Hashish nelle confraternite islamiche HASHISH NELLE CONFRATERNITE ISLAMICHE Nel mondo islamico una prima trattatistica in cui fa la sua comparsa il termine hashish si registra attorno al secolo XII. Ed è un dato oggettivo che il nome hashish o termini equivalenti non abbiano menzioni riscontrabili nel Corano, nella Sunna o negli scritti dei fondatori delle quattro scuole giuridiche sunnite. La prima attestazione del termine hashishiyya è del 1123, riferita ai membri della setta del Vecchio della Montagna, descritta anche da Marco Polo nel Milione, e nota per la sua eterodossia religiosa, connotata da forti influssi gnostici. L'abate Arnoldo di Lubecca scrive che il capo di tale setta aveva pieno potere sulla volontà dei suoi seguaci, per mezzo di una droga, la cannabis appunto: "Essa provoca eccitazione, estasi, l'uscita dai sensi, ebbrezza. Convenivano quindi dei maghi, che ai dormienti mostravano cose meravigliose e dilettevoli, assicurando che tali gioie sarebbero divenute eterne, se avessero eseguito ciò che sarebbe stato loro ordinato". Nel XIV secolo lo storiografo Taqi al-Din Ahmad b. Alì al-Maqrizi riferisce compiutamente dell'origine nel mondo islamico della canapa e dell'hashish, scrivendo anche che "la canapa esiste da quando Dio creò il mondo". Altre fonti attribuiscono l'introduzione della cannabis nel mondo arabo a gruppi religiosi endogeni, fortemente sospettati di eterodossia, quali i sufi, i mistici dell'Islam, coloro che, rinunciando a ogni bene terreno nel nome della povertà spirituale, dedicavano la loro esistenza alla realizzazione metafisica suprema, nell'estinzione della propria individualità. Ed è accertato che già dai primi anni del 1200 l'hashish dovette conoscere una evidente diffusione proprio tra i sufi, dato confermato da numerosi riferimenti letterali e storici. E' Badr al-Din Muhammad b. Bahadur al-Zarkashi il primo ad esporre nel XIV secolo la storia del sufi Qutb al-Din Haydar al-Zawaji, che nel XII secolo avrebbe illustrato i benefici effetti della cannabis ai suoi seguaci. Egli, passando vicino alla pianta, avrebbe notato che le sue foglie si muovevano senza il soffiare di alcun vento, e sorpreso da ciò ne tagliò alcune foglie e le mangiò. E quando tornò dai suoi compagni volle rivelare loro il segreto che aveva scoperto nascosto in questa pianta, e ordinò che ne mangiassero anche loro. Altri autori del periodo confermano questo racconto lasciando intendere che l'hashish fu scoperto e diffuso da membri di mistiche confraternite, pur non esistendo un uso di questo prodotto al tempo del Profeta Maometto. I capi di tali sette facevano giurare di non rivelare a nessuna della gente comune il potere della pianta, ma anche a non nascondere questo segreto ai confratelli sufi. Si diceva che mangiando le foglie di cannabis le preoccupazione sarebbero scomparse dai cuori, e le menti sarebbero diventate lucide. L'hashish era infatti la chiave di volta della mistica e della pratica spirituale nel sufismo e dei dervisci, usata per sopportare le lunghissime sedute di meditazione e per sperimentare, nell'alterazione delle facoltà mentali, il kif, la felicità e il riscatto eterno attesi dal credente. L'autonomia di cui godono alcuni gruppi religiosi nella scelta dei metodi da seguire non è ben accetta dall'ortodossia mussulmana; tuttavia, in alcune di queste sette l'iniziazione include appunto la trasgressione di alcuni principi dell'islam con il ricorso al vino o alle droghe, fra cui l'hashish per pervenire all'estasi mistica. Già a partire dal XII secolo l'influenza degli stupefacenti (hashish, oppio) si fa sentire in certi 1/2 Hashish nelle confraternite islamiche ordini mistici persiani. E con termini quali raqs, "danza" estatica di giubilo, tamziq, "laceramento delle vesti" durante la transe, nazar ila'l nord, "sguardo platonico", ci si riferisce a forme di transe ottenute con stupefacenti, da mettersi forse in relazione alle tecniche mistiche pre-islamiche che devono aver esercitato la loro influenza sul sufismo. In Iran a tutt'oggi i dervisci parlano del dugh-i vahdat, o "Siero dell'Unità divina", bevanda ottenuta frullando yogurt, acqua e hashish. E presso il confine fra Iran e Afghanistan, a Herat, alla tomba di Behzad, miniaturista timuride, i maulang (dervisci) fumano hashish. In Turchia esistevano svariate confraternite note per l'uso religioso dell'hashish: i Bektashi (che bevevano anche vino) e soprattutto i Malamatiyya o "Biasimevoli". L'elemento sciamanico del sufismo turco è arrivato sicuramente da fonti centroasiatiche, mentre l'uso mistico della cannabis è diffuso dal Marocco all'India al Turchestan cinese, gli stessi territori dello stile derviscio. I dervisci indiani sono sadhus islamizzati, ma in realtà il loro modo di vivere e la venerazione della cannabis potrebbero essere molto più antichi di qualsiasi religione: forse qui siamo di fronte ad un residuo dello sciamanesimo neolitico. fonti: Hashish e Islam: tradizione e consumo, visioni e prescrizioni nella poesia, nella letteratura e nelle leggi, di Fabio Zanello; Canapa Indiana Tra paradisi e follia, di Stefano Canali; L'islam delle confraternite, di Fausto Ferrari; Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi, di Mircea Eliade; Orgie dei mangiatori di hashish. Ricettario esotico e spirituale, di H. Bey, A. Zug 2/2