George Benson
C’è una bellissima definizione di George Benson, coniata da Ken Burns, uno dei
grandi storici del jazz americano: “Se nel jazz esiste qualcuno che ha fatto quello
che hanno fatto i Beatles nel pop, questo è George Benson”. E Burns ha sicuramente
ragione, perché George Benson, da Pittsburg, Pensylvania, non è soltanto uno dei
più grandi chitarristi della storia del jazz, ma un musicista fondamentale nel divulgare
il linguaggio della musica afroamericana, fondendolo con classe e maestria
inarrivabili, con il pop, il rock e la grande canzone, creando un inconfondibile
“Benson Style”, che in molti hanno cercato di imitare. E’ sbagliato, come fanno in
molti, definire lo stile di Benson “smooth jazz”, jazz morbido e vellutato, perché
l’aggettivo tende a sminuirne l’efficacia e la forza, che invece nella musica del
chitarrista americano sono determinanti. L’esordio di Benson è tutto nel jazz, nel
1964 con Lonnie Liston Smith e Ronnie Cuber, ma già tre anni dopo, nel 1967, il
chitarrista è convocato alla corte di Miles Davis:«E’ stata una scuola fondamentale,
esperienza indimenticabile e formativa. Suonare con Miles è come andare
all’università…», dice ridendo. Di certo Benson si “laurea” e da Davis apprende
soprattutto la lezione della libertà espressiva, «la capacità di pensare alla musica e
non ai generi, di muoversi liberamente all’interno di strutture sonore differenti», dice
ancora, «una lezione che non ho mai dimenticato». Benson non è un chitarrista di
genere, dunque, e lo ha dimostrato in ogni parte della sua carriera, negli anni
Sessanta quando prese l’intero “Abbey Road” dei Beatles e lo rilesse alla sua
maniera in “The other side of Abbey Road”, solo tre settimane dopo l’uscita del disco
originale, o quando, sempre nel 1969, decise di interpretare addirittura “White
Rabbitt” dei Jefferson Airplane. Ma ancor più quando nel 1976 pubblicò “Breezin’”,
il disco che segnò l’evoluzione definitiva del “Benson style”, stabilendo un punto di
svolta essenziale per tutta la musica afroamericana.«Quel disco è stato per me come
un’illuminazione», ricorda Benson, «ho capito che quello che mi interessava era
comunicare. Questo è lo scopo finale, la sfida, comunicare qualcosa, far passare
sentimenti e sensazioni, ogni sera, davanti a un pubblico. E’ questo che mi tiene
vivo, che non mi fa annoiare mai, che mi porta a suonare ancora oggi con lo stesso
entusiasmo di venti, trenta o quaranta anni fa. Il desiderio di comunicare mi mantiene
vivo e mi fa scoprire cose nuove».
Successi Benson ne ha avuti moltissimi, variando lo schema di base infinite volte,
scalando le classifiche con brani come “Turn your love around” o “Gimme the night”,
o scrivendo un brano, “The greatest love of all”, portato poi al successo dalla «più
brava cantante del mondo», come lui stesso la definisce, Withney Houston, o
ancora, come è accaduto recentemente, realizzando un album di meravigliosa
classe con Al Jarreau. «Qual è il mio segreto? Amare la musica, avere una magnifica
famiglia, non essere invidioso. Credo che questo mi abbia permesso di passare
attraverso alti e bassi, e di poter suonare sempre quello che voglio».
http://georgebenson.com/
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luglio 2012