20. Notazioni di un grammatico e distopia di senso

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20.
Notazioni di un grammatico e distopia di senso
La mala abitudine di selezionare le parole di un testo letterario per renderle
oggetto di una dissertazione erudita, o pseudo tale, ha origini remote.
Nemmeno Catullo si è salvato da questa pratica, che anticipa dunque di
qualche secolo le sevizie subite dall’autore classico nelle aule delle nostre
scuole.
L’esempio lo fornisce Aulo Gellio, Noctes Atticae VII 16, 1-5, a proposito della
accezione della parola deprecor, nel carme 92: attribuire anche ad una sola
parola una sfumatura di senso differente, rispetto alle intenzioni del poeta,
equivale ad appiattire l’efficacia comunicativa dell’intera composizione. Di più, la
scarsa competenza in fatto di regole e stile diventa oggetto d’ironia da parte di
Gellio e offre lo spunto ai lettori per riflettere sull’opportunità di fare rilievi critici,
dotandosi di strumenti adeguati: conoscenza del contesto, riconoscimento dei
moduli espressivi e delle forme retoriche, ricerca dei modelli intertestuali e delle
peculiarità individuali.
Verbum ‘deprecor’ a poeta Catullo inusitate
quidem, sed apte positum et proprie; deque ratione
eius verbi exemplisque veterum scriptorum.
7.16.1 Eiusmodi quispiam, qui tumultuariis et
inconditis linguae exercitationibus ad famam sese
facundiae promiserat neque orationis Latinae
usurpationes <rationes> ve ullas didicerat,
cum in Lycio forte vespera ambularemus, ludo ibi et
voluptati fuit.
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7.16.2 Nam cum esset verbum ‘deprecor’
doctiuscule positum in Catulli carmine, quia id
ignorabat, frigidissimos versus esse dicebat
omnium quidem iudicio venustissimos, quos subscripsi:
Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquam
de me: Lesbia me dispeream nisi amat.
Quo signo? Quia sunt totidem mea: deprecor illam
assidue, verum dispeream nisi amo.
7.16.3 ‘Deprecor’ hoc in loco vir bonus ita esse
dictum putabat, ut plerumque a vulgo dicitur, quod
significat ‘valde precor’ et ‘oro’ et ‘supplico’, in quo
‘de’ praepositio ad augendum et cumulandum valet.
7.16.4 Quod si ita esset, frigidi sane versus forent.
7.16.5 Nunc enim contra omnino est: nam ‘de’ praepositio,
quoniam est anceps, in uno eodemque verbo duplicem vim capit.
Sic enim ‘deprecor’ a Catullo dictum est, quasi ‘detestor’
vel ‘exsecror’ vel ‘depello’ vel ‘abominor’ [...]
Sul verbo deprecor e l’uso, insolito sì ma coerente e appropriato, che ne fece il poeta
Catullo. Spiegazione di questo verbo; esempi di scrittori antichi.
7.16.1 Ci trovavamo, una sera, a passeggiare nel Liceo, e un tale, uno di quei tipi che
per avere fatto una pratica approssimativa e disordinata della lingua si sentono destinati
alla fama dell’eloquenza senza avere imparato gli usi e le regole dello stile latino, ci
fornì un’occasione di divertimento e di spasso.
7.16.2 C’è una poesia di Catullo dove si trova il verbo deprecor in un’accezione
piuttosto ricercata: e quello, che non lo sapeva, tacciava di scipitaggine estrema i versi
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che qui cito e che tutti giudicano bellissimi:
Lesbia parla sempre male di me, non sta mai zitta su di me: Lesbia, possa io morire se
non è vero che mi ama. La prova? Ma perché altrettanto faccio io: la maledico
continuamente, ma possa io morire se non è vero che l’amo.
7.16.3 Il brav’uomo pensava che in questo passo deprecor stia nel senso usualmente
corrente, di «prego vivamente», «scongiuro», «supplico», dove il prefisso de- indica un
accrescimento, una maggiorazione:
7.16.4 se così fosse, quei versi sarebbero davvero insipidi.
7.16.5 Invece è tutto il contrario: perché il prefisso de- è bivalente, e in una stessa
identica parola assume un duplice significato; Catullo infatti usa deprecor col valore di
«detesto», «esecro», «caccio via», «respingo come infausto» [...]
(Traduzione G. Bernardi Perini)
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