Primo Piano
Crescere insieme: verso un’evoluzione
lamarckiana dell’economia
di Bernardo Bortolotti
Professore di economia politica, Università di Torino e direttore del Sovereign Investment Lab, Università Bocconi
In un asilo di Haifa, il ritardo con cui i bambini venivano
accompagnati a scuola era diventato un problema così serio
che la direzione decise di imporre una multa ai parenti ritardatari.
La sanzione però non risolse il problema, anzi: la frequenza dei ritardi aumentò ancora di più. Cos’era successo? La multa, stabilendo un prezzo di mercato per
la violazione, aveva legittimato un comportamento scorretto, attenuando quel vincolo morale di rispetto che i
genitori dovrebbero sentire nei confronti degli insegnanti.
Non possiamo certamente trarre conclusioni generali da
questa storia. Il caso dell’asilo israeliano è comunque
interessante perché illustra un esito di mercato da una
prospettiva insolita, e ci invita a riflettere su alcuni dilemmi fondamentali fra etica e economia. In particolare, è il mercato uno spazio sconfinato in cui possiamo
applicare con successo il paradigma economico o esistono limiti morali che è bene non oltrepassare? In altre parole, fino a dove possiamo spingere la convenienza
economica senza corrompere il nostro senso essenziale e umano di giustizia? Queste domande sono rimaste
a lungo sotto traccia, ma la crisi le sta riportando al centro del dibattito.
Dalla fine dell’Ottocento, il problema economico ha coinciso con quello del calcolo razionale: come ottenere il
massimo risultato in presenza di un dato ammontare di
risorse disponibili. Il paradigma dominante si è quindi sviluppato attorno all’homo oeconomicus e ai suoi tre pilastri comportamentali: la scelta razionale, la ricerca dell’interesse personale e il profitto economico come misura della performance. Con poche eccezioni, l’etica, la moralità, le questioni di giustizia sono state considerate problemi filosofici estranei all’economia, e di fatto relegati alla filosofia, alla politica, alla legislazione, allo Stato.
La crisi finanziaria ha mostrato quanto la dicotomia fra
etica ed economia, teorizzata nella disciplina e tradotta largamente in pratica, sia stata devastante. L’esa-
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sperazione della ricerca razionale del profitto attraverso il sistema degli incentivi manageriali ha portato il sistema finanziario al collasso, causando enormi danni collaterali di natura economica e sociale. Si sta diffondendo
l’idea che il mercato e quindi l’economia capitalistica
su cui si basa non possa operare efficacemente in un
vuoto morale, e che la dimensione sociale di condivisione, di solidarietà, di giustizia debba essere in qualche modo riconciliata con la razionalità economica.
Il mondo di oggi ci racconta una storia diversa. Guardando i dati dell’economia più avanzata del mondo, quella statunitense, viene in mente il titolo del vecchio libro
di Emilio Cecchi, America amara, per quanto vertiginosamente sono cresciute le disuguaglianze dei redditi negli ultimi cento anni. Nel 2012, la quota dei redditi dell’uno per cento più ricco della popolazione, circa
3 milioni di persone, ha superato il 22 per cento, un dato mai visto nemmeno negli anni della Grande Depressione. E’ una nuova Belle Epoque, in cui la ricchezza
di pochi convive con la miseria di tutti gli altri. Ma i dati più recenti preoccupano ancora di più. Il 95 per cento della ripresa americana che si è realizzata dal 2009
a oggi, quel 6 per cento di crescita del Pil, è andato ai
super-ricchi, il reddito mediano è rimasto fermo mentre molti sono scivolati nella povertà. Il paradosso di oggi è che la crescita economica, dove c’è, convive con
il default sociale.
Come sosteneva Marx, il capitalismo sta quindi diventando il peggior nemico di se stesso. Negli anni della
Grande Depressione, furono Roosevelt e il suo New Deal
a salvarlo, ma oggi quella politica economica keynesiana
non funzionerebbe più. Lo Stato (non solo in Italia) è
ormai un secchio bucato che preleva un’enorme quan-
tità di risorse attraverso la tassazione senza riuscire a
redistribuirle in maniera efficace. Altre tasse e nuova
spesa pubblica non sarebbero né opportune né politicamente accettabili.
Che fare allora? Questa diagnosi impietosa del fallimento
congiunto del mercato e dello Stato sembra lasciare poche speranze. In realtà, dalle ceneri di un mercato in
piena crisi di legittimità e dal fallimento degli stati sovrani potrebbe partire un’evoluzione lamarckiana dell’economia. Nel famoso esempio di Lamarck il collo della giraffa si allunga per raggiungere le foglie sui rami
più alti degli alberi. Allo stesso modo il bisogno di un
nuovo paradigma innescato dalla crisi odierna potrebbe indurre quel cambiamento necessario per raggiungere il prossimo stadio di sviluppo economico.
A ispirare questa evoluzione potrebbero essere ancora il
padre fondatore dell’economia, Adam Smith, e la sua teoria dei sentimenti morali, riassunta in questa sua famosa
citazione: «Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi
che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante da es-
sa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla.»
Utopie? Forse, ma anche il germe antico di nuove teorie
che riescano a riconciliare razionalità ed emozioni, passioni e interessi, contaminandosi anche con altre discipline, quali ad esempio le neuroscienze che hanno scoperto le basi neurobiologiche del comportamento empatico, i famosi “neuroni specchio” di Giacomo Rizzolatti.
Applicare il principio di empatia smithiano nelle scelte
economiche significa puntare a una crescita economica condivisa, permeando l’economia di mercato del sentimento morale di giustizia, solidarietà e collaborazione. Nelle imprese, “crescere insieme” significa cogliere il vantaggio competitivo della collaborazione e della
distribuzione più equa del valore. Nelle istituzioni, significa smettere di accumulare disavanzi e debiti da lasciare in eredità alle prossime generazioni. Nella finanza,
significa riportare le banche su basi più solide anche
se meno remunerative, ma alla lunga più convenienti,
recuperando l’asset più prezioso, quella fiducia che la
crisi ha spazzato via. “Crescere insieme” significa in fondo ritrovare il senso, il gusto e la bellezza di un progresso
economico che sia al tempo stesso morale e civile.