i socialisti e la crisi dell`europa

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16 ■ CRITICAsociale
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■ ALCUNI RECENTI INTERVENTI DEI LEADER HELMUT SCHMIDT, FRANCOIS HOLLANDE, FELIPE GONZALEZ, ANDREA NAHLES
I SOCIALISTI E LA CRISI DELL’EUROPA
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci del
programma economico del neo presidente
socialista francese Francois Holland
FRANCOIS HOLLAND
“Voglio rilanciare la produzione, l’occupazione e crescita.
Creerò una banca pubblica di investimenti.
Attraverso i suoi fondi regionali, promuoverò
lo sviluppo delle PMI, il sostegno ai percorsi
futuri e la conversione ecologica ed energetica
dell’industria. Consentirò alle regioni fulcro
dell’economia nazionale di acquisire partecipazioni in società strategiche per lo sviluppo
locale e la competitività della Francia. Parte
dei fondi saranno indirizzati verso l’economia
sociale e la solidarietà.
Promuoverò la produzione e l’occupazione
in Francia, dirigendo i finanziamenti, gli aiuti
pubblici e gli sgravi fiscali alle aziende che investono nel nostro territorio, che vi localizzano le loro attività e che si rivolgono all’esportazione. A tal fine, modulerò la tassazione delle imprese locali sulla base degli investimenti
realizzati. In parallelo, mi impegnerò con le
imprese francesi di grandi dimensioni nell’opera di rilocalizzazione delle loro fabbriche
nell’ambito di un contratto specifico. Instaurerò, per le aziende che delocalizzano, il rimborso degli aiuti pubblici ricevuti. Verrà fatta
una distinzione tra gli utili reinvestiti e quelli
distribuiti agli azionisti. Metterò tre diverse
aliquote fiscali sulle società: 35% per le grandi, 30% per le piccole e medie imprese, 15%
per le molto piccole.
Voglio mettere le banche al servizio dell’economia.
Separerò le attività delle banche che sono
utili per gli investimenti e l’occupazione, dalla
loro azione speculativa. Proibirò alle banche
francesi di agire nei paradisi fiscali. Ciò metterà fine ai prodotti finanziari tossici che arricchiscono gli speculatori e minacciano l’economia. Eliminerò le stock options, ad eccezione
che per le start-up, e inquadrerò i bonus. Tasserò i profitti delle banche, aumentando l’imposizione del 15%. Proporrò l’istituzione di
una tassa su tutte le transazioni finanziarie,
nonché una agenzia pubblica europea di rating. Garantirò i risparmi della gente mediante
remunerazioni che tengano conto dell’inflazione e dell’evoluzione della crescita. Per abbassare le spese bancarie, una legge bloccherà
i costi di servizio applicati dalle banche. Per
combattere l’eccessivo indebitamento, il credito al consumo verrà inquadrato.
Voglio riequilibrare le finanze pubbliche.
Il deficit sarà ridotto al 3% del PIL nel 2013.
Ripristinerò l’equilibrio di bilancio alla fine
del mio mandato. Per raggiungere questo
obiettivo, ritornerò sulle agevolazioni fiscali e
le tante “scappatoie fiscali” accordate da dieci
anni alle famiglie più ricche e al grande business. Questa riforma di giustizia aggiungerà
29 miliardi di euro di entrate supplementari.
Una battuta d’arresto sarà portata al procedimento di revisione generale delle politiche
pubbliche e all’applicazione meccanica di non
sostituzione di un funzionario su due. A partire
dal 2012, aprirò un ciclo di consultazioni con
le organizzazioni sindacali della funzione pub-
blica su una serie di questioni: le prospettive
salariali; la lotta contro la insicurezza; le modalità di nomina delle posizioni apicali del servizio civile; lo sviluppo della carriera.
Voglio reindirizzare la costruzione Europea.
Proporrò ai nostri partner un patto di responsabilità, di governance e di crescita e per superare la spirale di austerità che aggrava la crisi. Rinegozierò il trattato europeo derivante
dall’accordo del 9 dicembre 2011, privilegiando la crescita e l’occupazione, e riorientando
il ruolo della Banca centrale europea in questa
direzione. Propongo di creare gli Eurobond.
Difenderò un’adesione piena dei parlamenti
nazionali a queste decisioni europee. Cinquanta anni dopo il trattato dell’Eliseo, proporrò al
nostro partner lo sviluppo di un nuovo trattato
franco-tedesco. Difenderò un bilancio UE
(2014-2020) al servizio dei grandi piani per il
futuro. Sosterrò la creazione di nuovi strumenti finanziari per lanciare innovativi programmi
industriali, in particolare nei settori della tecnologia verde e del trasporto merci su rotaia.
E collaborerò con i nostri partner per un’Europa dell’energia.
Vorrei anche proporre una nuova politica
commerciale per ostacolare qualsiasi forma di
concorrenza sleale e per impostare rigide regole di reciprocità in materia sociale e ambientale. Una contribuzione clima-énergia ai confini economici dell’Europa sarà complemento
di questa strategia. Agirò, nel quadro del G20,
per una parità più equilibrata dell’euro vis-àvis al dollaro e allo yuan cinese, proponendo
un nuovo ordine monetario internazionale.
Voglio impegnarmi in una grande riforma fiscale.
La contribuzione di tutti sarà resa più equa,
consentendo una grande riforma che permetterà la fusione dell’imposta sul reddito e della
CSG (tassa per l’assistenza pubblica che colpisce le rendite da patrimonio) nel quadro di
una procedura sui redditi. Una parte di questa
tassa sarà assegnata alle agenzie di sicurezza
sociale. I redditi da capitale saranno tassati come quelli da lavoro. Farò sì che il più ricco
contribuisca allo sforzo nazionale francese,
con la creazione di una tranche fiscale ulteriore del 45% per i redditi più elevati di 150.000
euro per azione. Inoltre, nessuno dovrà essere
in grado di usufruire di “scappatoie fiscali” al
di là di una somma di 10.000 euro di sgravio
per anno fiscale.
Manterrò tutte le risorse assegnate alla politica familiare. Aumenterò del 25% gli stanziamenti per il rientro scolare nel prossimo anno scolastico. Renderò il quoziente familiare
più equo, abbassando il massimale per le famiglie più agiate. Ritornerò sugli sgravi fiscali
istituiti dalla destra nel 201, ri-aumentando le
aliquote fiscali delle maggiori aziende. La riduzione sull’imposta di successione sarà portata a 100 000 euro per bambino e l’esenzione
per il coniuge superstite sarà mantenuta. Rafforzerò i mezzi per combattere l’evasione fiscale.
Voglio negoziare una nuova riforma delle
pensioni.
Farò in modo che tutti coloro che hanno 60
anni e che hanno pagato i loro contributi abbiano il pieno diritto di andare in pensione a
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tariffa intera per quella età: questo principio
sarà attuato immediatamente. Una trattativa
globale partirà nell’estate del 2012 con le parti
sociali per definire, in una maniera sostenibile
e finanziariamente equilibrata, l’età legale di
pensione, tenendo conto delle difficoltà, dell’importo delle pensioni e dell’evoluzione delle entrate necessarie per la sopravvivenza del
nostro sistema pensionistico e di solidarietà
sociale. Avvierò anche una riforma per accompagnare meglio la perdita di autonomia personale.
Voglio combattere la disoccupazione, che
colpisce soprattutto i giovani e gli anziani.
Proporrò un contratto generazionale per
consentire l’assunzione da parte delle imprese,
con contratto a tempo indeterminato, di giovani, accompagnati da un dipendente più esperto, che a sua volta potrà rimanere al lavoro fino al raggiungimento della sua età pensionabile. Questo “tutorato” manterrà il know-how
e integrerà, in maniera sostenibile, i giovani
nella vita professionale. Creerò 150.000 posti
di lavoro per facilitare l’integrazione dei giovani nel mondo del lavoro e per sostenere
l’opera delle associazioni, soprattutto nei quartieri. Ritornerò sulle defiscalizzazione e sulle
esenzioni fiscali sugli straordinari, ad eccezione che per le imprese molto piccole. Stabilirò,
in consultazione con le parti sociali, la formalizzazione dei percorsi di carriera, in modo che
ogni dipendente possa rimanere in azienda, o
avere accesso all’occupazione e alla formazione professionale. Finanziamenti per la formazione saranno concentrati sulle fasce più fragili, i meno istruiti e i disoccupati. Rafforzerò
i mezzi dei centri per l’impiego. Per evitare i
licenziamenti, ne alzeremo il costo per le
aziende che pagano dividendi o riscattano le
proprie azioni, e daremo l’opportunità agli
operai e agli impiegati che ne sono vittima di
rivolgersi a un tribunale nei casi di licenziamento palesemente contrari all’interesse dell’impresa. s
hower, Kennedy, Churchill, Jean Monnet,
Adenauer ,De Gaulle, De Gasperi e Henri Spaak) non hanno agito in base ad un idealismo
europeo, ma sono stati spinti dalla conoscenza
della storia del continente. Hanno agito in una
visione realistica, nella necessità di evitare la
continuazione della lotta tra la periferia e il
centro. Tutto questo è ancora un elemento portante per l’integrazione europea e chi non lo
ha compreso manca di un presupposto essenziale per la soluzione della crisi attuale in Europa.
Quanto più nel corso dagli anni 60 agli ‘80,
l’allora Repubblica Federale aumentava il proprio peso economico e politico, tanto più agli
occhi degli statisti dell’Europa occidentale
l’integrazione europea è apparsa come una polizza assicurativa. La resistenza iniziale di
Margaret Thatcher, Mitterand o Andreotti - era
il 1989/90 – contro l’unificazione tedesca era
chiaramente giustificata dal timore di una forte
Germania, al centro del piccolo continente europeo.
II. L’Unione europea è necessaria
De Gaulle e Pompidou negli anni ‘60 e fino
ai primi anni ‘70 hanno continuato l’integrazione europea, per integrare la Germania – ma
hanno anche voluto incorporare il proprio stato in meglio o in peggio. Dopo di che, la buona
intesa tra me e Giscard d’Estaing ha portato ad
cese, di una potente Germania e - più precisamente- di un Marco super potente.
Da quegli anni l’euro è diventato la seconda
valuta più importante nell’economia mondiale.
Questa moneta europea sia internamente che
nelle relazioni esterne è di gran lunga più stabile rispetto al dollaro americano – ed è stato
più stabile del marco nei suoi ultimi 10 anni.
Tutti parlano e straparlano di una presunta
“crisi dell’euro”, ma è un frivolo chiacchiericcio di giornalisti e politici.
A partire da Maastricht il mondo è cambiato
enormemente. Siamo stati testimoni della liberazione delle nazioni dell’Europa orientale
e l’implosione dell’Unione Sovietica. Stiamo
assistendo lo sviluppo prodigioso della Cina,
India, Brasile e altri “mercati emergenti” che
sono stati precedentemente chiamati “terzo
mondo”. Allo stesso tempo la parte reale delle
maggiori economie della terra, si è ”globalizzata: quasi tutti i paesi del mondo dipendono
l’uno dall’altro. E soprattutto è accaduto che
gli attori sui mercati finanziari globali abbiano
acquisito un potere del tutto incontrollato. Ma
al tempo stesso – e quasi inosservata – la razza
umana si è moltiplicata e ha superato i 7 miliardi di persone. Quando sono nato, ce n’erano appena 2 miliardi. Tutti questi cambiamenti
hanno un impatto enorme sui popoli d’Europa,
sui loro stati e le loro ricchezze.
D’altra parte tutte le nazioni europee stanno
HELMUT SCHMIDT
I. Motivazioni e origini dell’integrazione
europea
Anche se in alcuni dei 40 stati d’Europa, la
coscienza nazionale si è sviluppata tardi – come in Italia, Grecia e Germania – ci sonno
sempre state guerre sanguinose. E qui, nel
cuore del continente, questa tragica storia,
questa infinita serie di scontri fra centro e periferia è sempre stato il campo di battaglia decisivo.
E la memoria va alle due guerre mondiali
del ventesimo Secolo, perché l’occupazione
tedesca gioca ancora un ruolo dominante, anche se latente.
Quasi tutti i vicini della Germania – e anche
quasi tutti gli ebrei di tutto il mondo – ricordano l’Olocausto e le atrocità che sono avvenute durante l’occupazione tedesca nei paesi
periferici. Noi tedeschi non siamo sufficientemente consapevoli del fatto che probabilmente
quasi tutti i nostri vicini hanno ancora sfiducia
nei tedeschi: un fardello storico con il quale
dovranno convivere le nostre generazioni. E
non dimentichiamo che c’era sospetto circa lo
sviluppo futuro della Germania anche quando
nel 1950 ha avuto inizio l’integrazione europea.
Del resto questa si è realizzata in una visione realistica di sviluppo ritenuta possibile e allo stesso tempo per il timore di una futura forza tedesca. Non si trattava dell’idealismo di
Victor Hugo che pensava all’unificazione
dell’Europa nel 1849. Gli statisti poi leader in
Europa e in America (George Marshall, Eisen-
un periodo di cooperazione franco-tedesca e il
proseguimento dell’integrazione europea, un
periodo che è stato continuato con successo
dopo la primavera del 1990 tra Mitterrand e
Kohl. Allo stesso tempo, la Comunità europea
è gradualmente aumentata raggiungendo nel
1991 i 12 stati membri.
Grazie al lavoro di preparazione svolto da
Jacques Delors (allora presidente della Commissione europea), Mitterrand e Kohl a Maastricht hanno dato vita all l’Euro. La preoccupazione di fondo era, di nuovo sul fronte fran-
riducendo i loro cittadini. A metà del 21 ° Secolo sarà probabile che vivano anche 9 miliardi di persone sulla Terra, mentre le nazioni europee insieme costituiranno solo il 7% della
popolazione mondiale. 7% di 9 miliardi . Per
due secoli e fino al 1950, gli europei hanno
rappresentato più del 20% della popolazione
mondiale. Analogamente, l’Europa vedrà
scendere il proprio prodotto globale al 10%
dal 30 che era nel 1950.
Ognuna delle nazioni europee rappresenterà
nel 2050 solo una frazione pari all’1% della
popolazione mondiale. Vale a dire: se vogliamo sperare di avere un ruolo nel mondo, lo
possiamo avere solo congiuntamente. Quindi
gli interessi strategici a lungo termine degli
stati-nazione europei è nella loro fusione. Questo interesse strategico nella costruzione europea assume sempre maggiore importanza. Anche se la maggior parte degli abitanti non ne è
ancora consapevole e i governi non ne parlano.
Quindi se non si farà una vera ‘Unione europea nei prossimi decenni ciò significherebbe
un’auto marginalizzazione dei singoli Stati del
continente e della civiltà europea nel suo complesso. Potrebbe anche accadere. Né si può
escludere che in questa situazione riemerga la
concorrenza e la lotta per il prestigio tra i diversi Paesi . Il vecchio gioco tra centro e periferia potrebbe tornare ad essere una realtà.
Il processo di educazione globale, la diffusione dei diritti individuali e della dignità umana, lo stato di diritto e la costituzione della democratizzazione dell’Europa non potrebbe
avere uno stimolo più efficace. Sotto questi
aspetti, la Comunità europea è una necessità
vitale per gli stati del nostro vecchio continente. Questa esigenza si estende oltre le ragioni
di Churchill e de Gaulle. Si estende ben oltre
le motivazioni di Monnet e Adenauer .
Io aggiungo: certo ma occorre una reale integrazione della Germania. Quindi dobbiamo
chiarirci le idee circa la nostra missione tedesca, il nostro ruolo nel contesto dell’integrazione europea.
III. La Germania ha la continuità e l’affidabilità necessarie
Se alla fine del 2011 si guarda dal di fuori
della Germania attraverso gli occhi dei nostri
vicini diretti e indiretti, emergono notevoli
dubbi e si dissolve l’immagine di una Germania poi dalla Germania dal cammino sicuro:
emergono ombre sulla continuità della politica
tedesca . E la fiducia nella affidabilità della politica del Paese è sempre meno netta.
Qui i dubbi ei timori sono basati sugli errori
della politica estera e dei governi. Essi si basano in parte sulla forza sorprendente del mondo economico della Repubblica federale unita.
La nostra economia è tecnologicamente e socialmente una delle più potenti del mondo. La
nostra forza economica e la nostra pace sociale
relativamente stabile, hanno anche innescato
invidia – soprattutto per il tasso di disoccupazione inferiore e il rapporto tra debito e Pil tra
i migliori.
Tuttavia politici e cittadini non sono sufficientemente consapevoli del fatto che la nostra
economia è altamente integrata sia con il mercato comune europeo e sia con l’economia
globalizzata. Al tempo stesso, però, questo può
portare a un grave squilibrio: il nostro surplus
commerciale è enorme, per anni le eccedenze
hanno costituito circa il 5% del Pil. Sono cifre
simili a quelle della Cina, anche se la cosa non
emerge con chiarezza per via della sostituzione del marco con l’Euro. Ma sembra che i nostri politici non siano a conoscenza di questo
fatto. Le nostre eccedenze sono in realtà i deficit di altri. Le affermazioni che abbiamo sentito sugli altri, sui loro debiti sono fastidiose
violazioni di un ideale equilibrio esterno. Non
solo questa disturba i nostri partner , ma solleva sospetti ed evoca brutti ricordi.
In questa crisi economica nella reazione delle istituzioni dell’Unione europea, la Germania ha avuto ancora una volta in un ruolo centrale. Insieme con il presidente francese, il
Cancelliere ha accettato volentieri questo ruolo. Ma ci sono molte capitali europee in cui sta
crescendo una preoccupazione crescente di
una dominazione tedesca che per ora si esprime nei media. Questa volta non si tratta di potenza militare e politica, ma economica.
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A questo punto, è necessario un promemoria
per i politici tedeschi, per i media e la nostra
opinione pubblica.
Noi tedeschi di sinistra non dobbiamo farci
prendere da illusioni o arci confondere da cortine fumogene: se la Germania tenterà di essere
il primus inter pares nella politica europea, una
crescente percentuale dei nostri vicini penserà
di doversi difendere efficacemente da questo
tentativo di primato. Tornerebbe la preoccupazione della periferia per un centro troppo forte.
E le probabili conseguenze di un tale sviluppo
sarebbero paralizzanti per l’UE, mentre la Germania cadrebbe nell’isolamento. In fondo abbiamo bisogno di proteggerci da noi stessi.
Quindi nel processo di integrazione europea
bisogna partire dall’articolo 23 della Costituzione che impone di di partecipare allo sviluppo dell’Unione Europea. E nell’articolo 23 ci
si impegna anche al “principio di sussidiarietà”. L’attuale crisi del funzionamento delle istituzioni dell’UE non cambia questi principi.
La nostra posizione geopolitica centrale, in
fondo una sfortuna fino alla metà del 20 ° Secolo, richiede un alto grado di empatia per gli
interessi dei nostri partner europei. E la nostra
volontà di aiuto sarà fondamentale.
Noi tedeschi abbiamo ricostruito la nostra
grande potenza, lo abbiamo fatto, certo da soli,
ma tutto questo non sarebbe stato possibile
senza l’aiuto delle potenze occidentali, senza
la nostra integrazione nella Comunità europea,
senza l’aiuto dei nostri vicini, senza gli sconvolgimenti politici in Europa Centro-Orientale
seguiti alla dissoluzione dell’Urss. Abbiamo
molti motivi di essere grati. E abbiamo il dovere di dimostrarci degni della solidarietà ricevuta.
Al contrario, la ricerca di un esclusivo ruolo
e prestigio nella politica mondiale sarebbe inutile e probabilmente anche dannoso. Sono convinto che è negli interessi strategici a lungo termine della Germania, non isolarsi. Un isolamento all’interno dell’Occidente sarebbe pericoloso. Un isolamento all’interno dell’Unione
europea o della zona euro sarebbe catastrofico.
I politici e i media tedeschi hanno il dovere
e l’obbligo di difendere questo punto di vista
e di sostenerlo presso l’opinione pubblica.
Ma se qualcuno ci dice o ci fa capire che il
futuro d’Europa parla tedesco. Se un ministro
degli esteri tedesco ritiene che le apparizioni
in Tv mentre è a Tripoli, al Cairo o a Kabul
siano più importanti dei contatti politici con
Lisbona, Madrid e Varsavia o Praga, con Dublino, L’Aia, Copenaghen ed Helsinki e se un
altro pensa di dover impedire trasferimenti di
un po’ di sovranità all’Unione, beh tutto questo è solo dannoso.
In realtà, la Germania è stata un contributore
netto per molti decenni fin dal tempo di Adenauer . E, naturalmente, Grecia, Portogallo e
Irlanda sono sempre stati beneficiari netti. Lo
abbiamo fatto a lungo e possiamo permettercelo. Il principio si sussidiarietà, anche contrattualmente richiesto da Lisbona prevede che
che l’Unione faccia ciò che uno stato da solo
non può fare.
Konrad Adenauer, a partire dal Piano Schumann, ha tentato di correggere istinti politici
e resistenze perché sapeva che l’interesse strategico a lungo termine era questo, anche nel
quadro della divisione permanente della Germania. E tutti i successori – compreso Brandt,
io stesso, Kohl e Schröder – hanno continuato
la politica di integrazione concepita da Adenauer.
IV. La situazione attuale richiede l’energia dell’UE
Non possiamo in questo momento anticipare un futuro lontano. Correzioni a Maastricht
potrebbero solo in parte eliminare errori ed
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omisioni, così come mi sembrano inutili le
proposte di modificare l’attuale trattato di Lisbona che comunque dovrebbe passare attraverso il vaglio di referendum nazionali. Sono
quindi d’accordo con il Presidente della Repubblica Italiana, Napolitano, quando ha detto
alla fine di ottobre in un discorso straordinario,
che oggi abbiamo bisogno di concentrarsi su
ciò che è necessario fare oggi. E che abbiamo
bisogno di sfruttare le opportunità che l’attuale
trattato UE ci dà – in particolare il rafforzamento delle regole di bilancio e politiche economiche nell’area dell’euro.
Con l’eccezione della Banca centrale europea, le istituzioni – il Parlamento europeo, il
Consiglio europeo, la Commissione di Bruxelles e il Consiglio dei ministri – hanno concluso
loghi socialisti, liberali e verdi, insieme, portiate all’attenzione del pubblico i problemi veri
e drammatici. Mostrare che alcune migliaia di
persone che operano nella finanza negli Stati
Uniti e in Europa, più alcune agenzie di rating
hanno preso in ostaggio i governi d’ Europa.
E ‘improbabile che Barack Obama farà molto.
Lo stesso vale per il governo britannico. I governi del mondo nel 2008/2009, hanno salvato
le banche, ma dal 2010, il branco di finanzieri
ha ripreso a svolgere il vecchio gioco di nuovo
con profitti e bonus. Una scommessa a spese
di tutti i non-giocatori.
Se nessun altro vuole agire, allora l’eurozona devono agire in valuta euro. Questo è il modo di interpretare l’articolo 20 del trattato UE
di Lisbona. Vi è espressamente previsto che
essere in una zona di stabilità. Almeno a medio
termine. Ma se falliamo qui, allora il peso
dell’Europa continuerà a diminuire mentre il
mondo si sta evolvendo verso un duumvirato
tra Washington e Pechino.
Per l’immediato futuro della zona euro continuano ad essere necessari, e certamente tutti
i passi precedentemente annunciati. Questi includono il fondo di salvataggio, i limiti del debito e il loro controllo, una politica economica
e fiscale comune per avere una estensione di
ogni politica fiscale nazionale, la politica della
spesa, politiche sociali e le riforme del mercato del lavoro. Ma un debito comune sarà inevitabile. Noi tedeschi non possiamo rifugiarci
in una posizione nazional egoistica.
Ma non dobbiamo propagare in tutta Europa
una politica di deflazione estrema. Occorre avviare progetti e per finanziare la crescita e il
miglioramento. Senza crescita, senza lavoro,
nessuno Stato può ristrutturare il proprio bilancio. Chi crede che l’Europa possa essere maestra solo nel risparmio, dovrebbe leggere qualcosa sull’impatto fatale della politica deflazionista attuata da Heinrich Brüning nel 1930/32.
Ha innescato una depressione e un livello intollerabile di disoccupazione e pertanto avviato
alla caduta la prima democrazia tedesca.
V. Ai miei amici
Infine, cari amici. La socialdemocrazia tedesca è stata per mezzo secolo internazionalista, abbiamo lottato per mantenere la libertà e
la dignità di ogni essere umano. Abbiamo inoltre creduto nella rappresentanza della democrazia parlamentare. Questi valori ci impegnano oggi per la solidarietà europea.
Certamente l’Europa è formata anche nel
21° Secolo da Stati-nazione, ognuno con una
propria lingua e con la propria storia. Pertanto,
non è certamente facile trasformare l’Europa
in un Unione federale. Ma l’UE non deve degenerare in una semplice confederazione di
stati, deve rimanere una rete che si evolve in
modo dinamico. Noi socialdemocratici dobbiamo contribuire al dispiegamento graduale
di questo progetto.
Più si invecchia, più si pensa a lunghissimo
termine. Anche da vecchio ho ancora stretti fra
le mani i tre valori fondamentali del Programma Godesberg: libertà, giustizia, solidarietà. E
credo che la giustizia richieda oggi pari opportunità le nuove generazioni.
Quando mi trovo a guardare indietro, agli
anni bui dal 1933 al 1945 , i progressi che abbiamo realizzato sembrano quasi incredibili.
Cerchiamo quindi di lavorare e di combattere,
perché l’Unione europea che storicamente è
senza precedenti , esca dalla sua attuale debolezza. Dobbiamo essere chiari e fiduciosi. s
poco nel superare la grave crisi bancaria del
2008 e soprattutto l’attuale a crisi del debito.
Per superare l’attuale crisi di leadership dell’Unione Europea, non esiste una panacea. Si
richiedono diversi passaggi, a volte contemporanei a volte successivi e ciò richiederà
energia e pazienza. E il contributo tedesco non
potrà essere limitato a slogan per il mercato televisivo.
In un punto importante sono d’accordo con
Jurgen Habermas, che ha recentemente affermato che – cito testualmente – “… Abbiamo
fatto l’esperienza per la prima volta nella storia
dell’Unione europea di un degrado della democrazia”. Infatti: non solo il Consiglio europeo,
compreso il suo presidente, proprio come la
Commissione europea, compreso il suo presidente e i vari Consigli dei ministri e tutta la burocrazia di Bruxelles hanno congiuntamente
messo da parte il principio democratico.
Perciò mi appello a Martin Schulz: E ‘ora
che voi e i vostri democristiani, i vostri omo-
uno o più Stati membri dell’Unione europea
“… instaurarino una cooperazione rafforzata
tra di loro.” In ogni caso, i paesi della zona euro devono mettere in atto regolamenti finanziari comuni. Dalla separazione tra normali
banche commerciali e di banche di investimento, al divieto di effettuare vendite allo scoperto di titoli in una data futura, dall’ impedire
il commercio di prodotti derivati, se non sono
approvati ufficialmente dalla Securities and
Exchange Commission –fino a un sistema di
ritenute efficaci su determinate operazioni finanziarie. Non voglio infastidirvi, onorevoli
deputati, con ulteriori dettagli.
Naturalmente, la lobby bancaria globalizzata, si è già messa in moto per ostacolare tutto
questo ed evitare regolamentazioni comuni. I
governi europei sono stati costretti a dover inventare nuovi “paracadute”. E ora di difendersi contro di essa. Quando gli europei avranno
il coraggio di applicare una nuova regolamentazione ai mercati finanziari, allora potremo
Traduzione curata da Paolo Borioni
Traduzione pressoché integrale
FELIPE GONZÁLEZ
Le riforme che la sinistra deve realizzare
Quarto anno di crisi e la prospettiva ci spinge a pensare al famoso decennio perduto
dell’America Latina, negli anni ‘80 del secolo
scorso. A questi livelli, si tende a dimenticare
che l’origine di tutto fu l’implosione di un sistema finanziario sregolato, colmo d’ingegneria finanziaria carica di presunzione, senza alcun rapporto con l’economia produttiva. Tutto
ciò causò una recessione mondiale dell’economia reale, particolarmente grave nei Paesi centrali, epicentro di questo assurdo sistema.
Oggi, si affronta la situazione dell’enorme
debito derivante dalla crisi finanziaria come
un problema di solvibilità, che in realtà non
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esiste, benché la cosa più grave sia la mancanza di liquidità e di crescita economica generatrice di lavoro. Grave errore di strategia, in
particolare nella zona Euro, che può contrarre
drammaticamente l’economia e aggravare la
crisi di debito, oltre a farci dimenticare le cause originarie e quindi, non permettere di agire
su di esse. Questo approccio, sta mettendo in
dubbio la coesione sociale che ha definito
l’epoca della ricostruzione e dello sviluppo
dell’Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.
È tutto un gran paradosso: il trionfante modello del neoconservatorismo sregolatore inizia negli anni ’80 del XX secolo e domina la
scena della globalizzazione fino al botto del
2008. In risposta, la stessa corrente ideologica,
oggi maggioritaria in Europa, si dimentica dell’origine della crisi e concentra la risposta sulle conseguenze della stessa. Le forze rappresentative del centro-sinistra progressista si
sentono abbandonate e sulla difensiva nell’Unione Europea e perseguitate dalle pressioni della destra più estrema negli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, cresce il nazionalismo
antieuropeista, il virus distruttore d’Europa del
XX secolo. Ed ecco di nuovo il paradosso: le
proposte di amministrazione economica europea, imprescindibili affinché funzioni l’Unione Monetaria, fanno accelerare gli impulsi nazionalisti in tutti gli angoli d’Europa. Una miscela esplosiva che comporta maggiore confusione nel dibattito d’idee, rendendo inermi i
governi di fronte all’egemonia dei ‘mercati’.
In tali circostanze, abbiamo bisogno, come
non mai, di una risposta social-democratica ed
europeista, che arrivi da un pensiero rinnovato,
in grado di comprendere le implicazioni del
cambiamento civilizzatore che viviamo a livello globale. Risposte che non si pongano
semplicemente in difesa di ciò che si è ottenuto finora in quel modello che Lula ha definito
“patrimonio democratico dell’umanità”, per
non rischiare di cadere nella denuncia senza
alternativa del pensiero neoconservatore che
ci condusse alla crisi.
L’Europa non possiede un altro cammino
verso la globalizzazione che non sia “più Europa”, e in particolare più sovranità condivisa
per poter avanzare nell’amministrazione economica dell’Unione e nella sua importante
proiezione verso l’esterno. Questo impulso dovrebbe escludere dalla nostra agenda le tentazioni nazionaliste e protezioniste, che ricercano reddito politico a breve termine.
Ma questa proposta di “più Europa” non
può e non deve essere originata da una strategia sbagliata come quella che domina la realtà
attuale, che provoca sconforto di fronte alla
contrazione dell’economia, all’aumento della
disoccupazione, alla liquidazione delle reti di
coesione e solidarietà. Si richiedono sacrifici
reali e si offrono speranze incerte. È l’occasione per una possibilità rinnovata social-democratica ed europeista.
Abbiamo bisogno di riordinare i conti pubblici, di controllare gli esorbitanti deficit e
l’aumento del debito. Ma non necessitiamo di
una terapia brutale che dimentichi l’esigenza
di crescita e di generazione del lavoro. Abbiamo un problema di debito, ma non di solvibilità. Servono liquidità affinché il credito arrivi
all’economia produttiva e generi crescita e lavoro. Possiamo e dobbiamo attivare la Banca
e il Fondo Europeo d’Investimento, invitando
coloro che vogliono parteciparvi con i loro risparmi in eccesso - come nel caso della Cina
e di altri Paesi emergenti – in un grande fondo
che serva ad investire in infrastrutture energetiche, di rete, in autostrade del mare..., che diano impulso alla modernizzazione e alla crescita, generando lavoro in Europa.
Ma non dobbiamo dimenticare l’origine della crisi. L’abilità neo-conservatrice, quella de-
gli attori finanziari, delle agenzie di rating,
consiste nel farci dimenticare le correzioni di
base che necessita il modello di economia finanziaria senza regolazioni e piena di presunzione che ci ha condotti alla castrofe. I governi
sono condizionati in maniera ossessiva dai
“premi di rischio”, dalle valutazioni – senza
alcuna legittimità, né di origine né di esercizio-, schiacciati giorno dopo giorno da una
sorta di lotta per la sopravvivenza, che non
permette loro di affrontare le cause di fondo
della situazione attuale.
Non si raggiunge nemmeno il consenso minimo per imporre una tassa sulle transazioni
finanziarie. La resistenza non è dovuta agli effetti di riscossione di tale tassa, ma piuttosto
agli effetti regolatori che permetterebbero di
gioritaria di sinistra, che includa il centro dello
spettro sociale e politico, tutti, i giovani e gli
adulti, dobbiamo utilizzare i nostri valori per
applicarli alla nuova realtà. Noi socialisti spagnoli, lo facemmo negli anni ’80, prima che
altri parlassero della “terza via” della socialdemocrazia. La società ci capì e ci appoggiò.
Ancora una volta devo ricordare che la sinistra non può commettere l’errore di confondere gli strumenti con i fini, né l’ideologia con
la veste delle idee inconsistenti che usiamo per
difenderci. E, in ogni epoca storica, bisogna
saper rinnovare le idee e gli strumenti per essere fedeli ai valori che ci motivano: la solidarietà e la libertà. s
Felipe Gonzàlez
Primo ministro spagnolo dall’82 al ’96
importante attualmente é l’Europa, la stabilità
dei mercati finanziari in Europa, i posti di lavoro in tutti i paesi dell’Europa,le opportunità
per i giovani in Europa, ed è corretto affermare
che noi saremmo disposti a impegnarci per un
anno per una soluzione buona e professionale/competente nel Bundestag e che l’SPD non
si tirerebbe indietro per trovare una soluzione
per l’Europa; questa è la nostra linea principale. Non significa però che siamo soddisfatti
della gestione della crisi della Sig.ra Merkel,
che agisce solo in vista delle due settimane a
venire e poi non si sa come si andrá avanti. Al
momento accade che le persone si sentono
sempre piú insicure ogni volta che viene annunciato un nuovo vertice; la situazione è
molto preoccupante, ma noi siamo disposti a
tendere la mano dove è necessario per raggiungere una maggiore stabilità in Europa”.
All’inzio l’opinione tra economisti conservatori e liberali era quella di respingere fortemente l’idea degli Eurobond, ora peró si fa
avanti un esperto dopo l’altro che si dichiara
a favore, dicendo che potrebbe essere una o
addirittura l’unica soluzione. Forse tu ci potresti spiegare quale sia il vantaggio e lo scopo degli Eurobonds?
controllare i movimenti speculativi di breve e
brevissimo termine, che colpiscono in modo
drammatico il valore delle imprese e sconvolgono il funzionamento normale dell’economia
reale.
E la sinistra deve proporre, senza timore, le
riforme strutturali necessarie per avanzare verso un’economia altamente competitiva, che
premi la produttività oraria del lavoro, l’eccellenza del prodotto finale, l’innovazione e lo
spirito imprenditoriale. Un modello sostenibile
dal punto di vista economico e medioambientale, per competere in un’economia globalizzata che ci sta emarginando.
Solo così potremo raggiungere il valore sufficiente per difendere, sull’offensiva, la coesione sociale che ci identifica, migliorando il
sistema sanitario pubblico, l’educazione e la
formazione professionale di qualità, arrivando
a tutti, uniformando le opportunità e competendo in maniera vantaggiosa.
Se vogliamo che ci sia un’alternativa mag-
ANDREA NAHLES
Andrea Nahles è esponente dal 1988 del
Partito Socialdemocratico Tedesco, leader dal
1995 al 1999 del suo movimento giovanile
(Jusos), ne ricopre dal 13 novembre 2009 la
carica diSegretario Generale. L’Intervista ad
Andrea Nahles ripresa dal blog della SPD.
La discussione sulla crisi finanziaria è al
momento sulla bocca di tutti e sembra quasi
che la Merkel adotti gli argomenti e le idee politiche dell’ SPD. Perché il partito SPD sta costantemente fornendo degli argomenti che salvano il “di dietro” di Angela Merkel, per usare un linguaggio informale?
“La questione al momento non riguarda né
la Merkel né i vantaggi strategici che potremmo trarre per le prossime elezioni politiche,
che peraltro sono ancora lontane. La cosa più
“La situazione attuale è che i paesi che hanno già difficoltà stanno pagando interessi sempre più alti per i crediti che contraggono dai
mercati finanziarie questo genera nuovi problemi. Finché esisteranno molteplici/diversi
prestiti statali, ci sará sempre speculazione e
alla fine la crisi continuerá solo ad aggravarsi.
Abbiamo visto un vertice d’emergenza dopo
l’altro senza che ne sia uscita una soluzione
valida; questo sta sgretolando la fiducia dei
cittadini, sopratutto in Germania. Per questo
motivo sarebbe importante ora che si agisse
uniti, che ci fosse un’azione congiunta. “Eurobond” significa semplicemente che tutti i
paesi pagano gli stessi tassi di interesse. E questo è il vero grande vantaggio: si mette fine alle speculazioni, si crea maggiore sicurezza per
la pianificazione dei paesi che si trovano in
difficoltà, ma anche per quelli che sono attualmente ancora forti, ma che potrebbero ancora
essere trascinati nella spirale, come ad esempio Francia e Germania.
Significa cioè portare più sicurezza nella
pianificazione e maggiore stabilitá per tutti,
tassi di interessi più bassi per i paesi piú deboli
senza, a mio parere, aumentare i tassi per i cittadini tedeschi. Alla fine sarebbe una soluzione buona e sicura.
Il problema che viene avvertito da alcuni è
che i paesi a cui vengono imposti tassi inferiori
attraverso gli Eurobond potrebbero fraintendere la situazione come carta bianca per fare
nuovi debiti. Io credo che sia possibile prevenire questo comportamento; l’SPD propone
che vengano emanate direttive volte ad impedire un tale comportamento.
Sono inoltre convinta che si siano resi conto
in Italia, in Spagna e ovunque che sia necessario agire in modo responsabile, perchè noi
tutti ci troveremmo nei pasticci se non lavorassimo insieme. Gli Eurobond ci porteranno
il progresso necessario. Il ministro delle finanze Rösler si rifiuta con tutta la forza, l’intero
FDP si rifiuta, ci sono delle liti nel Bundestag,
ma adesso è davvero arrivato il momento in
cui la Cancelliera si mostri determinata e prenda le sue decisioni con saggezza, per il nostro
futuro. Gli Eurobond verranno introdotti,la
questione di quando accadrá in Europa dipende dalla Merkel, e io posso solo consigliare
che ciò accada il più presto possibile perchè
altrimenti vedremo un inasprimento della crisi
invece di un sollievo”.
20 ■ CRITICAsociale
Ma anche in casa CDU si alzano voci critiche.
Mentre la giovane segretaria generale della
SPD trova controproducente per la stessa Germania la politica da borgomastro della Merkel,
a poche ore dall’incontro parigino con Sarkozy, anche in casa CDU si alzano voci critiche.
Johann Wadephul, parlamentare dei Cristiano
democratici (Cdu), aveva affermato di nonconsiderare gli eurobond “opera del diavolo”.
A sua volta, Armin Laschet, membro del board
esecutivo del partito della Merkel, aveva chiesto un dibattito aperto sulla questione. Infine,
l’europarlamentare conservatore, Burkhard
Balz, aveva definito ingiustificabile il categorico rifiuto opposto agli eurbond da molti suoi
colleghi di partito e di coalizione.
I critici della Merkel insistono perché si impegni con maggiore energia per ricostruire la
fiducia dei mercati nell’euro e placare i venti
di crisi che scuotono il Vecchio Continente. Le
rimproverano insomma una mancanza di leadership. “La Merkel prima tasta gli umori
dell’opinione pubblica, poi agisce”, nota Irwin
Collier, professore di Economia all’Università
Libera di Berlino. “Come la gran parte dei leader europei, la Cancelliera sta seguendo le impressioni e le paure della pubblica opinione
nazionale e dei suoi colleghi in parlamento e
nell’esecutivo. Dovrebbe invece dirigerli.
Consideriamo per un attimo il peso della Germania e la sua enorme influenza nella Ue; è
chiaro che se Berlino (come sembra in queste
settimane) decide di allontanarsi dal progetto
europeo, le fondamenta stesse dell’Unione rischiano il tracollo”, aggiunge Charles A. Kupchan, professore di Relazioni Internazionali alla Georgetown University. “La Merkel deve
bilanciare le responsabilità tedesche verso il
resto d’Europa con le esigenze domestiche, e
lo deve fare con grande attenzione”, avverte
Jan Techau, direttore di Carnegie Europe,
think tank con sede a Bruxelles. Impressioni
raccolte da Judy Dempsey e Nicholas Kulish,
che per l’International Herald Tribune (Iht)
indagano le dinamiche interne di un Paese, la
Germania, chiamato nei mesi a venire a dare
un contributo fondamentale per la salvaguar-
3-4 / 2012
dia dell’eurozona. Ne avrà la volontà?
Per certo, nell’estate tedesca non si vivono
le tensioni registrate altrove e questo spiega,
in parte, la cautela che la Merkel mostra a
fronte del senso di urgenza avvertito da molti
in Europa. La Germania è l’unica nazione europea in grado di “coprire” il debito dei suoi
pericolanti vicini, ma i suoi cittadini sono riluttanti a pagare per il salvataggio delle economie di altri Stati. Mentre le piazze greche,
spagnole e persino britanniche sono in subbuglio e in gran parte del Continente (Italia in testa) si propongono dure misure di austerità, a
Berlino si discute di tagli fiscali.
Contraddizioni e incongruenze che fanno sì
che la Merkel si trovi tra due fuochi. Da un lato,
le sollecitazioni esterne di coloro che, in Europa
e nel mondo, la accusano di bloccare incisive
misure anti-crisi (come gli eurobond) e di mettere così a rischio la stabilità finanziaria internazionale e la stessa sopravvivenza dell’eurozona; dall’altro, le pressioni interne di buona
parte delle forze politiche e sociali tedesche, che
non vogliono pagare un prezzo eccessivo per il
salvataggio dei vicini in difficoltà.
Evidentemente, le pressioni contrastanti a
cui è sottoposta devono avere indotto la Cancelliera all’attendismo, notano i commentatori
del Iht, ma è altrettanto evidente che, proseguono, più la Merkel tarderà a prendere una
decisione netta sulla questione e più la sua leadership verrà fiaccata, sia dagli sbandamenti
della sua coalizione di governo che dagli scricchiolii di un’Europa sempre più fragile.
Berlino negli ultimi tempi ha rimarcato la
sua posizione di contrarietà agli eurobond. Sia
la Merkel che il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble lo hanno ripetuto ufficialmente. Inoltre, i liberali, partner di coalizione dei
cristiano democratici, non perdono occasione
per minacciare la loro uscita dal governo nel
caso in cui la Cancelliera desse il suo assenso
all’emissione degli eurobond. A poco erano sinora servite le prese di posizione di diverse autorevoli personalità europee,convinte dell’efficacia degli eurobond come strumento di difesa dagli attacchi speculativi diretti contro i
paesi a elevato debito. Oltre a Giuliano Amato
e a Giulio Tremonti, si sono infatti espressi in
tal senso il presidente dell’Eurogruppo, JeanClaude Juncker e il commissario Ue per gli
Affari Economici e Monetari, Olli Rehn.
E’ lecito attendersi un segnale della disponibilità tedesca ad assumersi le proprie responsabilità davanti alla crisi che investe l’Europa?
Presto per dirlo. Tuttavia, i sorprendenti dati
Eurostat sulla stagnazione dell’economia tedesca nell’ultimo trimestre e i crescenti dissensi interni sulla linea dat enere rispetto agli
eurobond dovrebbero far riflettere la coalizione giallo-nera che regge il Paese. La Germania
ha tutto l’interesse, quantomeno nel lungo periodo, a impedire che l’architettura finanziaria
europea crolli. Le ripercussioni economiche e
politiche per l’Occidente tutto sarebbero devastanti. I socialdemocratici tedeschi ne hanno
preso atto e la stessa convinzione va diffondendosi nella Cdu. Aldilà della resistenza
ideologica del junior partner liberale, gli umori
della coalizione che regge il governo della
Merkel stanno lentamente cambiando in senso
favorevole agli eurobond. La Cancelliera dovrà tenerne conto. L’Europa attende. s
(A cura di Fabio Lucchini)
■ I CONTI CONTRADDICONO LE DICHIARAZIONI PUBBLICHE
EURO, PREAVVISO DI SFRATTO?
Marco Della Luna
I
l FMI ha ultimamente pubblicato
numeri che danno la certezza matematica che l’Italia non può essere risanata e portata nei parametri dell’Eurosistema: è vero che dal 2008 al 2017 sarà leader
nell’avanzo primario, ma questo conta ben poco rispetto al fatto che il suo pil, in quel periodo, calerà dell’1,7%, mentre quello USA aumenterà del 20,3, quello francese del 10, quello
tedesco dell’8,8, quello cinese del 116. Il rapporto debito/pil italiano peggiora del 13,2%.
Ciò basta a porre l’Italia fuori del circolo dei
paesi del Primo Mondo (già nella precedente
fase di crescita era rimasta indietro di molti
punti dall’Eurozona e dall’America) e ad
escludere che possa rispettare il Fiscal Compact (riduzione del 20% all’anno della quota
di debito pubblico eccedente il 60% del pil).
Quindi, a breve termine, l’Italia sarà o fuori
dall’Euro, oppure governata direttamente dai
finanzieri del Meccanismo Europeo di Stabilità, cioè di Berlino, con costi, reazioni sociali,
controreazioni repressive, potenzialmente
estremi. Anche in Spagna e Grecia le ricette
“europee” (cioè quelle dettate dalla Germania
a tutela del suo c.d. “modello economico renano”), stanno portando l’economia al disastro. E continuano a venire imposte.
Le richieste di tasse e sacrifici da parte di un
governo sono legittime se il governo dimostra
che sono necessarie e idonee a un programma
realistico e utile al paese. Quelle del governo
Monti non sono necessarie, perché il governo
dovrebbe prima tagliare spese pubbliche parassitarie e gonfiate, e non lo fa; non sono idonee, perché, conti alla mano, non risolvono la
crisi ma paiono aggravarla con l’avvitamento
fiscale; inoltre non rientrano in un programma
di interesse nazionale, anzi non si capisce
nemmeno che fine stia perseguendo il governo, date le grandezze sopra riportate.
I tagli previsti alla spesa pubblica indebita per
beni e servizi sono di 4,2 miliardi su un totale
di 147, quindi è chiaro che non si liberano risorse per investimenti produttivi né per alleggerimenti fiscali, ma rimane intatto il sistema
di produzione di consenso e profitto partitico e
mafioso mediante scialo e appalti gonfiati. Item
per le opere pubbliche, sistematicamente gonfiate. E per la spesa per un personale elefantiaco
e poco efficiente. Tagliare la spesa pubblica parassitaria significherebbe peraltro eliminare
quel sistema e i suoi titolari, e ciò è impossibile
per un governo che dipenda dai partiti.
Dato quanto sopra, ciò a cui sta lavorando il
governo e chi lo appoggia, con tanti tagli e tan-
te tasse, non è, non può essere, un piano di risanamento e rilancio del paese, che essi sanno
benissimo essere irrealizzabile; dunque è un
piano con un fine diverso.
Probabilmente è un piano di liquidazione
del paese (ossia di raccolta e distribuzione tra
potentati esterni ed esterni dei valori in esso
presenti: risparmio, proprietà private e pubbliche) e al contempo di sua collocazione, in posizione subalterna, entro una nuova architettura “europea” di poteri reali e formali, con un
ampio haircut dei diritti e delle garanzie civili,
politici, fiscali, sindacali; e con forte compressione fiscale e bancaria delle piccole imprese
italiana, onde far posto nel mercato italiano ad
imprese straniere.
Remunerando l’appoggio parlamentare dei
partiti politici con la conservazione dei loro
privilegi e feudi, si tiene insieme il paese per
il tempo necessario a liquidare i suoi assets e
a completare il lavoro di ingegneria sociale.
Poi, quando il paese salta, lo si fa cadere in una
gabbia appositamente predisposta. Questo mi
pare lo scenario più verosimile, anche se spero
di sbagliarmi.
In tale scenario, è ovvio che i cittadini ritengano che le tasse siano non solo eccessive, ma
anche contrarie agli interessi della nazione,
perché esse vanno a sostenere un’operazione
di quel tipo. Se uscire dall’Eurosistema è inevitabile, tanto vale uscire al più presto, prima
che il processo di demolizione dell’economia
nazionale produca ulteriori danni, e con ancora
qualche soldo in tasca. Se ci lasciamo portar
via le ultime risorse, dopo saremo in balia del
capitale dominante sostanzialmente tedesco,
mentre anticipando i tempi potremmo ripartire
i danni con i paesi amici. Il popolo e le imprese hanno quindi interesse ad attivarsi per sventare il disegno di liquidazione del paese, rovesciando il tavolo. E a ricordare alla Germania
che il Nazismo e la II GM sono conseguenza
dell’austerità imposta ad essa stessa per il pagamento dei suoi debiti.
In ogni caso, conviene prepararsi a un cambiamento valutario, quindi alla probabilità che
i depositi bancari e gli altri crediti denominati
in Euro siano convertiti in Lire o altra valuta,
con una forte svalutazione rispetto all’Euro e
con una perdita di potere d’acquisto. Contromisure preventive, oltre all’emigrazione, sono
a)spostare i depositi in un idoneo paese estero
(Svizzera, per esempio); b)convertire i depositi da Euro a valute forti, con scarso debito
pubblico; c)investire in valori sganciati dalla
valuta italiana. s
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