Diapositiva 1 - Il Campo delle Idee

IL PASSATO E IL FUTURO
DELLE FONTI RINNOVABILI IN ITALIA
Tullio Fanelli
Roma, 27 novembre 2014
IL PASSATO: NON UN ERRORE MA MOLTI ERRORI
Anche se oggi non è di moda, è sempre importante utilizzare le esperienze
del passato per trarne indicazioni per il futuro.
Nel settore delle fonti rinnovabili oggi vi è un consenso sostanzialmente
unanime sul fatto che sia stato un errore concedere incentivi troppo elevati
in particolare al fotovoltaico.
Tale consenso si limita tuttavia alla constatazione che avremmo potuto
ottenere gli stessi risultati con una spesa complessiva molto più bassa.
In realtà questo è stato certamente l’errore con le maggiori conseguenze
economiche ma forse non è stato l’errore più importante per un corretto
sviluppo delle rinnovabili in Italia.
L’errore più grave è non aver mai esplicitato i reali obiettivi da conseguire
attraverso lo sviluppo delle rinnovabili (che non può essere in sé un
obiettivo); da tale mancanza di chiarezza sono derivati i continui
cambiamenti nelle modalità e nell’intensità dell’incentivazione ed i molti
errori conseguenti.
Ogni riforma, ogni incentivazione deve infatti essere figlia di un obiettivo da
perseguire: se non è chiaro l’obiettivo la conseguenza inevitabile è lo spreco
di risorse.
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IL PASSATO: PERCHE’ INCENTIVARE LE RINNOVABILI?
Individuare gli obiettivi dell’incentivazione della produzione da fonti
rinnovabili è quindi fondamentale per adottare una corretta strategia nel
settore nell’interesse del Paese e delle stesse fonti rinnovabili.
Almeno due obiettivi dello sviluppo delle fonti rinnovabili sono evidenti:
1. la riduzione dei gas-serra;
2. la sicurezza degli approvvigionamenti.
Va notato tuttavia che questi due obiettivi sono comuni a tutte le fonti
rinnovabili e non giustificano quindi alcuna differenziazione nel livello
dell’incentivazione.
Quindi se gli obiettivi fossero solo questi, una “incentivazione razionale”
della produzione di energia da fonti rinnovabili dovrebbe essere quella
minima necessaria a conseguire gli obiettivi in termini quantitativi decisi
dalla autorità politica (il Parlamento o, se a ciò delegato, il Governo), e
dovrebbe essere la stessa per qualunque tipologia di fonte rinnovabile.
E’ evidente che questa forma di incentivazione favorirebbe le fonti
rinnovabili meno costose, ma il problema diventa: perché spendere di più?
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IL PASSATO: GLI OBIETTIVI DELLO SVILUPPO DELLE FER
La risposta è che esistono naturalmente altri obiettivi che possono
giustificare incentivi aggiuntivi per alcune tipologie di fonti rinnovabili; ad
esempio:
1. il miglioramento della qualità dell’aria nelle grandi aree urbane potrebbe
giustificare incentivi aggiuntivi al solare termico o ad alcuni biocarburanti;
2. la sostituzione di valore aggiunto italiano alle importazioni di fonti
energetiche potrebbe legittimare una maggiore incentivazione delle fonti
rinnovabili che, nell’immediato o in prospettiva, possono essere realizzate in
modo competitivo dall’industria italiana sulla base di tecnologie disponibili,
come ad esempio la geotermia, il miniidroelettrico o le biomasse.
3. la mitigazione del rischio idrogeologico o del rischio di incendio in
particolari ambiti locali può giustificare incentivi aggiuntivi (solo in quelle
aree) per alcune fonti rinnovabili, come ad esempio le biomasse o il
miniidroelettrico.
In questi casi una “incentivazione razionale” aggiuntiva dovrebbe essere
differenziata tra le diverse fonti rinnovabili e tra le diverse aree geografiche
proprio per consentire il raggiungimento degli obiettivi quantitativi definiti,
sempre perseguendo la minimizzazione dei costi.
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IL PASSATO: L’ “INCENTIVAZIONE RAZIONALE”
Altri obiettivi non giustificano affatto maggiori contributi alla produzione di
energia ma semmai incentivi ad attività diverse. Ad esempio l’obiettivo di
contribuire allo sviluppo economico attraverso nuove produzioni ad alto
tasso di innovazione tecnologica può giustificare incentivi alle attività di
ricerca, sviluppo e dimostrazione su tecnologie con caratteristiche o
prestazioni più avanzate o su applicazioni innovative, quali ad esempio il
solare termodinamico o il fotovoltaico integrato nei componenti dell’edilizia.
In Italia, prima che in altri Paesi, fu varato un esempio di “incentivazione
razionale” con il “Decreto Bersani” del 1999 che istituiva il sistema dei
certificati verdi (CV) per le fonti rinnovabili, sistema che fu poi “copiato”, con
vari adattamenti, da Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Svezia, Polonia,
Ungheria e Romania.
Si trattava di un sistema di regolazione della famiglia dei “cap and trade”
che consentiva di definire gli obiettivi di produzione rinnovabile, senza
distinguere tra le diverse fonti, affidando al mercato l’ottimizzazione dei
costi. Lo stesso “Decreto Bersani” affidava ad altri strumenti di
incentivazione (a livello regionale) il perseguimento di obiettivi aggiuntivi.
Nonostante il sistema abbia funzionato per alcuni anni in modo efficace, è
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stato purtroppo “rottamato”.
IL PASSATO: LE ABBIAMO PROVATE TUTTE
Con la finanziaria 2008 i CV vennero snaturati introducendo una
differenziazione in funzione della tipologia di fonte rinnovabile.
Di fatto venne soppresso il principio che l’incentivo dovesse essere quello
minimo necessario per raggiungere gli obiettivi e venne introdotto il
principio che l’incentivo dovesse essere calcolato in relazione al costo della
singola fonte rinnovabile.
Si tratta evidentemente di un principio “non razionale” che porta a
conseguenze anche paradossali come fare il solare dove non c’è sole e
l’eolico dove non c’è vento; e poi: perché non incentivare l’energia prodotta
dalle biciclette in palestra? Purtroppo questo principio è stato alla base
anche di tutti gli altri meccanismi di incentivazione che si sono poi affiancati,
ed in alcuni casi sovrapposti, a quelli preesistenti.
In Italia si è giunti a far convivere di fatto quasi tutti i meccanismi di
incentivazione possibili, sia metodi di quantità (certificati verdi), sia metodi
di prezzo (CIP 6, conti energia, feed-in tariffs e feed-in premium tariffs, con e
senza aste) e ancora incentivi in conto capitale e incentivi fiscali.
In più, altre norme assicurano (o assicuravano) ulteriori incentivi impliciti
alle fonti rinnovabili, come lo scambio sul posto, gli oneri di sbilanciamento,
gli oneri di allacciamento etc..
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IL PASSATO: UN’EREDITA’ PESANTE
Nonostante gli ultimi tre governi siano intervenuti (non sempre con i
migliori strumenti) per cercare di limitare i danni, purtroppo gli errori del
passato hanno lasciato una eredità pesante da gestire: oltre 200 miliardi di
“debito” a carico delle bollette elettriche.
Si tratta di diritti acquisiti che vanno rispettati se vogliamo rimanere un
Paese affidabile nel contesto economico internazionale: ogni soluzione che
includa aspetti di retroattività rischia non solo di rivelarsi, nel tempo,
inefficace ma anche di creare ulteriori oneri.
E’ un “debito” che va invece gestito, come farebbe un buon CFO .
Un modo efficace è quello proposto dal Sen. Mucchetti, ed approvato nella
legge 116/2014 di conversione del d.l. 91/2014 (art. 26, commi da 7 a 12).
La norma prevede che una banca internazionale selezionata dall’AEEGSI
acquisti tramite aste gli incentivi al loro Net Present Value, finanziandosi
attraverso l’emissione di obbligazioni di durata pari a quella degli incentivi
acquistati. Il tasso di sconto del NPV sarebbe significativamente superiore
agli interessi passivi sulle obbligazioni, data l'attuale congiuntura dei tassi, e
quindi il GSE erogherebbe alla banca una somma inferiore a quella che oggi
deve erogare agli operatori. Il risparmio si tradurrebbe automaticamente in
una diminuzione della bolletta fino a oltre 1 Mld di ϵ/anno.
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IL PASSATO: PERCHE’ NON SI GESTISCE IL DEBITO?
Purtroppo l’efficacia della norma è stata inopinatamente subordinata alla
“verifica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze della
compatibilità degli effetti delle operazioni sottostanti sui saldi di finanza
pubblica ai fini del rispetto degli impegni assunti in sede europea”.
Si tratta di una verifica senza fondamento posto che attualmente gli
incentivi erogati non hanno alcun impatto, né in termini di deficit che di
debito, sulla finanza pubblica in quanto la spesa è coperta dalle entrate
delle bollette, e la norma non interviene né sulla natura degli incentivi né
sulle modalità di copertura né impone alcun obbligo di indebitamento in
capo a soggetti pubblici o privati, arrivando a escludere esplicitamente
forme di garanzia che prevedano l’intervento diretto o indiretto dello Stato.
Neppure tenendo conto dell’approccio sostanzialista alla contabilità
nazionale, al quale si ispira Eurostat, è possibile ipotizzare che le operazioni
di acquisto della banca pur avendo per oggetto flussi giudicati parafiscali,
possano rientrare comunque nella finanza pubblica.
Eppure da agosto ad oggi incomprensibilmente questa “verifica” non è stata
fatta. Credo che sia giunto il momento di chiedere perché.
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IL PASSATO: C’E’ ANCORA MOLTO DA FARE
Il livello degli oneri parafiscali sulla bolletta elettrica ha reso l’Italia un Paese
“anomalo”: il gap con gli altri Paesi europei è ormai imputabile più a questi
oneri che ai prezzi all’ingrosso.
Questa anomalia, insieme ad altri ben noti problemi come la logistica, la
giustizia civile, la burocrazia, e non certo il costo del lavoro che è inferiore
alla media europea, ostacola nuovi investimenti in molti settori industriali
non solo tradizionali ma anche ad alta tecnologia.
L’Italia non può rinunciare anche a questi investimenti.
Occorre dunque intervenire per rendere sostenibile l’onere delle rinnovabili
per le imprese.
La strada maestra per ottenere questo risultato è prendere atto che tale
onere non può essere a carico solo delle bollette: è necessario riallocare
almeno una quota dei costi sulla fiscalità generale, a partire da quelli delle
imprese.
Non esistono vincoli europei a percorrere questa strada, almeno nei limiti
di quanto già fanno altri Paesi, a cominciare dalla Germania; si tratta di
assumere la decisione che abbassare il costo dell’energia elettrica è
prioritario rispetto a ridurre altre forme di fiscalità gravanti sulle imprese.
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IL FUTURO: LA SINDROME DELL’ULTIMO CLIENTE PRIMA DEI SALDI
Tutto ciò che è accaduto in Italia sulle fonti rinnovabili rischia di determinare
una sorta di “sindrome dell’ultimo cliente prima dei saldi”: aver pagato così
tanto gli stessi oggetti che oggi costano molto meno può indurre a bloccare
ogni nuovo acquisto, ovvero ogni nuova iniziativa per lo sviluppo delle
rinnovabili.
Ciò sarebbe altrettanto sbagliato quanto lo è stata la politica degli incentivi
degli ultimi anni.
Alle fonti rinnovabili è associata un’idea politica, ovvero la volontà di
costruire un futuro sostenibile, in cui il mondo sarà stato in grado di dare
soluzione ai gravissimi problemi dei cambiamenti climatici,
dell’inquinamento, della povertà energetica.
E’ un’idea politica che fa parte della sinistra, perché assicurare un futuro
sostenibile alle future generazione vuol dire dare a loro i nostri stessi diritti.
E’ quindi un’idea alla quale non si può rinunciare senza compromettere la
compiutezza di una politica di sinistra.
Ma per decidere dove e come investire ulteriori risorse è indispensabile
assumere un ragionevole scenario del futuro e, naturalmente, definire degli
obiettivi chiari.
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IL FUTURO: QUALE SCENARIO DI RIFERIMENTO?
In un “mondo di rinnovabili” l’elettricità sarà l’energia dominante grazie al
trasporto elettrico e alle pompe di calore per la climatizzazione; la stabilità
del sistema sarà assicurata da nuove forme di flessibilità, come l’accumulo
elettrico, più efficienti e meno costose di quelle attuali.
E’ con tutta evidenza un mondo auspicabile e perseguibile ma non
ineluttabile: l’era delle fonti fossili non finirà per mancanza di petrolio,
metano o carbone; potrà finire solo se le nuove tecnologie si dimostreranno
più efficienti in un contesto in cui i prezzi internazionali dell’energia
incorporino adeguatamente i costi ambientali delle diverse fonti.
Occorre essere consapevoli che per pervenire a questo scenario non è
sufficiente operare attraverso l’incentivazione della produzione rinnovabile,
ma sono necessari ancora alcuni salti tecnologici, in particolare
nell’accumulo elettrico, e alcune grandi riforme globali nelle regole del
commercio mondiale.
Si tratta quindi di un percorso non lineare che prevede essenziali obiettivi
intermedi fondati sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili termiche
ed il cui punto di arrivo non è scontato e va costruito attraverso un duplice
impegno: tecnologico e politico.
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IL FUTURO: QUALE RUOLO PER L’ITALIA?
Il contributo dell’Italia alla realizzazione del percorso nella direzione di un
futuro sostenibile può essere molto rilevante su diversi fronti:
- sul fronte dell’efficienza energetica può essere il Paese leader sia
come produttore che come utilizzatore di nuove tecnologie;
- sul fronte della produzione di energia rinnovabile può qualificare
il suo apporto ai target europei individuando obiettivi aggiuntivi
(qualità dell’aria, valore aggiunto, rischio idrogeologico) che diano
razionalità al sistema di incentivazione;
- sul fronte della politica internazionale l’Italia può svolgere un
ruolo importante per il superamento del sistema ETS attraverso la
costruzione di un modello fiscale europeo (da proporre poi a livello
globale) che tenga conto delle emissioni associate ai beni e ai
servizi prodotti o importati.
Esiste tuttavia un altro fronte sul quale l’Italia, tenendo conto delle
competenze e delle capacità disponibili nonché delle infrastrutture già
realizzate, può svolgere un ruolo decisivo, ovvero quello dello sviluppo di
sistemi avanzati di gestione della produzione rinnovabile che garantiscano
l’uso efficiente delle risorse e almeno gli stessi livelli di sicurezza e qualità
del servizio delle fonti fossili.
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IL FUTURO: CHE COSA SONO LE SMART GRIDS?
Il tema della gestione della produzione rinnovabile è infatti cruciale nel
percorso di una crescente penetrazione delle fonti rinnovabili elettriche, ma
fino ad oggi ogni problema è stato evitato (non risolto) attraverso il mantra
delle “smart grids”.
Alle “smart grids” è attribuito un potere taumaturgico, come se la rete, in
sé, possa dare soluzione alle problematiche tipiche del settore elettrico
come la stabilità della tensione e della frequenza, la disponibilità di riserva a
salire e a scendere, etc..
Al di là delle ovvie caratteristiche di essere bidirezionale e di essere dotata
di sistemi di misura avanzati, la “smat grid” rimane un oggetto scarsamente
definito ; soprattutto non è chiaro cosa c’è dietro la “smat grid”, in termini di
infrastrutture fisiche e immateriali, di responsabilità organizzative e
decisionali.
Al contrario di altre definizioni incerte (come ad esempio la “grid parity”)
che possono creare solo danni relativamente limitati (ad esempio incentivi
impliciti), questa mancanza di chiarezza sulla rete rischia di alimentare
aspettative su scenari che possono danneggiare gravemente lo sviluppo
delle fonti rinnovabili e possono far assumere ai decisori scelte sbagliate in
misura almeno pari a quelle assunte fino ad oggi.
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IL FUTURO: LA TRAPPOLA DELLE RINNOVABILI “FAI DA TE”
Il fascino delle rinnovabili non deriva solo dalla possibilità di affrancarsi
dalle fonti fossili; tale possibilità infatti è offerta, in una prospettiva più o
meno lontana, anche dalla fusione nucleare che, in fondo, è la “madre”
dell’energia solare e di tutte le altre fonti rinnovabili.
Le rinnovabili sono tuttavia attrattive anche perché, nell’immaginario
collettivo, a differenza dalla fusione nucleare, esse sono percepite come
impianti piccoli, diffusi sul territorio, e soprattutto gestibili a livello
individuale, una sorta di energia elettrica “fai da te”.
Il paragone più diffuso è quello di Internet: una rete interconnessa di piccoli
impianti che, con il contributo di tutti, assicura a tutti l’energia necessaria.
Si tratta di uno scenario accattivante e desiderabile, semplice da spiegare
anche a coloro che non dispongono di competenze tecniche.
Ma è un’idea di futuro che non può realizzarsi, almeno non nei termini che
vengono proposti, salvo salti tecnologici oggi difficili anche solo da
immaginare.
E’ quindi una “trappola” in cui possono essere dissipate importanti risorse e
che potrebbe quindi ritardare di molti anni il percorso di avvicinamento ad
un futuro sostenibile.
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IL FUTURO: PRODUZIONE DISTRIBUITA, NON GESTIONE DISTRIBUITA
Questa idea di futuro basata non solo su una produzione distribuita ma
anche su una “gestione distribuita” si basa infatti su una “smart grid” che
dovrebbe essere sempre in grado di fornire i servizi necessari (tensione,
frequenza, riserve, etc.) ma verso la quale nessuno avrebbe alcun obbligo.
Evidentemente ciò non è possibile.
Affinché la rete sia in grado di fornire servizi in modo affidabile è necessario
che “dietro la rete” esistano un gestore responsabile del servizio e un
complesso di impianti che, in base a precisi vincoli contrattuali, consentano
al gestore di governare il sistema.
Ma non basta. E’ necessario anche che questi impianti nella disponibilità del
gestore vengano “visti” e gestiti in tempo reale: oggi in Italia solo un
migliaio di impianti di produzione (su oltre 600.000) possono essere gestiti
con queste modalità, gli altri impianti sono solo una “domanda negativa”.
In un sistema “anarchico”, in assenza di certezze sui servizi forniti dalla rete,
per assicurare le stesse garanzie di fornitura attuali, il dimensionamento
degli impianti per ciascun utente (produzione + accumulo), e
conseguentemente i costi, sarebbero molto superiori a quelli di un sistema
in cui le risorse fossero ottimizzate a livello centrale.
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IL FUTURO: LA CERTEZZA DELLA FORNITURA E’ IRRINUNCIABILE
L’alternativa, per contenere i costi, sarebbe un insufficiente
dimensionamento degli impianti dei singoli utenti che ridurrebbe le garanzie
del servizio.
Tali garanzie sono una conquista relativamente recente (meno di un secolo)
nel settore dell’energia, da cui sono ancora esclusi larga parte dei Paesi in
via di sviluppo. Di fatto nei Paesi sviluppati si è passati da una situazione in
cui l’energia aveva una affidabilità di fornitura non dissimile da quella di
molti altri beni e servizi (probabile, ma tutt’altro che certa) ad una in cui alla
certezza della fornitura sono legate la massima parte delle attività
economiche e domestiche.
La rinuncia a tale certezza avrebbe quindi importanti conseguenze sullo
sviluppo.
In definitiva una “gestione distribuita” del sistema elettrico comporta
inevitabilmente:
-o costi molto superiori a quelli di un sistema in cui la gestione del
sistema elettrico continui ad essere centralizzata,
-o la rinuncia ad alcune importanti garanzie, in termini di continuità
e disponibilità, offerte oggi dal sistema elettrico.
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IL FUTURO: NUOVI SISTEMI E MERCATI PER LE RINNOVABILI
Per chiarezza, le alternative su cui sin da oggi occorre scegliere non sono tra
un futuro ancora dominato da grandi impianti termoelettrici ed uno basato
sulle fonti rinnovabili diffuse, ma tra due sistemi di gestione delle fonti
rinnovabili: uno sostanzialmente “anarchico” ed uno in cui il dispacciamento
è assicurato da un unico soggetto responsabile.
Se, come auspicabile e ragionevole, si propende per la seconda alternativa,
c’è molto da fare per renderla realizzabile.
Occorre infatti creare dispositivi e sistemi che consentano al gestore della
rete di “vedere” e gestire centinaia di migliaia di impianti, probabilmente
attraverso l’intermediazione di gestori locali o di “soggetti aggregatori” che
assumano la responsabilità di un sottoinsieme di impianti.
Occorre inoltre creare nuovi mercati che consentano lo sviluppo di nuove
forme di flessibilità connesse non solo all’offerta (produzione e accumuli)
ma anche alla domanda (riduzione o incremento dei consumi).
Occorre, ancora, ridefinire i ruoli, in termini di obblighi ed opportunità, dei
distributori, delle utilities e dei singoli utenti del servizio (consumatori,
produttori, fornitori di servizi).
Insomma, occorre progettare il futuro.
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