Brooklyn Lucibel Crater d a alcuni anni a Brooklyn la musica viaggia in corsia di sorpasso. Mentre tutto il panorama musicale cammina sulle uova, nel timore di fare un irreparabile passo falso, nel quartiere newyorchese gli artisti e le band premono violentemente sull’acceleratore producendo ogni anno album che sono chilometri (o anni) davanti a tutto ciò che il mercato delle sette note offre. Matisyahu, School of Seven Bells, My Brightest Diamond, Sufjan Stevens: questi sono solo alcuni dei tanti nomi che animano la scena oltre l’East River che oggi si arricchisce di una nuova, “spericolata” band. Si chiamano Lucibel Crater e per loro, musicalmente parlando, è giusto azzardare l’aggettivo “imprevedibile”. Cocorosie, Björk e White Stripes ma anche atmosfere nu-jazz, dilatazioni ambient e momenti psichedelici: ascoltando questi Lucibel si rimbalza come una pallina in un flipper dai colori acidi; spinti e respinti tra i synth di Sarth Calhoun, il violoncello di Leah Coloff e le ritmiche di Paul Chuffo. Non ci sono regole, non c’è logica, solo musica ed emozioni allo stato puro: questi gli ingredienti di The Family Album, esordio discografico della band che con il suo sound schizoide ha fatto innamorare un altro brooklyniano d’eccellenza, sua maestà Lou Reed. Il leader dei mai abbastanza rimpianti Velvet Underground, infatti, oltre a consigliare la band nel percorso verso il successo, ha voluto essere presente fisicamente al loro esordio discografico: nella traccia Threadbare Funeral di The Family Album, infatti, spicca inconfondibile la voce acida della chitarra di Reed. le curiose armonie dei lucibel Ci si può sentire qualcosa di Björk e magari dei White Stripes. Ma la verità è che il loro sound è unico e difficilmente incasellabile. Tanto che se ne è innamorato persino Lou Reed Testo: Simone Tempia 48 · URBAN Ascoltando il vostro lavoro si rimane stupiti per l’assoluta imprevedibilità del sound: ogni canzone è completamente diversa da tutte le altre (per stile e genere). Esiste un filo di Arianna che collega i brani del vostro primo album? Se c’è, qual è? Leah: “Beh, c’è il violoncello in ogni traccia...” (ride, n.d.r.) Sarth: “Credo che il collante sia l’attenzione per il suono che deve essere assolutamente nuovo. Ogni canzone deve essere come una fotografia (il loro primo disco, infatti, si intitola The Family Album, n.d.r.). E, normalmente, in un album di fotografie familiari, ogni scatto è diverso dall’altro. Ecco anche perché le nostre canzoni hanno dei titoli come Standing in front of her new/used turquoise station wagon o Next of kin. Sono tutti titoli di foto”. Di che cosa parla The Family Album? Leah: “Attraverso il tema della famiglia, abbiamo voluto parlare dell’American Life. Quando abbiamo scritto i brani eravamo pervasi da un senso di disillusione e amarezza. Per esempio, la canzone Threadbare Funeral parla di una donna che, dopo aver vissuto da sola nella prateria per anni, cerca qualcuno che la possa strappare dalla sua condizione di abbandono e, ultimamente, questo è un pensiero “politico” comune. Gli statunitensi si sono davvero sentiti così, abbandonati... Into the Bushes è uno sguardo sarcastico su cosa potrebbe succedere se dovessimo rimanere ancorati alle nostre idee come ha fatto Bush negli ultimi anni. Continueremmo a vivere nell’ignoranza, a pensare che la Terra è piatta e non saremmo capaci di guardare al nostro passato con lo scopo di creare un futuro diverso. Le idee, questo sono il nostro collante”. Come è iniziata la vostra collaborazione con Lou Reed? Sarth: “Siamo venuti in contatto con lui per via della nostra (mia e di Lou) passione comune per il Chen Taiji. Entrambi studiavamo con lo stesso insegnante, il Maestro Ren Guang Yi, e abbiamo collaborato insieme per comporre parte della colonna sonora di alcuni dvd Joe’s C Y N Pub di taiji e meditazione. Tutto è iniziato così”. E com’è stato lavorare con lui? Sarth: “Emozionante. Lo è tutte le volte (Sarth fa anche parte di MM3, il trio di Lou Reed, n.d.r.). Osservare la sua cura per i dettagli sonori è stato per me una vera svolta: è incredibile vedere come la preparazione, l’attenzione, la ricerca, possano aprire vere autostrade all’ispirazione. Ispirazione, ecco, questa è la parola che io associo a Lou... mi ha ispirato con il suo modo di creare. Riesce a fare cose immense mettendoci sempre anima e umanità”. Immaginate di poter avere, per il prossimo album, una nuova guest star a vostra scelta. Chi sarebbe? Sarth: “Beck, ma solo se lo producesse Tom Waits”. La vostra musica sarebbe la colonna sonora ideale per... Paul: “Sunrise di F.W. Murnau; Metropolis di Fritz Lang; Battlestar Galactica”. Immaginate di essere in una stanza vuota. Fuori, la vostra musica sta disegnando un paesaggio. Che cosa vedreste, affacciandovi alla finestra? Paul: “Una grande massa d’acqua con isole meccaniche che galleggiano. Sopra ciascuna isola ci sarebbe una città con una propria identità”. Come descrivereste Brooklyn da un punto di vista musicale? Leah: “Eclettica, diversificata”. Sarth: “Un mio amico una volta ha detto che, se vivi a Brooklyn e fai musica, è impossibile non metterci dentro un po’ di hip-hop. Insomma, le macchine qui vanno in giro con i subwoofer accesi a qualunque ora, anche quando dormi... cioè, quello ti si insinua nel subconscio e non c’è niente da fare...”. “Into the Bushes è uno sguardo sarcastico su cosa potrebbe succedere se dovessimo rimanere ancorati alle nostre idee come ha fatto Bush negli ultimi anni. Continueremmo a vivere nell’ignoranza e a pensare che la Terra è piatta” URBAN · 49