LA BOHÈME_opuscolo [15 x 18 cm] - Il Centro Servizi Culturali

CENTRO SERVIZI CULTURALI
S.CHIARA DI TRENTO
STAGIONE LIRICA 2006/2007
mort
LA BOHÈME
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SCENE LIRICHE IN QUATTRO QUADRI
sul libretto di
Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
dal romanzo
Scène de la vie de Bohème
di Henri Murger
musica di
GIACOMO PUCCINI
2007
sabato 27 gennaio | ore 20.30
lunedì 29 gennaio | ore 20.30
Teatro Sociale, Trento
NUOVA PRODUZIONE DEL
CENTRO SERVIZI CULTURALI
SANTA CHIARA DI TRENTO
ALLESTIMENTO DEL LUGLIO
MUSICALE TRAPANESE
LA BOHÈME
SCENE LIRICHE IN QUATTRO QUADRI
Editore Casa Ricordi, Milano
sul libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
dal romanzo Scène de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di GIACOMO PUCCINI
L'opera avrà due intervalli, dopo il II° e dopo il III° quadro
Mimì
Rodolfo, poeta
Marcello, pittore
Musetta
Colline, filosofo
Schaunard, musicista
Benoit, il padrone di casa e
Alcindoro, consigliere di stato
Parpignol
Sergente dei Doganieri
Doganiere
Franco Federici
Marco Cavagnis
Guido Trebo
Giuseppe Ostini
Maestro concertatore e direttore
Regia
Giampaolo Bisanti
Dino Gentili
Scene
Luci
Damiano Pastoressa
Marco Comuzzi
Movimenti coreografici
Anna Redi
Maestro del Coro
ORCHESTRA FILARMONIA VENETA
“GIAN FRANCESCO MALIPIERO”
CORO DEL TEATRO SOCIALE DI TRENTO
Luigi Azzolini
Direttore
CORO VOCI BIANCHE C. ECCHER
Chiara Biondani
Susanna Branchini
Giancarlo Monsalve
Simone Del Savio
Paola Antonucci
Francesco Palmieri
Mattia Nicolini
Maestri Collaboratori
Direttore di scena
Assistente alla regia
Maestro alle luci
Maestro ai sovratitoli
Capo sarta
Truccatrici
Parrucchiera
Aiuto sarta
Costumi
Calzature
Parrucche
Foto
Eddi De Nadai, Federico Scarfì, Valeria Vitaterna
Lev Pugliese
Ermisenda Soy Bejar
Anna Maria Nardelli
Francesca Cereghini
Stefania Casagranda
Lucia Santorsola, Elinor Alm Anderle
Marisa Castellin
Virginia Callegari
Sartoria Teatrale Arrigo, Milano
Calzature D’Epoca S.r.l., Milano
Audello Torino
Monique (backstage ed esecuzione in forma di concerto)
Figuranti
Claudio Aldrighettoni
Lucys Battistella
Vittorio Caratozzolo
Luca Giacomelli
Valeria Grasso
Sara Picone
Daniela Lazzizzera
Francesco Mattedi
Maurizio Orlando
Roberto Sabino Palumbieri
Mauro Linardi
Pier Paolo Principe
Maurizio Raffaelli
Valentina Spagni
Roberto Tubaro
Tullio Garbari
Centro Servizi Culturali Santa Chiara
Ufficio Stampa
Direttore Tecnico
Segreteria Organizzativa
Assistente di produzione
Stagista
Katia Cont
Viviana Bertolini
Marco Carletti
Marina Ambrosi
Anna Ferro
Cristina Gadotti
Servizi tecnici, organizzativi
ed amministrativi
Centro Servizi Culturali Santa Chiara
Si ringrazia
Fabio Recarli, titolare del Ristorante Orso Grigio
di Trento per il gentile prestito della Cassa
del Caffè Momus
Consulente artistico e produzione
Alfonso Malaguti
LA NOVITÀ DELLA BOHÈME
Dopo il successo di Manon Lescaut, che aveva fatto di Giacomo Puccini non soltanto uno dei
musicisti italiani di maggior prestigio ma un vero e proprio “personaggio”, la nascita dell'opera La
Bohème dà una esemplare documentazione di quale fosse ormai la consapevolezza che il maestro
lucchese aveva dei propri mezzi espressivi: lui così incerto e nevrotico, nella vita privata; lui così
contraddittorio nei suoi sbalzi d'umore, passando dalla più cupa tristezza alle manifestazioni
esuberanti, e a volte perfino volgari, di un'allegria provinciale e ancora goliardica, di fronte ai suoi
librettisti non ha invece alcuna esitazione, e sotto questo aspetto ricorda perfino l'incontentabilità di
Verdi e i suoi frequenti travagli per l'individuazione dei nodi drammatici più importanti delle sue
opere.
Quando Puccini abbia cominciato a pensare ad un lavoro tratto da La vie de bohème di Henri
Murger non si sa con esattezza: ci fu nel marzo del 1893 una polemica fra lui e Leoncavallo sulla
priorità nella scelta di questo soggetto; lo “scandalo” fu registrato dai giornali più importanti, e non
c'è dubbio che lasciò qualche ombra sulla correttezza di Puccini (al quale lo stesso Leoncavallo
aveva parlato di un suo libretto tratto da Murger già un anno prima) e dell'editore Ricordi,
ossessionato dall'idea di approfittare del successo di Manon Lescaut e di danneggiare un
concorrente come Leoncavallo, che forse credeva pericoloso dopo il successo dei Pagliacci. Di fatto
Puccini sentì subito i personaggi di Murger con grande chiarezza di prospettive teatrali,forse
ravvisando nei bohémiens e nelle loro vicende qualcosa di autobiografico: lavorò con grande lena,
nella sua casa di Torre del Lago, pur rammaricandosi di continuo della lentezza con cui Giacosa gli
faceva pervenire i versi del libretto; e all'inizio fu più volte sul punto di abbandonare l'impresa, con i
suoi consueti scarti d'umore, subito raddrizzati dall'autorevolezza e dalla capacità diplomatica di
Giulio Ricordi, sempre più deciso a non cedere, soprattutto dopo la polemica con Leoncavallo, alla
sensibilità morbosa del suo protetto. Tutto il 1893 e il 1895 furono occupati nella composizione,
fino a quel 10 dicembre in cui Puccini potè scrivere alla fine della partitura: “a mezzanotte, Torre del
Lago”.
Che nel frattempo fosse nato un capolavoro fu un'impressione dello stesso Puccini: già nel
settembre 1891 troviamo, in una sua lettera all'editore, che egli considera “bellissimo” l'ultimo atto;
e Ricordi, che era musicista e quindi in grado di leggere da sé le pagine di partitura che Puccini gli
inviava, era altrettanto convinto che la nuova opera avrebbe costituito un capitolo ancor più
importante e definitivo della stessa fortunatissima Manon Lescaut. Tuttavia, quando La Bohème fu
rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino, sotto la direzione di Arturo Toscanini, la
sera del 1° febbraio 1896, l'atteggiamento della critica, compresi alcuni musicisti di indubbia
preparazione culturale come Arrigo Boito, fu tutt'altro che positivo, anche se non mancarono alcune
recensioni illuminate e piene di buonsenso, alcune delle quali molto acute nel sottolineare la novità
del linguaggio pucciniano proprio al confronto con la precedente Manon Lescaut. Lo stesso
Puccini, del resto, aveva già alcuni mesi prima intuito che sarebbe stato accusato di aver cambiato
strada, e per questo si era detto contrario, quasi per superstizione, ad una prima della Bohème a
Torino, nel teatro che aveva visto lo strepitoso successo di Manon Lescaut. Ma Ricordi aveva ancora
una volta tenuto duro, convinto com'era che “questa bellissima Bohème” fosse, se non proprio sua
“figlia”, “almeno un tantino figlioccia”, dopo i numerosi interventi ai quali era stato costretto per
metter pace fra Puccini e i suoi collaboratori; e il risultato era stato appunto un capolavoro in cui si
rispecchiavano gli elementi più caratteristici e contradditori della personalità del maestro lucchese.
Perché Ricordi, in fondo, aveva intuito che Puccini avrebbe potuto trovare nel dramma di Murger
quel tanto di autobiografico che era pur sempre necessario per mettere in moto la sua sensibilità di
musicista, malato di malinconia e di solitudine, al di là delle sue rumorose compagnie, dei suoi
amori di bassa lega e della sua superbia di toscano, che poi nascondeva, di fatto, una morbosa
vulnerabilità e un profondo senso di insicurezza.
In sostanza, dunque, Puccini aveva trovato nei bozzetti di Murger i molti “io” del suo temperamento
di uomo e di artista e la perfezione della Bohème nasce non soltanto dalla originalità e dalla bravura
del suo raffinato e trasparente discorso orchestrale, ma dalla costante frequenza di un impeto
sentimentale che si realizza al di fuori di un vero e proprio filo drammatico, in una coesione che è
del tutto musicale. Lo stesso amore di Mimí e di Rodolfo è come raccontato dagli “altri”, più che
esser seguito, nella sua dinamica interna, dai personaggi stessi in prima persona; e la musica
contribuisce, soprattutto a contatto con la figura di Mimí, ad allontanarci dal gusto fra sentimentale
e scandalistico che sorregge i personaggi del dramma francese, dove le donne sono tutte più o
meno di discutibile moralità e gli uomini appaiono spesso degli stravaganti e dei profittatori. Invece,
quel che è evidente nella partitura della Bohème presa nel suo complesso è – come ha scritto
Mosco Carner – “un audace esperimento di tecnica scenica impressionistica”: c'è il riso ed il pianto,
la delicatezza e la volgarità, certo; ma tutto ciò può esser ricondotto ad uno stato d'animo
fondamentale, che è la inquieta e malinconica solitudine in cui i personaggi assumono una nuova
tornitura e tendono ad una idealizzazione quasi del tutto assente in Murger.
E il merito di Illica e Giacosa fu quello di aver fornito al musicista non soltanto un testo ricco di
situazioni “teatrabili”, sia pure con qualche tradimento dello spirito originario del dramma, ma di
averlo prefigurato proprio in direzione di quell'“impressionismo” in cui Puccini poteva proseguire,
ormai con perfetta sicurezza linguistica, le tendenze “sinfonico descrittive” (come le chiamava), in
cui si sentiva versato fin dalle sue prime prove di musicista. Ma è soprattutto Mimí, derivata dalla
fusione e dalla sovrapposizione di diverse donne della Via de bohème (che è poi quasi una galleria
di ritratti di donne realmente vissute nella Parigi dei primi dell'Ottocento), che accoglie gli umori più
profondi della sua sensibilità, tendendo a trasformarsi da amante maliziosa in una ragazza
innocente. È sintomatico, in proposito, che il musicista, ancora due anni dopo la prima
rappresentazione dell'opera al Regio di Torino, abbia continuato a pensare ad una Mimí perfino
“bambina”: difatti in una lettera da Parigi del 1898, parlando del soprano Guirodon, che interpretò
nella prima edizione francese, si compiace che faccia “una Mimí bambina”, “forse troppo ingenua e
drammatica – scrive – ma credo che questa nuova incarnazione non sia male”. Rivelando così
quasi il proseguimento, oltre all'opera d'arte, del disegno di idealizzazione che aveva guidato la
nascita di questa sua perfetta eroina.
Si può quindi capire l'iniziale disorientamento di una parte anche autorevole della critica di fronte
alla Bohème, proprio per la sua intonazione più vibratile, più inquieta e più “moderna” della pur
genialissima Manon Lescaut, restata in qualche modo ancora nei binari della tradizione, che si
riflette anche nella diversa e discontinua stesura compositiva. Il giudizio di Carlo Bersezio sulla
“Stampa”, rimasto famoso come una delle più clamorose topiche della storia della critica musicale,
è a suo modo il riconoscimento della novità sostanziale che La Bohème porta nel processo stilistico
di Puccini. “La Bohème – scrisse – come non lascia grande impressione nell'animo degli uditori,
non lascerà grande traccia nella storia del nostro teatro lirico, e sarà bene, se l'autore,
considerandola come l'errore di un momento, proseguirà la strada buona e si persuaderà che
questo è stato un breve traviamento dal cammino dell'arte”. La strada buona alla quale allude il
Bersezio è, evidentemente, quella di Manon Lescaut.
Il pubblico di fine Ottocento, d'altra parte, se ebbe qualche perplessità proprio di fronte ad alcune
pagine più “nuove” (come quelle di Benoit nel primo atto, e ancor più nello scintillante fiotto di
invenzione musicale con cui si entra, quasi guidati per mano, nel Quartiere Latino e, dopo, nel
freddo angoscioso e pungente del terzo quadro, quello delle famose “quinte scoperte”) trovò in
alcuni pezzi lirici, diventati giustamente celeberrimi, una sorta di filo di Arianna con cui illudersi che
nulla fosse cambiato, di fatto, negli appuntamenti più consueti del teatro d'opera. “Mi chiamano
Mimí”, “Che gelida manina” e altri brani apparentemente “chiusi”, come “Sono andati” dell'ultimo
quadro (certo tra le pagine musicalmente più intense di cui la storia del teatro musicale possa
vantarsi) assicurarono alla Bohème un successo internazionale, tanto più intenso quanto più alto
era il livello musicale degli ascoltatori; e l'epistolario pucciniano dimostra quanto il maestro tenesse,
per questo, alle esecuzioni di fronte ai pubblici di Vienna e di Parigi, quasi avesse intuito che
soprattutto La Bohème era la parola più originale e più alta della musica italiana dopo Verdi, in un
momento particolarmente cruciale nella storia della musica europea, dopo l'emozionante novità
dell'Otello (1887), e dopo la Cavalleria Rusticana (1890), Pagliacci (1891) e Falstaff (1893).
Puccini aveva dovuto affrontare con La Bohème, più o meno inconsapevolmente, la presenza di
così possessivi colleghi e metter a dura prova le sue scelte linguistiche.
Ma è proprio in questa cruciale stagione che Puccini evitò il pericolo di esser wagneriano, di imitare
il virtuosismo straussiano, di farsi traduttore della sensibilità musicale francese: la sua grandezza fu
di aver capito, a differenza di altri suoi colleghi contemporanei, che l'esser operista significava ormai
aver la consapevolezza della misura diversa dei personaggi da inventare in musica. Mimí, per
questo, assunse il valore di simbolo di un'ultima porzione di umanità, ancora disponibile per la
realizzazione di un istintivo desiderio di bellezza, balsamo e consolazione ideale delle più consuete
inquietudini; e sulla bellezza esangue di questa fioraia malata di tisi volle intessere una sorta di
favola quotidiana in cui tutti i personaggi – come notò con disappunto il celebre Hanslick – “sembra
che parlino invece di cantare”. Ma è però in questa immediatezza, dove si rispecchiano i misteriosi
turbamenti suscitati proprio dalle situazioni più banali, che Puccini realizzò tutto se stesso, con una
perfezione che sa insieme di scaltrezza artigianale e di limpida forza poetica. Il senso di tristezza e di
malattia che prende tutti accanto al letto di Mimí morente ha davvero il significato di qualcosa di
“ultimo” e insieme di universale; di un universale “di tutti i giorni”, con i crucci e le nascoste tristezze
di una larga porzione dell'umanità. E sembra davvero che Mimí, arrendendosi silenziosamente alla
morte, annunci la conclusione di un ciclo: dopo di che anche gli eroi più umili avrebbero trovato,
nelle loro ascendenze verdiane, la via della ribellione e le crude sembianze che un pittore come
Lorenzo Viani aveva anticipato proprio in quegli anni nei suoi disegni e nelle sue pitture. Ma questi
nuovi eroi Puccini non fece in tempo conoscerli, e forse non l'avrebbero nemmeno voluto:d'ora in
poi, per ritrovare la pienezza poetica che caratterizza ogni più minuto particolare della Bohème,
avrebbe dovuto in qualche modo rifarsi sempre al clima quasi autobiografico che gli era stato
suggerito da Mimí e dai suoi compagni.
Leonardo Pinzauti
[…] più che mai viva rimane quella Bohème che delle opere di Puccini ritenga possa dirsi la più
perfetta, la più schiettamente, la più perfettamente pucciniana; pur se debba ammettersi che nelle
opere composte successivamente possano trovarsi pagine o interi episodi di superiore bellezza.
Ildebrando Pizzetti
(dal discorso commemorativo tenuto al teatro San Carlo di Napoli, 6 gennaio 1950)
Per la prima volta con La Bohème il melodramma post-verdiano non attinse al repertorio scenico
corrente (il Rinascimento, la storia per illustrazioni, il verismo popolare) e per un nuovo mondo
poetico inventò un idioma. In quello scorcio di secolo nella cultura italiana non accadde quasi nulla
di altrettanto importante (o, che è quasi lo stesso, non accadde quasi nulla che fosse significativo
per la cultura europea). Se questa forma sottomessa e cauta di realismo nostrano, tutta intrisa delle
ragioni del cuore, ha un posto nel mondo, questo si deve a Bohème.
Franco Serpa
in Guida all'opera, Mondadori, Milano 1971, II, pp. 462-7
In Bohème, invece, il rapporto fra protagonisti ed ambiente si presenta in modo assolutamente
inedito: al limite, si direbbe che i rapporti si sono invertiti e che a porsi in primo piano sia lo
“scenario”, del quale i personaggi sono emanazione, eco drammatica. Basti osservare che La
Bohème è l'unica opera di Puccini il cui titolo si riferisce non ad un personaggio, ma a tutto un
clima, a una stagione della vita. […] In questo dunque si palesava la nuovissima cifra poetica e
teatrale della commedia lirica di Puccini: nel parziale rifiuto del protagonismo romantico, in favore
di una coralità - in senso psicologico, umanistico, beninteso, non strettamente musicale -, da
intendersi come capacità di aderire e fondere in un respiro poetico unitario un mondo tanto
modesto quanto variegato, coinvolgente personaggi cose ed ambienti. Dimensione corale che solo
più tardi Puccini tornerà ad attingere nella Fanciulla del West, con il dialogo – su tutto preminente –
fra il mondo dei minatori e Minnie.
Cesare Orselli
“Bohème, o della Scapigliatura 'borghese'”, in Stagione Lirica 1972/73, Teatro Regio, Torino, pp. 79-80
[dal Programma di sala dell'Autunno Musicale Trevigiano e dalla Silloge critica su Giacomo Puccini e le sue
opere, 1974 –pubblicazioni edite dall'Ente Teatro Comunale di Treviso, in occasione della rappresentazione
dell'opera omnia di Puccini, effettuata dal Teatro Comunale di Treviso, nel 50.mo anniversario della morte del
Maestro]
«Ecco la Tosca trasformata in jazz,
La voce del domani, la sola conosciuta.
Stravolgere, ridurre, esautorare;
adattamenti per le orecchie nuove.
Tu l'avevi giurato, ti ricordi?
Laudator non sarò temporis actis.
Come si fa? Puccini dal suo lago
Celeste mi scongiura di resistere.»
Maria Luisa Spaziani, Ecco la Tosca da «Poesie dalla mano sinistra»
PUCCINI E LA SUA ORIGINALITÀ MUSICALE
La Bohéme - afferma Giulio Confalonieri - “è un capolavoro immortale. (...) È (...), per davvero, una
creazione. In quanto, della creazione, ha il carattere sorprendente di accennare sempre a un vuoto
che la precede e di appagarci con l'essenza che adesso riveste”1.
È un'opera originale che trova la sua forza “nella tessitura musicale” ché “la musica ha saputo creare questo tono nuovo, questo serrato incalzante sviluppo delle situazioni drammatiche e dell'azione,
questa perfetta coerenza di discorso all'interno di ciascuno dei quattro quadri”2.
Puccini ha assimilato mirabilmente la tecnica del Verdi estremo, quello del Falstaff. Il primo quadro
dell'opera è una straordinaria scena d'insieme che risente, appunto, di quel nuovo modo incalzante
ed originalissimo di impostare l'opera comica (e ci aveva già pensato più di cento anni prima Mozart) ovvero quella drammatica (e ci aveva già pensato Wagner) grazie ad una tecnica compositiva
che ottiene una indissolubile unità interna all'atto.
Vorrei azzardare la seguente interpretazione.
Puccini innova fortemente la tecnica compositiva dell'opera. Gli esempi più emblematici sono La
Bohéme, Il Tabarro, Gianni Schicchi. Mozart, particolarmente nella trilogia italiana, anticipa la concezione unitaria del Ton-Wort-Drama di Wagner. Verdi, con Otello e Falstaff, riscrive l'opera drammatica e l'opera comica lanciando, nella sfida a Wagner, un ponte verso il futuro che - attraverso la
mediazione mozartiana - sa cogliere Puccini nella Bohéme prima e nello Schicchi poi.
Questo lo schema evolutivo:
Trilogia mozartiana (1786-89); Meistersinger von Nürnberg (1868) e Ring des Nibelungen
(1853-1874) wagneriani; Otello (1887), Falstaff (1893) verdiani; La Bohéme (1896), Il Tabarro
(1916), Gianni Schicchi (1918). È un arco di tempo di 132 anni. L'evoluzione è profonda. Da un
lato le Nozze, i Meistersinger, Falstaff, Schicchi; dall'altro Don Giovanni, il Ring, Otello,
Bohéme/Tabarro. La tecnica compositiva raggiunge in ognuno dei quattro musicisti vette incontaminate e mai più conquistate sia nell'unitarietà stilistica e musicale: le Nozze sono una perfezione di
testo, musica e drammaturgia così come il Ring, Otello o Falstaff, Bohéme. Ci troviamo di fronte ad
un pentagono poetico–musicale–drammaturgico che rimane ineguagliabile; sia nella concezione
drammaturgica che raggiunge sempre un equilibrio perfetto, apollineo.
Con queste opere si apre un portale sul futuro dell'umanità indipendentemente dal soggetto trattato
(comico o drammatico, classico o contemporaneo) giacché è la Musikanschauung, idest la visione
musicale, che ci trasporta in un Weltanschauung che abbandona l'interpretazione anfibologica
della realtà per approdare, comunque, ad una catarsi della vita attraverso il perdono universale mo-
zartiano di ascendenza massonica ovvero attraverso l'estremo sacrificio delle pure eroine verdiane,
wagneriane e pucciniane di ascendenza antigonea.
La donna pucciniana è sempre una persona che, pur soccombente (Manon, Mimì, Butterfly, Tosca,
Minnie, Turandot), vince la sfida della vita affermando la sua personalità incontaminata dalle piccolezze dell'uomo.
È la riproposta quasi ciclica di una moderna Antigone che ribadisce il suo essere donna e il suo ribellarsi alle convenzioni (così è Susanna, così è Desdemona, così è Brunilde, così è Mimì), non importa se incardinata nella ribellione sociale, ovvero umana ovvero divina. Io donna del popolo, io
donna nobile, io donna degli dei, io donna povera e malata rivendico la mia diversità, la mia indipendenza, il rifiuto della legge che mi impone di fare così anziché colà. La mia regola è di non accettare le regole che si è dato l'uomo perchè sono stata esclusa nella loro scelta. La mia regola è la
non regola. La mia regola è il rifiuto delle regole. È una visione che non ammette compromessi, è
una visione pura che affonda le sue radici nell'Antigone sofoclea, che, diventando costantemente
un'Antigone moderna, ha il suo ubi consistam nella disubbidienza.
La domanda che sorge spontanea è per quale motivo da Sofocle a Puccini “per delineare l'antagonismo radicale alla pretesa di totalità del politico (...) [è stata] scelt[a] una figura di donna”3. La
donna è stata ed è schiavizzata dall'uomo. Il mito femminile assurge a straordinaria ribellione con la
disubbidienza di Antigone.
Ma da Antigone torniamo a Mimì e ai suoi creatori poetici e musicali. Questo ci permette di ritornare
all'iniziale paragone dapontiano-mozartiano. Le Nozze sono il prodromo di Bohéme. Valga la intuizione di Julian Budden; “la densità dello stile di Puccini (...) [è in] ogni frase (...) al suo posto, anche
quando assume materiale estraneo, come succede nella ritirata del secondo atto.(...). Nella
Bohéme [, un'opera le cui unità sono atti interi, il sistema] viene affinato e plasmato per adattarlo ad
ogni piega del dramma e ad ogni cambiamento sentimentale dei personaggi. C'era un solo precedente, nella storia dell'opera italiana, in cui l'artificiosità dei mezzi si avvertiva così poco: Le Nozze
di Figaro” (grass.m.)4.
Ed ancora, per tornare all'inizio. Falstaff ispira la scrittura di Bohéme. Puccini ha una capacità unica
che lo pone al centro dell'attenzione, in grado “di far coincidere la struttura drammatica di un atto
con quella musicale”5.
Egli è l'unico, fra i musicisti suoi contemporanei italiani, che segue l'esempio di Wagner: il motivo è
l'elemento portante della sua narrazione, anche se il “motivo (...) non viene mai variato né sviluppato alla maniera di Wagner”6.
Egli ha saputo sempre dominare le leggi del teatro musicale e la Bohéme ne rappresenta un esempio straordinario. “Neppure Wagner è riuscito meglio di lui a integrare parole, suono e gesto in un'azione che si evolve”7.
Forse è per questo che i due colossi della musica contemporanea del 900, Strawinskij e Schönberg,
erano pieni di ammirazione per Puccini.
Alfonso Malaguti
Gennaio 2007
1
Cfr. G. Confalonieri, “Il significato di Bohéme” in Musica d'Oggi, Giugno 1958, pag. 358.
R. Leibowitz, Storia dell'opera, Garzanti, Milano, 1966, pag. 356.
R. Rossanda, Antigone ricorrente in Sofocle, Antigone, Feltrinelli, Milano, 1987, pag. 14.
4
J. Budden, Puccini, Carocci, Roma, 2005, pag. 197.
5
Ivi, pp. 492-493.
6
Ivi, pag. 493.
7
Ivi, pag. 494.
2
3
MIMÌ FRA GIOIA E DOLORE
note del direttore d’orchestra
Opera rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel 1896, in quattro atti su libretto
di L.Illica e G.Giacosa, musica di Giacomo Puccini.
Il libretto necessitò per la propria stesura un paio d'anni, mentre la musica fu realizzata in circa otto
mesi, periodo considerevolmente più breve. Furono necessarie diverse e reiterate rielaborazioni del
testo prima che esso potesse soddisfare Puccini.
La Bohème, insieme a Traviata e Barbiere di Siviglia, è probabilmente una delle opere più eseguite
nei teatri di tutto il mondo; è un capolavoro indiscusso che rappresenta intimamente e coerentemente una visione personale, rielaborata, di svariati stilemi, ispirazioni, canoni artistici (tra cui il
romanticismo tedesco e l'opera lyrique francese).
Queste componenti, assemblate e riportate verso un solo coerente pensiero, supervisionato dal perfetto e poderoso artigianato pucciniano, fanno di questa musica una novità assoluta per l'epoca
storica nella quale veniva elaborata.
La storia si svolge nella Parigi del 1830, ispirata ad un romanzo di H.Murger, francese, Scene de la
vie de Bohéme, incentrata sulla vita di un piccolo gruppo di giovani artisti al quartiere latino i quali
devono quotidianamente far fronte alle più elementari necessità tra problemi economici, sociali e di
salute. Senza per questo però perdere la freschezza e la gioia della loro giovane età.
La descrizione peculiare della Parigi di quel tempo-nota agli intellettuali autoctoni e contemporaneicoadiuva la lettura della narrazione avvalendosi di minuziosi particolari. Ciò favorì il successo senza
riserve dell'opera.
Possiamo dunque affermare che Puccini, a differenza di altri autori del melodramma italiano, dipinge una tela multicolore, descrivendo istante per istante le ambientazioni, gli stati d'animo, i sentimenti di sofferenza placati sovente dalla felicità ingenua dei giovani artisti. In poche parole, fa il regista di se stesso: i “colori” universalmente noti della Bohème, le sonorità talvolta incisive talvolta
vaporose, l'impianto armonico perfetto, ampiamente descrittivo e raffinato, e la componente lirica
intensamente melodica, contribuiscono a fare di questa partitura un'antologia di sentimenti veri,
forti, radicati che sfidano il freddo, la fame, le malattie, l'indifferenza della società.
Riconosciamo soprattutto nel primo e nel quarto atto di Bohème, a livello musicale e formale, una
netta divisione in due dal punto di vista drammaturgico.
Mentre l'opera si apre con una prevalenza ludica della scena, tutta rivolta a palesare le forme di burloneria dei giovani, per poi lasciare il posto al pathos dell'innamoramento a prima vista di Rodolfo e
Mimì, il secondo e terzo atto portano lo spettatore, utilizzando mezzi di ispirazione direi cinematografica, quasi futuristici, a vivere in prima persona il dramma dell'imminente morte di Mimì.
Il quarto atto, sull'onda del primo, è anch'esso diviso nettamente in due parti. In questa circostanza
però ciò che separa a livello narrativo, musicale ed agogico la prima parte (i sospiri di Rodolfo e
Marcello per le loro amate, i giochi ed i balli poi insieme a Schaunard e Colline) dalla seconda
(l'arrivo in tutta fretta di Musetta che annuncia un pericoloso malore di Mimì anch'ella ricomparsa
improvvisamente in scena) è solo un accordo forte, una strappata di tutti gli strumenti dell'orchestra
che squarcia il cielo. Un accordo di mi minore che appare senza preavviso da una situazione
armonica completamente diversa ed incompatibile.
La massima espressione di pathos e sentimento si manifesta con l'aria “Sono andati, fingevo di
dormire”, pensiero che Mimì rivolge a Rodolfo, lasciati soli dagli altri. Qui sorge spontanea una
contrapposizione di idee.
Considerato che Mimì non desidera palesare il suo stato di sofferenza sino alla fine e che ha voluto
fingere di dormire per rimanere sola con Rodolfo, allora ci troviamo in mezzo a due correnti di
pensiero: coloro che interpretano questa pagina con un tactus piuttosto mosso per evidenziare la
componente ludica dell'atteggiamento di Mimì, e coloro che intravedono solo morte e dolore per cui
esprimono il pensiero mediante un tempo molto lento e meditativo.
Giampaolo Maria Bisanti
LA BOHEME E L'INFANZIA PERDUTA
note di regia
La Bohème mette in scena un archetipo: la fine dell'infanzia e
l'inizio dell'età adulta. Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline
all'inizio dell'opera, così come la travolgente Musetta, vivono
persi nelle loro fantasie e nei loro giochi, prigionieri della loro
voglia di essere eternamente bambini. Poi arriva Mimì. Irrompe
come un ciclone portandosi dietro un'onda emotiva fortissima,
l'amore. Seguita a ruota da un'altra emozione ancora più forte,
la morte. È l'epifania dei sentimenti. Sono loro che fanno implodere lo stile di vita dei bohèmiens scardinando le loro abitudini
e trascinandoli al di fuori di loro stessi, in un territorio vasto e
sconosciuto, una “no man's land” dove il confronto con l'altro
non è più procrastinabile. L'infanzia finisce. E con essa lo stile
di vita che la caratterizza. Dopo, nulla sarà come prima. Se
all'inizio dell'opera, prima dell'arrivo di Mimì, Rodolfo poteva
allegramente bruciare il proprio dramma nella stufa, alla fine,
se scriverà ancora una riga, essa sarà talmente radicata nel suo
cuore che non riuscirà a sacrificarne nemmeno una sillaba. La
palingenesi umana e artistica si è compiuta. Perché la vera arte
nasce sempre dal connubio tra amore e morte. Così è la vita,
una folgorante avventura d'amore che inizia con la nascita e
finisce con la morte.
Dino Gentili
IL DOPPIO PIANO VISIVO
note di scenografia
La soffitta. Siamo partiti da lì. Volevamo che fosse aperta sull'esterno, in modo da darci la possibilità di giocare su più piani,
come nel cinema. Un doppio piano visivo e concettuale che ci
permette di mettere in luce altri significati, giocando d'anticipo
col pubblico. Il pubblico sa quello che i protagonisti ancora non
sanno. Due storie procedono parallele prima di incontrarsi. E
poi il Momus, aperto, disteso, festoso caratterizzato da una
scala che ritorna nella Barriera, ma più alta, un po' mistica, preludio del distacco tra Rodolfo e Mimì. Si chiude come si è iniziato, nella soffitta. Un telo copre la vetrata per non ferire gli occhi di Mimì che si è addormentata per sempre.
Damiano Pastoressa
SINOPSI DELL’OPERA
LA BOHÈME
GIACOMO PUCCINI
La vicenda si svolge nel Quartiere Latino di Parigi, circa nel 1830.
QUADRO I
Alla Vigilia di Natale, il pittore Marcello e il poeta Rodolfo cercano di tenersi caldo bruciando le
pagine dell'ultima opera di Rodolfo in una soffitta nel Quartiere Latino di Parigi. Vengono raggiunti
dai loro giovani amici, il filosofo Colline e il musicista Schaunard, che ha portato soldi e cibo.
Mentre stanno festeggiando la loro fortuna improvvisa, si sente bussare alla porta: è il loro padrone
di casa Benoit, venuto a ritirare l'affitto scaduto. Offrendogli continuamente del vino, gli uomini lo
inducono a parlare dei suoi tradimenti per buttarlo poi infine fuori di casa fingendo di indignarsi
difronte alla sua infedeltà nei confronti della moglie. Colline, Schaunard e Marcello lasciano la
soffitta per dirigersi verso il Café Momus, mentre Rodolfo rimane a casa a scrivere promettendo di
raggiungerli a breve. Si ode un lieve colpo alla porta e questa volta l'ospite si rivela essere uno dei
vicini, Mimì, una giovane donna, bella, ma debole e pallida. A causa degli spifferi le si è spenta la
candela sulle scale ed ora vorrebbe riaccenderla. Rodolfo soddisfa il suo desiderio, ma proprio
mentre se ne sta per andare, la ragazza si sente mancare. Dopo che Rodolfo le ha offerto del vino
perché si rimetta in forze, Mimì si accorge di aver perso le chiavi di casa e mentre le stanno
cercando sulle scale, le loro candele si spengono. Il poeta prende la mano della ragazza e le confida
i suoi sogni al chiaro di luna. Da parte sua Mimì gli spiega che lei conduce una vita piuttosto
semplice e solitaria ricamando fiori: la ragazza adora la primavera. Nel frattempo Rodolfo trova le
chiavi di Mimì, ma se le nasconde in tasca. Da fuori, gli amici di Rodolfo lo chiamano perché lui li
raggiunga al Café Momus. Avvertendoli che arriverà presto, Rodolfo chiede loro di occupargli due
sedie. Rodolfo e Mimì, che sono molto attratti l'uno dall'altra, lasciano la soffitta per raggiungere gli
altri al café.
QUADRO II
Nel Quartiere Latino c'è gran festa. Rodolfo compra a Mimì un cappello rosa che la ragazza
desiderava da molto tempo. Nel frattempo anche Colline si è comprato un cappotto rattoppato.
Musetta, l'ex ragazza di Marcello, entra nel café con Alcindoro, un suo anziano ammiratore. Lei è
ancora attratta da Marcello, e lui da lei, ma mentre lei canta una canzone sul suo successo con gli
uomini con l'intenzione di attirare l'attenzione dell'amato, lui cerca di ignorarla. Musetta fa finta che
le scarpe le facciano male e manda Alcindoro a comprarle delle scarpe nuove. Appena Alcindoro
esce, Musetta si getta nelle braccia di Marcello. Infine la compagnia se ne va e Musetta dice al
cameriere del café che Alcindoro si occuperà del conto.
QUADRO III
All'alba in un mattino nevoso di febbraio nella periferia di Parigi, distrutta dalla tosse Mimì si
avvicina alla taverna dove Marcello e Musetta sono andati a vivere dopo essersi riconciliati. Mimì
rivela a Marcello di non poter più rimanere con Rodolfo a causa della sua estenuante gelosia: è
meglio che si separino. Improvvisamente si sente la voce di Rodolfo e Mimì si nasconde alla sua
vista. Il poeta confida a Marcello di voler chiudere la sua relazione con Mimì dal momento che è una
donna volubile e civettuola e anche a causa delle loro frequenti litigate. Subito dopo però Rodolfo
crolla e non gli rimane che dire la verità: il poeta ammette di essere in realtà molto preoccupato per
la salute di Mimì e crede che la ragazza, restando nella sua fredda soffitta nella miseria più nera,
non potrà che peggiorare. A questo punto si sente un colpo di tosse e finalmente Mimì esce dal suo
nascondiglio; Rodolfo è sconvolto perché sa che la sua amata ha sentito tutto quello che ha detto.
Anche se Mimì lo vuole lasciare, Rodolfo insiste perché restino insieme almeno fino a primavera
perché l'inverno sarebbe una stagione troppo triste per stare separati. Nel frattempo Marcello torna
alla taverna, dove Musetta sta ridendo e flirtando con un altro uomo. Marcello e Musetta si lasciano
con rancore, mentre Rodolfo e Mimì decidono di restare insieme fino a primavera.
QUADRO IV
Alcuni mesi più tardi, nella soffitta, Marcello e Rodolfo si lamentano della loro solitudine dal
momento che entrambi si sono separati dalle loro amanti. Colline e Schaunard arrivano offrendo
agli amici un pò di cibo. I quattro bohémiens decidono di volgere la situazione al meglio
immaginando e fingendo di trovarsi a un banchetto: danzano per la stanza, ridono e scherzano e
alla fine mettono pure in scena un duello. La loro euforia si smorza però velocemente quando
Musetta irrompe nella stanza gridando che Mimì è collassata sulle scale chiedendo di vedere
Rodolfo: Mimì, pallida e stremata, viene accompagnata al piano superiore e adagiata su un comodo
letto. Gli amici non hanno soldi per un dottore o per delle cure e così Musetta si toglie gli orecchini
chiedendo a Marcello di pignorarli. Per contribuire alle spese anche Colline decide di vendere il
soprabito che ha da poco acquistato. Quando lui e Schaunard lasciano la stanza, Mimì e Rodolfo
restano finalmente soli. Abbandonandosi ai ricordi del loro primo incontro e parlando del loro
reciproco amore, si promettono di restare insieme per sempre. Poco dopo gli altri amici tornano con
un manicotto per riscaldare le mani fredde di Mimì e con la notizia che il dottore arriverà presto per
visitare la ragazza. Mimì viene colta da un forte colpo di tosse e mentre Rodolfo si volta per un
attimo, Schaunard si accorge che Mimì è morta. Tutti sono consci del fatto, tranne Rodolfo che
crede che la ragazza stia riposando e non vuole rassegnarsi al destino. Alla fine, quando anche lui
scopre la triste verità, urla il suo nome preso dalla disperazione.
CURRICULA VITAE
GIAMPAOLO MARIA BISANTI
Milanese, nato nel 1972, intraprende giovanissimo gli studi presso il Conservatorio di Musica G.
Verdi di Milano in clarinetto, pianoforte, composizione e successivamente in direzione d'orchestra
diplomandosi nel 1997 con il massimo dei voti. Parallelamente frequenta il Corso Triennale di Alto
Perfezionamento in direzione d'orchestra presso l'Accademia Musicale Pescarese diplomandosi nel
1995 sempre con il massimo dei voti. E' vincitore dello stage per direttori d'orchestra tenuto dal M°
Donato Renzetti presso i Pomeriggi Musicali di Milano nel 1998.Nel 1998 e 2001 è docente presso
il Conservatorio “G.Verdi” di Milano in Esercitazioni Orchestrali e Direzione d'Orchestra. Dal 1995 è
direttore principale dell'Orchestra Mozart di Milano e viene regolarmente ospitato presso le più
prestigiose orchestre e festivals internazionali. Ha debuttato 21 titoli di opere liriche e diretto più di
350 concerti sinfonici, collaborando con artisti di chiara fama tra cui K.Ricciarelli, M.Pertusi,
T.Fabbricini. Vincitore di numerosi premi internazionali (Mitropoulos-Atene 1998, Franco CapuanaRoma 1999 e Budapest 2002) e nazionali, è iscritto all'Albo d'Oro del Mondo della Musica di Roma,
nella Banca Dati Musicale Italiana e Podium del Cidim (quale italiano vincitore di concorsi
internazionali), nell'A.I.T. Opera di Ginevra e nel 2001 British and International Music Yearbook di
Londra. Da gennaio 2005 e' stato nominato direttore artistico dell'Orchestra Filarmonia Veneta
“G.F.Malipiero” di Treviso. E' stato prescelto per far parte nel 2005 GSE Rotary Team che ha visitato
la città di Boston ove è stato anche invitato a prendere parte alla Masterclass tenuta dal M° Benjamin
Zander presso la Boston Philarmonic Orchestra. Ha recentemente debuttato al Gran Teatro la Fenice
di Venezia con l'Orchestra della Fenice.
DINO LEONARDO GENTILI
Nato a Milano nel 1965, ha conseguito la laurea in Lettere presso l'Università di Milano con 110 e
lode. È stato critico teatrale ed attore, per molti anni ha fatto l'assistente alla regia tra cui si ricordano i
seguenti spettacoli: “Scena madre” di Arthur Schnitzler regia di Alain Maratrat, con Vittorio Mezzogiorno; “Otello” di W. Shakespeare regia di Gabriele Lavia, con Umberto Orsini e Franco Branciaroli;
“Carmen” di G. Bizet, regia di Franco Zeffirelli; “Aida” di G. Verdi regia di Gianfranco De Bosio;
“Turandot” di G. Puccini regia di Giuliano Montaldo; “Idomeneo” di Mozart, regia Andrea De Rosa,
“Curlew River” di Britten, regia di Andrea De Rosa. Ha curato due regie liriche: La Bohème di Puccini
per Trapani e Trento (2006/07) e La Traviata di Giuseppe Verdi al Teatro di Matanzas (Cuba), con
coro ed orchestra del Teatro Nazionale dell'Habana. Nel settembre 2007 debutterà nella regia cinematografica con il film “Sono viva” vincitore di un fondo ministeriale per le opere prime. Scritto e diretto con Filippo Gentili. Ha scritto diverse sceneggiature per la Televisione fra cui: Capri; Scuola di
Polizia; Incantesimo 7 e 8; Distretto di polizia 2; e per il cinema fra cui: Hotel Meina (2005)scritto
con Filippo Gentili regia di Carlo Lizzani; I giorni dell'abbandono (2004) - collaborazione con Filippo
Gentili alla sceneggiatura di Roberto Faenza, regia di Roberto Faenza, presentato al Festival di Venezia 2005; Alla luce del sole (2003) collaborazione con Filippo Gentili alla sceneggiatura di
Roberto Faenza regia di Roberto Faenza; Sono viva 2004 scritto con Filippo Gentili; Saimir (2002)
scritto insieme a Francesco Munzi e Serena Brugnolo regia di Francesco Munzi - menzione speciale
opera prima al Festival di Venezia 2004.
CURRICULA VITAE
DAMIANO PASTORESSA
Come tecnico teatrale e capo macchinista prima, e direttore degli allestimenti scenici poi, ha iniziato
nel 1975 presso il Teatro Petruzzelli di Bari la sua attività per andare poi al Teatro Politeama di Lecce.
In questo periodo ha costruito e realizzato le scene di opere liriche accanto al professor Tito Varisco.
Nel 1989 lascia temporaneamente l'attività lirica per lavorare per dieci anni con Gabriele Lavia e la
sua compagnia diventando il costruttore e il responsabile degli allestimenti scenici di alcuni memorabili spettacoli tra cui si ricordano: “Zio Vanja”, “Il giardino dei ciliegi”, “Sogno di un uomo ridicolo”, “il padre”. Nel ´95 riprende a collaborare come responsabile degli allestimenti scenici all'attività lirica per il Teatro Comunale di Treviso: memorabili sono stati il “Macbeth”, “Il Flauto Magico”,
“Carmen”. Dal 2000 al 2005 lavora per Glauco Mauri e la sua compagnia, sempre come responsabile degli allestimenti: “Re Lear”, “Variazioni enigmistiche”, “Il bugiardo”. È poi impegnato per il
Teatro dell'Opera Giocosa di Savona, per il Teatro Eliseo di Roma (lavora con Patroni Griffi né “il
Giocatore”), Ente Lirico di Cagliari, il Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno e con il Luglio Musicale
Trapanese cui presta la sua attività dal 1987 ininterrottamente. Proprio per il Luglio Musicale Trapanese fa il suo debutto come scenografo né la Bohéme, regia di Dino Gentili, ora ripresa anche al
Teatro Sociale di Trento; a Trento ha diretto gli allestimenti scenici di tutte le produzioni liriche dal
2000 ad oggi. Ha lavorato molto anche all'estero: in Brasile, a Montecarlo, in Australia, in Norvegia,
in Giappone, in Russia, in Spagna, in Grecia, in Svizzera, in Germania, in Argentina ed Egitto.
Ha collaborato con prestigiosi registi e scenografi tra cui: Mauro Bolognini, Glauco Mauri, Gabriele
Lavia, Tito Varisco, Giuseppe di Stefano, Virginio Puecher, Giovanni Quaranta, Franco Zeffirelli,
Pierluigi Pizzi, Andrea De Rosa, Dino Gentili, Giuseppe Patroni Griffi, Alessandro Camera, Ugo Chiti.
Nel 1995 ha ricevuto il “biglietto d’oro” AGIS quale miglior tecnico teatrale italiano.
ANNA REDI
Regista, danzatrice e attrice. Nel suo percorso ha lavorato con Pippo Delbono, Wim Vandekeybus,
Marco Manchisi, Maurizio Bercini di “Le Briciole”, Marco Baliani, Mario Martone, Enzo Moscato,
Arturo Cirillo, Alfonso Santagata. Ha vinto il Premio Girulà come migliore giovane attrice napoletana
e il Premio Scenario come autrice di Bagarie. Dal 1989 svolge seminari teatrali per comunità di recupero, minori a rischio e per la comunità psichiatrica “La Redancia”. È autrice con Bianca Papafava
e Clelia Moretti di Quelle Histoire. È autrice di Le stanze di Penelope (Bologna 2000), Alzati (Savona), Animula (Comune di Napoli e Regione Campania), Sono sfiorite le rose (Seconda Università
di Napoli), Nel Mitreo (Seconda Università di Napoli), Pa' (Progetto Petrolio), Lo importante es no
caer.
MARCO COMUZZI
Nel 1984 inizia la sua attività di tecnico luci con la società di Services “illuminotecnica” di Bologna
con cui partecipa fino al 1991 alle seguenti attività: allestimenti luci a Festival internazionali di
danza: Oriente-Occidente, Abano Danza, Bolzano danza oltre ad importanti allestimenti luci per
sfilate di moda (Milano, Firenze, Modena), allestimento luci per Mostre d'arte (Depero al Mart di
Rovereto), installazioni luci in spazi cittadini e non con il design luci Paolo Baroni per eventi e feste
(capodanno in Piazza maggiore a Bologna, Castel Beseno “Se in Trentino d'estate un castello” Buonconsiglio di Trento). Collabora anche con alcune compagnie teatrali per la progettazione ed esecuzione luci degli spettacoli (Cooperativa Nuova scena di Bologna, Roberto Castello). Opere liriche:
progettazione ed esecuzione luci del Barbiere di Siviglia per la regia di Maurizio Nichetti, progettazione ed esecuzione luci per l'Italiana in Algeri per la regia di Ugo Chiti, progettazione ed esecuzione
per la Cenerentola per la regia di Tonino Conte e scene di Luzzati; collaborazione all'allestimento luci
della trilogia di Mozart per la regia di Mario Martone oltre alla collaborazione all'opera “Curlew River “
per la regia di Andrea De Rosa.
CURRICULA VITAE
SUSANNA BRANCHINI
soprano
Nata a Roma, si diploma in canto nel 1996 con il massimo dei voti al Conservatorio “F. Morlacchi” di
Perugia. Contemporaneamente segue il corso di musicologia del Prof. Petrobelli all'Università “La
Sapienza” di Roma e prende parte a diversi stages e corsi di perfezionamento tenuti da personalità
dell'ambiente musicale quali Mietta Sighele, Veriano Luchetti, A. Kraus, E. Muller. Da allora si è
esibita in numerosi concerti e recitals in tutta Italia, estendendo il suo repertorio dal melodramma
italiano e francese, alla musica da camera italiana, tedesca (lieder), francese (melodies), includendo
anche autori russi e americani. Ha preso parte ad alcuni festival internazionali (Copenhagen,
Toulouse, Skopje) ed è stata protagonista di eventi inaugurali e di eventi commemorativi e di prime
assolute di lavori contemporanei (Sabrina, Funeral Elegy di F. Bastianini). Vincitrice del Concorso
Lirico Internazionale “Città di Roma” nel 1998, debutta al Teatro Brancaccio di Roma nel ruolo di
Micaela nella Carmen di Bizet. È stata finalista al Concorso As.Li.Co e finalista al XXXIII Concours
International de Chant de “la Ville de Toulouse” dove, oltre a ricevere elogi e preziosi consigli dal
soprano Leyla Gencer – membro della giuria –, si è esibita nel concerto finale tenutosi nel Thèatre du
Capitole con l'Orchestre National du Capitole sotto la direzione di C. Diederich. Ha cantato in diversi
teatri italiani:Grande di Brescia, Donizetti di Bergamo, Sociale di Como, Ponchielli di Cremona,
Fraschini di Pavia. Ha inciso il ruolo di Natalia nell'opera Zazà di Leoncavallo edita dalla casa
discografica Bongiovanni di Bologna.
GIANCARLO MONSALVE
tenore
Nato in Cile, ha iniziato i suoi studi di canto al Conservatorio di Viňa del Mar con il soprano Nora
Lopez, perfezionandosi con Mario Barrientos; ha proseguito sotto la guida di Carlos Beltrami al
Teatro Municipal di Santiago del Cile, poi in Italia con Mirella Freni e Massimo Morelli. Attualmente
si sta perfezionando con Dano Raffanti. Ha iniziato la sua carriera cantando sui palcoscenici più
importanti del Cile partecipando inoltre a una serie di concerti, realizzati nel sud del Cile per conto
dell'ambasciata italiana in Cile . Trasferitosi in Italia, ha proseguito cantando a Verona con l'orchestra
“Accademia delle Muse”, diretta dal maestro Candiotto e ha preso parte ad alcuni concerti per “The
Caledonian Academy of Tuscany”. Per il Festival pucciniano di Lucca ha cantato al Teatro Romano di
Sharm El Sheikh in Egitto e durante la scorsa stagione ha debuttato Pinkerton in Madama Butterfly a
Lucca. Ha recentemente cantato Rodolfo in Bohème al Luglio Musicale Trapanese. Tra gli impegni
futuri si segnala ancora Madama Butterfly, poi La Traviata e Bohème sempre per il “Festival Puccini e
la sua Lucca”; nell'ottobre scorso il tenore ha debuttato in Paolo e Francesca al Teatro Comunale di
Bologna, mentre sarà di nuovo Rodolfo in Bohème in gennaio a Trento.
CURRICULA VITAE
SIMONE DEL SAVIO
bass-baritone
Nato a Susa nel 1980, studia canto privatamente con Valter Carignano e Susy Dardo. Tra il 1996 e il
1998 partecipa a stage internazionali di «Polifophonie vocale en çevènne» tenuti dal M°Maurice
Bourbon e nel 2004 consegue il diploma in canto presso il Conservatorio «G. Verdi» di Torino. Nel
2005 vince il Concorso Internazionale «Toti Dal Monte» di Treviso e si aggiudica il secondo premio al
Concorso Internazionale «Riccardo Zandonai» di Riva del Garda.È vincitore inoltre del Secondo
Concorso Internazionale di Canto Lirico e da Camera «Città di Vercelli», il Concorso «Roero in
Musica», il Concorso Internazionale di Canto Lirico e da Camera «Nino Carta» di Moncalieri, la
Rassegna Musicale Giovanile «Città di Busalla», il Concorso Internazionale «Johannes Brahms» e la
XIV Rassegna Musicale Nazionale «I giovani per i giovani» di Ravenna. Debutta nel 1998 nell'opera
Prima la musica e poi le parole di A. Salieri e successivamente è Belcore ne L'Elisir d'Amore. Nel
2002 debutta nel ruolo di Schaunard, di Monterone in Rigoletto e di Ludovico in Otello. L'anno
successivo riveste il ruolo del protagonista in Don Pasquale ed è Alidoro in Cenerentola. Nel 2004 è
Belcore ne L'Elisir d'Amore al Teatro Alighieri di Ravenna e nei teatri del Circuito Lirico Lombardo,
Figaro ne Le Nozze di Figaro in una tournée in Francia. Nel 2005 è Don Profondo ne Il Viaggio a
Reims per il Rossini Opera Festival ed è il Dottor Malatesta in Don Pasquale in seguito alla vincita del
concorso «Toti Dal Monte». Nella stessa stagione debutta il ruolo di Leporello in Don Giovanni al
Teatro Verdi di Pisa e a Prato. Nel 2006 è il Capitano nella Manon Lescaut al Teatro Regio di Torino,
Alidoro ne La Cenerentola al Teatro Verdi di Trieste, Guglielmo in Così Fan Tutte per la Saint Paul
Chamber Orchestra negli Stati Uniti sotto la direzione del Maestro Roberto Abbado. Debutta al Luglio
Musicale Trapanese il ruolo di Marcello ne La Bohème. In Leporello in Don Giovanni allo
Stadttheater di Klagenfurt, Marcello ne La Bohème al Teatro Comunale di Bologna e a Trento ed
Alfonso nella Lucrezia Borgia al Teatro Regio di Torino.
PAOLA ANTONUCCI
soprano
Originaria di Chieti, si diploma nel 1989 al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro. Perfeziona i suoi
studi musicali con i maestri Sesto Bruscantini, Gustav Kuhn, Margareth Baker. Dopo il debutto nel
1990 al Teatro di Città del Messico nel ruolo di Gilda, la sua carriera si volge verso l'interpretazione
delle primedonne del Settecento. È ospite abituale di prestigiosi teatri italiani ed esteri. Nel suo vasto
repertorio predilige i ruoli rossiniani e mozatiani, ha sostenuto infatti la parte di Rosina del Barbiere
di Siviglia in numerosi teatri quali il “Rossini” di Pesaro, l'opera di Monaco, Stoccarda, Francoforte,
Helsinki, Parigi, Nantes, e ancora al New National Theater di Tokio e all'Opera di Seul. Altre interpretazioni rossiniane sono: Desdemona nell'Otello al Berlin Schauspiele House, Berenice nell'Occasione fa il ladro e Sofia nel Signor Bruschino al “Rossi” di Macerata, al Narodni Divadlo di Praga,
all'Opera di Budapest e al Teatro San Carlo di Napoli. Per quanto riguarda Mozart ha interpretato
Despina nel Così fan tutte, Susanna nelle Nozze di Figaro, Ilia nell'Idomeneo , Tamiri nel Re Pastore.
Importanti successi anche nei ruoli donizettiani di Adelia, Primadonna, Norina e Adina, nonché in
quello pucciniano di Musetta. Dal repertorio del Novecento ha interpretato il ruolo di Donna Lorenza
nel Cordovano di Petrassi, Il cappello di paglia di Firenze di N. Rota e Nedda nei Pagliacci di
Leoncavallo. Da alcuni anni collabora con il Festival Internazionale dell'Operetta di Trieste, sotto la
guida musicale di D. Oren e per la regia di G. Landi. Recentemente ha interpretato la Traviata
debuttando nei Teatri di Tokio, Chieti e Jesi. L'artista svolge un'intensa attività discografica; ha infatti
registrato per Ricordi, BMG, Fonè, Bongiovanni e Artenova collaborando tra gli altri con G. Kuhn, S.
Accardo
CURRICULA VITAE
FRANCESCO PALMIERI
basso
Si è diplomato in canto al Conservatorio di Vibo Valentia e si è perfezionato con Paolo Montarsolo,
Luigi Petrozziello, Bonaldo Giaiotti e con Elio Battaglia sul repertorio liederistico tedesco. Ha vinto il
Concorso Internazionale "Città di Roma" (1996) - debuttando successivamente nei ruoli di Ferrando
(Il Trovatore), Don Basilio (Il Barbiere di Siviglia), Colline (La Bohème) - e il Concorso "Giuseppe Di
Stefano" di Trapani (1977) che lo ha visto impegnato nel ruolo di Don Magnifico (La Cenerentola).Ha cantato in Così fan tutte (Don Alfonso), Otello (Lodovico) alla Fenice di Venezia, Rigoletto al
Teatro Carlo Felice di Genova, Il Barbiere di Siviglia con la regia di Enzo Dara al Teatro Pergolesi di
Jesi, Aida (Ramfis) alla Mississauga Opera (Ontario-Canada), I Puritani alla Opernhaus di Essen.
Nel corso del 2005 debutta come Mefistofele nell'omonima opera di Boito al Teatro Marrucino di
Chieti; è impegnato al Politeama di Lecce per Les pecheurs de perles (Nourabad), all'Arena di Verona
nella Gioconda con la regia di Pierluigi Pizzi. Canta il ruolo di Angelotti (Tosca) allo Sferisterio di
Macerata e al San Carlo di Napoli. Tra gli impegni della stagione 2006 si segnalano Die Zauberflöte
a Chieti, Turandot a Palermo, Sakùntala di Alfano con la direzione di Gianluigi Gelmetti all'Opera di
Roma, Cristoforo Colombo di Gomes al Teatro Bellini di Catania, dove ha interpretato il ruolo del
Frate, e I Puritani al Chelsea Festival di Londra. Svolge anche attività concertistica, tenendo recital di
musica liederistica.
MATTIA NICOLINI
basso-baritone
Gli studi con Vito Maria Brunetti, Carlo Camerini e Claude Thiolas, lo conducono nel 1989 al
debutto nella Serva Padrona di Pergolesi nell'ambito della Sagra Malatestiana e all'affermazione in
diversi concorsi. La sua cariera si sviluppa su due binari complementari: ad una ricca attività
sinfonico-cameristica dove spiccano le esecuzioni della Cantata N° 4 di J.S. Bach con l'Orchestra
dell'Accademia di S.Cecilia, de' “La Maledizione del cantore” op.139 di R. Schumann con l'Orchestra Rai di Milano, del Requiem di G. Faurè con l'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, de'
“Beatitudines” di G. Petrassi con l'Orchestra Giovanile Italiana, affianca l'impegno in campo
operistico, soprattutto nel repertorio dell'opera buffa e in ruoli di carattere, o mirato al recupero in
ripresa moderna di lavori non molto frequentati. Ha cantato in numerosi teatri italiani ed esteri sotto
la guida di direttori quali: Marek Janowsky, Christopher Stembridge, Lothar Zagrosek, Maurizio
Arena, Tiziano Severini, Isaac Karabtchevsky, Enrique Mazzola, Karl Martin, John Neschling, Rafael
Frühbeck de Burgos, Claudio Desderi, Giancarlo Andretta etc., e registi come: Enzo Dara, Franca
Valeri, Maurizio Nichetti, Hugo De Ana, Alberto Fassini, Michael Hampe, Leo De Berardinis,
Pierluigi Pizzi, Graham Vick, Ugo Chiti, Luca Ronconi etc. Tra i suoi più recenti impegni: Curlew
River di Britten a Trento e Pisa con la regia di Andrea De Rosa e la direzione di Damian Iorio, Un ballo
in maschera di G. Verdi al Teatro Massimo di Palermo diretto da Stefano Ranzani e la regia di Pier
Luigi Pizzi. Ha all'attivo diverse incisioni operistiche.
FRANCO FEDERICI
basso
Nato a Parma, diplomato al Conservatorio della stessa città col massimo dei voti; in seguito ha
acquisito per meriti artistici l'abilitazione all'insegnamento in tutti i Conservatori (Licei Musicali)
italiani. Ha vinto concorsi nazionali ed internazionali nelle città di Parma, Milano, Reggio Emilia,
Firenze, Venezia, Trieste, Spoleto, Monaco di Baviera, Sofia e Ginevra. Ha ricevuto i premi VERDI
D'ORO a Parma e PONCHIELLI a Cremona per l'intensa attività svolta nelle opere di questi autori. Ha
lavorato e lavora tuttora nei maggiori teatri italiani e del mondo. Ha inciso diverse opere in Video e
CD, inoltre ha cantato e canta coi più famosi cantanti del mondo: ha esordito giovanissimo ne La
Forza del Destino, con Renata Tebaldi, Mario Del Monaco ed Ettore Bastianini (direttore Antonino
Votto), ha proseguito al fianco di Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, in seguito con Pavarotti,
Domingo, Carreras, Kabaivanska ecc. Ha collaborato coi maggiori direttori d'orchestra quali
Riccardo Muti, Claudio Abbado, Gavazzeni, Molinari Pradelli, Votto, Chailly, Zubin Metha, Henry
Levine, Santi, Sanzogno e registi quali Luchino Visconti, Federico Fellini, Roberto Rossellini,
Eduardo De Filippo, Franco Zeffirelli. Recentemente ha cantato nelle opere La Traviata, Le Nozze di
Figaro, Salome (negli U.S.A.), Tosca, Rigoletto, Andrea Chenier, Carmen, Bohème e Macbeth. All'attività operistica affianca un'intensa attività concertistica e di insegnamento.
ORCHESTRA
FILARMONIA
VENETA
“GIAN
FRANCESCO
MALIPIERO”
Presidente
Carlo Piombo
Segretario Generale
Claudio Sartorato
Direttore Artistico
Gianpaolo Bisanti
Segretario Artistico
Stefano Romani
Ispettore d'orchestra
Davide Trevisan
Addetto Stampa
Marina Grasso
Responsabili
di segreteria
Elena Teso
Carlo Rossi
Violini I
Violini II
Viole
Violoncelli
Tommaso Luison * spalla
Lavinia Tassinari * concertino
Giorgio Baldan
Kanda Chiaki
Mario Donnoli
Adina Furlanetto
Andrea Rizzi
Francesco Scattolin
Massimiliano Tieppo
Monica Zampieri
Vicenzino Bonato *
Federica Bertevello
Mariarosa Cannistraci
Laura Gentili
Monica Miozzo
Dan Paun
Alessandra Vianello
Cristina Zanolla
Fabrizio Scalabrin *
Alessandro Dalla Libera *
Federico Furlanetto
Marina Nardo
Marco Perin
Vittorio Piombo *
Alberto Barbaro
Giancarlo Giacomin
Valentina Migliozzi
Giordano Pegoraro
Contrabbassi Marco Ciminieri *
Davide Grespi
Stefano Versolato
* prime parti
Arpa
Alessia Luise *
BANDA
IN PALCO
Ottavini
Nicola Bighetti
Ornella Gottardi
Elka Rigotti
Trombe
Giacomo Gabriele Bezzi
Emiliano Tamagnini
Alessio Tasin
Percussioni
Roberto Pangrazi
Flauti
Claudio Montafia *
Antonio Vivian
Claudia Burlenghi ottavino
Oboi
Stefano Romani *
Michela Manaigo
Giorgio Ferroci corno inglese
Clarinetti
Roberto Scalabrin *
Alessandro Toffolo
Alessandro Muscatello cl. basso
Fagotti
Francesco Fontolan *
Stefano Meloni
Corni
Massimo Capelli *
Lorenzo Meneghetti
Paola Sponti
Davide Trevisan
Trombe
Fabrizio Mezzari *
Alberto Perenzin
Augusto Righi
Tromboni
& Tuba
Ferdinando Danese *
Fabio Rovere
Alessio Savio
Roberto Ronchetti tuba
Timpani
& Percussioni Giacomo Giacometti * timpani
Mirto Cagni
Cristiano Torresan
Marica Veronese
LUIGI AZZOLINI
maestro del coro
Inizia la propria carriera artistica come strumentista diplomandosi in violino e in viola presso il
Conservatorio di Padova ed intraprendendo anche studi di analisi e composizione con il M° A.
Franceschini. Svolge un'intensa attività concertistica in Italia e all'estero e innumerevoli sono le
partecipazioni a registrazioni e incisioni discografiche nonché a prime esecuzioni assolute.
Dal 1985 all'attività strumentale affianca la direzione di coro divenendo Direttore del coro Polifonico Castelbarco di Avio, del Gruppo corale Quadrivium, dell' Ensemble Vocale Continuum
e del Coro del Teatro Sociale di Trento con notevole attività concertistica. Nel 2003 ha debuttato alla direzione dell'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano e nel 2004, ha lavorato in qualità
di assistente del M° Corrado Rovaris, presso il Teatro dell'Opera di Losanna. Già docente presso i Conservatori di Musica di Adria e Trento, attualmente insegna presso il Conservatorio
"Claudio Monteverdi" di Bolzano.
CORO DEL TEATRO SOCIALE DI TRENTO
La compagine corale è nata con le produzioni operistiche del Centro Servizi Culturali S.Chiara
di Trento; l'allestimento del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini nel 1999, anticipato dalla messa in scena de la Traviata e la Cenerentola di Rossini per l'inaugurazione del Teatro Sociale nel 2000 (occasione che ha determinato l'attuale denominazione del coro) sono le tappe
che tracciano un itinerario artistico assai impegnativo. La stretta e proficua collaborazione con
l'Orchestra Haydn e l'Orchestra Filarmonia Veneta, sotto la direzione dei Maestri Dario Lucantoni, Giancarlo Andreatta e Karl Martin, hanno portato il Coro ad esibirsi in altri teatri italiani
quali il Sociale di Rovigo, il Verdi di Pisa, il Nuovo Teatro di Bolzano e all'Opera Festival di Bassano, riscuotendo unanimi consensi ed apprezzamenti. Da ricordare inoltre la partecipazione
all'allestimento del Requiem di Verdi presentato nel mese di agosto 2001 a Bolzano, Bressanone e nel Duomo di Trento con l'Orchestra Haydn con la direzione del Maestro Cristian
Mandeal. Nel 2001 ha partecipato a Così fan tutte di Mozart con la Direzione di Corrado
Rovaris, rappresentato a Trento, Rovigo e Bolzano. Nel 2002-2003 ha partecipato alla prima
nazionale della Messe Solennelle di Berlioz nel Duomo di Trento, per la direzione di Christoph
Eberle, ed all'allestimento dell'Italiana in Algeri e del Don Giovanni, che hanno aperto le ultime
Stagioni Liriche a Trento, con la Direzione del Maestro Giancarlo Andretta. Nel 2004 ha cantato nella produzione del Centro S.Chiara di Trento Idomeneo, re di Creta di Mozart e nel 2005
in Curlew River di Britten. Il Coro del Teatro Sociale di Trento è preparato e diretto dal M° Luigi
Azzolini.
CORO DEL
TEATRO
SOCIALE
DI TRENTO
Claudia Giongo
Paola Fumana
Barbara Lui
Federica Majer
Irene Oberosler
Anna Pellizzari
Michela Pizzolato
Roberta Pozzer
Daniela Sannicolò
Monica Schmidt
Rossana Verlato
Sara Webber
Emanuela Chizzola
Elena Croci
Giulia Gabrielli
Francesca Martinelli
Martina Zanaga
Marco Cavagnis
Enrico Benati
Fabio Bonatti
Silvano Ceolin
Roberto Garniga
Alberto Manzoni
Sandro Miori
Daniele Morandini
Mauro Scalzini
Alessio Tosi
Paolo Deanesi
Stefano De Nardin
Salvatore De Salvo
Adrian Di Blasi
Carlo Menardi
Giuseppe Ostini
Guido Trebo
Marco Petrolli
Mirko Vezzani
CHIARA BIONDANI
direttore coro voci bianche C.Eccher
Ha maturato la sua esperienza musicale all'interno del coro e scuola di musica “I Minipolifonici” di Trento fondati e diretti da Nicola Conci. È diplomata in canto lirico presso il Conservatorio “C.Monteverdi” di Bolzano sotto la guida del Maestro Vito M.Brunetti. Ha seguito
corsi di perfezionamento al canto a livello nazionale e internazionale. Collabora con la Federazione cori del Trentino per la realizzazione di eventi corali. Attualmente é Direttrice e Presidente della Scuola di musica “C.Eccher” delle Valli di Non e di Sole, nella quale svolge pure
attività didattica. Nel 1990, promossa la costituzione del Coro di voci bianche della scuola di
musica "C. Eccher", sotto la sua direzione, ottiene ben presto ottimi risultati e prestigiose affermazioni in concorsi corali nazionali ed internazionali.
CORO VOCI BIANCHE C. ECCHER
Il Coro Voci Bianche C.Eccher nasce nel 1990. La fascia dei coristi va dai 9 ai 15 anni, tutti
conoscono la musica e quasi tutti suonano uno strumento. Il Coro Eccher ha avuto il suo
primo importante debutto a Taio in occasione delle Celebrazioni Eccheriane. Ha partecipato a
numerosi concorsi nazionali ed internazionali ottenendo sempre importanti qualificazioni
(1996 3°premio al 31° Concorso nazionale Corale di Vittorio Veneto; 2004 Arezzo 3° posto al
Concorso Polifonico Internazionale “Guido D'Arezzo”). Dal 1995 organizza la Rassegna Internazionale per Cori di Voci Bianche. Ha partecipato con successo a concerti, rassegne e festival
in Italia ed in Europa, stringendo rapporti con numerosi cori nazionali ed esteri (Milano, Verona, Pordenone, Cagliari, Palermo, Svizzera, Repubblica Ceca, Spagna, Austria, Russia). Ha
messo in scena alcuni lavori teatrali per voci bianche (The Golden Vanity di B.Britten, Costruiamo una città di P.Hindemith).
CORO
VOCI BIANCHE
C. ECCHER
Bertagnolli Alessandra
Dacroce Ilaria
Dalpiaz Arturo
Dalpiaz Martina
Fondriest Vanessa
Leita Caterina
Pancheri Chiara
Pedron Nicola
Zanotelli Giuditta
Corradini Davide
Fedrizzi Giulia (27 Gennaio)
Depaoli Stefania (27 Gennaio)
Pancheri Valentina (27 Gennaio)
Salsano Veronica (27 Gennaio)
Chini Alice (29 Gennaio)
Grandi Chiara (29 Gennaio)
Ioris Anastasia (29 Gennaio)
Olaizola Elisa (29 Gennaio)
CENTRO SERVIZI CULTURALI S.CHIARA DI TRENTO
STAGIONE LIRICA 2006/2007
PROSSIMI APPUNTAMENTI
Sabato 10 e Domenica 11 marzo 2007 | ore 20.30
Teatro Sociale di Trento
OTELLO
DRAMMA LIRICO IN QUATTRO ATTI
Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Editore Casa Ricordi, Milano
Maestro concertatore e direttore Gianluca Martinenghi
Regia Dieter Kaegi
Scene e Costumi Gabbris Ferrari
Orchestra Filarmonia Veneta "Gian Francesco Malipiero"
Coro del Teatro Sociale di Rovigo
Maestro del Coro Giorgio Mazzuccato
NUOVA PRODUZIONE DEL TEATRO SOCIALE DI ROVIGO E IN COPRODUZIONE
CON: CENTRO SERVIZI CULTURALI S.CHIARA DI TRENTO, FONDAZIONE TEATRO
COMUNALE E AUDITORIUM DI BOLZANO, TEATRO VERDI DI PISA.
Organigramma
Centro Servizi Culturali Santa Chiara
Presidente
Carlo Fait
Vice Presidente
Grazia Cattani
Direttore
Franco Oss Noser
Vice Direttore
Marisa Detassis
Consiglio di Amministrazione
Carmine Ragozzino
Giuseppe Endrizzi
Lia de Finis
Renzo Fracalossi
Sandra Tafner
Collegio revisori dei conti
Renzo Sartori
Antonella Andreatta
Michela Margoni
Comunicazione e Promozione
Katia Cont, responsabile
Formazione e Promozione
Viviana Bertolini
Per TRENTO A TEATRO
con il Centro Servizi Culturali S.Chiara
collaborano i seguenti consulenti artistici:
Fausto Bonfanti, musica d'autore
Lanfranco Cis, danza
Stefano Giordano, cinema
Alfonso Malaguti, musica lirica
Giovanna Palmieri, teatro ragazzi
Cristina Pietrantonio, progetti di formazione musica lirica
Emanuela Rossini, progetti culturali stagione di prosa
Verba Volant - Trento AD Giuseppe Marchi Foto: Monique (backstage)
Comune di Trento
Provincia Autonoma di Trento
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo
Fondazione Carlo, Aldo, Alice e Maria Stella Tartarotti
Informazioni
Centro Servizi Culturali S. Chiara
Trento - Via S. Croce 67
Tel. 0461.213834 / 0461.213811
[email protected]
www.centrosantachiara.it