Enrico Grassi
Logica formale e logica dialettica
[Si è continuato per decenni a dibattere sul nesso A/non-A, perdendo di vista il
significato più proprio della opposizione dialettica, ovvero di essere niente altro che
correlazione. L'opposizione dialettica, o contraddizione, è una relazione immanente o
costitutiva di termini opposti, senza la quale essi non esistono come tali, pur potendo esistere
come altro – “padre” non può esistere senza “figlio”, ma può esistere come cittadino. Identità,
diversità, opposizione, contraddizione si realizzano quindi simultaneamente in ogni ente per
le molteplici relazioni che esso intrattiene, ma anche successivamente per il mutare di
queste.
Per capire la dialettica si devono eliminare le incertezze e a volte gli errori in cui
essa cadde negli stessi padri fondatori, in Hegel e Marx, chiarendo che la contraddizione non
solo è correlazione, ma è anche multimodale, non essendo riducibile al semplice modulo
antagonistico e in divenire.
La contraddizione, come tutto nella realtà, può realizzarsi sia con i termini opposti
che si escludono, sia con i termini che si includono; con parziale compatibilità o con radicale
incompatibilità; per un tempo determinato o per un tempo imprecisabile; l’opposizione infine
può interessare una parte, un aspetto o l'intero organismo. Si possono dare contraddizioni
antagonistiche che permangono come tali per volontà umana (almeno per un periodo) e noncontraddizioni affrontate antagonisticamente.
Non sempre quindi la contraddizione è destinata al superamento. Quando ciò
avviene, è possibile con distruzione di uno o di entrambi i termini, o con subordinazione di
uno all’altro (i molti modi della dialettica).
Il superamento si realizza a volte con o senza cambiamento formale. La società
civile subordina la famiglia senza mutarne in profondità la forma, inglobandola semplicemente
in un tutto più ampio. Il commercio muta forma di fronte all'industria solo in alcuni casi, ma
non in altri.
Il rapporto tra logica formale e logica dialettica deve essere di reciproco rispetto,
dovendosi spartire l’intero campo del discorso, giacché la prima è valida in alcune forme di
ragionamento: descrittivo, deduttivo-tautologico, induttivo-tautologico, statistico. In altri ambiti
della realtà, ove compare la contraddizione-correlazione, non riesce ad operare con i suoi
strumenti essenzialmente tautologici.
Che senso può avere la pretesa universale del principio di identità, se ogni individuo
in contesti relazionali diversi assume connotati diversi, se una stessa azienda è produttiva in
un contesto e improduttiva in un altro? Nessuna logica della continuità e della tautologia potrà
seguire con i suoi formalismi il passaggio da un rapporto fisiologico tra popolazione e
Costituzione in un paese al momento in cui quel rapporto entra in crisi
a) Il principio di non-contraddizione
I filosofi dialettici convengono con Aristotele nel ritenere che non si
possa affermare che una cosa è verde e - al tempo stesso e sotto lo stesso
rispetto - non-verde, che il modo di produzione capitalistico va incontro e nonincontro alla sovrapproduzione, che le macchine sono e non sono utili alla
classe dei lavoratori. Da ciò consegue che la loro teoria della contraddizione
non sia stata formulata in polemica con il principio di non-contraddizione,
almeno nel modo sopra descritto. Esso, più che negato, viene criticato da
Hegel, in quanto pretende di essere l’unico e universale principio logico,
essendo invece momento di un principio più ampio. In questo senso va inteso
l’aggiornamento della logica aristotelica, che Hegel, diversamente da Kant, si
proponeva di portare avanti, nonostante la stima per il grande pensatore.
1
“È merito infinitamente grande (unendliches Verdienst) di Aristotele....avere intrapreso
per la prima volta codesta descrizione. Ma occorre andare più avanti (Aber es ist nötig, dass
weitergegangen werde)” (1).
Ad Hegel e Marx appare giusto, anche se scontato, e pertanto poco
utile, sapere che la luna è la luna o che un uomo è padre o non-padre.
Sembra ovvio per loro che questo principio sia alla base dell’accertamento
degli errori più marchiani che la mente possa commettere, la cui evasione dà
luogo a quelle che vengono comunemente definite “contraddizioni in termini”,
o anche contraddizioni logiche, e che fanno ironizzare Marx su Mill a
proposito della teoria di Senior della “remuneration of abstinence”
“Quanto gli è ignota la ‘contraddizione’ hegeliana (hegelsche ‘Widerspruch’), fonte di
ogni dialettica, tanto si trova a suo agio in contraddizioni banalissime (platten
2
Widerspruchen)” ( ).
Lo stesso Hegel nella Dottrina dell’essenza, riferendosi al principio del terzo
escluso, afferma che quella proposizione “è così insignificante, che non vale
la pena di enunciarla (der satz ist so unbedeutend, dass es nicht der Mühe
Wert ist, ihn zu sagen)” (3). Poco prima vi si era riferito definendolo “un che di
superfluo”. Ma insignificanza, superfluità, volgarità, non significano ancora
falsità (4). Il principio diventa sbagliato quando viene utilizzato per invalidare
1 - Scienza della Logica, Laterza, Bari 1968, p. 673. (IV, S. 234). Si veda anche la pagina 33 (III, S. 33).
2 - Il capitale, Editori Riuniti, Roma 1974, I, p. 653. (23, S. 623). Si veda anche a pagina 586, ove Marx
scrive “Una contraddizione di questo genere che si elimina da sola non può nemmeno essere
pronunciata né formulata come legge”. Poco dopo a pagina 589 (S. 651) assimila aristotelicamente
“confusioni e contraddizioni”.
3 - Logica, p. 489. (IV, 57). Subito dopo insiste sulla Trivialität del principio.
4 - È approssimativo il giudizio di I. Narski nel saggio Die Kategorien des Widerspruches in Hegels
“Wissenschaft der Logik”, sta in Hegels Wissenschaft der Logik, Klett - Cotta, 1986, là dove fa dire ad
Hegel, per poi dargli torto, che il principio di non-contraddizione è radicalmente sbagliato (In seiner Kritik
des Gesetzes vom ausgeschlossenen Widerspruch hatte Hegel unrecht) (S.179). A conclusioni simili
arriva anche F. Schmidt in Hegels formale Logik (Deutsche Zeitschrift für Philosophie, 1963, vol 11/1),
dopo aver cercato di dimostrare che Hegel arriva alla negazione del principio di non- contraddizione
sulla base di artifici logici scorretti. In realtà lo stesso Hegel aveva utilizzato positivamente il principio
aristotelico al paragrafo 135 della Filosofia del diritto, polemizzando contro il vuoto formalismo della
morale kantiana. Nella stessa opera sopra citata, M. Wolff, nel saggio intitolato Über Hegels Lehre vom
Widerspruch, non comprende che il concetto di contraddizione, utilizzato ripetutamente nel paragrafo
citato, non è quello dialettico, bensì quello formale. Hegel infatti vi dice che il principio morale kantiano è
un vuoto formalismo, privo di contenuto, non potendo suggerire doveri particolari, comportamenti
specifici, per essere privo di contraddizione, ovvero di un particolare comandamento, che escluda ciò
che gli si oppone. Se infatti imponesse di rispettare la proprietà e la vita, ovviamente l’opposto, il rubare
e l’uccidere, sarebbe vietato, come un oggetto verde che non può al tempo stesso essere non-verde,
secondo il principio formale della non-contraddizione. Una contraddizione logico-formale è possibile
quindi solo quando è data una cosa, un contenuto, accolto come principio stabile, tale che in rapporto a
siffatto principio un’azione è concordante con essa o in contraddizione. Qui evidentemente Hegel sta
utilizzando quella contraddizione che Marx chiamerà “banale contraddizione”. Che l’interpretazione
debba essere questa lo attestano indirettamente le osservazioni della Storia della filosofia (La Nuova
Italia, Firenze 1973, alle pagine 383-387, ovvero, anche se leggermente modificate, alle pagine 411-415
della prima edizione del Michelet, ripresa dal Glockner nell’edizione del 1928) ove Hegel ribadisce la
validità della logica formale, scrivendo che : “In sé e per sé questi giudizi e sillogismi sono certo veri, o
meglio esatti: di ciò nessuno ha mai dubitato” (384), anche se posseggono una validità astratta, ma non
per questo inessenziale, tanto è vero che “questa logica del finito...la si ritrova dappertutto nei rapporti
finiti. Ci sono molte scienze, cognizioni ecc., che non conoscono né adoperano se non queste forme del
pensiero finito, le quali difatti costituiscono il metodo generale delle scienze finite (Sie machen die
allgemeine Methode für die endlichen Wissenschaften aus)” (386). Hegel conclude l’analisi della logica
aristotelica, e del suo ruolo storico, con questo passo di estrema chiarezza: ”Come tutta la filosofia di
Aristotele, così anche la sua logica ha bisogno essenzialmente di essere rifusa, per modo che la serie
delle sue determinazioni vengano recate in un necessario complesso sistematico...un sistema, che ne
faccia un tutto vivo ed organico, in cui ogni parte valga come parte, e soltanto il tutto come tutto abbia
verità” (387). Nel caso di Aristotele pertanto non cogliere la verità non significa “errore”, ma soltanto
“parzialità”, mancanza di visione complessiva. È in questo preciso punto, per riallacciarmi a quanto si
diceva sopra, che Hegel porta come esempio la giurisprudenza (e la matematica), nel cui ambito
valgono rapporti esteriori, in quanto opera dell’intelletto, “rapporti di determinazioni finite”, in grado di
2
l’opposizione dialettica, che si caratterizza per la correlazione determinata,
che non ha nulla a che vedere con la negazione indeterminata o astratta del
principio aristotelico. Un conto è dire “questo oggetto è verde o non-verde”,
ove il non-verde comprende una possibilità infinita di predicati, un altro è dire
che il padre è relativo al figlio, al suo opposto determinato, e solo al figlio,
almeno in quanto padre. Il termine opposizione è servito ad oscurare il vero
senso del problema, contenendo significati assolutamente diversi nei due
casi. Per Aristotele l’opposto, nell’esempio, è il non-verde, ovvero tutto ciò che
rimane escluso dal verde, e quindi l’indeterminatezza (Unbestimmtheit); per
Hegel invece l’opposto è quel diverso (5), che è esclusiva, unica e
determinata relazione al padre, ovvero quel figlio (6). La trasgressione al
principio aristotelico sarebbe avvenuta se Hegel avesse detto che il padre è
padre e non-padre, intendendo con quest’ultimo l’infinita diversità. Il nonpadre di Hegel invece è quel figlio, come il non-A della qualità è la quantità e
solo essa, il non-A dei modi è la sostanza, il non-A dell’individuale è
l’universale (7). Il principio di contraddizione hegeliano pertanto non
rappresenta l’alternativa polemica al principio di non-contraddizione
aristotelico, dato che il padre non pretende di essere il figlio, ma solo di
implicarlo (8). Il doppio significato che ha assunto il termine opposizione ha
reso indiscernibili gli stessi concetti, facendo dimenticare a molti che per
Hegel esso indica solo una diversità correlativa, con caratteristiche specifiche
nei vari momenti del suo sistema. Gli aristotelici hanno visto nel non-A il
rovescio di A, la A negata in se stessa, mentre per Hegel esso rappresenta
solo ciò cui necessariamente rinvia l’altro termine. Al fine di evitare tante
confusioni, sarebbe utile espungere dal lessico l’uso del termine opposizione,
dal momento che può indicare concetti così diversi.
L’aspetto forse più sorprendente di questa disputa ormai secolare
risiede nel fatto che lo stesso Aristotele mostra di aver capito alla perfezione
quella specifica contraddizione-relazione, che poi diventerà il concetto
fondamentale del sistema hegeliano. Ecco cosa scrive a questo proposito:
“Relative sono dunque le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice
esserlo di qualcos’altro.”
“Nelle relazioni sussiste poi la contrarietà”.
essere descritte dalla logica formale, e quindi secondo il canone del principio di non-contraddizione.
5 - Enciclopedia, & 120.
6 - A. Léonard, Commentaire littéral de la Logique de Hegel, Vrin, Paris 1974, p. 116, a proposito di
ciascuno degli opposti sostiene che “n’a pas en face de soi un Autre en general mais son Autre”.
7 - Hegel ha contribuito a creare confusione nella rappresentazione della contraddizione con l’uso e
l’abuso della formula A/non-A. Per evitare equivoci è sempre opportuno sciogliere i simboli nei loro
termini concreti, al fine di capire esattamente ciò di cui si parla. Quando infatti si dice che una cosa è al
tempo stesso bene e non-bene (o male), è sufficiente sostituire i termini generici con i reali contenuti, ad
esempio che l’alcool in quantità eccessiva è un piacere sensoriale e al tempo stesso un distruttore del
sistema nervoso, per capire che i due poli correlativi sono piacere e distruzione. Siamo evidentemente
in presenza di un nesso dialettico per distinzione, come maschio-femmina, filosofia-scienza,
produzione-circolazione, in cui il reciproco di piacere non è l’indeterminato non-piacere, che comprende
anche la penna con cui scrivo, ma la distruzione nervosa, ovvero un non-piacere determinato.
8 - M. Wolff, a p. 169 del citato Der Begriff des Widerspruch, afferma di far sua l’ipotesi ermeneutica di
W. Wieland, che in Bemerkungen zum Anfang von Hegel Logik aveva sostenuto che “Doch in Wahrheit
besteht zwichen Hegels Logik und der traditionellen Logik kein Konkurrenzverhältnis...in dem Buch mit
dem Titel “Wissenschaft der Logik”, keine Lehre der klassischen Logik revorziert wird”. Simile è la
posizione di A. Sarlemijn in Hegelsche Dialektik, de Gruyter, 1971, che distingue tra “Richtigkeit”,
“Wahrheit” e “Wirklichkeit” per sostenere che ogni discorso “corretto” debba seguire il principio di noncontraddizione, a differenza del discorso vero o reale, intendendo per correttezza la coerenza formale,
quale si può avere nelle proposizioni “scientifiche” o su dati particolari, staccati dal loro contesto: “Die
formale regel gilt für einfache Sätze wie: Caius ist Mensch, und die bestimmten Gesetze der
verschiedenen Wissenschaften” (111), concludendo che “Es ist also ein Missverständnis, in Hegels
Texten eine Widerlegung der formalen Logik zu sehen” (110). Ma laddove si presentano forme reali in
movimento, la logica formale è inadeguata a cogliere la contraddizione, che tuttavia è cosa più
complessa di come l’ha descritta il Sarlemijn a pagina 112.
3
“D’altro canto, tutte le nozioni relative si riferiscono al termine con cui si convertono.”
“Di conseguenza, in ogni contrapposizione che assuma la forma di una relazione, un
termine, proprio ciò che è, in sé, si dirà esserlo di qualcos’altro, o in qualche modo i due
termini si riferiranno l’uno all’altro”
“In realtà, doppio e metà sono simultanei, e quando sussiste la metà sussiste pure il
doppio. Del pari, quando sussiste lo schiavo sussiste pure il padrone. Gli altri casi sono simili
a questi. Inoltre, la caduta di ciascuno dei due termini di una relazione porta con sé la caduta
dell’altro termine. In effetti, se non sussiste il doppio non sussiste la metà, e se non sussiste
9
la metà non sussiste il doppio” ( ).
La sola, ma significativa differenza, consiste nel fatto che Aristotele,
diversamente da Hegel, presenta la relazione come un caso particolare e
ristretto di realtà, figurando solo come una delle dieci categorie, subordinata a
quella di sostanza, che precede e fonda tutte le altre (10). La vera differenza
tra le due logiche ha quindi sede nella diversità metafisica delle due dottrine
e, in particolare, nel ruolo primario o meno che la relazione ricopre in rapporto
alla sostanza (11). Una realtà che si costituisce in un perenne fluire attraverso
relazioni più o meno provvisorie non rispetta gli stessi principi logici di un’altra
fondata su sostanze e specifiche essenze o forme (quod quid erat esse), che
prescindono in quanto tali da qualsiasi relazione (12). È ovvio che la logica
formale non ha preso in seria considerazione la atipicità del nesso di
correlazione, così come aveva iniziato a fare Aristotele, di cui va esposta
brevemente la teoria.
In base a questa, la relazione può contenere o meno l’opposizione.
Quando la contiene, si presenta nella forma della contrarietà o relazione
senza reciprocità (bene-male); quando non la contiene assume la forma della
reciprocità (doppio-metà). Ciò dipende dal fatto che per la teoria la negatività
comporta uno statico antagonismo, tale per cui non può mai accompagnarsi
con la reciprocità, proprio in quanto è reciprocità. Servo e padrone sono
reciproci e quindi senza opposizione, dato che la correlazione, proprio in
quanto inclusione, non può essere che accordo senza conflitto. Aristotele non
ha capito quindi che compatibilità e incompatibilità sono entrambe compatibili
9 - Aristotele, Categorie, Laterza, 1970, pp. 22-39, (6 b-11 b).
10 - La distanza fra sostanza e relazione-opposizione risalta in questo passo aristotelico (3 b 25) “Alle
sostanze spetta altresì il non avere alcun contrario. In effetti che cosa potrà mai essere contrario alla
sostanza prima, per esempio ad un determinato uomo?”.
11 - G. Della Volpe, in Il problema dell’esistenza in Aristotele, Hume e Kant e il suo rapporto con quello
estetico, (1938), sta in Opere, III, Editori Riuniti, 1973, aveva afferrato il nesso tra logica e metafisica in
generale e in Aristotele in particolare, là dove scriveva che “la teoria del giudizio attributivo suddetto si
congiunge con la teoria -capitale- della sostanza prima... l’impossibilità della contemporanea
predicazione dei contraddittori si annuncia come fondata sul valore ultimo di individualità, di singolarità”
(p. 406). La sostanza numericamente una è “refrattaria” alla opposizione proprio in quanto è refrattaria
alla “relazione” (414). Su questa base l’autore pone l’equazione individualità (sostanza prima) sensibilità - indivisibilità (in senso antiplatonico) - non contraddittorietà (p. 416). Si ritrovano questi
concetti in opere successive (Critica dei principi logici, 1942, in Opere, III), ove si può leggere che
“l’individuo (la sostanza prima o specie individuata ch’è Socrate) ‘non ha contrario’, offre la base
metafisica al principio logico per il quale ‘un uomo’ o ‘una trireme’ non può avere un senso che a patto
di porsi al di fuori della (relazione ch’è la) contraddizione, e cioè come un che fondamentalmente
indiscriminabile“ (201). Ancora in Logica come scienza positiva, D’Anna, 1950, ritorna, anche se in un
contesto assai diverso, il concetto aristotelico di noema irrelativo o assoluto, in quanto noemaimmagine, fondato sulla immutabilità e staticità contemplativa del senso.
12 - D. Marconi, in Le contraddizioni dialettiche di Hegel, sta in A.A.V.V., Romanticismo,
Esistenzialismo, Ontologia della libertà, Mursia, Milano 1979, ha buon gioco nel mostrare, come del
resto avevamo premesso citando Findlay, alcuni “sofismi” hegeliani, nati dallo slittamento abusivo dalle
regole del linguaggio a quelle del meta-linguaggio. Ma non è sufficiente evidenziare alcune improprietà
sul concetto di limite, per risolvere una questione logica che affonda le sue radici nella concezione della
realtà, e che pertanto non può essere sciolta fino a che non si affronta il problema del rapporto fra
sostanza e correlazione. In modo semplificato anche A. Metz, in Les jeux de mots dans la dialectique
hégélienne, sta in Le language, A’ la Baconnière, 1966, si muoveva sulla stessa linea teorica di
Marconi, riducendo la dialettica all’abusivo sdoppiamento di significato delle parole da parte di Hegel,
come nel caso del termine Aufhebung.
4
con il nesso di reciprocità, pur essendosi reso conto che possano darsi alcune
forme di relazione i cui termini non sono convertibili (antistrefonta, bianconero), che ha significato accettare la possibilità di relazioni con termini in
disaccordo, dove l’uno non si predica dell’altro. Questa differenza, a suo
parere, distingue relazione da correlazione: la prima può presentare un
disaccordo, ma non la seconda.
Per Hegel i rapporti di massima reciprocità, e quindi di massima
opposizione, possono trasformarsi in rapporti di massimo e radicale
antagonismo, come nel rapporto servo-padrone, in cui è insito lo sviluppo
necessario verso la lotta. La negazione è uno stare necessariamente di fronte
con o senza conflittualità, essendo essa principalmente un reciproco
riferimento o conversione delle parti. Per Aristotele invece può esservi
negazione (apofasis) solo quando un termine non può predicarsi dell’altro
(bene-male, vista-cecità), né vi è storia e sviluppo del nesso. La negazione
nella relazione gli appare sempre come uno stare necessariamente di fronte
in modo “polemico”, rappresentando un contrasto radicale fra i termini,
potendo essere solo maggiore o minore: bene e male rappresentano infatti
una opposizione minore rispetto a bene e non-bene. L’opposizione viene
sempre presentata come contrapposizione senza mediazione, senza
riferimento, tale per cui un termine non ha nulla a che vedere con l’altro,
proprio perché gli si contrappone. Essa si esprime essenzialmente nel non, e
quindi la sua massima manifestazione si produce quando si pone la particella
negativa di fronte ad un qualsiasi termine (non-verde), su cui si fonda il
principio di non-contraddizione, come momento culminante dell’opposizione
iniziata con i contrari.
Aristotele esclude dall’opposizione la diversità e la differenza,
cominciando dai contrari. Hegel invece vi include differenza e diversità,
probabilmente perché lo stare di fronte, che nella diversità è accidentale,
comporta l’aspetto dell’identità, tutti i diversi essendo identicamente diversi,
per il fatto stesso di appartenere alla stessa natura, essendo tutti degli
alcunché. Per il primo, tutto ciò che si oppone non può essere al tempo
stesso identico e diverso. Per il secondo, invece, i due lati dell’opposizione
sono identici, se devono stare di fronte, ma anche diversi, se devono opporsi.
È quindi la funzione dell’identità che distingue il concetto di opposizione dei
nostri filosofi, anche se l’origine profonda del dissenso è nella diversa
concezione della sostanza, che in Aristotele è data da individui irrelati,
autosufficienti, chiusi in se stessi, tali da non dipendere per il loro essere dallo
stare necessariamente di fronte ed insieme ad altri individui. La metafisica ha
impedito al filosofo greco di comprendere a pieno quel concetto di relazione,
che sul piano logico aveva pur afferrato, trattando il tema dell’inclusione tra
termini. Nella sua visione, la relazione non poteva che essere “ristretta” a
fronte di quella hegeliana che, occupando tutto il campo della sostanza, da
intendersi come correlazione di correlazioni, doveva essere “generale”.
Per facilitare la comprensione della differenza tra le due logiche, può
risultare utile uno schema del pensiero aristotelico a proposito dei due
concetti trattati:
1) Relazione (pros ti)
a) con reciprocità (o correlazione, anticategoreistai): i due termini
(servo-padrone, doppio-metà) si convertono (antistrefein), ovvero l’uno si dice
dell’altro, e pertanto sono senza opposizione (13);
b) senza reciprocità: l’uno non si dice dell’altro (bene-male, bianconero), rappresentando una relazione con opposizione;
c) con conversione parziale o unilaterale: un termine si converte con
l’altro, ma non viceversa (la scienza è reciproca al suo oggetto, ma l’oggetto
51 - Aristotele, 6 b 25.
5
della scienza esiste senza di essa). In questo caso non può esservi
opposizione (14);
d) per accidente (cata sunbebecos): in cui i termini non si convertono,
non si dicono necessariamente l’uno dell’altro, ma solo accidentalmente
(uomo-bianco, uomo-cavallo). Il nesso può essere con o senza opposizione
(15).
2) Opposizione (anticheimena)
Essa non può costituirsi entro la diversità e la differenza, ma solo entro
la contraddizione (antifasis), la privazione, la contrarietà (enantiotes, che
rappresenta una differenza estrema, come salute e malattia) (16) e la
relazione (17). Pertanto si può dire che essa compare:
a) entro la relazione: senza reciprocità (bene-male). Non può esservi
opposizione nella relazione con reciprocità;
b) fuori della relazione: tra contraddittori, tra contrari (vista-cecità), ecc.;
c) per accidente: Aristotele non tratta esplicitamente dell’opposizione
accidentale tra diversi, ovvero della kantiana opposizione reale, anche se non
può essere esclusa dalla sua teoria, essendo da essa derivabile.
Tornando ad Hegel, bisogna riconoscere la presenza di una certa
ambiguità nella sua esposizione dei principi di identità e di noncontraddizione, riaffiorando in essi tutte le incertezze che si erano notate a
proposito della matematica. Come non si riesce a capire se la matematica
debba essere considerata “falsa”, “vuota” o “parziale”, così non è ben chiaro
se i principi della logica formale vadano considerati falsi, non essendo leggi
del pensiero (kein Denkgesetz), oppure vuoti (Ausdruck der leeren
Tautologie), o ancora validi solo in prima istanza, tale per cui bisogna “andare
avanti”.
Posto che Hegel accetti come banalmente valido il principio della
contraddizione logica, va tuttavia detto che il suo ambito di applicazione è
assai più ristretto rispetto a quello di Aristotele, che infatti lo intendeva
applicabile indifferentemente ai quattro tipi di opposizione da lui presi in
considerazione (contraddizione, privazione, contrarietà, relazione), sebbene
avesse capito il diverso statuto logico della relazione. Se nei primi tre casi
vale infatti l’opposizione con esclusione, nel caso della relazione, in base ai
suoi stessi spunti, essa doveva essere considerata come opposizione senza
esclusione.
Se ogni entità può essere considerata hegelianamente un incrocio
simultaneo di più relazioni e correlazioni (o contraddizioni), il principio di noncontraddizione è in grado di cogliere il fotogramma fermo della cosa, come se
essa fosse una sostanza, mentre il principio di correlazione ne coglie la vita
interna, i molteplici fili che la collegano alle altre realtà. Il principio di noncontraddizione blocca la cosa nella sua indipendenza, come relazione già
costituita e divenuta autonoma, mentre il principio di contraddizione la
osserva nelle sue dipendenze costitutive. Sono entrambi nel vero, ma l’uno è
analitico, l’altro sintetico. Il contenzioso è nato quando il primo ha preteso di
eliminare il secondo, o quando il secondo non ha incluso il primo, giocando
negativamente in entrambi i casi una cattiva metafisica.
14 - Ivi, 7 b 25.
15 - Ivi, 1021 b 10.
16 - Ivi, 1055 a 1-2.
17 - Ivi, 1055 b 6.
6
b) Logica formale
La logica formale ha sempre preteso di costringere la realtà entro i suoi
stessi limiti, ovvero entro i limiti del principio di non-contraddizione,
scambiando piano logico e piano ontologico alla maniera dell'antica filosofia.
Leibniz, ad esempio, ha derivato dal principio di identità l’intera metafisica,
ritenendo possibile inferire da esso l’eguaglianza di ogni cosa a se stessa,
l’impossibilità che un ente possa essere maggiore o minore di sé, fino a
stabilire il principio di ragion sufficiente, il principio degli indiscernibili e, per
ultimo, la teoria delle monadi (18). Lo stesso Kant sosterrà, seppure in modo
incerto e discontinuo, l'impossibilità di trasformare in giudizio analitico quello
che necessariamente deve essere empirico, evitando lo scambio tra piano
logico ed ontologico. Nessuna logica, neppure quella dialettica, potrà
preventivamente stabilire quali siano le strutture essenziali della realtà,
essendo questo il compito della scienza.
Il presupposto metafisico dei logici formali è nella coerenza, intesa
restrittivamente come non-contraddizione, ovvero come impossibilità
dell'autonegazione, non avendo capito che la contraddizione è
essenzialmente reciprocità, e che la correlazione può comportare una
dinamica tale che i due termini, proprio in quanto connessi, possano
scompensarsi, rompendo il vecchio equilibrio che li teneva insieme, mutando
il rapporto da armonico in antagonistico. Una correlazione attiva difficilmente
rimarrà inalterata, variando i suoi due lati in modo inverso, poiché ciò che fa
crescere l'uno fa anche decrescere l'altro, proprio in quanto reciproci. Solo se
presi insieme e messi in rapporto ad altro, possono variare entrambi
positivamente o negativamente (profitto e salario in situazioni particolari
possono crescere o decrescere insieme). Comunque, nei due casi,
assistiamo ad un mutamento.
Nelle logiche formali il problema della relazione rappresenta, nel
migliore dei casi, un capitolo tra i tanti, non ricoprendo per esse
quell'importanza che i logici dialettici gli attribuiscono.
Russel riporta sulla correlazione esempi di tipo statico (padre-figlio),
rifiutandosi di trarre tutte le conseguenze da alcune osservazioni anche acute.
È tipico il suo comportamento nell'analisi del nesso tutto-parte, ove esclude
preventivamente una considerazione "filosofica" del problema in quanto
"indefinibile", salvo poi fare lui stesso filosofia su di esso, con alcuni spunti
anche dialettici. Distingue tra Tutto come Unità e Tutto come Aggregato,
sostenendo che nel tutto come aggregato le parti non hanno connessione
inter se, ovvero relazione reciproca, che invece esiste tra le parti di una
totalità.
"È importante comprendere che un tutto è un nuovo termine semplice, distinto da
ciascuna delle sue parti e da tutte insieme; è uno, non molti, ed è correlato alle parti, ma ha
19
una essenza da esse distinta" ( ).
18 - G. W. Leibniz, Le verità prime (1686), in Saggi filosofici e lettere, Laterza, Bari 1963.
19 - B. Russel, Principia mathematica, Cambridge University Press, 1903; trad. it., I principi della
matematica, Newton Compton, Roma 1971, p. 231. Hegel aveva sostenuto che la matematica diventa
inconsapevolmente dialettica nel calcolo infinitesimale; si potrebbe dire qualcosa di simile a proposito
della moderna teoria delle relazioni. Nella relazione simmetrica (cugino-cugina) e in quella asimmetrica
(fratello-sorella) essa sfiora il tema della reciprocità, ma non percepisce, nel suo radicale atomismo, che
i termini correlativi comportino uno statuto logico diverso. Su questo tema è ritornato il secondo
Wittgenstein (Ricerche filosofiche), sostenendo che non esistono enti semplici, essendo tutto sempre
relazione. Nel "Grande dizionario enciclopedico Utet" sia G. M. Merlo che M. Trinchero non prendono in
considerazione Hegel alla voce Relazione, preceduti in ciò da G. Calogero nella stessa voce della
Treccani. Più accorti mi sembrano quei logici moderni come la S. Haack (Filosofia delle logiche, Angeli,
Milano 1983), che tra i tanti tipi di logiche possibili elencano anche quelle che introducono la
contraddizione, o comunque un possibile molteplice utilizzo di essa (M. L. Dalla Chiara Scabia, Logica,
ISEDI, Milano 1974, pp. 88 e 112). Quanta distanza ormai da quei teorici come Frege che identificavano
la logica con lo studio dei fondamenti della dimostrazione universale! O rispetto a coloro che pensavano
7
Se avesse tratto tutte le conseguenze dall'affermazione che il tutto è
indipendente e al tempo stesso reciproco con le parti, forse la sua diffidenza
nei confronti di Hegel sarebbe diminuita. L’autore arriva a dire che una classe
può essere guardata sia come Aggregato che come Uno, in stile altamente
dialettico, non facendoci capire come possano formarsi le classi separate
degli insiemi delle Parti e degli insiemi dei Tutto, se poi parti e tutto sono dei
correlativi. Russel non dovrebbe rinviare alla filosofia il nesso della
correlazione, per tenersi solo quello delle classi separate e formalizzabili, se
poi ricade inconsapevolmente nel discorso “filosofico”. In questo modo può
anche ottenere un linguaggio “coerente”, ma su concetti che hanno a che fare
solo con un aspetto della realtà.
La logica formale prima e la logica matematica poi hanno studiato i
modi dell'inferenza, mantenendo sempre ben ferma la discriminazione nei
confronti della contraddizione/correlazione, come se questa impedisse il
ragionamento rigoroso e, con esso, un mondo possibile. Il rifiuto ha avuto una
doppia origine, politica la prima, essendo la contraddizione un rischio sociale
in ogni tempo, ieri come oggi, logica la seconda, fondata sulla constatazione
che i presunti concetti contraddittori non sarebbero formalizzabili, non stando
mai fermi di fronte all'intelletto, subendo continue trasformazioni: la causa si
trasforma in effetto, l'universale in individuale, il finito nell'infinito, l'unità nella
molteplicità.
La logica dialettica è stata considerata dai formalisti in modo riduttivo,
unicamente come logica dell’unità di opposti antagonisti. Non si è ben capito
che le due logiche sono opposte non solo per quell’unità, ma anche per il
concetto di misura, da cui derivano le trasformazioni qualitative, che nessuna
logica lineare riesce a seguire, collocando tra i paradossi questi mutamenti;
per quella sorta di circolarità interna tra l'insieme e le sue parti, attraverso cui
sia le parti che l'organismo subiscono continue metamorfosi; per la circolarità
esterna, attraverso cui ogni organismo, mediandosi con gli altri, crea uno
specifico rapporto non matematico con il proprio universo. Il moltiplicatore
produttivo che si ottiene nel lavoro con la cooperazione - non derivabile con i
semplici strumenti della logica formale - è soltanto uno degli infiniti esempi
possibili. La dialettica infatti è la logica dei continui scarti nella realtà, quegli
scarti che nessun matematismo è in grado di seguire: è probabilmente questo
il motivo profondo per cui i programmi del computer non riusciranno mai ad
adeguarsi alla realtà.
Che senso può avere la pretesa universale del principio di identità, se
ogni individuo in contesti relazionali diversi assume connotati diversi, se una
stessa azienda è produttiva in un contesto e improduttiva in un altro?
Nessuna logica della continuità potrà seguire con i suoi formalismi il
passaggio da un rapporto fisiologico tra popolazione e Costituzione in un
paese al momento in cui quel rapporto entra in crisi (20).
La mente umana è una struttura plastica, in grado di apprendere il
nuovo, capovolgendo i criteri precedentemente seguiti, priva pertanto di “una”
logica immanente, essendo in grado di seguire indifferentemente i principi di
continuità e di discontinuità, di contraddizione e di non-contraddizione, come
pure le logiche intuitive e le non intuitive, le visioni deterministiche e le
indeterministiche. Non si tratta di capire come funziona il cervello, quanto
piuttosto come funziona la realtà. Studiare i meccanismi della mente “in sé”
ad essa come ad un sistema di simboli indipendenti da ogni evidenza, ove solo la non-contraddittorietà
rimaneva come principio ineludibile!
20 - Hegel criticava la pretesa leibniziana di una caratteristica universale, resa impossibile dal fatto che
diverso è il concetto fissato per sé e lo stesso concetto in altre relazioni “quasi che nel collegamento
razionale (vernünftigen Verbindung), che è essenzialmente dialettico (wesentlich dialektisch), un
contenuto ritenesse ancora quelle medesime determinazioni (dieselben Bestimmungen) che ha quando
è fissato per sé (für sich fixiert)” (Logica, p. 779; IV, S. 332).
8
significa riproporre la separazione di pensiero e realtà, per cercare nel primo i
fondamenti della seconda.
La logica formale, partendo dal linguaggio ben formalizzato di Frege e
Russel, ha costruito una macchina con la pretesa di imitare il pensiero in
generale, riuscendo solo a riprodurre le sequenze di un aspetto di esso,
quello matematico-inferenziale di tipo tautologico, che è l’unica forma
meccanizzabile di pensiero. La logica da Hobbes in poi ha sognato di ridurre il
ragionamento a calcolo e il computer ha rappresentato una delle realizzazioni
di questo antico progetto, utile quanto si vuole, ma strutturalmente organico
alla pretesa integralista della logica formale.
Che il reale abbia un aspetto quantitativo è vero, come è vero che esso
sia l’aspetto più facilmente formalizzabile, ma quello che l’uso lineare della
quantità non potrà mai raggiungere, e quindi programmare a priori, è il
passaggio alla nuova qualità, il punto del nodo, che non può non essere
sperimentale, essendo indeducibile per via logica. La mente, in quanto è
“disarticolata”, può seguire qualsiasi procedura nel tentativo di capire la realtà;
lo stesso non può fare la macchina, essendo “articolata” secondo programmi
vincolanti.
In tempi recenti si sta facendo strada tra i logici, che pure hanno in
spregio il principio di contraddizione, l'idea che la logica formale non possa
avere una funzione normativa nei confronti delle scienze, essendo ormai
considerata da molti come un sapere tra saperi, con un suo contenuto, una
sua particolarità (21).
Alcuni logici si rendono quindi conto che la contraddizione non è
preventivamente da escludersi, e cercano in vari modi di allargare le maglie
della loro scienza per darle un posto, fondando logiche temporali o
paraconsistenti. Ma prima di ciò dovranno chiarire che la difficoltà non risiede
solo nell'inglobare il non-A nelle procedure inferenziali, ma che anche la
stessa A si costituisce in molteplici modi in rapporto ad altre A (esser per
altro), in rapporto alla propria quantità (discreto-continuo), alla quantità delle
altre A (unità-pluralità), a se stessa (essenza), a tutte le altre A (individualeuniversale).
La logica antica è nata, tra i tanti motivi, con l'intento di studiare una
procedura coerente, che potesse evitare i paradossi che si andavano via via
scoprendo e che sconvolgevano le menti lineari dei logici. Vennero
considerati come escrescenze maligne del pensiero e della lingua comune,
da espungere in un sistema dimostrativo coerente (22). Ancora questo è lo
spirito con cui la logica formale moderna pretende di trattare la
contraddizione, riducendola ad un perverso uso delle parole. È probabile
invece che molti dei paradossi antichi si risolvano non già eliminandoli con
accorgimenti verbali, atti a modificarne il senso, ma con schemi della logica
dialettica, sia nell'ambito della quantità che della qualità. Si pensi, ad esempio
ai paradossi del calvo e del mucchio (23).
21 - Dalla Chiara Scabia, cit., ma anche D. Marconi in La formalizzazione della dialettica, RosembergSellier, Torino 1979, p. 16-7).
22 - Hegel nella Logica a pagina 491 (IV, S. 58) scriveva che “La contraddizione vale... come una
accidentalità, quasi una anomalia e un transitorio parossismo morboso (Krankheisparoxismus)”, e a
pagina 494 (IV, S. 61) replicava “L’abituale Horror che dinanzi alla contraddizione prova il pensiero
rappresentativo (vorstellende Denken)”.
23 - Logica, p. 375 (III, S. 345), ove Hegel, dopo avere illustrato i due paradossi, concludeva “Così si
leva solo un capello o un crine, un solo granello...Ma alla fine (zuletzt) viene fuori il mutamento
qualitativo (qualitative veränderung), che cioè la testa è calva”.
L. S. Rogowski, in La logica direzionale e la tesi hegeliana della contraddittorietà del mutamento, sta in
La formalizzazione della dialettica, a cura di D. Marconi, cit., ha tentato di formalizzare la logica
dialettica, anche se nutro qualche dubbio sulla sua reale fattibilità, essendo questa una logica non
“lineare”. Non è possibile inglobare la logica dialettica nella logica formale o viceversa; è doveroso
invece assegnare a ciascuna il suo ruolo, in un sistema che comprenda entrambe con le rispettive
peculiarità.
9