Summit UPA sulla comunicazione Media Key 283 ■ Ma sarà davvero una ‘distruzione creativa’? Il convegno ‘Tutto cambia. Cambiamo tutto?’, promosso da UPA, ha visto sul palco le migliori menti del settore per riflettere su un mondo che si muove alla velocità della luce. La crisi finanziaria paralizza tutto e tutti: come uscirne? E quale ruolo giocherà la comunicazione per rilanciare il mercato? di Raul Alvarez Presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma si è svolto il summit promosso da UPA in collaborazione con AssoComunicazione ‘Tutto cambia. Cambiamo tutto?’. Una domanda da giocare all’Enalotto. Gli scaramantici cominceranno a sospettare che la città eterna non sia di buon auspicio per il mondo della comunicazione: l’ultimo appuntamento romano fu infatti per il Congresso Nazionale della Pubblicità del 2001, a ridosso di quell’11 settembre che ha cambiato il mondo. Il nuovo summit arriva invece nel pieno di una crisi finanziaria che sta seminando il panico nei mercati. Ma l’organizzazione ha fornito ai congressisti un badge propiziatorio: un faccino sorridente con una scritta rassicurante, “Io ho fiducia”. E i congressisti lo ostentano con orgoglio, o forse solo con speranza. Media sull’orlo di una crisi di nervi In effetti di fiducia ce ne vuole, e tanta, ascoltando le relazioni sullo stato del mercato pubblicitario. “La pubblicità arranca”, ammette Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente di UPA. “L’andamento dei primi due mesi dell’anno è preoccupante. Ma all’ottimismo e alla fiducia non c’è alternativa”. Dopodiché passa al vademecum dei rimedi: “Primo, rimettersi in discussione. Secondo, puntare di più sull’innovazione, aggiungendo nuovi paradigmi ai nostri prodotti e valore alle azioni verso un consumatore che si sta riposizionando, e non sappiamo ancora in quale direzione. Terzo, aiutarci tutti quanti. Da agenzie e centri media ci aspettiamo maggiore partnership”. Per concludere, un invito alla speranza: “Le marche che terranno il timone fermo sugli investimenti in comunicazione saranno le prime ad approdare a terra sane e salve, dopo la tempesta. La comunicazione ci permetterà di remare contro”. Al convegno non si fanno cifre ufficiali. Anche Enrico Finzi, Presidente di Astra Ricerche, di solito accompagnato dalle sue torte, si limita alle parole e a qualche dato ufficioso. “Si prevede un calo reale del mercato pubblicitario di circa il 10%”, sostiene, “e una ripresa lenta. Il pri■ Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente di UPA. ■ 23 ■ mo trimestre del 2010 potrebbe essere il momento di inversione del ciclo. Ma ci vorranno almeno due anni per tornare al livello pre-crisi. I settori che continuano a reggere sono la telefonia e il fitness. Ci stiamo avviando verso un nuovo tipo di consumo: prezzi più bassi, meno spreco, più selettività. Il prezzo acquista un ruolo centrale che non ha mai avuto prima in modo così preponderante. Si afferma la cultura del low cost. Ragionare per target diventa più difficile. Siamo bravi a fare proiezioni sull’evoluzione dei mercati, assai meno a gestire la discontinuità. La crisi porterà alla riduzione dell’innovazione tecnologica. Entreranno sul mercato nuovi player, indebolendo le rendite di posizione. Tenderanno a scomparire le distinzioni fra marketing e comunicazione. Si creeranno nuove professionalità integrate. È il capitalismo che si rinnova attraverso una ‘distruzione creativa’. Il nostro timore è che, dopo la crisi, ci sia una riduzione della profittabilità. Aspettiamocelo. Ma nonostante ciò dobbiamo leggere la crisi anche come un’opportunità”. Il bicchiere, insomma, è ancora mezzo pieno. Ottimista convinto è Giulio Adreani, Presidente di Publitalia: “La crisi, cominciata alla fine della primavera dell’anno scorso”, precisa, “ha raggiunto l’apice tra novembre e dicembre e la situazione non è migliorata. Nella seconda parte dell’anno, tuttavia, potrebbero esserci segni di ripresa”. Pessimistiche, invece, le previsioni della Fieg. L’allarme lo lancia il Presidente, Carlo Malinconico. È Media Key 283 ■ Summit UPA sulla comunicazione ■ Il summit ‘Tutto cambia. Cambiamo tutto?’, promosso da UPA in collaborazione con AssoComunicazione, si è svolto a Roma presso l’Auditorium Parco della Musica. con tono dimesso e un’aria vistosamente preoccupata che annuncia: “Secondo gli ultimi dati, la stampa perde il 30-40% in termini di pubblicità rispetto allo scorso anno, e nulla può far immaginare un andamento migliore. Da qui l’esigenza di misure urgenti per sanare gli squilibri di mercato che penalizzano l’editoria”. Tra le proposte della Fieg, “il ripensamento dei limiti anti-trust per la raccolta pubblicitaria” e “una riflessione sul ruolo della Rai e sui relativi spazi pubblicitari”. Sulla ricezione della nuova direttiva europea sul product placement (l’inserimento di marchi all’interno delle produzioni televisive), Malinconico ha auspicato una soluzione che non comprima ulteriormente le potenzialità della carta stampata. Infine, considerando che siamo di fronte a una crisi straordinaria, la Fieg – assicura Malinconico – proporrà a Governo e Parlamento cinque misure straordinarie: 1) rifinanziamento del credito agevolato; 2) previsione di un fondo per nuova occupazione e multimedialità; 3) reintroduzione del credito di imposta per acquisto e consumo della carta per quotidiani e periodici; 4) forme di sostegno per la modernizzazione della rete di vendita/distribuzione dei giornali; 5) liberalizzazione del mercato delle spedizioni postali. Maurizio Braccialarghe, Amministratore delegato di Sipra, annuncia con enfasi: “La rivoluzione digitale non sostituirà i vecchi media ma ricollocherà diversamente tutto il sistema mediale, con intrecci reciproci sempre più intensi, generando una richiesta di contenuti e generi televisivi sempre più ampia che dovranno essere concepiti per un mondo multipiattaforma. Ciascun titolo seguirà più percorsi e si rivolgerà a più pubblici”. Infine Braccialarghe propone – con il plauso dei convegnisti – che le banche finanzino quelle aziende che mantengono o incrementano gli investimenti in comunicazione. “Perché pianificare la stam■ A sinistra, Giulio Adreani, Presidente di Publitalia. A destra, Maurizio Braccialarghe, Amministratore delegato di Sipra. ■ 24 ■ pa?”, si chiede Raimondo Zanaboni, Amministratore delegato di RCS Pubblicità: “Oggi non possiamo più parlare di un media ma di integrazione fra i mezzi. Lo sviluppo della nostra offerta è sui contenuti”. A far eco a Zanaboni interviene Angelo Sajeva, Presidente e Amministratore delegato di Mondadori Pubblicità: “Le concessionarie hanno capito che dovevano cambiare, ma dobbiamo lavorare sui prodotti offrendo maggiore qualità, contenuti migliori, strumenti più trasparenti”. Fabio Vaccarono, Amministratore delegato di Manzoni & C., ricorda che “il tempo che le persone dedicano ai media è in aumento. Sarà un effetto della crisi? Può darsi. Siamo entrati nell’era della ‘economia dell’attenzione’. Emergono nuove forme di comunicazione, come Facebook, ma non sanno ancora fare pubblicità”. Poi Vaccarono evidenzia il ruolo chiave dei centri me- Summit UPA sulla comunicazione Media Key 283 ■ ■ Layla Pavone, Presidente di IAB Italia. dia: “Sono una soluzione per la crisi. Sono i soli che hanno cercato di mantenere le ricerche sul consumatore. E ci hanno aiutato a passare da un’ottica di vendita a una di consulenza”. “Anche la radio deve ripensare sé stessa”, afferma Eduardo Montefusco, Presidente di RNA, “e fornire il miglior supporto possibile, soprattutto ora che paura, immobilismo e riduzione degli investimenti potrebbero causare danni incalcolabili al nostro mercato”. “L’esterna è l’unico media sempre connesso con la mobilità degli individui”, spiega Francesco Celentano, Presidente di AAPI, “quale che sia il tempo, il luogo o il mezzo di spostamento, in quanto parte integrante di quel palinsesto che è il contesto urbano in cui viviamo. L’ingresso delle multinazionali ha portato a quella concentrazione dell’offerta e a quell’affidabilità richiesta dal mercato. Lo sfoltimento dell’impiantistica pubblicitaria, l’innalzamento della qualità nell’impiantistica e nell’arredo urbano hanno allineato il mezzo con gli standard europei. E infine la nascita di Audiposter, con la misurazione dell’audience dell’esterna, ha fornito Grp’s, dati e informazioni, colmando il gap storico con tutti gli altri media”. In conclusione, a parere di Celentano, oggi l’esterna si pone come il mezzo più idoneo per comunicare col maggior numero di utenti. Mainardo De Nardis, Chief executive officer di OMD Worldwide, uno dei pochi italiani nel settore dei servizi di comunicazione e marketing ad aver intrapreso una carriera internazionale, rispondendo alla domanda del summit sostiene: “È già cambiato tutto, anche se non ce ne siamo accorti. Il ruolo delle agenzie è radicalmente diverso. I bisogni dei clienti si stanno modificando, pretendono sempre di più dalle agenzie, ci trattano come partner. Anche i consumatori sono cambiati. La recessione ha accelerato questi fenomeni”. L’accelerazione della crisi impone di muoversi velocemente per essere pronti al momento della ripresa. A questo proposito De Nardis illustra la sua ricetta in nove punti: 1) ascoltare, capire che cosa sta succedendo e che soluzioni trovano gli altri; 2) usare la testa, pianificare; 3) tagliare profondo e veloce, senza perdere i talenti; 4) pensare a breve termine, sopravvivere; 5) dar prova di leadership e mostrare la faccia alla gente; 6) misurare, misurare, misurare, perché si è ciò che viene fatto; 7) abbracciare il cambiamento, non solo nelle crisi ma sin da prima; 8) vincere, perché senza crescita si muore; 9) essere pronti a gestire la ripresa: se non scoppia tutto, un giorno la crisi finirà. I new media salveranno il mondo? Mentre i vecchi media si lamentano o battono la fiacca, quelli nuovi sembrano godere di ottima salute. A tesserne le lodi è Layla Pavo■ 25 ■ ne, Presidente di IAB Italia ed esperta di advertising online. “In Italia ci sono 21 milioni di utenti internet fra i 25 e i 45 anni”, sostiene, “che passano in media un’ora e mezza al giorno sul web (dati Audiweb). Internet sottrae tempo e spazio ai media tradizionali, e cambia le abitudini. È uno strumento di informazione ma anche di intrattenimento. Aggrega le persone ed è un potentissimo mezzo di influenza sociale. Internet ci aiuta a profilare meglio l’audience e fornisce misurazioni più precise della Rai”. A rinforzare il culto di internet si aggiunge Arianna Huffington, co-fondatrice ed editrice di The Huffington Post, una delle fonti di notizie online più lette e citate, autrice di numerosi libri sui new media. “Internet è stata la chiave del successo di ■ Fabio Vaccarono, Amministratore delegato di Manzoni & C. Media Key 283 ■ Summit UPA sulla comunicazione ■ A sinistra, Arianna Huffington, co- fondatrice ed editrice del sito di news The Huffington Post (in basso). A destra, Martin Sorrell, Chief executive officer di WPP. Barack Obama”, sostiene senza mezzi termini. “Il suo è il caso eclatante di un Presidente che, prima ancora di essere eletto, si è posizionato sulla rete con la forza di un brand. Lui non legge i blog ma li scrive. Quando è stato attaccato dai suoi avversari, ha usato internet per smontare le accuse. La gente vuole interagire con l’informazione, è questa la novità. E internet lo consente. Tuttavia”, precisa per ribilanciare il potere dei media, “nel futuro vedo un sistema ibrido, dove tv e internet si integreranno. Io, per esempio, leggo i giornali per gli approfondimenti e per appagare le sensazioni tattili. E così anche le mie figlie: si informano attraverso internet, ma poi sfogliano anche Vanity Fair. Le news e i giornali non si escludono a vicenda, semmai si integrano”. Sospiro di sollievo in sala. Ma sulle news il sito della Huffington si caratterizza, rispetto ai giornali, per la continuità dell’informazione su uno specifico caso. “Con le news online non bruciamo le notizie all’istante, come i media tradizionali”, spiega. “Tendiamo a portare una storia avanti nel tempo, ad approfondirla. Per esempio, sulla guerra in Iraq continuiamo a dare notizie di primo piano mentre molti giornali importanti l’hanno retrocessa in seconda pagina. Altre volte mettiamo in risalto notizie cui i giornali danno poca risonanza ma che noi riteniamo importanti”. Insomma, internet è il regno della differenziazione. Dei 3000 blog ospitati su The Huffington Post, Arianna enfatizza una qualità che caratterizza tutti i new media: il pluralismo delle idee. “Sui nostri blog”, spiega, “accogliamo idee anche contrarie alle nostre. Ma un problema difficile da gestire sono i troll (autori di insulti e attacchi anonimi) che impediscono una discussione civile”. Arianna Huffington conclu- ■ 26 ■ de segnalando tre trend da non perdere di vista: 1) i giovani vivono online; 2) non si può più essere gli unici a parlare, bisogna saper ascoltare l’utente; 3) l’utente è un’interessante fonte di notizie. Anche Martin Sorrell, Chief executive officer di WPP, leader nei servizi per la comunicazione, osserva l’incremento dei settori digital e interactive nell’ambito delle relazioni pubbliche. L’attenzione per i nuovi media è in aumento, la gente spende ormai il 20% del proprio tempo online. Sorrell evidenzia lo spostamento della ricchezza (da ovest a est) e la rapida crescita dei paesi emergenti (quelli asiatici, il Brasile e il Messico). Alla luce di questo trend, sostiene che nei prossimi 5-10 anni WPP sarà più asiatica, più sudamericana e più africana che nordamericana. Ma anche più lontana dai media tradizionali, più incentrata sui nuovi media e più attenta alla misurazione. Il ROI sarà sempre di più la chiave per i clienti. Le agenzie stanno cambiando modello di business, bisognerà reinventarsi, come è successo a Dell nell’ambito dell’informatica. Infine un messaggio di speranza: “Tutte le ricerche dimostrano che i clienti che investono nei brand vanno meglio durante la recessione e ne escono con marchi e prodotti/servizi più forti, posizionati in modo da trarre vantaggio dalla fase critica”. Infine Reid Hoffman, Presidente di Linkedin (sito di social net- Summit UPA sulla comunicazione Media Key 283 ■ Diego Masi, Presidente di AssoComunicazione. working con 37 milioni di iscritti), analizza il fenomeno dei social network affermando che, riguardo alla pubblicità, sono ancora alla ricerca di un equilibrio tra la libertà che gli utenti cercano e i messaggi che i brand vogliono lanciare. Diego Masi, j’accuse “Il concetto di innovazione è spesso collegato a internet, ma attenzione”, avverte Diego Masi, Presidente di AssoComunicazione: “internet non è la panacea di tutti i mali. L’innovazione e il cambiamento passano per le agenzie anche dal digitale, ma non è il digitale a fare la differenza”. Dopo questa precisazione, Masi torna al tema del convegno: “La crisi ha un vantaggio: ci impone di affrontare un cambiamento strutturale che era già nell’aria, ma al quale non avevamo il coraggio di porre mano. Questa è una crisi di sistema (energetica, finanziaria ecc.), e quando finirà ci lascerà un mondo diverso”. Detto ciò, dà il via a un vibrante ‘J’accuse’. “Fra le nostre agenzie nessuna ha segnato una via italiana alla comunicazione, eccetto forse Armando Testa. Di chi è la colpa? Della scarsa forza del nostro settore produttivo e dell’invasione delle imprese straniere. Oggi il 65% degli investimenti in comunicazione viene fatto da aziende a capitale straniero”. Uno dei problemi delle nostre agenzie è il fenomeno della specializzazione, che ha portato il mercato a frammentarsi, impoverendo il know-how dell’agenzia creativa. Sono finiti i tempi delle agenzie a servizio completo. Il colpo è arrivato con lo scorporamento dei centri media dalle agenzie. “È difficile affrontare un progetto creativo senza poter ragionare anche sul mezzo”, spiega Masi. “La frammentazione è stata fatta dai grandi gruppi che hanno comprato le specializzazioni. E quando si cominciava a dare il via alla ricomposizione è arrivato internet, minacciando ritardi e sospetti di invecchiamento”. L’accusa di Masi prosegue su altri bersagli: “Oggi si fa un gran parlare di creatività e innovazione”, sostiene, “ma la creatività non è più remunerata. Ciò che i clienti pagano è solo l’esecuzione. Senza riconoscere un ‘valore economico’ alla creatività, è difficile ottenere idee innovative. E ancora di più se si continuano a ridurre i prezzi dei nostri servizi”. Il colpo finale lo riserva alla Pubblica Amministrazione: “Lo share di investimento di enti e istituzioni, rispetto al totale rilevato sui mezzi classici nel 2007, è pari all’1,7%. In dieci anni è cresciuto appena di 0,4 punti percentuali. Il sistema di gare pubbliche adotta per la pubblicità le stesse leggi con cui si concorre all’appalto per il Ponte di Messina. Continua a vincere il prezzo più basso. Ma noi vogliamo essere trattati da consulenti, non da semplici fornitori”, ha chiarito Masi, accompagnato da un grande applauso. Prima di lasciare il palco, Masi ha lanciato alcune idee per le agenzie del futuro, riassumendole in tre parole-chiave. Consumer insight. Significa ■ 27 ■ shopper marketing, cioè capire sino in fondo l’ultimo metro d’acquisto. La società oggi è troppo differenziata per poterla risolvere con target 2564 anni. Scompare la classe media, aumentano i single e gli stranieri. Chi acquista oggi è spesso qualcuno diverso dal target di riferimento, basti pensare all’oltre un milione di badanti che comprano per gli anziani. “Allora chi è il target cui dobbiamo rivolgerci”, si chiede Masi, “l’anziano o la filippina?”. La comunicazione sta diventando one-to-one, il fenomeno dei blogger è in crescita. Consumer insight, dunque, implica anche più ricerche e maggiore capacità di segmentazione. Multidisciplinarità. Le agenzie di domani dovranno avere tante figure che conoscano a fondo le nuove discipline. Long term partnership. Se in futuro bisognerà conoscere il consumatore e affrontarlo con una precisa strategia, il ritorno dei lunghi rapporti è uno dei nostri obiettivi. Altrimenti il rapporto con l’agenzia diventa solo una prestazione occasionale o un mercanteggio al ribasso. Il guru della crescita economica: Jacques Attali Al summit della comunicazione arrivano anche star di spicco, prima fra tutte l’attesissimo Jacques Attali, personaggio di rilievo della cultura francese e non solo. Economista e membro onorario del Consiglio di Stato francese, è stato responsabile e ■ Media Key 283 ■ Summit UPA sulla comunicazione ■ Jacques Attali, economista, scrittore e banchiere francese. Il volume Liberare la crescita presenta le 300 proposte formulate dalla commissione per la liberazione della crescita, istituita da Nicolas Sarkozy nel 2007 e da lui diretta. coordinatore della commissione per la crescita economica costituita su mandato del Presidente Nicolas Sarkozy. Le 300 decisioni emerse dalla commissione sono state raccolte e pubblicate in Liberare la crescita, edito da Rizzoli. Versatile nei temi, illuminante nelle sue tesi, autore di testi che fanno testo come Breve storia del futuro o Amori (entrambi editi da Fazi), fondatore di Placet Finance, un’organizzazione internazionale non profit che promuove il microcredito nel mondo, da un anno operativa anche a Milano, Attali è lungimirante, al punto che aveva previsto la crisi attuale molto tempo prima che arrivasse. È questo, infatti, il tema del suo ultimo libro La crisi, e dopo? (da aprile in Italia per Fazi editore). Quando sale sul palco, l’attenzione è alle stelle. Spente le luci, Attali da il via alla sua conferenza. Inizia con una citazione biblica: “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Molti se lo aspettavano, ma se vuoi trovare qualcosa di nuovo devi andare oltre il sole”. Il silenzio in sala si taglia con il coltello. “Non c’è nulla di nuovo nel vecchio paradigma. La civiltà occidentale ha collegato il nuovo alla libertà individuale. La crisi di oggi è legata a questa priorità etica nata 25 secoli fa. Lottiamo per la libertà individuale e la chiamiamo libero mercato. Come conciliare libertà, mercato e democrazia? Crisi vuol dire che abbiamo sbagliato le nostre previsioni. Dalle crisi del passato abbiamo imparato che la carta vincente consiste nell’avere una visione del futuro. I perdenti sono quelli che credono che dopo la crisi tutto tornerà come prima. La supremazia del dollaro e della piazza londinese verrà meno. Quello di oggi è un cambiamento tolemaico, dunque di paradigma. Agisce alle radici dei nostri modelli di pensiero. Nei prossimi trent’anni il mondo ci sembrerà irriconoscibile”. Tremore in sala. “Vedremo cambiamenti di varia natura”, la sua voce si fa profetica, “ideologici, demografici, di governance globale. Ci sarà una crescita esponenziale della popolazione del pianeta, una maggiore propensione al nomadismo. Le persone si sposteranno con maggiore frequenza in diverse parti del mondo. Un altro cambiamento riguarderà la semantica del web, legata alla ricerca di una libertà individuale. Si svilupperanno le biotecnologie per l’agricoltura, le nanotecnologie, le neuroscienze. E ancora: nella competizione globale occorrerà anche una dose ■ 28 ■ di ‘altruismo’, non in senso religioso ma sociale. È nel nostro interesse che anche gli altri possano fare progressi. Stiamo entrando in una ‘economia low cost’. L’Africa (due miliardi di persone) rappresenterà la sfida più importante del futuro. Sopravviverà chi sarà in grado di capire qual è il mondo che ci troviamo davanti dopo la crisi e cosa richiede. Alcuni settori (come auto e banche) dovranno rinnovare completamente i propri modelli di business. La musica l’ha già cambiato da un pezzo. Gli artisti non guadagnano più dai cd ma dai concerti. La gente paga per avere contatti live anziché virtuali. Sono state prese misure colossali per contrastare la recessione, e questo è positivo. Ma ora inizia la fase decisiva: sapremo dare al mondo delle nuove regole?”. Il cambiamento impone infatti nuove regole anzitutto, non palliativi. In questo senso siamo di fronte a una vera rivoluzione dei paradigmi culturali. E per la chiusura, Attali si riserva una frase a effetto: “Ma il valore vero continuerà a essere il tempo che passiamo con qualcuno”. Sembrerebbe una citazione dal suo ultimo libro, Amori. Il guru di Harvard: Alberto Alesina Alberto Alesina, professore di economia alla Harvard University ed editorialista de Il Sole 24 ORE, ha tenuto una vera e propria lectio magistralis sulla crisi finanziaria, rompendo tabù e stereotipi e lanciando segnali di rassicurazione. Peccato che le sue oltre venti slide (sintetiche e chiarissime), proiettate alla velocità della luce, non siano state messe a disposizione della stampa, altrimenti Summit UPA sulla comunicazione Media Key 283 ■ A sinistra, Alberto Alesina, professore di economia alla Harvard University ed editorialista per Il Sole 24 ORE. In basso, il volume Positioning, scritto da Jack Trout insieme ad Al Ries. parlerebbero da sole. Perciò della sua illuminante dissertazione non possiamo che restituirvi alcune schegge. Cominciamo dalle conclusioni: “Le crisi finanziarie ci sono sempre state, anche prima del capitalismo, ed è impossibile evitarle. Non credo che quello che abbiamo di fronte sarà un nuovo ’29. L’economia reale oggi è più solida di allora. All’epoca l’errore fu che Herbert Hoover aumentò le tasse e impedì alle imprese di ridurre i salari. Il New Deal servì a riparare i suoi errori. Ma non dobbiamo dimenticare che le crisi sono una conseguenza della crescita, e che non c’è crescita senza rischi. Crisi perciò significa anche rinnovamento, eliminazione del superfluo, miglioramento. In questo senso la crisi può anche essere una distruzione creativa. Siamo di fronte a un cambiamento radicale? Non credo che cambierà il capitalismo liberale”. Alesina mette poi in guardia dai luoghi comuni e dai falsi allarmi: “Che la globalizzazione renda tutti uguali è assolutamente falso”, precisa, “così come è falso che la povertà sia aumentata. Non è mai scesa tanto quanto all’inizio della globalizzazione”. E ancora: “La globalizzazione non aumenta la disuguaglianza, semmai permette ai paesi di differenziarsi, di trovare una propria specializzazione”. Di fronte a quali rischi ci pone? “Bisogna evitare il crollo della domanda e occorrono stimoli fiscali, incentivi alle banche a presta- re soldi e alle imprese a rimanere sul mercato”. Un’altra domanda chiave, visto che siamo in un summit sulla comunicazione: che ruolo gioca la comunicazione in questo contesto? “Enorme”, assicura Alesina, “deve evitare gli eccessi di ottimismo o di pessimismo, informare correttamente gli investitori, avere memoria storica, non leggere la realtà solo partendo dalla situazione contingente. Deve tenere presente la ciclicità delle crisi”. Il guru del posizionamento: Jack Trout Il nome di Jack Trout occupa un posto d’onore nelle teorie del marketing: è lui l’inventore del posizionamento, concetto che ha divulgato nel 1972 in un testo ancora oggi considerato uno dei pilastri della materia: The Battle of Your Mind. Quando sale sul palco è accolto con il riguardo che si deve a una star del suo calibro. “A minacciare il business sono 3C: ‘concorrenza’ crescente, ‘cam- ■ 29 ■ biamento’ continuo, ‘crisi’ finanziaria”. Fissati i paletti del suo intervento, Trout vi si addentra con energia ed entusiasmo. “Quando ideai il positioning”, spiega, “nel mio libro avevo concepito anche il suo fratello gemello: il repositioning (riposizionamento), che in pratica significa cambiare la percezione che le persone hanno di un brand o di un prodotto. Ma all’epoca il ‘gemello’ non ricevette l’attenzione che meritava. Oggi, con il terremoto finanziario, torna improvvisamente di attualità per almeno tre ragioni: la prima è che il livello di competizione sta accelerando in tutto il mondo; la seconda che la velocità del business e della tecnologia stanno aumentando esponenzialmente; la terza, che a causa dei problemi finanziari mondiali siamo entrati nell’atteggiamento di crisi e questo uccide il business. Per tutte queste ragioni è arrivata l’ora di riposizionarsi. In particolare, quando la concorrenza è accelerata, abbiamo una sola arma: sparare sull’avversario con la pubblicità comparativa. Troviamo il loro difetto, enfatizziamolo, riposizioniamoci sul valore opposto. Per esempio, diciamo che i Repubblicani sono incompetenti? Noi puntiamo a un’immagine di competenze e buon governo. Cambiamento significa anche che, se vogliamo sopravvivere, non possiamo seguire la strada della concorrenza, dobbiamo distinguerci, riposizionarci. Infine crisi significa che l’ambiente economico richiede alle aziende valore aggiunto. Ma come si aggiunge valore? Un’azienda che produce macchine per radiografie, per esempio, ha costruito una macchina che si può tenere in mano. Le dimensioni sono il ■ Media Key 283 ■ Summit UPA sulla comunicazione ■ Gianpaolo Fabris, professore ordinario di sociologia dei consumi all’Università San Raffaele di Milano e pioniere delle ricerche sull’opinione pubblica in Italia, e Bernard Cova, professore di marketing all’Euromed di Marsiglia e pioniere negli studi di etnosociologia del comportamento del consumatore. suo valore aggiunto. Risparmiare tempo e soldi è un altro validissimo valore aggiunto. Perciò, nell’epoca del ‘meno’, facciamo di più: questo significa riposizionarsi in tempo di crisi. E allora”, conclude Trout con un sorriso accattivante, “usate questa crisi per riposizionarvi”. Gianpaolo Fabris e Bernard Cova: a confronto sul societing A discutere delle sorti del marketing sono stati messi a confronto due illustri studiosi: Gianpaolo Fabris, professore ordinario di sociologia dei consumi all’Università San Raffaele di Milano e pioniere delle ricerche sull’opinione pubblica in Italia, e Bernard Cova, professore di marketing all’Euromed di Marsiglia e pioniere negli studi di etno-sociologia del comportamento del consumatore. Nel suo ultimo libro, Societing, edito da Egea (2008), Fabris ha adottato questo neologismo (social + marketing) per sancire l’ingresso di internet nelle strategie di marketing. “Possiamo continuare a parlare di marketing quando l’azione richiesta (-ing) continua nella società e non solo nel mercato?”, si chede Fabris nel suo libro. Il societing cambia ‘verso’ al marketing: da una filosofia verso il mercato, dove i consumatori sono individuati, mirati e colpiti, a una filosofia con il mercato, in cui consumatori e fornitori collaborano all’intero processo, sono coinvolti nella co-creazione di valore. Una novità che rivoluziona le regole del gioco, riconoscendo ai consumatori un ruolo attivo nelle logiche di produzione delle merci e dei consumi. Si tratta di una vera e propria new age che alcuni hanno ribattezzato marketing 2.0. “Nell’ultimo decennio”, attacca Fabris, “il marketing ha risentito di una visione statica del consumatore, decisamente fordista. Tuttavia nel frattempo qualcosa è cambiato radicalmente: al centro dell’universo non c’è più l’impresa ma il consumatore. Il marketing tradizionale ha perso la sua visione strategica, è diventato tattico, autoreferenziale, e deve reinventarsi. Anche negli Stati Uniti perde consensi e legittimità come strumento”. ■ 30 ■ “Il marketing tradizionale”, spiega Cova, “vede due versanti opposti: azienda e consumatore. Ma con internet questa separazione viene meno. I consumatori vogliono partecipare (com’è nella logica dei social network) mentre il marketing non lo ha ancora capito, continua a privilegiare un approccio razionale al consumatore, esclude l’ambiguità e cerca la coerenza. Eppure l’ambiguità è necessaria”. “Oramai si va verso la co-creazione”, prosegue Fabris, “e invece il marketing relazionale continua a limitarsi ai call center”. “In periodi di crisi come questo”, aggiunge Cova, “bisogna capire dove si spostano i consumi poiché avvengono strani fenomeni. Ci sono alcune settori in crisi e altri in aumento. Magari si risparmia negli alimentari ma non nella villeggiatura. E al Gran Premio di Le Mans c’è ancora oggi il pienone”. “La vecchia scala dei bisogni è una categoria che sta mutando”, precisa Fabris. “C’è una dimensione nuova: il consumatore empowered, più responsabile e persistente nel perseguire certi valori. È sintomatico, per esempio, che in un periodo di recessione come questo la gente continui a preferire i prodotti biologici, le cui vendite quest’anno hanno registrato un aumento del 6%. La pubblicità sta sperimentando cose nuove, e più avanti del marketing”. Applauso in sala. “Le ricerche di mercato fotografano una realtà che non esiste più. Un’epoca è finita ma il marketing non se n’è accorto. Sappiamo tutto su quanti vedono un programma, ma pochissimo sul suo impatto”. E su questo invito al marketing a svecchiarsi, il summit si chiude. ■