rivedere un patto - Centro Studi Monte Sa

RIVEDERE UN PATTO
25.09.2004 - La discussione sulla revisione del Patto di stabilità rappresenterà, nelle prossime settimane, la cartina al
tornasole dell’intero processo d’integrazione europeo. I parametri che sostengono l’euro sono infatti anche l’espressione
della forza e delle debolezze dell’Unione europea. Essi hanno permesso la nascita di un’area monetaria importante e
stabile, presupposto indispensabile per l’evoluzione verso una vera integrazione politica. Ma al tempo stesso hanno
contribuito a frenare la crescita economica dell’intero continente, alimentando la disaffezione degli europei verso le
istituzioni sovranazionali. In molti, compreso l’attuale presidente della Commissione europea Romano Prodi, da tempo
dicono che i limiti posti dal Trattato di Maastricht ai bilanci pubblici (deficit inferiori al 3 per cento del Prodotto interno
lordo) e all’indebitamento degli stati (stock di debito inferiore al 60 per cento del Pil) sono “stupidi”. Ma fino ad ora è
mancato il coraggio politico per rimetterli seriamente in discussione. Si è sempre temuta la reazione dei mercati che, di
fronte a cedimenti nella volontà di avere finanze pubbliche sane, avrebbero potuto perdere la fiducia nel giovane euro.
Eppure lo scorso 10 settembre i ministri delle finanze dell’Eurogruppo hanno accettato, anche se con molta cautela, di
aprire un percorso di discussione e riflessione su questo delicato tema, accogliendo alcuni spunti elaborati dal
commissario Almunia.
Le ragioni dell´improvvisa temerarietà hanno uno sfondo economico e un probabile obiettivo politico. Da un punto di
vista economico i mercati sono già convinti che il "patto" va rivisto. Francia e Germania infatti da tempo non riescono a
mantenere il deficit di bilancio al di sotto del 3 per cento del loro Pil. In base all´accordo comunitario avrebbero dovuto
subire una pesante multa, che avrebbe ulteriormente accentuato la già difficile situazione finanziaria. Ebbene la multa
non c´è stata e l´euro non è crollato, anzi! I mercati, pragmatici per definizione, hanno dimostrato di credere nella
stabilità monetaria dell´area euro che, attualmente, è una delle più sane al mondo. Proprio grazie – o a causa – del
Trattato di Maastricht e del Patto di stabilità, le finanze pubbliche dei paesi dell´Unione europea, se viste globalmente,
sono sostanzialmente sotto controllo. Non ci sono ombre nell´impegno politico, assunto all´inizio degli anni novanta
nei confronti della Germania, di creare un euro forte come il marco. Tanto più che proprio mentre l´Europa si è
costretta a chiudere i cordoni della borsa, oltre Atlantico gli Stati Uniti, a causa della crisi economica e della guerra in
Iraq, hanno raggiunto un deficit che rappresenta quasi il 5 per cento del loro Pil; in Giappone questa per-centuale supera
il 7 per cento. In un tale contesto macroeconomico la Commissione, provocando i ministri delle finanze dell´area euro, ha
maturato la convinzione che i mercati sono disposti a tollerare sforamenti nei budget di spesa degli stati, se questi sono
misurati e finalizzati ad un programma di crescita economica. Il dibattito sulla riforma, o reinterpretazione del Patto (che
per intero si chiama "Patto di stabilità e crescita") non si è iniziato solo per non punire la Francia e la Germania, ma
anche e soprattutto per rispondere all´esigenza di sviluppo economico. È vero che in questo primo stadio né la
Commissione né i ministri delle finanze parlano apertamente di iniziative di sviluppo, di interventi ciclici. Ma dietro le
quinte tutti sanno che se non si attiva un tasso di crescita significativo dell´economia reale, non c´è alcuna possibilità di
garantire il rispetto dei parametri in futuro. In un´economia sempre più globale, l´Europa non può più permettersi i miseri
tassi di crescita che la caratterizzano (1,6 - 2 per cento), quando gli Stati Uniti avanzano ad un ritmo del 4 per cento,
l´Asia tra il 6 e il 9 per cento e la stessa Inghilterra al 3,5 per cento. E, soprattutto, se questi poli frenassero, che ne
sarebbe della già anemica capacità economica europea
Se il contesto economico, nella sua ratio, esige la revisione del Patto, ancora più forte è il richiamo di quello politico.
Appare sempre più evidente che se l´Unione europea, ora composta da 25 stati, non intraprende velocemente un
cammino di crescita, i suoi cittadini, che in alcuni stati l´anno prossimo si esprimeranno per referendum sulla nuova
costituzione, difficilmente capiranno il valore aggiunto delle istituzioni europee e dell´euro. Le prime forti avvisaglie di
derive nazionaliste si sono manifestate nel giugno scorso con le votazioni per il rinnovo del Parlamento europeo.
Siamo quindi solo all´inizio di un dibattito impegnativo che indicherà, entro il prossimo novembre, quando i ministri delle
finanze si riuniranno per definire le nuove regole o una nuova interpretazione del Patto, se l´Unione europea è pronta per
affrontare un vero disegno politico-costituzionale partendo da quello economico, come è nella sua natura. O se
vinceranno i tecnocrati della Bundesbank e della Banca centrale europea che vogliono restare saldamente fedeli a
regole ferree che hanno garantito stabilità ma a scapito della crescita.