Continua... - Società del Quartetto di Milano

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Storia del “Quartetto”
di Enzo Beacco
Nascita della Società del Quartetto di Milano
Il 18 aprile 1878 viene eseguita per la prima volta in Italia la Nona sinfonia di
Beethoven, a Milano, in un memorabile concerto diretto da Franco Faccio e
organizzato dalla Società del Quartetto. È il momento culminante del grande
progetto di esecuzione integrale delle sinfonie di Beethoven iniziato nel 1867 con
la Pastorale e portato a termine dalla Società con grande sforzo e determinazione.
La cosa può sorprendere, per almeno due ragioni. Per il grande ritardo con cui
quel capolavoro arriva in Italia, oltre mezzo secolo, rispetto alla “prima”
viennese del 1824. Perché l’esecuzione è organizzata da una Società che per
definizione si concentra sulla musica da camera.
La spiegazione è però facile e sta tutta nella storia della vita musicale nel nostro
paese, di Milano e della sua Società del Quartetto. Una storia che non è
Frontespizio dello Statuto
circoscritta a un momento particolare, anche se importante e pure molto esteso,
della Società del Quartetto
del nostro Ottocento musicale, ma che s’intreccia con tutte le vicende che hanno
reso tanto vario e mutevole il Novecento e che ora portano la Società nel Duemila nel segno della vivacità
artistica e dell’autonomia organizzativa.
Tutto nasce dalla reazione, a metà secolo, al dominio che il melodramma esercita sull’intero mondo musicale
italiano. Un dominio che ha ristretto lo spazio per la musica strumentale ai limiti della scomparsa. Minima
attività sinfonica e concertistica nei teatri, mancanza di sale da concerto e di complessi stabili, scarsa pratica
musicale fra le mura domestiche, ignoranza di ciò che succede al di là delle Alpi. Nessuna sorpresa che
Beethoven sia semisconosciuto e che poco si sappia anche della produzione strumentale di Mozart, Haydn,
Schubert, Schumann, Mendelssohn. Conoscono la musica da camera solo pochi appassionati.
Tito Ricordi
Uno di questi è Tito Ricordi, titolare dell’omonima casa editrice musicale. Nato
nel 1813, figlio del fondatore Giovanni, ottimo pianista, fin da piccolo ha modo di
sentire fra le mura domestiche i grandi virtuosi stranieri di pianoforte e violino che
passano (raramente in verità) da Milano. Gli piace unirsi a loro per leggere spartiti
non accessibili, per le note ragioni, al pubblico normale. Come editore musicale,
ha anche interesse specifico che si apra un nuovo mercato accanto a quello
operistico in cui Ricordi ha una posizione dominante, con autori del calibro di
Donizetti, Bellini, Verdi. Sa che a Firenze nel 1861 è stata fondata una Società del
Quartetto, con la missione precisa di uscire dal provincialismo del melodramma e
di ampliare gli orizzonti musicali appunto alla grande tradizione strumentale
classica e romantica europea, con concerti, conferenze, pubblicazioni,
commissioni. Ne è animatore Abramo Basevi, un commerciante di professione e
musicomane per passione, un tipo estroverso e anticonformista, vulcanico e
imprevedibile.
Personaggi del genere stanno proliferando anche a Milano. Sono stufi dell’ordine stabilito, vogliono buttare
tutto per aria, cambiare arte, musica, letteratura, si definiscono scapigliati. Con loro stanno il letteratomusicista Arrigo Boito e il musicista-musicista Franco Faccio, entrambi giovanissimi e ben integrati nei circoli
intellettuali milanesi. Anche nel Conservatorio qualcosa si sta muovendo e i nuovi critici musicali (Filippo
Filippi, Antonio Ghislanzoni) hanno fatto letture internazionali e sembrano interessati al nuovo.
Tito Ricordi intuisce che i tempi possono essere favorevoli, se non proprio maturi, e decide di agire. Il 1°
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settembre 1863 propone di costituire una Società con il compito di “incoraggiare i cultori della buona musica
con pubblici esperimenti, con fondazione di premi per concorsi e colla redazione di una Gazzetta musicale,
organo della Società”. Nella primavera del 1864 il progetto diventa esecutivo. Una volta preparato lo statuto,
viene nominato il vertice della Società, con un perfetto equilibrio fra rappresentanti della comunità intellettuale
milanese: professori di musica, nobiluomini e professionisti coordinati dal giovane Giulio Ricordi, figlio di
Tito, ottimo pubblicista e futuro gestore della casa editrice. Per evidenti ragioni di prudenza e di opportunità,
pur essendo motori dell’iniziativa, non entrano nel consiglio Ricordi senior, Boito, Faccio, Filippi. I soci
vengono distinti fra protettori (“gli amatori e dilettanti di musica”), ordinari (“artisti e maestri esercenti”),
corrispondenti (“i residenti fuori Milano”). Le quote annue sociali sono stabilite in 40 lire per i protettori e 25
per gli ordinari, più una “tassa d’ingresso” di 20 e 10 lire rispettivamente.
Il primo appuntamento è fissato per il 29 giugno, alle ore 2 del pomeriggio, nella sala del Conservatorio.
Le prime stagioni: 1864-1866
Il primo concerto (che viene definito “esperimento”) ha un programma
composito, anche se rigorosamente cameristico: Quartetto in sol maggiore op. 10
n. 1 (K 387) di Mozart, Quartetto con pianoforte in fa minore op. 2 di
Mendelssohn, Settimino in mi bemolle op. 20 e Sonata in re minore op. 31 n. 2
(“La tempesta”) di Beethoven. La partecipazione di pubblico è buona (oltre cento
persone), la reazione soddisfatta.
Programma del primo
"Esperimento", 29 giugno
1964
Entusiasta (ma non poteva essere altrimenti) è il resoconto che appare sul
neonato Giornale della Società del Quartetto a firma di Arrigo Boito. Un secondo
esperimento viene varato il 20 novembre (Schumann, Mozart, Bazzini, Chopin,
Mendelssohn, Beethoven), un terzo l’11 dicembre (Beethoven, Boccherini,
Hummel, Piatti, Mendelssohn). La prima stagione si chiude l’8 gennaio 1865 con
pezzi solistici e d’assieme (quartetti, quintetti) di Haydn, Mendelssohn, Heller,
Onslow, Beethoven.
Dalla lettura dei programmi risulta evidente lo sforzo della Società di rispettare la missione che si è data:
proporre tanta musica di grandi autori classici stranieri favorendo però il nuovo, meglio se italiano. Si spiegano
così gli onnipresenti Beethoven e Mozart, e il Mendelssohn adorato da Boito, ma anche la presenza degli
italiani contemporanei Bazzini e Piatti e dei “nuovi” stranieri Heller e Onslow. E si capisce l’attenzione per il
pubblico, che fa evitare la potenziale noia dei timbri omogenei, e dunque alterna gli archi al pianoforte solo e
alle combinazioni con e senza fiati.
La formula sembra funzionare e per un paio d’anni non viene cambiata. Ai grandi classici già citati si
aggiungono il grande Bach e il minimo Croff, gli italiani classici Boccherini e Tartini, e i nuovi Andreoli,
Bazzini e Faccio, con in più i moderni stranieri Meyerbeer, Spohr e Vieuxtemps.
Anche gli interpreti non cambiano molto, nel senso che la Società si è costruita una formazione di base fatta da
alcuni valenti strumentisti d’arco (Bassi, Santelli, Truffi, Cavallini, Corbellini, Rampazzini, Quarenghi, Negri)
cui si aggiungono spesso autentici virtuosi (Bazzini, Sivori, Piatti), ottimi pianisti (Andreoli, Fumagalli) e
bravi fiati, permutando e combinando i quali riesce a costruirsi un repertorio praticamente infinito. Non
vengono in ogni caso cercati i grandi nomi e neppure gli artisti stranieri. Si privilegiano le musiche, non gli
esecutori.
Cresce il numero degli esperimenti, dai quattro iniziali agli otto del 1866. I conti non sono male, visto che il
primo anno chiude con un attivo di 2807 lire. Crescono pure i soci. Nel 1864 risultano 87 protettori, 31
ordinari, 48 corrispondenti. La stagione successiva sono 84 in più. Non regge invece il Giornale, che deve
chiudere per mancanza di contributi e per costi troppo elevati.
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Musiche strumentali e vocali, sinfoniche e da camera
La Società del Quartetto di Milano nasce dunque con il proposito di diffondere tutta la musica non operistica,
non solo quella da camera. Fin dall’inizio i fondatori pensavano all’orchestra. Spinti anche da Faccio che, dopo
il mediocre esito delle sue prime composizioni, sta trovando il successo come direttore d’orchestra in teatro e
in sala da concerto.
Il primo esperimento sinfonico si ha in apertura della stagione 1867, il 21 marzo
(e ripetizione dieci giorni dopo), con ouvertures di Gluck, Rossini, Weber e
Foroni con in fondo la Pastorale di Beethoven, in prima esecuzione a Milano.
Suona un’orchestra riunita per l’occasione con un direttore di cui non ci è stato
tramandato il nome. Da allora e fino alla fine del secolo ogni stagione della
Società del Quartetto ha avuto almeno un paio di esperimenti con orchestra, con
programmi sempre aggiornati e interessanti, di regola rivolti alla grande
tradizione classico-romantica germanica. Il primo direttore stabile è Terziani, ma
progressivamente s’impone Franco Faccio ed è a lui che si devono eventi
memorabili come la già citata “prima” della Nona sinfonia nel 1878, che peraltro
completa, per la prima volta in Italia, il grande progetto dell’esecuzione integrale
delle sinfonie di Beethoven iniziato più di dieci anni prima con la Pastorale.
Franco Faccio
Un importante assaggio della Nona era stato comunque già offerto nella stagione
1870 quando Hans von Bülow aveva diretto lo Scherzo e l’Adagio, in un
grandioso concerto celebrativo del centenario della nascita di Beethoven. In
programma anche l’Ottava, le ouverture Consacrazione della Casa e Egmont, la
Romanza per violino op. 50. Bülow peraltro domina la stagione 1870
presentandosi in quattro “esperimenti” su un totale di sei, anche come pianista
solista e da camera con un repertorio esteso da Bach a Liszt, da Beethoven a
Rubinstein, toccando Mozart, Schumann, Chopin.
Hans von Bülow
Nello stesso tempo continua l’esplorazione del repertorio cameristico vecchio e
nuovo a cura del “complesso stabile” della Società del Quartetto. I quartetti di
Beethoven hanno la parte del leone, però vengono eseguite anche molte novità,
compresi lavori vincitori dei premi banditi dalla Società e firmati da Bazzini,
Faccio e più tardi Martucci, Bolzoni, Frugatta.
Programmi
Quel 1878, con la prima della Nona e la conclusione dell’integrale delle sinfonie
di Beethoven, segna una svolta nei programmi della Società. Anche perché
l’ormai decennale pratica degli “esperimenti sinfonici” ha attecchito in città. Il
vecchio collaboratore Andreoli ha fondato nell’inverno del 1877 i Concerti
popolari al Conservatorio e in un decennio riuscirà a organizzare quasi cento
concerti. Franco Faccio, due anni dopo, fa nascere la Società Orchestrale del
Teatro alla Scala, dunque una regolare stagione sinfonica, accanto a quella
operistica.
Alla Società del Quartetto gli “esperimenti sinfonici” naturalmente continuano,
però con chiara volontà di sviluppare filoni originali. Come quello del concerto
monografico, attorno a un autore, a un interprete, a un’occasione. Dopo le
Anton Rubinstein
celebrazioni beethoveniane con Bülow, la stagione 1874 apre con Anton
Rubinstein direttore, pianista e compositore. Il 1879 è dedicato a Camille Saint-Saëns: sei concerti su un totale
di otto, con il musicista francese sempre impegnato in musiche proprie e altrui come direttore d’orchestra e
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come pianista solista o in complessi da camera. Nel 1883, la scomparsa di Wagner ispira un concerto di
musiche orchestrali dirette da Faccio. Altro gran concerto “tutto Wagner” con il grande specialista Felix Mottl
nel 1890. Ventiquattrenne e non ancora celebre, Richard Strauss si presenta nel 1888 come direttore, anche
della sua Sinfonia op. 12.
Arturo Toscanini e Gigi Ansbacher
La presenza dell’orchestra tende comunque a limitarsi a occasioni
speciali, come i tre grandi concerti di Arturo Toscanini (1900, 1901,
1905) e le visite della Filarmonica di Berlino diretta da Hans Richter
(1900), dei Berliner Tonkünstler diretti da Richard Strauss (1903),
dell’Orchestra della Scala con Martucci che presenta una sua sinfonia
(1904). L’orchestra continua a fare regolarmente da supporto a solisti e
si ricordano le memorabili prime esecuzioni dei concerti per violino di
Beethoven e Brahms (1915) e dei due per pianoforte di Brahms (1919
e 1923) rispettivamente con solisti Arrigo Serato e Nino Rossi e
sempre con la direzione di Enrico Polo.
Anche l’interesse della Società per il repertorio vocale-strumentale continua, a copertura di un’evidente lacuna
nella vita musicale milanese. Con un programma composito, nel 1871 la Cappella del Duomo precede una
lunga serie di cori italiani e stranieri impegnati in polifonie rinascimentali, classiche, moderne. L’attenzione è
ovviamente concentrata su Bach e culmina con la prima milanese della Passione secondo Matteo, diretta da
Volkmar Andreae il 22 aprile 1911.
I concerti monografici bachiani erano iniziati nel 1894 con due
“esperimenti” condotti da Guglielmo Andreoli a capo di solisti e cori
milanesi. La tradizione continua con Enrico Polo (1915), Michelangelo
Abbado (1921), Reinhart (1932 e 1935). Gunter Ramin con i
complessi del Gewandhaus di Lipsia porta la Passione secondo
Giovanni nella stagione 1954. Negli anni successivi ancora Passioni,
Oratori di Natale e Pasqua, Grande Messa. E accanto, la grande
attenzione per la produzione strumentale bachiana, con il tradizionale
amore per il rigore filologico e il taglio monografico: grande antologia
Nathan Milstein
violinistica (1910, Arrigo Serato) e pianistica (1916, Ferruccio
Busoni), tutti i Brandenburghesi (1938, con il complesso Busch; 1961, con Münchinger), tutto il Clavicembalo
ben temperato (1958, Jörg Demus), tutte le Partite (1961, Alexis Weissenberg), Sonate e partite per violino solo
(1960 e 1961, Nathan Milstein; 1989, Miriam Fried), tutte le Suites per violoncello (1990-91 Mischa Maisky).
In tema d’integrali, il punto di forza della programmazione della
Società è Beethoven e in particolare la grande serie dei quartetti. La
prima integrale è ovviamente la più sofferta. Inizia nel 1864 col
secondo “esperimento” della Società e con l’op. 59 n. 3; giunge a
termine mezzo secolo dopo quando nel 1913 il Quartetto Rosé esegue
la Grande Fuga op. 133. Nel frattempo erano però stati eseguiti tante
volte tutti gli altri, con frequenza massima (sei, sette volte) i tre
quartetti op. 59 e l’op. 131 (per quanto possa sembrare strano). Al
Quartetto Busch viene affidato il compito di realizzare l’integrale nel
Quartetto Busch
corso di sei concerti della stagione 1927. L’esperimento funziona e
viene replicato nel 1931. In piena guerra, nel 1943, abbiamo una nuova integrale a cura del Quartetto Strub.
Spalmata su tre stagioni (1954, 1955, 1957) è una “quasi integrale” del Quartetto Ungherese. Poi tocca ai
Quartetti Amadeus e Italiano (metà ciclo per uno, 1966 e 1967), alla terna Amadeus-Cleveland-Guarnieri
(1977), agli affermati Tokyo e Guarnieri assieme ai giovanissimi Sine Nomine e Giovane Quartetto Italiano
(1990). Memorabili anche l’integrale delle sonate per violino e pianoforte in tre serate (1928, Adolf Busch e
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Rudolf Serkin; 1970, Zino Francescatti e Robert Casadesus), le serate con violoncello e pianoforte (1920,
Alfredo Casella e Andrea Hekking; 1947, Enrico Mainardi e Carlo Zecchi), tutti i trii per archi (1970, Trio
Italiano), gli appuntamenti sempre monografici con i grandi solisti della tastiera, fra tutti quelli con Ferruccio
Busoni nel 1915, con Rudolf Serkin nel 1964.
Serate solistiche esclusive anche per gli altri grandi: Domenico Scarlatti (1938,
Wanda Landowska), Mozart (1948, Hans Leygraf), Chopin (1911, José Viana de
la Motta; 1943, Nikita Magaloff; 1964, Arthur Rubinstein), Schumann (1952,
Benno Moisseiwitsch; 1955, Claudio Arrau). Grande è l’attenzione per Mozart i
cui quartetti sono presenti in quasi ogni stagione, accompagnati spesso da altre
combinazioni strumentali, in particolare i quintetti per archi (1932, integrale con
Busch). La produzione cameristica di Brahms è esplorata in profondità, con
ripetute integrali delle Sonate per violino (la prima nel 1933, con Busch e Serkin
dei trii (dal 1927; nel 1947 col Trio di Trieste), di quintetti, sestetti e ovviamente
quartetti, spesso affidati al Quartetto Busch integrato da solisti prestigiosi.
Sempre valorizzato anche Haydn, in quanto padre riconosciuto del quartetto, e
con lui tutti i grandi autori del genere non ancora citati, da Schubert a Schumann
a Mendelssohn fino a toccare i protagonisti del Novecento.
Arthur Rubinstein
Fra questi ha sempre avuto un posto di grande rilievo Béla Bartók, il cui Primo
quartetto è stato presentato nel 1926 (Quartetto di Budapest) e il Sesto nel 1946
(Quartetto Italiano) con frequenti ripetizioni nel decennio successivo. Una prima
integrale della serie è stata completata nel 1982, una seconda nel 1995
(cinquantenario della scomparsa). Troviamo poi in cartellone quartetti di Berg
(Suite lirica, 1934), Bloch, Casella, Ghedini, Hindemith, Malipiero, Martinu,
Milhaud, Pizzetti, Prokofiev, Schönberg, Šostakovič. Di Schönberg era stata
presentata anche la prima di Pierrot lunaire, nel 1924, con la direzione
Dmitrij Šostakovič e Mstislav
dell’autore. In duo col figlio Sviatoslav Soulima, Igor Stravinskij si presenta
Rostropovich
come pianista e compositore nel 1936. Una serata intera occupa La caduta della
città di Wagadu di Vladimir Vogel (1960). Nel 1967 esordiscono Les Percussions de Strasbourg. Nel 1974
viene perfino organizzato un piccolo festival (3 concerti) di sola musica contemporanea, con pezzi di
Sciarrino, Cage, Bussotti, Castiglioni, Pousseur, Messiaen, Berg, Maderna, Berio, Boulez, Petrassi, Gorecki,
Donatoni... A dimostrazione del costante interesse della Società per la musica da camera del proprio tempo. In
perfetta sintonia con quanto succedeva nei suoi primi anni di attività quando in programma comparivano
spesso i nomi dei non meno contemporanei Saint-Saëns, Brahms, Grieg, Rachmaninov, Rubinstein, Ravel,
Debussy, Fauré e degli italiani Bazzini, Bottesini, Faccio, Martucci, Sgambati in quanto autori di prestigio e
magari vincitori dei concorsi per composizioni originali banditi dalla Società.
Altre dimostrazioni di curiosità sono la presenza del coro dei cosacchi del Don (1924), i negro spirituals di
Marian Anderson (1936), i percorsi vocali di Cathy Berberian (1977).
Interpreti
La grande varietà dei programmi della Società viene naturalmente dalla grande varietà degli interpreti e dai
criteri con cui questi vengono invitati. La formula che aveva funzionato nelle prime stagioni viene conservata a
lungo. Per decenni, un nucleo di valenti strumentisti milanesi ha il compito di confezionare un programma in
stile “accademia”, in cui i singoli esecutori si combinano in differenti formazioni oppure si cimentano in un
intermezzo solistico (di solito di pianoforte). Nei primi del Novecento serve da formazione base il quartetto per
archi di Enrico Polo, che è molto presente anche come violinista e direttore d’orchestra. Importante in questo
periodo è anche il contributo del Quartetto Capet, che esordisce nel 1908 con tre memorabili concerti, uno dei
quali interamente dedicato a musiche di Gabriel Fauré con l’autore al pianoforte.
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Fra le due guerre, questo ruolo passa nientemeno che a Adolf Busch,
che dal 1923 diventa ospite fisso come violinista, capo del quartetto e
della variabile formazione cameristica che porta il suo nome. Con lui
esordisce anche il pianista Rudolf Serkin, versatilissimo solista,
accompagnatore, camerista, che diventerà l’artista con maggior
numero di presenze in assoluto nei programmi della Società. Nel
secondo dopoguerra la formula del concerto “accademia” un po’ si
esaurisce, anche se a suo modo continua con il Complesso strumentale
italiano coordinato da Cesare Ferraresi, un altro violinista e
Adolf Bush, Rudolf Serkin
protagonista della vita musicale milanese. Fra i complessi orchestrali
e Arturo Toscanini
da camera, si presentano spesso I Musici (esordio nel 1953), I Virtuosi
di Roma (1954), l’Orchestra da camera di Stoccarda (1954), I Solisti di Zagabria (1955).
Cresce nel frattempo la presenza di complessi da camera italiani e stranieri, più o meno stabili, dall’orchestra
da camera fino al duo e al solista puro, con tutti i termini intermedi. La Società non fa distinzioni di
nazionalità, purché il livello interpretativo sia già assoluto o in promettente ascesa. Dopo i primi (già citati)
solisti virtuosi italiani, nel 1870 arriva il primo grande “straniero” Hans von Bülow, seguito da Anton
Rubinstein (1874). Tocca poi ai violinisti Josef Joachim (1880, tre concerti), Pablo de Sarasate (1882), Eugene
Ysaÿe (1889), Fritz Kreisler (1895), al violoncellista David Popper (1889), ai pianisti Francis Planté (1883) e
Eugen d’Albert (1885). Nel 1896 debutta Ferruccio Busoni seguito da Paderewski (1897).
Nel Novecento i grandi virtuosi internazionali sono tutti presenti. Ecco un elenco
breve e non completo, partendo dai pianisti, citando solo la data d’esordio (tutti
sono tornati più volte), fermandosi agli anni Settanta e senza includere i
promettentissimi esponenti delle generazioni più giovani:: Moritz Rosenthal
(1900), Teresa Carreño (1900), Raoul Pugno (1901), Alfredo Casella (1903),
Wanda Landowska (1905, come clavicembalista), Wilhelm Backhaus (1907),
Alfred Cortot (1908), Frédéric Lamond (1911), Arthur Schnabel (1913), Leopold
Godowski (1914), Nino Rossi (1915), Mieczyslaw Horszowski (1916), Eduard
Risler (1919), Ricardo Viñes (1919), Walter Gieseking (1921), Wilhelm Kempff
(1922), Rudolf Serkin (1923), Arthur Rubinstein (1924), José Iturbi (1925),
Edwin Fischer (1925), Sergei Rachmaninov (1928), Vladimir Horowitz (1930),
Maurizio Pollini
e Rudolf Serkin
Carlo Vidusso (1934), Elly Ney (1939), Egon Petri (1939), Nikita Magaloff
(1940), Dinu Lipatti (1946), Clara Haskil (1946), Robert Casadesus (1948),
Claudio Arrau (1949), Friedrich Gulda (1950), Benno Moisseiwitsch (1953), Rudolf Firkusny (1955), Emil
Gilels (1959), Martha Argerich (1959), Maurizio Pollini (1960), Alexis Weissenberg (1961), Dino Ciani
(1962), Sviatoslav Richter (1963), Vladimir Ashkenazy (1964), Murray Perahia (1967), Radu Lupu (1973),
Alfred Brendel (1976), Krystian Zimerman (1977). Da non dimentare il duo pianistico: Gorini-Lorenzi (1948),
Badura Skoda-Demus (1957), Canino-Ballista (1966), Gold-Fitzdale (1973).
Non meno impressionante di quello dei pianisti è l’elenco dei violinisti,
predisposto con gli stessi criteri: Jacques Thibaud (1902), Misha Elman (1911),
Ferenc von Vecsey (1911), Karl Flesch (1913), George Enesco (1914), Vasa
Prihoda (1920), Bronislaw Hubermann (1920), Josef Szigeti (1925), Jascha
Heifetz (1926), Nathan Milstein (1931), Yehudi Menuhin (1932), Georg
Kulenkampff (1933), Zino Francescatti (1936), Ginette Neveu (1948), Arthur
Grumiaux (1948), Isaac Stern (1950), Henryk Szeryng (1953), Leonid Kogan
(1956), David Oistrakh (1957), Salvatore Accardo (1959), Uto Ughi (1963),
Itzhak Perlman (1966), Pinchas Zukerman (1969), Shlomo Mintz (1982).
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Isaac Stern
Fra i violoncellisti ricordiamo: Pablo Casals (1906), Enrico
Mainardi (1915), Gaspar Cassadò (1924), Gregor Piatigorski
(1931), Pierre Fournier (1942), Antonio Janigro (1950), Paul
Tortelier (1953), Mstislav Rostropovich (1965). E fra altri
strumentisti il clarinettista Richard Stolzman (1979), il flautista
Jean-Pierre Rampal (1969), il chitarrista Andrés Segovia (1926),
l’organista Fernando Germani (1950).
Non si possono dimenticare le voci, perché la Società ha sempre
lasciato ampio spazio alla vocalità da camera. Dunque: Toti dal
Mstislav Rostropovich
Monte (1918), Elisabeth Schumann (1933), Lotte Lehmann
(1936), Suzanne Danco (1942), Kirsten Flagstadt (1948), Nicola Rossi Lemeni (1949), Victoria de los Angeles
(1950), Kathleen Ferrier (1951), Elisabeth Schwarzkopf (1952), Dietrich Fischer-Dieskau (1954), Irmgard
Seefried (1955), Oralia Dominguez (1956), Maureen Forrester (1961), Gérard Souzay (1961), Montserrat
Caballé (1964), Teresa Berganza (1964), Gundula Janowitz (1965), Elly Ameling (1966), Christa Ludwig
(1972).
Tante le formazioni stabili, a partire dai trii con pianoforte, con gli storici Cortot-Thibaud-Casals (1908) a
inizio secolo, Casella-Poltronieri-Bonucci (1936), Fischer-Kulenkampf-Mainardi (1941), Istomin-Stern-Rose
(1964) fino agli ancora attivi Trio di Milano (1972) e Trio Beaux Arts (1973) e con un omaggio particolare al
Trio di Trieste, presenza stabile fin dal debutto nel 1942.
La colonna portante dei cartelloni della Società è comunque il
quartetto per archi. L’elenco è lunghissimo, la necessità di sintesi
impone esclusioni dolorose: Fiorentino (1872), Becker (1876),
Boemo (1895), Rosé (1897), Joachim (1905), Polo (1907), Capet
(1908), Sevcik (1909), Budapest (1921), Busch (1921), Lehner
(1922), Flonzaley (1924), Poltronieri (1925), Pro Arte (1925),
Kolisch (1933), Strub (1941), Italiano (1947), Ungherese (1955),
Juilliard (1956), Amadeus (1957), Janácek (1958), Koeckert (1959),
Tatrai (1960), Végh (1961), Borodin (1961), LaSalle (1965),
Guarnieri (1969), Bartók (1970), Tokyo (1972), Smetana (1973), Quartetto Italiano
Cleveland (1974), Berg (1976), Lindsay (1980), Melos (1980). Da questi magnifici complessi (e con poche
lodevoli eccezioni, fra le quali non si dimentica il Quintetto Chigiano, dal 1941) sono di regola uscite, per
aggiunta o sottrazione di elementi, le tante serate di trii, quintetti, sestetti, settimini, ottetti che hanno portato il
repertorio da camera a un pubblico singolarmente attento e fedele.
Pubblico
Già, il pubblico del Quartetto! Se ne sono dette tante, con simpatia e con malignità, tramandando luoghi
comuni che ormai fanno parte della storia ultrasecolare della Società. Di sicuro sappiamo che è fatto di circa
1800 soci che da decenni, spesso da generazioni rinnovano una quota associativa che da sola copre tutti i costi
di gestione delle singole stagioni. Fin dalla fondazione, sono stati esclusi finanziamenti esterni pubblici o
privati, e non è ammessa la vendita di biglietti per singoli concerti. È
una condizione rigida e rispettata, che ha però consentito la totale
libertà di scelte artistiche e organizzative, e della quale ciascun socio
è giustamente orgoglioso. Può apparire elemento di chiusura, invece
la lunga esperienza ha dimostrato che dà forza e coesione alla
Società, e che alla lunga consente un rapporto di collaborazione
equilibrato e fruttuoso con il mondo musicale e culturale che le sta
attorno.
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I soci che affollano la Sala Verdi del Conservatorio nella canonica serata del martedì sono pur sempre gli eredi
dei padri fondatori e delle loro idee. Vengono dal mondo delle professioni, della scuola di ogni ordine,
dall’industria e dal commercio e, secondo un altro tipico luogo comune, rappresentano bene la città di Milano.
Ben rappresentata è sempre stata la comunità musicale milanese, con i docenti del Conservatorio in prima fila,
non solo sul palcoscenico ma anche nel consiglio direttivo della Società. Alternandosi con nobili e industriali e
grandi professionisti, sono stati presidenti i musicisti Arrigo Boito (1912), Ildebrando Pizzetti (1928-1936),
Gianandrea Gavazzeni (1992-1996).
Inizialmente (1864) i soci sono 118. Raddoppiano in sette anni si stabilizzano sulle 300-350 unità negli anni
Novanta, in funzione della capienza della sala del Conservatorio in cui di norma si tenevano gli “esperimenti”.
Grazie agli ampliamenti successivi della sala, i soci possono diventare 621 nel 1915 e più di 1500 nel 1920.
Per soddisfare la sete di musica, cresce vistosamente il numero dei concerti (il termine esperimento viene
messo nel cassetto nel 1898). Dapprima il numero oscilla fra 5 e 8, passa a 10 e 16 nel primo ventennio del
Novecento, schizza oltre 30 e fino a 40 nei primi anni Venti (in due serie, con gli stessi artisti, di regola però
con programmi diversi), scende di nuovo fra 11 e 16 negli anni Trenta.
La programmazione procede senza interruzioni durante la guerra del 1915-18 e per i primi tre anni della
Seconda Guerra, però deve arrestarsi nel tempo della Repubblica Sociale. Il dopoguerra dimostra che la fedeltà
dei soci è letteralmente a prova di bomba. Distrutta la Sala del Conservatorio, i concerti dal 1945 al 1958
diventano itineranti: si tengono in parte alla Scala, in parte nell’Aula Magna della Cattolica, in parte nei
cinematografi Gloria e Metropol, in parte in altri luoghi, secondo disponibilità.
Ricostruita la Sala Grande (1958), il numero dei concerti risale a 20
e 25. Il numero dei soci è determinato dai posti disponibili in sala e
siccome sono pochissimi coloro che non rinnovano la tessera
annuale, si crea il mito della “chiusura” della Società alle nuove
iscrizioni. È anche per soddisfare questa crescente, e non
soddisfatta, domanda di musica strumentale e da camera che negli
anni Settanta a Milano nascono le nuove iniziative che rendono
vivacissima la vita musicale cittadina. Che però si stipa sempre di
più nella Sala Verdi del Conservatorio che ridiventa ancora una
volta insufficiente; finalmente, a partire dall’autunno 2001, offre nuovo respiro alle stagioni la riapertura
lungamente attesa del Teatro Dal Verme, con il suo nuovissimo Auditorium.
La Società del Quartetto di oggi
All’appuntamento con il Duemila, la Società del Quartetto si presenta con il volto di sempre, i suoi soci e i suoi
concerti che sembrano avere una struttura immutabile. Invece ripercorrere le stagioni passate fa balzare agli
occhi le tante differenze che sono state introdotte negli ultimi anni.
Dal 1995, la Società del Quartetto ha concepito le sue stagioni attorno ad un tema conduttore: sei i temi sinora
toccati per l’esplorazione della musica nella poliedricità delle radici e delle forme: Musica e Natura, Musica e
Nostalgia, I luoghi della Musica-Romanticismo e dintorni, Forme - Geometrie, Fin de Siècle - Capisaldi e
Transizioni, Il Viaggio - Movimenti e migrazioni nel tempo della musica. Continuano le “solite” integrali: i
Quartetti di Beethoven, i Quartetti di Bartók, le Suites per violoncello di Bach. Tornano gli autori di sempre,
con interpreti che negli ultimi anni sono diventati mitici o che si sono affermati o che sono del tutto nuovi,
giovanissimi e freschi vincitori di concorsi internazionali. Restano gli appuntamenti con le più varie
formazioni da camera, con il coro e col Lied. Anche quelli con la musica contemporanea però (ecco la novità):
riprende infatti la tradizione ottocentesca di commissionare nuovi lavori a Bruno Bettinelli, Niccolò
Castiglioni, Riccardo Malipiero, Wolfgang Rihm, Marco Stroppa.
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Giuseppe Sinopoli
Rinnovata è anche la tradizione di inserire concerti sinfonici in stagione: inizia
nel 1988 la Philharmonia di Londra diretta da Giuseppe Sinopoli, arrivano
l’Orchestra Sinfonica di Radio Pechino e la Gustav Mahler Jugendorchester
diretta da Claudio Abbado (1989), la Sinfonica di Radio Stoccarda con Gianluigi
Gelmetti e Martha Argerich solista (1990). Più forte è il rapporto con la
tradizione sinfonico vocale: Requiem di Mozart (1991), Passione secondo
Giovanni (1992) e secondo Matteo (1993) di Bach, Creazione di Hadyn (1994).
Eventi organizzati spesso in collaborazione con il Comune di Milano e punto di
partenza per il grande progetto comune di esecuzione integrale delle Cantate
sacre di Bach, tuttora in corso.
Parallelamente si è sviluppata dalla costola della Società la nuova
organizzazione “I Concerti del Quartetto”, che ha lo scopo dichiarato di
organizzare grandi eventi concertistici, in collaborazione con altre istituzioni
(in primo piano la Scala e il Comune), accettando sponsorizzazioni da
società industriali e mettendo i biglietti d’ingresso a disposizione degli
appassionati e non solo dei soci.
Claudio Abbado
Sono sempre attuali le parole di un celebre Presidente della Società del Quartetto,
Gianandrea Gavazzeni: “Il Quartetto intende continuare la sua illustre tradizione
rinnovandola con l’apertura a tutte le autentiche richieste di chi non si limita ad
onorare il passato, seppure illustre, ma si associa nella volontà di crescere con
costanza come organismo aperto a quelle manifestazioni che comportino un
livello di interesse, magari anche polemico, comunque di sicura moralità e di
mestiere”.
Nel momento che compie 140 anni, il Quartetto si ritrova dunque cambiato. Non
basta, anche se emoziona sempre, confortarsi leggendo la storia del passato,
riassaporando i momenti magici vissuti dal vivo o immaginati sulle carte. Non ci
si può fermare alla contemplazione del presente, pregustando le gioie che ci
riserva una delle stagioni più ricche di artisti e di stimoli musicali degli ultimi
decenni: la gloriosa ghirlanda di sommi pianisti, le grandi orchestre, il
Gianandrea Gavazzeni
ricchissimo spazio dedicato alla musica da camera; e poi le presenze costanti di
Bach e di Beethoven, accanto ai classici di sempre e agli accostamenti fantasiosi di altri autori, comunque
all’insegna del tema della stagione “Dialoghi e Contrasti”.
Questa stagione ci porta soprattutto a guardare al futuro, per capire come i cambiamenti introdotti negli ultimi
anni influiscono sul nostro modo di partecipare ai grandi eventi musicali della nostra città. La Società del
Quartetto è ora un’associazione aperta di amici della musica, che offre un amplissimo ventaglio di proposte fra
cui scegliere in libertà e che impone ulteriore flessibilità (e complessità) al calendario. Anche se rimane il
comune amore per la grande musica, vengono accostati pubblici, e dunque gusti, diversi. Altri potranno
avvicinarsi per la prima volta al mondo del concerto stimolati dalle tante iniziative in programma in cui la
musica viene inserita in un più ampio orizzonte di arti e di culture.
Di questo si tiene gran conto, certo in sede di programmazione, ma anche di comunicazione. Ed è qui che “Il
Giornale del Quartetto” offre il suo contributo costante e progressivo di informazione e di guida all’ascolto,
con testi brevi e precisi, chiari e utili per tutti, firmati dai maggiori giornalisti, critici e studiosi del mondo
musicale. Per assicurare una prospettiva fresca e aggiornata su interpreti e programmi. Per contribuire ad
arricchire di conoscenze e di emozioni ogni serata che passeremo a concerto.
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