Il lessico catulliano dell`amore

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CATULLO
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approfondimento
Il lessico catulliano dell’amore
© SEI - Società Editrice Internazionale p.a. - Torino
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Buona parte dei 116 carmi che compongono il Liber catulliano hanno per oggetto la vicenda amorosa
che lega Catullo a Lesbia e ne raccontano le alterne vicende. Non stupisce dunque se preponderante
nei testi del poeta veronese è il lessico amoroso, che nella sua varietà denota in modo particolareggiato
le diverse sfumature del sentimento erotico e rivela la concezione che dell’amore aveva Catullo. Da
questo punto di vista i termini che sembrano in certo qual modo contrapporsi sono quelli che si ritrovano nella chiusa del carme 72, dove all’amare è opposto il bene velle. L’amor, per Catullo, è essenzialmente un’esperienza fisica, che rinvia ai baci, ai giochi d’amore, ai momenti di abbandono appassionato e intenso, tante volte celebrati nei carmi catulliani. Alla base dell’amor c’è infatti un desiderio che
potremmo definire carnale, una passione che brucia, ben rappresentata dall’espressione impensius uror
(carme 72, 5). Bene velle è invece formula che indica quegli aspetti del rapporto con Lesbia che trascendono il puro amare e rimanda a sentimenti quali l’affetto e la stima, che superano il livello puramente fisico.
Vediamo ora in sintesi le principali voci di questo lessico amoroso usate da Catullo nel Liber.
amica:
è un eufemismo erotico, molto comune anche nelle lingue romanze, con sfumatura spregiativa; già nella commedia latina indicava l’«amante».
amo:
derivato probabilmente dall’indoeuropeo *am(ma), «mamma», è il verbo che – nell’ambito della sfera erotica – presenta la più ampia gamma di significati: «amare», «essere riconoscente», «amare se stessi», «essere egoista». In Catullo rinvia, come già sopra accennato, prevalentemente all’aspetto fisico dell’amore. Dalla stessa radice si originano
numerosi vocaboli, quali amabilis, amicitia, amicus, amor, inimicus, inimicitia, ecc.
ardor :
in senso proprio significa «calore», «fuoco», in senso traslato «desiderio vivo», «splendore». In ambito amoroso è usato da Catullo con il significato di «passione», «desiderio ardente». Nel carme 2, l’accostamento con l’aggettivo gravis attribuisce al termine una sfumatura dolente.
basium:
«bacio»; termine di origine probabilmente celtica appartenente alla lingua popolare e non
attestato in poesia prima di Catullo. Si suppone che Catullo l’abbia scelto in quanto semanticamente intermedio tra osculum, termine letterario, e savium, termine dalla forte carica erotica, come attesta Servio (IV d.C.) nel commento a Aeneis I, 260: «osculum è proprio
del rituale, savium del piacere, nonostante alcuni dicano che si dà un osculum al figlio, un
basium alla moglie, un savium alla prostituta». Da basium si sono originati nelle lingue romanze «bacio» (italiano), «baiser» (francese), «beso» (spagnolo), «beijo» (portoghese).
In Catullo si trova anche il verbo basio, derivato dalla stessa radice.
bene velle: l’espressione si può rendere con «voler bene» e indica un sentimento complesso, articolato, fatto di stima, amicizia, affetto, tenerezza. In Catullo è contrapposta all’amare, inteso
come amore sensuale.
cupidus:
al tempo di Catullo l’aggettivo ha una notevole pregnanza, che si stempererà con il trascorrere degli anni; se dunque in autori successivi può voler significare «desideroso», in
Catullo conserva il valore semantico forte di «pieno di voglia», «eccitato».
cura:
«attenzione», «affanno», «cura»; in ambito amoroso indica lo «spasimo d’amore».
deliciae:
uno dei pluralia tantum della prima declinazione in senso proprio indica «piaceri», «divertimenti»; nel linguaggio familiare il termine è usato per persone o cose care o animaletti domestici, applicato alla sfera erotica assume il senso traslato di «gioia», «delizia» in riferimento all’oggetto del desiderio. La sua etimologia è connessa con l’aggettivo delicatus e
deriva da un verbo lacio disusato nella forma semplice, ma vivo nei suoi composti allicio, illicio e ha valore originario di «attrazione che svia», «seduzione». Al singolare si trova talvolta
in Plauto e quindi nella lingua arcaica.
CATULLO
2
Amorino con arco, I secolo a.C., Pompei,
desiderium: come il verbo desidero si riconnette con sidus, -eris
Villa dei Misteri, Sopraintendenza
(«stella») e indica letteralmente il «cessare di conArcheologica.
templare le stelle a scopo augurale», quindi «bramare», «desiderare», così il sostantivo desiderium indica in latino il rimpianto per qualcosa che si è
perduto o non è presente. In ambito amoroso desiderium per indicare la persona amata è una metonimia
di uso colloquiale (cfr. Cicerone, Ad familiares XIV, 2,
2: mea lux, meum desiderium, rivolto alla moglie).
diligo:
il verbo, composto da dis + lego, significa propriamente «scelgo fuori» e perciò indica più che un
amore sensuale, l’amore frutto di una scelta, in cui all’ardor amoroso si mescola la tenerezza premurosa, lo
stesso sentimento che il padre ha per i figli e i mariti
delle figlie. In tale accezione il termine assume il significato di «onorare», «aver caro», «stimare». Dal
participio presente diligens derivano gli italiani «diligente» e «diligenza».
dolor:
propriamente «dolore»; il termine nel linguaggio
erotico designa la pena d’amore, il tormento collegato con la lontananza della persona cara o con i
suoi tradimenti.
nosse:
propriamente «conoscere»; in Catullo assume
un’implicazione erotica, anche se non è semplice
stabilirne la reale portata semantica, tanto più che
in latino non è molto frequente il caso in cui il
verbo abbia il senso di «conoscere carnalmente».
odi:
il verbo, che è un perfetto logico ed esprime quindi
gli effetti nel presente di un’azione compiuta nel
passato, nel suo significato di «odiare» si contrappone ad amo.
puella:
propriamente «ragazza»; il termine è usato da Catullo come un’antonomasia enfatica per indicare
Lesbia, che raramente è nominata nei carmi. Nella
letteratura erotica latina il vocabolo designava la donna amata, anche se sposata.
solaciolum: è diminutivo affettivo di solacium e significa propriamente «piccolo conforto»; compare
per la prima volta nel carme 2 e non è attestato nella letteratura latina se non in una tarda
epigrafe di un anonimo imitatore di Catullo.
uror :
forma mediale da uro, -ere, propriamente significa «brucio», «ardo»; applicato all’ambito
amoroso indica l’infuriare della passione sensuale, un desiderio ardente che infiamma e
consuma e assume il significato figurato di «essere travagliato» per le pene d’amore.
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