scarica il programma di sala - Orchestra Filarmonica Marchigiana

ministero per i beni e le attività culturali
regione marche assessorato alla cultura
in collaborazione con
consorzio marche spettacolo
sinfonica
2015
Clerici&FORMensemble
SUONOITALIANO
Concertatore e Violoncello
Umberto Clerici
Venerdì 30 gennaio, ore 21.15 – Matelica, Teatro Piermarini
Domenica 1 febbraio, ore 17.00 – Fermo, Sala dei Ritratti
orchestra filarmonica marchigiana
filarmonicamarchigiana.com
Programma
G. Sollima (Palermo, 1962)
Hell 1 (da “Music for the Divine Comedy”)
A. Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna, 1741)
Concerto per violoncello e orchestra in si min. RV 424
I. Allegro non molto
II. Largo
III. Allegro
E. Bosso (Torino, 1971)
Sea Prayer, per violoncello e archi
- intervallo -
G. Puccini (Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924)
Crisantemi, elegia per archi
G. Verdi (Roncole di Busseto, 1813 – Milano, 1901)
Quartetto per archi in mi min.
(versione per orchestra d’archi)
I.
II.
III.
IV.
Allegro
Andantino
Prestissimo
Scherzo Fuga: Allegro assai mosso
Note
«Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni, / le arance d’oro
splendono tra le foglie scure, / dal cielo azzurro spira un mite vento,
/ quieto sta il mirto e l’alloro è eccelso, / la conosci tu forse? / Laggiù,
laggiù io / Vorrei andare con te, amore mio!».
È l’Italia la terra cantata in questi celebri versi di Goethe tratti dal
Wilhelmeister: meta finale, sognata e ardentemente voluta, di un
viaggio avventuroso compiuto dal poeta nel nostro paese alla scoperta della luce, della sensualità, della bellezza, dell’amore. Idee racchiuse tutte in un frutto, il limone, simbolo di una terra che per le sue
caratteristiche geografiche e climatiche non poteva non essere che
«la patria delle belle arti», come scrisse un altro grande innamorato
dell’Italia, il francese Stendhal, ponendo in relazione consequenzia-
le, nella sua Vita di Rossini, la natura e il clima amabili del luogo, l’indole solare e passionale dei suoi abitanti, l’energia luminosa dell’arte da essi prodotta. Perché in effetti, che si tratti di poesia, di pittura
o di musica, ciò che contraddistingue lo stile italiano nell’arte è il piacere tutto sensuale per la materia viva, plasmabile, che conduce
all’esperienza spirituale della bellezza; e che in musica, in particolare, si traduce in chiarezza timbrica, semplicità di struttura, eleganza
di linee, intensità e forza sentimentale della melodia.
Queste caratteristiche accomunano tra loro anche i brani qui in programma: composizioni strumentali di autori italiani del passato e dell’epoca contemporanea, da Vivaldi, Verdi e Puccini a Bosso e
Sollima, che al di sopra delle singole diversità di genere e di linguaggio testimoniano il perdurare e l’evolversi di uno stile italiano, o
più precisamente di un “suono italiano”, attraverso i secoli.
Il minimalismo inteso in senso lato come principio compositivo è
in qualche modo l’elemento che lega fra loro a diversi livelli, parallelamente al leitmotiv di fondo dell’italianità del suono, le opere dei tre
musicisti cui è dedicata la prima parte del concerto, come evidenzia
Umberto Clerici in una sua nota al programma.
Nel caso dei due compositori contemporanei Sollima e Bosso siamo
effettivamente di fronte ad un legame storico, diretto (con riferimento
soprattutto a Bosso) con la corrente del minimalismo statunitense
rappresentata da musicisti come Philip Glass, La Monte Young, Terry
Riley, Steve Reich, i quali, a partire dagli anni sessanta del secolo
scorso, proposero un nuovo modo di concepire la musica fondato
sulla radicale riduzione della tramatura sonora ai minimi termini. Le
loro opere, in effetti, appaiono scarne, essenziali, rigorosamente
impiantate su pochissimi elementi ritmico-melodici di base pensati
come atomi sonori. Ciò che forma il discorso musicale non è l’elaborazione complessa del materiale secondo il principio del contrasto e
della pluralità di direzioni, bensì, al contrario, la semplice giustapposizione di variazioni microscopiche, quasi impercettibili, degli elementi
primari ad imitazione della tecnica arcaica della ripetizione. Una ripetizione insistente, ciclica, ossessiva, che nel suo procedere inarrestabile fra suggestioni etniche e sonorità inusuali derivanti dalla musica
elettronica sortisce un effetto incantatorio sull’animo, quasi allucinatorio, predisponendolo, come sotto l’influsso di un sortilegio sciamanico, alla percezione estatica dell’Essenziale, dell’Uno, dell’Indiviso.
Con ciò il minimalismo traduce sul piano artistico un antico precetto
morale rintracciabile in diverse forme presso tutte le culture umane:
farsi piccoli, minimi, per scoprire la vera grandezza.
Giovanni Sollima, assai apprezzato anche da registi di culto come
Peter Greenaway e da celebri coreografi quali Carolyn Carlson, deve
molte componenti della sua musica al minimalismo; Ezio Bosso,
noto fra le altre cose per aver composto le musiche del film di
Gabriele Salvatores Io non ho paura, può essere considerato un
continuatore di quella corrente in quanto allievo di Philip Glass. Ma
entrambi, pur con sfumature diverse, ne reinterpretano “all’italiana” i
canoni linguistici rimanendo distanti, scrive Clerici, «dalla fredda speculazione matematica o dalla catartica ossessività proprie del minimalismo americano» e di contro fedeli alla «componente sentimentale e patetica» della loro comune tradizione italica.
Il brano di Giovanni Sollima Hell 1 (Inferno 1), facente parte di una
serie di musiche con varie combinazioni strumentali ispirate ad alcuni canti della Divina Commedia di Dante, condivide con le opere dei
minimalisti americani l’idea di una melodia lineare di sapore modale
e dal fascino arcaizzante che si sviluppa da semplici elementi.
Procedendo da un bellissimo e intenso soliloquio del violoncello cui
in seguito si uniscono in sottofondo gli archi in un tumulto di voci “alte
e fioche”, Sollima rappresenta in Hell 1 il momento in cui Dante entra
a contatto con le atmosfere cupe e polverose dell’Antinferno, dove gli
ignavi scontano in eterno la loro pena, e dopo aver attraversato il
fiume Acheronte cade a terra svenuto sotto l’effetto di un improvviso
terremoto.
Sea Prayer (Preghiera del mare), per violoncello e archi, fa parte di
un ciclo di brani che Ezio Bosso ha composto ispirandosi all’Acqua
e traduce sul piano musicale il significato simbolico di una scultura
dell’artista belga Jean Michelle Folòn. Scrive ancora Clerici: «Questa
grossa statua, sita sulla costa belga, rappresenta metaforicamente il
rapporto tra uomo e mare: quando la marea sale, la statua arriva ad
essere totalmente sommersa, mentre emerge quando la marea si
abbassa. Ciò simboleggia il duplice fascino che il mare esercita sull’uomo: elemento indispensabile alla vita, fonte di cibo e di energia
(soprattutto in un momento di crisi ecologica ed energetica), ma
anche pericoloso e letale. La statua-uomo è rappresentata dal solista che lotta per emergere dalle lunghe ondate sonore dell’orchestra.
Talvolta riesce a far sentire il suo canto mentre altre volte viene sommerso. L’effetto è amplificato da un secondo violoncello solista, che
suona posizionato dietro l’orchestra in modo da non far percepire il
punto di provenienza del suo suono. Con questa ricerca di “psicoacustica” Bosso crea un gioco di echi tra i due violoncelli solisti che
enfatizza ancora di più l’effetto spaziale del brano».
I compositori minimalisti amano e spesso reinterpretano la musica
barocca perché nella sua tendenza a tenere un passo ritmico uniforme, ad assemblare grandi blocchi sintattici e strumentali e a ripetere
in progressione semplici moduli melodici essi avvertono una sostanziale affinità con il loro pensiero musicale. Ed è proprio sulla base di
questa generale “affinità elettiva” che un autore come Vivaldi, pur
appartenendo ad un’altra epoca, può essere considerato per così
dire un minimalista ante litteram. Inoltre, come mostra il Concerto per
violoncello e orchestra in si min. RV 424, le caratteristiche proprie del
barocco internazionale idealmente assimilabili alle tecniche minimaliste contemporanee si associano nella sua musica a tratti inconfondibilmente italiani, oltre che specificamente vivaldiani: un’invenzione
melodica eccezionalmente limpida, incisiva e orecchiabile; un linguaggio ritmico e armonico essenziale e persino elementare, anche
se spesso ardito e imprevedibile nella sua modernità; una scrittura
sensibile come nessun’altra in precedenza alle sfumature timbriche,
dinamiche e di fraseggio che dà prova, specie nei tempi lenti, di
grande espressività.
La seconda parte del concerto è dedicata a due grandi autori di
musica per il teatro, Verdi e Puccini, che a fronte di una carriera quasi
esclusivamente spesa nella pratica del genere operistico dimostrarono, pur con rarissimi e occasionali esempi, di sapere eccellere
anche nel campo della musica strumentale proponendo in alternativa agli imperanti modelli germanici una via tutta italiana.
L’elegia funebre Crisantemi fu composta da Puccini in memoria del
Duca Amedeo di Savoia nel Febbraio del 1889 (tutta di getto in una
sola notte!) e fu eseguita per la prima volta un anno più tardi al
Conservatorio di Milano ad opera del Quartetto Campanari (la versione originale era per quartetto d’archi).
Si tratta di una breve ma intensa composizione, una delle prove
migliori del periodo giovanile, la quale mostra già alcuni elementi stilistici inconfondibilmente pucciniani che di lì a poco si manifesteranno con piena evidenza nella prima opera importante del maestro:
Manon Lescaut. Con questa, del resto, il brano ha molti elementi in
comune. Innanzitutto il materiale melodico, costituito essenzialmente da due temi, quello d’apertura e quello principale, che confluiranno entrambi nel IV atto dell’opera, rispettivamente nell’Andante
sostenuto dell’introduzione (“Tutta su me ti posa, o mia stanca diletta.”) e nell’Andante mesto del finale (“Mio dolce amor, tu piangi.”).
Inoltre il contenuto affettivo, interamente incentrato sulla presenza
ossessiva e opprimente della morte che qui appare vissuta con un
intimo e contenuto sentimento di mestizia ma che poi in Manon
Lescaut, concretizzandosi drammaticamente nell’agonia e nel terribile trapasso degli amanti in mezzo alle lande desolate del deserto
americano, assumerà accenti di profonda disperazione. Infine, le
qualità più propriamente musicali: l’armonia, improntata sul modello
wagneriano, ha già tutta la ricchezza, la corposità e l’espressività di
Manon Lescaut; come pure la strumentazione, che pur essendo in
Crisantemi limitata al solo impiego degli archi, tuttavia allude direttamente alla complessità, alla varietà e alla raffinatezza degli impasti
timbrici riscontrabili nella partitura orchestrale dell’opera.
Nel complesso, al di là degli stretti rapporti di parentela musicale che
legano il brano alla Manon Lescaut, si può dire che Crisantemi, pur
nelle sue limitate dimensioni compositive, rappresenti la prima, intensa manifestazione di quella originalissima atmosfera drammatica
pucciniana, così ricca di pathos elegiaco, di dolcezza malinconica e
di tragica, rassegnata solitudine che in seguito avvolgerà splendidamente tutte le più grandi eroine create dal maestro, da Manon a Liù.
«Io non mi sono più curato del Quartetto che scrissi per semplice
passatempo alcuni anni or sono in Napoli, e che fu eseguito in casa
mia alla presenza di poche persone che erano solite venire tutte le
sere da me. Questo è per dirle che non ho voluto dare nissuna
importanza a quel pezzo, e che non desidero, almeno per il momento, renderlo noto in nissuna maniera».
Con queste parole Verdi tentava di dissuadere il sindaco di Parma
dal desiderio di far eseguire pubblicamente il Quartetto per archi in
mi minore che il maestro aveva scritto nel marzo del 1872 durante la
lunga interruzione delle prove per la rappresentazione napoletana di
Aida, alla quale egli aveva voluto sovraintendere, interruzione resasi necessaria a causa dell’improvvisa malattia della primadonna, il
soprano Teresa Stolz. Ma in seguito, pressato dalle continue richieste di numerosi musicisti che bramavano conoscere e valutare la
prova compiuta dal grande operista in quel genere strumentale così
insolito per lui, Verdi cedette e autorizzò l’editore Ricordi a pubblicare l’opera, che dal 1877 fu eseguita un po’ ovunque in Italia e in
Europa e che questa sera viene proposta in una trascrizione per
orchestra d’archi.
L’opinione di Verdi secondo cui il quartetto da lui composto era un’opera “senza nissuna importanza” è da considerare forse non del tutto
sincera. Indubbiamente il tentativo di farne dimenticare l’esistenza va
riferito alla sua convinzione che il genio musicale italiano fosse adatto all’opera e che la musica strumentale, specie quella da camera,
dovesse essere lasciata alla scuola viennese, ad Haydn, Mozart,
Beethoven, maestri le cui opere Verdi conosceva bene, possedendone diverse, e che ammirava moltissimo, tanto da ritenerle insuperabili. Tuttavia è difficile credere che Verdi considerasse davvero una
bazzecola un componimento come il suo primo ed unico quartetto.
In un’occasione, rispondendo all’amico conte Opprandino
Arrivabene, dichiarò di non sapere se il quartetto era bello o brutto,
aggiungendo: “So però che è un quartetto”, vale a dire vera musica
strumentale, non musica vocale travestita, tecnicamente ineccepibile e assolutamente conforme alle caratteristiche del genere. In effetti si tratta di un’opera non solo perfetta sul piano della scrittura, ma
anche e soprattutto gradevolissima, piena di ispirazione e costruita
secondo un taglio melodico-ritmico molto personale. Essa possiede
la grazia naturale di Mozart, la leggerezza di Haydn, la forza propulsiva di Beethoven, ma allo stesso tempo è pure inconfondibilmente
verdiana: il materiale melodico, come ad esempio il primo tema del I
movimento, che ricorda assai da vicino quello della gelosia di
Amneris in Aida, è deciso, plastico, di presa immediata sul piano
emozionale, si direbbe quasi scenico. Spesso il ritmo, vedi quello
adottato per l’Andantino, ha lo stesso passo di danza di tante arie,
duetti e concertati scritti dal maestro per le sue celeberrime opere liriche. Certe soluzioni formali, infine, guardano già all’ultimo Verdi: il IV
movimento è una fuga complessa e piena di brio che prelude ai
chiacchiericci e agli allegri scompigli del Falstaff.
Cristiano Veroli
Umberto Clerici Concertatore e Violoncello
Nato a Torino, ha iniziato lo studio del violoncello all’età di 5 anni alla Scuola
Suzuki con Antonio Mosca con il quale si è poi diplomato presso il
Conservatorio “G. Verdi” di Torino.
Successivamente si è perfezionato con alcuni tra i più importanti violoncellisti contemporanei, come Mario Brunello, David Gèringas e Steven
Isserlis, e nel 2007 ha conseguito il Meisterdiplom presso la Hochschule für
Musik di Norimberga-Augusta sotto la guida di Julius Berger.
Come solista ha debuttato a 17 anni in Giappone con il Concerto in Re
maggiore di Haydn e nel 2002 ha iniziato la vera e propria carriera solistica vincendo il concorso indetto dall’Associazione Nazionale I.C.O. a Roma,
che lo ha portato ad esibirsi nelle stagioni concertistiche di 12 tra le principali orchestre italiane. Successivamente ha continuato ha suonato con
varie orchestre tra cui la Filarmonica di San Pietroburgo, la Brighton
Philharmonic, la Russian State Orchestra di Mosca, l’Orchestra da Camera
di Mantova, la Philarmonia Wien, i “Pomeriggi Musicali” di Milano, la
Filarmonica di Zagabria, l’ORT – Orchestra della Toscana, l’Orchestra di
Padova e del Veneto, la “Haydn” di Trento e Bolzano, le Orchestre di Stato
di Istanbul e Ankara, al fianco di direttori come Aldo Ceccato, Alexander
Dmitriev, Lu Jia, Christoph Poppen, Dmitry Sitkovetsky, Ola Rudner, Barry
Wordsworth e Peter-Lukas Graf.
Pluripremiato in vari concorsi internazionali, tra cui lo “Janigro” di
Zagabria e il “Rostropovich” di Parigi, è l’unico violoncellista italiano
assieme a Mario Brunello ad avere vinto un Premio al celebre Concorso
Čajkovskij di Mosca.
Si è esibito in alcune delle più prestigiose sale da concerto tra cui la
Carnegie Hall di New York, il Musik Verein di Vienna, la Grande
Shostakovich Hall di San Pietroburgo e l’Auditorium Parco della Musica di
Roma. Nel 2003 ha debuttato al Festival di Salisburgo e nel 2012 ha eseguito le Variazioni Rococo di Čajkovskij con l’Orchestra del Teatro Regio di
Torino diretta da Valery Gergiev.
Ha inciso il Concerto di Saint-Saëns per la RS (Real Sound) ed ha pubblicato un cd solistico con il mensile Amadeus con l’integrale delle musiche di
Čajkovskij per violoncello e orchestra e il Concerto n. 1 di Šostakovič.
Numerosi i premi che ha ricevuto, tra i quali nel 2003 a Firenze il
“Pentagramma d’oro” del premio “Galileo 2000” (insieme al celebre violinista Uto Ughi e al premio Nobel per la Pace Shimon Peres), il premio
“Mozarteum” a Salisburgo, il premio Pressenda 2005 come migliore giovane solista dell’anno, e il premio Scanno 2007.
È Professore di violoncello presso l’Università di Sydney e presso
l’Accademia estiva dell’Università Mozarteum di Salisburgo.
Da sempre svolge un’intensa attività cameristica: ha fatto parte del Trio di
Torino dal 2001 al 2013, e ha collaborato con artisti quali Julius Berger,
Mario Brunello, Itamar Golan, Sergej Krilov, Luis Lortie e Enrico Pace. Si
dedica a progetti cameristici particolari, che porta avanti in duo col pianista
Andrea Rebaudengo (musica del Novecento), in duo col pianista Claudio
Martinez Mehner, e in trio (violoncello-pianoforte-clarinetto) con quest’ultimo e col clarinettista Tommaso Lonquich.
Per 4 anni è stato primo violoncello presso il Teatro Regio di Torino e ha collaborato, come primo violoncello ospite, con l’Orchestra della Filarmonica
del Teatro alla Scala di Milano.
Dal 2014 è Primo violoncello Solista della Sydney Symphony Orchestra
presso la famosa Opera House di Sydney.
OrchestraFilarmonicaMarchigiana
Violini I
Alessandro Cervo**
Giannina Guazzaroni*
Alessandro Marra
Elisabetta Spadari
Laura Di Marzio
Lisa Maria Pescarelli
Cristiano Pulin
Violini II
Simone Grizi*
Laura Barcelli
Baldassarre Cirinesi
Simona Conti
Silvia Stella
Sara Scalabrelli
Viole
Ladislao Vieni*
Massimo Augelli
Cristiano Del Priori
Lorenzo Anibaldi
Clavicembalo
Sauro Argalia*
Violoncelli
Alessandro Culiani*
Antonio Coloccia
Gabriele Bandirali
Nicolino Chirivì
Contrabbassi
Luca Collazzoni*
Andrea Dezi
** Primo Violino di spalla
* Prime parti
Ispettore d’orchestra
Michele Scipioni
prossimi appuntamenti
MAHLER 4 – Progetto Giovani U-35
In collaborazione con il Conservatorio G. Rossini di Pesaro
A. Pärt Oriente e Occidente, per archi
G. Mahler Sinfonia n. 4 in sol magg. per soprano e orchestra
Das himmlische Leben (La vita celeste)
Soprano
Federica Livi
Direttore
Manlio Benzi
Sabato 31 gennaio, ore 21.00 – Jesi, Teatro Pergolesi
Mercoledì 4 febbraio, ore 21.00 – Ancona, Aula Magna d’Ateneo
Giovedì 5 febbraio, ore 21.00 – Pesaro, Auditorium Pedrotti
WONDER HORN
R. Wagner Idillio di Sigrido, WWV 103
R. Strauss Concerto per corno e orchestra
n. 1 in mi bemolle magg., op. 11
L. van Beethoven Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore, op. 60
Corno e Direzione
Alessio Allegrini
Sabato 7 febbraio, ore 21.15 – Fabriano, Teatro Gentile
Domenica 8 febbraio, ore 17.15 – Montegranaro, Officina delle Arti
Lunedì 9 febbraio, ore 21.00 – Jesi, Teatro Pergolesi
Martedì 10 febbraio, ore 21.00 – Macerata, Teatro Lauro Rossi
FORM ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
Via degli Aranci, 2 - 60121 Ancona | Tel. 071 206168 - Fax 071 206730
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supporto informatico e multimediale
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Tel. 0731 207079