Premessa - LUISS University Press

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Di quanta moralità
ha bisogno la politica?
Un leader deve rendere
conto ai cittadini
della sua vita privata?
E quanta segretezza
consente la “ragion
di Stato”?
Una guida alla teoria
(e alla pratica) dell’etica
pubblica
www.luissuniversitypress.it
8.00 Euro
Le Piccole Introduzioni LUISS, scritte da esperti del mondo
accademico e delle professioni, sono create per un primo
approccio, facile e veloce, ai temi più importanti delle scienze
sociali. Il piccolo formato di questi volumi e il taglio rigoroso
ma accessibile fanno di essi il miglior modo per entrare
in contatto con una nuova materia, approfondire i temi
di attualità o essere aggiornati sugli argomenti trattati.
Gianfranco Pellegrino Etica pubblica
Gianfranco Pellegrino insegna Filosofia
politica e History of Political Thought alla
LUISS Guido Carli. Autore di numerosi saggi
specialistici, ha pubblicato un libro su Jeremy
Bentham (La fabbrica della felicità, Liguori
2010) e uno sulla giustizia distributiva (La fuga
di Astrea, LUISS University Press 2012), e ha
curato una raccolta di saggi sul cambiamento
climatico (Canned Heat, Routledge 2014, con
Marcello Di Paola).
Gianfranco Pellegrino
Etica
pubblica
UNA PICCOLA
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, in Italia e all’estero, si è molto
dibattuto sulla moralità nella politica.
La questione morale e l’antipolitica,
il moralismo e il cinismo realista hanno
caratterizzato la discussione più colta
e le campagne elettorali più infuocate degli
ultimi anni.
Questo libro presenta la filosofia implicita
in questi discorsi e propone una visione
dell’etica pubblica come dispositivo
di legittimità democratica, difendendo
una via media fra moralismo purista e cinismo
disincantato.
PICCOLE INTRODUZIONI
GIANFRANCO PELLEGRINO
Etica pubblica
UNA PICCOLA INTRODUZIONE
© 2015 LUISS University Press – Pola S.r.l.
Proprietà letteraria riservata
ISBN 978-88-6105-196-6
LUISS University Press
Viale Pola 12
00198 Roma
Tel. 06 85225485
E-mail [email protected]
www.luissuniversitypress.it
Progetto grafico e impaginazione:
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Questo libro è stato composto in Zinzo™
e stampato su carta acid free presso Prontostampa srl,
Via Praga 1 - 24040 Verdellino (BG)
Prima edizione gennaio 2015
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del
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Premessa
1. Questo libro ha un obiettivo generale: illustrare la nozione
di ‘etica pubblica’, vista come modalità specifica di giudicare la moralità della politica. Si tratta di un modo di valutare
le qualità morali dei governanti che si differenzia rispetto a
due approcci alternativi. Si distingue dal moralismo, che è
l’idea secondo cui i politici devono agire per scopi morali, cioè
per realizzare fini stabiliti dalla moralità – come garantire a
tutti i cittadini una vita decente, o l’esercizio dell’autonomia,
e così via. Ma è diverso anche dal realismo politico, la tesi secondo cui la politica è una sfera autonoma, del tutto immune dal giudizio morale e indirizzata a finalità diverse da
quelle stabilite dalla morale – obiettivi come l’ordine, la convivenza pacifica fra diversi, la produzione di beni materiali
tramite la cooperazione, eccetera.
Perseguirò quest’obiettivo in due maniere. Innanzitutto, farò un’analisi concettuale del paradigma dell’etica pubblica, cioè della particolare concezione dei rapporti fra
moralità e politica articolata nell’etica pubblica per come la
intendo qui (nel cap. 1 e poi più approfonditamente nel cap.
3). In quest’analisi mostrerò che l’etica pubblica presuppone
la distinzione fra sfera pubblica e privata e una separazione parziale fra moralità e politica.
Userò l’analisi concettuale per ricostruire la presenza
dell’idea di etica pubblica nell’opinione pubblica colta in Italia durante alcune vicende cruciali della storia recente.
Questa ricostruzione occupa il cap. 2, principalmente, e in
parte la conclusione. Nel cap. 3 sosterrò una tesi specifica sulle funzioni dell’etica pubblica nei regimi democratici, una tesi
che presento in maniera preliminare in questa premessa.
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2. Si considerino queste parole:
chi leggerà i capitoli seguenti si accorgerà ben presto come
dietro quest’ometto dal pronto sorriso ci sia un mondo arrogante
e corrotto, come, amico di personaggi travolti dai peggiori scandali, risulti egli stesso pesantemente compromesso. Vedremo,
dietro le sue gaffes mondane, le sue facezie, i suoi frizzi, quali sono
state le sue consorterie e le sue cricche, vedremo fino a che punto sia arrivato il suo disprezzo per il diritto e per le leggi (Cederna
1978, 24).
Nonostante le apparenze, queste frasi non appartengono a
uno dei tanti pamphlet su Silvio Berlusconi usciti in questi
ultimi anni. Si trovano in un libro del 1978, scritto dalla giornalista Camilla Cederna. Nel libro Cederna intende sostenere
che Giovanni Leone, esponente della Democrazia cristiana
eletto presidente della Repubblica nel 1971, fosse implicato
in uno scandalo, le tangenti pagate da una azienda statunitense produttrice di aerei militari, la Lockheed, a politici italiani per far sì che il governo comprasse dei costosi velivoli, gli Hercules C-130 (torno su questa vicenda nel cap. 2).
Le inchieste successive mostreranno che Leone era
estraneo alla vicenda, per quanto legato a persone coinvolte
– e per questo il libro verrà ritirato dal commercio, come conseguenza di una querela sporta dai figli di Leone (la cui vita
privata veniva raccontata nel volume). Tuttavia, Leone si dimetterà nel giugno del 1978.
Nel libro di Cederna le argomentazioni che dovrebbero mostrare il coinvolgimento di Leone nello scandalo
sono poche e indiziarie – essenzialmente l’amicizia del
presidente con due faccendieri napoletani, i fratelli Antonio e Ovidio Lefébvre. Invece abbondano le critiche personali a Leone e alla sua presunta indegnità morale ed
estetica. Ecco alcune osservazioni tipiche:
lunghissimo è l’elenco delle gaffes, delle maleducazioni, dei
teatrini ridicoli di cui è stato protagonista il nostro presidente […].
Forse molti italiani per anni non si sono scandalizzati delle
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sue gaffes; magari l’hanno trovato simpatico proprio per queste
sue trovate, scherzi, improvvisate, senza rendersi conto che all’estero egli rappresentava il loro lato peggiore, la maleducazione,
la smania di spaghetti, la volgarità (Cederna 1978, 27, 32).
Commentando le cene del presidente con le «vedettes di Macario» (Erminio Macario era un noto comico piemontese dell’epoca), Cederna scrive: «gran mangiate, scherzi, barzellette,
il presidente che alla fine canta qualche canzonetta» (Cederna 1978, 67–8).
Il libro di Cederna appartiene a un genere tipico della
discussione pubblica italiana – un genere letterario dove invettiva, denuncia morale, critica personale, snobismo e
divagazione autocommiserativa sul carattere italiano si
miscelano in egual misura. Recentemente, ha raccontato
l’impressione che questo libro gli ha fatto uno scrittore, Francesco Piccolo. Secondo Piccolo, nel libro Cederna mischia
«accuse all’uomo pubblico e fatti privati non edificanti ma
che non c’entravano niente»: l’effetto di tutto ciò è che «i fatti pubblici venivano resi meno evidenti quanto più si tentava di dargli forza con i fatti privati» (Piccolo 2013, 54). La
tesi generale di Piccolo si potrebbe formulare così: la moralità privata dei governanti non è (quasi mai) rilevante per
una critica fondata dei loro atti politici. Persone immorali
possono governare bene, e viceversa: non sempre la purezza
personale è una virtù politica. I due piani non si toccano, o
non necessariamente. L’errore di Cederna – e l’errore dei fiumi di inchiostro sparsi da molti altri autori nella stessa
modalità critica, da Leone a Berlusconi, per così dire – è rimanere preda di questa confusione, una confusione, secondo Piccolo, che proviene più da una personale ricerca
di purezza che da argomentazioni e giudizi politici razionali.
Nell’agosto 1975, Leone rilascia un’intervista al vicedirettore del “Corriere della Sera”, Michele Tito. Leone esprime
le sue preoccupazioni per le tensioni che attraversano l’Italia – sciopero dei servizi pubblici, la crisi economica – e auspica riforme. Forse l’intervista risponde alle critiche ricevute
per i suoi rapporti non trasparenti con membri del Consiglio
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superiore della magistratura e delle forze armate. L’11 settembre del 1975 Pier Paolo Pasolini riprende l’intervista di Leone sul “Mondo”, in un articolo intitolato La sua intervista conferma che ci vuole il processo. A un certo punto, Pasolini dice:
il governare […] implica delle responsabilità, anche nel caso
che esso sia puro e disinteressato, e dia dunque a chi governa delle gioie meramente spirituali. Se chi governa governa bene, è giusto che sia rimeritato con quelle gioie (e io giungerei al punto di
dire che se chi governa governa bene, pazienza se si concede anche qualche piccola gioia materiale, cioè se ruba). Ma se chi governa governa male, egli deve saper affrontare o accettare di affrontare le responsabilità che si è assunto. Se poi il suo governare
male giunge al limite del reato […], mi sembra giusto che una vera
democrazia debba giungere alle estreme conseguenze sia pur
formali, cioè al processo (Pasolini 2009, 152).
Quindi il buon governo rende accettabili le ruberie. Il cattivo governante invece va punito dalla giustizia, se ruba. Se
non ruba, immagino dovrebbero pensarci gli elettori, anche
se Pasolini non lo dice. Nessuno spazio per un giudizio morale su chi ruba, che governi bene o male. D’altra parte, Pasolini alcune righe prima aveva imputato il disastro italiano al fatto che la Democrazia cristiana fosse un partito
privo di «ogni ideologia che non sia di carattere morale, spirituale, religioso – e cioè verbale» (Pasolini 2009, 150, corsivi
miei). Il marxista (sia pur eretico) Pasolini vede le ideologie
morali come puramente verbali. I tempi sono cambiati,
ma la posizione di Piccolo non mi sembra dissimile.
Il senso principale dell’etica pubblica è proprio questo:
c’è una moralità anche nella politica e sui politici si possono esprimere giudizi morali. Per chi la pensa come Piccolo
e Pasolini, però, questo modo di vedere la politica è confusionario e deriva più da un disagio esistenziale che da opinioni ragionevoli.
Gran parte del libro di Piccolo considera la figura di Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano dal
1972 al 1984, o meglio riguarda gli italiani (Piccolo fra essi)
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che in quegli anni dalla figura di Berlinguer vennero affascinati. Berlinguer sosteneva una tesi quasi antropologica:
i comunisti sarebbero immuni dalla corruzione che affligge il personale politico degli altri partiti, e ciò si deve a una
loro (presunta) diversità di tempra morale – una superiorità
«umana, morale, di carattere», come nota Claudia Mancina
(Mancina 2014, 87). Ecco le parole di Berlinguer, in un’intervista con Eugenio Scalfari pubblicata su “Repubblica” nel
1981 (ci tornerò più volte in questo libro):
[…] noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri. […]
I partiti hanno degenerato, quale più quale meno […], recando danni gravissimi allo Stato […]. Ebbene, il Partito comunista italiano
non li ha seguiti in questa degenerazione. […] A noi hanno fatto
ponti d’oro, la Dc e gli altri partiti, perché abbandonassimo questa posizione d’intransigenza e di coerenza morale e politica. […]
ci hanno scongiurato in tutti i modi di fornire i nostri uomini per
banche, enti, poltrone di sottogoverno, per partecipare anche noi
al banchetto. Abbiamo sempre risposto di no. Se l’occasione fa
l’uomo ladro […], le nostre occasioni le abbiamo avute anche noi,
ma ladri non siamo diventati (Berlinguer 2012, 33–5).
Secondo Piccolo, questa visione esprime due atteggiamenti psicologici: il bisogno di purezza e una reazione
conservatrice alla modernizzazione della società italiana
in corso in quegli anni. Claudia Mancina parla di «sentimento
di estraneità, di disprezzo, di non amore per la società italiana» (Mancina 2014, 93). Alessandro Natta, allora vice di
Berlinguer, in privato commentò così le parole del segretario:
«Le cose sono dette in modo irritante: gli altri sono ladri, noi
non abbiamo voluto diventarlo! C’è una verità sostanziale,
ma il tono è moralistico, settario, nel senso di una superiorità da eletti, da puri».
Ma soprattutto, secondo Piccolo, Berlinguer si concentra sull’«etica politica» senza affiancarla alla «strategia
politica», bensì sostituendola a essa (Piccolo 2013, 155). Lo
stesso giudizio dà Mancina: «l’accentuato moralismo [di Berlinguer] copriva una mancanza di politica. […]. Berlinguer cer15
cava un fondamento etico al di fuori delle procedure [democratiche]. […] Di fronte a una difficoltà politica, [Berlinguer]
scarta sull’etica» (Mancina 2014, xii, 22, 47).
Nelle prossime pagine sosterrò che la confusione e l’errore di cui parla Piccolo sono solo apparenti: c’è un senso
in cui l’etica pubblica costituisce un paradigma ragionevole
di critica politica, e le critiche mosse in suo nome ai governanti sono perfettamente fondate e significanti. L’etica
pubblica, cioè il giudizio morale su certi comportamenti politici, non è necessariamente una fuga dalla strategia politica, o un rifugio in un ideale di purezza che equivale, come
dice Piccolo, a «non partecipare al presente», a «non occuparsi più di comprenderlo» (Piccolo 2013, 139). Secondo Mancina, il pericolo è quello di trovare «nella denuncia morale
un comodo surrogato dell’iniziativa politica» (Mancina
2014, 108). Proverò a sostenere che l’etica pubblica costituisce una base necessaria della legittimità democratica
dei governanti, e quindi un preliminare essenziale di qualsiasi azione e giudizio politici, almeno in democrazia. L’etica pubblica non è dunque una fuga dalla politica, ma uno
dei fondamenti della democrazia.
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Le Piccole Introduzioni LUISS, scritte da esperti del mondo
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approccio, facile e veloce, ai temi più importanti delle scienze
sociali. Il piccolo formato di questi volumi e il taglio rigoroso
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Gianfranco Pellegrino Etica pubblica
Gianfranco Pellegrino insegna Filosofia
politica e History of Political Thought alla
LUISS Guido Carli. Autore di numerosi saggi
specialistici, ha pubblicato un libro su Jeremy
Bentham (La fabbrica della felicità, Liguori
2010) e uno sulla giustizia distributiva (La fuga
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climatico (Canned Heat, Routledge 2014, con
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UNA PICCOLA
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, in Italia e all’estero, si è molto
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La questione morale e l’antipolitica,
il moralismo e il cinismo realista hanno
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