CENTRO SERVIZI CULTURALI S.CHIARA DI TRENTO STAGIONE LIRICA 2006/2007 mort LA BOHÈME amo ur SCENE LIRICHE IN QUATTRO QUADRI sul libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal romanzo Scène de la vie de Bohème di Henri Murger musica di GIACOMO PUCCINI 2007 sabato 27 gennaio | ore 20.30 lunedì 29 gennaio | ore 20.30 Teatro Sociale, Trento NUOVA PRODUZIONE DEL CENTRO SERVIZI CULTURALI SANTA CHIARA DI TRENTO ALLESTIMENTO DEL LUGLIO MUSICALE TRAPANESE LA BOHÈME SCENE LIRICHE IN QUATTRO QUADRI Editore Casa Ricordi, Milano sul libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal romanzo Scène de la vie de Bohème di Henri Murger Musica di GIACOMO PUCCINI L'opera avrà due intervalli, dopo il II° e dopo il III° quadro Mimì Rodolfo, poeta Marcello, pittore Musetta Colline, filosofo Schaunard, musicista Benoit, il padrone di casa e Alcindoro, consigliere di stato Parpignol Sergente dei Doganieri Doganiere Franco Federici Marco Cavagnis Guido Trebo Giuseppe Ostini Maestro concertatore e direttore Regia Giampaolo Bisanti Dino Gentili Scene Luci Damiano Pastoressa Marco Comuzzi Movimenti coreografici Anna Redi Maestro del Coro ORCHESTRA FILARMONIA VENETA “GIAN FRANCESCO MALIPIERO” CORO DEL TEATRO SOCIALE DI TRENTO Luigi Azzolini Direttore CORO VOCI BIANCHE C. ECCHER Chiara Biondani Susanna Branchini Giancarlo Monsalve Simone Del Savio Paola Antonucci Francesco Palmieri Mattia Nicolini Maestri Collaboratori Direttore di scena Assistente alla regia Maestro alle luci Maestro ai sovratitoli Capo sarta Truccatrici Parrucchiera Aiuto sarta Costumi Calzature Parrucche Foto Eddi De Nadai, Federico Scarfì, Valeria Vitaterna Lev Pugliese Ermisenda Soy Bejar Anna Maria Nardelli Francesca Cereghini Stefania Casagranda Lucia Santorsola, Elinor Alm Anderle Marisa Castellin Virginia Callegari Sartoria Teatrale Arrigo, Milano Calzature D’Epoca S.r.l., Milano Audello Torino Monique (backstage ed esecuzione in forma di concerto) Figuranti Claudio Aldrighettoni Lucys Battistella Vittorio Caratozzolo Luca Giacomelli Valeria Grasso Sara Picone Daniela Lazzizzera Francesco Mattedi Maurizio Orlando Roberto Sabino Palumbieri Mauro Linardi Pier Paolo Principe Maurizio Raffaelli Valentina Spagni Roberto Tubaro Tullio Garbari Centro Servizi Culturali Santa Chiara Ufficio Stampa Direttore Tecnico Segreteria Organizzativa Assistente di produzione Stagista Katia Cont Viviana Bertolini Marco Carletti Marina Ambrosi Anna Ferro Cristina Gadotti Servizi tecnici, organizzativi ed amministrativi Centro Servizi Culturali Santa Chiara Si ringrazia Fabio Recarli, titolare del Ristorante Orso Grigio di Trento per il gentile prestito della Cassa del Caffè Momus Consulente artistico e produzione Alfonso Malaguti LA NOVITÀ DELLA BOHÈME Dopo il successo di Manon Lescaut, che aveva fatto di Giacomo Puccini non soltanto uno dei musicisti italiani di maggior prestigio ma un vero e proprio “personaggio”, la nascita dell'opera La Bohème dà una esemplare documentazione di quale fosse ormai la consapevolezza che il maestro lucchese aveva dei propri mezzi espressivi: lui così incerto e nevrotico, nella vita privata; lui così contraddittorio nei suoi sbalzi d'umore, passando dalla più cupa tristezza alle manifestazioni esuberanti, e a volte perfino volgari, di un'allegria provinciale e ancora goliardica, di fronte ai suoi librettisti non ha invece alcuna esitazione, e sotto questo aspetto ricorda perfino l'incontentabilità di Verdi e i suoi frequenti travagli per l'individuazione dei nodi drammatici più importanti delle sue opere. Quando Puccini abbia cominciato a pensare ad un lavoro tratto da La vie de bohème di Henri Murger non si sa con esattezza: ci fu nel marzo del 1893 una polemica fra lui e Leoncavallo sulla priorità nella scelta di questo soggetto; lo “scandalo” fu registrato dai giornali più importanti, e non c'è dubbio che lasciò qualche ombra sulla correttezza di Puccini (al quale lo stesso Leoncavallo aveva parlato di un suo libretto tratto da Murger già un anno prima) e dell'editore Ricordi, ossessionato dall'idea di approfittare del successo di Manon Lescaut e di danneggiare un concorrente come Leoncavallo, che forse credeva pericoloso dopo il successo dei Pagliacci. Di fatto Puccini sentì subito i personaggi di Murger con grande chiarezza di prospettive teatrali,forse ravvisando nei bohémiens e nelle loro vicende qualcosa di autobiografico: lavorò con grande lena, nella sua casa di Torre del Lago, pur rammaricandosi di continuo della lentezza con cui Giacosa gli faceva pervenire i versi del libretto; e all'inizio fu più volte sul punto di abbandonare l'impresa, con i suoi consueti scarti d'umore, subito raddrizzati dall'autorevolezza e dalla capacità diplomatica di Giulio Ricordi, sempre più deciso a non cedere, soprattutto dopo la polemica con Leoncavallo, alla sensibilità morbosa del suo protetto. Tutto il 1893 e il 1895 furono occupati nella composizione, fino a quel 10 dicembre in cui Puccini potè scrivere alla fine della partitura: “a mezzanotte, Torre del Lago”. Che nel frattempo fosse nato un capolavoro fu un'impressione dello stesso Puccini: già nel settembre 1891 troviamo, in una sua lettera all'editore, che egli considera “bellissimo” l'ultimo atto; e Ricordi, che era musicista e quindi in grado di leggere da sé le pagine di partitura che Puccini gli inviava, era altrettanto convinto che la nuova opera avrebbe costituito un capitolo ancor più importante e definitivo della stessa fortunatissima Manon Lescaut. Tuttavia, quando La Bohème fu rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino, sotto la direzione di Arturo Toscanini, la sera del 1° febbraio 1896, l'atteggiamento della critica, compresi alcuni musicisti di indubbia preparazione culturale come Arrigo Boito, fu tutt'altro che positivo, anche se non mancarono alcune recensioni illuminate e piene di buonsenso, alcune delle quali molto acute nel sottolineare la novità del linguaggio pucciniano proprio al confronto con la precedente Manon Lescaut. Lo stesso Puccini, del resto, aveva già alcuni mesi prima intuito che sarebbe stato accusato di aver cambiato strada, e per questo si era detto contrario, quasi per superstizione, ad una prima della Bohème a Torino, nel teatro che aveva visto lo strepitoso successo di Manon Lescaut. Ma Ricordi aveva ancora una volta tenuto duro, convinto com'era che “questa bellissima Bohème” fosse, se non proprio sua “figlia”, “almeno un tantino figlioccia”, dopo i numerosi interventi ai quali era stato costretto per metter pace fra Puccini e i suoi collaboratori; e il risultato era stato appunto un capolavoro in cui si rispecchiavano gli elementi più caratteristici e contradditori della personalità del maestro lucchese. Perché Ricordi, in fondo, aveva intuito che Puccini avrebbe potuto trovare nel dramma di Murger quel tanto di autobiografico che era pur sempre necessario per mettere in moto la sua sensibilità di musicista, malato di malinconia e di solitudine, al di là delle sue rumorose compagnie, dei suoi amori di bassa lega e della sua superbia di toscano, che poi nascondeva, di fatto, una morbosa vulnerabilità e un profondo senso di insicurezza. In sostanza, dunque, Puccini aveva trovato nei bozzetti di Murger i molti “io” del suo temperamento di uomo e di artista e la perfezione della Bohème nasce non soltanto dalla originalità e dalla bravura del suo raffinato e trasparente discorso orchestrale, ma dalla costante frequenza di un impeto sentimentale che si realizza al di fuori di un vero e proprio filo drammatico, in una coesione che è del tutto musicale. Lo stesso amore di Mimí e di Rodolfo è come raccontato dagli “altri”, più che esser seguito, nella sua dinamica interna, dai personaggi stessi in prima persona; e la musica contribuisce, soprattutto a contatto con la figura di Mimí, ad allontanarci dal gusto fra sentimentale e scandalistico che sorregge i personaggi del dramma francese, dove le donne sono tutte più o meno di discutibile moralità e gli uomini appaiono spesso degli stravaganti e dei profittatori. Invece, quel che è evidente nella partitura della Bohème presa nel suo complesso è – come ha scritto Mosco Carner – “un audace esperimento di tecnica scenica impressionistica”: c'è il riso ed il pianto, la delicatezza e la volgarità, certo; ma tutto ciò può esser ricondotto ad uno stato d'animo fondamentale, che è la inquieta e malinconica solitudine in cui i personaggi assumono una nuova tornitura e tendono ad una idealizzazione quasi del tutto assente in Murger. E il merito di Illica e Giacosa fu quello di aver fornito al musicista non soltanto un testo ricco di situazioni “teatrabili”, sia pure con qualche tradimento dello spirito originario del dramma, ma di averlo prefigurato proprio in direzione di quell'“impressionismo” in cui Puccini poteva proseguire, ormai con perfetta sicurezza linguistica, le tendenze “sinfonico descrittive” (come le chiamava), in cui si sentiva versato fin dalle sue prime prove di musicista. Ma è soprattutto Mimí, derivata dalla fusione e dalla sovrapposizione di diverse donne della Via de bohème (che è poi quasi una galleria di ritratti di donne realmente vissute nella Parigi dei primi dell'Ottocento), che accoglie gli umori più profondi della sua sensibilità, tendendo a trasformarsi da amante maliziosa in una ragazza innocente. È sintomatico, in proposito, che il musicista, ancora due anni dopo la prima rappresentazione dell'opera al Regio di Torino, abbia continuato a pensare ad una Mimí perfino “bambina”: difatti in una lettera da Parigi del 1898, parlando del soprano Guirodon, che interpretò nella prima edizione francese, si compiace che faccia “una Mimí bambina”, “forse troppo ingenua e drammatica – scrive – ma credo che questa nuova incarnazione non sia male”. Rivelando così quasi il proseguimento, oltre all'opera d'arte, del disegno di idealizzazione che aveva guidato la nascita di questa sua perfetta eroina. Si può quindi capire l'iniziale disorientamento di una parte anche autorevole della critica di fronte alla Bohème, proprio per la sua intonazione più vibratile, più inquieta e più “moderna” della pur genialissima Manon Lescaut, restata in qualche modo ancora nei binari della tradizione, che si riflette anche nella diversa e discontinua stesura compositiva. Il giudizio di Carlo Bersezio sulla “Stampa”, rimasto famoso come una delle più clamorose topiche della storia della critica musicale, è a suo modo il riconoscimento della novità sostanziale che La Bohème porta nel processo stilistico di Puccini. “La Bohème – scrisse – come non lascia grande impressione nell'animo degli uditori, non lascerà grande traccia nella storia del nostro teatro lirico, e sarà bene, se l'autore, considerandola come l'errore di un momento, proseguirà la strada buona e si persuaderà che questo è stato un breve traviamento dal cammino dell'arte”. La strada buona alla quale allude il Bersezio è, evidentemente, quella di Manon Lescaut. Il pubblico di fine Ottocento, d'altra parte, se ebbe qualche perplessità proprio di fronte ad alcune pagine più “nuove” (come quelle di Benoit nel primo atto, e ancor più nello scintillante fiotto di invenzione musicale con cui si entra, quasi guidati per mano, nel Quartiere Latino e, dopo, nel freddo angoscioso e pungente del terzo quadro, quello delle famose “quinte scoperte”) trovò in alcuni pezzi lirici, diventati giustamente celeberrimi, una sorta di filo di Arianna con cui illudersi che nulla fosse cambiato, di fatto, negli appuntamenti più consueti del teatro d'opera. “Mi chiamano Mimí”, “Che gelida manina” e altri brani apparentemente “chiusi”, come “Sono andati” dell'ultimo quadro (certo tra le pagine musicalmente più intense di cui la storia del teatro musicale possa vantarsi) assicurarono alla Bohème un successo internazionale, tanto più intenso quanto più alto era il livello musicale degli ascoltatori; e l'epistolario pucciniano dimostra quanto il maestro tenesse, per questo, alle esecuzioni di fronte ai pubblici di Vienna e di Parigi, quasi avesse intuito che soprattutto La Bohème era la parola più originale e più alta della musica italiana dopo Verdi, in un momento particolarmente cruciale nella storia della musica europea, dopo l'emozionante novità dell'Otello (1887), e dopo la Cavalleria Rusticana (1890), Pagliacci (1891) e Falstaff (1893). Puccini aveva dovuto affrontare con La Bohème, più o meno inconsapevolmente, la presenza di così possessivi colleghi e metter a dura prova le sue scelte linguistiche. Ma è proprio in questa cruciale stagione che Puccini evitò il pericolo di esser wagneriano, di imitare il virtuosismo straussiano, di farsi traduttore della sensibilità musicale francese: la sua grandezza fu di aver capito, a differenza di altri suoi colleghi contemporanei, che l'esser operista significava ormai aver la consapevolezza della misura diversa dei personaggi da inventare in musica. Mimí, per questo, assunse il valore di simbolo di un'ultima porzione di umanità, ancora disponibile per la realizzazione di un istintivo desiderio di bellezza, balsamo e consolazione ideale delle più consuete inquietudini; e sulla bellezza esangue di questa fioraia malata di tisi volle intessere una sorta di favola quotidiana in cui tutti i personaggi – come notò con disappunto il celebre Hanslick – “sembra che parlino invece di cantare”. Ma è però in questa immediatezza, dove si rispecchiano i misteriosi turbamenti suscitati proprio dalle situazioni più banali, che Puccini realizzò tutto se stesso, con una perfezione che sa insieme di scaltrezza artigianale e di limpida forza poetica. Il senso di tristezza e di malattia che prende tutti accanto al letto di Mimí morente ha davvero il significato di qualcosa di “ultimo” e insieme di universale; di un universale “di tutti i giorni”, con i crucci e le nascoste tristezze di una larga porzione dell'umanità. E sembra davvero che Mimí, arrendendosi silenziosamente alla morte, annunci la conclusione di un ciclo: dopo di che anche gli eroi più umili avrebbero trovato, nelle loro ascendenze verdiane, la via della ribellione e le crude sembianze che un pittore come Lorenzo Viani aveva anticipato proprio in quegli anni nei suoi disegni e nelle sue pitture. Ma questi nuovi eroi Puccini non fece in tempo conoscerli, e forse non l'avrebbero nemmeno voluto:d'ora in poi, per ritrovare la pienezza poetica che caratterizza ogni più minuto particolare della Bohème, avrebbe dovuto in qualche modo rifarsi sempre al clima quasi autobiografico che gli era stato suggerito da Mimí e dai suoi compagni. Leonardo Pinzauti […] più che mai viva rimane quella Bohème che delle opere di Puccini ritenga possa dirsi la più perfetta, la più schiettamente, la più perfettamente pucciniana; pur se debba ammettersi che nelle opere composte successivamente possano trovarsi pagine o interi episodi di superiore bellezza. Ildebrando Pizzetti (dal discorso commemorativo tenuto al teatro San Carlo di Napoli, 6 gennaio 1950) Per la prima volta con La Bohème il melodramma post-verdiano non attinse al repertorio scenico corrente (il Rinascimento, la storia per illustrazioni, il verismo popolare) e per un nuovo mondo poetico inventò un idioma. In quello scorcio di secolo nella cultura italiana non accadde quasi nulla di altrettanto importante (o, che è quasi lo stesso, non accadde quasi nulla che fosse significativo per la cultura europea). Se questa forma sottomessa e cauta di realismo nostrano, tutta intrisa delle ragioni del cuore, ha un posto nel mondo, questo si deve a Bohème. Franco Serpa in Guida all'opera, Mondadori, Milano 1971, II, pp. 462-7 In Bohème, invece, il rapporto fra protagonisti ed ambiente si presenta in modo assolutamente inedito: al limite, si direbbe che i rapporti si sono invertiti e che a porsi in primo piano sia lo “scenario”, del quale i personaggi sono emanazione, eco drammatica. Basti osservare che La Bohème è l'unica opera di Puccini il cui titolo si riferisce non ad un personaggio, ma a tutto un clima, a una stagione della vita. […] In questo dunque si palesava la nuovissima cifra poetica e teatrale della commedia lirica di Puccini: nel parziale rifiuto del protagonismo romantico, in favore di una coralità - in senso psicologico, umanistico, beninteso, non strettamente musicale -, da intendersi come capacità di aderire e fondere in un respiro poetico unitario un mondo tanto modesto quanto variegato, coinvolgente personaggi cose ed ambienti. Dimensione corale che solo più tardi Puccini tornerà ad attingere nella Fanciulla del West, con il dialogo – su tutto preminente – fra il mondo dei minatori e Minnie. Cesare Orselli “Bohème, o della Scapigliatura 'borghese'”, in Stagione Lirica 1972/73, Teatro Regio, Torino, pp. 79-80 [dal Programma di sala dell'Autunno Musicale Trevigiano e dalla Silloge critica su Giacomo Puccini e le sue opere, 1974 –pubblicazioni edite dall'Ente Teatro Comunale di Treviso, in occasione della rappresentazione dell'opera omnia di Puccini, effettuata dal Teatro Comunale di Treviso, nel 50.mo anniversario della morte del Maestro] «Ecco la Tosca trasformata in jazz, La voce del domani, la sola conosciuta. Stravolgere, ridurre, esautorare; adattamenti per le orecchie nuove. Tu l'avevi giurato, ti ricordi? Laudator non sarò temporis actis. Come si fa? Puccini dal suo lago Celeste mi scongiura di resistere.» Maria Luisa Spaziani, Ecco la Tosca da «Poesie dalla mano sinistra» PUCCINI E LA SUA ORIGINALITÀ MUSICALE La Bohéme - afferma Giulio Confalonieri - “è un capolavoro immortale. (...) È (...), per davvero, una creazione. In quanto, della creazione, ha il carattere sorprendente di accennare sempre a un vuoto che la precede e di appagarci con l'essenza che adesso riveste”1. È un'opera originale che trova la sua forza “nella tessitura musicale” ché “la musica ha saputo creare questo tono nuovo, questo serrato incalzante sviluppo delle situazioni drammatiche e dell'azione, questa perfetta coerenza di discorso all'interno di ciascuno dei quattro quadri”2. Puccini ha assimilato mirabilmente la tecnica del Verdi estremo, quello del Falstaff. Il primo quadro dell'opera è una straordinaria scena d'insieme che risente, appunto, di quel nuovo modo incalzante ed originalissimo di impostare l'opera comica (e ci aveva già pensato più di cento anni prima Mozart) ovvero quella drammatica (e ci aveva già pensato Wagner) grazie ad una tecnica compositiva che ottiene una indissolubile unità interna all'atto. Vorrei azzardare la seguente interpretazione. Puccini innova fortemente la tecnica compositiva dell'opera. Gli esempi più emblematici sono La Bohéme, Il Tabarro, Gianni Schicchi. Mozart, particolarmente nella trilogia italiana, anticipa la concezione unitaria del Ton-Wort-Drama di Wagner. Verdi, con Otello e Falstaff, riscrive l'opera drammatica e l'opera comica lanciando, nella sfida a Wagner, un ponte verso il futuro che - attraverso la mediazione mozartiana - sa cogliere Puccini nella Bohéme prima e nello Schicchi poi. Questo lo schema evolutivo: Trilogia mozartiana (1786-89); Meistersinger von Nürnberg (1868) e Ring des Nibelungen (1853-1874) wagneriani; Otello (1887), Falstaff (1893) verdiani; La Bohéme (1896), Il Tabarro (1916), Gianni Schicchi (1918). È un arco di tempo di 132 anni. L'evoluzione è profonda. Da un lato le Nozze, i Meistersinger, Falstaff, Schicchi; dall'altro Don Giovanni, il Ring, Otello, Bohéme/Tabarro. La tecnica compositiva raggiunge in ognuno dei quattro musicisti vette incontaminate e mai più conquistate sia nell'unitarietà stilistica e musicale: le Nozze sono una perfezione di testo, musica e drammaturgia così come il Ring, Otello o Falstaff, Bohéme. Ci troviamo di fronte ad un pentagono poetico–musicale–drammaturgico che rimane ineguagliabile; sia nella concezione drammaturgica che raggiunge sempre un equilibrio perfetto, apollineo. Con queste opere si apre un portale sul futuro dell'umanità indipendentemente dal soggetto trattato (comico o drammatico, classico o contemporaneo) giacché è la Musikanschauung, idest la visione musicale, che ci trasporta in un Weltanschauung che abbandona l'interpretazione anfibologica della realtà per approdare, comunque, ad una catarsi della vita attraverso il perdono universale mo- zartiano di ascendenza massonica ovvero attraverso l'estremo sacrificio delle pure eroine verdiane, wagneriane e pucciniane di ascendenza antigonea. La donna pucciniana è sempre una persona che, pur soccombente (Manon, Mimì, Butterfly, Tosca, Minnie, Turandot), vince la sfida della vita affermando la sua personalità incontaminata dalle piccolezze dell'uomo. È la riproposta quasi ciclica di una moderna Antigone che ribadisce il suo essere donna e il suo ribellarsi alle convenzioni (così è Susanna, così è Desdemona, così è Brunilde, così è Mimì), non importa se incardinata nella ribellione sociale, ovvero umana ovvero divina. Io donna del popolo, io donna nobile, io donna degli dei, io donna povera e malata rivendico la mia diversità, la mia indipendenza, il rifiuto della legge che mi impone di fare così anziché colà. La mia regola è di non accettare le regole che si è dato l'uomo perchè sono stata esclusa nella loro scelta. La mia regola è la non regola. La mia regola è il rifiuto delle regole. È una visione che non ammette compromessi, è una visione pura che affonda le sue radici nell'Antigone sofoclea, che, diventando costantemente un'Antigone moderna, ha il suo ubi consistam nella disubbidienza. La domanda che sorge spontanea è per quale motivo da Sofocle a Puccini “per delineare l'antagonismo radicale alla pretesa di totalità del politico (...) [è stata] scelt[a] una figura di donna”3. La donna è stata ed è schiavizzata dall'uomo. Il mito femminile assurge a straordinaria ribellione con la disubbidienza di Antigone. Ma da Antigone torniamo a Mimì e ai suoi creatori poetici e musicali. Questo ci permette di ritornare all'iniziale paragone dapontiano-mozartiano. Le Nozze sono il prodromo di Bohéme. Valga la intuizione di Julian Budden; “la densità dello stile di Puccini (...) [è in] ogni frase (...) al suo posto, anche quando assume materiale estraneo, come succede nella ritirata del secondo atto.(...). Nella Bohéme [, un'opera le cui unità sono atti interi, il sistema] viene affinato e plasmato per adattarlo ad ogni piega del dramma e ad ogni cambiamento sentimentale dei personaggi. C'era un solo precedente, nella storia dell'opera italiana, in cui l'artificiosità dei mezzi si avvertiva così poco: Le Nozze di Figaro” (grass.m.)4. Ed ancora, per tornare all'inizio. Falstaff ispira la scrittura di Bohéme. Puccini ha una capacità unica che lo pone al centro dell'attenzione, in grado “di far coincidere la struttura drammatica di un atto con quella musicale”5. Egli è l'unico, fra i musicisti suoi contemporanei italiani, che segue l'esempio di Wagner: il motivo è l'elemento portante della sua narrazione, anche se il “motivo (...) non viene mai variato né sviluppato alla maniera di Wagner”6. Egli ha saputo sempre dominare le leggi del teatro musicale e la Bohéme ne rappresenta un esempio straordinario. “Neppure Wagner è riuscito meglio di lui a integrare parole, suono e gesto in un'azione che si evolve”7. Forse è per questo che i due colossi della musica contemporanea del 900, Strawinskij e Schönberg, erano pieni di ammirazione per Puccini. Alfonso Malaguti Gennaio 2007 1 Cfr. G. Confalonieri, “Il significato di Bohéme” in Musica d'Oggi, Giugno 1958, pag. 358. R. Leibowitz, Storia dell'opera, Garzanti, Milano, 1966, pag. 356. R. Rossanda, Antigone ricorrente in Sofocle, Antigone, Feltrinelli, Milano, 1987, pag. 14. 4 J. Budden, Puccini, Carocci, Roma, 2005, pag. 197. 5 Ivi, pp. 492-493. 6 Ivi, pag. 493. 7 Ivi, pag. 494. 2 3 MIMÌ FRA GIOIA E DOLORE note del direttore d’orchestra Opera rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel 1896, in quattro atti su libretto di L.Illica e G.Giacosa, musica di Giacomo Puccini. Il libretto necessitò per la propria stesura un paio d'anni, mentre la musica fu realizzata in circa otto mesi, periodo considerevolmente più breve. Furono necessarie diverse e reiterate rielaborazioni del testo prima che esso potesse soddisfare Puccini. La Bohème, insieme a Traviata e Barbiere di Siviglia, è probabilmente una delle opere più eseguite nei teatri di tutto il mondo; è un capolavoro indiscusso che rappresenta intimamente e coerentemente una visione personale, rielaborata, di svariati stilemi, ispirazioni, canoni artistici (tra cui il romanticismo tedesco e l'opera lyrique francese). Queste componenti, assemblate e riportate verso un solo coerente pensiero, supervisionato dal perfetto e poderoso artigianato pucciniano, fanno di questa musica una novità assoluta per l'epoca storica nella quale veniva elaborata. La storia si svolge nella Parigi del 1830, ispirata ad un romanzo di H.Murger, francese, Scene de la vie de Bohéme, incentrata sulla vita di un piccolo gruppo di giovani artisti al quartiere latino i quali devono quotidianamente far fronte alle più elementari necessità tra problemi economici, sociali e di salute. Senza per questo però perdere la freschezza e la gioia della loro giovane età. La descrizione peculiare della Parigi di quel tempo-nota agli intellettuali autoctoni e contemporaneicoadiuva la lettura della narrazione avvalendosi di minuziosi particolari. Ciò favorì il successo senza riserve dell'opera. Possiamo dunque affermare che Puccini, a differenza di altri autori del melodramma italiano, dipinge una tela multicolore, descrivendo istante per istante le ambientazioni, gli stati d'animo, i sentimenti di sofferenza placati sovente dalla felicità ingenua dei giovani artisti. In poche parole, fa il regista di se stesso: i “colori” universalmente noti della Bohème, le sonorità talvolta incisive talvolta vaporose, l'impianto armonico perfetto, ampiamente descrittivo e raffinato, e la componente lirica intensamente melodica, contribuiscono a fare di questa partitura un'antologia di sentimenti veri, forti, radicati che sfidano il freddo, la fame, le malattie, l'indifferenza della società. Riconosciamo soprattutto nel primo e nel quarto atto di Bohème, a livello musicale e formale, una netta divisione in due dal punto di vista drammaturgico. Mentre l'opera si apre con una prevalenza ludica della scena, tutta rivolta a palesare le forme di burloneria dei giovani, per poi lasciare il posto al pathos dell'innamoramento a prima vista di Rodolfo e Mimì, il secondo e terzo atto portano lo spettatore, utilizzando mezzi di ispirazione direi cinematografica, quasi futuristici, a vivere in prima persona il dramma dell'imminente morte di Mimì. Il quarto atto, sull'onda del primo, è anch'esso diviso nettamente in due parti. In questa circostanza però ciò che separa a livello narrativo, musicale ed agogico la prima parte (i sospiri di Rodolfo e Marcello per le loro amate, i giochi ed i balli poi insieme a Schaunard e Colline) dalla seconda (l'arrivo in tutta fretta di Musetta che annuncia un pericoloso malore di Mimì anch'ella ricomparsa improvvisamente in scena) è solo un accordo forte, una strappata di tutti gli strumenti dell'orchestra che squarcia il cielo. Un accordo di mi minore che appare senza preavviso da una situazione armonica completamente diversa ed incompatibile. La massima espressione di pathos e sentimento si manifesta con l'aria “Sono andati, fingevo di dormire”, pensiero che Mimì rivolge a Rodolfo, lasciati soli dagli altri. Qui sorge spontanea una contrapposizione di idee. Considerato che Mimì non desidera palesare il suo stato di sofferenza sino alla fine e che ha voluto fingere di dormire per rimanere sola con Rodolfo, allora ci troviamo in mezzo a due correnti di pensiero: coloro che interpretano questa pagina con un tactus piuttosto mosso per evidenziare la componente ludica dell'atteggiamento di Mimì, e coloro che intravedono solo morte e dolore per cui esprimono il pensiero mediante un tempo molto lento e meditativo. Giampaolo Maria Bisanti LA BOHEME E L'INFANZIA PERDUTA note di regia La Bohème mette in scena un archetipo: la fine dell'infanzia e l'inizio dell'età adulta. Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline all'inizio dell'opera, così come la travolgente Musetta, vivono persi nelle loro fantasie e nei loro giochi, prigionieri della loro voglia di essere eternamente bambini. Poi arriva Mimì. Irrompe come un ciclone portandosi dietro un'onda emotiva fortissima, l'amore. Seguita a ruota da un'altra emozione ancora più forte, la morte. È l'epifania dei sentimenti. Sono loro che fanno implodere lo stile di vita dei bohèmiens scardinando le loro abitudini e trascinandoli al di fuori di loro stessi, in un territorio vasto e sconosciuto, una “no man's land” dove il confronto con l'altro non è più procrastinabile. L'infanzia finisce. E con essa lo stile di vita che la caratterizza. Dopo, nulla sarà come prima. Se all'inizio dell'opera, prima dell'arrivo di Mimì, Rodolfo poteva allegramente bruciare il proprio dramma nella stufa, alla fine, se scriverà ancora una riga, essa sarà talmente radicata nel suo cuore che non riuscirà a sacrificarne nemmeno una sillaba. La palingenesi umana e artistica si è compiuta. Perché la vera arte nasce sempre dal connubio tra amore e morte. Così è la vita, una folgorante avventura d'amore che inizia con la nascita e finisce con la morte. Dino Gentili IL DOPPIO PIANO VISIVO note di scenografia La soffitta. Siamo partiti da lì. Volevamo che fosse aperta sull'esterno, in modo da darci la possibilità di giocare su più piani, come nel cinema. Un doppio piano visivo e concettuale che ci permette di mettere in luce altri significati, giocando d'anticipo col pubblico. Il pubblico sa quello che i protagonisti ancora non sanno. Due storie procedono parallele prima di incontrarsi. E poi il Momus, aperto, disteso, festoso caratterizzato da una scala che ritorna nella Barriera, ma più alta, un po' mistica, preludio del distacco tra Rodolfo e Mimì. Si chiude come si è iniziato, nella soffitta. Un telo copre la vetrata per non ferire gli occhi di Mimì che si è addormentata per sempre. Damiano Pastoressa SINOPSI DELL’OPERA LA BOHÈME GIACOMO PUCCINI La vicenda si svolge nel Quartiere Latino di Parigi, circa nel 1830. QUADRO I Alla Vigilia di Natale, il pittore Marcello e il poeta Rodolfo cercano di tenersi caldo bruciando le pagine dell'ultima opera di Rodolfo in una soffitta nel Quartiere Latino di Parigi. Vengono raggiunti dai loro giovani amici, il filosofo Colline e il musicista Schaunard, che ha portato soldi e cibo. Mentre stanno festeggiando la loro fortuna improvvisa, si sente bussare alla porta: è il loro padrone di casa Benoit, venuto a ritirare l'affitto scaduto. Offrendogli continuamente del vino, gli uomini lo inducono a parlare dei suoi tradimenti per buttarlo poi infine fuori di casa fingendo di indignarsi difronte alla sua infedeltà nei confronti della moglie. Colline, Schaunard e Marcello lasciano la soffitta per dirigersi verso il Café Momus, mentre Rodolfo rimane a casa a scrivere promettendo di raggiungerli a breve. Si ode un lieve colpo alla porta e questa volta l'ospite si rivela essere uno dei vicini, Mimì, una giovane donna, bella, ma debole e pallida. A causa degli spifferi le si è spenta la candela sulle scale ed ora vorrebbe riaccenderla. Rodolfo soddisfa il suo desiderio, ma proprio mentre se ne sta per andare, la ragazza si sente mancare. Dopo che Rodolfo le ha offerto del vino perché si rimetta in forze, Mimì si accorge di aver perso le chiavi di casa e mentre le stanno cercando sulle scale, le loro candele si spengono. Il poeta prende la mano della ragazza e le confida i suoi sogni al chiaro di luna. Da parte sua Mimì gli spiega che lei conduce una vita piuttosto semplice e solitaria ricamando fiori: la ragazza adora la primavera. Nel frattempo Rodolfo trova le chiavi di Mimì, ma se le nasconde in tasca. Da fuori, gli amici di Rodolfo lo chiamano perché lui li raggiunga al Café Momus. Avvertendoli che arriverà presto, Rodolfo chiede loro di occupargli due sedie. Rodolfo e Mimì, che sono molto attratti l'uno dall'altra, lasciano la soffitta per raggiungere gli altri al café. QUADRO II Nel Quartiere Latino c'è gran festa. Rodolfo compra a Mimì un cappello rosa che la ragazza desiderava da molto tempo. Nel frattempo anche Colline si è comprato un cappotto rattoppato. Musetta, l'ex ragazza di Marcello, entra nel café con Alcindoro, un suo anziano ammiratore. Lei è ancora attratta da Marcello, e lui da lei, ma mentre lei canta una canzone sul suo successo con gli uomini con l'intenzione di attirare l'attenzione dell'amato, lui cerca di ignorarla. Musetta fa finta che le scarpe le facciano male e manda Alcindoro a comprarle delle scarpe nuove. Appena Alcindoro esce, Musetta si getta nelle braccia di Marcello. Infine la compagnia se ne va e Musetta dice al cameriere del café che Alcindoro si occuperà del conto. QUADRO III All'alba in un mattino nevoso di febbraio nella periferia di Parigi, distrutta dalla tosse Mimì si avvicina alla taverna dove Marcello e Musetta sono andati a vivere dopo essersi riconciliati. Mimì rivela a Marcello di non poter più rimanere con Rodolfo a causa della sua estenuante gelosia: è meglio che si separino. Improvvisamente si sente la voce di Rodolfo e Mimì si nasconde alla sua vista. Il poeta confida a Marcello di voler chiudere la sua relazione con Mimì dal momento che è una donna volubile e civettuola e anche a causa delle loro frequenti litigate. Subito dopo però Rodolfo crolla e non gli rimane che dire la verità: il poeta ammette di essere in realtà molto preoccupato per la salute di Mimì e crede che la ragazza, restando nella sua fredda soffitta nella miseria più nera, non potrà che peggiorare. A questo punto si sente un colpo di tosse e finalmente Mimì esce dal suo nascondiglio; Rodolfo è sconvolto perché sa che la sua amata ha sentito tutto quello che ha detto. Anche se Mimì lo vuole lasciare, Rodolfo insiste perché restino insieme almeno fino a primavera perché l'inverno sarebbe una stagione troppo triste per stare separati. Nel frattempo Marcello torna alla taverna, dove Musetta sta ridendo e flirtando con un altro uomo. Marcello e Musetta si lasciano con rancore, mentre Rodolfo e Mimì decidono di restare insieme fino a primavera. QUADRO IV Alcuni mesi più tardi, nella soffitta, Marcello e Rodolfo si lamentano della loro solitudine dal momento che entrambi si sono separati dalle loro amanti. Colline e Schaunard arrivano offrendo agli amici un pò di cibo. I quattro bohémiens decidono di volgere la situazione al meglio immaginando e fingendo di trovarsi a un banchetto: danzano per la stanza, ridono e scherzano e alla fine mettono pure in scena un duello. La loro euforia si smorza però velocemente quando Musetta irrompe nella stanza gridando che Mimì è collassata sulle scale chiedendo di vedere Rodolfo: Mimì, pallida e stremata, viene accompagnata al piano superiore e adagiata su un comodo letto. Gli amici non hanno soldi per un dottore o per delle cure e così Musetta si toglie gli orecchini chiedendo a Marcello di pignorarli. Per contribuire alle spese anche Colline decide di vendere il soprabito che ha da poco acquistato. Quando lui e Schaunard lasciano la stanza, Mimì e Rodolfo restano finalmente soli. Abbandonandosi ai ricordi del loro primo incontro e parlando del loro reciproco amore, si promettono di restare insieme per sempre. Poco dopo gli altri amici tornano con un manicotto per riscaldare le mani fredde di Mimì e con la notizia che il dottore arriverà presto per visitare la ragazza. Mimì viene colta da un forte colpo di tosse e mentre Rodolfo si volta per un attimo, Schaunard si accorge che Mimì è morta. Tutti sono consci del fatto, tranne Rodolfo che crede che la ragazza stia riposando e non vuole rassegnarsi al destino. Alla fine, quando anche lui scopre la triste verità, urla il suo nome preso dalla disperazione. CURRICULA VITAE GIAMPAOLO MARIA BISANTI Milanese, nato nel 1972, intraprende giovanissimo gli studi presso il Conservatorio di Musica G. Verdi di Milano in clarinetto, pianoforte, composizione e successivamente in direzione d'orchestra diplomandosi nel 1997 con il massimo dei voti. Parallelamente frequenta il Corso Triennale di Alto Perfezionamento in direzione d'orchestra presso l'Accademia Musicale Pescarese diplomandosi nel 1995 sempre con il massimo dei voti. E' vincitore dello stage per direttori d'orchestra tenuto dal M° Donato Renzetti presso i Pomeriggi Musicali di Milano nel 1998.Nel 1998 e 2001 è docente presso il Conservatorio “G.Verdi” di Milano in Esercitazioni Orchestrali e Direzione d'Orchestra. Dal 1995 è direttore principale dell'Orchestra Mozart di Milano e viene regolarmente ospitato presso le più prestigiose orchestre e festivals internazionali. Ha debuttato 21 titoli di opere liriche e diretto più di 350 concerti sinfonici, collaborando con artisti di chiara fama tra cui K.Ricciarelli, M.Pertusi, T.Fabbricini. Vincitore di numerosi premi internazionali (Mitropoulos-Atene 1998, Franco CapuanaRoma 1999 e Budapest 2002) e nazionali, è iscritto all'Albo d'Oro del Mondo della Musica di Roma, nella Banca Dati Musicale Italiana e Podium del Cidim (quale italiano vincitore di concorsi internazionali), nell'A.I.T. Opera di Ginevra e nel 2001 British and International Music Yearbook di Londra. Da gennaio 2005 e' stato nominato direttore artistico dell'Orchestra Filarmonia Veneta “G.F.Malipiero” di Treviso. E' stato prescelto per far parte nel 2005 GSE Rotary Team che ha visitato la città di Boston ove è stato anche invitato a prendere parte alla Masterclass tenuta dal M° Benjamin Zander presso la Boston Philarmonic Orchestra. Ha recentemente debuttato al Gran Teatro la Fenice di Venezia con l'Orchestra della Fenice. DINO LEONARDO GENTILI Nato a Milano nel 1965, ha conseguito la laurea in Lettere presso l'Università di Milano con 110 e lode. È stato critico teatrale ed attore, per molti anni ha fatto l'assistente alla regia tra cui si ricordano i seguenti spettacoli: “Scena madre” di Arthur Schnitzler regia di Alain Maratrat, con Vittorio Mezzogiorno; “Otello” di W. Shakespeare regia di Gabriele Lavia, con Umberto Orsini e Franco Branciaroli; “Carmen” di G. Bizet, regia di Franco Zeffirelli; “Aida” di G. Verdi regia di Gianfranco De Bosio; “Turandot” di G. Puccini regia di Giuliano Montaldo; “Idomeneo” di Mozart, regia Andrea De Rosa, “Curlew River” di Britten, regia di Andrea De Rosa. Ha curato due regie liriche: La Bohème di Puccini per Trapani e Trento (2006/07) e La Traviata di Giuseppe Verdi al Teatro di Matanzas (Cuba), con coro ed orchestra del Teatro Nazionale dell'Habana. Nel settembre 2007 debutterà nella regia cinematografica con il film “Sono viva” vincitore di un fondo ministeriale per le opere prime. Scritto e diretto con Filippo Gentili. Ha scritto diverse sceneggiature per la Televisione fra cui: Capri; Scuola di Polizia; Incantesimo 7 e 8; Distretto di polizia 2; e per il cinema fra cui: Hotel Meina (2005)scritto con Filippo Gentili regia di Carlo Lizzani; I giorni dell'abbandono (2004) - collaborazione con Filippo Gentili alla sceneggiatura di Roberto Faenza, regia di Roberto Faenza, presentato al Festival di Venezia 2005; Alla luce del sole (2003) collaborazione con Filippo Gentili alla sceneggiatura di Roberto Faenza regia di Roberto Faenza; Sono viva 2004 scritto con Filippo Gentili; Saimir (2002) scritto insieme a Francesco Munzi e Serena Brugnolo regia di Francesco Munzi - menzione speciale opera prima al Festival di Venezia 2004. CURRICULA VITAE DAMIANO PASTORESSA Come tecnico teatrale e capo macchinista prima, e direttore degli allestimenti scenici poi, ha iniziato nel 1975 presso il Teatro Petruzzelli di Bari la sua attività per andare poi al Teatro Politeama di Lecce. In questo periodo ha costruito e realizzato le scene di opere liriche accanto al professor Tito Varisco. Nel 1989 lascia temporaneamente l'attività lirica per lavorare per dieci anni con Gabriele Lavia e la sua compagnia diventando il costruttore e il responsabile degli allestimenti scenici di alcuni memorabili spettacoli tra cui si ricordano: “Zio Vanja”, “Il giardino dei ciliegi”, “Sogno di un uomo ridicolo”, “il padre”. Nel ´95 riprende a collaborare come responsabile degli allestimenti scenici all'attività lirica per il Teatro Comunale di Treviso: memorabili sono stati il “Macbeth”, “Il Flauto Magico”, “Carmen”. Dal 2000 al 2005 lavora per Glauco Mauri e la sua compagnia, sempre come responsabile degli allestimenti: “Re Lear”, “Variazioni enigmistiche”, “Il bugiardo”. È poi impegnato per il Teatro dell'Opera Giocosa di Savona, per il Teatro Eliseo di Roma (lavora con Patroni Griffi né “il Giocatore”), Ente Lirico di Cagliari, il Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno e con il Luglio Musicale Trapanese cui presta la sua attività dal 1987 ininterrottamente. Proprio per il Luglio Musicale Trapanese fa il suo debutto come scenografo né la Bohéme, regia di Dino Gentili, ora ripresa anche al Teatro Sociale di Trento; a Trento ha diretto gli allestimenti scenici di tutte le produzioni liriche dal 2000 ad oggi. Ha lavorato molto anche all'estero: in Brasile, a Montecarlo, in Australia, in Norvegia, in Giappone, in Russia, in Spagna, in Grecia, in Svizzera, in Germania, in Argentina ed Egitto. Ha collaborato con prestigiosi registi e scenografi tra cui: Mauro Bolognini, Glauco Mauri, Gabriele Lavia, Tito Varisco, Giuseppe di Stefano, Virginio Puecher, Giovanni Quaranta, Franco Zeffirelli, Pierluigi Pizzi, Andrea De Rosa, Dino Gentili, Giuseppe Patroni Griffi, Alessandro Camera, Ugo Chiti. Nel 1995 ha ricevuto il “biglietto d’oro” AGIS quale miglior tecnico teatrale italiano. ANNA REDI Regista, danzatrice e attrice. Nel suo percorso ha lavorato con Pippo Delbono, Wim Vandekeybus, Marco Manchisi, Maurizio Bercini di “Le Briciole”, Marco Baliani, Mario Martone, Enzo Moscato, Arturo Cirillo, Alfonso Santagata. Ha vinto il Premio Girulà come migliore giovane attrice napoletana e il Premio Scenario come autrice di Bagarie. Dal 1989 svolge seminari teatrali per comunità di recupero, minori a rischio e per la comunità psichiatrica “La Redancia”. È autrice con Bianca Papafava e Clelia Moretti di Quelle Histoire. È autrice di Le stanze di Penelope (Bologna 2000), Alzati (Savona), Animula (Comune di Napoli e Regione Campania), Sono sfiorite le rose (Seconda Università di Napoli), Nel Mitreo (Seconda Università di Napoli), Pa' (Progetto Petrolio), Lo importante es no caer. MARCO COMUZZI Nel 1984 inizia la sua attività di tecnico luci con la società di Services “illuminotecnica” di Bologna con cui partecipa fino al 1991 alle seguenti attività: allestimenti luci a Festival internazionali di danza: Oriente-Occidente, Abano Danza, Bolzano danza oltre ad importanti allestimenti luci per sfilate di moda (Milano, Firenze, Modena), allestimento luci per Mostre d'arte (Depero al Mart di Rovereto), installazioni luci in spazi cittadini e non con il design luci Paolo Baroni per eventi e feste (capodanno in Piazza maggiore a Bologna, Castel Beseno “Se in Trentino d'estate un castello” Buonconsiglio di Trento). Collabora anche con alcune compagnie teatrali per la progettazione ed esecuzione luci degli spettacoli (Cooperativa Nuova scena di Bologna, Roberto Castello). Opere liriche: progettazione ed esecuzione luci del Barbiere di Siviglia per la regia di Maurizio Nichetti, progettazione ed esecuzione luci per l'Italiana in Algeri per la regia di Ugo Chiti, progettazione ed esecuzione per la Cenerentola per la regia di Tonino Conte e scene di Luzzati; collaborazione all'allestimento luci della trilogia di Mozart per la regia di Mario Martone oltre alla collaborazione all'opera “Curlew River “ per la regia di Andrea De Rosa. CURRICULA VITAE SUSANNA BRANCHINI soprano Nata a Roma, si diploma in canto nel 1996 con il massimo dei voti al Conservatorio “F. Morlacchi” di Perugia. Contemporaneamente segue il corso di musicologia del Prof. Petrobelli all'Università “La Sapienza” di Roma e prende parte a diversi stages e corsi di perfezionamento tenuti da personalità dell'ambiente musicale quali Mietta Sighele, Veriano Luchetti, A. Kraus, E. Muller. Da allora si è esibita in numerosi concerti e recitals in tutta Italia, estendendo il suo repertorio dal melodramma italiano e francese, alla musica da camera italiana, tedesca (lieder), francese (melodies), includendo anche autori russi e americani. Ha preso parte ad alcuni festival internazionali (Copenhagen, Toulouse, Skopje) ed è stata protagonista di eventi inaugurali e di eventi commemorativi e di prime assolute di lavori contemporanei (Sabrina, Funeral Elegy di F. Bastianini). Vincitrice del Concorso Lirico Internazionale “Città di Roma” nel 1998, debutta al Teatro Brancaccio di Roma nel ruolo di Micaela nella Carmen di Bizet. È stata finalista al Concorso As.Li.Co e finalista al XXXIII Concours International de Chant de “la Ville de Toulouse” dove, oltre a ricevere elogi e preziosi consigli dal soprano Leyla Gencer – membro della giuria –, si è esibita nel concerto finale tenutosi nel Thèatre du Capitole con l'Orchestre National du Capitole sotto la direzione di C. Diederich. Ha cantato in diversi teatri italiani:Grande di Brescia, Donizetti di Bergamo, Sociale di Como, Ponchielli di Cremona, Fraschini di Pavia. Ha inciso il ruolo di Natalia nell'opera Zazà di Leoncavallo edita dalla casa discografica Bongiovanni di Bologna. GIANCARLO MONSALVE tenore Nato in Cile, ha iniziato i suoi studi di canto al Conservatorio di Viňa del Mar con il soprano Nora Lopez, perfezionandosi con Mario Barrientos; ha proseguito sotto la guida di Carlos Beltrami al Teatro Municipal di Santiago del Cile, poi in Italia con Mirella Freni e Massimo Morelli. Attualmente si sta perfezionando con Dano Raffanti. Ha iniziato la sua carriera cantando sui palcoscenici più importanti del Cile partecipando inoltre a una serie di concerti, realizzati nel sud del Cile per conto dell'ambasciata italiana in Cile . Trasferitosi in Italia, ha proseguito cantando a Verona con l'orchestra “Accademia delle Muse”, diretta dal maestro Candiotto e ha preso parte ad alcuni concerti per “The Caledonian Academy of Tuscany”. Per il Festival pucciniano di Lucca ha cantato al Teatro Romano di Sharm El Sheikh in Egitto e durante la scorsa stagione ha debuttato Pinkerton in Madama Butterfly a Lucca. Ha recentemente cantato Rodolfo in Bohème al Luglio Musicale Trapanese. Tra gli impegni futuri si segnala ancora Madama Butterfly, poi La Traviata e Bohème sempre per il “Festival Puccini e la sua Lucca”; nell'ottobre scorso il tenore ha debuttato in Paolo e Francesca al Teatro Comunale di Bologna, mentre sarà di nuovo Rodolfo in Bohème in gennaio a Trento. CURRICULA VITAE SIMONE DEL SAVIO bass-baritone Nato a Susa nel 1980, studia canto privatamente con Valter Carignano e Susy Dardo. Tra il 1996 e il 1998 partecipa a stage internazionali di «Polifophonie vocale en çevènne» tenuti dal M°Maurice Bourbon e nel 2004 consegue il diploma in canto presso il Conservatorio «G. Verdi» di Torino. Nel 2005 vince il Concorso Internazionale «Toti Dal Monte» di Treviso e si aggiudica il secondo premio al Concorso Internazionale «Riccardo Zandonai» di Riva del Garda.È vincitore inoltre del Secondo Concorso Internazionale di Canto Lirico e da Camera «Città di Vercelli», il Concorso «Roero in Musica», il Concorso Internazionale di Canto Lirico e da Camera «Nino Carta» di Moncalieri, la Rassegna Musicale Giovanile «Città di Busalla», il Concorso Internazionale «Johannes Brahms» e la XIV Rassegna Musicale Nazionale «I giovani per i giovani» di Ravenna. Debutta nel 1998 nell'opera Prima la musica e poi le parole di A. Salieri e successivamente è Belcore ne L'Elisir d'Amore. Nel 2002 debutta nel ruolo di Schaunard, di Monterone in Rigoletto e di Ludovico in Otello. L'anno successivo riveste il ruolo del protagonista in Don Pasquale ed è Alidoro in Cenerentola. Nel 2004 è Belcore ne L'Elisir d'Amore al Teatro Alighieri di Ravenna e nei teatri del Circuito Lirico Lombardo, Figaro ne Le Nozze di Figaro in una tournée in Francia. Nel 2005 è Don Profondo ne Il Viaggio a Reims per il Rossini Opera Festival ed è il Dottor Malatesta in Don Pasquale in seguito alla vincita del concorso «Toti Dal Monte». Nella stessa stagione debutta il ruolo di Leporello in Don Giovanni al Teatro Verdi di Pisa e a Prato. Nel 2006 è il Capitano nella Manon Lescaut al Teatro Regio di Torino, Alidoro ne La Cenerentola al Teatro Verdi di Trieste, Guglielmo in Così Fan Tutte per la Saint Paul Chamber Orchestra negli Stati Uniti sotto la direzione del Maestro Roberto Abbado. Debutta al Luglio Musicale Trapanese il ruolo di Marcello ne La Bohème. In Leporello in Don Giovanni allo Stadttheater di Klagenfurt, Marcello ne La Bohème al Teatro Comunale di Bologna e a Trento ed Alfonso nella Lucrezia Borgia al Teatro Regio di Torino. PAOLA ANTONUCCI soprano Originaria di Chieti, si diploma nel 1989 al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro. Perfeziona i suoi studi musicali con i maestri Sesto Bruscantini, Gustav Kuhn, Margareth Baker. Dopo il debutto nel 1990 al Teatro di Città del Messico nel ruolo di Gilda, la sua carriera si volge verso l'interpretazione delle primedonne del Settecento. È ospite abituale di prestigiosi teatri italiani ed esteri. Nel suo vasto repertorio predilige i ruoli rossiniani e mozatiani, ha sostenuto infatti la parte di Rosina del Barbiere di Siviglia in numerosi teatri quali il “Rossini” di Pesaro, l'opera di Monaco, Stoccarda, Francoforte, Helsinki, Parigi, Nantes, e ancora al New National Theater di Tokio e all'Opera di Seul. Altre interpretazioni rossiniane sono: Desdemona nell'Otello al Berlin Schauspiele House, Berenice nell'Occasione fa il ladro e Sofia nel Signor Bruschino al “Rossi” di Macerata, al Narodni Divadlo di Praga, all'Opera di Budapest e al Teatro San Carlo di Napoli. Per quanto riguarda Mozart ha interpretato Despina nel Così fan tutte, Susanna nelle Nozze di Figaro, Ilia nell'Idomeneo , Tamiri nel Re Pastore. Importanti successi anche nei ruoli donizettiani di Adelia, Primadonna, Norina e Adina, nonché in quello pucciniano di Musetta. Dal repertorio del Novecento ha interpretato il ruolo di Donna Lorenza nel Cordovano di Petrassi, Il cappello di paglia di Firenze di N. Rota e Nedda nei Pagliacci di Leoncavallo. Da alcuni anni collabora con il Festival Internazionale dell'Operetta di Trieste, sotto la guida musicale di D. Oren e per la regia di G. Landi. Recentemente ha interpretato la Traviata debuttando nei Teatri di Tokio, Chieti e Jesi. L'artista svolge un'intensa attività discografica; ha infatti registrato per Ricordi, BMG, Fonè, Bongiovanni e Artenova collaborando tra gli altri con G. Kuhn, S. Accardo CURRICULA VITAE FRANCESCO PALMIERI basso Si è diplomato in canto al Conservatorio di Vibo Valentia e si è perfezionato con Paolo Montarsolo, Luigi Petrozziello, Bonaldo Giaiotti e con Elio Battaglia sul repertorio liederistico tedesco. Ha vinto il Concorso Internazionale "Città di Roma" (1996) - debuttando successivamente nei ruoli di Ferrando (Il Trovatore), Don Basilio (Il Barbiere di Siviglia), Colline (La Bohème) - e il Concorso "Giuseppe Di Stefano" di Trapani (1977) che lo ha visto impegnato nel ruolo di Don Magnifico (La Cenerentola).Ha cantato in Così fan tutte (Don Alfonso), Otello (Lodovico) alla Fenice di Venezia, Rigoletto al Teatro Carlo Felice di Genova, Il Barbiere di Siviglia con la regia di Enzo Dara al Teatro Pergolesi di Jesi, Aida (Ramfis) alla Mississauga Opera (Ontario-Canada), I Puritani alla Opernhaus di Essen. Nel corso del 2005 debutta come Mefistofele nell'omonima opera di Boito al Teatro Marrucino di Chieti; è impegnato al Politeama di Lecce per Les pecheurs de perles (Nourabad), all'Arena di Verona nella Gioconda con la regia di Pierluigi Pizzi. Canta il ruolo di Angelotti (Tosca) allo Sferisterio di Macerata e al San Carlo di Napoli. Tra gli impegni della stagione 2006 si segnalano Die Zauberflöte a Chieti, Turandot a Palermo, Sakùntala di Alfano con la direzione di Gianluigi Gelmetti all'Opera di Roma, Cristoforo Colombo di Gomes al Teatro Bellini di Catania, dove ha interpretato il ruolo del Frate, e I Puritani al Chelsea Festival di Londra. Svolge anche attività concertistica, tenendo recital di musica liederistica. MATTIA NICOLINI basso-baritone Gli studi con Vito Maria Brunetti, Carlo Camerini e Claude Thiolas, lo conducono nel 1989 al debutto nella Serva Padrona di Pergolesi nell'ambito della Sagra Malatestiana e all'affermazione in diversi concorsi. La sua cariera si sviluppa su due binari complementari: ad una ricca attività sinfonico-cameristica dove spiccano le esecuzioni della Cantata N° 4 di J.S. Bach con l'Orchestra dell'Accademia di S.Cecilia, de' “La Maledizione del cantore” op.139 di R. Schumann con l'Orchestra Rai di Milano, del Requiem di G. Faurè con l'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, de' “Beatitudines” di G. Petrassi con l'Orchestra Giovanile Italiana, affianca l'impegno in campo operistico, soprattutto nel repertorio dell'opera buffa e in ruoli di carattere, o mirato al recupero in ripresa moderna di lavori non molto frequentati. Ha cantato in numerosi teatri italiani ed esteri sotto la guida di direttori quali: Marek Janowsky, Christopher Stembridge, Lothar Zagrosek, Maurizio Arena, Tiziano Severini, Isaac Karabtchevsky, Enrique Mazzola, Karl Martin, John Neschling, Rafael Frühbeck de Burgos, Claudio Desderi, Giancarlo Andretta etc., e registi come: Enzo Dara, Franca Valeri, Maurizio Nichetti, Hugo De Ana, Alberto Fassini, Michael Hampe, Leo De Berardinis, Pierluigi Pizzi, Graham Vick, Ugo Chiti, Luca Ronconi etc. Tra i suoi più recenti impegni: Curlew River di Britten a Trento e Pisa con la regia di Andrea De Rosa e la direzione di Damian Iorio, Un ballo in maschera di G. Verdi al Teatro Massimo di Palermo diretto da Stefano Ranzani e la regia di Pier Luigi Pizzi. Ha all'attivo diverse incisioni operistiche. FRANCO FEDERICI basso Nato a Parma, diplomato al Conservatorio della stessa città col massimo dei voti; in seguito ha acquisito per meriti artistici l'abilitazione all'insegnamento in tutti i Conservatori (Licei Musicali) italiani. Ha vinto concorsi nazionali ed internazionali nelle città di Parma, Milano, Reggio Emilia, Firenze, Venezia, Trieste, Spoleto, Monaco di Baviera, Sofia e Ginevra. Ha ricevuto i premi VERDI D'ORO a Parma e PONCHIELLI a Cremona per l'intensa attività svolta nelle opere di questi autori. Ha lavorato e lavora tuttora nei maggiori teatri italiani e del mondo. Ha inciso diverse opere in Video e CD, inoltre ha cantato e canta coi più famosi cantanti del mondo: ha esordito giovanissimo ne La Forza del Destino, con Renata Tebaldi, Mario Del Monaco ed Ettore Bastianini (direttore Antonino Votto), ha proseguito al fianco di Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, in seguito con Pavarotti, Domingo, Carreras, Kabaivanska ecc. Ha collaborato coi maggiori direttori d'orchestra quali Riccardo Muti, Claudio Abbado, Gavazzeni, Molinari Pradelli, Votto, Chailly, Zubin Metha, Henry Levine, Santi, Sanzogno e registi quali Luchino Visconti, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Eduardo De Filippo, Franco Zeffirelli. Recentemente ha cantato nelle opere La Traviata, Le Nozze di Figaro, Salome (negli U.S.A.), Tosca, Rigoletto, Andrea Chenier, Carmen, Bohème e Macbeth. All'attività operistica affianca un'intensa attività concertistica e di insegnamento. ORCHESTRA FILARMONIA VENETA “GIAN FRANCESCO MALIPIERO” Presidente Carlo Piombo Segretario Generale Claudio Sartorato Direttore Artistico Gianpaolo Bisanti Segretario Artistico Stefano Romani Ispettore d'orchestra Davide Trevisan Addetto Stampa Marina Grasso Responsabili di segreteria Elena Teso Carlo Rossi Violini I Violini II Viole Violoncelli Tommaso Luison * spalla Lavinia Tassinari * concertino Giorgio Baldan Kanda Chiaki Mario Donnoli Adina Furlanetto Andrea Rizzi Francesco Scattolin Massimiliano Tieppo Monica Zampieri Vicenzino Bonato * Federica Bertevello Mariarosa Cannistraci Laura Gentili Monica Miozzo Dan Paun Alessandra Vianello Cristina Zanolla Fabrizio Scalabrin * Alessandro Dalla Libera * Federico Furlanetto Marina Nardo Marco Perin Vittorio Piombo * Alberto Barbaro Giancarlo Giacomin Valentina Migliozzi Giordano Pegoraro Contrabbassi Marco Ciminieri * Davide Grespi Stefano Versolato * prime parti Arpa Alessia Luise * BANDA IN PALCO Ottavini Nicola Bighetti Ornella Gottardi Elka Rigotti Trombe Giacomo Gabriele Bezzi Emiliano Tamagnini Alessio Tasin Percussioni Roberto Pangrazi Flauti Claudio Montafia * Antonio Vivian Claudia Burlenghi ottavino Oboi Stefano Romani * Michela Manaigo Giorgio Ferroci corno inglese Clarinetti Roberto Scalabrin * Alessandro Toffolo Alessandro Muscatello cl. basso Fagotti Francesco Fontolan * Stefano Meloni Corni Massimo Capelli * Lorenzo Meneghetti Paola Sponti Davide Trevisan Trombe Fabrizio Mezzari * Alberto Perenzin Augusto Righi Tromboni & Tuba Ferdinando Danese * Fabio Rovere Alessio Savio Roberto Ronchetti tuba Timpani & Percussioni Giacomo Giacometti * timpani Mirto Cagni Cristiano Torresan Marica Veronese LUIGI AZZOLINI maestro del coro Inizia la propria carriera artistica come strumentista diplomandosi in violino e in viola presso il Conservatorio di Padova ed intraprendendo anche studi di analisi e composizione con il M° A. Franceschini. Svolge un'intensa attività concertistica in Italia e all'estero e innumerevoli sono le partecipazioni a registrazioni e incisioni discografiche nonché a prime esecuzioni assolute. Dal 1985 all'attività strumentale affianca la direzione di coro divenendo Direttore del coro Polifonico Castelbarco di Avio, del Gruppo corale Quadrivium, dell' Ensemble Vocale Continuum e del Coro del Teatro Sociale di Trento con notevole attività concertistica. Nel 2003 ha debuttato alla direzione dell'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano e nel 2004, ha lavorato in qualità di assistente del M° Corrado Rovaris, presso il Teatro dell'Opera di Losanna. Già docente presso i Conservatori di Musica di Adria e Trento, attualmente insegna presso il Conservatorio "Claudio Monteverdi" di Bolzano. CORO DEL TEATRO SOCIALE DI TRENTO La compagine corale è nata con le produzioni operistiche del Centro Servizi Culturali S.Chiara di Trento; l'allestimento del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini nel 1999, anticipato dalla messa in scena de la Traviata e la Cenerentola di Rossini per l'inaugurazione del Teatro Sociale nel 2000 (occasione che ha determinato l'attuale denominazione del coro) sono le tappe che tracciano un itinerario artistico assai impegnativo. La stretta e proficua collaborazione con l'Orchestra Haydn e l'Orchestra Filarmonia Veneta, sotto la direzione dei Maestri Dario Lucantoni, Giancarlo Andreatta e Karl Martin, hanno portato il Coro ad esibirsi in altri teatri italiani quali il Sociale di Rovigo, il Verdi di Pisa, il Nuovo Teatro di Bolzano e all'Opera Festival di Bassano, riscuotendo unanimi consensi ed apprezzamenti. Da ricordare inoltre la partecipazione all'allestimento del Requiem di Verdi presentato nel mese di agosto 2001 a Bolzano, Bressanone e nel Duomo di Trento con l'Orchestra Haydn con la direzione del Maestro Cristian Mandeal. Nel 2001 ha partecipato a Così fan tutte di Mozart con la Direzione di Corrado Rovaris, rappresentato a Trento, Rovigo e Bolzano. Nel 2002-2003 ha partecipato alla prima nazionale della Messe Solennelle di Berlioz nel Duomo di Trento, per la direzione di Christoph Eberle, ed all'allestimento dell'Italiana in Algeri e del Don Giovanni, che hanno aperto le ultime Stagioni Liriche a Trento, con la Direzione del Maestro Giancarlo Andretta. Nel 2004 ha cantato nella produzione del Centro S.Chiara di Trento Idomeneo, re di Creta di Mozart e nel 2005 in Curlew River di Britten. Il Coro del Teatro Sociale di Trento è preparato e diretto dal M° Luigi Azzolini. CORO DEL TEATRO SOCIALE DI TRENTO Claudia Giongo Paola Fumana Barbara Lui Federica Majer Irene Oberosler Anna Pellizzari Michela Pizzolato Roberta Pozzer Daniela Sannicolò Monica Schmidt Rossana Verlato Sara Webber Emanuela Chizzola Elena Croci Giulia Gabrielli Francesca Martinelli Martina Zanaga Marco Cavagnis Enrico Benati Fabio Bonatti Silvano Ceolin Roberto Garniga Alberto Manzoni Sandro Miori Daniele Morandini Mauro Scalzini Alessio Tosi Paolo Deanesi Stefano De Nardin Salvatore De Salvo Adrian Di Blasi Carlo Menardi Giuseppe Ostini Guido Trebo Marco Petrolli Mirko Vezzani CHIARA BIONDANI direttore coro voci bianche C.Eccher Ha maturato la sua esperienza musicale all'interno del coro e scuola di musica “I Minipolifonici” di Trento fondati e diretti da Nicola Conci. È diplomata in canto lirico presso il Conservatorio “C.Monteverdi” di Bolzano sotto la guida del Maestro Vito M.Brunetti. Ha seguito corsi di perfezionamento al canto a livello nazionale e internazionale. Collabora con la Federazione cori del Trentino per la realizzazione di eventi corali. Attualmente é Direttrice e Presidente della Scuola di musica “C.Eccher” delle Valli di Non e di Sole, nella quale svolge pure attività didattica. Nel 1990, promossa la costituzione del Coro di voci bianche della scuola di musica "C. Eccher", sotto la sua direzione, ottiene ben presto ottimi risultati e prestigiose affermazioni in concorsi corali nazionali ed internazionali. CORO VOCI BIANCHE C. ECCHER Il Coro Voci Bianche C.Eccher nasce nel 1990. La fascia dei coristi va dai 9 ai 15 anni, tutti conoscono la musica e quasi tutti suonano uno strumento. Il Coro Eccher ha avuto il suo primo importante debutto a Taio in occasione delle Celebrazioni Eccheriane. Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali ed internazionali ottenendo sempre importanti qualificazioni (1996 3°premio al 31° Concorso nazionale Corale di Vittorio Veneto; 2004 Arezzo 3° posto al Concorso Polifonico Internazionale “Guido D'Arezzo”). Dal 1995 organizza la Rassegna Internazionale per Cori di Voci Bianche. Ha partecipato con successo a concerti, rassegne e festival in Italia ed in Europa, stringendo rapporti con numerosi cori nazionali ed esteri (Milano, Verona, Pordenone, Cagliari, Palermo, Svizzera, Repubblica Ceca, Spagna, Austria, Russia). Ha messo in scena alcuni lavori teatrali per voci bianche (The Golden Vanity di B.Britten, Costruiamo una città di P.Hindemith). CORO VOCI BIANCHE C. ECCHER Bertagnolli Alessandra Dacroce Ilaria Dalpiaz Arturo Dalpiaz Martina Fondriest Vanessa Leita Caterina Pancheri Chiara Pedron Nicola Zanotelli Giuditta Corradini Davide Fedrizzi Giulia (27 Gennaio) Depaoli Stefania (27 Gennaio) Pancheri Valentina (27 Gennaio) Salsano Veronica (27 Gennaio) Chini Alice (29 Gennaio) Grandi Chiara (29 Gennaio) Ioris Anastasia (29 Gennaio) Olaizola Elisa (29 Gennaio) CENTRO SERVIZI CULTURALI S.CHIARA DI TRENTO STAGIONE LIRICA 2006/2007 PROSSIMI APPUNTAMENTI Sabato 10 e Domenica 11 marzo 2007 | ore 20.30 Teatro Sociale di Trento OTELLO DRAMMA LIRICO IN QUATTRO ATTI Libretto di Arrigo Boito Musica di Giuseppe Verdi Editore Casa Ricordi, Milano Maestro concertatore e direttore Gianluca Martinenghi Regia Dieter Kaegi Scene e Costumi Gabbris Ferrari Orchestra Filarmonia Veneta "Gian Francesco Malipiero" Coro del Teatro Sociale di Rovigo Maestro del Coro Giorgio Mazzuccato NUOVA PRODUZIONE DEL TEATRO SOCIALE DI ROVIGO E IN COPRODUZIONE CON: CENTRO SERVIZI CULTURALI S.CHIARA DI TRENTO, FONDAZIONE TEATRO COMUNALE E AUDITORIUM DI BOLZANO, TEATRO VERDI DI PISA. Organigramma Centro Servizi Culturali Santa Chiara Presidente Carlo Fait Vice Presidente Grazia Cattani Direttore Franco Oss Noser Vice Direttore Marisa Detassis Consiglio di Amministrazione Carmine Ragozzino Giuseppe Endrizzi Lia de Finis Renzo Fracalossi Sandra Tafner Collegio revisori dei conti Renzo Sartori Antonella Andreatta Michela Margoni Comunicazione e Promozione Katia Cont, responsabile Formazione e Promozione Viviana Bertolini Per TRENTO A TEATRO con il Centro Servizi Culturali S.Chiara collaborano i seguenti consulenti artistici: Fausto Bonfanti, musica d'autore Lanfranco Cis, danza Stefano Giordano, cinema Alfonso Malaguti, musica lirica Giovanna Palmieri, teatro ragazzi Cristina Pietrantonio, progetti di formazione musica lirica Emanuela Rossini, progetti culturali stagione di prosa Verba Volant - Trento AD Giuseppe Marchi Foto: Monique (backstage) Comune di Trento Provincia Autonoma di Trento Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo Fondazione Carlo, Aldo, Alice e Maria Stella Tartarotti Informazioni Centro Servizi Culturali S. Chiara Trento - Via S. Croce 67 Tel. 0461.213834 / 0461.213811 [email protected] www.centrosantachiara.it