Global 4 Dopo cinque anni di performance deludente e disomogenea l’economia globale mostra i primi segnali di ripresa. arcVision ne ha voluto parlare con Global Insight, uno dei più autorevoli istituti di previsione economico-finanziaria del mondo. Ne è risultato uno studio che abbraccia tutto il panorama dell’economia globale: dall’andamento dei prezzi del petrolio alle difficoltà dell’area euro, dalle positive prospettive dei paesi emergenti, sorrette da tecnologia ed esportazioni, al ruolo chiave dell’economia americana e al deprezzamento del dollaro. After five years of disappointing, patchwork performance, global economy is now showing the first signs of revival. arcVision has thus contacted Global Insight, one of the world’s most prestigious institutes for economic-financial forecasts. The outcome is a survey that embraces the complexity of global economy: from the trend of oil prices to the difficulties encountered by the Eurozone, from the positive prospect for emerging countries, supported by technology and exports, to the key role played by American economy and the depreciation of the dollar. L’economia globale ad un bivio The Global Economy at a Crossroads di Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight* by Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight* Benché ancora lenta nel 2003, la ripresa acquisterà vigore nel 2004 Although slow in 2003, the recovery will pick up in 2004 L a ripresa dell’economia globale rimane incerta nonché vulnerabile ai principali shocks, ma i segnali di stabilizzazione e miglioramento continuano ad emergere, sì da rendere il quadro complessivo molto più chiaro nel volgere di pochi mesi. Nel breve periodo, è probabile che la crescita aggregata in termini reali rimanga flebile, per via dell’incertezza sul futuro di gran parte dei consumatori e delle imprese; tuttavia, vi sono forti probabilità che la ripresa riacquisti vigore prima della fine del 2003, per ingranare una marcia ben più sostenuta il prossimo anno. L’economia globale ha tratto beneficio nei mesi recenti da un rimbalzo positivo della fiducia dei consumatori e delle imprese al termine della guerra in Iraq, nonché da un calo del 25% del prezzo del petrolio; il dissolversi della minaccia rappresentata dalla Sars ha costituito un ulteriore aiuto in tal senso. Il miglioramento della fiducia si è riflesso in un rialzo del 25-30% nella gran parte dei principali mercati azionari. I mercati sono stati, inoltre, rassicurati dall’aggressiva politica reflazionistica condotta recentemente negli Stati Uniti e nell’area Asiatica non-giapponese, insieme ad un allentamento delle politiche monetarie in molti altri paesi. Persino la compiacente Banca Centrale Europea (BCE) ha dimostrato di valutare attentamente la necessità di intraprendere un’azione di policy più incisiva per poter contribuire ad alimentare la ripresa globale, anche se il suo taglio di 50 punti base dello scorso 5 giugno lascia quest’ultima obiettivo ancora molto lontano, alla luce dell’attuale stato delle economie dell’area euro. È indubbio che la mancanza di qualsiasi effetto positivo della fine della guerra in Iraq sull’area euro e sul Giappone resti la zavorra principale per l’economia globale, date le dimensioni in termini assoluti delle loro economie. Di conseguenza, il destino dell’economia mondiale dipende primariamente dalla sostenibilità così come dalla forza della ventilata ripresa statunitense. Dopo cinque anni di crescita fiacca, o quantomeno disuguale, nelle principali aree (a partire cioè dal 1998), l’economia globale sembra attualmente avviarsi a qualche altro trimestre di deludente performance, prima di ritornare su di un sostenibile ritmo di crescita nel 2004. Su base trimestrale, l’ultima previsione delinea una crescita globale ancora anemica per gran parte del corrente anno, nonostante un forte recupero dell’economia statunitense nel secondo semestre. Global Insight si attende che l’economia mondiale sia in grado di rimettersi su di un sentiero di crescita del 3,0% soltanto nel terzo trimestre del 2004, e di raggiungere il punto più alto dell’attuale ciclo soltanto nel 2005 (all’incirca quattro anni dopo aver toccato il punto più basso nel 2001). Tuttavia, tale punto di massima espansione del ciclo sarà raggiunto piuttosto tardi, il che potrebbe rendere l’economia globale in grado di mantenere un tasso di crescita superiore al trend per un periodo decisamente lungo. La nostra proiezione accredita un tasso di crescita medio annuo per i prossimi cinque anni (2004-2008) del 3,3%, rispetto al 2,5% conseguito negli ultimi cinque anni (1998-2002). Su questa previsione gravano, tuttavia, diversi rischi. Anche assumendo che la pronosticata ripresa proceda senza grossi intoppi nei prossimi trimestri, la ripresa globale potrebbe stentare ancora l’anno prossimo a causa di una scarsa ripresa degli investimenti, di una “ritirata” dei consumatori americani (sempre più “sotto pressione”) o di un processo di “hard landing”, cioè di un riassestamento non indolore, del dollaro USA. I principali problemi non ancora risolti dell’economia globale e che ne costituiscono la spina nel fianco, nell’immediato futuro si tradurranno ancora in una mancata crescita (output gap), che semplicemente continuerà a non ridursi. Tra le economie maggiormente industrializzate, i tassi di crescita della zona euro e del Giappone sono destinati a restare ben al di sotto del trend perlomeno per tutto il 2004, se non più a lungo, considerata la loro inerzia di policy e gli andamenti attuali. Nonostante una proiezione di crescita molto più favorevole, persino il fenomeno della mancata crescita negli USA non sembra destinato ad attenuarsi nel prossimo futuro, tale da mantenere molto debole il potere di prezzo delle imprese per molti anni a venire, anche se alcuni settori assisteranno indubbiamente a periodici rimbalzi dei prezzi. Un siffatto, debole potere di prezzo potrebbe, a sua volta, ritardare la tanto auspicata ripresa degli investimenti nelle economie industrializzate. Le performance poco brillanti dell’economia dell’area euro e del Giappone, che si sono ulteriormente deteriorate nei mesi recenti come risultato di errori di politica economica e di un calo delle esportazioni, costituiscono attualmente l’ostacolo principale alla ripresa dell’economia globale. Con la recente scivolata del dollaro USA che ha gettato un’ulteriore ombra sullo scenario futuro di dette economie, vi è al momento attuale l’urgenza ancora maggiore di intraprendere un’aggressiva azione reflazionistica da parte delle rispettive autorità. I vincoli che ne caratterizzano la politica fiscale e monetaria, e la debole guida politica, potrebbero impedire all’Europa di contribuire significativamente alla crescita mondiale. Perché la crescita europea possa riprendersi robusta, la BCE dovrebbe abbandonare la sua politica monetaria sin qui conservatrice, e le economie più importanti dell’area euro (Germania, Francia, Italia e Spagna) dovrebbero ignorare le ristrettezze fiscali del Patto di Stabilità e Crescita. In assenza di un’azione di politica economica più aggressiva in senso espansivo, le economie europee si troverebbero probabilmente a decelerare in linea con qualsiasi potenziale rallentamento economico statunitense (che a sua volta risulti da squilibri macroeconomici o da altre cause), poiché di fatto sono diventate eccessivamente dipendenti dal comportamento dei consumatori americani sin dalla crisi del Far East asiatico. Altri fattori-chiave di rischio che richiedono quantomeno di essere tenuti sotto osservazione includono: • Disparità di crescita. L’economia globale fronteggia un rischio significativo, benché non elevato in termini di probabilità, di recessione “double-dip”, prolungata stagnazione e deflazione. Tra le aree maggiormente industrializzate, il rischio è maggiore per l’area euro e per il Giappone, stanti le ripetute assicurazioni da parte delle rispettive banche centrali che sembrano negare perennemente tali pericoli. • Rialzo dei tassi di interesse. Qualsiasi decisiva accelerazione della crescita globale potrebbe risvegliare le preoccupazioni riguardanti l’inflazione, innescando marcati rialzi nei rendimenti dei titoli di stato e aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, il che potrebbe mantenere la crescita globale al di sotto dei livelli tendenziali. In tali circostanze, il rischio di errori di politica economica da parte delle autorità monetarie potrebbe essere alto, data la possibile urgenza di “normalizzare” i tassi di policy e di governare l’enorme ammontare di liquidità iniettata nell’economia globale dall’inizio del 2001. • Debolezza dei prezzi delle abitazioni. Qualsiasi indebolimento significativo dei prezzi delle abitazioni nel mercato immobiliare potrebbe fungere da freno alla crescita economica mondiale, dal momento che negli ultimi anni l’incremento dei prezzi delle abitazioni si è rivelato essere un supporto decisivo alla crescita della spesa dei consumatori. Non vi è infatti dubbio che il settore immobiliare, per lo meno in diverse economie sia industrializzate sia emergenti, abbia continuato ad assumere connotati simili a quelli di una “bolla”, in particolare nel Regno Unito, Australia, Stati Uniti, Corea, Spagna, Irlanda e Cina. Una severa caduta dei prezzi avrebbe, a livello potenziale, un impatto restrittivo molto serio sulla domanda aggregata mondiale. • Instabilità post-bellica in Iraq. La situazione di conflittualità venutasi a creare dopo la guerra in Iraq non è andata affatto migliorando, con la coalizione guidata dagli Stati Uniti che deve affrontare un’escalation di azioni ostili da parte di ciò che resta dei fedelissimi di Saddam Hussein e di altri elementi antiamericani. La coalizione potrebbe, in teoria, rimanere impantanata in un grande caos politico nel cuore del Medio Oriente se non riuscisse a rafforzare prontamente la legalità e l’ordine ed a ripristinare i servizi essenziali in tutto il territorio iracheno. Contrariamente a quanto riportato da molti dei media, tuttavia, la coalizione possiede una capacità organizzativa, tecnici e comandi esperti in misura sufficiente per dare stabilità all’Iraq ed amministrarlo in modo efficace. Inoltre, le risorse militari e finanziarie sono abbastanza consistenti da permettere un margine notevole di manovra nel caso venga commesso qualche errore di qui in avanti. In breve, non si può negare che la stentata ripresa dell’economia globale sia all’insegna della “pezza soffice” e che vi sono tuttora seri rischi lungo il percorso verso una crescita più sostenuta, tali da poterla far deragliare. Segnali di stabilizzazione e di miglioramento stanno tuttavia venendo alla luce riguardo a diversi indicatori, e il quadro complessivo potrebbe guadagnare in chiarezza nel giro di pochi mesi. Nel breve periodo, è probabile che la crescita reale aggregata rimanga fiacca, mentre gli effetti ritardati della fine dell’epidemia di Sars e della guerra in Iraq dovrebbero generare una robusta ripresa per un certo periodo; Global Insight confida che una ripresa più forte troverà alla fine il suo corso prima della fine dell’anno, e sfocerà in una più sostenuta velocità l’anno prossimo. * Global Insight è stata fondata il 7 maggio 2001, con lo scopo di fondere le due principali società di previsione economico-finanziaria del mondo – la DRI (ex Data Resources, Inc.) e la WEFA (ex Wharton Econometric Forecasting Associates) – nella più grande e autorevole società operante nel settore a livello mondiale. Global Insight ha acquisito la DRI da Standard&Poor’s e la WEFA da Primark. Insieme a queste, il processo di creazione della Global Insight ha visto l’acquisizione di altre società come la società francese di ricerche di mercato DAFSA, la società polacca di progettazione informatica GlobIntech, l’americana Decision Economics e altre ancora. La fusione di DRI e WEFA ha rappresentato l’atto finale di una lunga storia di sana e costruttiva competizione tra due società che sono state gli oracoli nel campo dell’analisi economica previsionale a livello mondiale per circa quarant’anni. Entrambe le società sono state fondate da eminenti professori universitari americani. La DRI fu creata nel 1968 dal Prof. Otto Eckstein dell’Harvard University di Boston, e la WEFA nel 1964 dal Premio Nobel Prof. Lawrence Klein della Wharton University di Philadephia. La WEFA era a sua volta il risultato della fusione tra Wharton Inc. e Chase Econometrics (il terzo nome storico nel campo delle previsioni economiche), avvenuta alla fine degli anni 80. La Global Insight ha uno staff di oltre 450 professionisti tra analisti, ricercatori ed economisti, che vantano un’esperienza maturata in 120 società in più di 200 paesi. ■ ■ ■ ■ ■ ■ T he global economy’s recovery remains unsteady and vulnerable to major shocks, but the signs of stabilization and improvement continue to emerge and the overall picture should become much clearer within a few months. In the short term, real aggregate growth will likely remain subdued, as most consumers and businesses remain uncertain about the future, but chances are that the recovery will resume before the end of 2003, and shift into a higher gear next year. The global economy has benefited in recent months from a post-Iraq-war bounce in consumer and business confidence and a 25% decline in oil prices. The fading of the threat from severe acute respiratory syndrome (SARS) has helped as well. Improved confidence is reflected in a 25-30% rebound in most major 5 through a “soft patch” and there are serious risks lurking along the path that could derail it. The signs of stabilization and improvement are emerging in increasing numbers, though, and the overall picture should become much clearer within a few months. In the short term, real aggregate growth will likely remain subdued, as the lagged effects of the recent SARS epidemics and the Iraq war will likely hold back a robust recovery for a while, but Global Insight is confident that a stronger recovery will finally get underway before the end of the year, and shift into a higher gear next year. Il prezzo del petrolio scenderà nel 2004 Oil Prices Will Decline in 2004 di Dennis Ekloff, Managing Director Energy Group, Global Insight by Dennis Ekloff, Managing Director Energy Group, Global Insight Nessun serio elemento negativo è atteso nel breve periodo No major disruptions are expected in the short-term Grafico 1: Prezzi del greggio, dollari USA, 2002-2006 40,00 35,00 30,00 25,00 20,00 Set-06 Mag-06 Gen-06 Set-05 Mag-05 Gen-05 Set-04 Mag-04 Gen-04 Set-03 Mag-03 Gen-03 Set-02 15,00 Mag-02 stagnation, and deflation. Among the major industrialized regions, the risk is greatest in the Eurozone and Japan, notwithstanding the repeated reassurances from their complacent central banks, which at times seem to live in a state of denial. • Interest Rate Spike. Any major acceleration in global growth could reawaken concerns about inflation, triggering sharp increases in bond yields and rate hikes by central banks, which could keep global growth below trend levels. Under such circumstances, the risk of policy error by monetary authorities would be high, given their eagerness to “normalize” their policy rates and unwind the huge amount of liquidity pumped into the global economy since early 2001. • House Price Weakness. Any significant weakness in house prices could act as a drag on global economic growth, since house price appreciation has been a key support for consumer spending growth in recent years. Indeed, the housing sector in many industrialized economies and emerging markets has taken on bubble-like characteristics, particularly in Britain, Australia, the United States, Korea, Spain, Ireland, and China. Any weakness in house prices in the key economies could potentially trigger a severe retrenchment in global aggregate demand. • Postwar Iraq Instability. The Iraq war’s post-combat situation has not gone smoothly at all, with the US coalition facing ongoing hostile actions by remnants of Saddam Hussein’s supporters and other antiAmerican elements. The U.S.led coalition could potentially get mired in a big political mess in the Middle East if it does not swiftly enforce law and order and restore basic services throughout Iraq. Contrary to many media reports, however, the coalition has the expertise and organizational capacity to stabilize and effectively administer Iraq. Furthermore, its military and financial resources are large enough to allow it considerable room for making quite a few mistakes along the way. In short, there is no denying that the global economy’s unsteady recovery is still going Gen-02 or a hard landing by the U.S. dollar. The world economy’s most thorny unresolved problem for the foreseeable future will be an output gap that simply refuses to go away. Among industrialized economies, the growth rates of the Eurozone and Japan are destined to remain well below trend at least through 2004—if not much longer—given their policy paralysis and currency trends. Despite much stronger projected growth, even the U.S. output gap is unlikely to close for the foreseeable future. The projected output gap might keep business pricing power rather weak for many years to come, even though some sectors will undoubtedly see periodic price rebounds. Weak business pricing power could in turn delay the long-awaited sustainable investment recovery in industrialized economies. The Eurozone and Japanese economies’ poor performances, which have further deteriorated in recent months as a result of policy errors and weak exports, are now a major drag on global economic recovery. With the U.S. dollar’s recent accelerated slide having further darkened these economies’ outlook, there is now even more urgency for aggressive reflationary action by their authorities. Europe’s fiscal and monetary policy constraints and weak political leadership could prevent it from contributing much to world growth. For European growth to rebound robustly, the ECB would have to abandon its conservative monetary policy and the core Eurozone economies— Germany, France, Italy, and Spain—would have to ignore the fiscal straitjacket of Europe’s Stability and Growth Pact. In the absence of more aggressive reflationary actions, European economies would probably decelerate in line with any potential U.S. economic slowdown (resulting from macroeconomic imbalances or other causes), since they have become overly dependent on the American consumer since the Asian crisis. Other key risks that require at least some attention include: • Sub-Par Growth. The global economy faces a small but significant risk of double-dip recession, prolonged $/Barile 6 equity markets. Markets have also been reassured by the recent aggressive reflationary policies of the United States and non-Japan Asia, along with further loosening of monetary policies in many other countries. Even the complacent European Central Bank (ECB) has shown some recognition of the need for more policy action to get the global recovery reignited, but its 50-basis-point rate cut on June 5 still leaves it well behind the curve given the current dire state of Eurozone economies. Indeed, the lack of any post-Iraq economic bounce in the Eurozone and Japan remains a major drag for the global economy, given the sheer combined size of their economies. Consequently, the fate of the global economy primarily depends on the sustainability as well as the strength of the anticipated U.S. economic rebound. After five years of weak or uneven growth since 1998, the global economy now appears to be headed for a few more quarters of disappointing performance, before getting back to a sustainable aboveaverage pace in 2004. On a quarterly basis, the latest forecast envisages global growth remaining anemic during most of this year, despite a strong rebound by the U.S. economy during the second half. Global Insight expects the world economy to hit its trend growth rate of 3.0% only in the third quarter of 2004, and to reach its current-cycle peak only in 2005—nearly four years after hitting its current-cycle trough in 2001. This rather late peaking, however, might enable the global economy to maintain an above-trend rate of expansion for an extended period. Our projected average annual growth rate for the five years from 2004 through 2008 is 3.3%, compared with 2.5% for the last five years (1998-2002). There are many risks to this forecast, however. Indeed, even assuming that the anticipated rebound proceeds without any major interruptions over the next few quarters, the global recovery might still falter next year due to a mediocre investment rebound, a retrenchment by the overstretched American consumer, Anno Dated Brent WTI Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Prezzi di breve periodo o stato attuale delle scorte, a livelli decisamente bassi, suggerisce che i raffinatori dovranno mantenere in funzione gli impianti ad alti tassi di utilizzo, in modo da tenersi pronti in vista del previsto aumento della domanda nella prima metà del 2004. Ciò manterrà quindi elevata la domanda di greggio, formandone in buona parte il prezzo e contribuendo a mantenere i prezzi fermi per il resto del 2003. A causa del basso livello delle scorte, tuttavia, i prezzi saranno assai volatili, ed è probabile che si impennino come reazione alla possibilità di una riduzione dell’offerta stessa. L’OPEC, molto probabilmente, difenderà con rinnovata energia i valori inferiori della propria fascia di oscillazione (22 dollari al barile per il paniere OPEC, circa 24 dollari per il WTI), ponendo un freno alla produzione nel breve periodo. Di fatto, poiché non vi è carenza di greggio, non sono attesi ulteriori incrementi da parte dell’OPEC, essendo invece più probabile che l’OPEC stesso restringa i livelli di produzione all’inizio del prossimo anno per evitare un crollo dei prezzi. Secondo le nostre previsioni sulla produzione di breve periodo, l’OPEC diminuirà gli attuali livelli di 1 milione di barili al giorno all’inizio del prossimo anno per sostenere i prezzi, ma poiché il greggio sarà già stato immagazzinato nei punti di carico, sarà disponibile in abbondanza per la consegna. Parimenti, ci si attende che anche gli incrementi netti di offerta da parte dei paesi non-OPEC siano modesti, mentre nuovi progetti petroliferi già in corso e da sviluppare nell’immediato non potranno che controbilanciare appena il declino nei settori petroliferi maturi. Fatte queste premesse, entro la fine del 2004, il prezzo medio mondiale del greggio dovrebbe calare di circa 6 dollari al barile (in termini nominali) rispetto alla media annua del 2003 inferiore ai 28 dollari al barile, pari ad un calo annuale medio del 5%. In termini reali (dollari 1999), il calo è atteso intorno al 7% l’anno. L * Global Insight was created on May 7, 2001, with the purpose of combining the two leading economic and financial forecasting companies in the world – DRI (formerly Data Resources, Inc.) and WEFA (formerly Wharton Econometric Forecasting Associates) – to form the world’s preeminent company in its field. Global Insight acquired DRI from Standard&Poor’s and WEFA from Primark. Alongside such acquisitions, also other companies like the French Market Research company DAFSA, the Polish software company GlobIntech, the US based Decision Economics and a few others have been acquired in the process of creating Global Insight. In a nutshell, the merge between DRI and WEFA is the final act of a long history of healthy competition between the two companies which have represented the world oracles of economic analysis and forecasts for about 40 years. Both companies had been established by leading US University professors. DRI was founded in 1968 by prof. Otto Eckstein, of Boston’s Harvard University, and WEFA in 1964 by Nobel Laureate Prof. Lawrence Klein, of Wharton University, Philadephia. The company WEFA was actually the result of the merge between Wharton Inc. and Chase Econometrics (the third historical name in the field of economic forecasts and modeling), merge which took place at the end of the 80’s. Global Insight has a staff of over 450 professional analysts, researchers and economists, who bring expertise spanning 120 industries and over 200 countries. Prezzi di medio termine Nel 2004, l’OPEC affronterà una difficile battaglia a sostegno dei prezzi. La crescente produzione non-OPEC continuerà a conquistare quote di mercato, costringendo l’OPEC a tagliare la sua produzione. L’Iraq aumenterà la sua produzione, mentre Nigeria e Venezuela potrebbero avere risolto alcuni dei loro attuali problemi collocandosi così su livelli produttivi più alti. Inoltre, si profila un incremento di produzione in Nigeria, Algeria e Libia. Nessuno di questi paesi dovrebbe avere difficoltà nel piazzare sul mercato la produzione aggiuntiva, per cui è probabile che possano produrre senza tener conto alcuno delle quote. Questo non sarebbe gradito ai membri OPEC del Medio Oriente, ma questi ultimi non sono in grado di poter fare granché in tale situazione. L’OPEC per anni non ha neppure timidamente accennato a porsi seriamente il problema della riallocazione delle quote, e ora che l’Iraq potrebbe presto ritornare a pieno titolo nel gruppo OPEC, molti altri membri potrebbero avere il presentimento che l’Arabia Saudita possa rinunciare a parte della quota che aveva spuntato nel 1990. I Sauditi non dovrebbero accettarlo di buon grado, però. Pertanto, ci si attende che nel 2004, in vista di un calo della domanda dai paesi arabi, di nuova offerta sul mercato da parte di paesi non dell’area del Golfo Persico, e di un ritorno sulla scena dell’Iraq, l’alto livello di disciplina all’interno dell’OPEC osservato a partire dal 1999 comincerà a sgretolarsi, e la continua tendenza al ribasso dei prezzi provocherà con ogni probabilità un periodo all’insegna della volontà dei paesi di non tagliare le proprie quote, usata in senso “competitivo” (in stile “beggar my neighbour”). Siffatte dinamiche dovrebbero sospingere in basso i prezzi fino a 20 dollari al barile, in particolare nella seconda metà del 2004. Un comportamento come quello descritto tende a consolidarsi, ma soprattutto a deprimere ulteriormente i prezzi. Per fermare questo meccanismo, l’Arabia Saudita potrebbe non avere altro mezzo che prendere in considerazione un drastico taglio alla produzione. Una forte crescita della domanda nella seconda parte del 2004 sosterrà nuovamente la domanda di greggio OPEC, e il conseguente shock sui prezzi (che crollano al di sotto della banda di oscillazione) dovrebbe essere assorbito sì da riportare i prezzi entro la banda stessa. Nonostante la citata pressione al ribasso dei prezzi, non ci si attende di assistere ad un ritorno della caduta dei prezzi al livello di 18-19 dollari al barile così come sperimentato per gran parte degli anni 90. Prezzi di lungo periodo La preconizzata caduta dei prezzi dal breve al medio termine dovrebbe progressivamente stimolare la crescita della domanda, unitamente però a un rallentamento negli investimenti in esplorazione di nuovi giacimenti e ammodernamento tecnico. La crescita della domanda sarà, inoltre, puntellata dalla crescita economica globale, prevista ad un tasso medio annuo del 3,3% nel periodo 2005–20. La produzione dalle aree “mature”, essenzialmente gli Stati Uniti e i paesi del Mare del Nord, dovrebbe calare a partire dal 2005. La domanda crescente dei settori industriali ed un rallentamento complessivo nella crescita della produzione faranno pressioni al rialzo sui prezzi intorno al 2008. L’OPEC continuerà probabilmente a costituire una forza determinante nel fissare la direzione dei prezzi nel lungo periodo. 7 through a “soft patch” and there are serious risks lurking along the path that could derail it. The signs of stabilization and improvement are emerging in increasing numbers, though, and the overall picture should become much clearer within a few months. In the short term, real aggregate growth will likely remain subdued, as the lagged effects of the recent SARS epidemics and the Iraq war will likely hold back a robust recovery for a while, but Global Insight is confident that a stronger recovery will finally get underway before the end of the year, and shift into a higher gear next year. Il prezzo del petrolio scenderà nel 2004 Oil Prices Will Decline in 2004 di Dennis Ekloff, Managing Director Energy Group, Global Insight by Dennis Ekloff, Managing Director Energy Group, Global Insight Nessun serio elemento negativo è atteso nel breve periodo No major disruptions are expected in the short-term Grafico 1: Prezzi del greggio, dollari USA, 2002-2006 40,00 35,00 30,00 25,00 20,00 Set-06 Mag-06 Gen-06 Set-05 Mag-05 Gen-05 Set-04 Mag-04 Gen-04 Set-03 Mag-03 Gen-03 Set-02 15,00 Mag-02 stagnation, and deflation. Among the major industrialized regions, the risk is greatest in the Eurozone and Japan, notwithstanding the repeated reassurances from their complacent central banks, which at times seem to live in a state of denial. • Interest Rate Spike. Any major acceleration in global growth could reawaken concerns about inflation, triggering sharp increases in bond yields and rate hikes by central banks, which could keep global growth below trend levels. Under such circumstances, the risk of policy error by monetary authorities would be high, given their eagerness to “normalize” their policy rates and unwind the huge amount of liquidity pumped into the global economy since early 2001. • House Price Weakness. Any significant weakness in house prices could act as a drag on global economic growth, since house price appreciation has been a key support for consumer spending growth in recent years. Indeed, the housing sector in many industrialized economies and emerging markets has taken on bubble-like characteristics, particularly in Britain, Australia, the United States, Korea, Spain, Ireland, and China. Any weakness in house prices in the key economies could potentially trigger a severe retrenchment in global aggregate demand. • Postwar Iraq Instability. The Iraq war’s post-combat situation has not gone smoothly at all, with the US coalition facing ongoing hostile actions by remnants of Saddam Hussein’s supporters and other antiAmerican elements. The U.S.led coalition could potentially get mired in a big political mess in the Middle East if it does not swiftly enforce law and order and restore basic services throughout Iraq. Contrary to many media reports, however, the coalition has the expertise and organizational capacity to stabilize and effectively administer Iraq. Furthermore, its military and financial resources are large enough to allow it considerable room for making quite a few mistakes along the way. In short, there is no denying that the global economy’s unsteady recovery is still going Gen-02 or a hard landing by the U.S. dollar. The world economy’s most thorny unresolved problem for the foreseeable future will be an output gap that simply refuses to go away. Among industrialized economies, the growth rates of the Eurozone and Japan are destined to remain well below trend at least through 2004—if not much longer—given their policy paralysis and currency trends. Despite much stronger projected growth, even the U.S. output gap is unlikely to close for the foreseeable future. The projected output gap might keep business pricing power rather weak for many years to come, even though some sectors will undoubtedly see periodic price rebounds. Weak business pricing power could in turn delay the long-awaited sustainable investment recovery in industrialized economies. The Eurozone and Japanese economies’ poor performances, which have further deteriorated in recent months as a result of policy errors and weak exports, are now a major drag on global economic recovery. With the U.S. dollar’s recent accelerated slide having further darkened these economies’ outlook, there is now even more urgency for aggressive reflationary action by their authorities. Europe’s fiscal and monetary policy constraints and weak political leadership could prevent it from contributing much to world growth. For European growth to rebound robustly, the ECB would have to abandon its conservative monetary policy and the core Eurozone economies— Germany, France, Italy, and Spain—would have to ignore the fiscal straitjacket of Europe’s Stability and Growth Pact. In the absence of more aggressive reflationary actions, European economies would probably decelerate in line with any potential U.S. economic slowdown (resulting from macroeconomic imbalances or other causes), since they have become overly dependent on the American consumer since the Asian crisis. Other key risks that require at least some attention include: • Sub-Par Growth. The global economy faces a small but significant risk of double-dip recession, prolonged $/Barile 6 equity markets. Markets have also been reassured by the recent aggressive reflationary policies of the United States and non-Japan Asia, along with further loosening of monetary policies in many other countries. Even the complacent European Central Bank (ECB) has shown some recognition of the need for more policy action to get the global recovery reignited, but its 50-basis-point rate cut on June 5 still leaves it well behind the curve given the current dire state of Eurozone economies. Indeed, the lack of any post-Iraq economic bounce in the Eurozone and Japan remains a major drag for the global economy, given the sheer combined size of their economies. Consequently, the fate of the global economy primarily depends on the sustainability as well as the strength of the anticipated U.S. economic rebound. After five years of weak or uneven growth since 1998, the global economy now appears to be headed for a few more quarters of disappointing performance, before getting back to a sustainable aboveaverage pace in 2004. On a quarterly basis, the latest forecast envisages global growth remaining anemic during most of this year, despite a strong rebound by the U.S. economy during the second half. Global Insight expects the world economy to hit its trend growth rate of 3.0% only in the third quarter of 2004, and to reach its current-cycle peak only in 2005—nearly four years after hitting its current-cycle trough in 2001. This rather late peaking, however, might enable the global economy to maintain an above-trend rate of expansion for an extended period. Our projected average annual growth rate for the five years from 2004 through 2008 is 3.3%, compared with 2.5% for the last five years (1998-2002). There are many risks to this forecast, however. Indeed, even assuming that the anticipated rebound proceeds without any major interruptions over the next few quarters, the global recovery might still falter next year due to a mediocre investment rebound, a retrenchment by the overstretched American consumer, Anno Dated Brent WTI Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Prezzi di breve periodo o stato attuale delle scorte, a livelli decisamente bassi, suggerisce che i raffinatori dovranno mantenere in funzione gli impianti ad alti tassi di utilizzo, in modo da tenersi pronti in vista del previsto aumento della domanda nella prima metà del 2004. Ciò manterrà quindi elevata la domanda di greggio, formandone in buona parte il prezzo e contribuendo a mantenere i prezzi fermi per il resto del 2003. A causa del basso livello delle scorte, tuttavia, i prezzi saranno assai volatili, ed è probabile che si impennino come reazione alla possibilità di una riduzione dell’offerta stessa. L’OPEC, molto probabilmente, difenderà con rinnovata energia i valori inferiori della propria fascia di oscillazione (22 dollari al barile per il paniere OPEC, circa 24 dollari per il WTI), ponendo un freno alla produzione nel breve periodo. Di fatto, poiché non vi è carenza di greggio, non sono attesi ulteriori incrementi da parte dell’OPEC, essendo invece più probabile che l’OPEC stesso restringa i livelli di produzione all’inizio del prossimo anno per evitare un crollo dei prezzi. Secondo le nostre previsioni sulla produzione di breve periodo, l’OPEC diminuirà gli attuali livelli di 1 milione di barili al giorno all’inizio del prossimo anno per sostenere i prezzi, ma poiché il greggio sarà già stato immagazzinato nei punti di carico, sarà disponibile in abbondanza per la consegna. Parimenti, ci si attende che anche gli incrementi netti di offerta da parte dei paesi non-OPEC siano modesti, mentre nuovi progetti petroliferi già in corso e da sviluppare nell’immediato non potranno che controbilanciare appena il declino nei settori petroliferi maturi. Fatte queste premesse, entro la fine del 2004, il prezzo medio mondiale del greggio dovrebbe calare di circa 6 dollari al barile (in termini nominali) rispetto alla media annua del 2003 inferiore ai 28 dollari al barile, pari ad un calo annuale medio del 5%. In termini reali (dollari 1999), il calo è atteso intorno al 7% l’anno. L * Global Insight was created on May 7, 2001, with the purpose of combining the two leading economic and financial forecasting companies in the world – DRI (formerly Data Resources, Inc.) and WEFA (formerly Wharton Econometric Forecasting Associates) – to form the world’s preeminent company in its field. Global Insight acquired DRI from Standard&Poor’s and WEFA from Primark. Alongside such acquisitions, also other companies like the French Market Research company DAFSA, the Polish software company GlobIntech, the US based Decision Economics and a few others have been acquired in the process of creating Global Insight. In a nutshell, the merge between DRI and WEFA is the final act of a long history of healthy competition between the two companies which have represented the world oracles of economic analysis and forecasts for about 40 years. Both companies had been established by leading US University professors. DRI was founded in 1968 by prof. Otto Eckstein, of Boston’s Harvard University, and WEFA in 1964 by Nobel Laureate Prof. Lawrence Klein, of Wharton University, Philadephia. The company WEFA was actually the result of the merge between Wharton Inc. and Chase Econometrics (the third historical name in the field of economic forecasts and modeling), merge which took place at the end of the 80’s. Global Insight has a staff of over 450 professional analysts, researchers and economists, who bring expertise spanning 120 industries and over 200 countries. Prezzi di medio termine Nel 2004, l’OPEC affronterà una difficile battaglia a sostegno dei prezzi. La crescente produzione non-OPEC continuerà a conquistare quote di mercato, costringendo l’OPEC a tagliare la sua produzione. L’Iraq aumenterà la sua produzione, mentre Nigeria e Venezuela potrebbero avere risolto alcuni dei loro attuali problemi collocandosi così su livelli produttivi più alti. Inoltre, si profila un incremento di produzione in Nigeria, Algeria e Libia. Nessuno di questi paesi dovrebbe avere difficoltà nel piazzare sul mercato la produzione aggiuntiva, per cui è probabile che possano produrre senza tener conto alcuno delle quote. Questo non sarebbe gradito ai membri OPEC del Medio Oriente, ma questi ultimi non sono in grado di poter fare granché in tale situazione. L’OPEC per anni non ha neppure timidamente accennato a porsi seriamente il problema della riallocazione delle quote, e ora che l’Iraq potrebbe presto ritornare a pieno titolo nel gruppo OPEC, molti altri membri potrebbero avere il presentimento che l’Arabia Saudita possa rinunciare a parte della quota che aveva spuntato nel 1990. I Sauditi non dovrebbero accettarlo di buon grado, però. Pertanto, ci si attende che nel 2004, in vista di un calo della domanda dai paesi arabi, di nuova offerta sul mercato da parte di paesi non dell’area del Golfo Persico, e di un ritorno sulla scena dell’Iraq, l’alto livello di disciplina all’interno dell’OPEC osservato a partire dal 1999 comincerà a sgretolarsi, e la continua tendenza al ribasso dei prezzi provocherà con ogni probabilità un periodo all’insegna della volontà dei paesi di non tagliare le proprie quote, usata in senso “competitivo” (in stile “beggar my neighbour”). Siffatte dinamiche dovrebbero sospingere in basso i prezzi fino a 20 dollari al barile, in particolare nella seconda metà del 2004. Un comportamento come quello descritto tende a consolidarsi, ma soprattutto a deprimere ulteriormente i prezzi. Per fermare questo meccanismo, l’Arabia Saudita potrebbe non avere altro mezzo che prendere in considerazione un drastico taglio alla produzione. Una forte crescita della domanda nella seconda parte del 2004 sosterrà nuovamente la domanda di greggio OPEC, e il conseguente shock sui prezzi (che crollano al di sotto della banda di oscillazione) dovrebbe essere assorbito sì da riportare i prezzi entro la banda stessa. Nonostante la citata pressione al ribasso dei prezzi, non ci si attende di assistere ad un ritorno della caduta dei prezzi al livello di 18-19 dollari al barile così come sperimentato per gran parte degli anni 90. Prezzi di lungo periodo La preconizzata caduta dei prezzi dal breve al medio termine dovrebbe progressivamente stimolare la crescita della domanda, unitamente però a un rallentamento negli investimenti in esplorazione di nuovi giacimenti e ammodernamento tecnico. La crescita della domanda sarà, inoltre, puntellata dalla crescita economica globale, prevista ad un tasso medio annuo del 3,3% nel periodo 2005–20. La produzione dalle aree “mature”, essenzialmente gli Stati Uniti e i paesi del Mare del Nord, dovrebbe calare a partire dal 2005. La domanda crescente dei settori industriali ed un rallentamento complessivo nella crescita della produzione faranno pressioni al rialzo sui prezzi intorno al 2008. L’OPEC continuerà probabilmente a costituire una forza determinante nel fissare la direzione dei prezzi nel lungo periodo. 7 $/Bbl 35.00 30.00 25.00 20.00 Sep-06 May-06 Jan-06 Sep-05 May-05 Jan-05 Sep-04 May-04 Jan-04 Sep-03 May-03 Jan-03 Sep-02 May-02 Jan-02 15.00 Year Dated Brent 8 WTI WTI Source: Global Insight, Inc. 2003 Near-term Prices he current state of low product in-ventories signifies that refiners will need to keep operating at high utilization rates to keep up with projected demand through the first quarter of 2004. This will keep demand for crude oil strong, forming a strong base for crude prices and keeping prices firm throughout the rest of 2003. Because of the low stocks, though, prices will be very volatile, and are likely to spike in reaction to any type of supply disruption— particularly for products—or perhaps even in reaction to the possibility of a supply problem. OPEC will likely be more vigorous in defending the lower end of their price-band ($22/barrel for the OPEC basket, about $24 for WTI) by keeping a tight rein on production over the near term. In fact, because there is no shortage of crude oil, further increases by OPEC are not expected and it is more probable that OPEC will roll back production targets early next year in order to avoid a price collapse. Our near-term production forecast predicts that OPEC will decrease current production targets by 1 million barrels per day early next year to avoid a price collapse, but because crude has been bottlenecked at loading points, plenty of crude oil will be available for delivery. Net increases in non-OPEC supply are expected to be slow as well, as new projects coming on stream in the near future will do little more than offset natural declines in mature fields. Under these assumptions, by the end of 2004, the average world price for crude oil is expected to decline by about $6/barrel in nominal dollars from this year’s average of just under $28/barrel, a 5% annual average decline. In constant 1999 dollars, the decline is expected to be nearly 7% annually. T Medium-term Prices In 2004, OPEC will face an uphill battle to support prices. Rising non-OPEC production will continue to take market share, forcing OPEC to cut back. Iraq will be increasing output, and Nigeria and Venezuela may have resolved some of their current problems and be able to achieve higher levels. In addition, new production is on stream in Nigeria, Algeria, and Libya. None of these countries are likely to have difficulty in placing its new output, and are thus likely to produce it regardless of quotas. This will not go down well with Middle East members, but there will be little they can do about it. OPEC has shied away for years from even beginning to grapple seriously with the issue of quota reallocation, and now that Iraq is possibly soon returning fully to the OPEC fold, most other members will be inclined to feel that Saudi Arabia should be prepared to give up some of the quota it gained in 1990. The Saudis will not take kindly to this idea. We thus expect that in 2004, in the face of a cut in the call on OPEC, new production from non-Gulf members, and the return of Iraq, the high degree of OPEC discipline we have seen since 1999 will begin to break down, and downward trending prices could provoke a “beggar my neighbor” round of competitive unwillingness to cut to quotas. These dynamics are expected to pull prices down towards Long-term Prices The anticipated fall in prices over the short to medium term would continually promote demand growth, while slowing investment in exploration and production. Demand growth will also be underpinned by global economic growth, foreseen to average 3.3% annually in 2005–20. Production from mature producing areas, principally the United States and the North Sea, should be declining after 2005. Firm demand and a slowdown in production growth will put pressure on prices to start climbing, seen to be around 2008. OPEC will likely continue to be a substantial force in determining price direction over the long term. La corsa alla competitività The Competitiveness Race di Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight by Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight Con la sua superiore performance, l’America si lascia alle spalle Europa e Giappone America’s superior performance leaves Europe and Japan behind F ra le aree maggiormente industrializzate, il Nord America rimarrà il leader della crescita nel 2004 e per gli anni a venire, grazie alla combinazione di fattori demografici favorevoli, risorse naturali in abbondanza, istituzioni finanziarie efficienti, un alto tasso di assorbimento dell’immigrazione, dimensioni straordinarie dei suoi mercati, leadership scientifica e tecnologica ed una notevole capacità imprenditoriale e di innovazione. I lavoratori nordamericani, più mobili, ed il mercato del lavoro più flessibile costituiscono un altro cospicuo vantaggio competitivo nei confronti delle altre aree industrializzate. Un altro fattore-chiave della superiore performance economica del Nord America risiede ancora nelle sue istituzioni politiche e sociali relativamente più dinamiche e reattive ad ogni livello. Grazie a questi elementi di vantaggio, la crescita economica di lungo periodo supererà agevolmente quella dell’Europa occidentale e del Giappone, così come si può osservare dal sottostante grafico 1, e il Nord America rimarrà il principale importatore mondiale di petrolio. Grafico 1: Confronto tra le aree maggiormente industrializzate Tasso di crescita del PIL in termini reali 8,0 7,0 6,0 5,0 4,0 3,0 2,0 1,0 0,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Nord America Europa Occidentale Giappone Asia escl. Giappone Fonte: Global Insight, Inc. 2003 L’Europa occidentale e il Giappone avranno i maggiori problemi nel confronto col Nord America. In primo luogo, le loro risorse demografiche e naturali non sono così favorevoli. In secondo luogo, i mercati non sono così aperti né flessibili nella stessa misura del contesto nordamericano. Terzo, Europa e Giappone sono meno attraenti per immigrati qualificati ed istruiti, nonché meno abili a gestire il processo di integrazione di questi ultimi. Quarto, la loro forza lavoro è meno mobile. Quinto, le istituzioni politiche e sociali sono meno dinamiche. Infine, la crescita economica in entrambe le aree è per certi versi intrappolata sotto il peso di onerosi programmi di welfare e di protezione sociale che diventeranno ancor più gravosi da sostenere nei prossimi decenni a venire con l’invecchiamento della popolazione. Ovviamente, i problemi economici dell’Europa occidentale sono sotto molti aspetti assai diversi da quelli del Giappone. Almeno per un motivo, l’Europa è sicuramente una società molto più eterogenea del Giappone; è costituita da 20 nazioni diverse, ciascuna con la sua lingua. Inoltre, vi è un sostanziale apporto di diversità etnica e culturale all’interno dell’Europa che rafforza i problemi scaturiti dalla tradizionale animosità nonché dalle barriere linguistiche e politiche. L’Unione europea (UE) se da un lato ha infranto gran parte delle barriere economiche tra gli attuali 15 Stati membri, dall’altro lato ha creato altri problemi, avendo imposto una serie di super-strutture burocratiche centralizzate ai suoi paesi membri. L’ingombrante processo decisionale e legislativo ha reso le istituzioni politiche e sociali europee meno dinamiche. Parimenti, l’Unione Economica e Monetaria (UEM) ed il relativo Patto di Stabilità e Crescita hanno reso la politica macro-economica di gran lunga troppo rigida. Siffatte rigidità istituzionali, che potrebbero farsi ancora più acute quando l’UE aggiungerà nuovi membri al suo tavolo nel suo processo di espansione ad est, costituiranno un peso significativo per la crescita europea di lungo periodo. Per contrasto, proprio l’omogeneità culturale ha reso la rigidità istituzionale un problema serio in Giappone. Nella conformista società giapponese, l’omogeneità culturale rafforza il conformismo, quindi scoraggiando qualsiasi forma di rischio, innovazione o dissenso dal modello dominante. Queste caratteristiche spiegano il livello di imprenditoria relativamente basso del paese, la riluttanza del governo nel deregolamentare i mercati ed aprire l’economia alla concorrenza esterna, ed il timore della Banca del Giappone nei confronti di politiche monetarie “non ortodosse”. Queste tendenze rendono assai improbabile che il Giappone adotti misure coraggiose per uscire dalla sua attuale trappola deflazionistica o per venire a capo dei suoi problemi strutturali di lungo periodo. Pertanto, è presumibile che il Giappone sia caratterizzato dalla crescita economica più incerta tra le aree maggiormente industrializzate del mondo. Tra le aree emergenti, Asia ed Oceania, guidate dal Far East, Giappone escluso, continueranno a conseguire i tassi di crescita più elevati del 2004 e per il resto del periodo oggetto della previsione. Così come in molti dei decenni passati, ciò è essenzialmente dovuto alla combinazione di fattori tipici dell’area quali l’apertura al commercio, alti tassi di risparmio interno, una forza lavoro relativamente ben istruita e qualificata. Grazie a detti fattori positivi, Asia ed Oceania dovrebbero ricevere il grosso dei flussi globali di investimenti esteri dei prossimi decenni ed appaiono destinate a diventare il centro mondiale dominante della produzione di manufatti nonché i primi consumatori di materie prime diverse dal petrolio. Grafico 2: Aree emergenti a confronto Tasso di crescita del PIL in termini reali 8,0 Tasso di crescita % 40.00 Tasso di crescita % $20/barrel, especially in the second quarter of 2004. Such behavior becomes self-reinforcing and pushes prices further down. In order to stop the cycle, Saudi Arabia may have no choice but to contemplate a major cut in output. Strong demand growth in the latter part of 2004 will pull up the call on OPEC crude again and the shock of seeing prices fall out of the bottom of the price band should see some order reestablished and prices back within the band. Despite the anticipated downward pressure, we do not expect to see prices fall back to the $18–19/barrel level that prevailed through much of the 1990s. Chart 1: Crude Oil Prices in $U.S., 2002-2006 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Paesi emergenti Europa Asia (escl. Giappone) Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Medio Oriente Africa America Latina 9 $/Bbl 35.00 30.00 25.00 20.00 Sep-06 May-06 Jan-06 Sep-05 May-05 Jan-05 Sep-04 May-04 Jan-04 Sep-03 May-03 Jan-03 Sep-02 May-02 Jan-02 15.00 Year Dated Brent 8 WTI WTI Source: Global Insight, Inc. 2003 Near-term Prices he current state of low product in-ventories signifies that refiners will need to keep operating at high utilization rates to keep up with projected demand through the first quarter of 2004. This will keep demand for crude oil strong, forming a strong base for crude prices and keeping prices firm throughout the rest of 2003. Because of the low stocks, though, prices will be very volatile, and are likely to spike in reaction to any type of supply disruption— particularly for products—or perhaps even in reaction to the possibility of a supply problem. OPEC will likely be more vigorous in defending the lower end of their price-band ($22/barrel for the OPEC basket, about $24 for WTI) by keeping a tight rein on production over the near term. In fact, because there is no shortage of crude oil, further increases by OPEC are not expected and it is more probable that OPEC will roll back production targets early next year in order to avoid a price collapse. Our near-term production forecast predicts that OPEC will decrease current production targets by 1 million barrels per day early next year to avoid a price collapse, but because crude has been bottlenecked at loading points, plenty of crude oil will be available for delivery. Net increases in non-OPEC supply are expected to be slow as well, as new projects coming on stream in the near future will do little more than offset natural declines in mature fields. Under these assumptions, by the end of 2004, the average world price for crude oil is expected to decline by about $6/barrel in nominal dollars from this year’s average of just under $28/barrel, a 5% annual average decline. In constant 1999 dollars, the decline is expected to be nearly 7% annually. T Medium-term Prices In 2004, OPEC will face an uphill battle to support prices. Rising non-OPEC production will continue to take market share, forcing OPEC to cut back. Iraq will be increasing output, and Nigeria and Venezuela may have resolved some of their current problems and be able to achieve higher levels. In addition, new production is on stream in Nigeria, Algeria, and Libya. None of these countries are likely to have difficulty in placing its new output, and are thus likely to produce it regardless of quotas. This will not go down well with Middle East members, but there will be little they can do about it. OPEC has shied away for years from even beginning to grapple seriously with the issue of quota reallocation, and now that Iraq is possibly soon returning fully to the OPEC fold, most other members will be inclined to feel that Saudi Arabia should be prepared to give up some of the quota it gained in 1990. The Saudis will not take kindly to this idea. We thus expect that in 2004, in the face of a cut in the call on OPEC, new production from non-Gulf members, and the return of Iraq, the high degree of OPEC discipline we have seen since 1999 will begin to break down, and downward trending prices could provoke a “beggar my neighbor” round of competitive unwillingness to cut to quotas. These dynamics are expected to pull prices down towards Long-term Prices The anticipated fall in prices over the short to medium term would continually promote demand growth, while slowing investment in exploration and production. Demand growth will also be underpinned by global economic growth, foreseen to average 3.3% annually in 2005–20. Production from mature producing areas, principally the United States and the North Sea, should be declining after 2005. Firm demand and a slowdown in production growth will put pressure on prices to start climbing, seen to be around 2008. OPEC will likely continue to be a substantial force in determining price direction over the long term. La corsa alla competitività The Competitiveness Race di Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight by Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight Con la sua superiore performance, l’America si lascia alle spalle Europa e Giappone America’s superior performance leaves Europe and Japan behind F ra le aree maggiormente industrializzate, il Nord America rimarrà il leader della crescita nel 2004 e per gli anni a venire, grazie alla combinazione di fattori demografici favorevoli, risorse naturali in abbondanza, istituzioni finanziarie efficienti, un alto tasso di assorbimento dell’immigrazione, dimensioni straordinarie dei suoi mercati, leadership scientifica e tecnologica ed una notevole capacità imprenditoriale e di innovazione. I lavoratori nordamericani, più mobili, ed il mercato del lavoro più flessibile costituiscono un altro cospicuo vantaggio competitivo nei confronti delle altre aree industrializzate. Un altro fattore-chiave della superiore performance economica del Nord America risiede ancora nelle sue istituzioni politiche e sociali relativamente più dinamiche e reattive ad ogni livello. Grazie a questi elementi di vantaggio, la crescita economica di lungo periodo supererà agevolmente quella dell’Europa occidentale e del Giappone, così come si può osservare dal sottostante grafico 1, e il Nord America rimarrà il principale importatore mondiale di petrolio. Grafico 1: Confronto tra le aree maggiormente industrializzate Tasso di crescita del PIL in termini reali 8,0 7,0 6,0 5,0 4,0 3,0 2,0 1,0 0,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Nord America Europa Occidentale Giappone Asia escl. Giappone Fonte: Global Insight, Inc. 2003 L’Europa occidentale e il Giappone avranno i maggiori problemi nel confronto col Nord America. In primo luogo, le loro risorse demografiche e naturali non sono così favorevoli. In secondo luogo, i mercati non sono così aperti né flessibili nella stessa misura del contesto nordamericano. Terzo, Europa e Giappone sono meno attraenti per immigrati qualificati ed istruiti, nonché meno abili a gestire il processo di integrazione di questi ultimi. Quarto, la loro forza lavoro è meno mobile. Quinto, le istituzioni politiche e sociali sono meno dinamiche. Infine, la crescita economica in entrambe le aree è per certi versi intrappolata sotto il peso di onerosi programmi di welfare e di protezione sociale che diventeranno ancor più gravosi da sostenere nei prossimi decenni a venire con l’invecchiamento della popolazione. Ovviamente, i problemi economici dell’Europa occidentale sono sotto molti aspetti assai diversi da quelli del Giappone. Almeno per un motivo, l’Europa è sicuramente una società molto più eterogenea del Giappone; è costituita da 20 nazioni diverse, ciascuna con la sua lingua. Inoltre, vi è un sostanziale apporto di diversità etnica e culturale all’interno dell’Europa che rafforza i problemi scaturiti dalla tradizionale animosità nonché dalle barriere linguistiche e politiche. L’Unione europea (UE) se da un lato ha infranto gran parte delle barriere economiche tra gli attuali 15 Stati membri, dall’altro lato ha creato altri problemi, avendo imposto una serie di super-strutture burocratiche centralizzate ai suoi paesi membri. L’ingombrante processo decisionale e legislativo ha reso le istituzioni politiche e sociali europee meno dinamiche. Parimenti, l’Unione Economica e Monetaria (UEM) ed il relativo Patto di Stabilità e Crescita hanno reso la politica macro-economica di gran lunga troppo rigida. Siffatte rigidità istituzionali, che potrebbero farsi ancora più acute quando l’UE aggiungerà nuovi membri al suo tavolo nel suo processo di espansione ad est, costituiranno un peso significativo per la crescita europea di lungo periodo. Per contrasto, proprio l’omogeneità culturale ha reso la rigidità istituzionale un problema serio in Giappone. Nella conformista società giapponese, l’omogeneità culturale rafforza il conformismo, quindi scoraggiando qualsiasi forma di rischio, innovazione o dissenso dal modello dominante. Queste caratteristiche spiegano il livello di imprenditoria relativamente basso del paese, la riluttanza del governo nel deregolamentare i mercati ed aprire l’economia alla concorrenza esterna, ed il timore della Banca del Giappone nei confronti di politiche monetarie “non ortodosse”. Queste tendenze rendono assai improbabile che il Giappone adotti misure coraggiose per uscire dalla sua attuale trappola deflazionistica o per venire a capo dei suoi problemi strutturali di lungo periodo. Pertanto, è presumibile che il Giappone sia caratterizzato dalla crescita economica più incerta tra le aree maggiormente industrializzate del mondo. Tra le aree emergenti, Asia ed Oceania, guidate dal Far East, Giappone escluso, continueranno a conseguire i tassi di crescita più elevati del 2004 e per il resto del periodo oggetto della previsione. Così come in molti dei decenni passati, ciò è essenzialmente dovuto alla combinazione di fattori tipici dell’area quali l’apertura al commercio, alti tassi di risparmio interno, una forza lavoro relativamente ben istruita e qualificata. Grazie a detti fattori positivi, Asia ed Oceania dovrebbero ricevere il grosso dei flussi globali di investimenti esteri dei prossimi decenni ed appaiono destinate a diventare il centro mondiale dominante della produzione di manufatti nonché i primi consumatori di materie prime diverse dal petrolio. Grafico 2: Aree emergenti a confronto Tasso di crescita del PIL in termini reali 8,0 Tasso di crescita % 40.00 Tasso di crescita % $20/barrel, especially in the second quarter of 2004. Such behavior becomes self-reinforcing and pushes prices further down. In order to stop the cycle, Saudi Arabia may have no choice but to contemplate a major cut in output. Strong demand growth in the latter part of 2004 will pull up the call on OPEC crude again and the shock of seeing prices fall out of the bottom of the price band should see some order reestablished and prices back within the band. Despite the anticipated downward pressure, we do not expect to see prices fall back to the $18–19/barrel level that prevailed through much of the 1990s. Chart 1: Crude Oil Prices in $U.S., 2002-2006 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Paesi emergenti Europa Asia (escl. Giappone) Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Medio Oriente Africa America Latina 9 Global Insight non si attende che lo scenario economico dell’America Latina migliori, stante l’attuale situazione dell’economia dell’area. I paesi, secondo molti uomini politici locali, stanno sperimentando i contraccolpi dovuti all’osservanza di “politiche economiche neo-classiche” e, pertanto, stanno ripensando le loro economie e le relazioni tra i settori pubblico e privato, mentre molti di essi tengono apertamente in considerazione politiche fortemente “interventiste” e populiste. Inoltre, la crescita di questi paesi, nel corso degli anni 90, fu altamente dipendente dagli investimenti esteri diretti nell’intera area, che hanno nel frattempo smesso di affluire, minando le prospettive di crescita economica futura. Allo stesso tempo, questi paesi non possono fare affidamento sul risparmio interno poiché questo non è sufficiente a garantire una performance economica adeguata. Dunque, è lecito attendersi una crescita economica più bassa per l’area nel suo complesso qualora questi paesi non fossero in grado di dar vita alle necessarie riforme che potrebbero produrre un’inversione del processo di fuoriuscita dei capitali. Naturalmente, esistono delle eccezioni a questo scenario generale, con il Cile e, molto probabilmente, il Messico posizionati meglio degli altri sul sentiero di una crescita sostenuta. Il Cile ha un risparmio interno abbastanza elevato per permettere una crescita stabile e sostenuta dell’attività economica, mentre il Messico beneficia delle sue strette relazioni e dei legami economici con gli Stati Uniti e con il mercato unico del NAFTA. Le prospettive per il Medio Oriente e il Nord Africa sono frustrate da modelli di sviluppo squilibrati e “boom-bust” (tassi di crescita eccessivi seguiti da cadute rovinose), eccessiva dipendenza dalle esportazioni di petrolio, sistemi di welfare e di sussidi sociali onerosissimi, bassa produttività del lavoro e del capitale, tensioni sociali crescenti ed incertezza politica. Infine, gran parte dell’Africa sub-sahariana ha poche possibilità di uscire dalla trappola della povertà, considerati i problemi dell’area in ordine a instabilità e conflittualità politica, guerre civili, criminalità e corruzione dilaganti e diffusi fallimenti nei progressi di ordine istituzionale e costituzionale. mong industrialized regions, North America will remain the growth leader in 2004 and onwards thanks to a combination of favorable demographic factors, abundant natural resources, efficient financial institutions, high rate of immigrant absorption, huge market size, science and technology leadership, and a tremendous capacity for innovation and entrepreneurship. North America’s more mobile workers and flexible labor markets are another strong competitive advantage over other major industrialized regions. Still another key factor in North America’s superior economic performance is its relatively dynamic political and social institutions, particularly at the grassroots level. Thanks to these advantages, North America’s economic long-term growth will easily outpace those of Western Europe and Japan as can be seen from Chart 1 below and will remain the world’s primary oil importer. Western Europe and Japan will have major problems keeping up with North America. First, their demographic and natural resource endowments are not as favorable. Second, their markets are generally not as open or as flexible. Third, they are less attractive to skilled immigrants and less effective in integrating them. Fourth, their labor force is less mobile. Fifth, their political and social institutions are less dynamic. Finally, economic growth in both regions is to some extent constrained by burdensome social-welfare programs that will become more severe over the next few decades with the aging of their populations. Western Europe’s economic problems are of course in many ways quite different from those of Japan. For one thing, Western Europe is a much more heterogeneous society than Japan. It is made up of more than 20 separate nation-states, each with its own distinct official language. Furthermore, there is a substantial amount of cultural and ethnic diversity within Europe that reinforces the problems stemming from historical animosities and political and language barriers. While the European Union (EU) has broken most of the economic barriers among its current 15 member states, it has created other problems by imposing various centralized bureaucratic superstructures on the members. The cumbersome EU decision-making processes have made European political and social institutions less dynamic. Similarly, the European Monetary Union (EMU) and the EU Stability and Growth Pact have made European macroeconomic policy far too rigid. These institutional rigidities, which could become more acute as the European Union adds new members to its roster in expanding eastward, will be a significant drag on Western Europe’s long-term growth. In contrast, it is cultural homogeneity that has made institutional rigidity a serious problem in Japan. In Japan’s conformist society, cultural homogeneity reinforces conformity, thereby discouraging any form of risk taking, innovation, or dissent. These characteristics explain the country’s relatively low level of entrepreneurship, the government’s reluctance to deregulate local markets and open up the economy to external competition, and the Bank of Japan’s fear of unorthodox monetary policy. These tendencies make it very unlikely that Japan would adopt bold measures to break out of its current deflation trap or overcome its long-term structural problems. Japan is therefore likely to be the laggard in economic growth among the world’s major industrialized regions. Among emerging-market regions, Asia and Oceania, led by nonJapan Far East, will continue to have the highest growth rates in 2004 and in the remainder of the forecast. As in the past several decades, this is mainly due to the region’s combination of openness to trade, high domestic saving rates, and a relatively well-educated labor force. Thanks to these favorable factors, Asia and Oceania is likely to receive the bulk of global foreign investment flows over the next few decades and is destined to become the world’s dominant manufacturing center and the main consumer of non-oil primary commodities. There are a number of major potential risks to this outlook, though. The biggest uncertainty is China’s future politics. China Chart 1: Comparison of Industrialized Regions Chart 2: Comparison of Emerging-Market Regions ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ A Real GDP Growth Rate Real GDP Growth Rate 8.0 Growth Rate, % 8.0 7.0 Growth Rate, % 10 Sussistono potenzialmente, tuttavia, una serie di notevoli rischi per il suddetto scenario. La principale incertezza riguarda il futuro politico della Cina, che ha uno dei ratings di rischio più elevati dell’intera Asia, a motivo di fattori sia economici sia politici. L’economia cinese presenta ancora al suo interno un settore statale elefantiaco ed inefficiente che richiede riforme. Riformare il massiccio settore statale, tuttavia, farà inevitabilmente salire la disoccupazione, il che potrebbe essere fonte di fermento e disordine sociale. La Cina, inoltre, soffre di crescente corruzione, derivante dal sistema politico autoritario del paese che Pechino sinora ha soltanto marginalmente cercato di riformare. In aggiunta, la questione irrisolta della riunificazione con Taiwan è la principale fonte di un rischio di guerra che coinvolga il paese, in particolare tenendo conto della posizione risoluta di Pechino sulla linea “Una sola Cina” e il crescente sostegno pubblico esistente a Taiwan per la causa dell’indipendenza. Inoltre, il rischio di un rallentamento nel breve periodo è significativo, vista l’economia mondiale ancora zoppicante ed il fatto che l’ingresso nel WTO imprimerà un’accelerazione alla riforma delle imprese di stato, il che deprimerà la crescita economica. Riforme più rapide porteranno, quindi, a maggiori incertezze nel breve periodo, specialmente in termini di tensioni sociali, il che avrà serie ripercussioni in termini di stabilità politica. Altro rischio fondamentale per l’Asia, e in una certa misura per il resto del mondo, viene dalla crescente potenza militare cinese e dalle frustrate aspirazioni da superpotenza. Considerati il forte senso di ingiustizia dominante nel paese, ritenuto nelle mani di altre grandi potenze, e la sua insicurezza sul proprio status attuale nel mondo, la Cina sta mostrando una tendenza verso un aggressivo nazionalismo e un’eccessiva preoccupazione di “salvare la faccia” nei negoziati internazionali e nelle dispute diplomatiche. I governanti comunisti del paese incoraggiano spesso le manifestazioni di nazionalismo per intimidire o per strappare concessioni da altri paesi (come in occasione dell’incidente del 2002 quando un jet cinese si scontrò accidentalmente con un aereo da ricognizione americano vicino all’isola di Hainan). Qualora i rischi politici e militari dovessero minare la crescita cinese, tuttavia, l’India ha il potenziale per diventare la destinazione principale degli investimenti stranieri nell’area asiatica. Nel 2004, l’India dovrebbe essere in grado di sostenere un tasso di crescita del 5,7% all’anno, ma con riforme economiche accelerate ha il potenziale per crescere al 7-8% negli anni a seguire. Purtroppo, anche lo scenario indiano deve misurarsi con due imprescindibili rischi: le tesissime relazioni con il Pakistan che potrebbero innescare nella regione un’escalation nucleare, e la sua divisione interna tra indù e musulmani che potrebbe degenerare in una guerra civile. Mentre il positivo scenario economico asiatico è in qualche modo oscurato da potenziali rischi, le prospettive per gli altri mercati emergenti vanno dal modesto al cupo. Le economie emergenti dell’Europa hanno il potenziale per una rapida crescita, ma hanno anche da affrontare sfide severe che potrebbero vanificarne i progressi. Molte delle ex repubbliche sovietiche sono politicamente instabili ed hanno bisogno di enormi aiuti esteri ed internazionali per ricostruire le loro traballanti infrastrutture ed istituzioni. La gran parte delle economie dell’est europeo e dell’area baltica presenta, invece, prospettive migliori grazie ad uno stadio di sviluppo già notevolmente più avanzato, una forza lavoro più qualificata ed istruita, una maggiore vicinanza al grande mercato europeo, e l’altissima probabilità di diventare membri dell’Unione europea e della NATO. Tra gli altri mercati emergenti, lo scenario dell’America Latina è contraddistinto da numerosi vincoli alla crescita: basso tasso di risparmio, eccessiva dipendenza dalle principali materie prime, forza lavoro eccessivamente politicizzata, corruzione ed instabilità politica. I paesi latino-americani stanno indubbiamente attraversando uno dei momenti più difficili della loro storia. Dopo un decennio di miglioramenti e di progressi, le riforme segnano il passo, e tutti i paesi dell’area si pongono la stessa domanda: ne valeva la pena? La regione sta di fatto sperimentando il duro contraccolpo di un decennio di riforme che hanno profondamente trasformato le relazioni all’interno del sistema economico stesso e tra l’economia e il sistema politico. 6.0 5.0 4.0 3.0 2.0 6.0 4.0 2.0 0.0 -2.0 1.0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 0.0 Year 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year North America Source: Global Insight, Inc. 2003 Western Europe Japan Emerging Europe Middle East Asia (excl. Japan) Africa Asia excluding Japan Source: Global Insight, Inc. 2003 Latin America has one of the higher risk ratings in Asia, which stems from economic and political factors. The Chinese economy has an enormous and inefficient state sector that requires reform. Reforming the massive state sector, however, will inevitably raise unemployment, which could cause social unrest. China also suffers from rampant corruption, stemming from the country’s authoritarian political system, which Beijing has thus far resisted reforming. Moreover, the unresolved issue of reunification with Taiwan is a major source of China’s war risks, especially given Beijing’s hardline stance on the “one-China” issue and Taiwan’s growing public support for independence. In addition, the risk of a slowdown in the near term is significant given a still sluggish global economy and the fact that WTO entry will speed up the state-owned enterprises (SOEs) reform, which will depress growth. The faster reforms will bring greater uncertainties in the short run, especially in terms of social unrest, which has serious implications for the country’s political stability. Another major risk for Asia, and to some extent for the rest of the world, stems from China’s growing military power and frustrated superpower aspirations. Given the country’s strong sense of historical injustices at the hands of other major powers and its insecurity about its current world status, China has developed a tendency toward aggressive nationalism and excessive concern with “saving face” in international negotiations and diplomatic disputes. Furthermore, the country’s Communist rulers often encourage nationalist outbursts to intimidate or extract concessions from other countries (such as during 2002 incident when a Chinese jet accidentally collided with an American surveillance aircraft near the island of Hainan). If political and military risks stymie China’s growth, however, India has the potential to become the dominant destination for foreign investment. In 2004, India should be able to sustain a growth rate of 5.7% per year, but with accelerated economic reforms it has the potential to grow at 7-8% thereafter. Unfortunately, India’s outlook also faces two major risks. India’s tense relations with Pakistan could escalate into a regional nuclear Armageddon, and its internal Hindu-Muslim religious divide could degenerate into a fratricidal civil war. While Asia’s bright economic outlook is somewhat clouded by potential risks, the prospects for the other emerging markets range from mediocre to dismal. Emerging European economies have the potential for rapid growth, but they also face severe challenges that could frustrate their progress. Many of the former Soviet Republics are politically unstable and would need huge amounts of foreign aid to rebuild their crumbling infrastructure and institutions. Most of the Baltic and Eastern European economies have better prospects thanks to their more developed economies, better-educated labor forces, proximity to the huge European market, and the high likelihood of membership in the European Union and NATO. Among the other emerging markets, Latin America’s outlook is constrained by its low saving rate, over-dependence on primary commodities, politicized labor forces, corruption, and political instability. Indeed, the Latin American countries are facing one of the toughest periods in their history. After a decade of progress, reforms are faltering, and all the countries are asking the same question: were they worthwhile? The region is experiencing a sort of backlash from a decade of reforms that have transformed the economic relationships in the economy and between the economy and the political system. Global Insight does not expect the economic outlook for the Latin American region to improve upon the current regional economy’s standing. The countries are suffering a backlash from “following neo-classical economic policies,” according to local politicians. Thus, they are rethinking their economies and the relationship between the private and public sectors, with several of them considering highly populist and interventionist policies. Furthermore, their growth during the 1990s was highly dependent on the flows of foreign direct investment (FDI) to the region. This FDI is no longer coming in, which is hurting the prospects for future economic growth. At the same time these countries can- 11 La “ripresa senza posti di lavoro” degli Usa The American “Jobless Recovery” di Andrew Hodge, Managing Director Usa Economy, Global Insight by Andrew Hodge, Managing Director USA Economy, Global Insight Uno scenario solido ma senza le condizioni del “boom” A sound scenario without boom conditions 12 not rely on domestic savings because they are not enough to provide a sustained economic performance. Thus, we should expect overall lower economic growth for the region as a whole if these countries are unable to produce the necessary reforms that could produce a reversal of the capital outflow process. Of course, there are several exceptions to this overall environment, with Chile and perhaps Mexico being best positioned for sustained growth. Chile has enough domestic savings to allow a stable and sustained growth in economic activity, and Mexico benefits from its relationship and close ties with the U.S. economy and NAFTA. The Middle East and North Africa’s prospects are frustrated by boom-bust growth patterns, over-dependence on petroleum exports, burdensome social welfare and subsidy programs, low labor and capital productivity, increasing social tensions, and political uncertainty. Finally, most of Sub-Saharan Africa has little chance of breaking out of its poverty trap, given the region’s problems of political instability and civil war, rampant crime and corruption, and widespread institutional failures. L e previsioni di Global Insight per gli Stati Uniti pronosticano una ripresa sostenibile ma che non impressiona più di tanto. I bassi tassi di interesse non solo hanno fatto esplodere la domanda sino ad allora repressa di automobili e di abitazioni, che ha contribuito fortemente a tassi di crescita del 6% nelle precedenti fasi di ripresa, ma hanno anche avuto effetti sulla normale crescita della domanda. In tal modo, la crescita dovrebbe toccare il 3,8% nel 2004, abbastanza superiore al 3,0% stimato come crescita tendenziale necessaria per consentire una lenta – anche se incompleta – eliminazione dell’output gap. Il deficit di risparmio fra la popolazione dei baby-boomers, pensioni sottofinanziate, un ampio eccesso di capacità produttiva, la continua delocalizzazione all’estero di posti di lavoro nel settore dei servizi e l’aumento del carico fiscale a livello statale e locale contribuiscono tutte ad allontanare le condizioni per un “boom”. Per il resto del 2003, si prevede che i consumatori continuino a spendere a ritmo sostenuto. Benché gran parte della liquidità di cui dispongono potrebbe essere risparmiata o usata per ripagare i debiti, parte di essa sarà spesa. Il grande impulso in tal senso dovrebbe arrivare all’inizio del 2004, quando i benefici delle riduzioni fiscali sui dividendi e sui guadagni di borsa, e le riduzioni sulla “marriage penalty” ed una nuova minimum tax dovrebbero tradursi in ingenti rimborsi alle famiglie. L’accelerazione del processo di deprezzamento produrrà anch’esso un notevole stimolo. Benché gli uomini d’affari interrogati sulla questione sostengano di non avere nei loro piani un aumento dei consumi a causa della subitanea crescita del deprezzamento (dal 30% al 50% sino alla fine del 2004), sarebbe inusuale se la liquidità aggiuntiva e i ridotti costi di capitale non innescassero un aumento dei livelli effettivi di spesa. L’aumento di spesa da parte delle piccole imprese dovrebbe essere particolarmente efficace, specie perché è programmato per esaurirsi alla fine del 2005. Nonostante che il Congresso estenderà molto probabilmente il provvedimento, la possibilità di un suo esaurimento darà una spinta ad un prolungamento dei consumi. La spesa per gli investimenti in costruzioni non-residenziali ha ancora spazio per cadere e non mostrerà corposi miglioramenti prima della seconda metà del 2004. Le costruzioni di immobili industriali, di uffici e di hotel sono in profonda depressione, per cui la loro ripresa seguirà quella generale dell’economia con un ritardo di diversi trimestri. La spinta dei bassi tassi d’interesse dovrebbe continuare a sostenere gli investimenti residenziali per tutto quanto il 2003. Ci si attende che i permessi residenziali per case mono-familiari comincino a calare verso la fine del 2003, il che significa che gli investimenti in costruzioni residenziali costituiranno un – benché piccolo – freno alla crescita del PIL nel 2004. L’alta quota di immobili non occupati porterà per forza di cose ad un rallentamento nell’attività di costruzioni di unità multi-familiari. Vi è un numero consistente di condomini di seconde case attualmente in via di edificazione che non dovrebbero essere completati con la rapidità auspicata. Il 1° luglio 2003 ha segnato l’inizio di un nuovo anno fiscale per molti governi a livello statale e locale. Quest’anno, ciò ha anche significato licenziamenti ed altri tagli “pesanti” di bilancio per molti di essi. I miglioramenti in essere della situazione economica e gli inasprimenti fiscali contribuiranno a stabilizzare la situazione, facendo venir meno la necessità di altri tagli significativi. Il commercio sta risentendo di una debolezza di ordine sia ciclico sia strutturale. La ripresa statunitense, benché anemica, è comunque più forte di quelle in atto in Europa e Giappone. Il freno rappresentato da un debole commercio con l’estero dovrebbe tuttavia presto attenuarsi, non appena le economie europea e giapponese miglioreranno verso la metà del decennio, anche se è improbabile che tale debolezza svanisca del tutto senza un drastico apprezzamento delle valute asiatiche. Tabella 1: Quadro Macroeconomico, 2000-2006 USA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Tasso di crescita del PIL in termini reali, % 3,7 0,3 2,5 2,3 3,8 3,7 3,5 Crescita della Popolazione, % 1,1 1,1 1,1 1,0 0,9 0,9 0,8 Bilancia commerciale, % del PIL -4,6 -4,2 -4,6 -5,3 -5,4 -5,3 -5,1 Bilancia corrente, % del PIL -4,2 -3,9 -4,6 -5,2 -5,5 -5,6 -5,6 Inflazione dei prezzi al consumo, % 3,4 2,8 1,6 2,2 1,5 2,2 2,0 Tassi di interesse a breve termine, % 5,8 3,4 1,6 1,0 1,1 1,7 2,1 Tassi di interesse a lungo termine, % 6,0 5,0 4,6 4,2 4,8 5,2 5,3 Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Secondo Global Insight, la Federal Reserve manterrà il tasso di interesse di riferimento sui “Federal Funds” all’1% sino al 2004. La Federal Reserve ha reso noto, nella sua ultima dichiarazione, che “permangono i timori di una deflazione”, sottolineando che l’economia ha ancora spazio per mostrare una crescita sostenibile. Benché ci si attenda un’accelerazione della crescita del PIL in termini reali verso valori dell’ordine del 3,5-4,0% nella seconda metà del 2003, si ritiene che il mercato del lavoro e il livello di disoccupazione rivestiranno un ruolo cruciale nella scelta dei tempi di un eventuale rialzo dei tassi di riferimento. La Fed può soltanto iniziare una restrizione monetaria quando l’occupazione da lavoro dipendente mostri una “ripresa reale” superiore alla crescita tendenziale, in poche parole quando le buste paga aumentano di quasi 200.000 unità al mese come tendenza consolidata (le variazioni, al momento attuale, sono negative) e la disoccupazione scende sotto il 6%. La Fed potrebbe tenere in conto tale fattore più di qualsiasi altro. Pertanto, vi sono pochi dubbi che la Fed continuerà la sua politica monetaria accomodante fino a che il mercato del lavoro non migliorerà e i rischi di deflazione non saranno venuti meno. In questo senso, il terzo trimestre del 2003 sarà cruciale. La politica fiscale è nelle mani dei consumatori. Non tutte le riduzioni del prelievo fiscale personale derivanti dal provvedimento in materia per il 2003 (Tax Act) si tradurranno effettivamente in uno stimolo. Gran parte dei benefici provenienti dal taglio alla tassa sui dividendi e sui guadagni di borsa non potrà essere realizzato prima del 2004, allorché una gran parte di essi potrebbe essere reinvestito piuttosto che speso. Anche in questo caso, si stima che il pacchetto aggiungerà all’incirca un punto in percentuale alla crescita del PIL nel 2004. Nel lungo periodo, si assume che molti dei provvedimenti qui esposti saranno validi per tutto il 2005 ed oltre, benché ci si attenda anche che alcune entrate verranno alimentate attraverso aumenti fiscali “surrettizi”. 13 La “ripresa senza posti di lavoro” degli Usa The American “Jobless Recovery” di Andrew Hodge, Managing Director Usa Economy, Global Insight by Andrew Hodge, Managing Director USA Economy, Global Insight Uno scenario solido ma senza le condizioni del “boom” A sound scenario without boom conditions 12 not rely on domestic savings because they are not enough to provide a sustained economic performance. Thus, we should expect overall lower economic growth for the region as a whole if these countries are unable to produce the necessary reforms that could produce a reversal of the capital outflow process. Of course, there are several exceptions to this overall environment, with Chile and perhaps Mexico being best positioned for sustained growth. Chile has enough domestic savings to allow a stable and sustained growth in economic activity, and Mexico benefits from its relationship and close ties with the U.S. economy and NAFTA. The Middle East and North Africa’s prospects are frustrated by boom-bust growth patterns, over-dependence on petroleum exports, burdensome social welfare and subsidy programs, low labor and capital productivity, increasing social tensions, and political uncertainty. Finally, most of Sub-Saharan Africa has little chance of breaking out of its poverty trap, given the region’s problems of political instability and civil war, rampant crime and corruption, and widespread institutional failures. L e previsioni di Global Insight per gli Stati Uniti pronosticano una ripresa sostenibile ma che non impressiona più di tanto. I bassi tassi di interesse non solo hanno fatto esplodere la domanda sino ad allora repressa di automobili e di abitazioni, che ha contribuito fortemente a tassi di crescita del 6% nelle precedenti fasi di ripresa, ma hanno anche avuto effetti sulla normale crescita della domanda. In tal modo, la crescita dovrebbe toccare il 3,8% nel 2004, abbastanza superiore al 3,0% stimato come crescita tendenziale necessaria per consentire una lenta – anche se incompleta – eliminazione dell’output gap. Il deficit di risparmio fra la popolazione dei baby-boomers, pensioni sottofinanziate, un ampio eccesso di capacità produttiva, la continua delocalizzazione all’estero di posti di lavoro nel settore dei servizi e l’aumento del carico fiscale a livello statale e locale contribuiscono tutte ad allontanare le condizioni per un “boom”. Per il resto del 2003, si prevede che i consumatori continuino a spendere a ritmo sostenuto. Benché gran parte della liquidità di cui dispongono potrebbe essere risparmiata o usata per ripagare i debiti, parte di essa sarà spesa. Il grande impulso in tal senso dovrebbe arrivare all’inizio del 2004, quando i benefici delle riduzioni fiscali sui dividendi e sui guadagni di borsa, e le riduzioni sulla “marriage penalty” ed una nuova minimum tax dovrebbero tradursi in ingenti rimborsi alle famiglie. L’accelerazione del processo di deprezzamento produrrà anch’esso un notevole stimolo. Benché gli uomini d’affari interrogati sulla questione sostengano di non avere nei loro piani un aumento dei consumi a causa della subitanea crescita del deprezzamento (dal 30% al 50% sino alla fine del 2004), sarebbe inusuale se la liquidità aggiuntiva e i ridotti costi di capitale non innescassero un aumento dei livelli effettivi di spesa. L’aumento di spesa da parte delle piccole imprese dovrebbe essere particolarmente efficace, specie perché è programmato per esaurirsi alla fine del 2005. Nonostante che il Congresso estenderà molto probabilmente il provvedimento, la possibilità di un suo esaurimento darà una spinta ad un prolungamento dei consumi. La spesa per gli investimenti in costruzioni non-residenziali ha ancora spazio per cadere e non mostrerà corposi miglioramenti prima della seconda metà del 2004. Le costruzioni di immobili industriali, di uffici e di hotel sono in profonda depressione, per cui la loro ripresa seguirà quella generale dell’economia con un ritardo di diversi trimestri. La spinta dei bassi tassi d’interesse dovrebbe continuare a sostenere gli investimenti residenziali per tutto quanto il 2003. Ci si attende che i permessi residenziali per case mono-familiari comincino a calare verso la fine del 2003, il che significa che gli investimenti in costruzioni residenziali costituiranno un – benché piccolo – freno alla crescita del PIL nel 2004. L’alta quota di immobili non occupati porterà per forza di cose ad un rallentamento nell’attività di costruzioni di unità multi-familiari. Vi è un numero consistente di condomini di seconde case attualmente in via di edificazione che non dovrebbero essere completati con la rapidità auspicata. Il 1° luglio 2003 ha segnato l’inizio di un nuovo anno fiscale per molti governi a livello statale e locale. Quest’anno, ciò ha anche significato licenziamenti ed altri tagli “pesanti” di bilancio per molti di essi. I miglioramenti in essere della situazione economica e gli inasprimenti fiscali contribuiranno a stabilizzare la situazione, facendo venir meno la necessità di altri tagli significativi. Il commercio sta risentendo di una debolezza di ordine sia ciclico sia strutturale. La ripresa statunitense, benché anemica, è comunque più forte di quelle in atto in Europa e Giappone. Il freno rappresentato da un debole commercio con l’estero dovrebbe tuttavia presto attenuarsi, non appena le economie europea e giapponese miglioreranno verso la metà del decennio, anche se è improbabile che tale debolezza svanisca del tutto senza un drastico apprezzamento delle valute asiatiche. Tabella 1: Quadro Macroeconomico, 2000-2006 USA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Tasso di crescita del PIL in termini reali, % 3,7 0,3 2,5 2,3 3,8 3,7 3,5 Crescita della Popolazione, % 1,1 1,1 1,1 1,0 0,9 0,9 0,8 Bilancia commerciale, % del PIL -4,6 -4,2 -4,6 -5,3 -5,4 -5,3 -5,1 Bilancia corrente, % del PIL -4,2 -3,9 -4,6 -5,2 -5,5 -5,6 -5,6 Inflazione dei prezzi al consumo, % 3,4 2,8 1,6 2,2 1,5 2,2 2,0 Tassi di interesse a breve termine, % 5,8 3,4 1,6 1,0 1,1 1,7 2,1 Tassi di interesse a lungo termine, % 6,0 5,0 4,6 4,2 4,8 5,2 5,3 Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Secondo Global Insight, la Federal Reserve manterrà il tasso di interesse di riferimento sui “Federal Funds” all’1% sino al 2004. La Federal Reserve ha reso noto, nella sua ultima dichiarazione, che “permangono i timori di una deflazione”, sottolineando che l’economia ha ancora spazio per mostrare una crescita sostenibile. Benché ci si attenda un’accelerazione della crescita del PIL in termini reali verso valori dell’ordine del 3,5-4,0% nella seconda metà del 2003, si ritiene che il mercato del lavoro e il livello di disoccupazione rivestiranno un ruolo cruciale nella scelta dei tempi di un eventuale rialzo dei tassi di riferimento. La Fed può soltanto iniziare una restrizione monetaria quando l’occupazione da lavoro dipendente mostri una “ripresa reale” superiore alla crescita tendenziale, in poche parole quando le buste paga aumentano di quasi 200.000 unità al mese come tendenza consolidata (le variazioni, al momento attuale, sono negative) e la disoccupazione scende sotto il 6%. La Fed potrebbe tenere in conto tale fattore più di qualsiasi altro. Pertanto, vi sono pochi dubbi che la Fed continuerà la sua politica monetaria accomodante fino a che il mercato del lavoro non migliorerà e i rischi di deflazione non saranno venuti meno. In questo senso, il terzo trimestre del 2003 sarà cruciale. La politica fiscale è nelle mani dei consumatori. Non tutte le riduzioni del prelievo fiscale personale derivanti dal provvedimento in materia per il 2003 (Tax Act) si tradurranno effettivamente in uno stimolo. Gran parte dei benefici provenienti dal taglio alla tassa sui dividendi e sui guadagni di borsa non potrà essere realizzato prima del 2004, allorché una gran parte di essi potrebbe essere reinvestito piuttosto che speso. Anche in questo caso, si stima che il pacchetto aggiungerà all’incirca un punto in percentuale alla crescita del PIL nel 2004. Nel lungo periodo, si assume che molti dei provvedimenti qui esposti saranno validi per tutto il 2005 ed oltre, benché ci si attenda anche che alcune entrate verranno alimentate attraverso aumenti fiscali “surrettizi”. 13 I tagli fiscali hanno un costo ingente: il deficit federale quest’anno si prevede possa raggiungere i 400-455 miliardi di dollari. Il crescente deficit di bilancio eserciterà pressioni sui tassi di interesse, sull’inflazione e sul dollaro. In rapporto al PIL, il deficit arriverà intorno al 3,9%, sebbene ancora di gran lunga inferiore al 5,5% registrato nell’anno fiscale 1983. Nel 2004, il deficit sarà ancora più grande, probabilmente prossimo ai 500 miliardi di dollari, ma pari ad appena il 4% del PIL. Da qui in avanti, il deficit dovrebbe attenuarsi, in parte a causa della crescita economica, in parte poiché è probabile che il Congresso non rinnovi alcuni dei tagli fiscali, ne modifichi altri, complicando però notevolmente il quadro fiscale ed aggravandone così il peso sull’economia. 14 La spesa dei consumatori crescerà più veloce nel 2004. La spesa per consumi, in termini reali, dovrebbe crescere ad un tasso annuale del 3,3% nella seconda metà del 2003, per poi accelerare fino a toccare il 4,4% nell’insieme del 2004. I tagli fiscali a livello federale recentemente introdotti accresceranno efficacemente il livello di reddito disponibile delle famiglie dell’1,5% (pari a 120 miliardi di dollari), a partire dall’estate 2003. Le novità includono un’accelerazione dei tagli all’aliquota della tassa marginale sul reddito, un aumento degli sgravi per i figli, una riduzione delle tasse sui dividendi sino ad arrivare ad un’aliquota fissa del 15%, e una tassa massima sui guadagni di borsa del 15%, benché le ultime due siano soggette all’alternativa della minimum tax. La crescita del reddito reale disponibile acquisterà vigore nel terzo trimestre 2003 e così anche all’inizio del 2004, quando le famiglie chiederanno i rimborsi fiscali. Le famiglie, quindi, riaggiusteranno gradualmente i loro modelli di consumo in funzione dei guadagni in termini di reddito al netto delle tasse. Pertanto, si prevede che il tasso di risparmio cresca dal 3,3% del secondo trimestre 2003 ad un picco del 5,1% agli inizi del 2004. Avanti con la bassa inflazione. Il nostro scenario previsionale di tiepida inflazione nel resto del 2003 e del 2004 poggia sul fatto che molti dei fattori che hanno abbassato l’inflazione negli ultimi 20 anni si ritiene siano adesso in grado di causare meno che trascurabili escalation dei prezzi. Le politiche fiscali e monetarie sono ambedue fortemente espansive. La scivolata del dollaro sta già facendo salire i prezzi alle importazioni; se è vero che il deprezzamento del dollaro nei confronti delle valute asiatiche è stato abbastanza smorzato, la posizione commerciale netta degli Stati Uniti va nella direzione di una ulteriore debolezza del dollaro, anche nei confronti delle valute del Far East asiatico le cui banche centrali sono intervenute per tenere i valori di queste ultime artificiosamente bassi. Fortunatamente, si è smesso di parlare di deflazione nel corso dell’estate 2003 non appena sono apparsi i segnali che la ripresa stava accelerando. Le nostre aspettative vedono un breve periodo di relativa stabilità dei prezzi che farà presto spazio a tassi di inflazione piuttosto blandi dopo il 2004. Si può essere certi che i bassi tassi di utilizzo della capacità produttiva e la crescita vischiosa dei posti di lavoro (i segni visibili dell’output gap) terranno a freno prezzi e salari per un periodo che va dai prossimi quattro ai prossimi sei trimestri. Il tasso di inflazione “core” dovrebbe continuare risolutamente a calare nei prossimi mesi; parimenti, il calo del prezzo del petrolio e del gas naturale nel corso del prossimo anno sono previsti far scendere sia l’indice dei prezzi al consumo che quello alla produzione per tutto il 2004. Il commercio con l’estero è un freno alla ripresa. Il commercio estero rimarrà un elemento di contrasto alla ripresa statunitense, poiché una forte crescita delle importazioni trasferisce oltreoceano parte della domanda interna. Ciò resta vero anche qualora il valore del dollaro si indebolisca, il che sosterrà la crescita delle esportazioni e attenuerà la crescita delle importazioni. Il livello assoluto delle esportazioni è talmente inferiore al livello delle importazioni che, affinché il commercio estero netto possa dare un contributo positivo al PIL, non basta che le esportazioni crescano più veloci delle importazioni: esse devono crescere più veloci del 50% (quindi, ad esempio, assumendo che le importazioni crescano del 5%, le esportazioni devono crescere più del 7,5%). Nel 2004, il commercio estero netto non fornirà un contributo positivo alla crescita economica, ma tale azione frenante sulla crescita dovrebbe attenuarsi nel secondo trimestre, per effetto di una più sostenuta crescita delle esportazioni. La svolta in positivo nell’occupazione non-agricola è stata posticipata alla fine dell’estate 2003. Entro il termine del terzo trimestre 2003, il numero di posti di lavoro nell’industria e nei servizi crescerà, benché la media del trimestre sia soltanto di 129,91 milioni di unità, ovvero 74.000 in meno rispetto al secondo trimestre. La perdita di 170.000 posti di lavoro nel settore manifatturiero dovrà essere inclusa nel conto e inciderà sul calo complessivo, mentre la produttività del settore è cresciuta dell’1,4% sul trimestre precedente. Alcuni dei posti di lavoro persi nell’industria saranno compensati dal settore dei servizi, che ha incorporato 80.000 nuovi lavoratori. Entro il quarto trimestre del 2004, il totale dei posti di lavoro nell’industria e nei servizi eccederà quello di inizio anno di 2,5 milioni di unità, con crescita sia nel manifatturiero sia nei servizi. La prima metà del 2003 è già storia. Dopo sette trimestri di ripresa esitante, l’economia sta ancora zoppicando, avendo a che fare con continue perdite di posti di lavoro, riluttanza delle imprese ad investire, settori industriali che fanno fatica a tenere sostenuto l’output. Anche dopo l’emanazione del Tax Act per il 2003, in giugno la Federal Reserve ha deciso di fornire uno stimolo aggiuntivo abbassando il tasso di riferimento sui Federal Funds all’1%. La saggezza convenzionale dice che la seconda metà del 2003 andrà meglio. Global Insight prevede che l’economia crescerà ad un tasso annualizzato del 3,7% per il resto dell’anno. La domanda è quale sia la base su cui poggia siffatta previsione, e quali siano i rischi connessi. In prospettiva futura, Global Insight ritiene che l’economia possa mantenere un tasso di crescita del 3.3% nel 2004, impedendo così il verificarsi di un nuovo fondamentale shock. Le forze che la guideranno saranno bassi tassi di interesse, stimolo fiscale, un dollaro più debole, gli effetti della Tax Act del 2003 e un graduale miglioramento del quadro occupazionale e delle prospettive per la crescita nel resto del mondo. Nondimeno continuano ad esservi rischi sostanziali che potrebbero frenare nuovamente la crescita. Una flebile crescita dell’occupazione. Posto che la crescita dell’occupazione e l’andamento del tasso di disoccupazione indicano l’arrivo della ripresa con un certo ritardo, l’aumento del numero di occupati, nell’attuale contesto di ripresa occupazionale, è stato addirittura minore che all’inizio degli anni 90, all’epoca cioè della prima, vera “ripresa senza posti di lavoro”. La buona notizia è che la crescita della produttività rimane molto forte: 5,7% nel secondo trimestre 2003 e 5,4% nel 2002. Tuttavia, una buona notizia da sola non basta a dipingere uno scenario positivo; a meno che le aziende non comincino di nuovo ad assumere e l’occupazione a crescere, i consumatori potrebbero essere nuovamente indotti a tagliare i consumi. Per fortuna, i dati più recenti sul mercato del lavoro suggeriscono che potrebbe esservi davvero la luce in fondo al tunnel: le aziende hanno iniziato ad assumere più lavoratori temporanei, e le richieste per i sussidi di disoccupazione attualmente si trovano ad un livello inferiore alla soglia delle 400.000 unità, la più bassa in sei mesi. eccessiva ai segnali di segno non univoco provenienti dalla Fed, dando così adito ad esagerati rischi di deflazione, tale moto inverso dei tassi, altrettanto netto, potrebbe essere stato eccessivo e quindi già esauritosi. La notizia veramente positiva è che il mercato dei titoli potrebbe (finalmente) costituire un fattore positivo per l’economia. Apprezzamento del dollaro USA. Se il dollaro salirà o continuerà a perdere terreno una volta che la situazione in Iraq sarà normalizzata, è materia per un dibattito non da poco. La scuola di pensiero dei “rialzisti” (ups) sostiene che il dollaro sarà nuovamente più attraente dello yen e dell’euro poiché l’economia USA si trova fondamentalmente in maggior salute rispetto a quelle di Europa e Giappone, appesantite da rigidità strutturali; mentre la scuola dei “ribassisti” (downs) ritiene che il dollaro scenderà per il semplice fatto che i consumatori statunitensi di beni e servizi stranieri spenderanno più dollari di quanti non ne voglia detenere il resto del mondo. Global Insight prevede che una volta che le incertezze legate alla guerra svaniranno il dollaro avrà un rimbalzo positivo, ma in generale si schiera con la scuola di pensiero dei “downs” e vede perciò un dollaro gradualmente calante nel medio e nel lungo termine. Una crescita debole nel resto del mondo. L’economia statunitense rimane l’unico motore di crescita dell’economia globale (con la possibile eccezione dell’Asia non-giapponese). In particolare, la domanda interna negli Stati Uniti sta crescendo da due a tre volte più velocemente che nel resto del mondo industrializzato. Il conseguente deteriorarsi delle esportazioni nette ha ridotto la crescita statunitense del secondo trimestre 2003 di circa 1,6 punti percentuali. Di fatto, tuttavia, nel secondo trimestre le vendite finali ai consumatori interni (ovvero, PIL in termini reali meno esportazioni e scorte) sono cresciute di un notevole 4,6%. Perché gli Stati Uniti possano sostenere una forte crescita nel 2004, il resto del mondo dovrà fare la sua parte. Anche in questo caso vi sono ragioni per un ottimismo molto, ma molto cauto. Vi sono i primi segnali del fatto che, sebbene con ritardo, Europa e Giappone possano cominciare a crescere più speditamente di quanto non abbiano fatto nell’ultimo anno. Instabilità postbellica in Iraq. Le operazioni di “pulizia” e di ristabilimento dell’ordine nell’Iraq postbellico potrebbero farsi ancora più complicate e difficili, sino a quando le fazioni politiche irachene apertamente antiamericane e le ostili nazioni confinanti (come Siria e Iran) continueranno a vanificare gli sforzi della coalizione a guida americana di ripristinare la legalità e l’ordine e di istituire una nuova amministrazione politica. Crisi da proliferazione nucleare. La crisi causata dall’escalation della questione nordcoreana e le crescenti tensioni intorno all’accelerazione del programma di riarmo atomico dell’Iran potrebbero ulteriormente elevare il livello di tensione geopolitica a livello globale, aumentare la volatilità dei mercati finanziari, mantenere alto il prezzo del petrolio e deprimere la fiducia di investitori e consumatori. In sede di analisi conclusiva, mentre i rischi associati alla previsione rimangono per forza di cose elevati, lo scenario più probabile è che il rimbalzo positivo nella seconda metà del 2003 negli Stati Uniti sarà comunque sostenuto. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Più elevati tassi di interesse a lungo termine. Il recente rialzo di 100 punti base nei tassi di interesse a lungo termine ha rianimato lo spettro di una caduta del mercato immobiliare e, di conseguenza, il collasso di uno dei pilastri che hanno sostenuto i consumi. Tuttavia, va detto che, se è vero che il minimo storico dei tassi sui mutui è già stato toccato ed è alle nostre spalle, il rialzo recente è relativamente modesto. Inoltre, allo stesso modo con cui la netta discesa dei tassi di interesse a lungo termine della primavera fu molto probabilmente una reazione T he Global Insight forecast anticipates a sustainable, but less-than-impressive U.S. recovery. Low interest rates have not only eliminated the pent-up demand for vehicles and housing that fueled 6% growth rates in previous recoveries, they have also eaten into the normal growth of demand. As such, growth is expected to reach 3.8% in 2004, enough above our 3.0% estimate of trend growth to permit a slow but incomplete elimination of the output gap. A savings shortfall in the baby- boomer population, under funded pensions, the vast amount and array of excess capacity, the increased ease of sending service jobs abroad, and rising state and local tax burdens, all conspire against a reappearance of boom conditions. Through the remainder of 2003, we expect consumers—flush with increased take-home pay—will pick up the pace of spending. Although much of the initial windfall may be saved or used to pay down debt, some will be spent. The big boost should come in early 2004, as the benefits of reduced taxes on dividends and capital gains and reductions in the marriage penalty and alternative minimum tax produce large refunds. The increase in accelerated depreciation will also provide some stimulus. Although businessmen when queried say they have no plans to raise spending because of the increased instantaneous depreciation (from 30% to 50% through the end of 2004), it would be unusual if the additional cash flow and reduced cost of capital did not trigger some additional outlays. The increase in small business expensing is likely to be particularly effective, especially since it is scheduled to expire at the end of 2005. Although Congress will probably extend the break, the possibility of a lapse will pull spending forward. Nonresidential construction spending has further to fall and will not show sustained improvement before the second half of 2004. Industrial, office, and hotel construction are all severely depressed, so their recovery will lag the economy by several quarters. The tailwind from low mortgage rates should keep residential investment strong throughout 2003. We expect single-family housing starts to start slipping late 2003, which means residential construction will become a small drag on GDP growth in 2004. Rising vacancy rates will also force a slowdown in multifamily activity. The second-home condos now under construction may not fill up as quickly as expected when ground was broken. July 1, 2003, brought the start of a new fiscal year for most state and local governments. This year, it has also meant layoffs and other real budget cuts for many. The improving economy and tax increases will stabilize the situation, eliminating the need for significant additional cuts. Trade is suffering from both cyclical and secular weakness. The U.S. recovery, anemic though it is, is stronger than the recoveries in Europe and Japan. The drag from a weak trade sector will moderate briefly as the Japanese and European economies improve in mid-decade, but is unlikely to disappear without a major appreciation of Asian currencies. Table 1: Macroeconomic Summary, 2000-2006 USA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Real GDP Growth Rate, % 3.7 0.3 2.5 2.3 3.8 3.7 3.5 Population Growth, % 1.1 1.1 1.1 1.0 0.9 0.9 0.8 Trade Balance, % of GDP -4.6 -4.2 -4.6 -5.3 -5.4 -5.3 -5.1 Current Account Balance as % of GDP -4.2 -3.9 -4.6 -5.2 -5.5 -5.6 -5.6 CPI Inflation, % 3.4 2.8 1.6 2.2 1.5 2.2 2.0 Short-Term Interest Rates, % 5.8 3.4 1.6 1.0 1.1 1.7 2.1 Long-Term Interest Rates, % 6.0 5.0 4.6 4.2 4.8 5.2 5.3 Source: Global Insight, Inc. 2003 Global Insight expects the Federal Reserve to hold the funds rate target at 1.00% into 2004. The Fed indicated in its statement that it remains wary of deflation and also points out that the economy has yet to exhibit sustainable growth. Although real GDP growth is expected to accelerate to the 3.5–4.0% range in the second half of 2003, we believe that the labor market and unemployment will play a critical role in timing a hike in the target rate. The Fed may only start tightening when payroll employment shows a “real recovery” to above-trend growth, e.g., monthly payroll increases nearing 200,000 per month as a solid trend (changes are still negative to date) and unemployment falls below 6.0%. The Fed may key on this more than any other single factor. Therefore, there is little doubt that the Fed will continue its accommodative policy until 15 Households will gradually adjust their spending patterns to gains in after-tax incomes. Thus, the saving rate is projected to increase from 3.3% in the second quarter of 2003 to a peak of 5.1% in early 2004. Low inflation ahead. Our outlook for mild inflation in the rest of 2003 and 2004 rests on the fact that most of the factors that brought inflation down over the past 20 years are now arrayed to produce modest price escalation. Monetary and fiscal policies are both strongly stimulative. The drop in the dollar is already lifting import prices. While it is true that the dollar’s depreciation against Asian currencies has been muted, the net trade position of the United States argues for further weakness, even against those East Asian currencies whose governments have intervened to keep their currencies artificially low. Happily, talk of deflation has subsided in the summer of 2003 as signs appear that the recovery is gaining traction. Our expectation is that a brief period of relative price stability will give way to mild inflation rates after 2004. To be sure, low capacity utilization rates and sluggish job growth (the visible signs of the output gap) will restrain prices and wages over the next four to six quarters. Indeed, core inflation rates are likely to continue drifting lower in the months immediately ahead. And falling oil and natural gas prices over the next year are forecasted to pull down top-line CPI and PPI inflation in 2004. 16 the labor market improves and the risks of deflation subside. The third quarter of 2003 will be crucial. Fiscal policy is at the mercy of consumers. Not all of the reductions in personal taxes stemming from the 2003 tax act will turn into stimulus. Much of the benefit from the cut in dividend and capital gains taxes may not be realized until the 2004 tax-filing season, when a large part may be reinvested rather than spent. Even so, we estimate the package will add nearly a percentage point to GDP growth over the 2004. Longer term, we assume that many provisions will be extended in 2005 and beyond, although we also expect that some revenue will be recaptured through “back door” increases. The tax cuts come at a cost as this year’s deficit is expected to reach $400–455 billion. The widening budget gap will exert pressure on interest rates, inflation, and the dollar. Relative to GDP, the deficit will be around 3.9%, far short of the 5.5% posted in fiscal 1983. In 2004, the deficit will be even larger, probably in the neighborhood of $500 billion, but still only about 4% of GDP. Thereafter, the deficit is projected to narrow, partly because of a growing economy, and partly because Congress is projected to let some tax breaks expire, modify others, and add various taxincreasing complications to the tax code. Consumer spending will accelerate in 2004. Real consumer spending is projected to rise at a 3.3% annual rate in the second half of 2003 and accelerate to 4.4% growth over the four quarters of 2004. Newly enacted federal tax cuts will effectively boost the level of household disposable income by 1.5%, or an annualized $120 billion, starting in the summer of 2003. The tax changes include accelerated cuts in marginal income tax rates, an increase in the child tax credit, a reduction in dividend taxes to a flat 15% rate, and a maximum tax on capital gains of 15%, although the latter two are burdened with some qualifications and are subject to the alternative minimum tax. Real disposable income growth will surge in the third quarter of 2003 and again in early 2004, when tax refunds are claimed. Poor job growth. While employment growth and the unemployment rate are lagging indicators of a recovery, job growth in this upturn has been even weaker than in the early 1990s—the original “job-less recovery.” The good news is that productivity growth remains very strong: 5.7% in the second quarter 2003 and 5.4% in 2002. However, there can be too much of a good thing, and unless corporations start to hire again and the employment picture starts to improve, consumers may curtail spending once again. Fortunately, the recent data on the labor market suggest there may be light at the end of the tunnel. Companies have started hiring more temporary workers, and the initial claims for jobless benefits are now below the threshold 400,000 level and the lowest in six months. Higher long-term interest rates. The recent 100-basis-point run-up in long-term interest rates has raised the specter of a slump in the housing market and, consequently, a collapse of one of the pillars that has supported consumer spending. However, while the low point for mortgage rates is now well behind us, the recent rise has been relatively modest. Furthermore, in the same way that the sharp drop in long-term interest rates in the spring was likely an over-reaction to mixed signals from the Fed and exaggerated fears of deflation, the recent sharp reversal may also be overdone. The good news is that the bond market may be (finally) factoring in a rebound in the economy. Foreign trade is a drag on the recovery. Foreign trade will remain a dampening force on the U.S. recovery, as strong import growth transfers some of the domestic impetus overseas. This is true even though the value of the dollar has weakened, which will support export growth and restrain import growth. The absolute level of exports is so far below the level of imports that for net trade to make a positive contribution to GDP growth, exports must grow not just faster than imports, but more than 50% faster (for example, better than 7.5% if imports are rising by 5.0%). In 2004, net foreign trade will not make a positive contribution to growth, but the drag it imposes should be much less severe than in the second quarter, as export growth improves. Appreciation of the $US dollar. Whether the dollar will go up or continue down once the Iraq situation has been defused is a matter of considerable debate. The “up” school believes that the dollar will again be more attractive than the yen and euro because the U.S. economy is fundamentally healthier than the economies of Japan and Europe, which are weighed down by structural rigidities. The “down” school thinks that the dollar will fall simply because U.S. buyers of foreign goods and services will spend more dollars than the rest of the world wants to hold. Global Insight expects that once the war uncertainties disappear the dollar will rebound, but belongs generally to the “down” school of thought and has the dollar gradually declining over the medium and long terms. The turnaround in nonfarm employment has been delayed until late summer of 2003. By the end of the third quarter of 2003, the number of nonfarm jobs will be on the rise, although the average for the quarter will be only 129.91 million, down 74,000 from the second quarter. A loss of 170,000 manufacturing jobs will account for the decline, as this sector’s productivity advances 1.4% from the previous quarter. Some of the lost factory jobs will be offset by the service sector, which picks up 80,000 workers. By the fourth quarter of 2004, total nonfarm jobs will exceed their year-earlier level by 2.5 million, with gains in both manufacturing and services. The first half of 2003 is now history. After seven quarters of this lackluster recovery, the economy is still limping with continued job losses, businesses reluctant to invest, and factories barely holding output steady. Even after the 2003 tax act was passed, the Federal Reserve decided to provide additional economic stimulus by lowering the target funds rate to 1.00% in June. Conventional wisdom says the second half of 2003 will be better. Global Insight forecasts the economy to grow at an annualized rate of 3.7% over the remainder of the year. The question is what is the basis of such a forecast—and what are the associated risks. Looking ahead, Global Insight believes the economy can maintain a growth rate of 3.3% in 2004, barring another major shock. The driving forces will be low interest rates, fiscal stimulus, a weaker dollar, likely expiration of the bonus depreciation provision of the 2003 tax bill, and gradual improvements in the jobs outlook and in the prospects for growth in the rest of the world. Nevertheless, there continue to be substantial risks that could knock growth down again. Continued weak growth in the rest of the world. The U.S. economy remains the only engine of growth in the global economy (with the possible exception of non-Japan Asia). In particular, domestic demand in the United States is growing two to three times faster than in the rest of the industrialized world. The consequent deterioration in net exports reduced 2003 secondquarter U.S. growth by about 1.6 percentage points. In fact, final sales to domestic purchasers (real GDP less exports and changes in inventories) grew a very strong 4.6% in the second quarter of 2003. For the United States to sustain strong growth in 2004, the rest of the world will have to pitch in. Here again, there are reasons to be (very) cautiously optimistic. There are early signs that, with a lag, Europe and Japan may begin to grow more strongly than they have over the past year. Post-War Iraq Instability. The post-war mopping up and stabilization operations in Iraq could become messier, as anti-American Iraqi political factions and hostile neighboring countries (such as Syria and Iran) undermine U.S.-led efforts to restore law and order and set up a new political administration. Nuclear Proliferation Crisis. The crisis caused by North Korea’s military brinkmanship and rising tensions over Iran’s recent acceleration of its nuclear arms program could further elevate global geopolitical tensions, increase financial market volatility, keep oil prices high, and depress business and consumer confidence. In the final analysis, while the risks to the forecast remain uncomfortably large, the most likely scenario is that the second-half of 2003 rebound in the United States will be sustained. 17 La malattia europea The European Disease di Emilio Rossi, Managing Director European Consulting, Global Insight by Emilio Rossi, Managing Director European Consulting, Global Insight Il taglio dei tassi di interesse da parte della BCE non sarà sufficiente a stimolare l’economia The ECB interest rates cut won’t be enough to stimulate the economy 18 L’area euro: un modesto miglioramento è alle porte S econdo le stime “flash” di Eurostat, nel secondo trimestre del 2003 l’economia dell’area euro è stata fiacca, avendo conseguito una crescita di appena lo 0,1% su base congiunturale in entrambi i precedenti trimestri. Vi sono, attualmente, nell’intera area, alcuni segnali che indicano un miglioramento – per la verità assai modesto –; tuttavia, si nota il persistere di fattori negativi critici, nonostante prezzi del petrolio più bassi, la risalita dei corsi azionari ed una ridotta incertezza che ha fatto seguito alla fine della guerra in Iraq. Le esportazioni sono sotto pressione per via dell’euro più forte e della domanda debole in alcuni mercati-chiave, le politiche fiscali sono ancora troppo restrittive in un numero eccessivo di paesi, e la fiducia delle imprese è minata da reiterate preoccupazioni sullo scenario economico mondiale. Tutto questo non fa che frenare investimenti e occupazione. A loro volta, la condizione poco brillante dei mercati del lavoro non fa che ostacolare una ripresa della fiducia dei consumatori nonché della spesa di questi ultimi. Mentre ci si aspetta che la BCE tagli ulteriormente i tassi di interesse e che diversi governi siano pronti ad intraprendere misure fiscali volte a stimolare l’economia malgrado il deteriorarsi delle finanze pubbliche, il ritmo di crescita dovrebbe migliorare soltanto gradualmente nel corso del 2004. Le persistenti difficoltà dell’area euro, insieme allo scenario globale incerto, hanno intensificato la necessità di un responso significativo da parte dei governi degli Stati membri. Di conseguenza, il taglio di 50 punti base della BCE in occasione della riunione del Consiglio Direttivo del 5 giugno 2003 è stata più che benvenuta e pienamente giustificata, anche se si ritiene che avrebbe dovuto senz’altro avere luogo prima, prevedendo una ulteriore riduzione di 50 punti base nella seconda metà del 2003. Nel contempo, lo spazio per uno stimolo fiscale nell’area è fortemente limitato dal cattivo stato di salute delle finanze pubbliche e dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita. Vi sono, al momento attuale, segnali assai graditi che alcuni paesi, e nello specifico Germania, Francia e Italia si stanno mostrando meno rigidamente ligi alle regole del Patto stesso. Inoltre, nel settembre 2002 la Commissione Europea ha deciso di spostare in avanti per i paesi dell’euro la scadenza entro cui conseguire il pareggio di bilancio (dal 2004 al 2006) per via della minore crescita economica e dello scenario mondiale incerto. Nondimeno, si ritiene che l’azione di politica fiscale rimanga troppo restrittiva nel suo insieme per via del Patto. Il risultato è che la ripresa dell’area euro continuerà a dipendere pesantemente su di un miglioramento delle condizioni economiche globali e sul conseguente rialzo della fiducia di imprese e consumatori. Di certo, è difficile non intravedere la ripresa dell’area euro come qualcosa di “graduale”, perché non potrebbe essere altrimenti. Con preoccupazione, si nota che la rapida fine della guerra in Iraq e gli associati, sensibili cali del prezzo del petrolio e i recuperi dei corsi azionari in borsa sembrano avere avuto un impatto soltanto modesto sull’attività economica dell’area, con margini per una ripresa che, però, continua ad essere soffocata da fattori strutturali in diversi paesi, in particolare in relazione ai mercati del lavoro, agli assetti dei mercati, ai sistemi di welfare, così come al contesto di poli- tica fiscale e monetaria, nel suo insieme poco flessibile e decisamente restrittivo. Inoltre, mentre si fanno previsioni più favorevoli per l’economia mondiale ora che la guerra in Iraq è finita, permangono rischi significativi, fra cui il pericolo permanente del terrorismo e la nuova minaccia rappresentata dalla Sars. La crescita dei consumi ha tenuto relativamente bene (0,4% la variazione congiunturale nel primo trimestre del 2003); ma le sue prospettive di medio termine rimangono flebili. Mentre i consumi dovrebbero trarre un qualche supporto dal modesto scenario inflazionistico, dai tassi di interesse relativamente bassi e da contenuti incrementi salariali, le preoccupazioni per lo scenario occupazionale, in particolare, e la situazione finanziaria delle famiglie (seriamente influenzata dal recente andamento fiacco delle borse e da questioni legate alla riforma delle pensioni), sembrano in grado di limitare fortemente la spesa di queste ultime per diverso tempo a venire, anche se il rapido risolversi della guerra in Iraq ha ridotto l’incertezza mondiale. La disoccupazione può, senza dubbio, continuare a salire per il resto del 2003 in tutta quanta l’area, per non scendere significativamente sino alla metà del 2004. Di conseguenza, la crescita dei consumi si dovrebbe limitare per il 2003 ad un 1,4%. Gli investimenti hanno nuovamente subito un contraccolpo negativo nel primo trimestre del 2003, dopo essersi fondamentalmente stabilizzati nella seconda metà del 2002 (venendo da sei mesi consecutivi di contrazione), e probabilmente non vedranno un significativo miglioramento sin verso la fine del 2003, quando, auspicabilmente, uno scenario mondiale più benevolo ed un rafforzamento degli ordini dovrebbero essere in grado di impennare la fiducia delle imprese. Anche in quel caso, però, le imprese potrebbero voler vedere sostanziali miglioramenti prima di impegnarsi ad effettuare nuovi investimenti; di conseguenza, gli investimenti fissi totali dovrebbero contrarsi dello 0,9% nel 2003, ulteriormente condizionati dal debole momento del settore delle costruzioni in diversi paesi. Gli investimenti e i consumi pubblici saranno limitati dagli sforzi in atto da parte dei governi di molti paesi per frenare i deficit di bilancio. La riduzione delle scorte che si è verificata nei recenti trimestri aiuterà di certo la crescita futura, benché un ulteriore calo potrebbe avere luogo nel breve termine. Complessivamente, nel 2003 la domanda interna nell’area euro è prevista salire dell’1,2%. Il commercio estero netto ha messo a segno un contributo nettamente positivo alla crescita economica dell’area euro nel corso di quasi tutto il 2002, ma è poi diventato significativamente negativo nel quarto trimestre. Analogo andamento ha avuto nel primo trimestre 2003, allorché le esportazioni sono nettamente cadute per il secondo trimestre consecutivo, strette fra una domanda globale debole e l’apprezzamento dell’euro. Le esportazioni dovrebbero crescere appena dell’1,3% nel 2003, limitate dal fiacco inizio dell’anno, dalla forza dell’euro (che ha raggiunto il suo massimo storico di 1,19 dollari USA verso la fine di maggio) e da una crescita ostinatamente insufficiente in alcuni mercati-chiave. Si prevede che le importazioni crescano del 2,6%, in parte anche riflettendo i così bassi livelli attuali da cui partono. Di conseguenza, per il 2003 il commercio estero netto ridurrà la crescita complessiva del PIL di mezzo punto percentuale. Si auspica che l’economia dell’area euro possa crescere ad un ritmo più spedito a partire dalla fine del 2003, e si ritiene altresì che essa sia in grado di consolidare una performance più significativa nel 2004, ponendosi al riparo dai possibili shocks interni o mondiali, di natura sia economica sia geopolitica. Anche in questo caso, la crescita del PIL nell’area euro è attesa crescere di un modesto 1,6% nel 2004 (rivista al ribasso dal 2% che avevamo indicato nella previsione di marzo/aprile). Una crescita mondiale relativamente più vigorosa, guidata dalla prevista crescita del 3,8% degli Stati Uniti, dovrebbe dare grande impulso alle esportazioni, così come alla fiducia delle imprese e delle famiglie. La fiducia e i livelli di spesa dei consumatori dovrebbero inoltre beneficiare di un’inflazione relativamente bassa (prevista ad un tasso medio nell’area euro dell’1,7% per il 2004), nonché di riduzioni fiscali in diversi paesi, inclusi Germania, Francia e Italia. Inoltre, i tassi di interesse rimarranno bassi, con la BCE orientata al mantenimento dei suoi tassi di riferimento all’1,5% per tutto il 2004. Tuttavia, la situazione dei mercati del lavoro non dovrebbe migliorare sensibilmente sino alla metà del 2004, il che dovrebbe avere effetti decisamente frenanti sui consumi. Pertanto, la propensione al consumo delle famiglie dovrebbe restare relativamente bassa, con tassi di risparmio che continuano nel loro trend ascendente. L’effetto complessivo dovrebbe essere una crescita dei consumi nell’area euro dell’1,6% nel 2004. Gli investimenti delle imprese dovrebbero rafforzarsi in misura più sensibile, data anche la loro recente prolungata debolezza, benché ci si attenda che rimangano ben al di sotto dei livelli della fine degli anni 90 e del 2000. Gli investimenti fissi totali dovrebbero aumentare del 2% nel 2004, contribuendo ad una crescita dell’1,8% della domanda interna complessiva. Nel contempo, la crescita delle esportazioni di beni e servizi è prevista accelerare fino ad un 3,6% nel 2004 (seppur minata, in una certa misura, dall’euro forte), con le importazioni a crescere del 4,2%. Pertanto, nel 2004 il commercio estero netto dovrebbe impattare negativamente sulla crescita del PIL di 0,2 punti percentuali. I paesi emergenti dell’Europa andranno meglio Dopo una crescita più lenta nel 2002 (3,8%), in gran parte dovuta alla ripresa meno sostenuta del previsto nell’Europa occidentale, si assume che l’espansione economica dell’area acquisterà velocità, anche se molto moderatamente, toccando il 4,0% nel 2003 e il 4,2% nel 2004. Le pressioni inflazionistiche rimarranno contenute. Le politiche economiche di molte economie dell’Europa centrale saranno sempre più influenzate dall’ingresso nell’Unione europea, previsto per il maggio 2004, nonché nell’UEM, che avrà luogo più avanti nel corso del presente decennio. Le posizioni di bilancio pubblico dovrebbero peggiorare soltanto gradualmente e nel giro di diversi anni. Nelle nostre previsioni di medio termine per le economie dell’Europa centrale, si assume come punto di partenza una stabilizzazione dei tassi di crescita in una fascia compresa tra il 3 e il 4% per gran parte di esse negli anni immediatamente precedenti e in quelli successivi all’ingresso nell’UE, nonché in quelli che porteranno all’ammissione all’area euro. Le economie dell’Europa centrale che entreranno nell’UE trarranno vastissimi benefici da tale adesione nel giro di uno o due anni: ingenti flussi finanziari sotto forma di fondi da Bruxelles, uniti ad un’accelerata integrazione commerciale con l’oc- cidente, forniranno risorse aggiuntive per investimenti in progetti infrastrutturali e di ristrutturazione dei settori economici meno efficienti. Le prospettive di crescita saranno legate all’andamento della ripresa economica in corso nell’UE e negli Stati Uniti. Politiche fiscali più espansive (sebbene ancora aderenti ai vincoli previsti dai criteri di Maastricht) forniranno sostegno alla crescita della domanda interna. Tabella 1: Quadro macroeconomico dell’area euro, 2000-2006 AREA EURO 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Tasso di crescita del PIL in termini reali, % 3,7 1,7 0,9 0,7 1,6 2,4 2,3 Crescita della Popolazione, % 0,1 0,5 0,3 0,2 0,2 0,2 0,2 Bilancia commerciale, % del PIL 0,6 1,6 2,4 1,8 1,9 1,8 1,7 Bilancia corrente, % del PIL -0,5 0,2 1,0 0,9 1,0 1,2 1,3 Inflazione dei prezzi al consumo, % 2,1 2,5 2,2 1,8 1,5 1,8 1,8 Tassi di interesse a breve termine, % 4,4 4,3 3,3 2,2 1,6 2,5 3,6 Tassi di interesse a lungo termine, % 5,4 4,9 4,9 4,0 4,4 4,8 5,1 Nota: L’area euro è composta da 11 paesi e non comprende Svezia, Danimarca, Regno Unito e Lussemburgo Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Non si ritiene che il taglio di 50 punti base da parte della BCE nei suoi tassi di interesse di riferimento (portati al 2%), effettuato il 5 giugno 2003, segni la fine dell’allentamento di politica monetaria nel contesto dell’attuale ciclo. Invero, è presumibile attendersi un’ulteriore riduzione di 50 punti base, e che porti i tassi all’1,5%. Lo scenario più probabile è che ciò avrà luogo con due diversi tagli da 25 punti base, l’uno nel quarto trimestre del 2003, e l’altro nei primissimi mesi del 2004. Le pressioni per un’azione più incisiva da parte della BCE sono state raffreddate dal recente, e marcato, rallentamento dell’euro dopo i massimi toccati a maggio 2003 nei confronti del dollaro, il che agisce come un efficace fattore espansivo sull’economia: a inizio settembre 2003, l’euro è stato scambiato a 1,0776 dollari, un valore decisamente basso se rapportato al picco di 1,194 dollari registrato a maggio. Un fattore significativo che potrebbe ritardare o impedire un ulteriore allentamento della politica monetaria è la continua costernazione espressa da parte della BCE nei confronti dei recenti sviluppi di politica di bilancio in alcuni paesi dell’area euro. Tutto ciò è venuto chiaramente alla luce in questi giorni quando è emerso che probabilmente nel 2003 i deficit pubblici sia in Germania sia in Francia saranno intorno al 4% in rapporto al PIL, ben al di sopra del limite del 3% consentito dal Patto di Stabilità e Crescita. Inoltre, ambedue i paesi sembrano propensi a violare tale limite anche nel 2004. Nel mentre, la BCE sta ancora una volta rilanciando con forza la sua visione fondata sull’importanza cruciale della disciplina di bilancio ai fini della stabilità dei prezzi di lungo periodo e della crescita futura dell’economia dell’area euro. Assumendo che la BCE tagli i tassi di interesse di altri 50 punti base nei primi mesi del 2004, ci attendiamo, quindi, che i tassi di riferimento rimangano all’1,5% fino al 2004. Dopodiché, dovrebbero gradualmente risalire, portati al 2,25% verso la metà del 2004 ed al 3% alla fine dell’anno. 19 20 La fiacca domanda interna in tutta l’area euro contribuisce a tenere viva la tentazione da parte dei governi di intraprendere ulteriori stimoli fiscali. Tale orientamento è stato rafforzato dal permanere dell’incertezza del quadro economico globale. La rapida fine della guerra in Iraq e gli associati cali del prezzo del petrolio, nonché la ripresa dei corsi azionari hanno soltanto in parte alleviato la situazione. Tuttavia, in molte delle economie dell’area euro, lo spazio per manovre addizionali di stimolo fiscale è severamente limitato dal peggioramento del quadro di finanza pubblica e dai vincoli imposti dal Patto di Stabilità e Crescita. La situazione sul fronte dell’inflazione nell’area euro dovrebbe continuare a presentarsi favorevole, sì da rendere trascurabile una qualche modesta spinta al rialzo che potrebbe venire nel breve termine dall’aumento dei prezzi degli alimentari a causa del caldo e della siccità particolarmente forti. L’aumento dei prezzi al consumo dovrebbe quindi restare moderato nel 2004, per cui si prospetta un 1,7% (secondo l’indice armonizzato Eurostat, mentre si prevede l’1,5% usando gli indici nazionali), nonostante l’attesa – e modesta – ripresa della crescita economica. La posizione commerciale e il saldo delle partite correnti dell’area euro ha tratto benefici dalla ripresa della domanda globale durante il 2002; tuttavia, da quel momento le esportazioni sono andate sotto pressione per il peggiorare dello scenario globale di crescita e per la relativa incertezza. Nonostante il rapido risolversi della guerra in Iraq, le incertezze sono rimaste in essere, il che ha contribuito a deprimere le esportazioni dell’area euro. In questo contesto, la domanda interna dell’area euro si mantiene relativamente bassa e sembra al momento attuale che possa migliorare soltanto gradualmente nel corso della seconda metà del 2003. Ciò significherebbe che le importazioni rimarrebbero deboli. Alla luce di tali sviluppi interni ed internazionali, Global Insight si attende una crescita delle esportazioni nell’area euro di appena lo 0,6% nel 2003, destinata però a salire al 4,7% nel 2004. Essendosi significativamente contratte nel 2002, le importazioni dovrebbero crescere del 2,2% nel 2003, per poi accelerare (4,3%) nel 2004. Il risultato complessivo è che il surplus commerciale dell’area euro dovrebbe toccare i 136,5 miliardi di euro nel 2003 per poi passare a 150,0 miliardi di euro nel 2004, mentre il surplus delle partite correnti è previsto per 61,4 miliardi di euro nel 2003 (pari allo 0,8% del PIL) aumentando sino a 77,4 miliardi di euro (l’1% del PIL) nel 2004. La situazione del mercato del lavoro dell’area euro dovrebbe deteriorarsi ulteriormente almeno per tutta la seconda metà del 2003. L’attività economica nella regione è ancora di gran lunga troppo debole per dare vivacità al mercato del lavoro. Al momento attuale, sembra improbabile che la crescita nell’area euro migliori sensibilmente prima della fine del 2003, specie in considerazione della mancata reattività al venir meno della guerra in Iraq e delle tensioni sul prezzo del petrolio. Un sostenibile andamento al ribasso della disoccupazione non dovrebbe aver corso prima del 2004, in quanto è probabile che le aziende decidano di aspettare di vedere un sostenuto miglioramento dell’attività prima di impegnarsi in nuove assunzioni. Di conseguenza, il declino della disoccupazione a fine anno dovrebbe essere assai più contenuto che nel periodo 1998-2000. Ci si attende, quindi, che il tasso di disoccupazione dell’area euro salga da una media dell’8,7% nel 2002 al 9,4% nel 2003, risultato quest’ultimo che dovrebbe ripetersi anche nel 2004. L’attuale debolezza del mercato del lavoro rende ancora più vitale che i paesi dell’area intraprendano profonde riforme strutturali che lo rendano più flessibile e riducano il costo del lavoro. Vi sono segnali che ciò sta avvenendo, seppur con gradualità, in alcuni paesi, mentre in molti altri i progressi restano trascurabili. Quest’ultimo punto è particolarmente vero per la Germania, anche se vi sono anche segnali favorevoli secondo cui il governo sarebbe ormai pronto ad affrontare questa materia, nonostante la forte opposizione dei sindacati. Le riforme previste dall’”Agenda 2010” del Cancelliere Schröder sono relativamente di piccola entità, ma costituiscono un passo positivo nella giusta direzione. 18 mesi. Dunque, vi è il rischio che anche una significativa ripresa degli investimenti privati possa essere rimandata; essa, al momento attuale, resta estremamente debole. Si registra con preoccupazione che la fiducia e il livello dell’attività continuano ad essere influenzate da numerosi fattori negativi. Una combinazione di politiche fiscali e monetarie eccessivamente restrittive costituisce un rischio primario per le prospettive di crescita dell’area euro. Questo è essenzialmente il risultato del contesto di politica monetaria e fiscale esistente. In virtù di esso, l’unico mandato istituzionale della BCE consiste nel mantenere l’inflazione dei prezzi al consumo sotto la soglia del 2% nel medio termine. Inoltre, il Patto di Stabilità e Crescita prevede che le finanze pubbliche, sempre nel medio termine, siano in bilancio, il che significa che i deficit di bilancio non possono superare il 3% del PIL, se non in circostanze eccezionali. Finanze pubbliche significativamente deterioratesi in seguito al recente rallentamento economico ed alla ripresa stentata che ne è seguita, insieme agli impegni sottoscritti per il Patto, implicano che i governi di alcuni paesi (incluse Germania, Francia, Portogallo e Italia) sono stati posti sotto pressione perché prendessero le prime misure di restrizione fiscale per ridurre i deficit di bilancio. La regola rimane questa. Il rischio è più evidente in Germania, ove la politica fiscale ha subito una sensibile restrizione nel corso del 2003, contribuendo in tal modo a far scivolare l’economia in una seppur modesta recessione. Perlomeno, al momento attuale vi sono segni che diversi governi, incluso quello tedesco, stanno prestando una maggiore attenzione a politiche di stimolo alla crescita, anche se questo significa inevitabilmente un venir meno agli impegni di riduzione del deficit di bilancio. Rischi inevitabili Sulla crescita dell’area euro continuano a gravare rischi significativi. Di certo, l’economia ha continuato a stentare nel corso del 2003, dopo aver già perso vigore nella seconda parte del 2002. Tale fiacca performance è stata pesantemente condizionata dallo scenario geopolitico ed economico globale all’insegna dell’elevata incertezza, dominato prima dall’escalation che ha portato alla guerra in Iraq e poi dalla guerra stessa. La susseguente fine in tempi rapidi della guerra ha alleviato solo in misura modesta i fattori di freno esistenti per l’attività economica. Nel mentre, vi sono attualmente alcuni crescenti segnali di un recupero di quest’ultima, ravvisabili essenzialmente negli indicatori anticipatori e nella misura del grado di fiducia, e che tuttavia non permettono più di tanto di arrivare a delle conclusioni univoche. La nostra previsione-chiave è che la crescita migliorerà soltanto gradualmente nel periodo che resta del 2003, prima di accelerare – seppur non significativamente – nel 2004. I consumi. Benché la domanda interna dell’area euro sia aumentata dello 0,5% nel primo trimestre del 2003, quest’ultima è stata fondamentalmente sospinta da un aumento delle scorte. I consumi sono cresciuti in misura relativamente soddisfacente, ma rimangono a livelli modesti, mentre gli investimenti attraversano nuovamente un periodo di caduta. Ciononostante, l’andamento dei consumi continua ad essere oggetto di preoccupazione, visto anche che la fiducia dei consumatori nel mese di marzo è precipitata ai minimi degli ultimi nove anni, e da allora è migliorata soltanto marginalmente. Tutto ciò indica che la fine della guerra in Iraq, prezzi del petrolio più bassi e una ripresa delle borse hanno fornito tutt’al più soltanto un sostegno limitato. Un rischio significativo che molte economie dell’area euro si trovano ad affrontare è che la spesa dei consumatori resterà ancora frenata per un periodo prolungato, essenzialmente in funzione delle preoccupazioni sul fronte occupazionale nonché sulla situazione finanziaria delle famiglie. Frattanto, la fiducia delle imprese si è indebolita sino a toccare in luglio il minimo degli ultimi Un ulteriore evidente apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro colpirebbe la competitività dell’area euro ponendo in essere un rischio significativo per le prospettive di crescita, in particolare a partire dall’espansione del 2002 che è stata in gran parte trainata dalle esportazioni. Invero, il commercio estero è stato la principale spina nel fianco della crescita del PIL nel quarto trimestre del 2002 e nel primo trimestre del 2003, nel momento in cui le esportazioni sono calate. L’euro ha raggiunto il suo massimo storico – da quando esiste – sul dollaro alla fine di maggio 2003 (ponendosi sopra quota 1,19). Ora, a questi livelli, l’euro è ancora relativamente competitivo, ragionando sugli standard di lungo periodo; tuttavia, vi è il rischio che il dollaro possa cadere ulteriormente e restare debole per un periodo prolungato, anche se l’euro ha perso parte della sua forza. Di positivo, va detto che l’euro più forte ha aiutato a contenere le pressioni inflazionistiche e facilitato una politica monetaria accomodante da parte della BCE. Prezzi del petrolio più alti e guerra in Iraq. Il successo della guerra in Iraq ha ridotto significativamente il rischio derivante da un così determinante elemento perturbativo dell’offerta di petrolio, che si sarebbe tradotto in prezzi sensibilmente più alti tali da mettere seriamente a rischio le prospettive di crescita dell’area euro. I prezzi del petrolio, infatti, sono scesi in misura notevole dai picchi registrati ai primi di marzo 2003, allorché il prezzo del Brent aveva raggiunto il massimo degli ultimi due anni (34 dollari al barile); anche alla luce dell’esperienza passata, è convinzione ampiamente diffusa che prezzi del petrolio superiori ai 30 dollari al barile possano iniziare a minare seriamente la crescita economica dell’Europa. Tuttavia, i prezzi del petrolio potranno ancora impennarsi nel 2004 se eventi politici nel Medio Oriente o azioni terroristiche particolarmente gravi dovessero portare a problemi rilevanti dal lato dell’offerta. La guerra contro il terrorismo non è certamente ancora finita. Ulteriori attacchi potrebbero avvenire negli Stati Uniti, ma anche nell’Europa Occidentale, il che potrebbe ovviamente colpire seriamente la fiducia e le prospettive di crescita globale. Una ripresa più debole negli Stati Uniti. Un ulteriore rischio che l’economia dell’area euro si trova ad affrontare riguarda l’entità della ripresa economica degli Stati Uniti, ovvero se quest’ultima doves- se fermarsi o rivelarsi più debole del previsto, in tal modo pregiudicando l’intero quadro economico mondiale. Attualmente, la ripresa statunitense appare costante, nonostante alcuni recenti dati piuttosto “freddi”, per cui le previsioni di Global Insight assegnano agli Stati Uniti una crescita del 2% in 2003 e del 3.8% nel 2004. Tuttavia, tale scenario potrebbe rivelarsi ottimistico, in particolare alla luce del persistere degli squilibri macroeconomici esistenti negli Stati Uniti; è evidente, in base a quanto è accaduto nel 2001, che l’area euro è in larga misura influenzata da quanto accade all’economia statunitense, anche quando i “fondamentali” delle economie europee sembrano essere solidi. I 27 paesi che formano l’area dell’Europa “emergente” differiscono profondamente in ordine al loro stadio di sviluppo economico, al sistema politico ed ai rispettivi profili di rischio-paese complessivo. Le 10 economie più sviluppate nell’Europa centrale e nell’area Baltica, che hanno intrapreso la transizione dall’economia pianificata all’economia di mercato all’inizio degli anni 90, hanno sin qui conseguito i più significativi progressi nell’adozione di politiche macroeconomiche adeguate, nell’introduzione del primato del diritto, nella privatizzazione delle proprietà statali, nella ristrutturazione dell’industria pesante, nonché nella liberalizzazione dei prezzi, dei regimi di cambio e dei flussi di capitale. Otto di questi paesi hanno completato con successo i negoziati con l’Unione Europea, di cui faranno parte come membri a pieno titolo a partire dal maggio 2004. Altre due, Romania e Bulgaria, hanno visto formalizzata la richiesta di adesione alla NATO nel 2002 e dovrebbero poter entrare nell’UE già nel 2007. Il rischio complessivo legato all’investimento in questi 10 paesi è calato gradualmente ma in misura invero consistente nell’arco dell’ultimo decennio. I rischi attuali attengono in gran parte alle politiche fiscali eccessivamente espansive, alla ristrutturazione ed alla riconversione più lenta del dovuto dell’industria pesante, ed a settori agricoli ancora largamente sovradimensionati e non ristrutturati, come in Polonia e in Romania. Molte banche centrali hanno gestito regimi di fluttuazione controllata nei confronti dell’euro, o, come nel caso dell’Estonia, della Lituania e della Bulgaria, dato vita a un sistema di currency board. Nel mentre, per le principali economie dell’area la volatilità dei cambi delle rispettive valute rimane un problema, con pressioni perlopiù “rialziste” risultanti dagli ingenti flussi di capitale e dagli introiti delle privatizzazioni. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Eurozone: a Modest Improvement in Sight T he Eurozone economy was flat in the second quarter of 2003, according to Eurostat’s “flash” estimate, having eked out growth of just 0.1% quarter on quarter (q/q) in both of the previous two quarters. There are currently some signs of a very modest improvement in activity across the region, but significant dampening factors persist despite the lower oil prices, rally in equities, and reduced uncertainty that have followed the end of the Iraq war. Exports are being pressured by the stronger euro and soft demand in key markets, fiscal policies are still too restrictive in many countries, and business confidence is being dampened by persistent concerns over the global economic outlook. This is restraining investment and employment. In turn, weak labor markets are limiting the upturn in consumer confidence and spending. While we expect the ECB to cut interest rates further and several governments appear ready to take fiscal action to stimulate the economy despite weakened public finances, growth is likely to improve only gradually through 2004. The Eurozone’s persistent struggles, coupled with the uncertain global outlook, have intensified the need for a significant response by the region’s policy makers. Consequently, the ECB’s 50-basispoint cut at its June 5, 2003, policy meeting was most welcome, and fully justified. Indeed, we believe it should have occurred earlier, and expect to see a further reduction of 50 basis points in the second half of 2003. Meanwhile, scope for fiscal stimulus across the region is severely limited by the weakened state of public finances and the con- 21 22 straints of the Stability and Growth Pact. There are now very welcome signs that some countries, notably Germany, France, and Italy, are becoming less prepared to stick rigidly to the pact’s rules. Furthermore, the European Commission decided in September 2002 to push back the deadline for countries to achieve a balanced budget from 2004 to 2006 because of slower growth and the uncertain global outlook. Nevertheless, we believe that fiscal stances will remain too restrictive overall because of the pact. As a result, the Eurozone recovery will continue to be heavily dependent on an improvement in the global outlook boosting consumer and business confidence. Indeed, it is difficult to see the Eurozone recovery being anything other than gradual. Worryingly, the quick ending to the war in Iraq, and associated marked falling back in oil prices and rally in equities appears to have had only a modest positive impact on Eurozone economic activity, with scope for recovery in the region overall continuing to be held back by structural impediments in many countries––particularly relating to labor markets, product markets, and costly social welfare systems––as well as the generally inflexible and restrictive monetary and fiscal policy framework. In addition, while we are relatively upbeat about the prospects for the global economy now that the war in Iraq is over, significant risks remain, including the now ever-present threat of terrorism and, the new threat from severe acute respiratory syndrome (SARS). Consumer spending growth held up relatively well at 0.4% q/q in the first quarter of 2003, but its near-term prospects remain subdued. While spending should gain some support from generally moderate inflation, relatively low interest rates, and modestly higher pay increases, concern over unemployment, in particular, and their financial positions (influenced by recent weak equity markets and pension problems) seem set to limit consumers’ expenditure for some time to come, even though the early end to the war in Iraq has reduced global uncertainty. Indeed, unemployment is likely to keep rising through 2003 across the region, and probably will not start to fall significantly until near mid2004. Consequently, consumer spending growth is expected to be limited to 1.4% in 2003. Capital spending suffered a renewed downturn in the first quarter of 2003, after essentially stabilizing in the second half of 2002 after six quarters of contraction, and it will probably now not see significant improvement until late in 2003, when hopefully, a more benign global environment and strengthening orders should boost business confidence. Even then, businesses may want to see sustained improvement before committing themselves to more investment. Consequently, total fixed investment is projected to contract by 0.9% in 2003, further limited by continuing weak construction in many countries. Public investment and consumption will be limited by government efforts in several countries to rein in their budget deficits. The reduction in stocks that has occurred in recent quarters will help future growth, although a further stocks drawdown may occur in the near term. Overall, Eurozone domestic demand is forecast to rise by 1.2% in 2003. Net trade made a healthy overall positive contribution to Eurozone growth over most of 2002, although it was significantly negative in the fourth quarter. It was also markedly negative in the first quarter of 2003, when real exports fell for a second successive quarter amid faltering global growth and the appreciation of the euro. Exports are forecast to grow by just 1.3% in 2003, limited by the subdued start to the year, the stronger euro (it reached a lifetime high above US$ 1.19 in late May) and persistent subdued growth in some key markets. Imports are projected to grow by 2.6%, partly reflecting the fact that they are at such a low base. Consequently, net trade reduces overall GDP growth by 0.5 percentage point in 2003. The Eurozone economy will hopefully be growing at an improved rate by the end of 2003, and we believe that it should be able to gradually build on this stronger performance in 2004, barring any new domestic or global economic or geopolitical shocks. Even so, Eurozone GDP growth is expected to be a mod- est 1.6% in 2004 (revised down from the 2.0% that we had projected in the full March/April quarterly forecast). Relatively healthy global growth, led by forecast growth of 3.8% in the United States, is projected to boost exports, as well as business and consumer confidence. Consumer confidence and spending should also benefit from relatively low inflation (forecast to average 1.7% across the Eurozone in 2004) as well as tax cuts in several countries, including Germany, France, and Italy. Furthermore, interest rates will remain low, with the ECB projected to keep its key interest rate at 1.50% through 2004. However, labor markets are unlikely to improve significantly until at least near the middle of 2004, which is likely to have some dampening impact on consumption. Thus, consumers’ propensity to consume may stay relatively low, with savings rates continuing their recent upward trend. On balance, we forecast Eurozone consumer spending to grow by 1.6% in 2004. Business investment should strengthen more markedly given its prolonged recent weakness, although it is expected to remain well below the levels at the end of the 1990s and in 2000. Total fixed investment is projected to rise by 2.0% in 2004, contributing to a 1.8% rise in overall domestic demand. Meanwhile, growth in exports of goods and services is forecast to accelerate to 3.6% in 2004 (dampened to some degree by a firmer euro), with imports growing by 4.2%. Thus, net trade reduces overall GDP growth by 0.2 percentage point. Emerging Europe Will Do Better After a slower 3.8% growth in 2002, mostly due to weakerthan-expected recovery in Western Europe, we project that the regional expansion will accelerate very moderately to 4.0% in 2003 and 4.2% in 2004. Inflationary pressures will remain subdued. Economic policies of several Central European countries will be increasingly determined by the planned entry into the European Union in May 2004 and into the EMU later in the decade. Fiscal balances are expected to decline only gradually over the next several years. In our medium-term forecast for Central European economies, we assume a stabilization of growth rates in the 3–4% range for most of the economies in the years preceding and following accession to EU and immediately ahead of admission into the Eurozone. The Central European accession economies will benefit handsomely from the prospect of becoming members of the EU within a two-year timeframe. Large inflows of preaccession funds from Brussels, coupled with further economic and trade integration with the West, will provide additional resources for investment in infrastructure projects and restructuring of less efficient sectors of the economy. Growth prospects will be linked to the ongoing economic recovery in the EU and the United States. More accommodating fiscal policies (although still falling within the boundaries of the Maastricht criteria) will spur growth in domestic demand. Table 1: Eurozone’s Macroeconomic Summary, 2000-2006 EUROZONE Concepts 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Real GDP Growth Rate, % 3.7 1.7 0.9 0.7 1.6 2.4 2.3 Population Growth, % 0.1 0.5 0.3 0.2 0.2 0.2 0.2 Trade Balance, % of GDP 0.6 1.6 2.4 1.8 1.9 1.8 1.7 -0,5 0.2 1.0 0.9 1.0 1.2 1.3 CPI Inflation, % 2.1 2.5 2.2 1.8 1.5 1.8 1.8 Short-Term Interest Rates, % 4.4 4.3 3.3 2.2 1.6 2.5 3.6 Long-Term Interest Rates, % 5.4 4.9 4.9 4.0 4.4 4.8 5.1 Current Account Balance as % of GDP Note: Eurozone consist of 11 countries and does not include Sweden, Denmark, United Kingdom and Luxembourg Source: Global Insight, Inc. 2003 We do not believe that the ECB’s 50-basis-point cut (to 2.00%) in its key interest rate on June 5, 2003, marks the end of its easing of monetary policy in the current cycle. Indeed, we currently expect to see a further 50-basis-point reduction, taking the rate down to 1.50%. It is most likely that this will occur in the form of two 25basis-point cuts, one in the fourth quarter of 2003 and the final one in the early months of 2004. Pressure for more aggressive ECB action has been diluted by the recent, marked easing of the euro back from its 2003 May peaks against the dollar, which is acting as an effective loosening of policy. The euro traded as low as US$ 1.0776 in early September 2003, compared with its May peak of US$ 1.194. One significant factor that could delay or prevent any further relaxation of monetary policy is the ECB’s continuing dismay over recent fiscal policy developments in some Eurozone countries. This is currently being highlighted by the likelihood that the budget deficits in both Germany and France are likely to be around 4% of GDP in 2003, well above the 3%-of-GDP ceiling allowed under the Stability and Growth Pact. Furthermore, both countries seem very likely to exceed the ceiling again in 2004. The ECB is once again stressing what it sees as the critical importance of fiscal discipline for the long-term price stability and growth prospects of the Eurozone economy. Assuming that the ECB cuts interest rates by a further 50 basis points by the early months of 2004, we expect the bank’s key interest rate to then remain at 1.50% right through 2004. It is then seen rising gradually, to 2.25% by the middle of 2004 and 3.00% at the end of that year. Subdued domestic demand throughout the Eurozone is maintaining the temptation for governments to undertake further fiscal stimulus. This temptation has been reinforced by the uncertain global economic environment. The quick ending of the war in Iraq and associated lower oil prices and higher equity prices has only partly alleviated the situation. However, in many Eurozone countries, the scope for additional fiscal stimulus is severely limited by the weakened state of public finances and the constraints imposed by the Stability and Growth Pact. Consequently, the underlying inflation situation in the Eurozone continues to remain generally benign, even allowing for the fact that some modest upward pressure could come in the near term from higher food prices due to recent particularly hot and dry weather. Eurozone consumer price inflation is projected to remain moderate in 2004, at 1.7% on the EU-harmonized basis (1.5% on national inflation basis), despite a modest expected pickup in growth. The Eurozone trade and current account balances benefited earlier in 2002, as global growth improved. However, exports have since come under pressure from faltering global growth and uncertainty. Despite the quick ending to the Iraq war, uncertainties have persisted, which is still weighing down on Eurozone exports. Meanwhile, Eurozone domestic demand is still relatively weak and now seems likely to improve only gradually through the second half of 2003. This should mean that imports remain subdued. Against this domestic and international backdrop, Global Insight expects Eurozone export growth to be just 0.6% in 2003, improving to 4.7% in 2004. Having contracted significantly in 2002, imports are forecast to grow 2.2% in 2003, strengthening to 4.3% in 2004. As a result, the Eurozone trade surplus is forecasted to be 136.5 billion euro in 2003, widening to 150.0 billion in 2004. The current account surplus is projected at 61.4 billion euro in 2003 (0.8% of GDP), widening to 77.4 billion euro (1.0% of GDP) in 2004. The Eurozone labor market is likely to deteriorate further over the second half of 2003 at least. Economic activity throughout the region is still far too weak to boost the jobs market. Indeed, it now seems unlikely that Eurozone growth will improve substantially until late 2003, especially as there has not been a significant upturn following the quick ending of the war in Iraq and lower oil prices. Consequently, a sustainable downward trend in unemployment probably will not start now until 2004, given that firms are likely to want to see sustained improvement in business before committing themselves to more employment. Consequently, the eventual declines in unemployment are likely to occur at a more modest pace than over 1998–2000. We project the Eurozone unemployment rate to rise from an average of 8.7% in 2002 to 9.4% in 2003. It is also forecast to average 9.4% over 2004. The current weakness in the labor market makes it even more important that countries undertake vital structural reforms to make labor markets more flexible and to reduce total wage costs. There are signs that such reforms are taking place gradually, but progress remains painfully slow in many countries. This has been particularly true of Germany, but there are currently welcome signs that the government is finally becoming more prepared to deal with the issue, despite strong opposition from the unions. Chancellor Schroeder’s “Agenda 2010” reforms are a relatively small, but nevertheless positive step in the right direction. Unavoidable Risks Significant risks to the Eurozone growth persist. Indeed, the economy has stuttered further during 2003, after losing momentum in the second half of 2002. This poor performance was heavily influenced by the highly uncertain global geopolitical and economic outlooks, dominated by the run-up to, and then war in Iraq. The subsequent quick ending to the war has only modestly alleviated the dampening influences on Eurozone economic activity. While there are currently some increasing signs of a pickup in activity, they remain primarily to leading indicators and sentiment measures, and are by no means conclusive. Our central forecast is for growth to improve only gradually through the rest of 2003, before accelerating modestly in 2004. Consumer spending. Although Eurozone domestic demand increased by 0.5% q/q in the first quarter of 2003, this was substantially boosted by a buildup in inventories. Consumer spending growth held up relatively well, but at a modest level, while investment suffered a renewed relapse. Nevertheless, the consumer sector is currently still a cause for concern, as consumer confidence sank to a nine-year low in March. It has since improved only modestly. This suggests that the ending of the Iraq war, lower oil prices, and a rally in equities had provided only limited support, at best. A significant risk facing many Eurozone countries is that consumer spending will remain subdued for a prolonged period amid concerns over unemployment, in particular, and household’s financial situations. Meanwhile, business confidence weakened to an 18-month low in July. Thus, there is a risk that a significant pick-up in business investment could be delayed. This currently remains extremely weak. Worryingly, a number of dampening influences remain on sentiment and activity. A combination of too-restrictive monetary and fiscal policy is a major risk to Eurozone growth prospects. This is primarily the result of the monetary and fiscal policy framework that exists. Under this framework, the ECB’s sole mandate is to keep annual consumer price inflation down to a ceiling of 2.0% over the medium term, while the Stability and Growth Pact requires budgets to be balanced over the medium term, with the budget deficit not allowed to exceed 3.0% of GDP in any year, unless under exceptional circumstances. Significantly weakened public finances following the recent downturn and current subdued recovery, coupled with commitments under the Stability and Growth Pact, mean that governments in some countries—including Germany, France, Portugal, and Italy—have been under pressure to enact early fiscal tightening measures to reduce their budget deficits. This remains the case. The risk is clearest in Germany, where fiscal policy was tightened markedly in 2003, contributing to the economy falling back into modest recession. At least there are now signs that several governments––including Germany’s––are placing greater emphasis on growth-stimulating policies, even if this means becoming less committed to bringing down the budget deficit. A further sharp appreciation of the euro against the dollar would hurt Eurozone competitiveness and pose a significant risk to growth prospects, particularly since the expansion in 23 Aree emergenti, robusta ripresa nel 2004 Emerging Regions, a Robust Growth in 2004 di Farid Abolfhati, Managing Director Emerging Markets and Risk Service, Global Insight by Farid Abolfhati, Managing Director Emerging Markets and Risk Service, Global Insight Tecnologie ed esportazioni guidano la ripresa Technology and exports lead the recovery 24 2002 was largely export led. Indeed, net trade was a major drag on GDP in the fourth quarter of 2002 and the first quarter of 2003, as exports declined. The euro reached a lifetime high against the dollar in late May 2003, above US$ 1.19. At this level, the euro is still relatively competitive by long-term standards, but there is a risk that the dollar could fall much further and remain weak for a prolonged period, even though the euro has since eased back. On the positive side, the firmer euro has helped to contain inflationary pressures and facilitate a more accommodative monetary policy stance by the ECB. Higher oil prices and war in Iraq. The success of the war in Iraq significantly reduced the risk of a major disruption to oil supplies, resulting in sustained sharply higher prices which would seriously undermine Eurozone growth prospects. Indeed, oil prices have fallen back markedly from their early-March 2003 peaks, when Brent oil prices reached a two-year high over $34/barrel. It is widely considered that once oil prices rise above $30/barrel, they can start to seriously undermine Eurozone growth prospects. However, oil prices could still spike up in 2004 if events in the Middle East or terrorist action led to any disruption in supplies. Indeed, the war against terrorism is not over yet. Further terrorist attacks could occur in the United States, or even Western Europe, which would clearly undermine confidence and global growth prospects. A weaker U.S. recovery. A further risk facing the Eurozone economy is if the U.S. recovery stalls or is weaker than we expect, thereby undermining the global outlook. Currently, the U.S. recovery appears to be continuing despite some softer recent data, and Global Insight currently forecasts U.S. growth to be 2.0% in 2003 and 3.8% in 2004. However, this outlook could prove to be optimistic, particularly as U.S. economic imbalances still exist. It is clear from what happened in 2001 that the Eurozone is significantly affected by what happens in the U.S. economy, even when domestic European fundamentals appear to be strong. The 27 countries that comprise the Emerging Europe region differ considerably with respect to their stage of economic development, political systems, and their overall risk profiles. The ten most developed economies in Central Europe and the Baltics, which embarked on the transition from central planning to the market-driven economy in the early 1990s, have made the most progress in adopting sensible macroeconomic policies, introducing the rule of law, privatizing state-owned property, restructuring heavy industries, and liberalizing prices, foreign exchange regimes, and capital flows. Eight of those countries have completed the accession negotiations with the European Union and are scheduled to join the European Union as full members in May 2004. Two others, Bulgaria and Romania, were invited to join NATO in 2002 and should be able to join the EU as early as in 2007. The overall risk in investing in these ten countries has been declining gradually but consistently over the last several years. Current risks relate mostly to overly expansionary fiscal policies, slower-than-expected restructuring of heavy industries, and largely unrestructured agricultural sectors, mainly in Poland and Romania. Most central banks have run managed floats against the euro or, as in the cases of Estonia, Lithuania, and Bulgaria, feature a currency board system. For the major economies, currency volatility remains a problem, with mostly upward pressures resulting from large capital flows and privatization revenues. Asia L a crescita economica in Asia dovrebbe cominciare a riprendersi nella seconda metà del 2003. A tal riguardo, vi sono tre fattori favorevoli alla crescita nel predetto periodo: un “ritorno alla normalità” dopo la crisi dovuta alla Sars, una crescita più sostenuta negli Stati Uniti ed un nuovo balzo del settore tecnologico. L’epidemia di Sars ha portato numerose economie asiatiche o a rallentare sensibilmente o a contrarsi bruscamente nel corso del secondo trimestre. Ora che l’emergenza è in gran parte finita, la domanda dei consumatori e il turismo dovrebbero trarre forti benefici. Altro fattore positivo è la ripresa più forte del previsto manifestatasi nel secondo trimestre negli Stati Uniti, che sono di gran lunga il più importante mercato di riferimento per le esportazioni dell’area asiatica. Dato che ci si attende che l’economia statunitense cresca ancora più vigorosamente nella seconda metà dell’anno e nei mesi successivi, le esportazioni asiatiche dovrebbero anch’esse crescere a velocità più sostenuta. Per concludere, sembra che la caduta del settore tecnologico sia ormai alla fine. La domanda di semiconduttori, ad esempio, è cresciuta di più del 10% nella prima metà del 2003. Questo sarebbe un sostegno non soltanto per le esportazioni asiatiche orientate all’elettronica e a particolare contenuto tecnologico, ma anche per gli investimenti nell’area nel loro complesso, tuttora depressi. Inoltre, la politica monetaria e fiscale dovrebbe mantenersi espansiva nel breve termine, il che dovrebbe aiutare l’area a conseguire una crescita più auto-sostenibile nel 2004. I suddetti fattori positivi indicano anche la probabilità che la ripresa in Asia sarà molto sostenuta. Nel precedente ciclo negativo dell’economia mondiale, i governi dell’area asiatica sono riusciti con successo a mettere al riparo i rispettivi paesi mediante politiche volte a creare un ciclo virtuoso di crescita, basato su politiche monetarie e fiscali aggressive che hanno stimolato la domanda di consumi privati (e dato propellente alla crescita complessiva dell’economia); a sua volta, l’aumento della domanda ha comportato un aumento delle esportazioni degli altri paesi. L’Asia dovrebbe entrare in un altro ciclo virtuoso in concomitanza con l’attuale fase di ripresa, grazie a due fattori estremamente favorevoli che non caratterizzavano il ciclo precedente: la principale locomotiva del mondo (gli Stati Uniti) sta nuovamente ripartendo e probabilmente con maggiore velocità, ed il mercato del settore tecnologico (il settore più importante per molte economie dell’area) si sta finalmente riprendendo. In sostanza, il nodo cruciale dello scenario di medio termine per l’Asia è rappresentato dalle riforme strutturali, dalla crescita dei consumi, dal commercio intra-asiatico, dalle prospettive dell’economia statunitense, e da una Cina più integrata con l’economia mondiale. Riforme strutturali intraprese con successo assicureranno investimenti più efficaci. Ciò, a sua volta, permetterà alle economie asiatiche di essere più orientate ai consumi, il che dovrebbe ripercuotersi positivamente sul commercio intra-asiatico. Sul fronte delle riforme, la Cina e la Corea del Sud si sono rivelate le più intraprendenti. La determinazione della Cina in tal senso è stata testimoniata dalla sua volontà di entrare a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), con ciò ponendo i suoi produttori interni dinanzi al rischio dell’aspra competizione straniera e globale. La Corea del Sud ha anch’essa compiuto significativi passi in avanti dalla fine della crisi finanziaria asiatica. Il governo di Seul ha attivamente contribuito a sanare il sistema finanziario e bancario del paese; il risultato è che le banche coreane hanno potuto efficacemente fornire un sostegno all’economia, potendo spostare gran parte della loro attenzione dagli investimenti delle aziende al sostegno ed all’espansione della domanda interna. In tema di riforme, il resto dell’Asia ha invece continuato ad indugiare, in particolare il Giappone. Rimane un punto interrogativo la questione se il recente trend di crescita dei consumi abbia carattere permanente. Come si è poc’anzi anticipato, ciò dipende in larga misura dal grado di successo delle riforme dei rispettivi sistemi finanziari che i governi asiatici riusciranno a condurre in porto. La performance economica del paese principale destinatario delle esportazioni asiatiche, gli Stati Uniti, è un altro fattore-chiave nello scenario di un’area che mantiene ancora una connotazione fortemente “orientata all’export”. Dal momento che ci si attende che la crescita dell’economia statunitense durante il 2004 sia, bene che vada, abbastanza modesta, la performance delle esportazioni asiatiche potrebbe risentirne in negativo. Inoltre, le esportazioni asiatiche potrebbero subire un duro colpo qualora il dollaro andasse incontro ad una forte svalutazione visto l’enorme deficit delle partite correnti. Tuttavia, qualora l’Asia riuscisse a mantenere gli attuali trend di crescita dei consumi, il commercio fra i paesi asiatici ne risentirebbe positivamente, e ciò in parte controbilancerebbe l’impatto negativo di un rallentamento della domanda negli Stati Uniti. L’ingresso della Cina nel WTO potrebbe anch’esso esercitare una qualche pressione sul resto dell’Asia, in particolare sui paesi dell’ASEAN. I bassi costi interni e l’enorme mercato potenziale che caratterizzano la Cina hanno reso il paese un punto di riferimento per gli investitori stranieri, i quali potrebbero deviarvi gran parte degli investimenti esteri dai paesi dell’ASEAN, che costituivano un approdo più allettante prima della crisi finanziaria dell’area. Poiché gran parte di tali investimenti sono indirizzati a siti produttivi di manufatti destinati ad essere esportati, le esportazioni dei paesi dell’ASEAN dovrebbero essere penalizzate. In definitiva, nel 2004 e per tutto il resto del periodo di previsione la Cina guiderà la crescita economica, seguita da India e Vietnam. I tassi di crescita di queste economie nel 2004 saranno compresi tra il 5 e il 7%. Filippine, Malesia e Indonesia sperimenteranno anch’esse una crescita robusta, ma più moderata (tra il 4% e il 5%). Le economie di Tailandia, Singapore, Hong Kong, Australia, e Taiwan cresceranno tra il 3% e il 4%, mentre il Giappone arrancherà, crescendo soltanto dell’1,3% nel 2004. Cina Dopo il rallentamento indotto dal manifestarsi della Sars nel secondo trimestre del 2003, l’economia dovrebbe conoscere, nel breve periodo, una sorta di “ritorno alla normalità”. I tassi di cambio del renminbi sono rimasti competitivi, e dunque la valuta cinese dovrebbe restare ferma rispetto al dollaro nel 2004. Nell’immediato, la deflazione dovrebbe rimanere una fonte di preoccupazione, nonostante la crescita dei prezzi al consumo nella prima metà dell’anno, poiché l’economia deve ancora smaltire pienamente il suo eccesso di capacità produttiva. Un rischio-chiave per l’economia cinese continua ad essere costituito dal come liberalizzare i suoi settori econo- 25 Aree emergenti, robusta ripresa nel 2004 Emerging Regions, a Robust Growth in 2004 di Farid Abolfhati, Managing Director Emerging Markets and Risk Service, Global Insight by Farid Abolfhati, Managing Director Emerging Markets and Risk Service, Global Insight Tecnologie ed esportazioni guidano la ripresa Technology and exports lead the recovery 24 2002 was largely export led. Indeed, net trade was a major drag on GDP in the fourth quarter of 2002 and the first quarter of 2003, as exports declined. The euro reached a lifetime high against the dollar in late May 2003, above US$ 1.19. At this level, the euro is still relatively competitive by long-term standards, but there is a risk that the dollar could fall much further and remain weak for a prolonged period, even though the euro has since eased back. On the positive side, the firmer euro has helped to contain inflationary pressures and facilitate a more accommodative monetary policy stance by the ECB. Higher oil prices and war in Iraq. The success of the war in Iraq significantly reduced the risk of a major disruption to oil supplies, resulting in sustained sharply higher prices which would seriously undermine Eurozone growth prospects. Indeed, oil prices have fallen back markedly from their early-March 2003 peaks, when Brent oil prices reached a two-year high over $34/barrel. It is widely considered that once oil prices rise above $30/barrel, they can start to seriously undermine Eurozone growth prospects. However, oil prices could still spike up in 2004 if events in the Middle East or terrorist action led to any disruption in supplies. Indeed, the war against terrorism is not over yet. Further terrorist attacks could occur in the United States, or even Western Europe, which would clearly undermine confidence and global growth prospects. A weaker U.S. recovery. A further risk facing the Eurozone economy is if the U.S. recovery stalls or is weaker than we expect, thereby undermining the global outlook. Currently, the U.S. recovery appears to be continuing despite some softer recent data, and Global Insight currently forecasts U.S. growth to be 2.0% in 2003 and 3.8% in 2004. However, this outlook could prove to be optimistic, particularly as U.S. economic imbalances still exist. It is clear from what happened in 2001 that the Eurozone is significantly affected by what happens in the U.S. economy, even when domestic European fundamentals appear to be strong. The 27 countries that comprise the Emerging Europe region differ considerably with respect to their stage of economic development, political systems, and their overall risk profiles. The ten most developed economies in Central Europe and the Baltics, which embarked on the transition from central planning to the market-driven economy in the early 1990s, have made the most progress in adopting sensible macroeconomic policies, introducing the rule of law, privatizing state-owned property, restructuring heavy industries, and liberalizing prices, foreign exchange regimes, and capital flows. Eight of those countries have completed the accession negotiations with the European Union and are scheduled to join the European Union as full members in May 2004. Two others, Bulgaria and Romania, were invited to join NATO in 2002 and should be able to join the EU as early as in 2007. The overall risk in investing in these ten countries has been declining gradually but consistently over the last several years. Current risks relate mostly to overly expansionary fiscal policies, slower-than-expected restructuring of heavy industries, and largely unrestructured agricultural sectors, mainly in Poland and Romania. Most central banks have run managed floats against the euro or, as in the cases of Estonia, Lithuania, and Bulgaria, feature a currency board system. For the major economies, currency volatility remains a problem, with mostly upward pressures resulting from large capital flows and privatization revenues. Asia L a crescita economica in Asia dovrebbe cominciare a riprendersi nella seconda metà del 2003. A tal riguardo, vi sono tre fattori favorevoli alla crescita nel predetto periodo: un “ritorno alla normalità” dopo la crisi dovuta alla Sars, una crescita più sostenuta negli Stati Uniti ed un nuovo balzo del settore tecnologico. L’epidemia di Sars ha portato numerose economie asiatiche o a rallentare sensibilmente o a contrarsi bruscamente nel corso del secondo trimestre. Ora che l’emergenza è in gran parte finita, la domanda dei consumatori e il turismo dovrebbero trarre forti benefici. Altro fattore positivo è la ripresa più forte del previsto manifestatasi nel secondo trimestre negli Stati Uniti, che sono di gran lunga il più importante mercato di riferimento per le esportazioni dell’area asiatica. Dato che ci si attende che l’economia statunitense cresca ancora più vigorosamente nella seconda metà dell’anno e nei mesi successivi, le esportazioni asiatiche dovrebbero anch’esse crescere a velocità più sostenuta. Per concludere, sembra che la caduta del settore tecnologico sia ormai alla fine. La domanda di semiconduttori, ad esempio, è cresciuta di più del 10% nella prima metà del 2003. Questo sarebbe un sostegno non soltanto per le esportazioni asiatiche orientate all’elettronica e a particolare contenuto tecnologico, ma anche per gli investimenti nell’area nel loro complesso, tuttora depressi. Inoltre, la politica monetaria e fiscale dovrebbe mantenersi espansiva nel breve termine, il che dovrebbe aiutare l’area a conseguire una crescita più auto-sostenibile nel 2004. I suddetti fattori positivi indicano anche la probabilità che la ripresa in Asia sarà molto sostenuta. Nel precedente ciclo negativo dell’economia mondiale, i governi dell’area asiatica sono riusciti con successo a mettere al riparo i rispettivi paesi mediante politiche volte a creare un ciclo virtuoso di crescita, basato su politiche monetarie e fiscali aggressive che hanno stimolato la domanda di consumi privati (e dato propellente alla crescita complessiva dell’economia); a sua volta, l’aumento della domanda ha comportato un aumento delle esportazioni degli altri paesi. L’Asia dovrebbe entrare in un altro ciclo virtuoso in concomitanza con l’attuale fase di ripresa, grazie a due fattori estremamente favorevoli che non caratterizzavano il ciclo precedente: la principale locomotiva del mondo (gli Stati Uniti) sta nuovamente ripartendo e probabilmente con maggiore velocità, ed il mercato del settore tecnologico (il settore più importante per molte economie dell’area) si sta finalmente riprendendo. In sostanza, il nodo cruciale dello scenario di medio termine per l’Asia è rappresentato dalle riforme strutturali, dalla crescita dei consumi, dal commercio intra-asiatico, dalle prospettive dell’economia statunitense, e da una Cina più integrata con l’economia mondiale. Riforme strutturali intraprese con successo assicureranno investimenti più efficaci. Ciò, a sua volta, permetterà alle economie asiatiche di essere più orientate ai consumi, il che dovrebbe ripercuotersi positivamente sul commercio intra-asiatico. Sul fronte delle riforme, la Cina e la Corea del Sud si sono rivelate le più intraprendenti. La determinazione della Cina in tal senso è stata testimoniata dalla sua volontà di entrare a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), con ciò ponendo i suoi produttori interni dinanzi al rischio dell’aspra competizione straniera e globale. La Corea del Sud ha anch’essa compiuto significativi passi in avanti dalla fine della crisi finanziaria asiatica. Il governo di Seul ha attivamente contribuito a sanare il sistema finanziario e bancario del paese; il risultato è che le banche coreane hanno potuto efficacemente fornire un sostegno all’economia, potendo spostare gran parte della loro attenzione dagli investimenti delle aziende al sostegno ed all’espansione della domanda interna. In tema di riforme, il resto dell’Asia ha invece continuato ad indugiare, in particolare il Giappone. Rimane un punto interrogativo la questione se il recente trend di crescita dei consumi abbia carattere permanente. Come si è poc’anzi anticipato, ciò dipende in larga misura dal grado di successo delle riforme dei rispettivi sistemi finanziari che i governi asiatici riusciranno a condurre in porto. La performance economica del paese principale destinatario delle esportazioni asiatiche, gli Stati Uniti, è un altro fattore-chiave nello scenario di un’area che mantiene ancora una connotazione fortemente “orientata all’export”. Dal momento che ci si attende che la crescita dell’economia statunitense durante il 2004 sia, bene che vada, abbastanza modesta, la performance delle esportazioni asiatiche potrebbe risentirne in negativo. Inoltre, le esportazioni asiatiche potrebbero subire un duro colpo qualora il dollaro andasse incontro ad una forte svalutazione visto l’enorme deficit delle partite correnti. Tuttavia, qualora l’Asia riuscisse a mantenere gli attuali trend di crescita dei consumi, il commercio fra i paesi asiatici ne risentirebbe positivamente, e ciò in parte controbilancerebbe l’impatto negativo di un rallentamento della domanda negli Stati Uniti. L’ingresso della Cina nel WTO potrebbe anch’esso esercitare una qualche pressione sul resto dell’Asia, in particolare sui paesi dell’ASEAN. I bassi costi interni e l’enorme mercato potenziale che caratterizzano la Cina hanno reso il paese un punto di riferimento per gli investitori stranieri, i quali potrebbero deviarvi gran parte degli investimenti esteri dai paesi dell’ASEAN, che costituivano un approdo più allettante prima della crisi finanziaria dell’area. Poiché gran parte di tali investimenti sono indirizzati a siti produttivi di manufatti destinati ad essere esportati, le esportazioni dei paesi dell’ASEAN dovrebbero essere penalizzate. In definitiva, nel 2004 e per tutto il resto del periodo di previsione la Cina guiderà la crescita economica, seguita da India e Vietnam. I tassi di crescita di queste economie nel 2004 saranno compresi tra il 5 e il 7%. Filippine, Malesia e Indonesia sperimenteranno anch’esse una crescita robusta, ma più moderata (tra il 4% e il 5%). Le economie di Tailandia, Singapore, Hong Kong, Australia, e Taiwan cresceranno tra il 3% e il 4%, mentre il Giappone arrancherà, crescendo soltanto dell’1,3% nel 2004. Cina Dopo il rallentamento indotto dal manifestarsi della Sars nel secondo trimestre del 2003, l’economia dovrebbe conoscere, nel breve periodo, una sorta di “ritorno alla normalità”. I tassi di cambio del renminbi sono rimasti competitivi, e dunque la valuta cinese dovrebbe restare ferma rispetto al dollaro nel 2004. Nell’immediato, la deflazione dovrebbe rimanere una fonte di preoccupazione, nonostante la crescita dei prezzi al consumo nella prima metà dell’anno, poiché l’economia deve ancora smaltire pienamente il suo eccesso di capacità produttiva. Un rischio-chiave per l’economia cinese continua ad essere costituito dal come liberalizzare i suoi settori econo- 25 mici di proprietà statale. La decisione di Pechino di entrare nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) assumendo l’impegno di aprire i propri mercati, e quindi esponendo le aziende cinesi alla dura competizione globale, dimostra la serietà del governo nell’intraprendere e portare avanti le riforme. In questo senso, riformare le imprese di stato significherebbe far aumentare la disoccupazione e, di conseguenza, deprimere la domanda interna. Pechino potrebbe affrontare una tale situazione perseverando nei suoi programmi all’insegna di politiche fiscali espansive. Se l’economia subirà qualche significativo arretramento, tuttavia, il governo potrebbe con ogni probabilità rallentare le riforme. India 26 Le prospettive economiche di breve periodo per l’India rimangono decisamente robuste, con una ripresa in atto nel settore industriale che ha compensato gli effetti negativi della scarsa stagione monsonica del 2002 sul settore agricolo. Il rallentamento della crescita del PIL avvenuto nell’anno fiscale 2002, in gran parte indotto dalla siccità, era largamente atteso; nel 2003, la produzione agricola dovrebbe riprendersi, confermando un buon andamento nei trimestri a venire, sulla scia di una stagione monsonica all’insegna nella normalità. Altri segnali positivi includono una ravvivata produzione industriale e il rafforzarsi del settore manifatturiero. La bassa inflazione ed una crescita piuttosto appannata hanno indotto la banca centrale a tagliare i tassi di interesse – relativamente elevati – nell’aprile 2003, portandoli al loro livello più basso dal 1971. L’incapacità di ridurre il deficit di bilancio, tuttavia, porrà un freno ad eventuali ulteriori riduzioni dei tassi di interesse, e continuerà ad esercitare un effetto di spiazzamento degli investimenti privati per tutto il 2004. Una maggiore determinazione politica volta a deregolamentare l’economia dovrebbe elevare il grado di attrattiva dell’India come destinazione dei flussi di capitali e di investimenti stranieri, posto che non vi siano focolai di guerra sulla questione del Kashmir. I principali esperti in previsioni non hanno modificato i loro scenari di forte crescita del PIL dell’India per l’anno fiscale 2003, ed altresì la Reserve Bank of India (RBI) ha previsto una crescita economica fra il 6% e il 6,5% per il corrente anno fiscale (che termina nel marzo 2004). L’accelerazione nella crescita delle esportazioni è continuata a partire dagli inizi del 2002, la produzione industriale sta recuperando sensibilmente e la domanda interna si sta riprendendo. Mentre nel 2002 il ritardo con cui sono giunte le piogge monsoniche ha dato vita alla peggiore siccità verificatasi in India nell’ultimo decennio, nel 2003 i monsoni dovrebbero sostenere copiosamente la crescita della produzione agricola nei prossimi trimestri. Il settore agricolo conta ancora per 1/4 dell’intera economia indiana. In tutto questo, il PIL dovrebbe far registrare una crescita del 5,6% nell’anno fiscale 2003 e del 5,7% nell’anno fiscale 2004. Giappone L’economia giapponese continua a soffrire di diversi problemi di lungo periodo: caduta dei prezzi degli assets, gravi imperfezioni del sistema bancario e finanziario, deflazione, un crescente debito pubblico, inefficienze strutturali ed una politica monetaria inefficace. I suddetti fattori hanno mantenuto la crescita dell’economia assai debole per oltre un decennio, ma il 2002, dopo la recessione del 2001, ha visto il verificarsi di una lieve ripresa. Tale ripresa ha però rallentato verso la fine del 2002 e all’inizio del 2003, con una produzione industriale pressoché piatta e un calo delle esportazioni, anche se l’economia – seppur ad un passo molto lento – ha continuato a crescere. Gli indicatori mensili sono per la gran parte anch’essi privi di indicazioni in direzione di una maggiore vivacità dell’economia, benché alcuni, come i permessi di costruzioni, abbiano mostrato significativi miglioramenti. I tre nuovi dirigenti nominati alla guida della Banca del Giappone hanno consentito di imprimere una direzione leggermente più espansionistica alla politica monetaria, il che, a sua volta, dovrebbe alleviare il peso delle riforme economiche. La crescita dell’attività economica nel secondo trimestre del 2003 dovrebbe essere seguita da un terzo trimestre abbastanza piatto. L’economia dovrebbe però accelerare la sua ripresa nel quarto trimestre e nel 2004, trainata essenzialmente dalle esportazioni; in seguito, anche la crescita dei consumi e degli investimenti dovrebbe esercitare un ruolo-guida, man mano che la ripresa continuerà a consolidarsi. Si prevede che il PIL nel 2003 cresca del 2% (tale tasso è relativamente alto, ma riflette il fatto che la crescita di quest’anno è stata “concentrata” nei primi sei mesi), seguito da una performance dell’1,6% nel 2004. Nord Africa La crescita del PIL reale nell’area del Nord Africa ha sorpassato sia quella dell’area del Golfo Persico e del Levante, ma lo scenario a livello di performance dei singoli paesi è molto variegato. In Egitto, una crisi di liquidità ed il calo dei flussi turistici e delle entrate derivanti dal Canale di Suez, originate dall’instabilità della regione e dalla debolezza dell’economia mondiale, hanno continuato a tenere a freno la crescita per tutta la prima metà del 2003. Nel 2002, la crescita in Libia è stata relativamente debole, in larga parte a causa del calo nella produzione di petrolio, ma in Algeria l’aumento della spesa pubblica ha sostenuto la crescita del PIL sopra la media dei paesi esportatori netti di petrolio del Nord Africa e del Medio Oriente. Con il miglioramento delle condizioni climatiche, il Marocco ha conseguito sia nel 2001 sia nel 2002 risultati economici nettamente migliori. Quadro economico Asia Tabella 1: Quadro macroeconomico dell’Asia, 2000-2006 ASIA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Tasso di crescita del PIL in termini reali, % 4,5 1,9 2,5 2,8 3,3 3,9 3,9 Crescita della Popolazione, % 1,2 1,3 1,3 1,2 1,2 1,1 1,1 Bilancia commerciale, % del PIL 2,6 2,1 2,7 2,4 2,2 1,8 1,4 Bilancia corrente, % del PIL 2,7 2,5 3,4 2,8 2,8 2,4 2,0 Inflazione dei prezzi al consumo, % 0,2 0,5 0,1 0,7 0,9 1,5 1,7 Tassi di interesse a breve termine, % 2,5 2,3 2,1 1,9 2,2 2,4 2,7 Tassi di interesse a lungo termine, % 2,5 1,9 1,9 1,2 1,5 1,8 2,2 Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Politica Monetaria. La politica monetaria per la gran parte dei paesi asiatici dovrebbe rimanere accomodante, perlomeno sino alla fine del 2003 e per tutto il 2004, innanzitutto allo scopo di attutire i crescenti rischi legati ad un calo della crescita economica. Un fattore di rischio fondamentale è rappresentato dal fatto che la domanda dei consumatori continua a stentare. Oltre alla domanda interna, le autorità monetarie asiatiche sono preoccupate anche dalla zoppicante domanda mondiale, in particolare con riguardo al rimbalzo positivo atteso per l’economia degli Stati Uniti in seguito alla fine della guerra in Iraq e che stenta a manifestarsi. Dato che gli Stati Uniti sono il più grande mercato di destinazione delle esportazioni asiatiche, e che la fiacca domanda dei consumatori asiatici dovrebbe a sua volta tradursi in un calo del commercio intra-asiatico, l’impatto negativo sull’Asia della prolungata debolezza dell’economia americana potrebbe rivelarsi abbastanza pronunciato. Inoltre, la continua minaccia della deflazione potrebbe portare le banche centrali a mantenere allentate le politiche monetarie. Infine, è probabile che le pressioni al deprezzamento del dollaro inducano le banche centrali asiatiche a perpetuare i loro massicci interventi sul mercato dei cambi per sostenere la valuta statunitense. Tuttavia, poiché la Fed continuerà nella sua condotta di politica monetaria ultra-espansionistica, la gran parte delle banche centrali asiatiche dovrebbe continuare giocoforza ad adeguarsi, chiudendo un occhio sull’apprezzamento delle rispettive valute nei confronti del dollaro. Politica di bilancio. La recente grave epidemia di Sars ha introdotto un’inaspettata fonte di rischio per la posizione di bilancio dei paesi asiatici. Di fatto, l’impatto negativo della Sars ha assunto due forme: il calo delle entrate dovuto alla minore crescita economica e la spesa pubblica aggiuntiva necessaria per limitare i danni del fenomeno. Il risultato è che molti paesi dovrebbero vedere ampliarsi i propri deficit di bilancio nel 2003. Tra i paesi che hanno recentemente annunciato ampi pacchetti di sostegno fiscale in risposta alle conseguenze dell’epidemia di Sars ed alla tiepida ripresa mondiale vi sono Hong Kong, Singapore, Taiwan e Malaysia. Inflazione. L’inflazione dovrebbe rimanere sotto controllo per il resto del 2003 e per il 2004. Nonostante la condotta sempre più espansiva nella politica monetaria da parte delle banche centrali asiatiche, la debole domanda interna e mondiale terrà l’inflazione a bada. Per i paesi che hanno dovuto lottare contro la discesa dei prezzi, esclusi Giappone e Hong Kong, è improbabile che la deflazione si manifesti nuovamente. Ciononostante, dal lato della deflazione sia l’attuale debole scenario economico mondiale, specie per i paesi del G-7, sia la debolezza attuale del dollaro fanno propendere per rischi assai minori. Nel caso in cui pressioni deflazionistiche dovessero riemergere, i profitti delle grandi aziende asiatiche potrebbero esserne colpiti, gli investimenti sarebbero rinviati, e i consumi delle famiglie si contrarrebbero. Peggio ancora, per deprimere gli investimenti non è necessario che si verifichi un’effettiva deflazione; sino a che continueranno ad esservi soltanto “aspettative” deflazionistiche, i consumi delle famiglie saranno rimandati, lo scenario per i profitti delle imprese si manterrà cupo, e gli investimenti saranno sospesi. In tal caso, è probabile che le banche centrali asiatiche manterranno la loro condotta estremamente espansionistica di politica monetaria – sia sul fronte interno sia su quello dei cambi – per contenere tali rischi. Il nostro scenario di riferimento prevede ancora un allentamento delle prospettive deflazionistiche per il resto del 2003 per quei paesi che hanno effettivamente avuto problemi di caduta dei prezzi (precisamente Cina, Giappone, Hong Kong, Singapore e Taiwan). Di fatto, Singapore, Taiwan e Cina hanno di recente visto, tutti quanti, l’inflazione dei prezzi al consumo ritornare in territorio positivo. Tale tendenza dovrebbe in larga misura continuare, supportata da abbondante liquidità e da aspettative di ripresa della crescita nella seconda metà dell’anno. La deflazione in Giappone e a Hong Kong è invece una questione più seria: il Giappone si trova nella classica trappola della liquidità, mentre per quanto concerne Hong Kong l’andamento generale dei prezzi è vincolato al regime attuale di currency board. Di conseguenza, la deflazione continuerà a contraddistinguere le due suddette economie nel resto del 2003, seppur con attenuata entità. Gli investimenti. Nel 2004, gli investimenti delle imprese dovrebbero migliorare per gran parte delle economie asiatiche. Vi sono segnali che indicano come la ripresa nei settori ad alta tecnologia stia acquistando forza. Le esportazioni legate all’alta tecnologia sia a Singapore sia a Taiwan, due delle economie maggiormente dipendenti da questo settore dell’intera area, stanno facendo registrare cospicui progressi. Il che dovrebbe essere di buon auspicio per il clima di fiducia – peraltro già in via di miglioramento – da parte delle imprese in molte economie dell’area. Inoltre, vi sono segnali positivi dal lato dell’utilizzo della capacità produttiva: per esempio, il grado di utilizzo della capacità produttiva di Taiwan ha continuato costantemente a salire. La ripresa degli investimenti fissi di capitale sarà ovviamente di diversa intensità a seconda dei settori. La tendenza a trasferire le fasi di produzione di manufatti a basso costo in Cina da parte dei paesi più sviluppati dell’area, come Asia, Giappone, Corea e Taiwan dovrebbe continuare, il che a sua volta continuerà a sostenere il flusso di investimenti in Cina. Le condizioni di investimento in Corea del Sud appaiono anch’esse favorevoli, anche perché il paese è stato più tempestivo ad intraprendere misure di contrasto ai difetti strutturali emersi in seguito alla crisi finanziaria asiatica. Nel breve termine, di conseguenza, Global Insight prevede che saranno Cina e Corea a “guidare il gruppo” per quanto riguarda gli investimenti, seguite da India, Filippine e Tailandia, il cui buon momento per la crescita degli investimenti dovrebbe continuare per tutto il 2003 e nel 2004. Taiwan, dopo due anni negativi, dovrebbe anch’essa assistere ad una consistente ripresa degli investimenti, con il consolidarsi della ripresa dello scenario economico globale e con l’incessante processo di trasferimento della produzione di manifatture a basso costo verso la Cina. Al traino del suddetto gruppo di paesi dovrebbero porsi Giappone, Indonesia e Singapore. Per quanto attiene al Giappone, ci si attende che lo scenario degli investimenti migliori, benché ad un ritmo molto incerto; nel mentre, il governo continua a mettere mano con buoni risultati, anche se lentamente, ai mali strutturali dell’economia nipponica. L’Indonesia, a causa del fragile clima di fiducia e delle implicazioni imprevedibili della situazione in corso in Iraq sulla componente islamica osservante della società, vedrà anch’essa una lenta ripresa degli investimenti. Infine, lo scenario pessimistico degli investimenti a Singapore si tradurrà per il breve periodo soltanto in una modestissima crescita degli investimenti stessi. Crescita delle esportazioni. Le prospettive per la crescita delle esportazioni nell’area asiatica nel 2004 appaiono positive. Sembra infatti poco probabile che le valute asiatiche si apprezzeranno in misura significativa rispetto al dollaro, il che manterrebbe competitive le esportazioni asiatiche. La gran parte dei tassi di cambio dell’area sono contraddistinti da un regime di fluttuazione controllata. Poiché la domanda dei consumatori resta debole, le banche centrali dell’area dovrebbero continuare ad intervenire in maniera incisiva per “chiudere un occhio” sulla situazione delle proprie valute e, così facendo, stimolare le esportazioni. Inoltre, vi sono segnali crescenti per cui la ripresa negli Stati Uniti, di gran lunga il più importante mercato di riferimento per l’Asia, starebbe finalmente prendendo vigore. Benché l’economia statunitense non sia il “consumatore finale” della gran parte delle esportazioni asiatiche, è il mercato più grande per l’esportazione di “beni finali” provenienti dall’Asia, ovvero della tipologia di beni esportati che hanno l’impatto più grande, e più diretto, sul reddito degli esportatori (l’Asia stessa acquista la gran parte delle esportazioni dell’area, anche se molto di questo export si deve al commercio di semilavorati e di altri beni del processo di produzione). Inoltre, lo scenario sul fronte della liquidità è ancora tale da poter sostenere la domanda dei consumatori: i tassi di interesse nell’area sono ai minimi storici o su valori molto vicini. A ciò si aggiunga che molti degli interventi delle banche centrali sui mercati dei cambi non sono “sterilizzati”; in altre parole, la liquidità iniettata dagli acquisti sul mercato dei cambi non viene assorbita sul piano interno con operazioni di mercato aperto. Pertanto, dal momento che la crescita delle esportazioni sospinge la crescita economica e con essa il reddito, la domanda dei consumatori dovrebbe nuovamente ripartire vivacemente; ciò, a sua volta, dovrebbe far crescere il commercio e le esportazioni intra-asiatiche. 27 In altre parole, l’Asia dovrebbe entrare in un altro ciclo virtuoso come quello che l’intera area ha già sperimentato nel 2001/2002, ma con una significativa differenza: questa volta, la più grande locomotiva mondiale della crescita, gli Stati Uniti, dovrebbe con ogni probabilità ripartire a velocità sostenuta. Nord Africa Tabella 2: Quadro macroeconomico del Nord Africa, 2000-2006 NORD AFRICA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 28 Tasso di crescita del PIL in termini reali, % 3,5 3,7 2,4 3,7 4,2 4,7 5,2 Crescita della Popolazione, % 1,7 3,7 -0,9 1,5 1,5 1,5 1,4 Bilancia commerciale, % del PIL 2,2 1,0 -1,5 -0,5 -1,8 -2,0 -2,2 Bilancia corrente, % del PIL 3,1 3,5 2,3 0,6 -0,4 -0,8 -1,2 Inflazione dei prezzi al consumo, % 1,8 2,1 2,5 2,8 3,0 3,3 3,6 Tassi di interesse a breve termine, % 7,8 7,2 6,3 5,2 5,7 6,1 6,2 Tassi di interesse a lungo termine, % n.d. n.d. 11,4 11,3 11,6 9,9 9,8 Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Nel Nord Africa, l’inflazione dei prezzi al consumo farà registrare, in media, un valore di circa il 4,3% nel breve periodo. Le pressioni inflazionistiche per Egitto e Libia rimarranno elevate a causa del nuovo regime di libera fluttuazione del primo e della svalutazione del 51% della seconda. Una più elevata domanda interna in Algeria, con una politica governativa che continua a porre in atto efficaci politiche fiscali espansive e il boom nel settore delle costruzioni sulla scia del recente terremoto, potrebbe dare luogo ad una qualche pressione inflazionistica. Il miglioramento della produzione agricola in Marocco dovrebbe portare ad un calo dei prezzi dei generi alimentari nei prossimi mesi, allentando le pressioni sui prezzi al consumo. Si ritiene probabile che nel 2003 il governo eliminerà alcuni dei sussidi statali ai settori petrolifero ed agricolo, ma il miglioramento della situazione all’insegna dell’abbondante offerta di prodotti alimentari dovrebbe comunque poter limitare l’impatto di questa manovra sul livello generale dei prezzi. Panorama dei rischi Asia I rischi riguardanti l’Asia si riferiscono essenzialmente ai suoi problemi economici di natura strutturale ed alle situazioni di potenziale conflitto tra Cina e Taiwan e tra India e Pakistan. Difetti nel sistema finanziario. I mali di natura strutturale delle economie asiatiche sono ben documentati da quanto accaduto durante la crisi finanziaria del 1997-98. Al cuore del problema si trovano i difetti che caratterizzano i sistemi finanziari dell’area, e che generano una inefficiente allocazione della liquidità. La strettissima relazione tra il sistema bancario e quello delle imprese, nonché, in alcuni casi (come in Cina) il credito guidato dallo Stato, hanno portato le banche asiatiche ad erogare prestiti ad imprese ed aziende inefficienti che non erano in grado di competere sul mercato. Come risultato, questi prestiti mal erogati si sono gonfiati. Per esempio, si stimano prestiti inadempienti pari al 7-30% del PIL per il Giappone, e al 30-60% per la Cina. A partire dalla crisi finanziaria del 1997-98, vi sono stati invero dei progressi che hanno consentito di attutire parte delle conseguenze di prestiti di questo tipo. Ad esempio, la Cina ha istituito quattro cosiddette “asset management companies” con il compito di liquidare i prestiti concessi troppo superficialmente dalle principali quattro banche del paese. Analogamente, in Tailandia è stata creata la “Thai Asset Management Corporation” allo scopo di controllare e verificare gli effetti dei prestiti del sistema bancario. Ciononostante, in tutta l’Asia il problema della qualità del credito e in generale dell’attività del sistema bancario rimane molto serio. Iper-regolamentazione e aziende di stato inefficienti. Fra le altre sfide di ordine strutturale con cui l’Asia deve misurarsi vanno incluse: una certa iper-regolamentazione (ad esempio, in India e nei settori non destinati all’esportazione in Giappone), depressione del settore manifatturiero (Giappone, Taiwan), riforme e/o privatizza-zione delle mastodontiche ed inefficienti aziende di stato (Cina, India e Indonesia), cronici squilibri di bilancio (India, Indonesia, Giappone e Cina). I potenziali conflitti tra Cina e Taiwan e tra India e Pakistan sono anch’essi forieri di significativi rischi per l’intera area. Cina I cambiamenti nei rischi di breve periodo per la Cina forniscono indicazioni non univoche. L’epidemia di Sars sembra ora sotto controllo, e a partire dal giugno 2003 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha in pratica cessato il suo allarme sulla pericolosità dei viaggi in Cina. Tutto questo dovrebbe sostenere un settore turistico duramente colpito, aiutandolo a recuperare parte delle sue perdite. Le vendite al dettaglio, l’altro settore maggiormente penalizzato, dovrebbero anch’esse riprendersi. Va detto che non tutte le componenti del “motore economico” della Cina sono state colpite dalla Sars. Le esportazioni e gli investimenti diretti esteri, in particolare, hanno continuato a mettere a segno una crescita sostenuta. Simili strabilianti performance hanno innescato una serie di pressioni a livello internazionale, come la speculazione, sul regime di cambio fisso del paese. Le riserve valutarie sono, dunque, cresciute rapidamente, alimentando la crescita dell’offerta di moneta sino ad oltre il 20%. Nonostante tali pressioni sul cambio fisso del renminbi, sembra difficile che Pechino si smuova dalla sua posizione, dal momento che la Cina non può permettersi di mettere a rischio la crescita delle proprie esportazioni e degli investimenti esteri, che sono stati di fatto i principali motori della crescita durante tutto il complesso e travagliato periodo di riforma dei settori dell’economia ancora di proprietà statale. Le tensioni con Taiwan, nei mesi a venire, potrebbero inasprirsi, con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali nell’isola previste per il prossimo marzo. Dato il suo attuale basso tasso di popolarità, è probabile che il presidente di Taiwan ricorra alla tattica elettorale di esternare provocazioni nazionalistiche all’insegna della campagna a favore della piena indipendenza dell’isola. Siffatti mezzi erano efficaci nelle elezioni passate, poiché inducevano Pechino ad assumere atteggiamenti bellicosi, il che si traduceva a sua volta in un rafforzamento del consenso popolare di Taiwan intorno al presidente uscente. Resta da vedere se la nuova leadership insediatasi a Pechino, guidata dal Presidente Hu Jintao, cadrà nel tranello. Tuttavia, poiché le dichiarazioni minacciose delle autorità di Pechino erano spesso dichiaratamente rivolte ad una platea interna (specialmente alla classe militare) e a Washington, la storia potrebbe semplicemente ripetersi e niente più. India Relazioni con il Pakistan. Lo scenario di rischio per l’India è sostanzialmente migliorato, in gran parte grazie al netto rasserenamento delle sue relazioni con il Pakistan. Il ristabilimento di piene relazioni diplomatiche e la riapertura dello spazio aereo comune e dei collegamenti ferroviari e stradali tra i due paesi hanno contribuito ad allentare le tensioni e le diffidenze su entrambe le sponde. Gli Stati Uniti sono anch’essi ottimisti sulle piene prospettive di pace. Tuttavia, il successo nel lungo periodo dell’attuale processo di riappacificazione è tutt’altro che scontato. Il principale motivo di ostacolo, come sempre, sarà con ogni probabilità l’annosa disputa territoriale sul Kashmir. Sia il primo ministro indiano Vajpayee sia il presidente pakistano Musharraf potrebbero trovarsi a che fare con pressioni provenienti dagli estremisti che si oppongono al processo di pace. Deficit di bilancio. L’aumento della dispersione di energia è un altro fattore che rende più arduo il controllo dell’enorme deficit di bilancio, che costituisce il problema economico più pressante. Le imminenti elezioni a livello statale alla fine dell’anno e le elezioni politiche generali l’anno successivo potrebbero rafforzare sia le iniziative di pace con il Pakistan sia i tentativi di attuare le riforme interne, anche se il primo ministro Vajpayee potrebbe ancora subire pressioni ad adottare una posizione più ferma con il Pakistan stesso. Inoltre, vi sono segnali che il governo guidato dal partito Bharatiya Janata non sia propenso ad andare avanti con il tuttora zoppicante processo di riforma prima delle elezioni. Il governo ha rinviato sine die il progetto di istituire una tassa sul valore aggiunto in 28 stati e posposto l’introduzione di una legge che prevede sussidi annuali per 10 miliardi di dollari. Ulteriori riforme, in particolare misure che riducano l’enorme deficit di bilancio del paese ed allentino il grado di regolamentazione sull’attività economica e sull’industria, appaiono tuttavia essenziali. Complessivamente, i rischi economici si sono attenuati con il miglioramento dello scenario esterno al paese, e l’economia indiana ha recuperato in misura soddisfacente. Nel 2003, la stagione dei monsoni è stata regolare, il che dovrebbe favorire una buona performance del settore agricolo, che era stato duramente colpito dalla siccità del 2002. La produzione industriale è rimasta robusta, e gli ultimi dati mensili disponibili rafforzano la fiducia in una duratura crescita del settore. Giappone La situazione relativa al rischio-paese del Giappone è lievemente migliorata a partire dalla metà del 2003; benché l’economia sia rimasta debole, appare abbastanza improbabile che il Giappone conosca una nuova recessione nel corso del 2004. L’economia, dal lato della domanda, si è stabilizzata: produzione industriale, costruzioni e servizi rimangono fiacchi, le scorte restano basse, e così un eventuale aumento della domanda porterà rapidamente ad un incremento dell’output. Le importazioni e le esportazioni hanno anch’esse avuto un andamento piatto, ma il paese ha conseguito lo stesso un buon surplus commerciale, con margini di crescita ulteriore nella seconda metà del 2003 e nel 2004 allorché la ripresa mondiale si manifesterà con più intensità. La politica fiscale è diventata più espansiva – o, perlomeno, meno restrittiva – ed anche il primo ministro Koizumi dimostra maggiore attenzione alla crescita piuttosto che ai processi di ristrutturazione dell’economia. Inoltre, anche la nuova dirigenza alla guida della Banca del Giappone ha alimentato, seppur gradualmente, una politica monetaria espansiva. La fiducia delle imprese e dei consumatori si è stabilizzata, sebbene sempre a livelli leggermente pessimistici, e la borsa ha avuto un rimbalzo positivo dopo aver toccato, in aprile, il minimo degli ultimi 20 mesi. Infine, la deflazione sembra adesso avere soltanto un impercettibile effetto sull’economia reale, anche se le cose potrebbero cambiare qualora lo scenario deflazionistico stesso dovesse peggiorare sensibilmente. Nord Africa Attacchi terroristici. In Nord Africa, un’eccessiva dipendenza dalle entrate da petrolio, in particolare per Algeria e Libia, una cattiva gestione dell’economia, nonché forti distorsioni nel processo di allocazione delle risorse rimangono le principali fonti di preoccupazione. A ciò si aggiunga che le diffuse, precarie condizioni sociali dell’area e gli elevati tassi di disoccupazione stanno esacerbando i rischi di un aumento dei conflitti sociali. Benché risulti che la crescita del turismo abbia ricevuto un nuovo impulso in Egitto, le bombe a Bali e a Mombassa e gli attacchi suicidi in Marocco hanno innalzato i rischi che pesano sulle prospettive di una sostenuta ripresa del settore turistico nell’intera area. Complessiva-mente, il rischio politico interno è rimasto pertanto elevato sin dagli eventi dell’11 settembre. Rapporti economici più stretti con gli Stati Uniti sono la principale fonte di risentimento fra i fondamentalisti islamici, in particolare fra coloro che sostengono la causa palestinese. Come nel resto dell’area, il rischio legato alla violenza a sfondo politico contro gli interessi nonché i cittadini statunitensi rimane alto, considerato soprattutto lo stato attuale delle ostilità in Iraq. Asia E conomic growth in Asia should begin to rebound in the second half of 2003. There are three favorable factors to growth in the latter half of 2003: return-to-normal rebound from the SARS crisis, stronger U.S. growth, and technology sector rebound. The SARS outbreak has led several Asian economies to either slowdown sharply or outright contract in the second quarter. As the epidemic is largely contained, consumer demand and tourism should bounce back strongly. Another positive force is the much stronger-than-expected second-quarter rebound in the U.S. economy, which is, by far, export-oriented Asia’s most important market. Given that we expect the U.S. economy to rebound even more robustly in the second half and beyond, Asia’s exports should grow even more strongly. Finally, it appears that the slump in the technology sector is finally over. Semi-conductor chips, for example, have been growing at 10%-plus in the first half of 2003. This would be a boon not only to the electronics-oriented Asian exports, but also to the still slumping business investment in the region. Moreover, fiscal and monetary policy will likely remain loose in the near term, which should help the region achieve more self-sustainable growth in 2004. These positive factors suggest that Asia’s recovery will likely be very strong. In the previous global down cycle, the Asian governments were successful in shielding the region by generating a virtuous growth cycle—aggressively loose monetary and fiscal policies spurred private consumer demand, which boosted overall growth, which, in turn, lifted demand for each other’s exports. Asia should enter another virtuous cycle in this coming recovery, with two favorable factors unavailable in the previous cycle: the world’s biggest locomotive of growth—the U.S. economy—is most likely roaring, and the technology market—Asia’s most crucial sector—is finally rebounding. However, Asia’s medium-term outlook hinges on structural reforms, rising consumerism, intra-Asia trade, the prospect of the U.S. economy, and a China that is more integrated to the world economy. Successful structural reforms will ensure more efficient investment. This, in turn, will allow the Asian economies to become a more consumer oriented, which should benefit intra-Asia trade. On the reform front, China and South Korea have been the most aggressive. China’s assertiveness on this front is reflected in its willingness to enter the World Trade Organization (WTO) and thus putting its domestic producers at the risk of stiffer foreign competition. South Korea has also made significant reform strides since the Asian financial crisis. Seoul has been active in writing off bad loans in the country’s banking system. As a result, the Korean banks have been freed up to help the economy, shifting focus from corporate investment to consumer demand expansion. The rest of Asia have been dragging their feet on reform, especially Japan. It remains questionable whether the recent trend of rising consumerism is permanent. Like we mentioned previously, it largely depends on whether the Asian governments can successfully reform their countries’ financial system. The performance of Asia’s largest export market, the U.S. economy, is another crucial factor in the outlook of a region that is still export oriented. As we expect growth in the U.S. economy during 2004 to be modest at best, Asia’s export performance in this period could suffer as well. Moreover, Asia’s exports could take another hit if the dollar undergoes a major depreciation to correct the huge U.S. current account imbalance. But should Asia be able to continue the trend of rising consumerism, intra-Asia trade would benefit as a result. This would partly offset the negative impact of slower demand from the United States. China’s WTO entry could also exert some pressure on the rest of Asia, in particular, the ASEAN countries. China’s low costs and huge domestic market potential have made the country a magnate for foreign investors, which would likely divert much foreign investment away from the ASEAN countries that were attractive to foreign investors before the Asian crisis. Given that much of these foreign direct investment are for plants manufacturing exported goods, exports of the ASEAN countries would also be hurt. As a result, in 2004 and throughout the rest of the forecast, China will lead the pack in economic growth, followed by India and Vietnam. Growth rates of these economies in 2004 will be in the 5- 29 7% range. Philippines, Malaysia, and Indonesia will also experience robust growth after 2002, but in the more moderate 4-5% range. The economies of Thailand, Singapore, Hong Kong, Australia, and Taiwan will grow between 3% and 4%. Japan will trail, growing only by 1.3% in 2004. China 30 Following the SARS-induced slowdown in the second quarter of 2003, the economy should experience a return-to-normal rebound in the short term. The renminbi’s exchange rates have remained competitive; thus, the currency should stay fixed to the dollar in 2004. Deflation should remain a concern in the near term, despite first half’s rise in consumer prices, since the economy has yet to fully digest its excess capacity. A key risk for the Chinese economy continues to be how to liberalize its stateowned sector. Beijing’s decision to gain entry into the World Trade Organization (WTO) by committing to open up its markets, exposing Chinese firms to stiff foreign competition, demonstrates the government’s seriousness in pursuing reforms. Reforming the state-owned firms would increase unemployment and thus depress domestic demand. Beijing would counter this situation by continuing its fiscal spending program. If the economy suffers any significant setback, however, the government would most likely slow the reforms. India India’s near-term economic prospects remain fairly robust, with the depressive effects of 2002’s poor monsoon on the agricultural sector being offset by a pickup in the industrial sector. The long-anticipated drought-induced slowdown in GDP growth occurred in fiscal 2002, but farm output is expected to rebound in upcoming quarters on the back of 2003’s normal monsoon rains. Other positive signs include reviving industrial production and strengthening manufacturing. Low inflation and flagging growth propelled the central bank to cut relatively high interest rates in April 2003, to the lowest level since 1971. Inability to constrain the fiscal deficit, however, will limit the central bank’s ability to further lower interest rates, and will continue to crowd out private investment in 2004. Increased political resolve to deregulate the economy would enhance India’s attractiveness as a destination for foreign inflows of capital, provided there is no outbreak of war over Kashmir. Private forecasters have maintained strong GDP growth forecasts for fiscal 2003, and the central Reserve Bank of India (RBI) has forecasted India’s economic growth at 6.0-6.5% for the current fiscal year ending in March 2004. The acceleration in export growth has continued since early 2002, industrial production is improving, and domestic demand is recovering. While delayed monsoon rains triggered the worst drought in India in over a decade in 2002, 2003’s robust monsoon will boost agricultural growth in upcoming quarters. The farm sector still accounts for one-quarter of India’s economy. GDP is expected to register growth of 5.6% in fiscal 2003, and 5.7% in fiscal 2004. Japan Japan’s economy suffers from several long-term problems: falling asset prices, bad loans, deflation, rising government debt, structural inefficiencies, and ineffective monetary policy. These factors have kept the economy slow for over a decade, but 2002 saw a mild recovery following the previous year’s recession. That recovery slowed in late 2002 and early 2003, as production flattened and exports declined, but the economy continued to grow at a slow pace. Most monthly indicators remain flat, although a few, such as housing starts, have shown considerable improvement. The three new appointees at the Bank of Japan have allowed a slightly more expansionary monetary policy, which in turn should ease the pain of restructuring. The surge in economic activity in the second quarter of 2003 will likely be followed by a flat third quarter. Growth should then accelerate in the fourth quarter and into 2004, led by exports, but then joined by consumption and business investment as the recovery becomes increasingly broad-based. Overall GDP for 2003 is forecasted at 2.0%—this relatively high number reflects the fact that this year’s growth is “front-loaded” in the first half—followed by 1.6% in 2004. North Africa Real GDP growth in the North African sub-region has outpaced that in both the Gulf region and the Levant, but performance for individual countries is mixed. In Egypt, a liquidity crisis and slowdown in tourism and receipts from the Suez Canal, stemming from regional instability and a weak world economy, continue to constrain growth through the first half of 2003. Growth in Libya was relatively weak in 2002 due largely to lower oil output, but in Algeria, increased government spending pushed real the GDP growth rate above the average for the Middle East and North Africa net oil exporters. With improved weather conditions, Morocco has recorded better economic performance in 2001 and in 2002. Economic Summary profits would get hit, investment would be delayed, and household consumption would retrench. Worse, it is not necessary for actual deflation to take place to depress investment; so long as the “expectation” of deflation is generated, consumers would delay purchases, the profit outlook would turn sour, and investments would be suspended. Asia’s central banks, consequently, will likely maintain their extremely loose monetary policy—both domestically and in the foreign exchange market—to counter these risks. Our baseline forecast still calls for deflation to ease in 2003 for the countries struggling with falling prices—namely, China, Japan, Hong Kong, Singapore, and Taiwan. In fact, Singapore, Taiwan, and China all recently saw their consumer price inflation returning to positive territory. This trend should to a large degree continue, supported by abundant liquidity and expected growth recovery in the second half of this year. Deflation in Japan and Hong Kong is more serious—Japan suffers a liquidity trap, and Hong Kong’s general price movements are handcuffed by its currency board. Consequently, deflation will continue in the two economies in 2003, but at a more moderate pace. Asia Table 1: Asia’s Macroeconomic Summary, 2000-2006 ASIA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Real GDP Growth Rate, % 4.5 1.9 2.5 2.8 3.3 3.9 3.9 Population Growth, % 1.2 1.3 1.3 1.2 1.2 1.1 1.1 Trade Balance, % of GDP 2.6 2.1 2.7 2.4 2.2 1.8 1.4 Current Account Balance as % of GDP 2.7 2.5 3.4 2.8 2.8 2.4 2.0 CPI Inflation, % 0.2 0.5 0.1 0.7 0.9 1.5 1.7 Short-Term Interest Rates, % 2.5 2.3 2.1 1.9 2.2 2.4 2.7 Long-Term Interest Rates, % 2.5 1.9 1.9 1.2 1.5 1.8 2.2 Source: Global Insight, Inc. 2003 Monetary Policy. Monetary policy for most Asian countries should remain accommodative at least through the end of 2003 and 2004 to cushion the increased downside risks to economic growth. One major risk is consumer demand fatigue. In addition to domestic consumer demand, the Asian monetary authorities are also worried about the sluggish global demand, especially the expected post-Iraq war bounce in the U.S. economy that has failed to materialize. Given that the United States is Asia’s largest export market, and that sluggish Asian consumer demand would likely translate to weaker intraAsia trade, the negative impact of continued weakness in the U.S. economy could be quite pronounced in Asia. Moreover, the continued threat of deflation would also lead the central banks to keep monetary policy loose. Finally, the depreciation pressure on the U.S. dollar is likely to lead the Asian central banks to continue their massive foreign exchange intervention to prop up the dollar against their currencies. Consequently, as the Fed continues its ultra loose monetary policy, most Asian central banks will likely follow suit to continue to keep a lid on their currencies’ appreciation against the dollar. Fiscal Policy. The severe acute respiratory syndrome (SARS) epidemic has introduced an unexpected source of risk to Asia’s fiscal position. The negative impact of SARS takes two forms: lost revenues due to lower economic growth and additional fiscal spending to counter the slowdown. As a result, many countries are likely to experience widening budget deficits in 2003. Among countries that have recently announced large fiscal packages in response to the SARS epidemic and the tepid global recovery are Hong Kong, Singapore, Taiwan, and Malaysia. Inflation. Inflation should remain tame throughout the rest of 2003 and 2004. Despite the aggressively loose monetary stance of the Asian central banks, weak domestic and global demand will keep inflation at bay. For countries battling falling prices, except in Japan and Hong Kong, deflation will unlikely return. Nevertheless, the existing stagnant global environment, especially in G-7 countries, and a weakening dollar have tilted risks to the deflation side. Should global deflationary pressure resurface, Asian corporations’ Business Investment. We expect business investment to improve in 2004 for most Asian economies. There are signs that recovery in the high-tech sector is taking hold. Tech-related exports in both Singapore and Taiwan, two of the most tech-reliant economies in the region, are showing improvement. These should bode well for the already improved business confidence in many Asian economies. Moreover, there are signs of improvement in excess capacity. Taiwan’s capacity utilization rate, for instance, has continued to rise steadily. Recovery in fixed capital investment will vary across sectors, however. The trend in developed Asia, such as Japan, Korea, and Taiwan, of shifting low-end manufacturing to China should continue, which would continue to spur investment in China. Investment conditions in Korea also look bright, as it has been the most advance in tackling the structural flaws exposed by the Asian financial crisis. Consequently, over the near term, Global Insight expects China and Korea to lead the pack in business investment by a wide margin, followed by India, Philippines, and Thailand, whose momentum in investment growth should carry over to 2003 and 2004. Taiwan, after two years of slump, should also see healthy investment growth, as the global environment improves and the shift of low cost manufacturing into China stabilizes. Trailing in the pack would be Japan, Indonesia, and Singapore. We expect investment in Japan to improve, but at a very sluggish pace, as the government continues to slowly sort out the structural woes plaguing the Japanese economy. Indonesia, due to the still fragile business confidence and the uncertain implications of the Iraq situation on its Islamic society, will also see slow growth in investment. Finally, Singapore’s pessimistic business sentiments will translate into very modest investment growth in the near term. Export Growth. Prospects for Asia’s export growth are bright in 2004. It is unlikely Asian currencies will appreciate too much against the dollar, which would keep Asian exports competitive. Most of the region’s exchange rates are of the managed float regime. As consumer demand remains fragile, the region’s central banks should continue to intervene aggressively to keep a lid on their currencies in order to stimulate exports. In addition, there are increasing signs that a recovery in the United States, by far Asia’s most important market, is finally taking hold. Although the U.S. economy does not purchase the largest share of Asia’s exports, it is the largest market for Asia’s “final goods” exports—the type of exports that have the largest, and most direct, impact on exporters’ income (Asia itself buys the most Asian exports, but much are for processing trade). Moreover, Asia’s liquidity environment is still conducive to spurring consumer demand. Interest rates in the region are still near or at record lows. In addition, much of the Asian central banks’ interventions on the foreign exchange market are not sterilized––in other words, the liquidity injected by the foreign exchange purchases is not soaked up domestically by open markets operations. Hence, as export growth spurs economic growth and, thus, lifts in- come, consumer demand is once again poised to revive robustly, which, in turn, should lift intra-Asia trade and exports. In other words, Asia should enter another virtuous cycle like the one the region experienced in 2001/02, with one major difference: this time around, the world’s biggest locomotive of growth—the U.S. economy—is most likely roaring. North Africa Table 2: North Africa’s Macroeconomic Summary, 2000-2006 NORTH AFRICA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Real GDP Growth Rate, % 3.5 3.7 2.4 3.7 4.2 4.7 5.2 Population Growth, % 1.7 3.7 -0.9 1.5 1.5 1.5 1.4 Trade Balance, % of GDP 2.2 1.0 -1.5 -0.5 -1.8 -2.0 -2.2 Current Account Balance as % of GDP 3.1 3.5 2.3 0.6 -0.4 -0.8 -1.2 CPI Inflation, % 1.8 2.1 2.5 2.8 3.0 3.3 3.6 Short-Term Interest Rates, % 7.8 7.2 6.3 5.2 5.7 6.1 6.2 Long-Term Interest Rates, % n/a n/a 11.4 11.3 11.6 9.9 9.8 Source: Global Insight, Inc. 2003 In North Africa, CPI inflation will average around 4.3% in the short term. Inflationary pressures for Egypt and Libya will remain high due to the former’s new free-float regime and the latter’s 51% devaluation. Higher domestic demand in Algeria, as the government continues to implement a dynamic expansionary fiscal policy and the boom in the construction sector in the wake of the recent earthquake, could fan some inflationary pressures in the economy. Improved agricultural production in Morocco will likely result to a decline in the price of food prices in the coming months, easing the pressure on consumer prices. The government is likely to remove some of the fuel and agriculture subsidies in 2003, but improved food supply will limit their impact on the general price level. Overview of Risks Asia The risks of Asia mainly concern its economic structural problems, and the potential China-Taiwan and India-Pakistan conflicts. Flaws in the financial system. Asia’s economic structural ills are well documented as a result of the 1997–98 financial crisis. At the heart of the problem is the region’s flawed financial systems, which allocate liquidity inefficiently. The cozy relationship between the banking and corporate sectors and, in some cases, such as that of China, state directed lending, have led to Asia’s banks making loans to uncompetitive firms. Bad loans, as a result, swelled. For example, estimates on non-performing loans in Japan are 7–30% of GDP, and estimates for China’s bad loans range from 30% to 60% of GDP. Since the 1997–98 Asian financial crisis, there has been some progress in writing off bad loans. For instance, China has set up four so-called asset management companies to liquidate the country’s four major state banks’ bad loans. Similarly, the Thai Asset Management Corporation was set up to absorb Thailand’s banking sector’s bad loans. Nevertheless, the bad loan problem remains serious. Over-regulation and inefficient state firms. Other structural challenges facing Asia include: over-regulation (for example, India, and Japan’s non-export sectors), hollowing out of the manufacturing sector (Japan and Taiwan), reforming and/or privatizing large and inefficient state firms (such as China, India, and Indonesia), and systemic fiscal imbalances (such India, Indonesia, Japan, and China). Potential China-Taiwan and India-Pakistan conflicts also present significant risks to the region. China Changes in China’s short-term risks are mixed. The SARS epidemic appeared to be under control, and the World Health Organization 31 Il “deprezzamento ordinato” del dollaro The “Orderly Depreciation” of the Dollar di Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight by Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight Una valuta statunitense più debole aiuterà la ripresa A weaker US currency will help the recovery 32 has lifted all travel warnings to China in late June of 2003. This should help China’s hard-hit tourist sector recoup some of the losses. Retail sales, the other hardest hit sector, should rebound as well. Not all parts of the Chinese economic engine were hit by SARS, however. Exports and foreign direct investment (FDI), in particular, had continued to post outstanding growth. These gangbuster performances have generated much international pressure, as well as speculation, on China’s fixed exchange rate regime. Foreign reserves thus grew rapidly, fueling money supply growth to reach above 20%. Despite these pressure on the fixed renminbi, Beijing will unlikely budge, given China cannot afford to allow the possibility of dampening growth in exports and FDI, the main engines of growth during its difficult, state-owned sector reforms. Tension with Taiwan will likely heighten in the coming months, as the island’s presidential election, scheduled next March, draws near. Given Taiwan’s president’s poor approval ratings, he is likely to resort to the tactic of dishing out pro-Taiwan independence provocations. These tactics were effective in past elections, as they would induce bellicose statements from Beijing, which would solidify the Taiwanese public’s support for the incumbent president. It remains to be seen whether the new leadership in Beijing, headed by President Hu Jintao, will fall for the same trap. However, given that Beijing’s intended audiences of these belligerent statements were often domestic (especially the military) and Washington, history just may repeat itself. India Relations with Pakistan. India’s risk outlook has improved substantially, largely due to the dramatic improvement in relations with Pakistan. The restoration of full diplomatic ties and the reopening of air, rail, and road links have helped ease distrust on both sides. The United States has also been optimistic about peace prospects. But the long-term success of the current peace process is far from assured. The biggest stumbling block, as usual, will likely be the long-standing territorial dispute over Kashmir. Both Prime Minister Vajpayee and Pakistan President Musharraf could also come under pressure from hardliners opposed to the peace process. Fiscal deficit. The increased dispersion of power also makes it harder to control the burgeoning fiscal deficit––the country’s most pressing economic problem. Upcoming state elections at the end of this year and national elections next year could hold up both peace initiatives and domestic reform efforts, however. PM Vajpayee could be pressured to adopt a more hawkish stance toward Pakistan. Furthermore, there are signs that the Bharatiya Janata Party-led government is unwilling to forge ahead on long-stalled reforms before the elections. The government has postponed indefinitely plans to launch a value-added tax across 28 states and to rein in a $10-billion annual subsidy bill. Further reforms, particularly measures to reduce India’s massive budget deficit and loosen regulations governing businesses and industry, are essential. Overall, economic risks have fallen with the improving external environment, and India’s economy has held up well overall. 2003’s normal monsoon rains will boost the agricultural sector, which had been hit hard by 2002’s drought. Industrial production has remained robust, and the latest monthly data are stirring hopes for continued strength in the sector. Japan Japan’s risk situation has improved marginally in the middle of 2003; although the economy remains weak, it now appears unlikely that Japan will regress into another recession in 2004. The production side of the economy has stabilized: industrial production, construction and services remain flat; and inventories are still low, so any pickup in demand will quickly lead to increased output. Exports and imports have also flattened, yielding a consistent trade surplus, with the potential for improvement in the second half of 2003 and 2004, as the world recovery gets underway. Fiscal policy has become more expansionary—or at least less contractionary—as Prime Minister Koizumi now emphasizes growth more than restructuring. The new leadership at the Bank of Japan has also gradually increased monetary stimulus. In addition, business and consumer confidence measures have stabilized, albeit at slightly pessimistic levels, and the stock market has rebounded from the 20-year lows of April. Lastly, deflation now appears to be having little effect on the real economy, though this could change if deflation worsens substantially. North Africa Terrorist Attacks. In North Africa, excessive dependence on oil revenues, particularly in Algeria and Libya, economic mismanagement, and distortions in the resource allocation process remain matters of concern. In addition, the sub-region’s precarious social conditions and high rates of unemployment exacerbate the risk of further social strife. Although growth in tourism is reported to have picked up recently in Egypt, the bomb attacks on tourists in Bali and in Mombassa and the suicide attack in Morocco have increased the risk to recovery in the sub-region’s tourism sector. Domestic political risks in North Africa remain high across the board since the events of September 11. Close economic ties with the United States are a major source of resentment among Islamic fundamentalists, particularly those who sympathize with the Palestinian cause. As in the rest of the region, the risk of politically motivated violence against U.S. interests and citizens, particularly given the current state of hostilities in Iraq, remains high. Q uando si esaminano le conseguenze economiche di un qualsiasi deprezzamento del dollaro, i due fattori-chiave sono l’ammontare del deprezzamento stesso e la sua velocità. Per i singoli paesi, l’impatto di un dollaro più debole dovrebbe anch’esso dipendere dai fondamentali macroeconomici di ciascuno, dal punto in cui i paesi stessi si trovano nell’attuale ciclo economico, dalle potenziali risposte politiche delle autorità locali, nonché dalle condizioni e dallo scenario dell’economia mondiale. Per quel che riguarda l’economia mondiale, ciò che più conta è quello che avviene negli Stati Uniti, nell’area euro e in Giappone – le tre potenze economiche dominanti – ed in particolare come la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone rispondono ad un indebolimento del dollaro. Negli Stati Uniti, un dollaro in calo dovrebbe aiutare l’attuale ripresa, fino a che ciò non dovesse manifestarsi troppo bruscamente in modo da gettare nel panico la Federal Reserve e i mercati dei titoli. In primo luogo, una valuta più debole potrebbe dare fiato alle esportazioni statunitensi e rendere i beni prodotti negli Stati Uniti più competitivi di quelli importati, con ciò accrescendo i margini di profitto, e con questi il saldo delle partite correnti. Profitti più alti, a loro volta, dovrebbero stimolare la spesa in conto capitale, che è essenziale per una ripresa economica autosufficiente (lo stesso assunto vale anche per gran parte dei paesi le cui valute sono agganciate al dollaro, come la Cina, Hong Kong e la Malesia). Dall’altra parte, un dollaro più debole fa aumentare le pressioni inflazionistiche e spinge al rialzo i rendimenti dei titoli di stato a lungo termine, rendendo più complicata la gestione della politica monetaria. La Federal Reserve potrebbe, quindi, alzare i tassi di interesse con molto anticipo e in una misura maggiore di quanto farebbe altrimenti. Il rischio di un rialzo inflazionistico indotto dal dollaro appare, comunque, basso per via di una combinazione di capacità produttiva in eccesso in molti settori industriali e della domanda mondiale complessivamente debole. Vi sono ancora focolai di inflazione in molte parti dell’Asia, ma i prezzi delle materie prime fondamentali sono ancora abbastanza depressi. I rischi di inflazione, ciò detto, non sono però insignificanti: gli indici dei prezzi delle principali materie prime hanno avuto una tendenza al rialzo negli ultimi 12 mesi e l’inflazione nel settore dei servizi, nell’attuale ciclo, è rimasta testardamente ferma, contribuendo a mantenere l’inflazione sopra lo zero nonostante le pressioni sostanzialmente deflazionistiche sul fronte dei prezzi negli ultimi anni. Con i tassi a breve termine statunitensi ai minimi degli ultimi 45 anni, qualsiasi significativo segnale di risveglio dell’inflazione potrebbe innescare prematuramente un ciclo restrittivo di politica monetaria e rendimenti più alti sui titoli, penalizzando gli investimenti e le vendite al dettaglio. A questo punto, data la fragilità dell’attuale ripresa, l’ultima cosa di cui l’economia americana avrebbe bisogno sarebbe un rialzo dei tassi. Un euro più forte non fa bene all’economia europea, in particolare alle economie attualmente piuttosto deboli (e in una certa misura “strut- turalmente” dipendenti dall’export) di Germania, Italia, Belgio e Olanda. La ripresa dell’economia europea non solo è più debole di quella statunitense, ma la segue a ruota e con ritardo, facendo sì che una valuta più forte è l’ultima cosa di cui le economie dell’area euro avrebbero bisogno. Tuttavia, una volta chiuso un occhio sull’inflazione europea (che, attualmente, si colloca più o meno al livello di quella statunitense), un euro più forte dovrebbe dissuadere la BCE dall’alzare i tassi di interesse. In altre parole, la BCE potrebbe adottare una politica fiscale più accomodante allo scopo di compensare gli effetti negativi derivanti da un euro più forte. Il Giappone ha probabilmente più di ogni altro da perdere da un dollaro indebolito. Il paese è appena uscito dalla sua terza fase di profondo rallentamento economico degli ultimi dieci anni, grazie essenzialmente ad una ripresa delle esportazioni. La domanda interna è ancora molto debole e le opzioni di politica economica del governo sono assai limitate per via del fatto che i tassi di interesse a breve termine sono di fatto già allo zero, e che il deficit di bilancio nonché il debito pubblico hanno dimensioni enormi e stanno ancora crescendo. Questa mancanza di agevoli alternative è la principale ragione per la quale il Giappone è ripetutamente intervenuto sui mercati dei cambi per impedire allo yen di rafforzarsi eccessivamente. Per una sostenuta ripresa mondiale, un declino graduale del dollaro sarebbe di certo preferibile ad una caduta repentina (hard landing). Per fortuna, tale scenario piuttosto “estremistico” sembra lontano dal verificarsi, sia per la forza sottostante dell’economia statunitense sia per la probabile reazione dei principali attori di politica economica delle più grandi potenze industrializzate. In altre parole, è probabile che in caso di una marcata caduta del dollaro i policymakers risponderebbero con interventi coordinati sui mercati valutari, e possibilmente con tagli ancora più decisi dei tassi di interesse nonché con manovre addizionali di stimolo fiscale al di fuori degli Stati Uniti. Ciò detto, l’intervento sui mercati valutari potrebbe soltanto stabilizzare temporaneamente il dollaro in una situazione di emergenza; per assicurare un deprezzamento “ordinato”, le autorità di politica economica in Giappone e nell’area euro hanno invece bisogno di adottare politiche macroeconomiche più reflazionistiche per stimolare la domanda interna nel breve periodo, nonché di mandare il segnale giusto agli investitori assumendo finalmente un atteggiamento serio sul tema delle riforme strutturali delle loro economie. Dollaro USA A partire dal giugno 2003, il cambio reale del dollaro si è rafforzato del 2,3%, il che ha subito catturato l’attenzione e ad alcuni è addirittura parso come una possibile svolta: gli investitori si chiedono, infatti, se questo trend al rialzo sia transitorio oppure abbia lunga durata. In realtà, alla base di ciò vi sono semplicemente le aspettative di migliori prospettive economiche negli Stati Uniti piuttosto che in altre aree del mondo. I più recenti indicatori economici hanno dato credibilità a tali 33 Il “deprezzamento ordinato” del dollaro The “Orderly Depreciation” of the Dollar di Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight by Nariman Behravesh, Chief Economist, Global Insight Una valuta statunitense più debole aiuterà la ripresa A weaker US currency will help the recovery 32 has lifted all travel warnings to China in late June of 2003. This should help China’s hard-hit tourist sector recoup some of the losses. Retail sales, the other hardest hit sector, should rebound as well. Not all parts of the Chinese economic engine were hit by SARS, however. Exports and foreign direct investment (FDI), in particular, had continued to post outstanding growth. These gangbuster performances have generated much international pressure, as well as speculation, on China’s fixed exchange rate regime. Foreign reserves thus grew rapidly, fueling money supply growth to reach above 20%. Despite these pressure on the fixed renminbi, Beijing will unlikely budge, given China cannot afford to allow the possibility of dampening growth in exports and FDI, the main engines of growth during its difficult, state-owned sector reforms. Tension with Taiwan will likely heighten in the coming months, as the island’s presidential election, scheduled next March, draws near. Given Taiwan’s president’s poor approval ratings, he is likely to resort to the tactic of dishing out pro-Taiwan independence provocations. These tactics were effective in past elections, as they would induce bellicose statements from Beijing, which would solidify the Taiwanese public’s support for the incumbent president. It remains to be seen whether the new leadership in Beijing, headed by President Hu Jintao, will fall for the same trap. However, given that Beijing’s intended audiences of these belligerent statements were often domestic (especially the military) and Washington, history just may repeat itself. India Relations with Pakistan. India’s risk outlook has improved substantially, largely due to the dramatic improvement in relations with Pakistan. The restoration of full diplomatic ties and the reopening of air, rail, and road links have helped ease distrust on both sides. The United States has also been optimistic about peace prospects. But the long-term success of the current peace process is far from assured. The biggest stumbling block, as usual, will likely be the long-standing territorial dispute over Kashmir. Both Prime Minister Vajpayee and Pakistan President Musharraf could also come under pressure from hardliners opposed to the peace process. Fiscal deficit. The increased dispersion of power also makes it harder to control the burgeoning fiscal deficit––the country’s most pressing economic problem. Upcoming state elections at the end of this year and national elections next year could hold up both peace initiatives and domestic reform efforts, however. PM Vajpayee could be pressured to adopt a more hawkish stance toward Pakistan. Furthermore, there are signs that the Bharatiya Janata Party-led government is unwilling to forge ahead on long-stalled reforms before the elections. The government has postponed indefinitely plans to launch a value-added tax across 28 states and to rein in a $10-billion annual subsidy bill. Further reforms, particularly measures to reduce India’s massive budget deficit and loosen regulations governing businesses and industry, are essential. Overall, economic risks have fallen with the improving external environment, and India’s economy has held up well overall. 2003’s normal monsoon rains will boost the agricultural sector, which had been hit hard by 2002’s drought. Industrial production has remained robust, and the latest monthly data are stirring hopes for continued strength in the sector. Japan Japan’s risk situation has improved marginally in the middle of 2003; although the economy remains weak, it now appears unlikely that Japan will regress into another recession in 2004. The production side of the economy has stabilized: industrial production, construction and services remain flat; and inventories are still low, so any pickup in demand will quickly lead to increased output. Exports and imports have also flattened, yielding a consistent trade surplus, with the potential for improvement in the second half of 2003 and 2004, as the world recovery gets underway. Fiscal policy has become more expansionary—or at least less contractionary—as Prime Minister Koizumi now emphasizes growth more than restructuring. The new leadership at the Bank of Japan has also gradually increased monetary stimulus. In addition, business and consumer confidence measures have stabilized, albeit at slightly pessimistic levels, and the stock market has rebounded from the 20-year lows of April. Lastly, deflation now appears to be having little effect on the real economy, though this could change if deflation worsens substantially. North Africa Terrorist Attacks. In North Africa, excessive dependence on oil revenues, particularly in Algeria and Libya, economic mismanagement, and distortions in the resource allocation process remain matters of concern. In addition, the sub-region’s precarious social conditions and high rates of unemployment exacerbate the risk of further social strife. Although growth in tourism is reported to have picked up recently in Egypt, the bomb attacks on tourists in Bali and in Mombassa and the suicide attack in Morocco have increased the risk to recovery in the sub-region’s tourism sector. Domestic political risks in North Africa remain high across the board since the events of September 11. Close economic ties with the United States are a major source of resentment among Islamic fundamentalists, particularly those who sympathize with the Palestinian cause. As in the rest of the region, the risk of politically motivated violence against U.S. interests and citizens, particularly given the current state of hostilities in Iraq, remains high. Q uando si esaminano le conseguenze economiche di un qualsiasi deprezzamento del dollaro, i due fattori-chiave sono l’ammontare del deprezzamento stesso e la sua velocità. Per i singoli paesi, l’impatto di un dollaro più debole dovrebbe anch’esso dipendere dai fondamentali macroeconomici di ciascuno, dal punto in cui i paesi stessi si trovano nell’attuale ciclo economico, dalle potenziali risposte politiche delle autorità locali, nonché dalle condizioni e dallo scenario dell’economia mondiale. Per quel che riguarda l’economia mondiale, ciò che più conta è quello che avviene negli Stati Uniti, nell’area euro e in Giappone – le tre potenze economiche dominanti – ed in particolare come la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone rispondono ad un indebolimento del dollaro. Negli Stati Uniti, un dollaro in calo dovrebbe aiutare l’attuale ripresa, fino a che ciò non dovesse manifestarsi troppo bruscamente in modo da gettare nel panico la Federal Reserve e i mercati dei titoli. In primo luogo, una valuta più debole potrebbe dare fiato alle esportazioni statunitensi e rendere i beni prodotti negli Stati Uniti più competitivi di quelli importati, con ciò accrescendo i margini di profitto, e con questi il saldo delle partite correnti. Profitti più alti, a loro volta, dovrebbero stimolare la spesa in conto capitale, che è essenziale per una ripresa economica autosufficiente (lo stesso assunto vale anche per gran parte dei paesi le cui valute sono agganciate al dollaro, come la Cina, Hong Kong e la Malesia). Dall’altra parte, un dollaro più debole fa aumentare le pressioni inflazionistiche e spinge al rialzo i rendimenti dei titoli di stato a lungo termine, rendendo più complicata la gestione della politica monetaria. La Federal Reserve potrebbe, quindi, alzare i tassi di interesse con molto anticipo e in una misura maggiore di quanto farebbe altrimenti. Il rischio di un rialzo inflazionistico indotto dal dollaro appare, comunque, basso per via di una combinazione di capacità produttiva in eccesso in molti settori industriali e della domanda mondiale complessivamente debole. Vi sono ancora focolai di inflazione in molte parti dell’Asia, ma i prezzi delle materie prime fondamentali sono ancora abbastanza depressi. I rischi di inflazione, ciò detto, non sono però insignificanti: gli indici dei prezzi delle principali materie prime hanno avuto una tendenza al rialzo negli ultimi 12 mesi e l’inflazione nel settore dei servizi, nell’attuale ciclo, è rimasta testardamente ferma, contribuendo a mantenere l’inflazione sopra lo zero nonostante le pressioni sostanzialmente deflazionistiche sul fronte dei prezzi negli ultimi anni. Con i tassi a breve termine statunitensi ai minimi degli ultimi 45 anni, qualsiasi significativo segnale di risveglio dell’inflazione potrebbe innescare prematuramente un ciclo restrittivo di politica monetaria e rendimenti più alti sui titoli, penalizzando gli investimenti e le vendite al dettaglio. A questo punto, data la fragilità dell’attuale ripresa, l’ultima cosa di cui l’economia americana avrebbe bisogno sarebbe un rialzo dei tassi. Un euro più forte non fa bene all’economia europea, in particolare alle economie attualmente piuttosto deboli (e in una certa misura “strut- turalmente” dipendenti dall’export) di Germania, Italia, Belgio e Olanda. La ripresa dell’economia europea non solo è più debole di quella statunitense, ma la segue a ruota e con ritardo, facendo sì che una valuta più forte è l’ultima cosa di cui le economie dell’area euro avrebbero bisogno. Tuttavia, una volta chiuso un occhio sull’inflazione europea (che, attualmente, si colloca più o meno al livello di quella statunitense), un euro più forte dovrebbe dissuadere la BCE dall’alzare i tassi di interesse. In altre parole, la BCE potrebbe adottare una politica fiscale più accomodante allo scopo di compensare gli effetti negativi derivanti da un euro più forte. Il Giappone ha probabilmente più di ogni altro da perdere da un dollaro indebolito. Il paese è appena uscito dalla sua terza fase di profondo rallentamento economico degli ultimi dieci anni, grazie essenzialmente ad una ripresa delle esportazioni. La domanda interna è ancora molto debole e le opzioni di politica economica del governo sono assai limitate per via del fatto che i tassi di interesse a breve termine sono di fatto già allo zero, e che il deficit di bilancio nonché il debito pubblico hanno dimensioni enormi e stanno ancora crescendo. Questa mancanza di agevoli alternative è la principale ragione per la quale il Giappone è ripetutamente intervenuto sui mercati dei cambi per impedire allo yen di rafforzarsi eccessivamente. Per una sostenuta ripresa mondiale, un declino graduale del dollaro sarebbe di certo preferibile ad una caduta repentina (hard landing). Per fortuna, tale scenario piuttosto “estremistico” sembra lontano dal verificarsi, sia per la forza sottostante dell’economia statunitense sia per la probabile reazione dei principali attori di politica economica delle più grandi potenze industrializzate. In altre parole, è probabile che in caso di una marcata caduta del dollaro i policymakers risponderebbero con interventi coordinati sui mercati valutari, e possibilmente con tagli ancora più decisi dei tassi di interesse nonché con manovre addizionali di stimolo fiscale al di fuori degli Stati Uniti. Ciò detto, l’intervento sui mercati valutari potrebbe soltanto stabilizzare temporaneamente il dollaro in una situazione di emergenza; per assicurare un deprezzamento “ordinato”, le autorità di politica economica in Giappone e nell’area euro hanno invece bisogno di adottare politiche macroeconomiche più reflazionistiche per stimolare la domanda interna nel breve periodo, nonché di mandare il segnale giusto agli investitori assumendo finalmente un atteggiamento serio sul tema delle riforme strutturali delle loro economie. Dollaro USA A partire dal giugno 2003, il cambio reale del dollaro si è rafforzato del 2,3%, il che ha subito catturato l’attenzione e ad alcuni è addirittura parso come una possibile svolta: gli investitori si chiedono, infatti, se questo trend al rialzo sia transitorio oppure abbia lunga durata. In realtà, alla base di ciò vi sono semplicemente le aspettative di migliori prospettive economiche negli Stati Uniti piuttosto che in altre aree del mondo. I più recenti indicatori economici hanno dato credibilità a tali 33 Grafico 1: Tassi di cambio del dollaro USA, 2000-2006 1,4 Tasso di cambio 1,2 1,0 0,8 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Dollaro USA/Euro Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Franco Svizzero La forza del franco svizzero è stata uno dei fattori fondamentali dietro alla scelta della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di tagliare i tassi di interesse di 300 punti base dall’inizio del rallentamento economico (marzo 2001). I dirigenti della BNS hanno più volte sottolineato che è il tasso di cambio tra il franco svizzero e l’euro piuttosto che quello tra il franco svizzero e il dollaro ad avere maggiore rilevanza, dato che la Svizzera ha legami commerciali assai più stretti con l’Europa. Le autorità monetarie hanno inoltre lasciato intendere che non esiterebbero a tagliare nuovamente i tassi o addirittura a vendere franchi svizzeri con operazioni di mercato aperto nel caso in cui un rinnovato e più marcato rafforzamento della propria valuta destabilizzasse l’economia interna. La necessità di un’azione di policy è diventata in qualche modo meno urgente poiché il franco sì è deprezzato sensibilmente nei confronti dell’euro a partire dalla guerra irachena. Il franco, attualmente, viene scambiato ad un intervallo compreso tra 1,50 e 1,60 nei confronti della moneta unica europea e si prevede che possa scendere leggermente sotto quota 1,50 nel 2004. Global Insight ritiene che, in generale, il franco rimarrà forte nei confronti del dollaro, e relativamente stabile nei confronti dell’euro dopo il recente deprezzamento. Nell’attuale clima di incertezza che grava sull’economia, vi è ancora il rischio che il franco svizzero possa essere soggetto a marcati apprezzamenti nei confronti delle altre principali valute, in particolare il dollaro. Ultimamente, tuttavia, i differenziali nei tassi di interesse hanno rivestito un ruolo importante nel determinare i tassi di cambio con le valute, essendo sempre più ricercate dagli investitori le valute di aree che offrano più alti livelli nei tassi di interesse. In questo contesto il franco svizzero si è deprezzato sensibilmente nei confronti dell’euro. Tuttavia la sua solidità potrebbe senz’altro dar prova che i fondamentali economici spesso non sono il principale motore dell’andamento dei tassi di cambio; questi potrebbero infatti ancora una volta non rivelarsi determinanti in tal senso nel caso di ulteriori attacchi terroristici o di turbolenze sui mercati finanziari internazionali. Il presidente della Banca Centrale Svizzera ha escluso per diverso tempo da qui in avanti che il franco possa essere agganciato all’euro; il suo credo è che una simile politica non eliminerebbe i pericoli derivanti dagli shocks esterni, come la volatilità stessa del franco svizzero. Inoltre, egli sostiene che ciò priverebbe di fatto la BNS della possibilità di condurre una politica monetaria orientata a sostenere l’economia elvetica, e avrebbe probabilmente come risultato quello di porre fine al vantaggio competitivo derivante dai tassi di interesse svizzeri inferiori a quelli dell’area euro. Il presidente Jean-Pierre Roth ha più volte sottolineato che l’autonomia del franco svizzero costituisce un importante punto di forza per la Svizzera ed i suoi mercati finanziari. Grafico 2: Tassi di cambio del franco svizzero, 2000-2006 2,0 1,5 1,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Franco Svizzero/Euro Franco Svizzero/Dollaro USA Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Sterlina britannica L’economia del Regno Unito sta avendo un andamento oggettivamente soddisfacente, se paragonato alla situazione di Stati Uniti ed Europa, e dopo che l’euro ha conseguito ragguardevoli guadagni nei confronti sia della sterlina che del dollaro nel primo trimestre 2003, ci si attende che alla fine dell’anno la moneta unica europea raggiunga quota 1,43 per una sterlina. Nel 2004, quando la ripresa dell’area euro si sarà consolidata, l’euro inizierà a rafforzarsi gradualmente, al che è probabile che raggiunga 1,416 verso la fine dell’anno. Il dollaro ha avuto un rimbalzo positivo molto evidente nei confronti della sterlina nel luglio 2003, fino a 1,627, e ci si attende che la valuta statunitense possa continuare questo trend positivo, anche grazie ai recenti segnali di ripresa negli Stati Uniti. Si prevede che alla fine del 2003 la crescita dell’economia britannica riacquisterà velocità, accompagnandosi ai segnali più significativi di un autentico inizio della ripresa europea, il che dovrebbe portare ad un lieve deprezzamento nel tasso di cambio col dollaro a 1,65. Ci si attende, inoltre, che il dollaro possa continuare a deprezzarsi – seppur gradualmente – per tutto l’arco della previsione, sino a un valore intorno a 1,70 alla fine del 2004 e di 1,75 più a lungo termine, specie in considerazione delle preoccupazioni intorno alle dimensioni dell’attuale deficit delle partite correnti che contribuisce in modo determinante alla debolezza della valuta statunitense. Grafico 3: Tassi di cambio della sterlina britannica, 2000-2006 1,8 Tasso di cambio Euro L’euro si trova attualmente sotto pressione. Se da una parte è vero che un suo rinnovato rialzo fino a toccare nuove vette nei confronti del dollaro non può essere escluso, dall’altra parte è ragionevole credere che la valuta europea possa essere scambiata con il dollaro ad un ampio intervallo compreso tra 1,07 e 1,12 dollari alla fine del 2003, e ad una quota di 1,20 dollari nel 2004. Avevamo anticipato che l’euro avrebbe attraversato una fase “traballante” dopo i forti guadagni conseguiti nella prima parte del 2003, e ciò si è debitamente avverato. Invero, ciò potrebbe durare per un periodo abbastanza ampio, in concomitanza con una ripresa negli Stati Uniti che si sviluppi ben più velocemente e marcatamente rispetto all’area euro. Inoltre, i differenziali nei tassi di interesse a favore dell’euro nei confronti del dollaro probabilmente si ridurranno nel corso dei prossimi mesi. La riduzione di 25 punti base operata dalla Fed sui Federal Funds (portati all’1%) il 25 giugno 2003 potrebbe avere segnato la fine dell’allentamento monetario statunitense per l’attuale ciclo, e i mercati potrebbero prendere in considerazione questa possibilità come un dato certo. Nel contempo, ci si attende ancora che la BCE tagli i suoi tassi di interesse di riferimento di altri 50 punti base entro questo ciclo economico, portandoli così all’1,5%. Tuttavia, molti dei fattori che hanno pesato considerevolmente sull’andamento del dollaro nell’ultimo anno continueranno ad esercitare analoga pressione sulla valuta USA nel 2004. In particolare, gli Stati Uniti avrebbero, in alternativa al dollaro più debole, il loro bel daffare per riuscire ad attirare il flusso di investimenti necessario a finanziare il loro enorme disavanzo delle partite correnti. Inoltre, è convinzione abbastanza diffusa che in realtà l’Amministrazione Bush sia più che contenta di un dollaro debole. Di conseguenza, una volta che la ripresa dell’area euro inizierà a guadagnare forza in misura sostenuta, il che avverrà probabilmente verso la fine del 2003, per consolidarsi ancor di più (è auspicabile) nel 2004, si ritiene che l’euro possa mettere a segno nuovi guadagni. La valuta europea dovrebbe essere supportata nel 2004 anche dalla mancanza di grossi squilibri strutturali nell’economia dell’area. In particolare, non vi è alcun vasto deficit delle partite correnti da dover finanziare (di fatto, vi è un surplus). Inoltre, il piano di espansione e di perfezionamento del mercato interno della UE nel corso del tempo potrebbe dare un forte impulso agli investimenti nell’area. Ciò nondimeno, l’euro potrebbe perdere terreno per via delle preoccupazioni crescenti – e non meno evidenti – legate all’efficacia del contesto di politica monetaria e fiscale dell’area euro, che è sempre più visto come troppo restrittivo ed inflessibile, tale da contribuire dall’incapacità dell’area di conseguire tassi di crescita simili a quelli degli Stati Uniti. Alla luce di questo, si prevede che l’euro termini il 2003 a quota 1,12 dollari e che, quindi, ottenga rialzi più marcati nel 2004 per terminare il prossimo anno a 1,20 dollari. La crescita dell’area euro è prevista in via di miglioramento, da 0,7% nel 2003 a 1,6% nel 2004, il che dovrebbe aiutare – seppur in misura modesta – a rafforzare la fiducia degli investitori. Pur tuttavia, il quadro previsionale descritto resta ampiamente al di sotto della performance di crescita prevista per gli Stati Uniti (2,6% nel 2003 e 4,1% nel 2004). Tasso di cambio 34 aspettative, e il dollaro rimane pur sempre di un 9% sotto il suo massimo raggiunto all’inizio del 2002. L’andamento del dollaro, però, dovrebbe deprimersi nel 2004. Fino a che la situazione in Iraq non sarà più stabile, gli investitori troveranno approdo presso valute meno esposte al potenziale effetto a cascata indotto dal crescente antiamericanismo. La minaccia del terrorismo negli Stati Uniti e il boicottaggio dei beni americani fanno parte di tale possibile catena di effetti, che hanno di fatto scoraggiato gli investimenti stranieri. In un periodo di crescita economica incerta accompagnata da rischi di deflazione, un dollaro più debole è stato spesso descritto come una panacea per l’economia statunitense. Un dollaro debole permette di espandere l’offerta di moneta riducendo nel contempo la deflazione; aumenta l’offerta di moneta perché le esportazioni salgono mentre i beni e i servizi statunitensi diventano più competitivi sullo scenario mondiale. Nello stesso tempo, combatte la deflazione poiché i prezzi alle importazioni sono più elevati. Ciò potrebbe incoraggiare i produttori statunitensi ad alzare i prezzi dei beni sul mercato interno o ad accrescere la domanda per beni prodotti negli Stati Uniti. In ciascuno dei due casi, i prezzi non potrebbero scendere. In tutto questo, gli attori di politica economica degli Stati Uniti sono rimasti decisamente defilati, osservando in compiaciuto silenzio la discesa del dollaro, e ripetendo però in pubblico il consueto mantra a favore del sostegno a una moneta forte. Il mondo delle aziende statunitensi è a favore di un dollaro più debole in quanto ciò le aiuta, mentre gli operatori di Wall Street propendono decisamente per un dollaro forte poiché ciò sostiene i mercati finanziari. Ultimamente, i commenti del Segretario al Tesoro John Snow, secondo cui un dollaro debole non costituiva un problema, hanno portato subito ad una mini-caduta del biglietto verde. Tuttavia, l’amministrazione ha prontamente invertito un simile orientamento e, in occasione del G-8 di Evian, il presidente Bush stesso ha riaffermato il preciso impegno del governo degli Stati Uniti per un dollaro forte. Le banche centrali del resto del mondo hanno anch’esse giocato un ruolo importante, o nel far perdere quota al dollaro oppure, ironicamente, nell’impedire che scendesse troppo rapidamente. Dall’inizio del 2002, la Banca del Canada ha alzato i tassi di interesse di 125 punti base. Ciò ha fatto sì che il dollaro canadese guadagnasse il 17% nei confronti del dollaro USA. Allo stesso modo, la BCE è stata assai più lenta della Fed a tagliare i tassi di interesse, con il risultato che i differenziali nei tassi di interesse hanno favorito gli assets denominati in euro. In Asia, dall’altra parte, alcune valute rimangono tuttora agganciate al dollaro (essenzialmente il renminbi cinese, il dollaro di Hong Kong, il ringgit malese). Tale stabilità è stata ottenuta attraverso massicci acquisti di assets denominati in dollari (in gran parte titoli del Tesoro americano); come risultato, le valute asiatiche hanno seguito il corso del dollaro USA ed il suo ribasso. g 3 1,7 1,6 1,5 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Sterlina Britannica/Euro Sterlina Britannica/Dollaro USA Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Renminbi Cinese La banca centrale cinese dovrebbe mantenere il renminbi agganciato al dollaro anche nel 2004, nonostante le crescenti pressioni politiche internazionali per un suo apprezzamento. Ironia della sorte, più si fa intensa tale pressione esterna, e più è probabile che Pechino rifiuti di cambiare politica, dal momento che il governo non può apparire “debole” sul fronte interno per ragioni politiche. Inoltre, la pressione dei mercati sulla valuta cinese appare limitata a causa della chiusura del conto capitale del paese e della massiccia disponibilità di riserve valutarie. Sulla “sottovalutazione” del renminbi, come viene spesso definita, si è in effetti un po’ esagerato. In realtà, il tasso di cambio reale del renminbi si è svalutato soltanto del 5,2% su base annua (dati a giugno 2003). Inoltre, un altro aspetto della singolare situazione commerciale della Cina in seguito al suo ingresso nel WTO, e che è stato volutamente trascurato da coloro che ne “criticano” il comportamento, è la rapida crescita delle importazioni. Da quando il paese ha fatto il suo ingresso nel WTO alla fine del 2001, vi è stata una autentica corsa degli investimenti stranieri in Cina, pronti a cogliere i vantaggi di opportunità mai offerte prima. Gran parte di questi investimenti sono orientati alle esportazioni, e proprio tale elemento ha costituito la principale forza trainante dietro la rapida ascesa delle esportazioni cinesi. I medesimi fattori hanno portato, quindi, anche ad una rapida espansione delle importazioni. Ora, la gran parte del commercio cinese riguarda semilavorati e componentistica (per esemplificare, diverse aziende straniere spediscono prodotti semilavorati in Cina per le fasi di assemblaggio e, successivamente, di esportazione). Tutto questo, unito alle riduzioni tariffarie implicite nel quadro degli accordi del WTO, avendo reso i beni provenienti dall’estero più convenienti che mai in passato, ha determinato per la Cina una sensibile crescita delle importazioni. Ancora più importanti sono gli obiettivi generali di politica economica del governo, che appoggia decisamente il mantenimento del tasso di cambio fisso del renminbi all’attuale livello. Pechino sta intraprendendo un processo di riforme, estremamente lungo e difficoltoso, dell’elefantiaco settore manifatturiero di stato e del settore bancario, anch’esso segnato dalla piaga dei “cattivi prestiti” che caratterizza gran parte dei paesi asiatici. Di conseguenza, l’economia cinese necessita di tutto quanto il suo potenziale di crescita per arginare la disoccupazione. Oltre agli investimenti statali, le uniche altre fonti certe di crescita rimangono le esportazioni e gli investimenti diretti esteri, che stante l’attuale regime di cambio hanno conseguito performance fenomenali. Per quanto attiene ai rischi di “surriscaldamento”, essi appaiono limitati solo a pochi settori dell’economia, in particolare quello immobiliare. L’economia nel suo complesso deve infatti ancora finire di scaricarsi di dosso i fattori potenzialmente deflazionistici. Inoltre, la banca centrale può facilmente contenere la crescita dell’offerta di moneta scaturita dai cospicui flussi finanziari; in 35 Grafico 6: Tassi di cambio della rupia indiana, 2000-2006 10,0 9,0 70,0 65,0 8,0 7,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Renminbi/Euro 36 Tasso di cambio Tasso di cambio 11,0 Renminbi/Dollaro USA 60,0 55,0 50,0 45,0 40,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Rupia/Euro Grafico 5: Tassi di cambio delllo yen giapponese, 2000-2006 Tasso di cambio 150,0 140,0 Rupia/Dollaro USA Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Rupia dello Sri Lanka La debolezza della rupia indiana continuerà ad esercitare pressioni sulla rupia dello Sri Lanka. Parimenti, la cronica scarsità di riserve valutarie dello Sri Lanka contribuirà all’indebolimento della valuta del paese. La continua instabilità interna e la guerra civile hanno posto l’industria turistica, una fondamentale fonte di valuta straniera, sotto crescente pressione, traducendosi a sua volta in un rapido deprezzamento della rupia. Si prevede che la valuta dello Sri Lanka venga scambiata a quota 98,5 nei confronti del dollaro alla fine del 2003 e intorno a quota 105 nel 2004. Va detto, tuttavia, che un indebolimento della rupia sarebbe più che gradito da parte degli operatori economici e soprattutto degli esportatori, che temono un ridimensionamento delle esportazioni dovuto ad una valuta sopravvalutata. grafico 9 Grafico 7: Tassi di cambio della rupia dello Sri Lanka, 2000-2006 Rupia indiana L’andamento piuttosto debole della valuta indiana persisterà nei prossimi mesi, guidato da una combinazione di fattori interni ed esterni. Fra quelli interni possono essere inclusi la vulnerabilità della situazione delle finanze pubbliche, un deterioramento del commercio e la possibilità di nuovi scontri in Kashmir. I fattori esterni includono un possibile rallentamento nei flussi di capitale in entrata in risposta ad un rallentamento del quadro economico 40,0 Anno 35,0 Lira Egiziana/Euro Bath/Dollaro USA Fonte: Global Insight, Inc. 2003 110,0 90,0 70,0 50,0 Rupia/Euro Fonte: Global Insight, Inc. 2003 9,0 8,0 7,0 6,0 5,0 4,0 3,0 2,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 130,0 Rupia/Dollaro USA 100,0 Yen/Dollaro USA 45,0 Bath/Euro Anno Yen/Euro 50,0 150,0 110,0 Anno 55,0 Anno 120,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Grafico 9: Tassi di cambio della lira egiziana, 2000-2006 Grafico 8: Tassi di cambio del baht thailandese, 2000-2006 170,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 130,0 Ma, d’altra parte, un interventismo eccessivo minerebbe l’essenza stessa della libera fluttuazione della valuta. L’attuale regime di cambio, se mantenuto, dovrebbe incoraggiare l’afflusso di capitali stranieri e rafforzare la competitività delle esportazioni una volta che l’economia mondiale consoliderà la sua ripresa. Tuttavia, va detto anche che la libera fluttuazione potrebbe esercitare pressioni al rialzo sull’inflazione dei prezzi al consumo, in tal modo contribuendo ad aumentare le tensioni sociali in un paese nel quale un segmento significativo della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà. Stando ai dati del marzo 2003, le riserve valutarie hanno fatto segnare un calo di 59 milioni di dollari rispetto al mese precedente, abbassando così il totale delle riserve stesse a 14,144 miliardi di dollari. Tenuto conto della debolezza complessiva della crescita economica, e considerato anche che le entrate derivanti dal turismo non si sono ancora del tutto riprese dalla crisi iniziata con i postumi dell’11 settembre, le riserve valutarie non dovrebbero conseguire miglioramenti significativi prima della fine del 2003. Se il decreto governativo sul controllo delle entrate da esportazioni sarà in grado di assicurare cospicui flussi finanziari nelle banche pubbliche, tale “vendita forzata” sui mercati potrebbe scoraggiare molte aziende dall’esportare. Inoltre, le maggiori aziende esportatrici potrebbero optare per un mercato parallelo, che offra tassi di remunerazione migliori, il tutto nonostante la scelta della banca centrale di lasciar fluttuare la lira. grafico 11 Lira Egiziana/Dollaro USA 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Tasso di cambio Yen Giapponese Negli ultimi anni, lo yen ha subito notevoli fluttuazioni. Ciò ha implicazioni non soltanto per il Giappone ed i suoi partner commerciali, ma anche per altre importanti economie, in particolare nel contesto asiatico, che sono sue dirette concorrenti nell’esportazione di prodotti destinati agli Stati Uniti e all’Europa. Lo yen ha oscillato intorno a quota 120 per un dollaro per mesi, e dovrebbe continuare a farlo; tuttavia, la volatilità rimane alta, in considerazione delle preoccupazioni legate alla politica di bilancio del governo, alla debolezza del sistema finanziario ed all’incertezza con cui la Banca del Giappone conduce la propria politica monetaria. Nel breve periodo è probabile un rafforzamento (specie se le esportazioni si riprenderanno significativamente soltanto nel corso della seconda metà dell’anno), che però potrebbe essere frenato da un intervento della Banca del Giappone. Inoltre, l’andamento dei flussi esteri di capitale verso gli Stati Uniti ed altri importanti paesi dovrebbe contribuire a mantenere lo yen abbastanza sotto controllo. In definitiva, nel 2004, il dollaro dovrebbe indebolirsi nei confronti della valuta giapponese, ciò in parte come riflesso del più alto tasso di inflazione negli Stati Uniti, in parte per via dell’andamento generale al ribasso del dollaro sui mercati, specie nei confronti dell’euro. grafico 7 Pressioni al ribasso sul baht, comunque, potrebbero con buona probabilità tornare a manifestarsi nella seconda metà dell’anno, con il miglioramento dello scenario economico negli Stati Uniti: una ripresa economica più forte negli Stati Uniti e mercati finanziari più attraenti dovrebbero fornire sostegno al dollaro, con il risultato che il rafforzamento del baht dovrebbe sì continuare, ma a velocità molto ridotta. I rischi derivanti da un apprezzamento del baht sono aumentati negli ultimi mesi come risultato della recente ripresa del mercato azionario tailandese, dell’ottimismo sulla ripresa dell’economia dopo l’epidemia di Sars, così come della debolezza del dollaro USA. Non appena la Sars è stata posta sotto controllo, la fiducia interna su di una imminente ripresa dell’economia ha ripreso a galoppare. Il turismo, duramente colpito, ha conosciuto anch’esso un graduale ma deciso miglioramento man mano che l’impatto della Sars è venuto meno. Tutto ciò, unito alla robusta crescita delle esportazioni, ha sostenuto continui surplus delle partite correnti, che, insieme alla crescita dei flussi di capitale e al dollaro debole, ha portato all’attuale forza del baht, innalzando però nel contempo i rischi di un ulteriore apprezzamento. Dall’altra parte, la ripresa dell’economia statunitense è prevista materializzarsi nella seconda parte del 2003: se l’economia statunitense continua a posticipare una più forte e sostenibile ripresa per i mesi a venire, ciò ridurrà probabilmente le preoccupazioni sul crescente deficit delle partite correnti e fornirà un qualche sostegno al dollaro. Ciò, a sua volta, dovrebbe attenuare le pressioni per un apprezzamento del baht, in linea con quanto accadrà per altre valute dell’area. Il Baht dovrebbe essere scambiato a quota 41 nei confronti del dollaro alla fine del 2003 e per tutto il 2004. grafico 10 Tasso di cambio Grafico 4: Tassi di cambio del renminbi cinese, 2000-2006 mondiale. Instabilità di ordine politico nell’area e tensioni con il Pakistan eserciteranno anch’esse pressioni al ribasso sulla rupia. Comunque, la disponibilità di ampie riserve valutarie (81,91 miliardi di dollari al 27 giugno 2003), aiuterà – sebbene solo in parte – a compensare dette pressioni al deprezzamento. Alla fine del 2004, la rupia dovrebbe toccare quota 49 sul dollaro. grafico 8 Tasso di cambio questo senso, negli ultimi tempi, essa ha ripetutamente emesso titoli allo scopo di assorbire l’indesiderata espansione monetaria. grafico 6 Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Baht Tailandese Le preoccupazioni relative allo scenario dell’economia statunitense sono continuate anche di recente, influenzando fortemente l’andamento del dollaro. Con la persistente incertezza sullo scenario economico statunitense – malgrado recenti miglioramenti risultanti dai principali reports economici, tale pressione al ribasso sul dollaro rimarrà anche nel 2004. Ciò, a sua volta, avrà probabilmente come risultato una maggiore forza del baht, che segue lo yen e le altre valute dell’area. Inoltre, la continua ripresa dell’economia tailandese ha anch’essa sostenuto la recente forza del baht. In linea con consumi ancora molto sostenuti così come con una crescita vigorosa delle esportazioni, l’economia tailandese dovrebbe fare ulteriori progressi, benché l’impatto della Sars dovrebbe riflettersi comunque in una più contenuta crescita nel 2003. Lira Egiziana Il 29 gennaio 2003, la Banca Centrale Egiziana (CBE) ha dottato un regime di libera fluttuazione per la lira. Le ragioni che hanno portato a questa decisione vanno ricercate essenzialmente nella volontà di dare impulso alla competitività delle esportazioni, di attrarre maggiori investimenti stranieri e di aiutare la sofferente economia egiziana a ripartire di nuovo. Malgrado l’adozione di tale regime di cambio, la CBE ha chiarito che si riserva comunque il diritto di intervenire sul mercato dei cambi senza preavviso. Nel tentativo di fermare la fuga di capitali, peraltro indotta anche dalla guerra in Iraq, il governo ha ordinato sia alle imprese private sia a quelle pubbliche di vendere almeno il 75% dei loro guadagni in valuta straniera alle banche di proprietà dello stato; tale obbligo si applica retroattivamente a tutte le esportazioni effettuate sino ad un anno fa. Benché il tempismo scelto risulti piuttosto anomalo, molti nella comunità finanziaria hanno interpretato la mossa di passare al regime di libera fluttuazione come “ottima”. Altri, invece, rimangono tuttora piuttosto scettici sul fatto che la CBE possa lasciare che la lira perda ancora terreno. Dato l’attuale, sfavorevole contesto geopolitico ed economico, la CBE potrebbe senz’altro essere tentata di intervenire nel tentativo di contrastare tale andamento. Fonte: Global Insight, Inc. 2003 Dirham marocchino Se la ripresa dell’area euro guadagnerà velocità a partire, probabilmente, dal 2004, l’euro si apprezzerà corrispondentemente sul dollaro per concludere il 2004 con un tasso di cambio di 1,20 dollari per 1 euro. Il sostegno all’euro nel lungo termine, inoltre, viene dall’oggettiva mancanza di grossi squilibri macroeconomici di natura strutturale nell’area, ed anche dal progetto di ampliamento e perfezionamento del mercato interno dell’UE, che potrebbe sospingere con forza gli investimenti nell’area. Tuttavia, cominciano a manifestarsi segnali di preoccupazione riguardo all’efficacia delle politiche monetarie e di bilancio dell’area euro. Queste politiche appaiono sempre più restrittive e rigide, e impediscono all’Europa di raggiungere migliori tassi di crescita, più vicini a quelli degli Stati Uniti. Non ci si attende un ulteriore significativo deprezzamento del dirham, perlomeno nel breve periodo, anche perché lo scorso anno le esportazioni marocchine hanno conseguito una performance sorprendentemente positiva, nonostante la bassa crescita e la domanda debole nell’area euro. Il venir meno graduale delle protezioni tariffarie sui prodotti marocchini potrebbe portare nel 2004 il governo a riaggiustare nuovamente il proprio regime di cambio, e qualora l’euro si apprezzasse ulteriormente nel medio termine, ciò di fatto significherebbe un deprezzamento del dirham nei confronti dell’euro. Un riaggiustamento del tasso di cambio avrebbe conseguenze negative sull’economia sotto forma di prezzi più elevati alle importazioni (in particolare di beni strumentali), nonché un più pesante onere per lo stato e le imprese pubbliche sotto forma di un più elevato servizio del debito estero. 37 Si prevede che la valuta marocchina possa apprezzarsi di circa il 9% nel 2003, trainata da un euro più forte. Nel 2004, quando le relazioni economiche tra il Marocco e l’UE si faranno più intense, ci si attende che il dirham segua l’andamento dell’euro in misura ancora maggiore. Nonostante il fatto che tutto ciò nel lungo periodo dovrebbe tradursi in un certo apprezzamento del dirham, si ritiene che forti afflussi finanziari, investimenti stranieri e il buon andamento delle rimesse degli emigranti renderanno sostenibile l’attuale deficit commerciale. co 12 Tasso di cambio Grafico 10: Tassi di cambio del dirham marocchino, 2000-2006 38 14,0 13,0 12,0 11,0 10,0 9,0 8,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Anno Dirham/Euro Dirham/Dollaro USA Fonte: Global Insight, Inc. 2003 ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ T wo key factors in examining the economic consequences of any dollar depreciation are the amount and speed of depreciation being considered. For individual countries, the impact of a weaker dollar would also depend on macroeconomic fundamentals of each individual country, where they are in their current economic cycles, the potential policy responses of their authorities, and global economic conditions and outlook. As far as the global economy is concerned, what matters most is what takes place in the United States, the Eurozone, and Japan— the three dominant economic powers—and particularly how the U.S. Federal Reserve, the European Central Bank, and the Bank of Japan respond to a weakening dollar. In the United States, a falling dollar should help the current recovery, as long as it is not too sudden to panic the Federal Reserve and bond markets. First, a weaker currency would boost U.S. exports and make domestic traded goods more competitive against imports, thereby improving profit margins (as well as the current account balance). Higher profits, in turn, should boost capital spending, which is essential for a self-sustaining U.S. economic rebound. (The same holds true for most countries whose currencies are tied to the dollar, such as China, Hong Kong, and Malaysia.) On the other hand, a weaker dollar increases inflationary pressures and raises long bond yields, complicating monetary policy. The Federal Reserve might then raise interest rates much earlier and by greater amounts than it would otherwise like to do. The risk of a dollar-induced inflation spike appears low because of a combination of global excess capacity in many industries and weak global demand growth. Indeed, there are still pockets of deflation in many parts of Asia and global primary commodity prices are still depressed for the most part. Inflation risk is not insignificant, however, since primary commodity price indices have been trending upward for the past 12 months and service inflation has been stubbornly sticky during the current business cycle, thereby keeping inflation above zero despite substantial deflationary pressures in traded goods prices for the past several years. With U.S. short-term interest rates at 45-year lows, any significant uptick in inflation could trigger a premature Fed tightening cycle and higher bond yields, choking off investment and slowing down retail sales. Given the fragility of the current recovery, the last thing the U.S. economy would need at this point in time would be a rate increase. A stronger euro hurts Europe, especially the currently weak, export-dependent economies of Germany, Italy, Belgium, and the Netherlands. The European recovery is both weaker than that of the United States and is lagging it as well, making a stronger currency the last thing it would need. But by keeping a lid on European inflation (which is currently more or less equal to the U.S. rate), a stronger euro would likely discourage the European Central Bank (ECB) from hiking interest rates. In other words, the ECB could adopt a more accommodative monetary stance to offset the drag from a strong euro. Japan probably has the most to lose from a weakening dollar. It has just emerged from its third deep economic downturn in the last ten years—thanks mainly to a rebound in exports. Domestic demand is still very weak and the government’s policy options are limited since short-term interest rates are already effectively zero, and the budget deficit and public debt are large and growing. This lack of easy alternatives is the major reason why Japan has repeatedly intervened in currency markets to keep the yen from strengthening too much. For a sustained global recovery, a gradual decline of the dollar would be preferable to a rapid drop or a hard landing. Fortunately, such an extreme scenario seems unlikely, both because of the underlying strength of the U.S. economy and the likely reactions of the policymakers in major industrialized countries. In other words, the authorities would likely respond to a sharp drop in the dollar with coordinated intervention in the currency markets, and possibly deeper interest rate cuts and additional fiscal stimuli outside of the United States. Intervention in currency markets would likely only stabilize the dollar temporarily on an emergency basis. To ensure an orderly depreciation of the dollar, authorities in Japan and the Eurozone need to adopt more reflationary macroeconomic policies to boost domestic demand in the short term, and they need to send the right signal to investors by finally getting serious about structural reforms of their economies. U.S. Dollar Since June 2003, the U.S. dollar gained 2.3% on a trade-weighted basis. This turn of events has drawn significant attention, as investors wonder if the upward trend is transitory or long lasting. Expectations of better economic prospects in the United States than in other countries or regions are primarily driving this rally. Recent economic indicators have given credibility to such expectations. Nevertheless, the dollar remains 9% below its peak in early 2002. The U.S. dollar is likely to be depressed in 2004. Until the situation in Iraq is more stable, investors will flee to currencies less exposed to the spillover from growing anti-Americanism. The threat of terrorism in the United States and the boycott of American goods are such spillover effects, which have discouraged foreign investment. In a period of sluggish economic growth accompanied by a risk of deflation, the weaker dollar has been touted as a panacea for the U.S. economy. A weaker dollar is capable of easing money supply while reducing price deflation. It increases the money supply in the economy because exports rise as U.S. goods and services become more competitive in the global economy. At the same time, it fights deflation because import prices are higher. This could encourage U.S. producers to raise prices of domestic goods or raise U.S. consumers’ demand for domestically made products. In either case, prices will be kept from falling. U.S. policy makers have largely stood on the sidelines, quietly cheering the fall in the dollar, while repeating the mantra that they favor a strong currency. Corporate America favors a weak dollar because it helps business while Wall Street traders prefer a strong dollar because it supports the financial markets. Recently, comments by Treasury Secretary John Snow that a weak dollar was not a problem led to a mini-rout of the greenback. However, the administration quickly reversed course and, at the G-8 summit in Evian, President Bush reaffirmed the U.S. government’s commitment to a strong dollar. 39 Exchange Rate 1.2 1.0 0.8 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year U.S. Dollar/Euro Source: Global Insight, Inc. 2003 Euro The euro is currently under pressure. While a renewed spike to new highs against the dollar cannot be ruled out, we now believe that the currency is likely to trade largely in a US$1.07–1.12 range during the final months of 2003 and at 1.20 in 2004. We had anticipated that the euro would experience a “wobble” following its strong gains earlier in 2003, and this has duly occurred. Indeed, it could last for an extended period, as recovery in the United States is clearly developing more quickly and markedly than that in the Eurozone. In addition, the interest rate differential favoring the euro against the dollar will likely be reduced over the coming months. The Fed’s 25-basispoint reduction in the federal funds rate to 1.00% on June 25 of 2003 likely marked the end of U.S. monetary easing in this cycle, and the markets will probably focus on this possibility. Meanwhile, we still expect the ECB to cut its key interest rate by a further 50 basis points in this cycle, taking its key rate down to 1.50%. However, many of the factors that have weighed heavily on the dollar over the past year will continue to exert pressure on the currency in 2004. In particular, the United States may well keep struggling to attract the level of investment flows needed to finance its large current account deficit, particularly if the earnings outlook remains subdued. In addition, there is now widespread belief that the Bush administration is happy with the softer dollar. Consequently, once the Eurozone’s recovery starts to pick up gradually on a sustained basis—probably towards the end of 2003—and then hopefully becomes more firmly established in 2004, we believe that the euro can make renewed gains. The currency should also be supported in 2004 by the lack of major structural imbalances in the Eurozone. In particular, there is no large Eurozone current account deficit that needs to be financed; in fact, there is a surplus. Furthermore, the planned widening and deepening of the single market over time could well boost investment flows into the region. Nevertheless, the euro could be held back by the increasing and ever more apparent concerns over the effectiveness of the Chart 2: Exchange Rates for Swiss Franc, 2000-2006 2.0 1.0 1.0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year Swiss Franc/Euro Source: Global Insight, Inc. 2003 Swiss Franc/U.S. Dollar under the current exchange rate regime. As for the concerns of overheating, it is only limited to a few sectors of the economy, most notably housing. The overall economy still has yet to completely rid itself of deflationary forces. Moreover, the central bank is able to stem money supply growth caused by monetary inflows. Indeed, the central bank has recently repeatedly issued domestic bonds to absorb undesirable credit expansion. 6A Chart 4: Exchange Rates for Chinese Renminbi, 2000-2006 Exchange Rate 11.0 10.0 9.0 8.0 41 7.0 Chart 3: Exchange Rates for British Pound, 2000-2006 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 1.8 Year Renminbi/Euro Renminbi/U.S. Dollar 1.7 Source: Global Insight, Inc. 2003 1.6 1.5 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year British Pound/Euro British Pound/U.S. Dollar Source: Global Insight, Inc. 2003 Chinese Renminbi The Chinese central bank will likely keep the renminbi peg to the dollar in 2004, despite increased international political pressure for a renminbi appreciation. Ironically, the more intense the outside pressure, the more likely that Beijing would refuse change, since the government cannot appear weak for domestic political concerns. Moreover, market pressure on the Chinese currency is limited due to the country’s closed capital accounts and massive foreign exchange reserves. The renminbi’s often cited “under-valuation” is exaggerated. In fact, on a trade-weighted basis, renminbi only had a 5.2% real year-over-year depreciation in June 2003. Moreover, another aspect of China’s phenomenal post-WTO trade story that has been conveniently neglected by China’s critics is the country’s rapid import growth. Since China joined the WTO in late 2001, there has been a foreign investment rush into China to take advantage of unprecedented opportunities. Much of these investments are export oriented, which has been the main driving force behind the rapid Chinese export growth. These same factors have led to a rapid import expansion as well. Much of China’s exports are of processing trade—foreign firms shipping semi-completed goods to China for assembly and then export. This, combined with the tariff reductions required by the WTO agreement, which has made overseas goods cheaper than ever before, have caused Chinese imports to soar. Most importantly, Beijing’s overall policy objective still supports keeping the renminbi exchange rate fixed at the current level. The government is undertaking a very lengthy and difficult reform of the massive state-owned manufacturing sector and the banking sector, which is plagued with bad loans. Consequently, the Chinese economy needs all the growth it can get to stem unemployment. Besides state financed fixed asset investment, the only other sources of growth remain exports and foreign direct investment, which have performed phenomenally Japanese Yen In recent years, the yen has seen considerable fluctuation. This has implications not just for Japan and its trading partners, but for other countries as well, especially in Asia, which compete with Japan in selling exports to the U.S. and Europe. The yen has fluctuated near 120 per dollar for months, and should continue to do so. But volatility will remain high, reflecting concern over Japanese fiscal policy, weakness in the financial system, and uncertainty regarding the Bank of Japan’s monetary policy. Nearterm strength is likely, especially when demand for exports begins to pick up in the second half, although this strength should be constrained by intervention. In addition, Japan’s capital outflow to the United States and other countries should keep the yen in check. In 2004, the dollar should weaken against the yen, partly reflecting the higher rate of inflation in the United States, and partly due to the general downward trend of the dollar on world markets, especially against the euro. gr 7A Chart 5: Exchange Rates for Japanese Yen, 2000-2006 150.0 Exchange Rate 1.4 40 Swiss Franc The strength of the Swiss franc was a major factor causing the Swiss National Bank (SNB) to cut its key interest rate by 300 basis points since beginning of the slowdown in March 2001. SNB officials have repeatedly indicated that it is the Swiss franc/euro rate rather than the Swiss franc/dollar rate that is of most relevance, given Switzerland’s close trading ties with Europe. The monetary authorities have stressed they would not hesitate to cut rates again or even sell francs on the open market, should a renewed sharp rise in the currency destabilize the domestic economy. The need for policy action has become somewhat less urgent because the franc has depreciated markedly against the euro since the end of the Iraq war. The franc is now trading within a band of 1.50–1.60 against the single currency and is expected to trade slightly below 1.5 in 2004. Global Insight believes that the franc will remain generally strong against the dollar, with the currency staying relatively stable against the euro after the recent depreciation shift. In the current climate of economic uncertainty, there is still the danger that the Swiss franc will be subject to sharp appreciations versus major currencies, in particular, against the dollar. Lately, however, interest rate differentials seem to have played an increasingly important role in the determination of exchange rates with currencies with a high interest rate level being increasingly sought. In this environment, the Swiss franc depreciated notably against the euro. The safe-haven status of the Swiss franc, however, may well ensure that fundamentals do not become the prime driver of the exchange rate. Economic fundamentals would once again cease to be the determinant of the exchange rate in case of further terrorist attacks or turbulence in international financial markets. The SNB chairman has ruled out, for some time to come, the pegging of the franc to the euro. He believes that such a policy would not eliminate external shocks, such as volatility in the franc. Furthermore, he argues that such a policy would prevent the SNB from conducting a policy geared towards the Swiss economy, and would result in the end of the competitive advantage from Swiss interest rates being below Eurozone levels. Indeed, Chairman Jean-Pierre Roth has frequently stressed that the franc’s independence is an important asset for Switzerland and its financial markets. grafico 4A British Pound The U.K. economy is performing reasonably well relative to the United States and Europe, and while the euro made considerable gains against both sterling and the dollar in the first quarter we expect the euro to end 2003 at around 1.43 euro/£. In 2004, when the Eurozone recovery is more firmly established, the euro will gradually start strengthening, and is likely to be at around 1.416 by the end of 2004. The dollar rebounded sharply against sterling in July to 1.627, and we expect the dollar to hold on to the majority of this gain in the third quarter of 2003, owing to recent signs of a recovery in the United States. However, by the end of 2003, we expect U.K. economic growth to be back on track, accompanied by more compelling signs of a recovery in Europe, which should lead to a modest depreciation in the dollar exchange rate to around 1.65. We expect the dollar to continue gradually depreciating over the forecast horizon, to around 1.70 by the end of 2004, and 1.75 in the longer term, as concerns over the size of the U.S. current account deficit weigh down on the currency. grafico 5A Exchange Rate Chart 1: Exchange Rates for U.S. Dollar, 2000-2006 monetary and fiscal policy framework in the Eurozone. This framework is increasingly seen as too restrictive and inflexible, contributing to the region’s inability to achieve growth rates similar to the United States. Against this backdrop, we expect the euro to end 2003 at US$1.12 and then to make renewed gains in 2004 to end that year at US$1.20. Eurozone growth is projected to improve from 0.7% in 2003 to 1.6% in 2004, which should help to modestly strengthen investor confidence in the region. Even so, this is still significantly below expected U.S. growth of 2.6% in 2003 and 4.1% in 2004. Exchange Rate Central banks in the rest of the world have also played an important role, both in pushing the dollar down and, ironically, in keeping it from falling too fast. Since early 2002, the Bank of Canada has raised interest rates by 125 basis points. This has helped to push the Canadian dollar up by 17% against the U.S. dollar. Likewise, the European Central Bank has been much slower than the Fed to cut interest rates. As a result, interest rate spreads have favored euro-denominated assets. In Asia, on the other hand, some currencies remain fixed to the dollar (the Chinese renminbi, the Hong Kong dollar, and the Malaysian ringgit). This stability has been achieved through massive purchases of dollar-denominated assets (mostly U.S. Treasury securities). As a result, Asian currencies have followed the U.S. dollar down, slowing the fall of the dollar on a trade-weighted basis. grafico 3A 140.0 130.0 120.0 110.0 100.0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year Yen/Euro Yen/U.S. Dollar Source: Global Insight, Inc. 2003 Indian Rupee Currency softness will persist in the coming months, driven by a combination of domestic and external factors. Domestic factors include vulnerability in the country’s fiscal performance, deterioration in trade, and the possibility of renewed fighting in Kashmir. External factors include a possible slowdown in foreigncapital inflows in response to a decelerating global environment. Any geopolitical instability in the region and any tensions with Sri-Lanka’s Rupee Weakness in the Indian rupee will continue to exert depreciation pressures on Sri Lanka’s rupee. Chronically low foreign-exchange reserves also contribute to the rupee’s weakening. Continued regional instability and the civil war will put the tourism industry, an important source of foreign exchange, under increasing pressure, resulting in faster depreciation of the Sri Lankan rupee. The currency is expected to trade at 98.5/dollar by end-2003 and at 105 in 2004. A weakening of the currency would be welcomed by the business and export sectors, which fear an overvalued rupee could undermine exports. grafico 8A Thai Baht Concerns over the outlook in the U.S. economy have lingered recently, weighing heavily on the U.S. dollar. As the U.S. economic outlook remains uncertain—despite recent improvement in the economic reports—downward pressure remains over the U.S. dollar in 2004. This, in turn, will likely result in a stronger baht, following the yen and other regional currencies. In addition, continued recovery in the territory’s economy has been supporting the baht’s recent strength as well. Along with still-strong consumer spending as well as continued growth in exports, the economy is expected to progress further, although the impact of SARS is expected to result in a milder recovery in 2003. Downward pressure to the baht, however, will likely return in the second half of the year, along with a brighter outlook in the U.S. economy. A stronger U.S. economic rebound and more attractive U.S. capitals should provide support to the U.S. dollar. As a result, the strengthening in the baht should continue in months ahead, but at a slower pace. The risks to the baht’s appreciation has increased in recent months, as a result of a strong rally in the local stock market, optimism on the economic recovery after the SARS outbreak, as well as the weakness in the U.S. dollar. As the outbreak was brought under control, domestic sentiment has been bullish on an expected economic recovery. The hard-hit tourism sectors have also shown gradual, steady improvement as the SARS impact fades. This, coupled with robust growth in exports, have supported continued surplus in trade and current accounts. These, together with rising equity-related inflows and the weaker U.S. dollar, have led to strength in the baht and raised the appreciation risks. On the other hand, a rebound in the U.S. economy is expected in the second half of 2003. If the U.S. economy continues to post stronger and sustainable recoveries in the months ahead, it will likely reduce worries over its widening current account deficit and provide some support to the U.S. dollar. This, in turn, will likely ease appreciation pressure over the baht, in line with other regional currencies. Baht is expected to trade at 41/dollar by the end of 2003 and throughout 2004. grafico 10A Egyptian Pound The Central Bank of Egypt (CBE) adopted a freely floating regime for the pound on January 29, 2003. The reasons for the new regime include the promotion of export competitiveness, attracting foreign investment, and helping jumpstart the ailing economy. Despite Egypt’s adoption of a free float, the CBE indicated it would retain the right to intervene in the currency market without notice. In a bid to stem capital flight fueled by the war in Iraq, the government ordered both private and state-owned companies to sell at least 75% of their foreign currency earnings to state-owned banks. The policy applies retroactively to all exports as of a year ago. Although the timing was somewhat strange, some in the investment community received the move to a free float as a “very good one.” Some, however, remain skeptical as to whether the Central Bank of Egypt (CBE) will allow the pound to slip further and make the forex more readily available. Given the current adverse geopolitical environment and economic environment, it will be very tempting for the CBE to intervene in an attempt to stem a further slide in the pound. Too much intervention, however, will undermine the very essence of the free float. The current exchange rate regime, if retained, will encourage the flow of foreign investment and enhance export competitiveness when the world economy begins to recover. On the other hand, the free float could also put upward pressure on consumer price inflation and increase social tension in a nation where a significant segment of the population still falls below the poverty level. Foreign currency reserves balance showed a decrease of US$ 59 million for March 2003 from the February figure, bringing total reserves down to US$ 14.144 billion. Overall weakness in economic growth and with tourism revenues not having fully recovered from the fallout of the events of September 11, foreign reserves are not expected to make any significant gains before the end of 2003. While the government’s decree of controlling export earnings will assure some flow of funds into state banks, the forced sale on the official market may discourage companies from exporting. In addition, the exporting companies may opt to turn to the parallel market, which is offering better rates, despite the central bank’s floatation of the pound. 11A Morocco’s Dirham As the Eurozone’s recovery gains momentum starting probably in 2004, the euro should appreciate against the dollar to end 2004 at around US$1.20 per euro. Support for the euro over the longer term also comes from a lack of major structural imbalances in the region and possibly from the planned widening and deepening of the single EU market, which could boost investment flows into the region. Nevertheless, serious concerns over the effectiveness of the monetary and fiscal policy framework in the Eurozone are beginning to be heard. These policies are increasingly seen as too restrictive and inflexible, and keep the Eurozone from achieving higher growth rates, closer to the ones in the United States. We do not expect another significant devaluation of the dirham, at least in the short term, given that Moroccan exports were surprisingly strong last year, despite weak growth in the Eurozone. Gradual loss of tariff protection for Moroccan goods could force the government to readjust the peg again in 2004. If euro appreciates further in the medium term, pressures for another devaluation will ease and that will mean a de facto depreciation of the dirham against the euro. A readjustment in the exchange rate would have also negative consequences on the economy in the form of higher capital and equipment import prices, and higher foreign debt-servicing burden for state and public enterprises. We expect the currency to appreciate by around 9% in 2003, buoyed by a stronger euro. In 2004, as economic integration between Morocco and the EU intensifies, we expect the dirham to follow even more closely the evolution of the euro. Although this translates in currency appreciation over the longer term, we believe that strong investment and remittance inflows will make the resulting trade deficit sustainable. grafico 12A Chart 7: Exchange Rates for Sri-Lanka’s Rupee, 2000-2006 Chart 8: Exchange Rates for Thai Baht, 2000-2006 Chart 9: Exchange Rates for Egyptian Pound, 2000-2006 Chart 10: Exchange Rates for Morocco’s Dirham, 2000-2006 Chart 6: Exchange Rates for Indian Rupee, 2000-2006 70.0 Exchange Rate 65.0 60.0 55.0 50.0 45.0 40.0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year Rupee/Euro Rupee/U.S. Dollar Source: Global Insight, Inc. 2003 170.0 9.0 8.0 55.0 150.0 110.0 90.0 70.0 50.0 Exchange Rate Exchange Rate 130.0 50.0 45.0 40.0 35.0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year Year Rupee/Euro Source: Global Insight, Inc. 2003 Rupee/U.S. Dollar Baht/Euro Source: Global Insight, Inc. 2003 14.0 7.0 6.0 5.0 4.0 3.0 2.0 Exchange Rate Pakistan will also exert downward pressure on the rupee. Buoyant foreign-exchange reserves, US$81.91 billion as of June 27, 2003, will help offset depreciation pressures slightly, however. At the end of 2004, the rupee is expected to have reached 49/dollar. grafico 9A Exchange Rate 42 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 13.0 12.0 11.0 10.0 9.0 8.0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Year Baht/U.S. Dollar Egyptian Pound/Euro Source: Global Insight, Inc. 2003 Year Egyptian Pound/U.S. Dollar Dirham/Euro Source: Global Insight, Inc. 2003 Dirham/U.S. Dollar 43