Verburgh et al., 2007). 1.2.5.1 LDH L’enzima LDH è un parametro prognostico indipendente dalle classificazioni FAB e WHO, all’interno delle quali valori elevati di LDH si associano ad una minore sopravvivenza e ad una più elevata probabilità di evoluzione leucemica identificando, così, sottogruppi a prognosi sfavorevole nell’ambito dell’IPSS, in particolare nelle fasce a rischio basso ed intermedio (Germing et al., 2005). In uno studio di Wimazal e collaboratori del 2008 sono stati valutati i livelli di LDH di 221 pazienti affetti da SMD de novo e gli autori hanno rilevato che i livelli sierici di questo enzima correlano con la sopravvivenza e con l’evoluzione in LAM. L’incremento dei valori di LDH si è verificato nei due o tre mesi precedenti l’evoluzione della malattia, in alcuni casi questo aumento si può accompagnare ad altri segni di malattia, come 45 piastrinopenia o blastosi periferica (Wimazal et al., 2008). Anche recentemente si è confermata l’importanza prognostica dei livelli di LDH nei pazienti trattati con 5-azacitidina (5-AZA): valori superiori alla norma alla diagnosi correlano con una minore sopravvivenza mediana rispetto ai pazienti con valori normali (13,9 versus 20,6 mesi). Un’analisi multivariata ha mostrato che alti livelli di LDH ed uno score di rischio WHO based Prognostic Scoring System (WPSS) molto alto si associano significativamente con una peggiore sopravvivenza, mentre una risposta alla terapia con 5-AZA rappresenta un fattore prognostico positivo (Moon et al., 2010). 1.2.5.2 Conta piastrinica Anche la conta piastrinica predice la sopravvivenza nelle SMD. Uno studio del 2006 ha evidenziato, in pazienti con una conta piastrinica inferiore a 100.000/l, una sopravvivenza mediana di 9 mesi e del 13% a cinque anni rispetto a pazienti con una conta piastrinica più elevata, in cui la sopravvivenza mediana non veniva raggiunta dopo 82 mesi di osservazione (56% dei pazienti vivente a 5 anni). Gli stessi autori hanno dimostrato che anche il volume piastrinico medio (VPM) ha un potere predittivo indipendente sulla sopravvivenza. Un VPM basso (inferiore a 8,5 fl) si associa ad una sopravvivenza mediana di 9 mesi (15% di sopravvivenza a 5 anni), mentre i pazienti con un volume più elevato hanno evidenziato una sopravvivenza mediana di 46 mesi (46% di sopravvivenza a 5 anni). In particolare una massa piastrinica (VPM x conta piastrinica) bassa (inferiore a 0,6 ml/l) rappresenta un fattore di rischio, con una sopravvivenza mediana di soli 5 mesi e nessun sopravvissuto a 5 anni. Esiste anche una correlazione inversa tra punteggio IPSS e massa piastrinica, che potrebbe rappresentare un indice prognostico utile nei casi in cui non siano ottenibili dati sufficienti riguardo la morfologia e/o la citogenetica (pazienti anziani, varianti ipocitosiche o mielofibrotiche; Bowles et al., 2006). L’importanza delle piastrinopenia sull’outcome delle SMD è stata confermata anche da uno studio di Kantarjian e collaboratori del 2007, eseguito su 2.410 pazienti, che ha mostrato una significativa associazione tra trombocitopenia alla diagnosi (conta piastrinica inferiore a 100.000/l), rischio IPSS elevato e un’incidenza di emorragie severe più marcata rispetto a quanto segnalato in precedenza in letteratura (Kantarjian et al., 2007). 46 1.2.5.3 Fibrosi midollare La fibrosi midollare è un reperto frequente nelle SMD (17%). Nel lavoro di Della Porta e collaboratori del 2009 essa è risultata associata ad una ridotta sopravvivenza globale e ad una minore sopravvivenza libera da leucemia. L’effetto della presenza di fibrosi in termini di sopravvivenza si mantiene indipendentemente dalla classe WHO. L’impatto prognostico è risultato particolarmente negativo nei pazienti con displasia multilineare e trasfusione dipendenza (Mufti et al., 2008). 1.2.5.4 Trasfusione dipendenza La trasfusione dipendenza è stata recentemente identificata come fattore prognostico negativo nelle SMD (Malcovati et al., 2005b). Esiste una correlazione inversa tra entità del fabbisogno trasfusionale e sopravvivenza mediana; analogamente, il sovraccarico marziale (ferritina > 1.000 ng/ml) si associa ad una prognosi sfavorevole. L’impatto prognostico negativo del fabbisogno trasfusionale si evidenzia pressoché esclusivamente nei citotipi senza eccesso di blasti, dove una maggiore durata di malattia potrebbe consentire lo sviluppo di un’emocromatosi secondaria clinicamente significativa. Occorre tuttavia ricordare che l’anemia grave, di per sé, è stata imputata come fattore di rischio cardiovascolare in questi pazienti (Oliva et al., 2005). La comparsa di fabbisogno trasfusionale si associa anche ad un incremento del rischio di trasformazione leucemica, suggerendo una stretta correlazione tra questo parametro e le caratteristiche di aggressività del clone mielodisplastico (Malcovati et al., 2005b). Anche in un recente studio è stato evidenziato un maggior rischio di evoluzione leucemica nei pazienti con sovraccarico marziale, inoltre, in questi pazienti, è stato evidenziato un outcome peggiore dopo trapianto allogenico, probabilmente per un maggiore rischio infettivo (Fenaux & Rose, 2009). L’impatto negativo della necessità trasfusionale è ulteriormente supportato da alcune recenti segnalazioni che hanno identificato come possibile fattore prognostico favorevole la risposta a trattamenti in grado di ridurre o abolire la necessità trasfusionale (Candoni et al., 2005; Park et al., 2008). 1.2.5.5 WHO based Prognostic Scoring System L’integrazione retrospettiva delle informazioni derivanti dalla classificazione WHO con la valutazione del cariotipo secondo IPSS e del fabbisogno trasfusionale ha fornito un nuovo modello prognostico (WHO based Prognostic Scoring System, WPSS), basato su 426 pazienti italiani con SMD e successivamente validato in una coorte tedesca indipendente di 739 pazienti (Tabella 1.8; Malcovati et al., 2007). 47 Punteggio Classe WHO Richiesta trasfusionale Rischio citogenetico IPSS 0 1 2 3 RA, RARS, 5q- RCMD (± RS) RAEB-1 RAEB-2 Nessuna Regolare - - Buono Buono Intermedio Intermedio Elevato Elevato - Tabella 1.8 Variabili prognostiche e relativo punteggio del WPSS; da Time-dependent prognostic scoring system for predicting survival and leukemic evolution in myelodysplastic syndromes. (Malcovati et al., 2007; modificata). Nella coorte di riferimento italiana il WPSS ha identificato 5 gruppi di pazienti (rischio molto basso, basso, intermedio, alto, molto alto) con mediane di sopravvivenza rispettivamente di 103, 72, 40, 21 e 12 mesi. Secondo il WPSS la probabilità di evoluzione leucemica a 5 anni è risultata pari al 6%, 24%, 48%, 63% e 100% a seconda della classe di rischio. Un aspetto importante di questo modello è rappresentato dalla sua applicabilità nel corso delle diverse fasi della malattia e non soltanto nella valutazione prognostica all’esordio. 1.3 TELOMERI E TELOMERASI NELLE PATOLOGIE ONCOLOGICHE 1.3.1 Malattie Con Disordini Dei Telomeri E Cancro Fin dalla loro scoperta, i telomeri sono stati associati alla stabilità genomica (Müller 1938; McClintock 1941). La loro importanza nella medicina è emersa dall’osservazione che molte patologie oncologiche o ad esse predisponenti, quali il cancro al colon-retto, la colite ulcerosa, il carcinoma pancratico e l’osteosarcoma (Hastie et al., 1990; O’Sullivan et al., 2002; Counter et al., 1994) sono caratterizzati da riarrangiamenti cromosomici più o meno estesi. Durante gli ultimi venti anni sia l’accorciamento dei telomeri che l’espressione della telomerasi, intesi come meccanismo capace di determinare il potenziale replicativo cellulare, sono stati oggetto di molti studi, a causa della loro importanza come potenziali marker per la 48 diagnosi e la prognosi di quasi tutte le malattie neoplastiche, incluse le emopatie maligne (Sieglovà et al., 2004). In un recente studio è stata dimostrata la correlazione inversa tra la lunghezza dei telomeri, l’incidenza del cancro e la mortalità. Willeit ed il suo gruppo (Willeit et al 2010) ha monitorato 787 individui sani selezionati casualmente dal 1990 fino al 2005. Gli autori hanno osservato che la lunghezza iniziale dei telomeri era sostanzialmente minore in quegli individui che avevano in seguito sviluppato tumori rispetto a quelli che non avevano sviluppato alcun tipo di tumore. Ne consegue che la lunghezza dei telomeri può essere considerata come marker prognostico per l’insorgenza di tumori. Le percentuali dell’incidenza vanno dal 5,1 % negli individui con telomeri lunghi al 22,5% in quelli con telomeri corti. Inoltre è stata osservata un correlazione tra la prognosi e la lunghezza die telomeri. I telomeri corti sono associati a tumori aggressivi o con prognosi sfavorevole, mentre telomeri più lunghi sono associati a prognosi migliori (Willeit et al., 2010). Le percentuali di mortalità causata da cancro invece vanno dallo 0,8 % negli individui con telomeri lunghi al 12,9 % con telomeri corti. Questi risultati sono concordanti con gli studi già pubblicati che mostrano un relazione tra la presenza dei telomeri corti e il cancro alla vescica (McGrath et al., 2007; Broberg et al., 2005), il carcinoma renale (Wu et al., 2003; Shao et al., 2007), il carcinoma squamocellulare (Wu et al., 2003), il cancro al polmone (Jang et al., 2008), ma sono in disaccordo con le correlazioni presentate con il cancro colonrettale e con quello al seno (Zee et al., 2009; Shen et al., 2009). Parallelamente alla lunghezza dei telomeri, l’attività telomerasica si è rivelata essere un ottimo marker sia prognostico che diagnostico per alcuni tumori. Precedenti studi hanno rivelato che l’attività telomerasica può essere rilevata in circa l’85% dei più comuni tumori come in quello al seno, alla prostata, al polmone, al fegato, al pancreas ed al colon (Kim 1997; Shay & Bacchetti, 1997), suggerendo che nella maggior parte delle cellule cancerose la telomerasi è riattivata una volta raggiunta l’immortalità. In alcuni casi, la telomerasi potrebbe essere attivata già allo stadio preneoplastico, mentre in altri casi potrebbe essere attivata gradualmente con la progressione del cancro (Shay & Bacchetti, 1997). L’attività telomerasica è un utile indicatore per determinare la malignità soprattutto nei tipi di tumore morfologicamente poco definiti, come il glioma e il tumori alla tiroide (Haugen et al., 1997; Saji et al., 1997). Nei tipi di tumore con elevata attività telomerasica durante la progressione della malattia (tumore al polmone, cancro gastrico e neuroblastoma), la valutazione di questo parametro ha valore sia per determinare la gravità della patologia sia come fattore prognostico (Tatsumoto et al., 2000; Hiyama et al., 1995). 49 1.3.2 Telomeri E Telomerasi Nelle Neoplasie Ematologiche I linfociti sono le uniche cellule del sangue caratterizzate da un’alta attività telomerasica anche durante le ultime fasi di differenziazione. Sia i linfociti B che T sono caratterizzati da una bassa espressione di hTERT durante le fasi di riposo, mentre hanno un alto livello di espressione durante l’attivazione. L’iper-regolazione della telomerasi in queste cellule gioca un ruolo importante nel garantire una risposta proliferativa adeguata (Weng et al., 1997; Weng 2008; Kaszubowska 2008). Ladetto e collaboratori (2004) hanno valutato la lunghezza dei telomeri dei linfociti B in vari tipi di malattie linfoproliferative. I pazienti con linfoma mantellare (MCL; media 3,5 Kb, range da 1,9-8,9 Kb) hanno i telomeri più corti, seguiti da quelli con la leucemia linfatica cronica (LLC; media 4,3 Kb, range 2,1-8,2 Kb). Il mieloma multiplo (MM; media 6,3,range 4,9-8,9 Kb) e il linfoma marginale (MZL: media 5,9 Kb,range 5,1-6,7 Kb) hanno lunghezze di telomeri intermedie, mentre il linfoma follicolare (FL; media 7,3 Kb, range 4,3-10,0 Kb), il linfoma a grandi cellule B (DLCL: media 7,8 Kb, range 5,2-10,3 Kb) e, in modo particolare, il linfoma di Burkitt (BL; media 9,4 Kb, range 7,0-11,2 Kb) hanno i telomeri più lunghi (Ladetto et al., 2004). L’analisi della lunghezza dei telomeri in 58 pazienti affetti da LLC ha dimostrato che questa è inversamente correlata con l’attività telomerasica. I pazienti con i telomeri più corti di 6,0 kb sono associati con un’alta attività telomerasica ed una sopravvivenza media molto bassa, mentre i pazienti con telomeri > 6,0 kb generalmente hanno una bassa attività enzimatica (Bechter et al., 1998). Nella Leucemia Mieloide Cronica in crisi blastica (CB) si osserva l’accorciamento dei telomeri di circa 10-20 volte superiore rispetto a quello osservato nei granulociti di pazienti sani (Ohyashiki et al., 2000). In più del 50% dei pazienti in CB con anomalie citogenetiche, si nota un aumento dell’attività della telomerasi di circa 50 volte (Ohyashiki et al., 2000; Broccoli et al., 1995). Studi più recenti hanno valutato la lunghezza dei telomeri in pazienti in trattamento con inibitore della tirosin-chinasi Imatinib (IM, Gleevec®), che lega selettivamente il sito di legame dell’ATP di BCR-ABL (Deininger et al., 2005). Il trattamento con IM causa un aumento della lunghezza media dei telomeri, i livelli di hTERT sono più elevati nei pazienti in fase cronica (FC) in trattamento con IM rispetto a quelli dei pazienti non trattati (Keller et al., 2009; Campbell et al., 2006). 50 L’omeostasi dei telomeri è stata studiata per la prima volta nella Discheratosi Congenita (DC) per cui questa paqtologia è la meglio caratterizzattìa da questo punto di vista. È una forma particolare di anemia aplastica (AA) congenita ereditaria, caratterizzata da mutazioni dei geni che codificano il complesso minimo della telomerasi (Walne & Dokal, 2008; Savage & Alter, 2009), della discheratina (DKC1), proteina stabilizzante la porzione a RNA della telomerasi (Mitchell et al., 1999). Tutto ciò causa vari disordini al midollo osseo, la cirrosi epatica, la fibrosi polmonare e alcune forme di cancro quali il carcinoma squamocellulare, il tumore alla lingua e la LAM (Walne & Dokal, 2008; Savage & Alter, 2009; Alter et al., 2009). Le famiglie con mutazioni a carico dei geni per la telomerasi mostrano un’ ‘anticipazione’ della malattia, cioè ad ogni generazione la malattia si presenta ad una età sempre minore (Vulliamy et al., 2004; Armanios et al., 2005). La spiegazione più semplice di questo fenomeno è che i disordini a livello della telomerasi limitano l’attività di questa fin dalla linea germinale generando dei gameti con telomeri più corti e conseguentemente dei discendenti con la stessa caratteristica. Telomeri corti nelle cellule staminali alla nascita riducono il numero delle divisioni di queste prima che i telomeri corti inneschino la risposta al danno del DNA ed, eventualmente senescenza o morte cellulare (Lansdorp 2009). Ball e collaboratori (1998) hanno determinato la lunghezza media dei telomeri in 79 pazienti affetti da AA acquisita. Comparati con i controlli normali, i telomeri dei pazienti sono molto più corti ed è evidente una correlazione tra l’accorciamento dei telomeri e la progressione della malattia (Ball et al., 1998). Inizialmente, come causa primaria dell’erosione dei telomeri, è stata considerata la presunta risposta fiologica allo ‘stress replicativo’ delle cellule staminali (Brummendorf et al., 2001). In studi più recenti è dimostrato che le cause che portano all’accorciamento dei telomeri sono delle mutazioni a livello dei componenti della telomerasi TERC e TERT. Le conseguenze funzionali di questi cambiamenti genetici sono una riduzione dell’attività telomerasica ed un accorciamento dei telomeri (Calado & Young, 2008). 1.3.3 Telomeri E Telomerasi Nelle SMD E Nelle LAM I primi studi pubblicati su SMD e telomeri dimostrano che queste patologie sono caratterizzate da una forte eterogeneità nella lunghezza dei telomeri. In più della metà dei pazienti si evidenzia una riduzione della lunghezza media dei telomeri rispetto ai controlli della stessa fascia d’età. Ohyashiki e collaboratori (1994) analizzando 16 pazienti affetti da SMD a rischio differente, hanno suddiviso i pazienti in tre tipologie: a) SMD con telomeri corti alla diagnosi che non subiscono ulteriori accorciamenti durante l’evoluzione della 51 malattia; b) SMD con telomeri normali alla diagnosi e con evidente accorciamento durante l’evoluzione della malattia; c) SMD con lunghezza normale alla diagnosi senza accorciamenti significativi in associazione all’evoluzione. Concorde con questi risultati, Counter e collaboratori (1995) hanno evidenziato la presenza di telomeri particolarmente corti nelle SMD (range 5,6 Kb - 20,1 Kb) e nelle LAM (range 3,6 - 6,5 Kb) sebbene l’attività telomerasica fosse significativamente incrementata (Counter et al., 1995). Lo studio di Yamada e collaboratori (1995) ha dimostrato una variabile (range 2,7 - 6,4 Kb), ma consistente riduzione nella lunghezza dei telomeri nei pazienti affetti da LAM (Yamada et al., 1995). Questa eterogeneità nella lunghezza dei telomeri nelle SMD è riportata anche da Boultwood e collaboratori (1997) in cui approssimativamente il 50% dei pazienti con SMD con cariotipo complesso aveva un forte accorciamento della lunghezza dei telomeri associato alla progressione della malattia (Boultwood et al., 1997). L’attività telomerasica è stata osservata in più dell’85% dei tumori primari, ed è quindi considerato un marker di malignità (Kim et al., 1994; Shay & Bacchetti, 1997). Il gruppo di Ohyashiki (1997), analizzando campioni di sangue periferico di 78 pazienti con Leucemia Acuta, ha dimostrato l’esistenza di una correlazione tra espressione di attività telomerasica, lunghezza dei telomeri e decorso della malattia. In particolare l’82% delle LAM e il 70% delle Leucemie Acute Linfoblastiche (LAL) avevano un’elevata attività della telomerasi. Nei pazienti in remissione il livello di attività diminuisce significativamente, mentre i pazienti ricaduti mostrano un trend generale di crescita (Ohyashiki et al., 1997). In successivi studi lo stesso gruppo analizza 93 pazienti affetti da SMD e fa una correlazione tra rischio IPSS e lunghezza dei telomeri. I pazienti classificati ad alto rischio (INT-2 e Alto) hanno telomeri sensibilmente più corti rispetto ai pazienti classificati a basso rischio (Basso e INT-1; Ohyashiki et al., 1999). In un’altra coorte di 50 pazienti con SMD e LAM secondaria a SMD si evidenzia un’accelerata erosione dei telomeri e un’elevata espressione di attività telomerasica, associate alla complessità del cariotipo, al sottotipo FAB e alla progressione in LAM (Sieglovà et al., 2004). L’espressione di hTERT è da sempre considerata il fattore limitante l’attività telomerasica, sebbene recenti studi pongano l’accento anche sull’importanza dell’espressione di hTR (Kirkpatrick et al., 2003; Cairney & Keith, 2008). Mentre di norma c’è una stretta correlazione nelle cellule neoplastiche tra l’espressione del messaggero di hTERT e l’attività telomerasica (Kirkpatrick et al., 2003; Ohyashiki et al., 2005; Briatore et al., 2009), alcuni 52 studi mettono in evidenza una discrepanza tra i due fattori, suggerendo l’importanza dei meccanismi di regolazione post trascrizionali della telomerasi (Yan et al., 2002; Swiggers et al., 2006). In particolare lo studio di Swiggers e collaboratori (2006) su pazienti affetti da LAM ha messo in evidenza come la complessità del cariotipo (più di 3 riarrangiamenti cromosomici) fosse associata a telomeri particolarmente corti ed a elevata attività telomerasica, ma non a livelli di espressione di hTERT superiori a quelli riscontrati in LAM a cariotipo normale. L’analisi dell’espressione delle proteine che compongono lo shelterin dimostra un’aumentata espressione di TRF1 (regolatore negativo dell’allungamento dei telomeri telomerasi dipendente; van Steensel & de Lange, 1997) nelle LAM a cariotipo complesso rispetto a quelle a cariotipo normale, ma non di TRF2 e POT1 (proteine di capping; van Steensel et al., 1998). Molti studi mirano ad avvalorare l’idea che l’espressione di hTERT possa essere considerata fattore prognostico nelle SMD per l’evoluzione in LAM e nelle LAM per il rischio di relapse (Gürkan et al., 2005; Bock et al., 2004; Huh et al., 2005; Briatore et al., 2009). In un recente lavoro si mettono in relazione l’attività telomerasica e l’espressione di hTERT con l’espressione di c-myc, mad1 e p53 (fattori trascrizionali che agiscono su hTERT; Cong et al., 2002) in pazienti affetti da SMD e LAM secondaria a SMD. Mentre non si rileva differenza nell’espressione di c-myc e p53 tra pazienti e controlli, l’espressione di mad1 aumenta nelle SMD, soprattutto in quelle caratterizzate da prognosi migliore (Briatore et al., 2009). Il gruppo di Göhring, in un recente lavoro, evidenzia l’importanza non tanto della media della lunghezza dei telomeri, quanto della lunghezza dei telomeri di alcuni specifici cromosomi coinvolti nelle anomalie citogenetiche più comuni nelle SMD (Lange et al., 2010). Utilizzando un’innovativa tecnica in FISH, denominata T/C-FISH (telomere/centromerefluorescence in situ hybridisation) che permette l’analisi delle sequenze telomeriche su ogni singolo cromosoma, gli autori evidenziano la nota riduzione generale dei telomeri tipica delle SMD senza particolari differenziazioni in base al cariotipo eccetto che per i pazienti con la monosomia isolata del 7. Questi pazienti hanno elevata attività telomerasica e telomeri significatamente più lunghi in molti cromosomi, 7 incluso, rispetto ai pazienti a cariotipo normale (Lange et al., 2010). 53 2. SCOPO DELLA TESI Negli ultimi anni lo studio dei telomeri ha suscitato un crescente interesse in campo medico e biologico. Il loro ruolo nell’invecchiamento cellulare e nella carcinogenesi ha fatto sì che le pubblicazioni scientifiche riguardanti l’erosione dei telomeri e l’attività telomerasica si stiano moltiplicando di anno in anno, anche se i risultati rimangono contradditori. Lo scopo di questo lavoro è quello di studiare la lunghezza dei telomeri, l’attività telomerasica ed i fattori trascrizionali ad essa correlati nelle sindromi mielodisplatiche. Sono stati quindi selezionati un gruppo di pazienti con diagnosi di SMD rappresentanti tutti i sottotipi WHO e di LAM de novo o secondaria a SMD, seguiti dalla Clinica di Ematologia di Ancona, dal 2008 al 2012, per i quali i parametri in esame sono stati messi in relazione con le caratteristiche cliniche e biologiche (sottogruppo FAB e WHO, età, percentuale di blasti, cariotipo e rischio IPSS) al fine di valutarne la possibilità di utilizzo come marker nella diagnosi e nella prognosi delle sindromi mielodisplastiche. 54 3. MATERIALI E METODI 3.1 PAZIENTI Nel periodo che va da Ottobre 2008 a Settembre 2012 nel laboratorio della Clinica di Ematologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche sono stati raccolti campioni di sangue midollare, durante le procedure diagnostiche e previo ottenimento del consenso informato, di 109 pazienti con diagnosi di SMD e di 47 pazienti con diagnosi LAM de novo o secondaria a SMD. I campioni sono stati ottenuti dal Registro Marchigiano delle Sindromi Mielodisplastiche ed il protocollo è stato approvato dal Comitato Etico e segue le guidelinea della Dichiarazione di Helsinki. I pazienti con SMD sono stati valutati per le caratteristiche cliniche quali l’età ed il sesso, e le caratteristiche della malattia, quali il sottogruppo FAB e WHO, la percentuale di blasti, la citogenetica e lo score prognostico IPSS (Tabella 3.1). All’analisi dei dati questi pazienti sono stati suddivisi in due gruppi sulla base dello score IPSS, SMD a basso rischio (SMD-BR) con score IPSS pari a “basso” e “intermedio 1” (n=83) e SMD ad alto rischio (SMD-AR) con score IPSS pari a “intermedio 2” e “alto” (n=20). I pazienti affetti da LMMC sono stati analizzati separatamente (n=8). Come controlli sono stati utilizzati 24 campioni di sangue midollare prelevati da 12 pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin’s (LnH) senza compromissione midollare, da 10 individui sani che erano stati sottoposti ad espianto di midollo per donazione a fini trapiantologici e da 2 pazienti che erano stati sottoposti ad intervento chirurgico dell’anca. I campioni sono stati ottenuti previo ottenimento del consenso informato. 55 Tabella 3.1 Caratteristiche cliniche dei pazienti e dei controlli. Caratteristiche cliniche dei controlli Età < 65 anni 65-74 anni > 75 anni Sesso M F N° (24, controlli) % 10 6 8 42 25 33 13 11 54 46 Caratteristiche cliniche dei pazienti Età < 65 anni 65-74 anni > 75 anni Sesso M F Classificazione FAB RA RARS RAEB RAEB-t CMML AML Classificazione WHO RA RCMD RAEB-1 RAEB-2 RARS 5q- S CMML AML IPSS categorie di rischio* Basso INT-1 INT-2 Alto Non Valutabile Cariotipo* Favorevole Intermedio Sfavorevole Non Valutabile Numero di blasti* <5 5-10 11-20 >20 N° (156, pazienti) % 36 46 74 24 29 47 87 69 57 43 64 3 30 4 8 47 41 2 19 3 5 30 28 19 15 15 3 17 8 51 18 12 10 10 2 11 5 32 32 40 13 9 15 29 37 12 8 14 70 22 2 15 64 20 2 14 61 33 11 4 56 30 10 4 56 3.2 PREPARAZIONE DEL CAMPIONE Il sangue midollare, trattato con EDTA come anticoagulante, è stato diluito 1:3 con Phosphate Buffered Saline (PBS Dulbecco’s). Le cellule mononucleate (CMN) sono state isolate mediante stratificazione su Ficoll-Paque (MP Biomedical, Santa Ana, California, USA) e centrifugazione a 1500 rpm per 30 minuti a temperatura ambiente; sono stati fatti due lavaggi in PBS mediante centrifugazione a 1800 rpm per dieci minuti a temperatura ambiente e quindi la determinazione della conta cellulare al Coulter Serie Ac·T (Beckman Coulter). Il campione è stato suddiviso in aliquote da 107 di CMN in provette per crioconservazione come pellet anidro per l’estrazione del DNA o come lisato in buffer RLT (Qiagen, GmbH, Germany) per l’estrazione dell’RNA. 3.3 ANALISI DELLA LUNGHEZZA DEI TELOMERI Il DNA è stato estratto mediante il QIAamp DNA Blood Mini Kit (Qiagen) secondo la procedura consigliata. La quantità e la purezza del DNA sono state valutate allo spettrofotometro e mediante elettroforesi in gel orizzontale di agarosio all’ 1% , in tampone TAE 1X (Tris Base, acetato, EDTA bisodico in acqua distillata), colorato con Gel Red (Biotium), in un campo elettrico di 10 mV/cm, paragonando le bande ottenute con quelle di una scala di pesi molecolari (GeneRuler DNA Ladder Mix Fermentas). Per la determinazione della lunghezza delle porzioni telomeriche dei cromosomi è stato utilizzato il TeloTAGGG Telomere Lengh Assay Kit (Roche Applied Science, Manheim, Germany) che permette di esprimere la lunghezza dei telomeri come lunghezza media dei frammenti di restrizione telomerici (Telomere Restriction Fragment, TRF). Tale protocollo prevede tre passaggi: 1. digestione del DNA genomico estratto 2.5 g di DNA genomico, diluito in un volume di 17 μl, sono digeriti con 20 U di Hinf I e 20 U di RsaI, in Digestion Buffer 1X (Roche) per un volume finale di 20 l; la miscela di reazione viene incubata a 37°C per 4 ore. Gli enzimi digeriscono il DNA agendo su siti presenti nelle sequenze non telomeriche ma non su quelle sub-telomeriche o telomeriche. 2. separazione dei frammenti di restrizione mediante elettroforesi su gel d’agarosio e trasferimento su membrana (Southern Blotting) 57 I campioni di DNA digerito, insieme ad una scala di pesi molecolari marcata con digossigenina (DIG) fornita dal kit, sono sottoposti a elettroforesi su gel di agarosio allo 0,8% in tampone TAE 1X e campo elettrico di 5 mV/cm. La corsa è stata interrota quando la banda del colorante aveva percorso ca 10 cm. Il gel è quindi trattato con tre diverse soluzioni, in leggera agitazione, per denaturare il DNA e facilitarne il passaggio alla membrana e la successiva ibridazione: una soluzione acida con HCl 0,25 M che determina una parziale depurinazione degli acidi deossiribonucleici, una soluzione di denaturazione (NaOH 0.5 M, NaCl 1.5 M) che causa l’idrolisi dei legami fosfodiesterici nei siti di depurinazione e una soluzione di neutralizzazione ( Tris-HCl 0,5M, NaCl 3M, pH 7,5). Il DNA è quindi trasferito per capillarità con SSC 20X (NaCl 3M, Citrato di Sodio 0,3M, pH 7,0) su membrana di nylon carica positivamente (Roche). Il DNA trasferito è fissato covalentemente sulla membrana tramite UV-autocrosslinking a 1200 μJoule X 100 utilizzando lo Stratalinker 2004 (Stratagene). 3. ibridazione con sonda telomero-specifica marcata con DIG, incubazione con anticorpo anti-DIG coniugato con Fosfatasi Alcalina (AP) e rilevamento della chemiluminescenza prodotta dal substrato CDP-Star La membrana è inserita nel tubo del fornetto da ibridizzazione Hibridiser HB-1D (Techne), per essere trattata con le soluzioni, fornite dal kit, che determinano il legame con la sonda e la reazione con l’anticorpo anti-DIG. I passaggi sono i seguenti: a) pre-ibridazione, per 30-60 minuti a 42 °C, con DIG Easy Hyb (Roche) b) ibridazione, per 3 ore a 42°C, con DIG Easy Hyb contenente la sonda telomero-specifica marcata con DIG (Roche); c) lavaggio a bassa stringenza a 25 °C per 5 minuti ripetuto due volte con SSC 2X, SDS 0,1X; d) lavaggio ad alta astringenza per 15-20 minuti a 50°C ripetuto due volte con SSC 0,2X e SDS 0,1X; e) lavaggio con washing buffer 1X (Roche), per 5 minuti a 25°C; f) condizionamento con blocking solution 1X (Roche) per 30 minuti a temperatura ambiente; g) marcatura con Anti-DIG-AP working solution (Roche), contenente l’anticorpo anti-DIG legato alla Fosfatasi Alcalina, per 30 minuti a temperatura ambiente; h) due lavaggi con washing buffer 1X (Roche) per 15 minuti a temperatura ambiente; i) condizionamento con detection buffer 1X (Roche), per 5 minuti a temperatura ambiente. Terminati questi passaggi, la membrana è estratta dal tubo, asciugata dall’eccesso di liquido e posta tra i due fogli di una busta da ibridizzazione (Roche). Si aggiungono quindi 3 ml del substrato CPD-Star (Roche), dopo 5 minuti di incubazione a temperatura ambiente si elimina 58 l’eccesso di liquido e si acquisisce il segnale chemiluminescente con l’acquisitore di immagini Chemidoc (Bio-Rad California, USA; Figura 3.1). Figura 3.1 Rilevamento chemiluminescente dei TRF di 8 pazienti con SMD (lane 1-8) e di un controllo (lane 9). Il segnale è stato analizzato in densitometria con il software Quantity One (Bio-Rad). La lunghezza dei telomeri, espressa come TRF è calcolata in base alla formula: TRF = Σ(ODi) / Σ(ODi /Li) dove ODi è la densità rilevata nella porzione i di segnale e Li è la sua lunghezza in kb calcolata interpolando la mobilità elettroforetica misurata in cm con una retta di taratura costruita sulla base della scala di pesi molecolari. 3.4 STUDIO DELL’ATTIVITÀ TELOMERASICA L’attività telomerasica è stata valutata con il TeloExpress Quantitative Telomerase Detection Kit (XpressBio Maryland, USA), che associa il protocollo di amplificazione delle sequenze 59 ripetute telomeriche (TRAP) alla quantificazione in real time PCR con rilevazione in Sybr Green. Per ogni campione studiato è stato raccolto un pellet di circa 1x105 CMN che sono state, in seguito, lisate con 100 l di Teloexpress Lysis Buffer (XpressBio) mediante un’incubazione in ghiaccio per 30 minuti e quindi due centrifugazioni successive a 12000g per 3 e 20 minuti rispettivamente per eliminare il detrito cellulare e ottenere un estratto proteico limpido che è stato suddiviso in aliquote da 10 l e repentinamente congelato a -80°C, facendo un bagnetto con etanolo assoluto e ghiaccio secco. Le proteine totali dell’estratto cellulare sono state, quindi, quantificate spettrofotometricamente a 595 nm con il Bio-Rad Protein Assay (BioRad) utilizzando una retta di taratura con albumina serica bovina (BSA) a 6 punti (range 1,25 g/ml – 10 g/ml). Per la quantificazione in PCR-Real Time sono state preparate delle diluizioni scalari (10-1, 10-2, 10-3, 10-4 amol/l) di standard oligonucleotidici di riferimento partendo da una soluzione madre fornita dal kit alla concentrazione di 1 amol/l. Una linea cellulare fornita dal kit (XT106, XpressBio) caratterizzata da un elevata attività telomerasica è stata utilizzata come controllo positivo. La reazione di Real-time PCR è stata fatta in triplicato per ogni campione studiato, compreso il controllo positivo, e in doppio per gli standard. La mix di reazione era così composta: TeloExpress Master Mix 1X (pari a 15 l), 50nM di Fluorescein-NIST Traceable Standard (Invitrogen) e 1 l di campione o controllo positivo (pari a 8,8-1.100 ng/l di proteina) o standard oligonucleotidico, quindi acqua fino al volume finale di 25l. La reazione, nel Biorad iCyclerTM Optical Module System, seguiva il seguente profilo: un primo step a 25°C per 20 minuti in cui l’enzima telomerasi presente negli estratti proteici dei campioni agisce sugli oligonucleotidi presenti nella master mix determinandone l’allungamento tramite l’aggiunta di sequenze ripetute TAAGGG; un secondo step a 95°C per 10 minuti e quindi 40 cicli che comprendevano una fase di denaturazione a 95°C per 30 secondi e una fase di annealing e allungamento a 60°C per 90 secondi. Il Fluorescein-NIST Traceable Standard è un normalizzatore di fluorescenza. I risultati sono stati espressi come la media dei triplicati in amoli di oligonucleotidi incorporati/g proteina. 60 3.5 ANALISI DELL’ESPRESSIONE GENICA Per la determinazione dell’espressione di hTERT è stata utilizzata una metodica di Real-time PCR con sonde a idrolisi (TaqMan). È stato quantificato sia il trascritto che codifica la proteina funzionale, hTERT-full-length (hTERT-FL), sia il pool di trascritti che in vivo sono processati prima della traduzione, hTERT-all transcripts (hTERT-AT). I primer e le sonde per hTERT-AT e hTERT-FL sono stati disegnati con il software Primer3 (http://frodo.wi.mit.edu/primer3/) e riportati nella Tabella 3.2. I dati di espressione sono stati normalizzati per l’espressione del gene housekeeping GAPDH. Le sequenze dei primer e le sonde, nonché le coordinate NCBI delle sequenze utilizzate per la loro progettazione sono riassunte in Tabella 3.2. Per generare le curve standard a 4 punti utilizzate per la quantificazione dei trascritti sono state fatte diluizioni scalari di ampliconi purificati di hTERT e GAPDH. Gli ampliconi sono stati costruiti mediante l’estrazione dell’ RNA da 1x107 di cellule HeLa, retrotrascrizione dell’RNA in cDNA ( reazione descritta in seguito) ed amplificazione di 2l di cDNA utilizzando i primer riassunti nella Tabella 3.3 con Hot Star Taq Master Mix 1X (Qiagen) e 300 pmoli di primer forward e reverse. Le condizioni di amplificazione erano: uno step di denaturazione iniziale a 95°C per 15 minuti, seguito da 40 cicli di denaturazione a 95°C per 45 secondi, annealing a 65°C per 30 secondi e allungamento per 45 secondi a 72°C, e un allungamento finale a 72°C per 7 minuti. L’amplificazione è stata fatta utilizzando il termiciclatore MyCycler (Bio-Rad). Gli ampliconi sono stati caricati e fatti correre su un gel di agaroso, in seguito sono stati purificati mediante NucleoSpin Extract kit (M-Medical, Milan, Italy) e poi quantificati allo spettrofotometro. I risultati di espressione genica erano la media dei duplicati, espressi come n° copie di hTERT-FL (AT)/106 copie GAPDH. La quantificazione dei trascritti di c-myc, p53 e mad-1 è stata valutata sempre in real-time PCR con sonde a idrolisi, utilizzando sonde e primer disegnati con il software Primer3 (http://frodo.wi.mit.edu/primer3/) o acquistati come TaqMan® Gene Expression Assay (Applied Biosystems, Life Technologies, p53 ID: Hs 00153349_m1; GAPDH ID: Hs99999905_m1). Le sequenze dei primer e le sonde utilizzate nella quantificazione e nella generazione degli standard di riferimento, nonché le coordinate NCBI delle sequenze usate per progettarli sono riassunte in Tabella 3.2 e 3.3. La curva standard di riferimento viene costruita con diluizioni scalari dell’amplicone purificato di c-myc, p53 e mad-1 ottenuto da CMN di midollo osseo di donatore secondo la metodica utilizzata per hTERT. I risultati sono 61 stati normalizzati per l’espressione di GAPDH e sono la media dei duplicati espressi come n° copie del gene in studio/n° di copie di GAPDH. Ogni campione di RNA è stato estratto da 1x107 di CMN mediante RNeasy Mini Kit (Qiagen) seguendo la procedura raccomandata dalla casa fornitrice e quantificato allo spettrofotometro. La purezza dell’RNA è stata valutata dal rapporto tra l’assorbanza a 260 nm e quella a 280 nm (>1,8-2,0). Ogni campione di RNA è stato retrotrascritto con questa procedura: 1 μg di RNA totale viene retrotrascritto in 20 μl finali di reazione contenente RT Buffer 1X (Invitrogen Life Technologies, Carlsbad, California, USA), 4 mM di dNTPs (Biotech Milan, Italy), 5 mM di MgCl2 (Promega Milan, Italy), 5 μM di Random examers (Invitrogen), 10 mM di DTT (Invitrogen), 20 U di RNase inhibitor (Takara Shiga, Japan) e 200 U di M-MuLV Reverse trascriptase (Invitrogen). Le condizioni di retrotrascrizione erano: un primo step di denaturazione a 70°C per 10 minuti, un secondo di annealing a 20°C per 10 minuti, un terzo di sintesi del cDNA a 42°C per 45 minuti ed uno step finale a 99°C per 3 minuti. I prodotti di retrotrascrizione (cDNA) sono stati utilizzati direttamente nelle reazioni di RealTime PCR eseguite nel termociclatore Biorad iCyclerTM Optical Module System. Per ogni Real Time PCR, 2 μl di cDNA sono stati amplificati amplificati in 25 μl finali di reazione contenente Hot Start Taq Master Mix 1X (Qiagen), 0,4 μΜ di ciascun primer (Sigma-Aldrich, St Louis, Missouri, USA) e 0,1 Μ di sonda. L’amplificazione consiste in un primo step di denaturazione iniziale a 94°C per 15 minuti, quindi un secondo step con 50 cicli di denaturazione a 94°C per 30 secondi e annealing/estensione a 60°C per 1 minuto. 62 Tabella 3.2 Primer e sonde per la quantificazione dell’espressione genica utilizzate in questo lavoro. Gene Sequenza primer e sonde 5’-3’ c-myc TTCGGGTAGTGGAAAACCAG (Fw) CAGCAGCTCGAATTTCTTCC (Rv) BHQ1 CCCTCAACGTTAGCTTCACC 6-FAM (Sonda) mad1 AGTGGAGCTGGAGAGAGCAG (Fw) GCATCCAAGTTCTGCTGACA (Rv) BHQ1 GGAACTACGAGCGTGAGGTC 6-FAM (Sonda) GAPDH CCTGTTCGACAGTCAGCCG (Fw) CGACCAAATCCGTTGACTCC (Rv) BHQ1 AGCCACATCGCTCAGACACCATGG 6-FAM (Sonda) hTERT-AT CGGAAGAGTGTCTGGAGCAAG (Fw) GGATGAAGCGGAGTCTGGA (Rv) BHQ1 TTGCAAAGCATTGGAATCAGACAGCAC 6-FAM (Sonda) hTERT-FL TGTACTTTGTCAAGGTGGATGTGA (Fw) GCTGGAGGTCTGTCAAGGTAGAG (Rv) BHQ1 AACCCCAGAACACGTACTGC 6-FAM (Sonda) 63 Tabella 3.3 Primer utilizzati per la generazione degli standard di riferimento. Gene Sequenza primer 5’-3’ ID Number p53 CATGAGCGCTGCTCAGATAG (Fw) NM_001126117.1 TCAGTCTGAGTCAGGCCCTT (Rv) c-myc TCGGGGCTTTATCTAACTCG (Fw) NM_002467.4 TAGGAGGCCAGCTTCTCTGA (Rv) mad1 TCATCTCTCAGCGTGTGGAG (Fw) NM_002357.3 GCCGTACCAGCTCAGACTTC (Rv) GAPDH AAATTGAGCCCGCAGCCTCC (Fw) NM_002046 CTGCAAATGAGCCCCAGCCT (Rv) hTERT AAGTTCCTGCACTGGCTGATG (Fw) AF015950 GGCACATGAAGCGTAGGAAGA (Rv) 64 3.6 ANALISI DEL CICLO CELLULARE Per analizzare il ciclo cellulare sono state saggiate 1x106 CMN per ogni campione. Le cellule sono state sottoposte a due lavaggi con PBS e poi risospese in 0,5 ml di PBS. In seguito le cellule sono state fissate con 4,5 ml di etanolo al 75% a 4°C per almeno 30 min. Successivamente le cellule sono state lavate con PBS e colorate con una soluzione contenente Propidium Iodide alla concentrazione di 50 µg/ml addizionato con RNase alla concentrazione di 100 µg/ml e poste a 37°C, al buio per 15 min. Per determinare il ciclo cellulare le cellule colorate sono state acquisite con il citofluorimetro BD FACSCalibur (BD Biosciences, San Jose, CA) ed analizzate mediante il software CellQuest. 3.7 ANALISI STATISTICA I dati relativi alle caratteristiche cliniche dei pazienti e i dati sperimentali sono stati raccolti in un database e analizzati con il software statistico SPSS 17 per Windows. I dati sono stati espressi come la media dei duplicati ± la deviazione standard. Il confronto tra i sottogruppi di rilevanza clinica per i parametri analizzati sperimentalmente è stato studiato con la metodica ANOVA univariata (ANOVA, SPSS 17.0 package, USA and multiple comparison). Le correlazioni sono state analizzate con il test di Spearman. Le differenze della lunghezza dei telomeri, dell’attività telomerasica e dell’espressione genica di h-TERT, c-myc, mad1 e p53 tra controlli e i diversi gruppi di pazienti sono state analizzate con il test di Student. Il test non parametrico per due campioni indipendenti, Mann-Whitney U test, è stato utilizzato per confrontare l’età dei pazienti con quella dei controlli. Il limite per la significatività statistica è stato posto con p< 0,05. 65 4. RISULTATI Le indagini sull'omeostasi dei telomeri nelle SMD e nelle LAM, al fine di valutarne il possibile ruolo prognostico, si sono rivolte su due fronti. In primis è stata valutata la lunghezza delle sequenze telomeriche, l'espressione dell'attività telomerasica e del gene codificante la porzione catalitica di tale enzima (hTERT), quindi l’ attenzione è stata rivolta all'analisi dei fattori trascrizionali coinvolti nella regolazione, sia positiva che negativa, dell'espressione di tale gene. 4.1 LUNGHEZZA DEI TELOMERI Come ampiamente descritto in letteratura (Mather et al., 2011), la lunghezza dei telomeri varia in funzione dell’età dell'individuo, in particolare è stato dimostrato che i telomeri si accorciano con l’avanzare dell’età. In questo lavoro quindi è stato suddiviso il gruppo di controllo in due sottogruppi: il primo con età inferiore ai 65 anni (range 24/64 anni) ed il secondo con età superiore ai 65 anni (range 65/81 anni). Quest’ultimo aveva la lunghezza media dei telomeri (TRF) significatamente più corta del primo gruppo (Fig. 4.1). I valori di TRF erano pari a 10,13 ± 0,77 Kb (range 9,16 Kb / 11,00 Kb) per i il primo gruppo e pari a 8,08 ± 0.097 Kb (range 4.07 Kb / 11.05 Kb; p<0,05) per il secondo gruppo. Figura. 4.1 Analisi della lunghezza dei telomeri nei due gruppi di controlli suddivisi in base all’età (<65 anni; >65 anni). 66 In tutti i campioni analizzati la TRF era significativamente inferiore rispetto ai due gruppi di controlli (p<0.02, Fig. 4.2). Tutte le succesive analisi sono state effettuate paragonando i pazienti al gruppo di controlli anziani, infatti la maggior parte dei pazienti studiati erano anziani (il 75% aveva più di 65 anni), i dati riguardanti l’età dei pazienti e dei controlli erano normalmente distriubuiti (Mann-Whitney U test, p=0.087). In particolare, i pazienti con SMD-BR (n= 83) mostravano una TRF di 7,13 ± 1,43 Kb (range 4,07 Kb / 11.03 Kb), i pazienti con SMD-AR (n= 20) avevano una TRF pari a 6,33 ± 1,02 Kb (range 4.73 Kb /8.58 Kb), i pazienti con LMMC (n= 8) una TRF di 5.64 ± 1,61 Kb (range 3,23 Kb / 7,33 Kb), i pazienti affetti da LAM (n= 48) una TRF di 6,16 ± 1,77 Kb (range 3,55 Kb / 11,40 Kb). Figura. 4.2 Analisi della lunghezza dei telomeri in pazienti affetti da SMD a basso rischio (SMD-BR), SMD ad alto rischio (SMD-AR), Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM) Analizzando le differenze tra gruppi, le SMD-BR mostravano una TRF significativamente maggiore rispetto alle SMD-AR (p<0,02), alle LMMC (p<0,01) e alle LAM (P<0.001) Suddividendo i pazienti in quattro gruppi in base alla percentuale di blasti AAM (Fig. 4.3). I pazienti con <5% di blasti (TRF 7,15 ± 1,22 Kb) avevano i telomeri significativamente più lunghi dei pazienti con blasti compresi tra 11% e il 20% (TRF 6,11 ± 1,9 Kb, p= 0,025) e di quelli con >20% blasti (TRF 5,59 ± 1,09 Kb, p=0.013). 67 Figura 4.3 Analisi dei telomeri in pazienti affetti da SMD suddivisi in base alla percentuale dei blasti midollari. 4.2 ESPRESSIONE DI hTERT Il trascritto hTERT-AT, in tutti i campioni analizzati controlli compresi, era dalle 5 alle 10 volte più abbondante del trascritto hTERT-FL. L'andamento è stato confermato dall'analisi d'espressione dei due trascritti in cellule HL60 (hTERT-AT 3088 copie / 106 copie GAPDH, hTERT-FL 419 copie /106 copie GAPDH) e HeLa (hTERT-AT 1436 copie / 106 copie GAPDH, hTERT-FL 203 copie /106 copie GAPDH; Fig. 4.4). I livelli di espressione di hTERT-FL erano molto eterogenei sia nei pazienti con SMD che nei pazienti con LAM (Fig.4.5). L’elevata eterogeneità non permetteva di rilevare differenze significative tra SMD-BR, SMD-AR e LAM se si considerava la totalità dei pazienti sottoposti ad analisi. 68 Figura 4.4 Esperimento rappresentativo: espressione di hTERT-AT e hTERT-FL in due campioni di soggetti sani (Normale 1 e 2), in due campioni di pazienti affetti da sindrome mielodisplastica a basso rischio (MSD-BR 1 e 2), in due campioni di pazienti affetti da sindrome mielodisplastica a alto rischio (MSD-AR 1 e 2), in due campioni di pazienti affetti da leucemia mielomonocitica cronica (LMMC 1 e 2), in due campioni di pazienti affetti da leucemia acuta mieloide (LAM 1 e 2), in cellule HL60 e Hela. Figura 4.5 Espressione di hTERT in pazienti affetti da SMD a basso rischio (SMD-BR), SMD ad alto rischio (SMD-AR), Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM) 69 È stato possibile tuttavia suddividere i pazienti in sottogruppi in base all'espressione di hTERT-FL utilizzando come discriminante un valore pari alla media dei valori dei controlli (13,27 ± 7,51 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH) addizionata della sua deviazione standard (pari a 20,78 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH, Fig. 4.6). Si osservava che ca il 55% dei pazienti con SMD-BR mostravano hTERT-FL significativamente più espresso dei controlli (56,48 ± 33,26 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH, p<0,01), il restante 45% mostrava livelli di espressione del tutto paragonabili ai controlli (15,46 ± 9,88 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH). Oscillazioni più evidenti si osservavano nei pazienti affetti da SMD-AR e da LAM. Il 65% dei pazienti SMD-AR aveva livelli di espressione significativamente più elevati dei controlli (89,60 ± 78,96 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH, p<0.005), il 35 % non mostrava differenze (10,98 ± 10,15 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH). Analogamente il 55% delle LAM aveva hTERT-FL significativamente più espresso (80,72 ± 75,52 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH, p<0.005) mentre il restante 45% mostrava livelli analoghi ai controlli (9,98 ± 6,14 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH). Il 40% delle LMMC (53,29 ± 23,57 copie hTERTFL/106 copie GAPDH) esprimevano valori di hTERT-FL significativamente più elevati dei controlli (p<0.01), mentre i livelli di espressione del restante 60% era nella norma (10,69 ± 7,09 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH). A causa dell'elevata eterogeneità dei livelli di espressione, non è stato possibile effettuare analisi univariate in base alla percentuale di blasti, al cariotipo e alle classificazioni FAB e WHO. È stato comunque possibile notare che nel sottogruppo delle SMD-AR con elevati livelli di hTERT, l’espressione di tale gene era significativamente superiore rispetto al sottogruppo delle SMD-BR (p=0,004) e delle LAM (p=0,028) con elevati livelli di espressione di hTERT. 70 Figura 4.6 Espressione di hTERT-FL in pazienti affetti da SMD a basso rischio (SMD-BR), SMD ad alto rischio (SMD-AR), Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM). I pazienti sono ulteriormente suddivisi in sotto-gruppi: SMD-BR/alto, SMD-BR/basso, SMD-AR/alto, SMD-AR/basso, LMMC/alto LMMC/basso, LAM/alto e LAM/basso a seconda che l'espressione di hTERT-FL superi il valore soglia di 20,78 copie hTERT-FL/106 copie GAPDH. (* p<0,01; ** p<0,005). 4.3 ATTIVITÀ TELOMERASICA L’estrema variabilità riscontrata nell’espressione di hTERT è stata ritrovata nella valutazione dell’attività telomerasica (Fig.4.7) Anche in questo caso i gruppi di pazienti potevano essere suddivisi in sottogruppi a seconda che la loro attività telomerasica superasse il cut-off posto come la media dei valori dei controlli (0,00046 ± 0,00032 amoli/g prot) addizionata alla deviazione standard (0.00078 amoli/g prot Fig.4.8). In questo caso solo il 20% delle SMD-BR (0,0017 ± 0,00087 amoli/g prot, p>0,001) e delle SMD-AR (0,0022 ± 0,00082 amoli/g prot, p<0,005), il 50% delle LMMC (0,0024 ± 0,001 amoli/g prot, p<0,005) e il 35% delle LAM (0,0026 ± 0,002 amoli/g prot, p<0,005) mostrava un’ attività telomerasica superiore al cut-off. 71 Figura 4.7. Analisi dell’Attivita telomerasica nei gruppi di pazienti SMD-BR, SMD-AR, LMMC, LAM. Figura 4.8 Attività telomerasica in pazienti affetti da SMD-BR, SMD-AR, LAM e LMMC. I pazienti sono ulteriormente suddivisi in sotto-gruppi: SMD-BR/alto, SMD-BR/basso, SMD-AR/alto, SMD-AR/basso, LAM/alto e LAM/basso a seconda che l'espressione di hTERT-FL superi il valore soglia di 0.00078 amoli/g prot. (* p<0,01; ** p<0,005). 72 Non è stato possibile effettuare analisi univariate in base alla percentuale di blasti, al cariotipo e alle classificazioni FAB e WHO, a causa dell'elevata eterogeneità dei livelli di AT. 4.4 ESPRESSIONE DEI FATTORI DELLA TRASCRIZIONE: MAD-1, C-MYC, P53 L’espressione del fattore della trascrizione mad-1 era significativamente superiore in tutti i gruppi di pazienti affetti da SMD rispetto al gruppo dei controlli. In particolare nei pazienti SMD-BR era di 0.0064± 0,003 n° copie / n° copie GAPDH (p<0.01), nei SMD-AR di 0.0086± 0,0028 n° copie / n° copie GAPDH (p<0.005) e nelle LMMC di 0.0088± 0,0047 n° copie / n° copie GAPDH (p<0.005) mentre nei controlli era pari a 0.0031± 0,00089 n° copie / n° copie GAPDH. Nelle LAM i livelli di mad-1 (0,0055 ± 0.0025 n° copie / n° copie GAPDH) erano comparabili ai controlli (Fig.4.9). Figura 4.9 Espressione del fattore della trascrizione mad-1 in pazienti affetti da SMD a basso rischio (SMDBR), SMD ad alto rischio (SMD-AR), Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM). (* p<0,01; ** p<0,005). Analizzando i pazienti secondo la classificazione WHO, emergevano ulteriori differenze nell'espressione di mad-1. In particolare, le AREB-2 (0,012 ± 0,0078 n° copie / n° copie GAPDH) esprimevano livelli di mad-1 superiori a tutte le altre classi di pazienti (p<0.05; Fig. 4.10). Suddividendo i pazienti in tre gruppi sulla base della valutazione del cariotipo (Fig 73 4.11), si osservava che i pazienti con cariotipo intermedio (0,012 ± 0,0049 n° copie / n° copie GAPDH) e non favorevole (0,016 ± 0,0019 n° copie / n° copie GAPDH) mostravano una maggiore espressione di mad-1 rispetto ai pazienti con un cariotipo favorevole (0,006 ± 0,0029 n° copie / n° copie GAPDH, rispettivamente p=0.008, p=0.002). L’espressione di p53 non subiva variazioni tra pazienti e controlli (Fig. 4.12), l'espressione di c-myc nelle LAM, pari a 0,044 ± 0,02 n° copie / n° copie GAPDH e nelle SMD-AR, pari a 0,036 ± 0,026 n° copie / n° copie GAPDH era significativamente superiore ai controlli (0,022 ± 0,0076 n° copie / n° copie GAPDH, p<0,01 e p<0,05 rispettivamente; Figura 4.12). Figura 4.10 Espressione del fattore della trascrizione mad-1 in pazienti affetti da Anemia Refrattaria (AR), Sindrome 5q- (SND 5q-), Citopenia Refrattaria con Displasia Multilineare (CRDM), Anemia Refrattaria con eccesso di blasti di tipo 1 (AREB-1), Anemia Refrattaria con eccesso di blasti di tipo 2 (AREB-2), Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM). (* p<0,05; ** p<0,005). 74 Figura 4.11 Espressione del fattore della trascrizione mad-1 nei pazienti suddivisi in base al cariotipo. Figura 4.12 Espressione dei fattori della trascrizione c-myc e p53 in pazienti affetti da SMD a basso rischio (SMD-BR), SMD ad alto rischio (SMD-AR), Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM,* p<0,05; ** p<0,01). 75 Seguendo la classificazione WHO, le AREB-2 erano quelle che esprimevano i maggiori livelli di c-myc, significativamente più alti che nelle altre tipologie di SMD (0,052 ± 0,025 n° copie / n° copie GAPDH; p<0,05; Figura 4.13). Da notare che i pazienti con SND 5q- e AREB-1 mostravano i livelli più bassi di c-myc (0,012 ± 0,003 n° copie / n° copie GAPDH e 0,0099 ± 0,006 n° copie / n° copie GAPDH, rispettivamente, p<0.05; Fig.4.13). Suddividendo i pazienti in base al numero di blasti all’aspirato midollare si notava che il gruppo con l’11-20% di blasti aveva un’aumentata espressione di c-myc (0,061 ± 0,060 n° copie / n° copie GAPDH) rispetto ai gruppi con numero di blasti <5% (0,027± 0,021 n° copie / n° copie GAPDH, p=0.026), con blasti 5-10% (0,021 ± 0,024 n° copie / n° copie GAPDH, p=0.018) e con >20% di blasti (0,023 ± 0,014 n° copie / n° copie GAPDH, p=0.052, Fig. 4.14). Un’ulteriore suddivisione in base al cariotipo rivelava che i pazienti con cariotipo intermedio (0,050 ± 0,034 n° copie / n° copie GAPDH) e non favorevole (0,072 ± 0,079 n° copie / n° copie GAPDH) avevano livelli di espressione di c-myc superiori rispetto ai pazienti con cariotipo favorevole (0,023 ± 0,016 n° copie / n° copie GAPDH, p=0.018 e p=0.005 rispettivamente; Fig.4.15) Figura 4.13 Espressione del fattore della trascrizione c-myc in pazienti affetti da Anemia Refrattaria (AR), Sindrome 5q- (SND 5q-), Displasia Multilineare (CRDM), Anemia Refrattaria con eccesso di blasti di tipo 1 (AREB-1), Anemia Refrattaria con eccesso di blasti di tipo 2 (AREB-2), Citopenia Refrattaria con Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) e Leucemia acuta mieloide (LAM). (* p<0,05). 76 Figura 4.14 Espressione del fattore della trascrizione c-myc nei pazienti suddivisi in base al numero di blasti. Figura 4.15 Espressione del fattore della trascrizione c-myc nei pazienti suddivisi in base al cariotipo. 77 4.5 CICLO CELLULARE L’analisi del ciclo cellulare è stata effettuate analizzando la distribuzione del contenuto di DNA presente nei campioni nelle fasi G1, S, G2. La percentuale di cellule in divisione è stata calcolata come la media delle percentuali delle cellule in fase S e G2 presenti nei campioni. I dati ottenuti dimostravano che i pazienti affetti da L-MDS avevano una percentuale media di cellule in divisione (18,47±12.11%) significativamente più alta rispetto ai pazienti con HMDS (6.81±4.02%, Fig.4.16). Figura 4.16 Analisi del ciclo cellulare valutato mediante citofluorimetria. I risultati sono rappresentativi di un singolo esperimento (A-B): (A) campione rappresentativo del gruppo di pazienti H-MDS, (B) campione rappresentativo del gruppo L-MDS. (C) Percentuale di cellule in fase S/G2 nei due gruppi di pazienti L-MDS e H-MDS. I dati sono espessi come valore medio ± SD. 78 5. DISCUSSIONE I telomeri sono formati da un complesso di DNA non codificante e proteine localizzato all’estremità dei cromosomi eucariotici (Moyzis et al., 1988; de Lange 2005 e 2009). La loro funzione è quella di proteggere i cromosomi dai possibili riarrangiamenti che porterebbero alla perdita o alla duplicazione di materiale genetico. A causa del “problema della replicazione terminale” del DNA (Watson 1972), le sequenze telomeriche si accorciano progressivamente ad ogni divisione cellulare a meno che non intervenga il meccanismo di allungamento dei telomeri che si basa sull’attività dell’enzima telomerasi, una ribonucleoproteina (hTERT) con attività di trascrittasi inversa che utilizza un proprio stampo a RNA (hTR) per sintetizzare le sequenze telomeriche (Greider & Blackburn, 1985; Harrington et al., 1997; Feng et al., 1995). Alcuni tipi cellulari hanno un meccanismo alternativo di allungamento dei telomeri indipendente dalla telomerasi (meccanismo ALT; Bryan et al., 1995). La lunghezza dei telomeri dipende dal tessuto, dall’organo, dall’età, dal corredo genetico e da fattori ambientali (Takubo et al., 2002). Può cambiare anche tra cellule dello stesso tessuto e tra cromosomi della stessa cellula (Rufer et al., 1998). Sia hTR che hTERT, presenti in singola copia nel genoma, sono finemente regolati a più livelli (Soder et al., 1997; Bryce et al., 2000; Cong et al., 2002). Nella regolazione trascrizionale di hTERT intervengono i fattori della famiglia Sp1, della famiglia c-myc/max/mad e molti altri, sia con effetto positivo che negativo (Cairney & Keith, 2008). Un meccanismo di splicing alternativo, soprattutto a livello embrionale, è importante per la regolazione tessuto specifica (Ulaner et al., 2000). Molti tipi di cancro presentano anomalie sia nella lunghezza dei telomeri che nell’espressione della telomerasi (Sieglovà et al., 2004; McGrath et al., 2007; Wu et al., 2003; Jang et al., 2008; Shay & Bacchetti, 1997). La lunghezza dei telomeri è stata molto studiata a livello genetico e le informazioni acquisite dagli studiosi negli anni fanno ipotizzare anche un collegamento tra l’attività telomerasica e i disordini delle cellule staminali ematopoietiche (Beakert, 2004). Le sindromi mielodisplastiche sono un insieme di disordini del midollo osseo caratterizzate dalla incapacità delle cellule progenitrici di maturare normalmente, causando la riduzione quantitativa e qualitativa degli elementi cellulati del sangue periferico, citopenia, (Lichtman 2000). L’incidenza delle SMD è variabile, ha 3 e 12 casi su 100000 abitanti/anno, con variazioni legate in parte alle differenze geografiche ed etniche ed in parte alla diversa capacità di diagnosi e selezione dei singoli centri. L’incidenza aumenta considerevolmente 79 con l’età, soprattutto dopo i 70 anni (Bauduer et al., 1998; Iglesias Gallego et al., 2003; Ma et al., 2007). Le sindromi mielodisplastiche sono anche dette “sindromi preleucemiche” in quanto possono evolvere verso forme di leucemia acuta (Hamilton-Paterson 1949). L’IPSS, pubblicato nel 1997, è il più noto e diffuso sistema di classificazione prognostica delle SMD, un metodo empirico utilizzato per valutare l'entità del rischio di trasformazione leucemica. I pazienti vengono suddivisi in tre gruppi di rischio considerando le anomalie genetiche, la percentuale di blasti midollari ed il numero di citopenie. I tre gruppi di rischio per la sopravvivenza mediana sono: basso rischio (5,7 anni); INT-1 (3,5 anni); INT-2 ( 1.2 anni); alto rischio (0.4 anni). L’instabilità genetica è associata all’accorciamento dei telomeri (Ohyashiki et al, 2001) ed il mantenimento della stabilità della lungezza dei telomeri è associato all’attivazione della telomerasi (Morin et al, 1989). La regolazione dell’attività telomerasica avviene su vari livelli: durante la trascrizione, il trasporto e la localizzazione subcellulare di ogni componente, l’assemblaggio della ribonucleoproteina telomerasi attiva, l’accessibilità della telomerasi stessa sul telomero. In molti casi l’espressione di hTERT è strettamente correlata con l’attività telomerasica e con l’inizio e la progressione del cancro. La telomerasi è trascrizionalmente repressa nelle cellule somatiche, mentre è nella forma attiva nelle cellule immortalizzate (Cong et al, 2002). L’espressione di hTERT è regolata positivamente e negativamente da numerosi fattori della trascrizione (Cairney et al, 2008). In questo lavoro sono stati valutati la lunghezza dei telomeri, definita come terminal restriction fragment (TRF), l’espressione del gene codificante la porzione catalitica della telomerasi (hTERT), l’attività telomerasica (AT) ed alcuni fattori della trascrizione coinvolti nella regolazione dell’espressione di hTERT: c-myc, mad-1, p53 in 156 pazienti affetti da SMD (n=109) e da LAM de novo e secondarie a SMD (n=47). I pazienti sono stati confrontati con un gruppo di 24 controlli. Come già descritto precedentemente (Mather et al, 2011) nel nostro studio si è osservato che i telomeri si accorciano con l’età. Per questo motivo il gruppo dei controlli è stato suddiviso in due sottogruppi in base all’età: inferiore e superiore ai 65 anni. Il gruppo più giovane ha TRF media più lunga di ca. 2 Kb rispetto al gruppo più anziano. I pazienti affetti da SMD sono stati suddivisi in due sottogruppi in base allo score IPSS: SMD-BR (IPSS basso e INT-1) e SMD-AR (IPSS INT-2 ed alto); inoltre le LMMC e LAM sono state analizzate come categorie separate. Tutti i gruppi di pazienti analizzati hanno TRF significativamente inferiore rispetto ai controlli sia giovani che anziani; inoltre le SMDBR hanno telomeri più lunghi rispetto alle SMD-AR, LMMC e LAM. Si può concludere che esiste un’evidente anomala erosione delle regioni telomeriche nelle SMD che aumenta con la severità della malattia, tali risultati sono in accordo con quelli precedentemente pubblicati 80 sebbene i precedenti lavori consideravano un gruppo inferiore di pazienti (Ohyashiki et al., 1997; Sieglovà et al., 2004; Boultwood et al., 1997). Le successive analisi comparative casocontrollo sono state effettuate considerando il gruppo dei controlli anziani in quanto il 75% dei pazienti aveva un’età superiore ai 65 anni. Numerosi lavori dimostrano che l’espressione di hTERT e l’attività telomerasica possono essere considerati marker comuni di malignità (Kim, 1997; Shay e Bachetti, 1997). In letteratura i risultati riguardanti i livelli di espressione di hTERT e dell’attività telomerasica nelle SMD sono discordanti. In particolare nel nostro studio è stato osservato che i valori di hTERT e di AT erano molto eterogenei sia nelle SMD che nelle LAM, ciò sta ad indicare che l’andamento della TFR può essere indipendente dai livelli di AT (Yan et al., 2002; Briatore et al., 2009; Swiggers et al., 2006). È stato possibile comunque suddividere i pazienti, per quanto riguarda l’espressione di hTERT e l’ attività telomerasica, utilizzando come cut off la media dei valori dei controlli addizionata della deviazione standard. In tutti i gruppi è stato possibile distinguere i pazienti con un’espressione di hTERT e di attività telomerasica simile ai controlli e con un’espressione e un’attività maggiori rispetto ai controlli. Le oscillazioni maggiori si sono osservate nei pazienti affetti da SMD-AR e da LAM. È interessante notare una sostanziale discrepanza nella percentuale di pazienti che esprime elevati valori di hTERT rispetto a quelli che hanno elevata attività telomerasica. Mentre oltre la metà dei pazienti hanno incrementati livelli di hTERT, solo il 20% delle SMD e il 35% delle LAM hanno un’attività telomerasica superiore alla norma. Ciò fa si che in ca. un terzo dei pazienti in esame l’espressione del mRNA di hTERT non sia sufficiente per avere una telomerasi attiva. Questi valori sono concordi con i dati pubblicati (Gürkan et al., 2005; Ohshima et al., 2003; Briatore et al., 2009) secondo cui l’espressione di hTERT e, in misura minore, l’attività telomerasica oltre ad essere estremamente variabili sono incrementate nelle SMD-AR rispetto alle SMD-BR. L’analisi dell’espressione dei fattori della trascrizione agenti sul promotore di hTERT ha dato risultati parzialmente concordi con quanto già pubblicato (Briatore et al, 2009). c-Myc è un fattore trascrizionale che interascisce direttamente sul promotore di hTERT attivando l’espressione genica (Oh et al,1999). Nel nostro studio c-myc risulta significativamente iperespresso nelle SMD-AR ( in particolare nelle AREB2) e nelle LAM, mentre i livelli di cmyc sono comparabili con i controlli nelle SMD-BR. Si evidenzia, inoltre, che nelle SMD-BR il sottogruppo delle Sindromi 5q- mostra in assoluto i più bassi valori di c-myc. Suddividendo i pazienti i base al cariotipo i valori di c-myc aumentano nei pazienti con cariotipo intermedio e non favorevole; inoltre la suddivisione dei pazienti in base al numero di blasti evidenzia che 81 i pazienti con un numero di blasti compreso tra 11% ed il 20% mostrano una iperespressione di c-myc. Si può concludere, quindi, che è evidente un incremento dell’espressione di c-myc nelle SMD più severe e tale dato potrebbe essere utilizzato come fattore prognostico. Infatti cmyc è coinvolto nella regolazione della crescita cellulare ed il ruolo di stimolazione della crescita cellulare potrebbe favorive la progressione delle SMD in LAM. Comunque l’aumento dell’espressione di c-myc non è riferibile al fatto che in queste patologie si ha un aumento della proliferazione cellulare; infatti l’analisi del ciclo cellulare evidenzia che i pazienti con SMD-AR, in cui i livelli di espressione di c-myc sono elevati, hanno una percentuale di cellule in divisione più bassa rispetto alle SMD-BR. Il fattore trascrizionale mad-1, che agisce negativamente sull’espressione di hTERT, è significativamente iperespresso nelle SMD rispetto ai controlli. Inoltre l’espressione risulta aumentata nelle SMD-AR (in particolare nelle AREB-2) rispetto alle SMD-BR. Infatti l’incremento dell’espressione di c-myc nelle AREB2 potrebbe favorive l’iperespressione del gene antagonista mad-1. Questi dati potrebbero spiegare la notevole variabilità dell’espressione di hTERT dimostrata in questo studio. Comunque i livelli relativi di c-myc versus mad-1 mediano l’equilibrio tra la proliferazione cellulare e la differenziazione terminale (Foley et al, 1998), questo fenomeno ci potrebbe far asserire che l’anormale incremento di mad-1 nelle AREB2 potrebbe favorire la riduzione del numero di cellule in divisione nel midollo osseo dei pazienti affetti da SMD-AR, come dimostrato anche dall’analisi del ciclo cellulare. Si è analizzata l’espressione del gene p53 per analizzare l’induzione dell’ apoptosi nei pazienti affetti da SMD e da LAM. Nel nostro studio non si sono notate differenze significative dei livelli di espressione di p53 tra i pazienti ed i controlli. In accordo con i dati riportati in precendenti studi, si può concludere che il livello di apoptosi nelle SMD è basso (Briatore et al, 2009; Sekeres et al, 2007), anche se altri autori hanno dimostrano mediante analisi immunoistochimiche un incremento di cellule p53 positive nei pazienti affetti SMD in trasformazione (Kurotaki et al, 2000). Studi recenti di analisi mutazionale piuttosto che di espressione genica hanno evidenziato come le mutazioni nel gene p53 sono presenti nei pazienti con SMD anni prima dell’evoluzione leucemica ed i pazienti con p53 mutata hanno una prognosi peggiore con diminuzione della sopravvivenza globale e della sopravvivenza libera da malattia (Kulasekararaj et al, 2010; Jadersten et al, 2011). Lo stesso fenomeno è stato visto nei pazienti affetti da Sindrome 5q- e p53 mutato, infatti questi pazienti avevano la mediana della sopravvivenza globale più corta rispetto a quelli con Sindrome 5q- e p53 wild type (Kulasekararaj et al, 2013). Nonostante per decenni alcune anomalie cariotipiche 82 specifiche sono state associate alle SMD, studi più recenti hanno dimostrato l’importanza dell’analisi mutazionale di singoli geni, alterazioni che non sono individuabili grazie alla citogenetica standard, e dell’analisi epigenetica, in quanto alterazioni epigentiche deregolano l’espressione genica (Bejar et al, 2011). In conclusione, questo studio conferma che la lunghezza media dei telomeri nei pazienti affetti da SMD è più bassa che nei controlli della stessa fascia di età. L’accorciamento aumenta con il progredire della leucemia e con l’aumento della percentuale di blasti nel midollo osseo. I valori di hTERT e di AT sono molto eterogenei ed hanno il simile andamento di aumentare nelle SMD-AR e nelle LAM. Mad-1 sembra essere più elevato nei pazienti con prognosi peggiore, ma è un marker comune nelle SMD. Al contrario c-myc è iperespresso solamente nei pazienti con IPSS intermedio-2 o alto e nelle LAM. Comunque si evidenzia una correlazione positiva tra l’aumento dell’espressione di c-myc e mad-1 da un lato e l’instabilità genomica dall’altro, instabilità che si mostra a livello citogenetico come cariotipo complesso. Si può concludere, infine, che la lunghezza dei telomeri e l’espressione di mad-1 e c-myc, piuttosto che l’attività telomerasica e l’espressione di hTERT potrebbero essere utilizzati in futuro per stratificare i pazienti in accordo con il sistema di classificazione del rischio. 83 6. BIBLIOGRAFIA Aggerholm A., Holm MS., Guldberg P., Olesen LH., Hokland P. 2006. Promoter hypermethylation of p15INK4B, HIC1, CDH1, and ER is frequent in myelodysplastic syndrome and predicts poor prognosis in early-stage patients. Eur J Haematol 76:2332. Aisner DL., Wright WE., and Shay JW. 2002. Telomerase regulation: not just flipping the switch. Curr Opin Genet Dev 12:80–85. 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