le recenti tendenze dell`economia e i riflessi nel contesto locale

6a Giornata dell’Economia – 9 maggio 2008
Rapporto 2007
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Le recenti tendenze dell’economia e
i riflessi nel contesto locale
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Lo scenario internazionale
Nel corso del 2007 l’economia mondiale ha continuato a crescere ad un ritmo ancora elevato,
pari al 4,9%, anche se nell’ultima parte dell’anno sono apparsi segnali di rallentamento, dovuti
alla crisi finanziaria iniziata la scorsa estate 1 .
La decelerazione dell’attività economica ha interessato soprattutto gli Stati Uniti e, in grado
minore, le economie europee, ma in base alle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale
potrebbe estendersi al Giappone e alle economie emergenti.
Il Pil statunitense ha quasi arrestato la sua crescita nel quarto trimestre del 2007 (0,6% in
ragione d’anno contro il 4,9% del terzo trimestre), come conseguenza della forte riduzione degli
investimenti residenziali, della contrazione delle scorte, di una dinamica contenuta dei consumi
delle famiglie e degli investimenti. Tale rallentamento sembra essere proseguito nel primo
trimestre del 2008 tanto che le previsioni di crescita per l’economia statunitense del FMI sono
pari appena allo 0,5% per l’anno in corso.
Previsioni macroeconomiche del Fondo Monetario Internazionale
PIL variazioni percentuali sull’anno precedente
Mondo
2007
4,9
2008
3,7
2009
3,8
2,6
3,1
2,2
2,1
1,4
1,6
0,5
1,4
1,2
1,6
0,6
1,5
11,4
5,4
9,2
8,1
9,3
4,8
7,9
6,8
9,5
3,7
8
6,3
Area Euro
Regno Unito
Stati uniti
Giappone
Cina
Brasile
India
Russia
Fonte: Statistiche Nazionali FMI Word Economic Outlook, aprile 2008
Anche l’economia britannica ha registrato un lieve rallentamento nell’ultima parte del 2007 e
nei primi mesi del 2008. La crescita prevista per l’anno in corso e per quello successivo è pari
alla metà di quella realizzata nel 2007. Questo risultato potrebbe essere stato determinato dalla
restrizione del credito e dalla crescita dell’inflazione.
1
Banca d’Italia, Bollettino Economico n.52 aprile 2008
7
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Rapporto 2007
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Le economie dei principali paesi emergenti hanno viceversa continuato a crescere nel 2007 a
ritmi elevati: la Cina all’11,4%, l’India al 9,2% e la Russia all’8,1%.
Le previsioni relative a questi paesi restano positive nel prossimo biennio contemplando ritmi
elevati di crescita che sosterranno la dinamica del commercio internazionale.
Nel 2007 il PIL della zona euro è cresciuto del 2,6%, registrando una lieve flessione rispetto al
2,8% dell’anno precedente.
La crescita economica è stata indotta dallo sviluppo della domanda interna: gli investimenti
sono cresciuti mediamente del 4,3%, grazie anche alle favorevoli condizioni di finanziamento,
l’aumento dei consumi delle famiglie è stato pari all’1,5% per l’evoluzione positiva del reddito
delle famiglie a sua volta associato ad una buona dinamica del mercato del lavoro 2 .
Tuttavia nel quarto trimestre del 2007 la crescita del PIL dell’area ha subito una decelerazione
risentendo del graduale aumento dell’inflazione e dei conseguenti comportamenti improntati ad
una maggiore prudenza nella spesa da parte delle famiglie. Nel 2008 il quadro congiunturale
dell’area resta caratterizzato da notevoli incertezze, in particolare per la crescita dell’inflazione
relativa ai beni energetici e ai beni alimentari.
La politica di invarianza dei tassi seguita fino ad ora dalla Banca Centrale Europea ha avuto
come unico effetto quello di apprezzare l’euro sul dollaro, contribuendo al rallentamento
economico già in atto, ma non è riuscita a contenere l’inflazione. L’andamento dell’inflazione
del resto è sostenuto dai prezzi dei prodotti alimentari e soprattutto del petrolio, che sono
componenti esogene, vale a dire fuori dal controllo delle istituzioni dei paesi europei 3 .
Le quotazioni del petrolio hanno subito un ulteriore marcato rialzo dall’inizio del 2008, pari in
termini reali a quelli che si erano verificati nel 1979. Contemporaneamente si sono registrati
forti aumenti anche nei prezzi delle materie prime alimentari. Le preoccupazioni per i riflessi di
tali fenomeni sull’inflazione condizionano le stime di crescita economica futura.
Andamento del prezzo del petrolio in euro ed in dollari
80
70
60
50
40
30
20
10
0
1999
2000
2001
2002
2003
prezzo in euro
2004
2005
2006
2007
prezzo in dollari
Prezzo medio CIF delle importazioni di greggio dei paesi Ocse- prezzo 2007 stimato
Fonte: Unione Petrolifera
2
3
Ibidem
Istituto G. Tagliacarne, Area Studi e ricerche, Marzo 2008
8
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Rapporto 2007
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Secondo i dati dell’International Energy Agency (IEA) nel 2007 la domanda mondiale di
petrolio ha lievemente ecceduto l’offerta determinando forti tendenze al rialzo del prezzo del
petrolio e un significativo calo delle scorte nei principali paesi produttori.
Le cause delle persistenti tensioni nel mercato del petrolio sono molteplici. In primo luogo la
rapida espansione della domanda relativa alle economie emergenti la cui intensità è molto
superiore a quella dei paesi avanzati, basti pensare che per il 2008 si stima una crescita dei
consumi mondiali di petrolio pari al 2% quasi interamente riconducibile a tali economie. In
secondo luogo la limitata elasticità dell’offerta, determinata dalle politiche del cartello OPEC il
cui obbiettivo di produzione è attualmente inferiore ai livelli del 2006. I paesi produttori non
appartenenti al cartello non riescono ad ampliare elasticamente la capacità estrattiva visti i costi
e i tempi notevoli necessari per la costruzione di nuovi impianti.
Poiché l’energia fa parte del paniere dei consumi delle famiglie, il rincaro del prezzo del
petrolio si riflette in maniera diretta in un aumento degli indici dei prezzi al consumo, vale a dire
dell’inflazione. A questo effetto si andrà ad aggiungere l’impatto indiretto dell’aumento del
prezzo del petrolio sui prezzi alla produzione: il petrolio entra nel processo produttivo come
materia prima e le imprese cercheranno di recuperare i rincari del costo della materia prima sui
prezzi finali di vendita.
Per l’economia europea, tuttavia le considerazioni sopra esposte vengono parzialmente attenuate
dal fenomeno valutario dell’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro statunitense che ha
caratterizzato gli ultimi anni e si è accentuato negli ultimi 12 mesi.
Questo andamento, caratterizzato dal progressivo rivalutarsi della nostra divisa rispetto a quella
statunitense, utilizzata per le quotazioni internazionali del petrolio, ha determinato un forte
ridimensionamento dell’aumento del prezzo del petrolio pagato in euro.
Il fenomeno valutario tuttavia non riesce a compensare l’apprezzamento del greggio, che
espresso in euro registra aumenti nell’ordine del 25% negli ultimi due anni.
L’economia italiana nel 2007
Sulla base dei dati di contabilità nazionale nel 2007 il PIL in Italia è cresciuto dell’1,5%, in
misura dunque lievemente inferiore a quella della media dell’area per lo stesso anno che è stata
del 2,6 % e a quella del 2006 quando era stato pari all’1,8%.
La crescita è stata determinata dall’aumento dei consumi nazionali, passati dall’1,0% del 2006
all’1,4% del 2007, e delle esportazioni (che nel 2007 sono cresciute del 5,0% rispetto all’anno
precedente). Il contributo degli investimenti è stato inferiore a quello fornito nell’anno
precedente: nel 2006 gli investimenti erano aumentati del 2,5% mentre nel 2007 la loro crescita
si è dimezzata (1,2%).
Nel 2007 nel complesso è continuata la fase espansiva dell’economia nazionale ma nella
seconda metà dell’anno la crescita è rallentata. Le previsioni per il 2008 confermano il clima di
maggiore sfiducia delle imprese e delle famiglie. Le stime di crescita del PIL per l’anno in corso
sono state progressivamente riviste al ribasso negli ultimi mesi a causa delle incertezze che
pesano sull’espansione del commercio internazionale e sul forte apprezzamento dell’euro,
nonché sulla continua crescita dell’inflazione che ha risentito delle tensioni che si sono palesate
nei mercati internazionali delle materie di base energetiche e alimentari.
9
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Il rallentamento della crescita economica avrà dunque forti ripercussioni anche nel nostro Paese
con un incremento del PIL di appena lo 0,6% nel 2008, con un effetto “trascinamento” negativo
anche nel 2009.
Anche la produzione industriale mostra segni di rallentamento: i più recenti sondaggi
congiunturali svolti presso le imprese indicano un diffuso pessimismo, simile a quello che aveva
caratterizzato il 2005, l’ultimo anno prima della fase espansiva 4 .
PIL e principali componenti (quantità a prezzi concatenati;
dati destagionalizzati e corretti per i giorni lavorativi,
variazioni percentuali sul periodo precedente)
2006
PIL
Importazioni
Domanda nazionale
Consumi nazionali
spese delle famiglie
altre spese
Investimenti fissi lordi
costruzioni
altri beni
Esportazioni
2007
1,8
5,9
1,8
1,0
1,1
0,9
2,5
1,5
3,5
6,2
1,5
4,4
1,3
1,4
1,4
1,3
1,2
2,2
0,2
5,0
Fonte: Istat Elaborazione: Banca d’Italia
Inoltre i piani di investimento delle imprese si sono ridimensionati, così come è calato rispetto
al 2006 il grado di utilizzo della capacità produttiva. Nel corso del 2007 si è verificata anche una
perdita di competitività di prezzo per le imprese italiane: da un lato l’apprezzamento dell’euro
spinge al ribasso la competitività di tutti i paesi dell’area, dall’altro un ulteriore fattore
penalizzante per le imprese italiane è l’alto costo del lavoro per unità di prodotto.
Il declino dell’industria italiana proviene da alcune scelte compiute alcuni decenni fa ed è dato
da una molteplicità di fattori strutturali che non possono essere eliminati nel volgere di pochi
mesi. Può essere utile ricordare, brevemente, alcuni degli elementi che maggiormente
penalizzano le possibilità di crescita in questa fase storica 5 :
• la specializzazione in settori a più basso valore aggiunto, dove la concorrenza dei nuovi
competitori è più forte (paradossalmente, dato lo scenario di riferimento, nell’ultimo
decennio l’Italia ha accentuato ulteriormente questa tendenza);
• la bassa propensione del settore privato ad investire nella ricerca per l’innovazione,
lasciata quasi interamente alle istituzioni pubbliche;
• l’elevato debito pubblico, pari al 104% del PIL, che si conferma il più elevato fra i paesi
europei, abbinato ad una elevata pressione fiscale;
• l’alta dipendenza energetica dall’estero che incide fortemente nella bilancia dei
pagamenti nazionale ma anche nei costi di produzione delle imprese.
Contemporaneamente sul versante delle esportazioni le imprese italiane si trovano
penalizzate dal forte tasso di cambio euro/dollaro che rende più costosi i nostri prodotti
nelle transazioni commerciali espresse in dollari;
4
5
Dati ISAE - Banca d’Italia (Bollettino Economico n.52, Aprile 2008)
Istituto G. Tagliacarne, Area Studi e ricerche, Marzo 2008
10
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•
infine le difficoltà storiche ad avviare un processo di crescita da parte di numerose aree
del Mezzogiorno, dove il divario con le regioni del Nord in termini di PIL procapite non
si riduce dagli anni Novanta.
La posizione della provincia di Ancona
Le imprese italiane stanno affrontando una profonda fase di trasformazione alla ricerca di un
nuovo posizionamento competitivo in un contesto economico nazionale caratterizzato da forti
criticità che potrebbero penalizzare il nostro Paese rispetto alle principali economie europee.
Questa tendenza non si concretizzerà con la stessa intensità e con la medesima tempistica in
tutte le economie territoriali, dati i diversi modelli di sviluppo conosciuti dalle province italiane.
Alcune province saranno verosimilmente fortemente condizionate dal rallentamento della
crescita italiana prevista per il 2008 (+0,6%) 6 . Il modello di sviluppo conosciuto negli ultimi
dieci anni in termini di specializzazioni produttive, di apertura ai mercati internazionali e di
incidenza del manifatturiero e dei servizi nella formazione del PIL distingue le economie
provinciali in “pro-cicliche” e “anti-cicliche”. Le prime si caratterizzano per una stretta
correlazione fra l’andamento del PIL provinciale e quello nazionale, mentre le seconde
sembrano essere neutrali rispetto all’andamento della congiuntura nazionale.
L’analisi storica svolta con riferimento al periodo 1995-2006 mostra per ben 42 province
italiane un forte condizionamento dal rallentamento della crescita nazionale. Fra queste realtà
territoriali “pro-cicliche” rientra anche la provincia di Ancona con un indice di correlazione pari
allo 0,77% 7 .
Province ad alto impatto del ciclo economico nazionale previsto nel 2008
Fonte: elaborazioni
Unioncamere-Tagliacarne
6
7
Istituto G. Tagliacarne, Area Studi e ricerche, Marzo 2008
Massima correlazione =1.
11
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La provincia di Ancona si è storicamente caratterizzata per la sua forte specializzazione nelle
produzioni manifatturiere, frutto del periodo di grande innovazione e di diffusa capacità
imprenditoriale che contraddistinse i primi anni del Dopoguerra. Ancora oggi si prende come
riferimento il modello marchigiano che combina lo sviluppo industriale con il senso di
appartenenza alla comunità locale, anche se è oramai decisamente superata l’immagine del
metalmezzadro e dello spontaneismo nel fare impresa che caratterizzava quell’epoca.
Al termine della lunga fase di transizione e di trasformazione del settore manifatturiero
avvenuta nel periodo 2001-2004, il peso del settore secondario (al netto delle Costruzioni) in
provincia è decisamente superiore a quello nazionale; un risultato analogo, seppure con una
differenza ridotta, si ottiene anche dal confronto con la media regionale, nonostante le Marche
siano una delle regioni in cui sono localizzati più distretti industriali.
Valore aggiunto a prezzi correnti per settore di attività economica - anno 2006
Servizi
Costruzioni
Italia
Marche
Ancona
Industria
Agricoltura
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
Fonte: Unioncamere – Tagliacarne
Il settore dell’Industria in senso stretto contribuisce alla creazione del 25,7% del valore aggiunto
complessivo, mentre nel territorio nazionale questo valore raggiunge mediamente la quota del
20,5% (nelle Marche è del 26,2%). Al contrario, il settore terziario e l’agricoltura hanno un
ruolo sottodimensionato rispetto a quanto accade nel resto del paese.
Il settore terziario rappresenta comunque la principale fonte di ricchezza (e di occupazione) per
gli abitanti della provincia di Ancona, contribuendo a creare i due terzi del valore aggiunto
complessivo. Potrebbe sorprendere, al contrario, l’esiguità del ruolo svolto dall’agricoltura
proprio in un territorio dove a lungo quest’attività è coesistita con quella negli stabilimenti
industriali. La tendenza nel settore primario alla ricerca della qualità e del posizionamento di
nicchia e la prospettiva di una riduzione dei contributi comunitari nell’ambito della rinnovata
Politica Agricola Comune hanno estromesso dal mercato tutti quegli operatori che non avevano
caratteristiche idonee per competere.
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Valore aggiunto a prezzi correnti per settore di attività economica – anno 2006
1,4%
25,7%
5,1%
Agricoltura
67,8%
Industria
Costruzioni
Servizi
Fonte: Unioncamere - Tagliacarne
Attraverso l’uso di un indice di specializzazione provinciale costruito sul numero di addetti di
ciascuna divisione economica è possibile approfondire l’indagine relativa alla struttura
dell’economia della provincia di Ancona.
Questo particolare indice di specializzazione è determinato dal rapporto tra il numero di addetti
di una particolare divisione economica nella provincia di Ancona rispetto al numero
complessivo di addetti dello stesso territorio in confronto al medesimo rapporto calcolato in un
contesto più ampio, quello nazionale. Il risultato è un valore che oscilla attorno ad 1 : nel caso in
cui sia superiore, la provincia oggetto di analisi ha una specializzazione nella divisione
esaminata maggiore rispetto all’intero territorio nazionale, se è inferiore ad 1 si può parlare di
una specializzazione inferiore.
Nella provincia di Ancona, prendendo in esame gli addetti di tutti i settori economici, l’indice è
maggiore di 1 solamente nel caso dell’agricoltura (questa informazione è in contrasto con il
minor peso nella determinazione del valore aggiunto) e in alcune attività di trasformazione
manifatturiera. E’ inferiore ad 1 nelle costruzioni, nel commercio ed in quasi tutti i servizi alle
persone e alle imprese, ad eccezione delle attività di supporto ai trasporti.
La nostra regione rappresenta un caso di studio particolarmente interessante per stimare come si
modificherà nei prossimi anni, alla luce della crescente capacità competitiva dei nuovi attori
economici mondiali, la struttura imprenditoriale. Un tessuto economico come quello
marchigiano, ancora fortemente attivo nel settore manifatturiero e con una spiccata
specializzazione in lavorazioni dove le barriere all’entrata, in particolare quelle tecnologiche,
sono di modesta entità, ha dovuto superare una fase particolarmente difficile, in cui la
numerosità delle imprese attive si è ridotta bruscamente.
Il comparto della moda, composto dalle imprese del Tessile-abbigliamento, delle Calzature, dei
Prodotti in pelle e cuoio e della Pellicceria, è stato il primo ad essere esposto a questi
cambiamenti. A distanza di qualche anno il profilo del settore è profondamente cambiato e la
selezione cui le imprese sono state sottoposte ha lasciato in vita solo coloro che hanno saputo
differenziarsi, puntare sulla qualità innovando sia nel processo che nel prodotto, e creare una
propria immagine nei mercati internazionali.
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Rapporto 2007
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Nella sua apparente semplicità l’esempio del settore delle Calzature e del Tessile-abbigliamento
rappresenta un punto di riferimento valido per tutte quelle imprese la cui ambizione è quella di
continuare ad essere competitive.
Le fasi produttive vere e proprie diverranno una componente sempre più marginale per il
territorio e si assisterà alla nascita di nuove professioni e di nuovi attori specializzati nel fornire
quei servizi che permetteranno alle imprese di rinnovarsi, di utilizzare in modo efficiente e
razionale le nuove tecnologie, di muoversi nei mercati internazionali senza timori e cogliendone
tutte le opportunità, senza dover continuare a rincorrere chi si è mosso prima e con maggiore
disponibilità di mezzi.
Le informazioni relative all’andamento della ricchezza pro capite relative al 2007 confermano
una buona situazione per la provincia di Ancona. Il PIL pro capite dell’anno appena concluso è
stato pari a 29.125,50 euro, superiore a quello medio regionale e nazionale. Anche in termini di
variazioni percentuali la performance della provincia dorica è stata migliore di quelle relative
alle Marche e all’Italia.
E’ interessante, quindi, osservare come in un periodo di crescita della competitività in un’ottica
internazionale e nazionale la nostra regione e – in modo ancora più spiccato - la provincia di
Ancona hanno amplificato la dinamica positiva di crescita della ricchezza.
PIL pro capite e posizione nella graduatoria delle province/regioni italiane
anni 2006 e 2007 e variazione percentuale 2007-2004
2007
2006
Regioni e Province Posizione in PRO CAPITE Posizione in PRO CAPITE Variazione %
graduatoria
(EURO)
graduatoria
(EURO)
2007/2004
Ancona
Macerata
Ascoli Piceno
Pesaro Urbino
MARCHE
ITALIA
26
58
56
57
10
29.125,50
24.253,23
25.167,27
24.658,55
26.057,13
25.861,77
27
59
56
57
11
28.130,8
23.864,9
24.056,3
23.949,0
25.229,0
25.109,3
10,1
8,5
7,8
8,4
8,8
8,2
Fonte: elaborazioni Unioncamere-Tagliacarne
In termini quantitativi, il reddito medio di un marchigiano è di 26.057,13 euro, superiore ai
25.861,77 euro disponibili mediamente per un italiano. La situazione è confermata dall’analisi
delle quattro province della nostra regione: Ancona è nettamente al di sopra della media
nazionale e si colloca tra le 30 province più ricche, guadagnando tre posizioni rispetto al 2004,
mentre Macerata, Ascoli Piceno e Pesaro e Urbino si collocano nella seconda metà della
graduatoria, tra le province con un reddito medio inferiore a quello italiano.
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Variazioni percentuali annue a prezzi correnti
PIL procapite 2005-2007
Regioni e Province
2006/2005
Ancona
Macerata
Ascoli Piceno
Pesaro Urbino
MARCHE
ITALIA
2007/2006
4,9
2,9
2,3
3,3
3,5
3,0
3,5
1,6
4,6
3,0
3,3
3,0
Fonte: Unioncamere – Tagliacarne
Il mercato del lavoro
In termini di occupazione il 2007 è stato complessivamente positivo: la crescita degli occupati
che ha caratterizzato il terzo e quarto trimestre ha più che compensato la dinamica negativa del
primo semestre. Il numero degli occupati è cresciuto complessivamente in ragione d’anno
dell’1,0%, attestandosi a 23,2 milioni (+234.000 unità) 8 .
Una delle informazioni che provengono dai dati relativi alla struttura della popolazione italiana
suddivisa per condizione professionale è l’elevata incidenza del lavoro autonomo: in Italia quasi
il 26% dei lavoratori è indipendente anche se questa quota nel corso dell’ultimo anno ha
registrato una lieve flessione (-0,3%).
Viceversa nel 2007 aumenta il numero dei lavoratori dipendenti, non solo quelli assunti con
contratto a tempo determinato (2,1%) ma, dato ancor più interessante, anche quelli assunti con
contratto a tempo indeterminato (1,4%).
Struttura della popolazione italiana per condizione professionale
Anni 2006 e 2007, dati in migliaia
Tipologia occupazione
Occupati dipendenti
a tempo indeterminato
2006
17.167
1,49%
14.693
14.898
1,40%
2.222
2.269
2,12%
6.073
6.055
-0,30%
22.988
23.222
1,02%
58.436
59.131
1,19%
39,30%
39,27%
Occupati indipendenti
Popolazione al 1/1
Occupati/popolazione
Var. 07/06
16.915
a tempo determinato
Totale occupati
2007
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro
Il tasso di disoccupazione relativo all’intero Paese a fine 2007 si è lievemente ridotto rispetto
all’anno precedente ed è pari al 6,1%.
8
Rilevazione Forze di lavoro IV trimestre 2007, Istat
15
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Rapporto 2007
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Resta ampio il divario in termini di disoccupazione tra uomini e donne, anche se la forbice si è
ridotta sensibilmente nel corso degli ultimi anni ed il tasso femminile a fine 2007 è sceso di
quasi un punto percentuale, attestandosi al 7,9%. Il tasso di disoccupazione maschile è inferiore
di oltre 3 punti percentuali.
La tendenza alla riduzione della quota di persone in cerca di occupazione si è concentrata negli
ultimi due trimestri dell’anno, in sintonia con la crescita dell’occupazione.
Tasso di disoccupazione medio in Italia
per sesso, anni 2006 e 2007
2006
2007
Maschi
5,4
4,9
Femmine
8,8
7,9
Totale
6,8
6,1
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro
Il tasso di disoccupazione è molto più basso nell’Italia centro-settentrionale che nel Meridione e
nelle Isole, sebbene la tendenza alla riduzione abbia riguardato tutto il territorio nazionale: nel
2007 solamente il 3,5% di coloro che erano alla ricerca di un’occupazione non ha trovato una
collocazione nelle regioni del Nord; tale percentuale sale al 5,3% nelle regioni del Centro
mentre nel Mezzogiorno tale quota è addirittura pari all’11,0%.
Tasso di disoccupazione medio in Italia per zone geografiche, anni 2004-2007
16
14
12
Nord
10
Centro
8
Mezzogiorno
6
Italia
4
2
0
2004
2005
2006
2007
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro
Il grafico precedente fornisce una dimostrazione visibile della tendenza al ribasso del tasso di
disoccupazione italiano. Nel leggere i dati occorre tenere presente che risulta disoccupato solo
chi non trova lavoro, mentre restano esclusi dal calcolo coloro che non lo cercano o che hanno
smesso di cercarlo; non vi è un riferimento alla qualità del lavoro e al livello di retribuzione;
non si tiene conto, infine, che in alcune aree del Paese e in certi settori in particolare è maggiore
la presenza di attività fuori dai confini legali e che quindi il fenomeno della disoccupazione
andrebbe riletto alla luce dell’entità del lavoro sommerso. Tuttavia, sebbene rappresenti ancora
un problema sociale di primissimo piano, occorre ricordare che nel Meridione l’attuale quota
dell’11,0% di lavoratori senza impiego è sensibilmente inferiore al 15,0% del 2004.
16
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Rapporto 2007
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Il quadro complessivo che emerge dai principali indicatori relativi al mercato del lavoro mostra
una situazione per la provincia di Ancona piuttosto confortante. Il tasso di attività della
popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni nel 2007 è attestato sul valore del 68,6%. Tale tasso
risulta superiore di 6 punti percentuali rispetto a quello nazionale e di quasi 1 punto percentuale
rispetto a quello regionale.
Anche riguardo al tasso di occupazione la situazione locale si presenta migliore rispetto a quella
che emerge dai dati nazionali e provinciali. Il tasso di occupazione (15-64 anni) nazionale è pari
al 58,7%, mentre quello delle Marche e della provincia di Ancona sono rispettivamente del
64,8% e del 66,2%.
Tasso di occupazione (15-64 anni) e disoccupazione nelle
province marchigiane - Anno 2007
Tasso di
occupazione
Tasso di
disoccupazione
64,2
66,2
64,7
63,9
64,8
58,7
3,3
3,5
4,4
5,7
4,2
6,1
Pesaro e Urbino
Ancona
Macerata
Ascoli Piceno
Marche
Italia
Fonte : elaborazioni su dati ISTAT
La distribuzione occupazionale tra i tre macrosettori economici mostra una prevalenza del
Terziario che vede aumentare progressivamente l’occupazione, passando da un valore pari a 114
mila occupati nel 2005 ai 123 mila del 2006 fino ai 132 mila del 2007. Alla fine dello scorso
anno dunque l’occupazione dei Servizi rappresentava il 66% dell’occupazione totale
provinciale, in linea con il dato nazionale e lievemente superiore all’incidenza percentuale del
settore sul totale regionale.
Segue poi il settore dell’Industria che registra, come media del 2007, 65 mila occupati
corrispondenti al 33% della forza lavoro dorica. Anche in questo caso il valore è in linea con la
tendenza nazionale (33%) ma nettamente inferiore a quella delle Marche (39%).
Infine il settore dell’Agricoltura che, nella media del 2007, nella provincia di Ancona conta
appena 4 mila occupati (2% degli occupati).
Il quadro si completa prendendo in esame il tasso di disoccupazione, in base al quale la
situazione della nostra provincia è ulteriormente migliorata rispetto al 2006.
Infatti mentre per l’Italia e per la regione Marche nell’anno 2007 sono state registrate delle
riduzioni piuttosto contenute rispetto al 2006, per la provincia anconetana il tasso di
disoccupazione è addirittura sceso dal 4% al 3,5%, valore presumibilmente non molto lontano
da quello fisiologico. Il tasso di disoccupazione della provincia dorica relativo al 2007 è
inferiore di quasi un punto percentuale rispetto a quello regionale (4,2) ed è quasi la metà di
quello nazionale (6,1%)
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6a Giornata dell’Economia – 9 maggio 2008
Rapporto 2007
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Tasso di disoccupazione nelle regioni italiane – Anno 2007
SICILIA
CAM PANIA
CALABRIA
PUGLIA
SARDEGNA
BASILICATA
M OLISE
LAZIO
ABRUZZO
ITALIA
LIGURIA
UM BRIA
TOSCANA
M ARCHE
PIEM ONTE
LOM BARDIA
FRIULI-VENEZIA GIULIA
VENETO
VALLE D'AOSTA
EM ILIA-ROM AGNA
TRENTINO-ALTO ADIGE
0,0
2,0
4,0
6,0
8,0
10,0
12,0
14,0
Fonte : elaborazioni su dati ISTAT
Pur positivo, il quadro del mercato del lavoro della provincia di Ancona conferma tuttavia
ancora ampio il divario tra uomini e donne. Anche su questo tema, però, la situazione della
provincia di Ancona è lievemente migliore rispetto a quella regionale e ancora di più rispetto a
quella nazionale, che presenta infatti un tasso di attività della popolazione maschile in età
lavorativa del 74,4%, mentre quello femminile è molto inferiore, attestandosi al 50,7%. Tale
divario si riduce di qualche punto percentuale nelle Marche e ancor di più nella provincia
dorica, dove il tasso di attività maschile è del 77,2% e quello femminile è del 59,9%.
L’accesso spesso problematico delle donne nel mondo del lavoro, oltre ad esprimersi attraverso
un’elevata quota femminile che non fa parte delle forze di lavoro, in quanto non alla ricerca di
un posto di lavoro, si manifesta anche attraverso un tasso di occupazione ancora molto inferiore
rispetto a quello maschile, che a livello nazionale è pari al 70,7%, mentre quello femminile al
46,6%. Anche in questo caso il contesto regionale e provinciale si segnalano per una maggiore
facilità di accesso delle donne: nella provincia di Ancona il tasso di occupazione femminile è
del 57,3% (sostanzialmente stabile rispetto al 2006), contro un tasso maschile del 75,0%.
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