LA GENERAZIONE DI CAROSELLO APPUNTI PER UN

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ISTITUTO PER LA STORIA DELLA
RESISTENZA
E DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA IN
PROVINCIA DI
ASTI
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LA GENERAZIONE DI CAROSELLO APPUNTI PER
UN PERCORSO DIDATTICO SULLA SOCIETÀ DEI
CONSUMI
Patrizia Vayola
Motivazioni per la scelta del tema
Una delle letture che mi ha convinto a scegliere,
come argomento di indagine e di riflessione a livello
didattico, la società dei consumi è un saggio di Piero
Bevilacqua Sull'utilità della storia1. L'autore propone
una serie di riflessioni sul come e sul perché sia
importante insegnare e trasmettere ai giovani non
tanto o non solo i contenuti ma la capacità ed il
desiderio di interrogarsi sul passato. Egli passa in
rassegna i nodi problematici dell'ultimo cinquantennio
e propone alcuni temi forti per rendere evidente
l'utilità di questa disciplina.
Uno di questi temi è, appunto, il consumismo. La
motivazione che dà a questa scelta è la seguente:
Ogni generazione vive il proprio tempo con una profonda e
mai discussa sensazione: quella di trovarsi nell'unico tempo
possibile. La società che essa eredita dagli uomini del passato
appare simile ad una solidificazione geologica: la base stabile, il
punto di partenza su cui edificare ex novo il proprio originale
percorso verso il futuro. (…) Nell'unico mondo possibile ad ogni
1
Piero Bevilacqua, Sull'utilità della storia, Roma, Donzelli, 1996, pp.36-46.
1
singolo individuo anche i pensieri, anche i desideri, le predilezioni,
i gusti appaiono come gli unici possibili: quelli di tutti, naturali,
umani, quelli di sempre, immutabili come il colore del cielo. (…)
Allevati sin dalla primissima infanzia dai messaggi pubblicitari
della televisione, dai manifesti murali, dalle insegne lucenti dei
negozi, i ragazzi hanno introiettato un'attitudine verso gli oggetti
di consumo che è naturale quasi quanto il rapporto con i loro
genitori. (…) Essi sono naturaliter consumatori.
Questa mi è sembrata una motivazione
effettivamente forte allo studio della società dei
consumi, anzi, nella logica selettiva che deve guidare
la programmazione del docente di storia, la logica per
cui sappiamo ormai che non possiamo far tutto
(troppo sarebbe e quindi troppo superficialmente
affrontato e troppo poco fondante per l'acquisizione di
abilità metodologiche fondamentali come la capacità,
appunto, di interrogarsi sul passato e di conoscere da
che parte cominciare e in quale modo procedere per
darsi le risposte), mi è parso che il valore educativo e
cognitivo di questo tema lo collocasse tra quelli
irrinunciabili. Perché appunto non serve solo a mettere
in discussione la logica sottesa alla società dei
consumi ma anche consente, su un tema facile ed
esperienziale, la comprensione del fatto che il presente
è un esito storico, uno degli esiti possibili, determinato
dalle scelte, di lungo come di medio e breve periodo
che sono state effettuate dai suoi protagonisti. La
comprensione di questo dato mi sembra fondamentale
affinché i giovani colgano l'importanza della propria
capacità di scegliere rispetto al futuro.
Le più recenti indagini sull'universo giovanile, da
quelle di Cavalli2 a quelle del Landis3, a quelle del
2
Carlo Buzzi, Alessandro Cavalli, Antonio de Lillo, Giovani verso il 2000 - Quarto
rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia,Bologna, il Mulino, 1997; cfr. anche A.
Cavalli (a cura di), Il tempo dei giovani, Bologna, il Mulino, 1985.
3
Cfr. N. Baiesi e E. Guerra (a cura di), Interpreti del loro tempo. Ragazzi e ragazze tra
scena quotidiana e rappresentazione della storia, Bologna, CLUEB, 1997.
2
progetto Youth and History4 a livello europeo, o ancora
quella presentata su “Il Sole 24 ore” di recente e
ripresa da “La Repubblica”5, che introduce la categoria
dell'invisibilità, mettono infatti in luce la difficoltà, da
parte dei giovani, di uscire fuori dalla dimensione del
presente per porsi in modo propositivo degli obiettivi
per il futuro; si assiste ad uno schiacciamento
sull'esistente, subìto ma non interpretato criticamente
e quindi vissuto con l'ineluttabilità del dato
impossibile da modificare.
Questa constatazione, tuttavia, non ci assolve,
non possiamo cavarcela col classico rosario di luoghi
comuni
relativi
alla
gioventù
"bruciata":
l'appiattimento sul presente riguarda noi quanto loro,
la mancanza di progettualità esiste a tutti i livelli
generazionali, il disinteresse per la politica e per la
storia coinvolgono la società nel suo complesso; non
sono solo i giovani a non ascoltare: sono anche gli
adulti che hanno smesso di raccontare. Da una
recente analisi risulta che c'è una "strana" coincidenza
tra l'andamento scolastico dei ragazzi e le loro
conoscenze rispetto al passato della propria famiglia:
gli studenti con capacità di impegno e di attenzione
inferiori alla media sono anche quelli che, di fronte a
domande sulla propria famiglia, non sanno ricostruire
un albero genealogico, non conoscono i nomi e la
provenienza dei loro antenati diretti, non sono in grado
di raccontare nessuna storia relativa ai nonni e, in
alcuni casi, nemmeno ai genitori. Sono ragazzi, si badi,
che appartengono ad ogni ceto sociale, figli di operai
come figli di laureati, e ciò evidenzia come ormai
4
Magne Angvik, Bodo von Borries, Youth and History: a comparative European survey on
historical consciousness and political attitudes among adolescents, Hamburg, KoerberStiftung, 1997, 2 voll. + Cd-rom.
5
Cfr. “Il Sole 24 ore”, 17 settembre 1997. Il quotidiano “La Repubblica” ha ripreso il tema
ed ha aperto un forum sul sito internet del giornale, (www.repubblica.it) per continuare il
dibattito ospitando contributi di esperti e riflessioni di giovani interessati.
3
alcune forme di deprivazione culturale abbiano
superato i tradizionali steccati di classe, che pure
tanto continuano a valere in relazione alla selezione
nella scuola.
Questi dati ci richiamano a responsabilità forti:
non possiamo scaricarle sull'invasività della televisione
o sulla ripetitività dei videogiochi, che anzi, attivano
abilità cognitive diverse6, a noi sconosciute e che
pertanto la scuola non è in grado di riconoscere e di
utilizzare.
Mi sembra quindi importante affrontare un tema,
quello dei consumi, che mette i giovani a confronto
diretto con i propri atteggiamenti, li inserisce in un
contesto storico in grado di offrire un'analisi delle
cause del fenomeno, e li rende perciò più consapevoli
della “non naturalità” della cultura in cui sono
immersi,
potenziando
la
consapevolezza
dell'importanza delle loro scelte per il futuro. Con ciò
non voglio neanche dire che sia necessario, in questo
caso, che la scuola, nell'eterna diatriba tra apocalittici
e integrati, debba schierarsi, come spesso fa, tra i
primi; io credo anzi che debba evitare facili
schieramenti di campo, offrendo invece strumenti di
conoscenza e di analisi che consentano di uscire dalla
sterilità manichea di entrambe le posizioni.
Vorrei però aggiungere alcune altre considerazioni
generali.
Molto, nella trasmissione di conoscenze relative
all'ultimo cinquantennio, deriva dal vostro vissuto:
paradossalmente, proprio in quanto testimoni dei fatti
che raccontiamo, incontriamo più difficoltà che non
quando affrontiamo temi di storia medievale o
moderna.
Ciò
deriva
senza
dubbio
dalla
preoccupazione di sovrapporre all'asetticità della
6
Cfr. R.Maragliano, Tre ipertesti su multimedialità e formazione, Roma-Bari, Laterza,
1998.
4
narrazione giudizi ed emozioni che affiorano in
relazione alle nostre esperienze soggettive più che dallo
studio degli eventi del periodo. Ma non si tratta solo di
mettere in gioco l'imparzialità delle valutazioni, anzi,
se ci riflettiamo, sappiamo che non esiste
un'imparzialità delle valutazioni: qualsiasi corrente
storiografica rappresenta un punto di vista sul passato
e da esso parte per selezionare e osservare gli eventi e
pertanto si può fare ideologia più che storia anche
parlando della democrazia ateniese; il problema
semmai è quello di esplicitare, di non sottacere, i
presupposti
ideologici
che
spingono
ad
un’interpretazione e, per gli insegnanti, fonti viventi
del periodo su cui lavorano con gli studenti, l’unica
possibilità di oggettività è quella di dichiarare la
propria soggettività in quanto fonte orale al pari di
tante altre che sullo stesso argomento possono e
devono essere ascoltate e interpretate, con tutte le
attenzioni
scientifiche
riservate
all'uso
della
memorialistica. Dunque noi, in quanto testimoni
diretti, potremmo rappresentare fonti preziose, da
affiancare ad altre per offrire una gamma di punti di
vista utile a far cogliere ai nostri studenti la differenza
tra fatto e interpretazione, fornendo così le basi per la
comprensione diretta di cosa voglia dire fare ricerca
storica e di come storia, in questo senso, sia sinonimo
di storiografia e vada pertanto relativizzata nelle
conclusioni che trae dall'analisi dei fatti. Si tratta
perciò anche di scendere dalla cattedra e di assumere
il ruolo di chi ricerca, insieme ai ragazzi,
un'interpretazione a eventi e situazioni che, facendo
parte della nostra vita, spesso noi stessi non abbiamo
guardato col distacco e la lontananza necessari per
analizzarli,
connetterli
col
quadro
generale,
interpretarli.
Il problema tuttavia non è solo questo, esso
risiede anche nella percezione del nostro passato.
Provate a sfogliare una cronologia degli ultimi 50 anni;
5
tenendo conto che l'età media dei docenti attualmente
in cattedra si aggira intorno ai 40 anni, vi capiterà,
andando avanti nella lettura, di cominciare ad
incontrare fatti noti, eventi nei quali alla conoscenza si
somma l'esperienza, episodi che risuonano nella
biografia individuale e nella biografia collettiva della
nostra generazione. Alcuni di questi li ricordiamo come
remoti, appartengono alla nostra infanzia, al sentito
dire, ai discorsi degli adulti, come l'elezione di
Giovanni XXIII o la costruzione del muro di Berlino, di
altri, come il crollo della diga del Vajont o le prime
imprese astronautiche, siamo stati giovani spettatori
televisivi. Poi vengono gli eventi che ci hanno visto
protagonisti o comunque testimoni consapevoli o
partecipi, come la contestazione giovanile, il Vietnam, i
referendum su divorzio e aborto, il terrorismo. Se poi
continuiamo a scorrere le date troviamo, ad esempio,
l'elezione di Giovanni Paolo II, l'assassinio di Moro, la
strage di Ustica, Cossiga presidente della repubblica,
l'ingresso delle televisioni private, il pentapartito,
Cernobyl, la nascita della Lega Nord, la guerra del
Golfo, “Mani pulite”, la crisi e la trasformazione delle
forze politiche italiane. Che percezione abbiamo, noi,
della lontananza di questa ultima serie di fatti
dall'oggi? Diciamo che, nel complesso, li consideriamo
recenti, appartengono a quella che possiamo chiamare
la nostra contemporaneità soggettiva. Sono i fatti, è la
realtà nella quale si è dispiegata la nostra vita di
adulti, nei confronti della quale la nostra memoria vive
un rapporto di prossimità, appartengono insomma al
passato recente, al nostro ieri, eppure alcuni risalgono
a venti anni fa. E' un processo psicologico di
elaborazione del ricordo noto, che vale per la generalità
degli adulti, quello stesso processo che mi disorientava
quando mio nonno raccontava, negli anni '70, a me
adolescente, fatti dell'immediato dopoguerra come se
fossero appena accaduti. La differenza sta nel fatto che
noi siamo docenti che questa storia (per la prima volta
6
dopo 50 anni in cui i programmi si sono fermati,
quando andava bene, alle soglie della seconda guerra
mondiale, a eventi cioè che anche per noi erano solo
storia) dobbiamo raccontarla e farla studiare.
Corriamo
pertanto
due
grossi
rischi
di
prospettiva.
In primo luogo, proprio perché gli ultimi venti
anni appartengono alla nostra contemporaneità
soggettiva, rischiamo di darli per scontati almeno nei
loro tratti salienti, rischiamo di supporre cioè nei
nostri studenti preconoscenze di base che invece sono
loro del tutto ignote. Se continuiamo infatti a scorrere
la nostra cronologia, tenendo conto che i nostri
studenti più grandi sono nati nel 1980, scopriamo che
Giovanni Paolo II è l'unico papa che hanno conosciuto,
che Moro era già morto prima che loro nascessero, che
erano bambini ai tempi della caduta del muro di
Berlino, che durante la guerra del Golfo i più grandi
avevano 11 anni, i ragazzi di terza media ne avevano 6,
ed all'avvento di “Mani pulite” e alla conseguente crisi
dei partiti avevano rispettivamente 13 e 9 anni. Ecco,
io credo che dovremmo tenere in maggior conto questa
riflessione: ai nostri studenti mancano una serie di
conoscenze che per noi sono scontate e che, tenendo
conto della complessiva diminuzione del ruolo della
famiglia come canale di trasmissione del passato e
della funzione spesso deformante della televisione in
quest'ambito (la televisione, sappiamo, fa un uso
pubblico, spettacolarizzato della storia e comunque,
anch'essa, rivolgendosi ad un pubblico adulto, quando
parla di eventi storici o politici, spesso non racconta
con l'adeguato spessore i fatti che nomina), per loro
sono ignote, quando non arrivano invece distorte e
prive di consequenzialità: tessere di un puzzle che è
impossibile ricomporre.
A
questo
dato
si
collega
la
seconda
considerazione: noi siamo stati testimoni della
profonda trasformazione che ha contraddistinto questi
7
ultimi cinquanta anni, abbiamo assistito, chi più chi
meno, al passaggio da una società che si affacciava
alla piena industrializzazione a quella impegnata a
ridisegnarsi nell'attuale fase di deindustrializzazione,
abbiamo visto, chi più chi meno, l'ingresso nelle nostre
case del frigorifero, della lavatrice, del televisore,
dell'automobile, sappiamo che rivoluzione essi hanno
portato nello stile di vita, nella concezione del tempo e
dello spazio, siamo passati dal calamaio all'inchiostro
liquido, dalle “Topolino” alle auto a marmitta catalitica
e questo è avvenuto in modo rapido, se misurato coi
tempi lunghi della storia: la nostra infanzia e la nostra
adolescenza sono scandite dalle trasformazioni
continue di una società che molto rapidamente
cambiava sistema di produzione, distribuzione sociale,
stile di vita, concezione del mondo.
La realtà dei nostri studenti è molto più statica:
negli ultimi 18 anni la velocità di trasformazione, se si
eccettua l'ambito tecnologico e informatico, è di molto
rallentata e comunque i cambiamenti sono meno
percettibili di quelli cui noi abbiamo assistito. Di
conseguenza, mentre noi abbiamo assimilato categorie
interpretative quali quelle della trasformazione e
dell'evoluzione, mentre noi possiamo fare il confronto
tra un prima e un dopo, per gli attuali diciottenni il
mondo circostante si presenta come complessivamente
immutato e, siccome, come dice Bevilacqua, esso è
l'unico mondo possibile, ne consegue un'impressione
di solidità, di immodificabilità molto maggiore di quella
che apparteneva al nostro sentire; probabilmente la
denunciata incapacità progettuale dei giovani deriva
anche da questa percezione di continuità che fa parte
della loro esperienza di vita.
C'è poi un problema di generale percezione della
realtà: per noi, che vedevamo il mondo, pur con tutti i
suoi contrasti, trasformarsi e, complessivamente,
migliorare sotto i nostri occhi, il futuro si presentava,
con facilità, come progressivo, consentendoci una
8
visione del futuro complessivamente ottimistica; oggi,
invece,
soprattutto
a
causa
della
maggiore
consapevolezza degli squilibri ambientali che il nostro
stile di produzione e di vita comporta, oltre che in
considerazione della fase critica, in termini di
occupazione e di sviluppo che stiamo vivendo, prevale
un atteggiamento distopico e sfiduciato, e pertanto
difficilmente propenso alla progettualità, nei confronti
dell'avvenire, tanto a livello individuale quanto in
ambito collettivo.
Da tutto ciò consegue l'importanza di un percorso
di analisi della società dei consumi: esso consente
infatti, in un ambito esperienziale forte, di storicizzare
l'esistente, di comprenderlo come un dato evolutivo, di
coglierlo come effetto dello sviluppo di un sistema
economico, culturale e valoriale che si è trasformato
nel tempo e la cui ulteriore evoluzione dipende anche
dall'atteggiamento, dalle scelte che essi faranno, dal
modo in cui sceglieranno di disegnare il loro futuro.
Certo non è costruendo un modulo sulla società dei
consumi che noi possiamo sperare di modificare quegli
atteggiamenti di complessiva passività, di invisibilità,
che, a detta dei sociologi, caratterizzano le ultime
generazioni, tuttavia se vogliamo che la storia serva
anche alla costruzione di un orizzonte di senso e di un
sistema di valori che nessuna altra agenzia culturale
sembra ormai in grado di produrre, anche questo può
essere uno stimolo utile e significativo.
I contenuti
Giustificate quindi le finalità del tema, vediamo
ora quale può essere l'approccio più efficace: se uno
dei nostri obiettivi è quello di sottolineare il carattere
evolutivo della società dei consumi, (lavorando quindi
9
sulle
categorie
storiografiche
di
continuità/discontinuità e tradizione/innovazione)
evidentemente il nucleo della ricerca sarà individuare
le differenze tra la realtà attuale e quella
preconsumistica, per analizzare poi attraverso quali
passaggi costumi e consumi si siano modificati nel
corso del tempo. Da questo punto di vista assume un
particolare significato indagare sul periodo del boom
economico che, appunto, ha messo le basi per il nostro
attuale sistema di vita.
Proviamo quindi a richiamare alla memoria alcuni
dati.
Se scorriamo i dati salienti della cronologia in
riferimento agli eventi politici significativi per il periodo
troviamo in realtà pochi elementi che riguardino
propriamente il boom e che ne giustifichino la portata.
La storia politica del periodo ci racconta infatti poco
più che le strategie della Democrazia Cristiana per
mantenere il controllo sulla vita politica italiana dal
momento in cui si accorge che lo strepitoso successo
elettorale del '48 non regge alla prova dei fatti. La legga
truffa del '52, i risultati non confortanti per la DC delle
elezioni del '53, il tentativo fallimentare di cercare
appoggi a destra col governo Tambroni nel '60, i
successivi scontri di piazza ed il conseguente
cambiamento di strategia con l'appoggio prima esterno
poi organico del PSI col governo Moro del '63, sono
eventi che non consentono di leggere, se non in modo
molto parziale, le trasformazioni avvenute in Italia in
quel periodo, anzi, come dice De Luna7, dimostrano
come la politica, in questa fase rincorra, più che
determinare, i mutamenti in atto nel paese.
Dobbiamo quindi cercare altri ambiti che ci diano
conto delle trasformazioni. Evidentemente è l’ambito
economico quello nel quale più forti sono i segnali di
cambiamento. Infatti, se la situazione dell'immediato
7
Cfr. G. De Luna L’occhio e l’orecchio dello storico, Firenze, La Nuova Italia 1993.
10
dopoguerra è nel complesso statica e ripropone, a
livello di stratificazione sociale e di consumi, una
situazione analoga, se non peggiore, a quella
anteguerra, a partire dalla metà degli anni '50 il
panorama muta completamente. Il piano Marshall,
infatti, insieme alla ripresa industriale favorita dalla
politica dei bassi salari (al di sotto delle medie europee
e comunque in moderata crescita solo dal ’53 [ved.
tab.17.3]) che, mantenendo basso il costo del lavoro
rende competitive le nostre esportazioni, consente un
notevole incremento della produttività [ved. tab. 8.18].
A questi fenomeni si aggiunge il rilancio, oltre che
dell'edilizia privata, dei lavori pubblici in vista della
ricostruzione, soprattutto, della rete di comunicazioni
nazionali fortemente minata dal conflitto. Tutto ciò
mette in moto il mercato del lavoro (il numero di
disoccupati discende da 2 milioni ad un milione e
mezzo nel decennio ‘51-’61) proponendo le città ed il
nord come forte polo attrattivo. Questi fenomeni,
insieme alla politica einaudiana di contenimento
dell’inflazione [ved. tav. 31] e di consolidamento della
nostra moneta, consentono una forte ripresa
economica che coinvolge, sia pure in misura differente,
l’intero paese.
Più che analizzare nel dettaglio gli aspetti di
politica economica e le caratteristiche dello sviluppo,
per le quali rimando alla nutrita bibliografia in
proposito, per il nostro discorso sui consumi appare
più rilevante analizzare le trasformazioni che il boom
induce negli stili di vita e nella stessa concezione del
mondo degli italiani.
Il fenomeno più rilevante è il passaggio dalla
predominante cultura contadina al modello di vita
della società dei consumi che, causato appunto dal
prevalere, tanto in termini di occupati quanto in
relazione al prodotto interno lordo, della produzione
industriale,
induce
una
serie
di
rilevanti
trasformazioni sociali. Innanzitutto si modifica la
11
distribuzione della popolazione: mentre nell'immediato
dopoguerra riprende la tradizionale emigrazione verso
gli USA e verso i paesi europei più industrializzati,
dalla metà degli anni '50 le città svolgeranno una
funzione attrattiva nei confronti delle campagne (con
una significativa riduzione della popolazione nei piccoli
centri) e, successivamente, sarà il triangolo industriale
(soprattutto dopo l'abolizione, nel '61, delle leggi
fasciste che limitavano l'emigrazione interna) ad
attrarre popolazione dal sud come dall'est d'Italia. E
mi sembra un'analogia interessante con quello che
attualmente
succede
rispetto
all'immigrazione
albanese,
che
molti
osservatori
dell'epoca
attribuiscano alla televisione, che si sostituisce, in
campagna, alle veglie nelle stalle, (come dice Giorgio
Bocca in un suo articolo dell'epoca) una funzione
importante nel suscitare, soprattutto nei giovani, il
desiderio di trasferirsi in città8.
Cambia poi tanto la composizione della famiglia,
che diventa nucleare, quanto il ruolo, in essa, della
donna, progressivamente sempre più coinvolta nel
sistema produttivo ma anche più consapevole delle
proprie esigenze di realizzazione individuale. Inoltre si
trasformano le aspirazioni ed il complessivo stile di
vita che, in una situazione di mobilità sociale, tendono
ad omologarsi intorno a beni, scelte, atteggiamenti che
rappresentino l'aspirazione ad uno status socialmente
più elevato o il suo raggiungimento.
Tali trasformazioni, tuttavia, non si verificano
ovunque nello stesso modo, anzi si può dire che
tradizione ed innovazione convivano per lungo tempo
con una distribuzione a macchia di leopardo che pone
continuamente a confronto e fa interagire i due stili di
vita.
8
Cfr. G. Crainz Storia del miracolo italiano, Roma, Donzelli, 1996, pp.87-112
12
La trasformazione dei consumi
Vediamo ora come questi fenomeni possono
essere letti attraverso la trasformazione dei consumi
che, in questo periodo, si modificano moltissimo tanto
per quantità quanto per qualità [ved. tab. 8.35].
1. l'alimentazione
Il primo settore da prendere in considerazione
riguarda i cambiamenti nell’alimentazione. Si assiste a
tre fenomeni importanti. Il primo, legato all’aumento
del reddito, riguarda la dieta complessiva degli italiani:
si segnala infatti un progressivo ribaltamento delle
quote di cereali e verdura rispetto a quelle relative alla
proteine animali, ma aumenta anche il consumo di
zuccheri e di frutta; in particolare, ad esempio, fanno il
loro ingresso sulle tavole italiane i frutti esotici, le
banane in primo luogo.
Il secondo fenomeno è più interessante e riguarda
due fatti: il consumo di cibi sempre più raffinati
rispetto a quelli della tradizione contadina e l’ingresso
dei cibi conservati. Se il primo dato può essere letto
come tentativo di omologazione sociale da parte del
mondo contadino, esso nasconde anche il fenomeno
dell’inurbamento
che
stacca
dall’alimentazione
tradizionale, facilitando così l’avvento di produzioni
standardizzate di cibi che incrementano la diffusione
dell’industria alimentare. Industria che si giova anche
della diffusione di prodotti conservati e, più tardi, di
surgelati. Tale orientamento dei consumi alimentari è
da ricondursi alla trasformazione della gestione
domestica che complessivamente si orienta verso cibi
che richiedono preparazioni meno complesse a
testimonianza dei cambiamenti che si verificano nella
condizione femminile: le donne spesso lavorano fuori
casa ed hanno meno tempo da dedicare ai tradizionali
compiti di cura, ma, anche quando continuano a
svolgere il ruolo di casalinghe, mutano l’ordine delle
13
priorità delle loro incombenze sia ritagliando frazioni
di tempo per i propri interessi sia dedicandosi con
maggior attenzione ai problemi legati alla cura dei figli.
Infine aumenta in modo consistente la ristorazione
collettiva, vista anch’essa come sintomo di ascesa
sociale e facilitata dalla motorizzazione e dall’aumento
del tempo libero, oltre che a volte imposta dalla
concentrazione delle ore lavorative che costringono a
pranzare fuori casa.
L’incremento dei consumi alimentari procederà
ininterrotto fino ad oggi, ma si svilupperà poi, a partire
dalla seconda metà degli anni ’80, una maggiore
attenzione selettiva che tenderà a diversificare i
consumi in relazione tanto al reddito quanto agli
atteggiamenti culturali che sono propri di una civiltà
di diffuso benessere e di maggior educazione
alimentare.
2. l'abbigliamento
Il secondo settore ad essere toccato da radicali
trasformazioni è quello relativo all’abbigliamento. Il
primo fenomeno apprezzabile da questo punto di vista
è
lo
spostamento
dall’interno
(la
cura
dell’abbigliamento intimo, del corredo) all’esterno: la
cura dell’abito che sempre più viene visto come status
simbolo e non come lusso moralmente deprecabile
esibito dalle classi superiori. Questo fatto produce la
proletarizzazione dell’abito (vestiti in serie) con la
perdita delle connotazioni di prestigio ad esso
connesse e con la scomparsa della divisione classista
degli stili che si accontenta di differenziazioni più
sottili che non riguardano più la foggia ma la qualità e
gli accessori. Tale trasformazione, a sua volta, induce
un’accelerazione dei cicli della moda che, se prima
della guerra duravano anche diversi anni, ora si
trasformano in modo rapido con un alternarsi di
modelli
destinati
a
una
breve
durata:
la
manifestazione dello status riguarda pertanto la
14
velocità di assorbimento del nuovo stile. A questo
fenomeno si aggiunge la scomparsa della rigidità che
determinava la selezione dell’abbigliamento in base
all’occasione (mattino, pomeriggio, sera, festa,
domenica ecc.). Essa, a sua volta è legata alla nascita
dell’abbigliamento
casual
la
cui
affermazione
determina il consolidamento, sul mercato, dei capi di
produzione
industriale,
il
che
porterà
poi
all’affermazione, sempre come esigenza di status, di
griffe e marche. Il casual costituisce la fusione tra
abbigliamento normale e abbigliamento sportivo che si
viene a creare a partire tanto dall’allargamento della
fascia di tempo libero da destinare allo svago ed alla
vacanza
quanto
dalla
differenziazione
tra
abbigliamento adulto e abbigliamento giovane, con
incursioni sempre più ampie degli utenti del primo
negli stili del secondo.
In sintesi la trasformazione più evidente è il
valore non più tanto di status quanto identitario della
selezione degli abiti cui si aggiungono le complesse
esigenze di un’industria che deve necessariamente
sollecitare desideri e creare legami tra l'apparire e
l’immaginario individuale e collettivo se non vuole
perdere i suoi livelli produttivi. Sparisce comunque,
almeno per le classi medie, l’uso del vestito “buono” di
sartoria, destinato a durare nel tempo e ad essere
utilizzato in tutte le "grandi" occasioni.
3. l'arredamento
Anche l’arredamento subisce, nel periodo
considerato, grandi trasformazioni che sono collegate
alla ristrutturazione complessiva degli spazi domestici.
La nuova edilizia popolare non si modella sullo stile di
casa borghese anteguerra: la cucina si trasforma
completamente con l’avvento dei mobili componibili in
formica che sostituiscono le vecchie credenze, entrano
inoltre nelle case, spesso insieme all’acqua corrente e
al gas centralizzato, gli elettrodomestici. Si afferma il
15
salotto che, con l’ingresso del televisore, diventa uno
spazio di vita quotidiana, che perde i tratti di vetrina
ufficiale dello status della famiglia secolarizzandosi e
conformandosi alle esigenze di essere pulito e in ordine
rapidamente e senza eccessivo dispendio di energie, il
che porta a selezionare mobili dalle linee rette, levigati
e componibili per facilitare anche la possibilità di
traslochi in case diverse. Acquista una sua specificità
anche la stanza dei bambini, che richiede un
arredamento apposito. Un altro locale da progettare ex
novo è il bagno privato, prima praticamente inesistente
nella maggioranza delle case popolari e comunque
spesso non dotato di vasca da bagno. Si verifica inoltre
una progressiva trasformazione dei gusti che orienta
soprattutto le giovani coppie verso mobili di stile
moderno, più economici, in quanto di fabbricazione
industriale, i cui capostipiti sono i mobili svedesi che
iniziano ad affermarsi alla metà degli anni ’50.
Esiste poi, collegato alla casa, un intero settore di
nuovi consumi legato ai prodotti per la cura e la
pulizia dell’ambiente domestico che sono in rapida
espansione e a livelli crescenti di specializzazione,
proporzionali alla necessità di investire tempi sempre
minori nella manutenzione complessiva dell’alloggio.
4. d. il tempo libero
E' poi nell'ambito dell'uso del tempo libero che si
vivono le maggiori trasformazioni. Intanto si verifica
una progressiva liberazione del tempo dovuta
sostanzialmente alla diffusione delle automobili [ved.
tab. 10.7] e di trasporti comunque più veloci ed
efficienti come all'ingresso, nella vita domestica degli
elettrodomestici e all'organizzazione complessiva dei
tempi di lavoro (il sabato libero, la riduzione dell'orario
di lavoro). Questo tempo recuperato alla vita offre
occasioni di socializzazione e di soddisfazione di
bisogni che incentivano significativamente l'attitudine
verso il consumo che l'aumento del reddito pro capite
16
consente di soddisfare, alimentando così una spirale
che porta ad un ampio sviluppo di questo settore.
I partiti e le organizzazioni di massa propongono
occasioni tradizionali di utilizzo di questo tempo a fini
pedagogico-ricreativi - si pensi alle sezioni giovanili dei
partiti o alle parrocchie - ma, accanto ad essi, cresce
tutta l'industria dello spettacolo e dell'intrattenimento
(cinema, tv, locali e ritrovi, ecc.) e, col passare del
tempo, innumerevoli proposte hobbistiche e sportive.
Ma è soprattutto nell'ambito delle vacanze che si
sviluppano le differenze più notevoli col passato, nel
senso che se ne generalizza l'uso: a partire dagli anni
'50, infatti, con la progressiva affermazione dei mezzi
di trasporto pubblici e privati, esse diventano
fenomeno di massa, sottraendo alle classi dirigenti
quest'ambito di distinzione sociale che le confina a
pochi luoghi esclusivi o allo spostamento fuori d'Italia,
ove, negli anni '70, cominceranno ad essere raggiunte
nuovamente anche da porzioni sempre più ampie di
italiani.
E' soprattutto lo sviluppo di pratiche di uso del
tempo libero che porta, in Italia, all'affermazione del
terziario, che, per la maggior parte, quando non si
tratta di attività propriamente economiche o
commerciali, si organizza proprio intorno ai nuovi
bisogni che tale fenomeno induce.
5. Carosello
Dati questi indicatori di trasformazione, veniamo
ora alla proposta didattica. Essa verte sulla possibilità,
per gli studenti, di comprendere la nascita della
società dei consumi attraverso l'analisi degli spot di
Carosello che possiamo considerare insieme agente e
riflesso della trasformazione in atto.
La scelta di Carosello è motivata da una serie di
considerazioni:
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1. questo programma rappresenta, come si è appena
detto, un potente agente di diffusione dei nuovi
consumi e della mentalità ad essi connessa;
2. esso costituisce un modello diverso rispetto alla
cultura degli studenti (Carosello è cessato nel '77) e
già la sua sola visione costituisce una riprova di
quella categoria della trasformazione che abbiamo
considerato centrale per la comprensione della
nascita e dello sviluppo della società dei consumi;
3. fa parte della memoria storica degli insegnanti e, di
conseguenza, rende possibile sia il loro uso come
fonte diretta sia, da parte dei docenti stessi, una
rivisitazione
critica
del
loro
passato
che
probabilmente non è stata oggetto di una riflessione
critica. Dobbiamo infatti ricordare che noi siamo la
generazione di Carosello, pertanto, volenti o nolenti,
i nostri gusti, il nostro immaginario, la nostra
stessa mentalità, sono stati influenzati da quel
programma che ha rappresentato un aspetto
importante della base culturale comune a tutta la
nostra generazione (e autonoma e nuova rispetto al
mondo adulto che ci circondava), come la
pubblicità attuale, che, peraltro, è molto diversa,
determina molti aspetti della formazione dei nostri
studenti.
4. è uno strumento accattivante e piacevole, sul quale
i ragazzi posseggono un bagaglio di saperi impliciti
da far emergere alla consapevolezza e orientare
criticamente.
Vediamo ora quali sono i dati di conoscenza
essenziali per poter sviluppare, con gli studenti questa
analisi.
a. la nascita
Carosello nasce il 3 febbraio 1957, appena 3 anni
dopo la nascita ufficiale della televisione, i cui
programmi, ricordiamolo, coprivano allora la sola
fascia serale e godevano di un'utenza comunque molto
18
limitata9. Nasce dopo molte resistenze da parte della
dirigenza RAI dell'epoca, a dominanza democristiana,
per l'insistenza dei grandi produttori che vedono nel
mezzo televisivo un potente strumento di diffusione
pubblicitaria. Ma le culture del periodo, sia quella di
sinistra sia quella cattolica, pur con motivazioni
diverse, sono fortemente avverse al mezzo e questo
produce una vera anomalia in campo pubblicitario:
uno spettacolo di promozione in cui il prodotto, invece
di essere centrale, costituisce quasi un accessorio la
cui menzione è giustificata dal fatto di aver offerto,
appunto, all'utente un piccolo intrattenimento.
Sono fissate regole molto rigide:
• ogni spot doveva durare 1 minuto e 45 secondi dei
quali solo 20-30 potevano essere dedicati alla
menzione del prodotto, il nome del quale,
comunque non poteva essere ripetuto più di 3 volte;
• lo spettacolo doveva essere separato nettamente dal
codino pubblicitario finale;
• nessuno spot poteva essere ripetuto (poi si
concesse la ripetizione di uno);
• un ciclo pubblicitario era di 4 (poi 6) spot che erano
trasmessi a distanza di 10 giorni l'uno dall'altro;
• non dovevano esserci immagini o storie che in
qualche modo incoraggiassero alla violenza, alla
disonestà, al vizio o al sesso;
• erano pertanto esclusi spot su biancheria intima o
bisogni poco decorosi e c'era il divieto a nominare
parole considerate di cattivo gusto come sudore o
forfora o depilazione10.
9
Gli abbonati nel 1956 sono 366.151, salgono a 673.080 alla fine del 1957 e
toccano quota un milione alla fine del 1958. Cfr. P. Dorfles “Carosello”,
Bologna, Il Mulino, 1998.
10
Cfr. M. Giusti Il grande libro di Carosello, Milano, Sperling & Kupfer,
1995, p.27
19
Ogni ciclo di spot costava circa 1 milione e mezzo
e il contratto, stipulato tramite la SIPRA, implicava
anche, al traino, un investimento, per lo stesso
prodotto, in pubblicità sui giornali, fatto questo che,
nato per tutelare la pubblicità tradizionale, si rivelò poi
un potente strumento di finanziamento dei giornali di
partito. La produzione era affidata completamente ai
privati (fatto questo che, originato dall'impossibilità
per gli studi tv di far fronte alle richieste, porterà allo
sviluppo, in Italia, di una moderna industria
pubblicitaria) ma con la supervisione della SIPRA
stessa che poteva decidere sulla messa in onda o meno
del ciclo e che quindi svolgeva vere e proprie funzioni
di censura.
Per comprendere lo straordinario successo di
questa trasmissione, bisognerebbe rileggere la
programmazione dell'epoca: la concezione pedagogica
della tv allora vigente lasciava poco spazio a
programmi di evasione, Carosello rappresentava
pertanto spesso l'unico momento di intrattenimento
leggero su cui gli italiani, i pochi possessori di un
televisore (nel 57 gli abbonati erano tre milioni e
mezzo) e i molti che comunque vi si riunivano intorno
nei locali pubblici o in case private, potessero
quotidianamente contare.
Carosello si rivela un programma di straordinaria
efficacia per la costruzione della società dei consumi.
Innanzitutto perché afferma una pubblicità unica su
territorio nazionale che, nello stesso tempo, rompe e
rende evidente la frattura con la logica della bottega e
della piccola produzione locale: i cittadini dell'Italia
postbellica si trovano pertanto unificati nel passaggio
dal ruolo di clienti a quello di consumatori. Inoltre
impone la rassicurante convinzione che il prodotto
pubblicizzato abbia uno standard stabile di qualità e
di prezzo che possa compensare la perdita di
accuratezza e di personalizzazione del prodotto
artigianale. Infine informa sull'esistenza, i caratteri, gli
20
usi e lo status che sono legati ai prodotti che
progressivamente vengono immessi sul mercato e ne
garantisce l'importanza con la sua autorevolezza (l'ha
detto la televisione).
La sua funzione di volano/specchio della società
dei consumi risiede in particolare in questa sua ultima
funzione giacché è soprattutto grazie ad essa che le
esigenze degli italiani vengono spostate dal piano dei
bisogni primari a quello delle esigenze che, adesso, il
progressivo aumento delle disponibilità economiche
consente di soddisfare. In questo senso Carosello
rappresenta, certo più di qualsiasi altro programma
televisivo, un elemento di forte messa in crisi della
cultura contadina: il modello che propone e che offre
come contesto ai suoi spot è quello della vita della città
industrializzata e vicina al mito americano imperante,
il ceto che utilizza come riferimento è quello del ceto
medio urbano; questo modello e i consumi ad esso
connesso entrano così potentemente nell'immaginario
collettivo come aspirazione ad una superiore qualità
della vita. Questa identificazione consumo-qualità
della vita scardina completamente alcuni fondamenti
della cultura precedente consentendo il passaggio da
una logica del dovere, come parametro di riferimento
per le scelte individuali, ad una logica del piacere che
viene identificato con lo status e, conseguentemente,
con il consumo.
b. la struttura
Importante, per capire la forza di penetrazione di
questo spettacolo, è anche tentare una prima analisi di
alcuni aspetti della struttura degli spot. Come
ricordiamo essi si dividevano in quattro grandi
sottogeneri: quelli che proponevano scenette comiche,
quelli che puntavano sui cartoni animati, quelli che
invece si basavano sull'ascolto di canzoni e cantanti di
grido e quelli infine, in netta minoranza, che offrivano
informazioni di vario genere con ambizioni culturali
mutuate dallo stile imperante della tv pedagogica
21
dell'epoca (dalle regole del codice della strada, alle
caratteristiche di paesi esotici). I primi due mutuavano
spesso dalla favola la struttura narrativa: una breve
storia con happy end obbligatorio, eroe, antagonista e
relativa punizione del cattivo che anzi, attraverso l'uso
del prodotto, veniva addirittura redento.
Questo tipo di struttura, come anche il largo uso
di cartoons mette in luce un altro aspetto importante
di questo tipo di spettacolo: pur rivolgendosi
universalmente a tutti gli spettatori, privilegia i
bambini, considerati una specie di testa di ponte per
diffondere, nella famiglia, i bisogni propagandati: la
vulnerabilità dei bambini (si pensi ai gadget nei
detersivi dell'epoca) consente un più facile accesso alle
madri che, per il genere di prodotti pubblicizzati, sono
coloro che effettivamente selezioneranno gli acquisti.
Questo spiega anche perché Carosello ha avuto una
così forte presa sugli ascolti: andare a letto dopo
questo spettacolo non è una generalizzazione: ha
costituito, per i bambini dell'epoca, una reale
scansione del tempo.
Ma il vero punto di forza della pubblicizzazione
dei diversi prodotti risiedeva nello slogan verbale
(mutuato dalla radio ma fortemente potenziato dall'uso
delle immagini) che era anche l'unico elemento di
continuità possibile per episodi che, per contratto,
dovevano comunque differenziarsi. L'aspettativa
prevista e confermata dello slogan, accompagnato dal
claim, gratificavano lo spettatore e consentivano la
memorizzazione della marca; è praticamente inutile
che ricordarne alcuni: molti di questi slogan, infatti,
oltre che essere entrati nel lessico comune, fanno
parte della memoria collettiva di tutti noi.
Un altro elemento di successo risiede poi
nell'utilizzo di divi e personaggi noti che svolgono il
ruolo di testimonial giocando sulla notorietà che
hanno conquistato attraverso il cinema, ma Carosello,
da questo punto di vista giocherà, a sua volta, un
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ruolo non sempre utile dal punto di vista della
carriera. Infatti se l'ingresso quotidiano di personaggi
famosi nelle case degli italiani, in ruoli minori rispetto
a quelli del grande schermo, desacralizzerà, almeno in
parte, il divismo di importazione hollywoodiana,
l'associazione troppo stretta ad un prodotto rischierà
di limitarne i successivi ingaggi in ruoli diversi da
quelli ormai noti al grande pubblico.
Infine molti Caroselli saranno legati da un filo
conduttore tematico sotterraneo e pertanto ancora più
forte: l'esaltazione dell'innovazione e della modernità,
rappresentata appunto dai consumi e dai nuovi
ritrovati in ogni campo; dai detersivi alle lavatrici, dai
dadi da brodo ai tessuti sintetici, tutto sarà presentato
come avanguardia di un mondo nuovo, tecnologico,
giovane, roseo e pieno di speranze verso il futuro cui
aderire e cui adeguarsi mediante il consumo.
Una struttura dunque ben riuscita che senza
dubbio ha contribuito potentemente al decollo, allo
sviluppo del boom economico ed alla creazione della
quale, non dimentichiamolo, hanno contribuito i
maggiori registi, attori e sceneggiatori dell'epoca, oltre
che i migliori disegnatori di fumetti: Carosello ha
contribuito così allo svecchiamento del linguaggio
cinematografico e televisivo e ha consentito
sperimentazioni linguistiche e tecniche che poi hanno
avuto un peso nella produzione video successiva.
c. i prodotti
Proviamo ora a fare una carrellata sui prodotti
pubblicizzati. Si tratta di generi di largo consumo
adatti ad un pubblico ancora indifferenziato che
rimane nell'ambito dei bisogni primari: è soprattutto
tra quelli che gli viene chiesto di scegliere marche e
linee.
In primo luogo ci sono i generi alimentari come la
pasta, l'olio, i dolci, prodotti il cui ventaglio di offerte si
amplia nel corso degli anni, soprattutto con lo sviluppo
delle industrie alimentari. Interessante, da questo
23
punto di vista è il progressivo aumento dei cibi pronti,
indice del cambiamento di costumi alimentari che
viene proposto e progressivamente accettato dalle
famiglie e soprattutto dalle donne giovani del periodo.
Accanto al dado da brodo (già presente nel '57),
troviamo carne in scatola ('60), sughi pronti ('65),
ortaggi conservati ('69), prodotti per l'infanzia (dai
biscotti del '58 ai liofilizzati del '74), le prime
merendine confezionate ('68) per arrivare (nel '74) alla
carne ed al pesce surgelati (ma non ancora alle
verdure).
Subito dopo troviamo i prodotti per l'igiene che,
come gamma di offerte, si mantengono stabili per tutto
il periodo, per quanto riguarda la cura della persona,
anche se consentono di assistere al cambiare delle
mode, con la scomparsa, ad esempio, della brillantina
(ben 4 marche erano invece pubblicizzate nel '57) e
l'ingresso (nel '62) della lacca per capelli. Da segnalare
anche, come segno dei tempi, la comparsa (nel '72), del
primo deodorante, apertura verso un modo diverso,
meno sessuofobico di pensare al corpo e alla sua
intimità.
Le pubblicità seguono invece lo sviluppo degli
elettrodomestici e la specializzazione progressiva della
produzione per quanto riguarda i prodotti per la casa.
Dai detersivi in polvere stile americano (già presenti
nel '57), si passa a quelli per lavatrice ('65) agli
ammorbidenti ('71), ai detersivi per piatti ('72).
Le pubblicità di abbigliamento, invece, danno il
senso della trasformazione che, da allora ad oggi, si è
verificata in quel settore del mercato: vengono offerti
infatti (tra il '58 e il '63) vestiti di serie che in qualche
modo si rivolgono all'universo maschile e femminile al
di là di una moda precisa, con l'idea di essere capi
durevoli nel tempo, cosa poi diventata inconcepibile
sia per il continuo variare delle mode sia perché non
esisterà più un target unico cui rivolgersi ma un
mercato specializzato per settori. Carosello, che chiude
24
le sue trasmissioni nel febbraio del '77, fa appena in
tempo ad ospitare la prima pubblicità di jeans, indizio
appena percettibile della grande trasformazione di
costume in questo ambito. Anche in questo campo si
segnala, sempre dal 72, l'ingresso della biancheria
intima, del reggiseno in particolare, tra gli articoli su
cui è cessata la censura.
Per quanto riguarda gli elettrodomestici, gli spot
seguono lo sviluppo tecnologico e segnano l'ordine di
comparsa
nelle
case
dell'epoca
dei
vari
elettrodomestici: frigorifero, cucina a gas, lavatrice, per
primi, e poi i piccoli elettrodomestici, ultimi in quanto
non essenziali.
Modesta è invece la presenza di articoli per la
casa, se si esclude il grande lancio della plastica,
ancora non differenziata per oggetti ma pubblicizzata
in quanto tale già dai primi anni '60.
Un settore che si sviluppa anche, a partire dalla
metà degli anni ’60, è quello editoriale, che dura fino
all’inizio degli anni ’70: si pubblicizzano infatti opere
enciclopediche, ma poi anche “La Bibbia”, la “Divina
Commedia” ed, infine, anche alcune collane
economiche quali la “BUR” ed i “Gialli Mondadori” a
testimoniare l’ingresso del consumo culturale tra le
esigenze che, soddisfatti i bisogni primari, possano
entrare a far parte delle esigenze degli italiani.
Interessante infine l'ingresso tra il '68 e il '71 delle
pubblicità di diversi settori del terziario che, come
sappiamo, rappresentano, insieme all'industria e poi
ben oltre, un settore in forte espansione: compaiono
infatti, nell'ordine, le assicurazioni, i supermercati e le
banche. Brilla invece per la sua assenza il mercato
dell'auto: solo la “Innocenti” e la “Simca” pubblicizzano
alcuni loro modelli e questo è emblematico del regime
di semi-monopolio “Fiat” in cui si viveva: le altre case
produttrici
evidentemente
ritenevano
poco
remunerativo tentare di scalzare questo predominio e
l'industria automobilistica torinese non era interessata
25
a sollecitare l'attenzione su un prodotto che vendeva
comunque, e d'altra parte la pubblicità dell'indotto
(pneumatici, benzine, accessori) già indirettamente ne
mostrava i prodotti, come anche molti altri spot che
comunque, al passo coi tempi, utilizzavano automobili
nelle loro ambientazioni.
Come si vede, Carosello offre prodotti in un certo
senso di prima necessità, ma mostrandoli rappresenta
anche uno stile di vita nuovo, legato a nuove esigenze
e ad un nuovo modo di concepire il tempo, lo spazio, i
bisogni ed i piaceri. Insieme a questo scenario,
naturalmente, veicola anche una serie di altri
messaggi impliciti relativi al tipo di immaginario, di
concezione del mondo, di valori di riferimento che
potrebbero essere meglio analizzati dall’esame dei
singoli spot (reperibili presso la SACIS o la SIPRA,
grazie al cui archivio l’Istituto ha assemblato alcuni di
questi materiali in una cassetta VHS a scopo
didattico).
d. la fine di Carosello
Interessante, infine, è anche comprendere, come
dice Marco Giusti, chi ha ucciso Carosello.Il
programma si conclude infatti nella primavera del 77,
in un'epoca ormai profondamente mutata rispetto a
quella in cui era nato. Quei vent'anni hanno infatti
effettivamente visto l'affermazione, in Italia, della
società dei consumi: quando muore, Carosello è ormai
superato dai tempi. Sono infatti aumentati a
dismisura i prodotti da pubblicizzare e ciascuno di essi
vorrebbe accedere alla fascia di visibilità maggiore, che
è quella di Carosello; le altre trasmissioni
pubblicitarie, infatti, che cominciano a diffondersi già
dal ‘62, suscitano molta meno audience di questo
programma, il quale tuttavia, con l'ampliamento della
fascia oraria delle trasmissioni, che iniziano, dal '68,
alle 12,30, ha in qualche modo perso la sua centralità.
Si lamenta, tra l'altro anche la Rete 2, nata già nel '61
ma cresciuta soprattutto dalla seconda metà degli anni
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‘60, che vede la presenza del programma come una
sorta di concorrenza sleale nei confronti della rete
minore.
I produttori, d'altra parte, sono sempre più
insofferenti rispetto ai vincoli in termini di tempo
offerti da questo modo di fare pubblicità. Esigono una
maggiore ripetitività, necessaria in un sistema nel
quale ormai la concorrenza è diventata troppo forte per
sopportare solo passaggi settimanali per ciascun
prodotto. Inoltre fanno sentire la loro voce anche ditte
minori che non possono permettersi i costi di Carosello
ma che hanno l'esigenza, per sperare di catturare una
fetta di mercato, di aumentare la propria visibilità.
Infine i prodotti del mercato internazionale hanno
bisogno di un'immagine standard nei diversi paesi e
mal sopportano di dover costruire spot particolari per
l'Italia.
Ma al di là delle esigenze dei produttori, è ormai il
pubblico che è cambiato: è sempre più insofferente
verso una tv pedagogica e più incline ai programmi di
evasione e seppure Carosello si presenta come tale,
pesa su di lui il fatto di essere figlio di una concezione
del fare televisione che vincola anche l'intrattenimento
alla dimostrazione di un qualche suo valore educativo.
Inoltre, con l'avvento dell'apparecchio portatile, oltre
che del tv color, si cominciano a moltiplicare i
televisori in famiglia e quindi la trasmissione perde la
sua centralità nella vita quotidiana degli italiani: non
rappresenta più un momento di unità delle famiglie,
non raggiunge più la totalità del pubblico. D'altra
parte, nel corso di questo ventennio in pubblico stesso
è molto cambiato, si sono create al suo interno diverse
sottocategorie di consumatori che rappresentano
ormai target troppo differenziati per un programma a
vocazione universalista come Carosello.
Neanche la televisione, poi, è ormai monopolio
dello stato: con la riforma del '75 e con la conseguente
liberalizzazione delle frequenze, cominciano a fare il
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loro ingresso ufficiale nell'etere le televisioni private:
nel '78 Berlusconi comincerà la sua ascesa nel settore
con l'acquisto di Canale 5. Le nuove televisioni, prive
del canone, si sosterranno sulla pubblicità e questo
porterà ad un mutamento radicale del modo di
pensare e di fare la televisione: essa diverrà infatti, da
fabbrica di prodotti, a fabbrica di ascolti per la
pubblicità, ed infatti, non a caso, i primi sistemi di
rilevamento degli ascolti si sviluppano in questo
periodo.
Infine sono cambiati anche i prodotti ed il loro
modo di presentarsi: non è più necessario giustificare
la loro presenza ed informare sul loro uso. I prodotti si
moltiplicano quanto si moltiplicano i gusti e le
esigenze di una società complessa, tanto che ormai, e
sempre di più, propagandare una merce non sarà per
la casa produttrice una manovra offensiva ma
difensiva, pena l'invisibilità della propria produzione.
Da ciò deriva la necessità di un nuovo linguaggio che
colpisca l'immaginario ben al di là del piacere
momentaneo di uno spettacolino piacevole.
Carosello, dunque, dopo aver condotto la
pubblicità dal mondo dei bisogni primari a quello delle
esigenze, muore quando il mercato dalle esigenze si
affaccia ormai sulla soglia del voluttuario, del
superfluo: il compito di innescarne e rafforzarne il
desiderio sarà di altri programmi e di altri stili
comunicativi. E muore tre anni prima che nasca il più
grande dei nostri studenti, per loro dunque questo
spettacolo fa parte della storia.
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