Il Terzo settore e le imprese sociali trainano l`economia italiana, lo

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Data pubblicazione: 18/07/2015
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Il Terzo settore e le imprese
sociali trainano l'economia
italiana, lo dicono i numeri
In Europa sono 14.5 milioni le persone impiegate nel Terzo Settore.
L'Italia, con il 9,7%, è I per numero di addetti e muove 64 miliardi di
euro della nostra economia. Lo testimonia il rapporto I. t. a. l. i. a.Geografia del nuovo made in Italy, che affronta tutti i campi della
produzione nazionale
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di MARTA RIZZO
18 luglio 2015
ROMA - Il Terzo Settore incide per
il 3,4% nel prodotto interno lordo
nazionale. Lo dice un Rapporto I. t.
a. l. i. a. - Geografie del nuovo
made in Italy diffuso da Unioncamere, Fondazione
Edison, Fondazione Symbola e
Aiccon.
Il dubbio e la ragione dei
numeri. È l'ottimismo della
volontà che pare essere più
attendibile del pessimismo della
ragione, se i numeri dicono il vero.
Il rapporto I. t. a. l. i. a., portato avanti da economisti e ricercatori, dice che, senza
il contributo del Terzo Settore, questo paese non raggiungerebbe l'attuale grado
di welfare. Negli ultimi anni, il comparto sociale non solo è cresciuto in termini di
occupati, ma è stato in grado di esprimere un dinamismo che ha aiutato il paese
a contrastare gli effetti della raccontatissima crisi. Crescita della domanda di
servizi sociali, educativi e di inserimento lavorativo. Il Terzo settore, anche a
causa della raccontatissima crisi, sta attuando nuove scelte, al fine di rigenerare
i legami sociali, comunità e i territori. Uno balzo in avanti nel passato, quindi.
L'Europa, il Terzo Settore e i primati dell'Italia. 14,5 milioni è il numero di
persone impiegate nell'economia sociale in Europa (il 6,5% della popolazione
Ue). Ma, nel confronto con le principali economie europee, l'Italia è prima per
numero di addetti sul totale dell'economia (9,7%) e supera Francia (9,0%),
Spagna (6,7%), Germania (6,4%) e Regno Unito (5,6%), oltreche il totale della
media europea (6,5%). Questo paese, poi, è il primo per numero di aziende e di
addetti: 71.578 cooperative (il doppio della somma di Francia, Germania e
Regno Unito) e 1.128.281 di lavoratori.
Memorandum sul Terzo Settore. Nel concetto di "economia sociale" rientra
un gruppo di soggetti che va sotto il nome di Terzo settore o Istituzioni non profit:
associazioni, comitati, fondazioni e cooperative sociali. In Italia, il Terzo settore
conta 301.191 istituzioni, soprattutto 269.353 associazioni (di cui 201.004 non
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riconosciute e 68.349 riconosciute), cui si aggiungono poco più di 6 mila
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fondazioni. Complessivamente il sistema conta 681 mila addetti, 4,7 milioni di
volontari, 271 mila lavoratori esterni e 5 mila lavoratori temporanei, muovendo
entrate per 64 miliardi di euro (il 3,4% dell'economia nazionale).
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Sogno e son desto 2
Le ragioni dell'espansione del Terzo settore :
1. "Modello inclusivo". Nella lingua del nostro mondo, il concetto di "economia
con un tasso di occupazione fatto di coesione economica, sociale e territoriale"
è chiamato inclusive growth. Nella nostra, di lingua, si traduce con crescita
inclusiva.
2. La territorialità. La peculiarità delle imprese del Terzo settore sta nella
prossimità e vicinanza alle comunità di riferimento, il che velocizza la capacità di
individuare soluzioni adeguate ai bisogni.
3. Dinamicità della produzione. Il terzo fattore è legato alla rapidità produttivoconsumativa delle cooperative sociali, che contribuisce alla costruzione di un
modello di sviluppo socio-economico fluido e fruttuoso.
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Imprenditoria sociale: dà lavoro a 513.000 italiani. Non è un'ipotesi, ma una
realtà economica: sono 12.570 le nostre imprese sociali, con un capitale
investito che sfiora gli 8,3 miliardi di euro. Ma è nella dimensione occupazionale
che emerge il suo valore, 513mila occupati, di cui il 63% a tempo indeterminato.
Le cooperative sociali hanno generato nel 2011 un fatturato complessivo di 10,1
miliardi di euro17, pari al 17,5% delle entrate registrate nel medesimo anno dalle
istituzioni non profit. All'interno del non profit produttivo operano poi 774 imprese
sociali, attive soprattutto, nell'ordine, nei settori sanità (58%), assistenza sociale,
istruzione. Occupano 29.000 persone e coinvolgono circa 3.000 volontari, con
un'offerta di beni e servizi che va, per l'80%, direttamente ai cittadini e alle
famiglie dei beneficiari, generando un valore della produzione di 314 milioni di
euro.
Sharing economy: la condivisione non è una minaccia. Sotto il nome di
Sharing economy ricadano forme di collaborazione molto diverse. Questa nuova
modalità di consumo, figlia di un approccio più partecipativo di cittadinanza e
lavoratori alla raccontatissima crisi, sta aprendo nuove opportunità di sviluppo.
Nascono, cioè, piattaforme ("start up") capaci di incidere sui monopoli
commerciali più consolidati e che potrebbero rappresentare una vera
opportunità per le imprese tradizionali, se non percepite come una minaccia,
perché rispondono a nuovi bisogni, come la crescente necessità di interagire
con le aziende in modo meno verticale. Lo confermano i dati: il 51% degli
individui che frequenta le piattaforme di sharing economy, in Italia, ha un'età
compresa fra i 18 e i 34 anni. Inoltre, il 62% dei neo imprenditori si dichiara
disponibile a sperimentare almeno uno dei servizi di sharing economy.
Locale, non globale. "Il rapporto - dichiara Paolo Venturi, direttore Aiccon,
esperto di sviluppo e ricerca sull'Economia Sociale - evidenzia come il made in
Italy e la qualità del nostro buon vivere abbiano le radici nell'infrastruttura di
relazioni e nel legame con la comunità. Le filiere produttive, oggi, si nutrono del
capitale sociale del territori senza il quale è impossibile generare valore. La
presenza e la diffusione capillare delle Onp e delle imprese sociali diventa così
un indicatore di competitività. Non sono più le imprese competitive che fanno i
territori competitivi, bensì il contrario: sono i territori con un alto grado di capitale
sociale a vincere la sfida della qualità e della competizione globale".
Ritorno al futuro. Questo concreto motore alternativo non soppianterà
l'economia tradizionale, ma, proponendo modelli complementari rispetto a quelli
esistenti e coinvolgendo amministrazioni pubbliche, imprese tradizionali, nuovi
business, comunità e singoli cittadini, potrà portare benefici anche importanti. E
non perché sia rivoluzionario, ma perché riscopre dinamiche socio-economiche
mosse da un (vecchio) fantasma che ancora si aggira per l'Europa.
Terzo Settore economia Pil made in italy europa Rapporto Italia
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