programma sala 2011_.

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POMERIGGIO
TRA LE MUSE
STAGIONE 2011
PANORAMA ITALIANO.
150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA
Ensemble Musagète
POMERIGGIO TRA LE MUSE
STAGIONE 2011
PANORAMA ITALIANO.
150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA
Rovesciando un motto fin troppo famoso, si può sostenere che
la nazione italiana è nata precedentemente all’Italia come stato unitario: da secoli infatti esisteva una comunità di lingua e di
cultura in cui le arti e, tra esse, la musica costituivano un patrimonio comune. In tal senso è lecito affermare che la musica ha
contribuito alla creazione del sentimento nazionale.
La stagione Pomeriggio tra le Muse 2011 propone una significativa panoramica di composizioni per riflettere sui reciproci
scambi e influssi tra storia della musica e storia della nazione. Il
filo rosso che lega gli otto concerti ripercorre il processo unitario nazionale attraverso lo specchio della musica cameristica. Le
composizioni proposte sono rappresentative dell’avvio di una
storia musicale compiutamente nazionale: gli estremi lasciti
della grande tradizione strumentale sei-settecentesca (Bottesini e Rossini), gli echi del melodramma che dominò in modo
esclusivo la scena italiana per gran parte dell'Ottocento e l’epopea risorgimentale (Briccialdi, Ponchielli e Pasculli); la stagione dell'emulazione europea (Verdi e Bazzini) e l’eclettismo dell’Italia umbertina (Martucci e Sgambati); il nazionalismo d'inizio secolo e la “generazione dell’Ottanta” (Respighi, Malipiero
e Pedrollo).
Questo percorso italiano si snoda nel confronto con opere di
autori stranieri che furono di modello e stimolo alla rinascita
della musica strumentale in Italia (Brahms e Liszt, del quale
ricorre il centenario della nascita). Inoltre, per analogia al processo di liberazione dalla dominazione straniera e di unificazione nazionale avvenuto in Italia, sono presentati autori nella cui
musica si riflette in vario modo il dibattitto sul nazionalismo
(Čajkovskij, Dvořák, Grieg, De Falla e Bartók).
All’interno della stagione Pomeriggio tra le Muse trova come di
consueto spazio anche la proposta contemporanea. Autori che
in questi anni hanno dedicato opere all’Ensemble Musagète
(Nicola Campogrande, Giovanni Bonato, Francesco Erle e Alessandro Solbiati) interverranno con personali riflessioni sul legame tra musica e cultura nazionale. La commissione di una nuova opera, sostenuta anche quest’anno da Intesa Sanpaolo,
vedrà protagonista Roberta Vacca, compositrice aquilana già
affermata in campo nazionale e internazionale che si è distinta
nel perseguire, con un linguaggio di grande comunicatività, la
via di una musica raffinata e consapevole della grande tradizione.
Novità di quest’anno sono due conferenze che approfondiranno il tema del rapporto tra la produzione musicale e l’identità
nazionale. Il musicologo Oreste Palmiero tratterà del contesto
musicale veneto postunitario (14 ottobre, ore 17.00), mentre
Guido Salvetti, presidente della Società Italiana di Musicologia,
parlerà dei cori libertari e patriottici nell’opera dell’Ottocento
(25 novembre, ore 17.00).
Note al programma a cura di Remo Peronato
Concerto dell’11 settembre 2011
programma
Giovanni Sgambati
(1841-1914)
dal Quintetto con pianoforte in Fa minore n. 1 op. 4
Andante sostenuto
Arrigo Pedrollo
(1878-1964)
dal Quartetto con pianoforte in Do minore
Scherzo
Johannes Brahms
(1833-1897)
Quartetto con pianoforte in Sol minore n. 1 op. 25
Allegro
Intermezzo
Andante con moto
Rondò alla zingarese
Ensemble Musagète
Giovanni Guglielmo
I violino e concertatore
Tiziano Guarato
violino
Michele Sguotti
viola
Giordano Pegoraro
violoncello
Gabriele Dal Santo
pianoforte
Mentre il quasi trentenne Brahms si trasferiva a Vienna (1862),
capitale della grande tradizione classica, alla ricerca di una consacrazione di pubblico e critica che arriverà pochi anni dopo con Ein
deutsches Requiem, un più maturo Liszt cercava la pace spirituale
ritirandosi a Roma nell’Oratorio della Madonna del Rosario a monte Mario. Questo esilio romano permise al giovane talento pianistico italiano Antonio Sgambati di conoscere e studiare con una
delle figure principali del dibattito musicale europeo. I suoi successivi studi a Monaco consolidarono questa formazione internazionale e portarono Sgambati a divenire uno dei principali artefici di
quella rinascita della musica strumentale italiana che a partire dagli
anni Sessanta, camminò in parallelo al consolidamento di uno stato unitario. Proprio grazie a Liszt Sgambati potè presentare a
Wagner, durante la visita di questi a Roma nel 1876, il Quintetto
con pianoforte n. 1 op. 4 assieme al successivo op. 5. L’entusiasmo per la scoperta di “un talento veramente eccelso e originale
che a Roma risulta fuori luogo [sic]” portò Wagner a sostenere
presso l’editore Schott la pubblicazione di questo lavoro e la promozione di Sgambati in Germania.
L’opera del vicentino Arrigo Pedrollo, pur godendo in vita di una
certa notorietà, è oggi piuttosto obliata. Attivo principalmente
come operista – compose una decina di titoli che furono eseguiti
con successo non solo nei maggiori teatri italiani ed europei ma
anche oltre oceano (New York, Cairo, Città del capo) – e direttore
d’orchestra, si dedicò anche all’insegnamento (a Milano, Vicenza e
Padova). Il Quartetto con pianoforte in Do minore è una delle
rare pagine cameristiche di Pedrollo, composto intorno al 1910 e
rimasto inedito. Probabilmente è un retaggio dell’attività di pianista che lo vide attivo negli anni giovanili prima di vincere col dramma storico Juana il concorso indetto dalla casa editrice Sonzogno.
Il Quartetto con pianoforte in Sol minore op. 25, come spesso
capitava a Brahms, ebbe la sua gestazione, in parallelo con un’altra composizione, l’op. 26 (per la stessa formazione, ma nella
tonalità di La maggiore), durante le vacanze estive del 1861. Questo modo ordinato di gestire la propria esistenza – con i mesi invernali dedicati all’attività concertistica, alla promozione della propria
opera, alla cura delle edizioni e la pausa estiva trascorsa in tranquille località a comporre con dedizione il proprio catalogo –
rispecchia a pieno l’ideale borghese dell’efficienza (Leistung), incarnato da Brahms. La sua ascesa fu costruita attraverso un serio lavoro di maturazione dell’indubbio talento – ventenne, era stato salutato da Schumann come la nuova via della musica tedesca – e
anche grazie al rapporto speciale con musicisti già affermati e primi esecutori di molte sue opere, quali il grande violinista Joachim
e Clara Wieck Schumann, ai quali chiedeva opinioni e consigli sulle prime stesure. Questo quartetto quindi, pur essendo relativamente giovanile, presenta già i caratteri di un lavoro maturo, solido e compiuto. La sicurezza dei propri mezzi si può leggere anche
nella caparbietà con cui difese l’esteso primo movimento dalle critiche puntuali di Joachim. Le innovazioni brahmsiane furono tutte
interne al solco della tradizione classica, a partire dall’utilizzo delle
forme canoniche (in questo caso la Sonata), e rimasero a lungo
offuscate dalla diatriba assai infuocata con le tendenze considerate allora più progressive, la nuova scuola tedesca di Liszt e l’opera
totale di Wagner. A posteriori però bisogna riconoscere che il lavoro di Brahms, che pone la sua attenzione sul livello sintattico e
grammaticale piuttosto che filosofico–religioso, fu assai fecondo e
decisamente più dirompente (se si pensa che dall’una tradizione
discende Schoenberg e dall’altra lo Strauss tardoromantico dei
poemi sinfonici).
Concerto del 25 settembre 2011
programma
Giuseppe Verdi
(1813-1901)
Quartetto d'archi in Mi minore
Allegro
Andantino
Prestissimo
Allegro assai mosso
Gianfrancesco Malipiero
(1882-1973)
Epodi e giambi per violino, oboe, viola e fagotto
Pëtr I. Čajkovskij
(1840-1893)
Quartetto d'archi in Re maggiore n. 1 op. 11
Moderato e semplice
Andante cantabile
Scherzo. Allegro non tanto e con fuoco
Finale. Allegro giusto
Ensemble Musagète
Giovanni Guglielmo
I violino e concertatore
Tiziano Guarato
violino
Michele Sguotti
viola
Giordano Pegoraro
violoncello
Remo Peronato
oboe
Laura Costa
fagotto
“Ho scritto proprio nei momenti d’ozio un quartetto. L’ho fatto eseguire una sera in casa mia senza dargli la minima importanza. Se il
quartetto sia bello o brutto non so ... so però che è un quartetto!”.
Nonostante l’ostentata modestia, il Quartetto per archi in Mi minore fu la risposta di Verdi alle istanze di emancipazione dal melodramma propugnate dalle varie Società del Quartetto sorte in Italia a partire
dagli anni Sessanta, le quali promossero, in coincidenza con la creazione di uno stato unitario, un rinnovato interesse per la musica strumentale. Pur rimanendo l’unica opera cameristica del suo catalogo, non è
quindi una prova giovanile, uno di quegli esercizi accademici a cui
sovente si dedicavano in fase di apprendistato gli operisti dell’Ottocento (si pensi a Donizetti). La pagina fu scritta nel 1873 durante il soggiorno napoletano per la ripresa di Aida che due anni prima aveva trionfalmente inaugurato il canale di Suez. La sua genesi durante i momenti di pausa dal lavoro in teatro ne determinarono anche la destinanzione, per così dire, familiare e domestica. Tuttavia, lungi dall’essere una
bagatella creata nell’ozio, ha un solido impianto formale, arricchito da
una conduzione spesso contrappuntistica.
La figura di Gianfrancesco Malipiero è quanto mai interessante per
delineare le ambivalenze del primo Novecento italiano. Se dal lato politico l’Italia è percorsa prima da contraddittorie istanze nazionalistiche e
poi dal ventennio fascista, dal punto di vista culturale il paese esprime
una notevole varietà di esperienze, aperte e in relazione con ciò che
accade in campo internazionale. A partire dalla formazione berlinese e
dalle frequentazioni parigine degli anni giovanili (nel 1913 era presente alla prima del Sacre di Stravinskij), Malipiero fu sempre aggiornato su
ciò che di nuovo accadeva a livello internazionale. Partendo da posizioni avanguardistiche e iconoclaste verso la tradizione del melodramma
ottocentesco e delle sue propaggini veriste declinò poi le istanze neoclassiche comuni alla sua generazione in modo affatto autonomo. Lo
studio e la riscoperta della grande tradizione italiana precedente al Classicismo (il Seicento, Monteverdi e poi Vivaldi) determinò l’emergere
sempre più deciso di un carattere insofferente alle forme rigide così
come ad ogni tipo di manifesto. Anche in Epodi e giambi il riferimento all’antico – significativamente mediato da un’ironica allusione alla
celebre raccolta carducciana (Giambi ed epodi, 1882) – non è una formula che miri a nobilitare la composizione attraverso l’inserimento di
elementi arcaici, né tantomeno un’impossibile ricostruzione filologica.
Rappresenta invece la scelta di rifugiarsi nella libertà di un passato che,
per forza di cose, risulta più (re)inventato che riproposto.
Anche in Russia, come per l’Italia con qualche ritardo sul resto d’Europa, a partire dagli anni Sessanta vennero formandosi delle istituzioni
stabili per lo studio e la diffusione della musica (i Conservatori di Pietroburgo e Mosca). La posizione geografica – a cavallo tra oriente e
occidente – così come la situazione economica e sociopolitica – ben
documentata dai romanzi dei contemporanei Tolstoj e Dostoevskij –
presentava un contesto di fortissime contraddizioni anche per quanto
riguarda le poetiche musicali. Le prime timide riforme a livello politico
(risale al 1861 l’abolizione della servitù della gleba da parte di Alessandro II) scatenarono un acceso dibattito anche a livello culturale. In campo musicale ciò si rifletté in una spaccatura tra un parte che propugnava il recupero della tradizione slava in chiave antiaccademica e chi si
faceva strumento di un’assimilazione degli esiti ultimi della tradizione
occidentale. Čajkovskij fu subito riconosciuto, anche suo malgrado,
paladino del partito accademico (allievo e poi egli stesso docente del
Conservatorio di Pietroburgo) e filo-occidentale. Se la lingua corrente
nei circoli aristocratici era il francese, l’idioma musicale distintivo nel
quale Čajkovskij sviluppò la sua fluente inventiva fu quello della tradizione classico-romantica tedesca. Al di là degli schematismi ideologici
però, si noterà come il Quartetto n. 1 op. 11 (1871) accolga nelle sue
pagine accenti folklorici, a cominciare dal tema dell’Andante cantabile
che è tratto da una melodia popolare ukraina e che, si narra, commosse fino alle lacrime Tolstoij.
Concerto del 2 ottobre 2011
programma
Giulio Briccialdi (1818-1881)
Quintetto di fiati in Si bemolle maggiore n. 2
Allegretto
Andante sostenuto
Allegro
Ottorino Respighi (1879-1936)
Quintetto di fiati in Sol minore
Allegro
Andante. Tema e variazioni
Gianfrancesco Malipiero (1882-1973)
Sonata a quattro
Matteo Zanetti (1977)
Canto Notturno per flauto solo (2009)
Igor Stravinskij (1882-1971)
Eight instrumental miniatures (trascrizione di Luigi Marasca)
Andantino
Vivace
Lento
Allegretto
Moderato alla breve
Tempo di marcia
Larghetto
Tempo di Tango
Francesco Erle (1962)
Rime armoniche, per cinque fiati (2008)
elaborazione per quintetto di fiati dal libro
primo e secondo di Carlo Gesualdo
Ensemble Musagète
Fabio Pupillo
flauto e flauto in sol
Remo Peronato
oboe e corno inglese
Luigi Marasca
clarinetto e clarinetto basso
Enrico Barchetta
corno
Laura Costa
fagotto
Giulio Briccialdi fu uno di quei virtuosi dell’Ottocento, di cui l’archetipo è Paganini, i quali si dedicarono anche alla composizione, in particolare per il proprio strumento. Nato a Terni, fu attivo a Roma, Napoli (dove fu maestro di flauto presso la
corte) e Firenze e fu conosciuto e apprezzato in tutta Europa (fu anche artefice di
una miglioria tecnica nella costruzione del flauto, collaborando con la famosa ditta inglese Rudall & Rose). Figura tipica, si è detto, in quanto, dopo i fasti della musica strumentale italiana del Sei–Settecento, per tutto l’Ottocento l’Italia visse prevalentemente delle fortune del melodramma e la musica strumentale divenne appannaggio dei virtuosi che spesso sfruttavano i temi più famosi del teatro musicale
componendo capricci, variazioni e parafrasi. Il Quintetto in Si bemolle maggiore, a differenza del precedente pubblicato come opera 124 dalla Schott di Magonza, rimase inedito. Se ne conserva una copia manoscritta presso la Biblioteca dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma, dove Briccialdi fu professore dal 1835 (a soli
diciassette anni) e nell’ambito della quale questo lavoro probabilmente nacque.
Anche questo quintetto conferma l’alta competenza di Briccialdi nello sfruttare le
caratteristiche timbriche e tecniche dei diversi strumenti, unita a una grande dimestichezza con la cantabilità tipica della coeva opera italiana (Rossini e Bellini), senza
per questo far uso esplicito di materiale tematico altrui.
Nei decenni postunitari si assistette in Italia al tentativo di recuperare i valori musicali riconosciuti nel passato al nostro paese anche in campo strumentale. Nacquero così nelle maggiori città associazioni concertistiche (la prima Società del Quartetto nel 1861 a Firenze) allo scopo di promuovere la composizione e la fruizione
della musica da camera e sinfonica. I compositori di questa prima fase (cfr. quanto
scritto per Sgambati, concerto 11 settembre, e Bazzini, concerto 23 ottobre),
dovettero fare necessariamente i conti con la tradizione strumentale tedesca (da
Beethoven a Brahms). La successiva generazione dell’Ottanta, qui rappresentata da
Respighi e Malipiero, pur operando in un’Italia in cui le istanze nazionalistiche e poi
ferocemente autarchiche andavano acquisendo sempre più forza, operò con maggiore vivacità e disinvoltura in campo internazionale. Basti pensare che Respighi fu
prima attivo come strumentista a San Pietroburgo (dove poté conoscere e probabilmente studiare con Rimskij-Korsakov) e poi a Berlino (dove studiò con Bruch)
mentre Malipiero, perfezionatosi alla Hoschschule di Berlino, frequentò poi assiduamente Parigi, capitale riconosciuta della cultura europea del primo Novecento
(cfr. quanto scritto per il concerto del 25 settembre). Le loro diverse strade, esemplificate qui dal giovanile Quintetto di fiati in Sol minore di Respighi e dalla più
matura Sonata a Quattro di Malipiero (1954), partirono da una comune insofferenza per l’egemonia del melodramma e quindi da un’istanza di ritorno all’antico.
Costante infatti fu per Respighi l’interesse per il canto gregoriano e per la musica
italiana del Sei e Settecento per la quale si spese anche come musicologo, curando
edizioni di Monteverdi, Vivaldi e Marcello, così come per Malipiero l’attività musicologica ed editoriale (in particolare su Monteverdi) ebbe un preciso indirizzo che
trovò ampi riflessi nella sua musica.
“Per un compositore scrivere un pezzo per flauto solo rappresenta indubbiamente
una sfida, ma allo stesso tempo, proprio in virtù dei limiti imposti, questa avventura creativa si rivela entusiasmante. In Canto Notturno l’intenzione espressiva di
evocare un’atmosfera specifica, quella della notte appunto, e le suggestioni ad essa
legate, si unisce alla ricerca di un divenire più strettamente musicale che trova la sua
ragion d’essere in due procedimenti fondamentali che caratterizzano la costruzione delle due sezioni principali e di conseguenza l’intero pezzo: l’inversione, di derivazione contrappuntistica, e lo sviluppo del materiale proposto, il tutto secondo il
seguente schema: A (Calmo) – B (Un poco Allegretto) – inversione di A – sviluppo
di B – Coda. Il linguaggio è liberamente extratonale, con uso sia di procedimenti
seriali che di organizzazione modale dei suoni.” Matteo Zanetti
Tra la fine del 1961 e l’inizio del 1962 Stravinskij ripensò in termini orchestrali una
composizione scritta quarant’anni prima per il pianoforte, la suite di otto piccoli
pezzi per principianti nota con il titolo Le cinque dita. Nella nuova veste strumentale (Eight instrumental miniatures) i fiati ricoprono un ruolo preminente, ma le
idee melodiche originali tipiche dello Stravinskij neoclassico, pur subendo spostamenti di registro e tonalità e piccole integrazioni nello sviluppo, restano sostanzialmente inalterate. Il ritorno all’antico di questo Stravinskij non indulge mai alla
nostalgia e risulta piuttosto come un necessario bagno che lava ogni incrostazione
tardoromantica ma anche certi eccessi espressionisti.
Scrive Francesco Erle a proposito delle Rime armoniche, per cinque fiati:
“Quando i bravissimi amici dell’Ensemble Musagète mi hanno chiesto di scrivere un
quintetto per fiati pensando alla musica di Gesualdo da Venosa, è stato con entusiasmo che ho accettato, per la perfezione architettonica e quindi musicale del
numero cinque, per la passione per il suono dei loro strumenti, per la forza e la fede
incrollabile nel contrappunto e nella ricerca della musica del grandissimo compositore, ma anche per l’eccitante curiosità di indagare il rapporto profondo tra la voce
umana e il suono dei fiati, per la sfida di trovare stimoli attuali nel pensare alla musica dei grandi polifonisti. Anzi, in fondo, tutti questi pensieri uniti sono il vero motivo del mio entusiasmo: per la vita così come la viviamo, o meglio, subiamo nella
nostra società, la cultura del dialogo paritetico tra diversi (il quintetto madrigalistico), il gusto per la ricerca della forma perfetta perché generata e giustificata dal
materiale stesso (la polifonia antica), il senso nobile e coraggioso dell’esplorare lo
spazio intero (il contrappunto), sono medicine che noi musicisti dobbiamo profondere senza risparmio. E ciò mi rende orgoglioso. Ecco quindi perché nascono queste mie rime, assonanze con le poesie in musica del I e II libro di Madrigali di Gesualdo, armoniche, per la loro destinazione all’insieme di fiati, una harmonie musique.”
Concerto del 23 ottobre 2011
programma
Antonio Bazzini
(1818–1897)
Quartetto d’archi in Re minore n. 2 op. 75
Allegro appassionato
Andante con moto
Gavotte. Intermezzo
Quasi presto
Gioachino Rossini
(1792–1868)
Variazioni in Do maggiore per clarinetto
obbligato e piccola orchestra
Giovanni Bonato
(1961)
Quintetto Musagète (2007)
1.
2.
Giovanni Bottesini
(1821–1889)
Quintetto in Do minore
Allegro
Presto
Adagio
Finale. Allegro con brio
Ensemble Musagète
Giovanni Guglielmo
I violino e concertatore
Tiziano Guarato
violino
Michele Sguotti
viola
Giordano Pegoraro
violoncello
Jan R. Zahourek
contrabbasso
Remo Peronato
oboe
Luigi Marasca
clarinetto
“Il 13 [maggio 1843] c’era il concerto di Bazzini, che è un grande
artista. Robert e io ci siamo trovati d’accordo: da tempo non ascoltavamo un violinista così grande e così completo. Ha una tecnica
notevolissima, il suo suono è straordinariamente dolce e bello, le
sue interpretazioni così naturali, ricche di un’ispirazione felice e le
sue composizioni, benché non esattamente profonde, comunque
migliori di quelle di molti nuovi virtuosi. Robert ha scritto bene di lui
sulla sua rivista”. Questa annotazione di Clara Wieck Schumann sul
diario privato tenuto a quattro mani col marito Robert chiariscono
con molta schiettezza quali siano le caratteristiche musicali di Antonio Bazzini. Virtuoso di indubbio talento, incoraggiato agli esordi
dallo stesso Paganini, si perfezionò a Lipsia passando la prima parte
della sua carriera all’estero per poi tornare in patria negli anni Sessanta dove fu, dal 1873, direttore del Conservatorio di Milano. Bazzini rappresenta dunque una delle rare figure di continuità tra la
grande tradizione stumentale italiana del Sei–Settecento e le nuove
generazioni post-unitarie. La sua produzione cameristica è scevra da
inflessioni operistiche tipiche di molta produzione strumentale
coeva (cfr. quanto scritto per Briccialdi, concerto del 2 ottobre) e
affonda invece le sue radici nel Classicismo viennese. Anche il Quartetto n. 2 op. 75 (1877) presenta una struttura formale classica in
quattro movimenti, all’interno della quale le idee fluiscono in modo
armonico e composto, senza eccessi espressivi. Gli elementi più
notevoli compaiono negli ultimi due movimenti, un Intermezzo su
inconsueto tempo di Gavotte, e un finale Quasi presto che alterna
un andamento di saltarello (in 6/8) a un tema disteso e cantabile (in
2/4) per poi riunirli nella coda finale.
Le Variazioni per clarinetto furono probabilmente composte
durante l’apprendistato di Rossini presso padre Mattei al Conservatorio di Bologna. In questa pagina strumentale sono però già evidenti quelle caratteristiche di freschezza e vivacità che di lì a poco
faranno di Rossini il campione dell’opera italiana per i successivi
due decenni.
Il Quintetto Musagète di Giovanni Bonato fu composto nel
2007 su commissione del nostro ensemble. Pur partendo da una
richiesta d’organico alquanto inconsueta (oboe, clarinetto, violino,
viola e contrabbasso) e da una giustapposizione nel programma di
allora a un grande del Novecento come Prokof’ev (di cui si eseguiva l’opera 39 per la medesima formazione), non viene meno una
forte impronta stilistica, tipica del maestro scledense. Si tratta di una
scrittura trasparente ma allo stesso tempo elusiva che gioca, anche
grazie alla particolare disposizione spaziale dei musicisti, con le
caratteristiche timbriche degli strumenti fino a renderle indeterminate, mettendo in scacco l’ascoltatore. Così scrive l’autore: “La
riproposizione del mio Quintetto Musagète non può che farmi un
grande piacere e, come sempre capita in occasioni simili, stuzzica in
me una grande curiosità. La dislocazione spazializzata dell’organico
ci potrà offrire la possibilità di riascoltare una ‘esperienza sonora’
sicuramente diversa dalla precedente e l’occasione di ‘scoprire’ nuove potenzialità acustiche della sala, tramite le geometrie degli impasti e delle linee strumentali.”
Giovanni Bottesini è una di quelle figure che, in un panorama italiano dominato dal melodramma, seppero mantenere viva una tradizione strumentale, anche se quasi esclusivamente in ragione del
proprio carisma di straordinario virtuoso (cfr. quanto scritto per Briccialdi, concerto del 2 ottobre). Bottesini, noto come il Paganini del
contrabbasso, deve anche la sua fama a Verdi, il quale lo volle a dirigere la prima di Aida al Cairo nel 1871. Il Quintetto in Do minore, pur inserendo nell’organico il contrabbasso, non affida a questo
strumento un ruolo preminente, né presenta, come in altre pagine
bottesiniane, ammiccamenti più o meno espliciti a temi d’opera. La
struttura è invece classica, con uno sviluppo del materiale tematico
che si rifà alla grande tradizione viennese.
Concerto del 6 novembre 2011
programma
Franz Listzt
(1811–1886)
Da Années de pèlerinage. Deuxième année: Italie
Sonetto del Petrarca n. 104
Antonino Pasculli
(1842-1924)
Amelia. Un pensiero dal Ballo in Maschera.
Fantasia per corno inglese e pianoforte
Giuseppe Martucci
(1856-1909)
La canzone dei ricordi.
Poemetto lirico per canto e pianoforte
su testi di Rocco Pagliara
No... svaniti non sono i sogni
Cantava il ruscello la gaia canzone
Fior di ginestra
Al folto bosco
No... svaniti non sono i sogni
Nino Rota
(1911-1979)
Sonata in Re per clarinetto e pianoforte
Allegretto scorrevole
Andante quasi adagio
Allegro scorrevole
Nicola Campogrande
(1969)
Melodie per preparare la carta
su testi di Dario Voltolini (2006)
Diluizione
Danzando sotto i magli
Sogno dell'anagramma
Un angolo di carta
Ensemble Musagète
Patrizia Vaccari
soprano
Remo Peronato
oboe
Luigi Marasca
clarinetto
Gabriele Dal Santo
pianoforte
Negli Années de pèlerinage, raccolta in tre volumi o “annate” di brani pianistici ispirati a Liszt dai soggiorni in Svizzera e Italia, si ritrovano due fondamentali luoghi romantici, la natura e l’arte, filtrati attraverso una dimensione sempre più intima e spirituale. Il carattere diaristico delle raccolte permette di seguire l’evoluzione della musica lisztiana verso una sorta di
impressionismo ante litteram. In questo senso nel Sonetto del Petrarca n. 104 –
contenuto nella seconda raccolta, dedicata al soggiorno italiano del 1837 –
le ragioni superiori dell’arte trovano la loro esaltazione nel riverbero dell’anima alla lettura del celebre sonetto.
Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.
Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten, né scioglie il laccio;
et non m’ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.
Nell’ambito di un discorso sulla rinascita della musica strumentale italiana
nella seconda metà dell’Ottocento la figura di Antonino Pasculli risulta in
qualche modo anacronistica. Egli si pose nel solco dei grandi virtuosi dell’Ottocento (cfr. quanto scritto a proposito di Briccialdi per il concerto del 2
ottobre), e come essi dedicò al proprio strumento molte pagine di carattere brillante che mettevano in luce il suo straordinario talento. Nell’accostamento a Martucci si percepisce nettamente la distanza tra due mondi –
quello ancora immerso nella cultura operistica di stampo verdiano, e quello proiettato in un discorso di livello europeo – che procedettero parallelamente. La proposta della fantasia Amelia. Un pensiero dal Ballo in
Maschera, oltre che per l’indubbia piacevolezza della pagina, vuole sottolineare infatti come, nonostante le istanze di rinnovamento manifestatesi in
modo sempre più esplicito a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, la
cultura operistica rimase dominante nella ricezione popolare almeno fino al
primo conflitto mondiale.
Giuseppe Martucci fu, assieme a Sgambati (cfr. quanto scritto per il concerto dell’11 settembre) uno dei compositori più rilevanti nell’ambito della
rinascita della musica strumentale italiana, preparando la strada alla successiva generazione dell’Ottanta. Il suo impegno si giocò anche nel campo
di importanti istituzioni musicali (tra le quali la Società del Quartetto, la
Società Sinfonica e il Conservatorio di Napoli e la Cappella di S. Petronio a
Bologna). Il poemetto lirico La canzone dei ricordi (1887), su testi di Rocco Pagliara (1857-1914), poeta e critico d’arte per circa 25 anni bibliotecario del Conservatorio di Napoli, è paragonabile a coeve esperienze europee
(sono del 1886 i Lieder eines fahrenden Gesellen di Mahler) in quanto si distacca dalla forma strofica e aforistica del Lied preludendo ad atmosfere
decadenti di ispirazione wagneriana.
La Sonata in Re per clarinetto e pianoforte di Nino Rota (1945) rappresenta uno dei molti possibili esiti della musica novecentesca seguenti la
crisi della tradizione tonale d’inizio secolo. Sulla scia del suo maestro Alfredo Casella, Rota rimase fedele a una tonalità d’ispirazione classica. Se nello sviluppo della sua carriera, in particolare grazie al fecondo rapporto con
il cinema, la sua ispirazione conciliò con grande ironia elementi della tradizione musicale italiana del Settecento con spunti contemporanei provenienti dalla musica extracolta, in questa sonata giovanile risuonano più evidenti reminescenze del sonatismo romantico (Brahms).
Melodie per preparare la carta
“Dopo aver scritto insieme un’opera sul mondo delle macchine (Macchinario), un’opera su una fabbrica di mattoncini giocattolo (Lego) e un’opera sul
desiderio del volo (Alianti), Dario Voltolini ed io ci siamo lasciati attrarre dall’idea di lavorare intorno al processo di fabbricazione della carta. È un procedimento terribilmente affascinante, fatto di sminuzzamenti, di immersioni, di fibre che si intrecciano, di setacci, di stenditoi, di colle; è cioè qualcosa di molto simile al lavoro dello scrittore e a quello del compositore, al loro
creare cellule musicali e significati e ritmi che si colleghino, si accavallino, si
accostino, si lascino distendere, incollare, sbiancare, diluire.
Queste quattro melodie sono i nostri quattro fogli, creati con pazienza e
amore tra la primavera e l’estate 2006.” Nicola Campogrande
Concerto del 20 novembre 2011
programma
Gustav Mahler
(1860-1911)
Quartettsatz in La minore
Nicht zu schnell
Johannes Brahms
(1833-1897)
Trio per violino, corno e pianoforte
in Mi bemolle maggiore op. 40
Andante - poco più animato
Scherzo. Allegro
Adagio mesto
Finale. Allegro con brio
Antonin Dvořák
(1841-1904)
Quartetto d'archi in Fa maggiore op. 96 Americano
Allegro ma non troppo
Lento
Molto vivace
Finale. Vivace ma non troppo
Ensemble Musagète
Giovanni Guglielmo
I violino e concertatore
Tiziano Guarato
violino
Michele Sguotti
viola
Giordano Pegoraro
violoncello
Enrico Barchetta
corno
Gabriele Dal Santo
pianoforte
Il frammento di quartetto con pianoforte (Quartettsatzt) è la prima composizione conosciuta di Mahler e fu scritta nel 1876 come
saggio per il Conservatorio di Vienna. La solida costruzione formale e la chiara ispirazione brahmsiana sono il primo passo di un cammino che condurrà Mahler a diventare l’estremo cantore di una tradizione che si espresse ai suoi massimi valori proprio nel momento
del declino (Freud, Klimt, Musil, Kafka, ecc.).
A differenza dell’opera cameristica di Schumann, la quale può
essere sempre letta anche come un diario intimo dell’autore, la prospettiva compositiva brahmsiana limita le interpretazioni in chiave
psicologica. La sua è una musica assoluta, non tanto in senso filosofico, quanto piuttosto perché si pone nel solco di una tradizione
di perfezione (da Bach a Beethoven) al di là di ogni contingenza
storica o esistenziale. Il Trio per violino, corno e pianoforte op.
40, composto nella primavera del 1865, giustifica però anche
un’interpretazione di quel tipo. Innanzitutto il Trio fu composto a
breve distanza dalla morte della madre. Brahms, pur ormai emancipato sia a livello economico che sociale, mantenne forti legami
con la famiglia e mostrò sempre riconoscenza per una giovinezza
difficile per le precarie condizioni economiche, ma improntata a
solidi principi morali. Così quindi, se l’Adagio mesto può rappresentare un commosso canto funebre, la sonorità del corno naturale (strumento suonato dal padre e studiato anche da Johannes in
gioventù), in particolare nell’asciutta apertura del primo movimento, richiama un’andamento di Lied popolare, che ben si associa a
reminescenze dell’infanzia amburghese. Volendo forzare questa
lettura, con il conflitto franco-prussiano alle porte (dal cui esito
Brahms troverà ispirazione per il Triumphlied op. 55), lo squillo del
corno, da sempre associato al binomio caccia/battaglia, si esalta
anche di connotazioni nazionalistiche.
Antonin Dvořák, assieme a Smetana, fu il massimo esponente
della cosiddetta scuola ceca. Se però in generale il cliché delle scuole nazionali mostra sempre più i suoi limiti interpretativi, nel caso di
Dvořák risultano ancora meno convincenti letture di tipo nazionalistico. Nella sua musica sono senz’altro presenti elementi folklorici
della tradizione slava e boema, ma il segno principale è quello di
un’adesione profonda e sentita alla grande tradizione tedesca
(Brahms in primis). Se perciò si vuole trovare un motivo politico nella musica di Dvořák, questo è piuttosto da individuare in una sorta
di universalismo attuato attraverso l’immissione dell’ispirazione folklorica in una lingua assoluta qual era per lui la tradizione romantica tedesca. In questo senso il Quartetto Americano, frutto dell’esperienza di direzione del Conservatorio di New York tra il 1892
e il 1895, rappresenta a pieno quest’ideale. Infatti la presenza di
motivi del folklore nordamericano (spirituals e canti dei nativi americani) non intervengono a modificare la sintassi della lingua musicale del vecchio mondo.
Concerto del 4 dicembre 2011
programma
Carl Nielsen
(1865-1931)
Quintetto di fiati op. 43
Allegro ben moderato
Menuet
Praeludium. Adagio - Tema con variazioni
Edvard Grieg
(1843-1907)
Suite n. 1 op. 46 da Peer Gynt
(trascrizione di Joachim Linckelmann)
Il mattino
La danza di Anitra
Nell'antro del re della montagna
Ottorino Respighi
(1879-1936)
Gli Uccelli (elaborazione di Alberto Schiavo)
Preludio. Da Bernardo Pasquini (1637-1710)
La colomba. Da Jacques de Gallot (?-1685 c.a.)
La gallina. Da Jean Philippe Rameau (1683-1764)
L'usignolo. Da un anonimo inglese
Il cucù. Da Bernardo Pasquini
Alessandro Solbiati
(1956)
Der Wind Spielt.
Due movimenti per quintetto di fiati (2002)
Andantino affettuoso
Misterioso
Ensemble Musagète
Fabio Pupillo
flauto, ottavino e flauto in sol
Remo Peronato
oboe e corno inglese
Luigi Marasca
clarinetto
Enrico Barchetta
corno
Laura Costa
fagotto
Nell’ambito della controversa questione delle scuole nazionali del
secondo Ottocento i musicisti del Nord Europa vengono solitamente
inquadrati nella tradizione romantica tedesca. Se questa etichetta
appiattisce le individualità dei diversi compositori e le istanze specificamente patriottiche di molta della loro musica, è senz’altro vero che
tali differenze parlarono attraverso una comune lingua che era quella del tardo romanticismo tedesco.
In questa prospettiva la produzione del danese Carl Nielsen – ancor
oggi una delle più frequentate – e in particolare il tardo Quintetto
di fiati op. 43 (1922) condensano alcuni elementi di notevole interesse. L’impulso per la composizione di questa pagina nacque in Nielsen dall’ascolto di un concerto del Quintetto a fiati di Copenhagen
al quale egli volle subito dedicare un suo lavoro. Secondo le stesse
parole del compositore, l’attenzione principale fu quella di rendere
gli specifici caratteri dei diversi strumenti. Ciò emerge particolarmente nell’ultimo movimento che, dopo un preludio connotato dal
timbro del corno inglese, inanella una serie di undici variazioni sul
tema del corale Min Jesus, lad min Hjerte dello stesso Nielsen.
Nella produzione del norvegese Edvard Grieg, formatosi nell’ambito del prestigioso Gewandhaus di Lipsia all’interno del quale era
ancora forte l’impronta di Mendelssohn, fu assai importante l’incontro con il drammaturgo Ibsen (conosciuto durante un viaggio in Italia) per il quale scrisse le musiche di scena per il poema Peer Gynt
(1875). Le due suite orchestrali che Grieg stesso ne ricavò alcuni anni
più tardi (1888-1891) rimangono ancor oggi le sue composizioni più
popolari. Il lavoro attorno alla figura di questo antieroe norvegese
segnò l’abbandono delle ambizioni per le grandi forme classiche
(concerto, sinfonia, sonata) che lo portò a prediligere poi l’utilizzo di
forme brevi e intime come Lieder e Charakterstücke per pianoforte
solo.
La riscoperta dell’antico, pur essendo un’istanza comune alla generazione dell’Ottanta (cfr. quanto scritto a proposito di Malipiero e
dello stesso Respighi per i concerti del 25 settembre e del 2 ottobre), fu declinata da ciascun autore in modi assai diversi. Respighi,
dotato di mano felicissima e guidato da un’indole probabilmente più
accomodante, fu quello che nella sua generazione meno indulse alla
polemica e che d’altra parte ottenne il più largo consenso di pubblico. Il suo neoclassicismo è senz’altro privo della vena graffiante di
Stravinskij e diverge anche dal già citato Malipiero poiché in lui l’utilizzo di materiale antico ha una valenza per così dire rassicurante.
Negli esiti più limpidi però, come può senz’altro essere considerata la
suite Gli Uccelli, la maestria coloristica di Respighi convince al di là
di ogni considerazione storica e musicologica. La versione cameristica che proponiamo, affidata al giovane compositore Alberto Schiavo
segnalato nel Concorso “Pomeriggio tra le Muse 2010”, vede i fiati
protagonisti, così come già nella versione orchestrale originale.
Der Wind Spielt di Alessandro Solbiati è stato scritto nel 2002 per
il Mexico City Woodwind Quintet, che ne fece la prima esecuzione a
Città del Messico nello stesso anno, e rivisto poi per una seconda versione l’anno successivo.
“Il primo movimento – scrive lo stesso Solbiati –, dinamico e fortemente narrativo, è dedicato alla fagottista Wendy Holdaway. Una
prima situazione degli strumenti acuti (flauto, oboe e clarinetto) leggera, fiorita ed un poco danzante è più volte minacciata dagli interventi ora forti, ora sotterranei di corno e fagotto che esplodono in
una tensione culminante in una sorta di grido acutissimo di clarinetto e flauto, dalla cui eco emerge infine un canto ascendente di corno e oboe che riconcilia la situazione. Ho qui volutamente raccontato l’evento musicale per sottolinearne la valenza narrativa. Al contrario, il secondo movimento porta le tracce della dedica all’amico
musicista Alfredo Impullitti, prematuramente scomparso quell’anno.
Su un fondale statico e pulsante di soffi, si monta via via un’unica
lenta sequenza melodica, i cui frammenti galleggiano ripetutamente
tra gli strumenti, prima di coagulare in una linea unitaria.”
Concerto del 18 dicembre 2011
programma
Giulio Briccialdi
(1818-1881)
Le attuali emozioni d'Italia op.103
per flauto e pianoforte
Amilcare Ponchielli
(1834–1886)
Capriccio per oboe e pianoforte
Roberta Vacca
(1967)
Entro-terra per flauto, oboe, clarinetto,
violino e violoncello (2011)
opera dedicata all'Ensemble Musagète
e alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari
Béla Bartók
(1881–1945)
Contrasti per clarinetto, violino e pianoforte
Manuel de Falla
(1876–1946)
Concerto per pianoforte, flauto, oboe, clarinetto,
violino e violoncello
Allegro
Lento (giubiloso ed energico)
Vivace (flessibile, scherzando)
Ensemble Musagète
Giovanni Guglielmo
I violino e concertatore
Fabio Pupillo
flauto
Remo Peronato
oboe
Luigi Marasca
clarinetto
Giordano Pegoraro
violoncello
Gabriele Dal Santo
pianoforte
La fortuna delle opere flautistiche di Giulio Briccialdi (cfr. anche quanto scritto per il concerto del 2 ottobre) venne alimentata da una schiera
di editori musicali che in tempi diversi estesero la notorietà del virtuoso
internazionalmente celebrato all’indomani della proclamazione del
Regno d’Italia. Il desiderio da parte degli editori di accattivarsi le simpatie del nuovo mercato nazionale diede infatti vita a una fiorente letteratura dal carattere disimpegnato e leggero, secondo i canoni della hausmusik borghese. Il pezzo descrittivo Le attuali emozioni d’Italia
risponde a questa logica e assembla in un carosello strumentale diversi
topoi della mappa musicale popolare italiana: un canto alla romanesca,
una colascionata napoletana, una tarantella originale, un canto monastico veneziano per concludere con il patriottico inno a Garibaldi.
Il Capriccio per oboe e pianoforte di Amilcare Ponchielli, scritto probabilmente attorno al 1880, è interessante per una doppia ragione.
Innanzitutto perché testimonia una volta di più la pervasività del linguaggio operistico nell’Italia dell’Ottocento. L’elemento di maggior interesse è però il fatto che questa pagina dal carattere estroverso non venga dalla penna di un virtuoso che parafrasa temi d’opera, ma proprio da
un compositore di melodrammi (universalmente conosciuto per La Gioconda, 1876) che affida al canto dell’oboe alcuni temi originali.
“Entro-terra elabora frammenti di alcuni fra i canti popolari che più mi
legano alla mia terra natia, J’Abbruzzu. Il titolo sottolinea il legame profondo col territorio e con lo stravolgimento sismico, vissuto nel 2009
insieme a tutti i suoi abitanti. È un canto dettato dal sentimento che mi
lega alla terra, dal mare ai monti, alle genti e all’aria che vi si respira, e
che termina con una specie d’inno di speranza, tratto dal più popolare
canto aquilano (Te vojo revete’), per continuare a sentirla, tra le crepe
dell’anima, sempre vitale, generosa nel donare emozioni a chi la vuole
conoscere e capace di suscitare le più forti passioni a chi la sa amare”.
Roberta Vacca
Nella seconda metà dell’Ottocento, in paesi soggetti a una dominazione
straniera quali Polonia, Ungheria e Boemia, concetti romantici quali
“popolo” e “natura” si svilupparono in senso patriottico e nazionale e
in campo musicale ebbero quasi sempre una connotazione “progressista”. La successiva crisi dell’egemonia culturale della mitteleuropa non
fece che accentuare le spinte centrifughe, dando nuova linfa alla riscoperta dei caratteri etnologici della musica. Assai significativa in questo
senso è l’opera di Béla Bartok, per il quale l’assimilazione dei motivi
popolari, partendo da un serio e accurato studio sulle fonti, maturò fino
a una completa assunzione non solo del carattere espressivo ma anche
delle strutture grammaticali e sintattiche della musica popolare. I Contrasti per clarinetto, violino e pianoforte, scritti su richiesta del violinista ungherese Jospeh Szigeti, sono a lui e al famoso clarinettista americano Benny Goodman espressamente dedicati. Da questa dedica derivano quindi le due caratteristiche principali dell’opera: il folklore dell’europa orientale e il virtuosismo delle parti strumentali (in particolare del
violino e del clarinetto). I tre movimenti sono basati su melodie di danze
popolari ungheresi e rumene: Verbunkos (marcia militare di reclutamento), Pihenö (rilassamento) e Sebes (danza veloce).
La Parigi del primo Novecento accolse con entusiasmo i diversi esotismi
provenienti prima da Spagna e Russia e poi anche dalle culture extraeuropee. I diversi gradi di metabolizzazione di queste tradizioni traspaiono nelle opere dei maggiori autori attivi in quegli anni (Debussy, Ravel,
Stravinskij). Del fecondo scambio tra musica spagnola e francese
Manuel de Falla fu uno dei principali artefici (risiedette nella capitale
francese tra il 1907 e il 1914). Nelle sue composizioni si assiste a una
lenta maturazione, da un caleidoscopico colorismo di stampo impressionista delle prime opere, fino a una più profonda assimilazione anche
delle strutture armoniche e formali della tradizione popolare andalusa.
Il Concerto per pianoforte, fu composto da Falla quando già aveva
fatto ritorno in patria e rappresenta un’ulteriore svolta nella sua poetica. L’attenzione verso la tradizione non è più rivolta al folklore popolare ma piuttosto alla musica colta, alla grande scuola clavicembalistica
spagnola che ha tra i suoi padri l’italiano Domenico Scarlatti.
Conferenza del 14 ottobre 2011
Il Veneto musicale (1860-1910) attraverso
i suoi protagonisti
Oreste Palmiero, musicologo
Uno sguardo storico sui protagonisti veneti della scena musicale
italiana a cavallo fra Ottocento e Novecento. Da Giuseppe Apolloni
ad Antonio Buzzolla, da Franco Faccio ad Arrigo Boito, da Cesare
Pollini a Gaetano Coronaro: la loro attività, il loro apporto e il loro
ruolo nell'evoluzione storica della tradizione musicale italiana ed
europea.
Conferenza del 25 novembre 2011
Non solo Verdi: i cori libertari e patriottici nell’opera
dell’Ottocento
Guido Salvetti, presidente Società Italiana di Musicologia
I compositori hanno affidato al genere operistico, più che ad altri
generi, messaggi libertari e patriottici. E, all’interno delle opere,
è stato il coro ad attribuire al “popolo” degli spettatori un ruolo
di co-protagonista nella vicenda rappresentata, in cui più o meno
scopertamente si poteva cogliere una simbologia risorgimentale.
Osservando le vicende del teatro d’opera e dei cori che ne sono
spesso l’ossatura, si vedrà come i limiti cronologici e geografici
del Risorgimento si dilatino fino ad abbracciare una sostanziale
dimensione europea, da un lato, e dall’altro un comune punto di
origine che si colloca nell’illuminismo francese e nell’epopea
napoleonica che ne ha esportato gli ideali.
Opere come il Guglielmo Tell di Rossini o Gli Ugonotti di Meyerbeer costituirono, per la generazione che provò le prime delusioni del post-Risorgimento (Boito, soprattutto), un modello luminoso di arte epica e civile, che sarebbe rimasto ineguagliato.
(L’orario d’inizio delle conferenze è fissato alle ore 17.00).
Oreste Palmiero
Bibliotecario, musicologo e musicista. Si è laureato in lettere moderne (indirizzo Storia della Musica) presso l’Università di Padova e diplomato in flauto
traverso presso il Conservatorio di Musica A. Pedrollo di Vicenza. Relatore a
convegni e conferenze, è stato pure membro del comitato scientifico del Centro Studi Tomaselli, presieduto dal prof. Cesare De Michelis. Ha al suo attivo
diverse pubblicazioni (monografie, saggi su riviste, articoli, ecc.) alcune delle
quali dedicate ai carteggi fogazzariani e al rapporto dello scrittore con la
musica. Tra i suoi libri si segnalano Giuseppe Apolloni (1822-1889) musico
vicentino (2000), “Io ti baciavo in sogno”. Fogazzaro e i musicisti (2004) e
Antonio Fogazzaro-Giuseppe Giacosa. Carteggio (1883-1904) (2010) tutti
editi dall’Accademia Olimpica di Vicenza.
Nel 2010 ha vinto la Borsa di studio del concorso “Per conoscere Dino Buzzati”, bandito dall’Associazione Internazionale Dino Buzzati.
Guido Salvetti
Laurea in Lettere e in Filosofia presso l’Università degli studi di Milano. Diploma di pianoforte con Pietro Montani presso il Conservatorio di Milano e
diploma di merito ai corsi di pianoforte di Guido Agosti presso l’Accademia
Chigiana di Siena. Diploma di Composizione nel 1976. Ha insegnato Lettere e Storia e Filosofia e Storia presso i Licei. Dal 1964 al 1982 docente di Pianoforte principale e di Storia della Musica presso il Liceo Musicale di Varese.
Dal 1976 al 2004 docente di Storia della Musica presso il Conservatorio G.
Verdi di Milano, dove ha fondato il corso di Musicologia che ha diretto dal
1984 al 1999: in tale ambito ha svolto gli insegnamenti di Storia e Storiografia Musicale e di Analisi della Musica post-tonale. Nel 2000 docente all’École Normale Supérieure di Parigi per il corso DEA Musique Histoire Société.
Dal 1996 al 2004 direttore del Conservatorio di Milano.
Si è costantemente dedicato alla promozione culturale alla radio e alla televisione. Ha tenuto laboratori e masterclass di analisi musicale e di interpretazione soprattutto nel repertorio del Lied e della mélodie francese. Di particolare lunghezza e impegno la collaborazione, in tal senso, con il Festival
Internazionale di Musica vocale da camera presso il Teatro di Carpi dal 1985
al 1988. Per tale attività è stato ospite, tra gli altri, delle Hochschulen di
Monaco e di Lipsia e dell’École Normale Supérieure Alfred Cortot di Parigi.
Nel 2005 ha fondato con il soprano Stelia Doz l’Accademia di Musica vocale da camera, che svolge da allora corsi di perfezionamento e pubblica libri
e compact disc.
Come musicologo ha al suo attivo libri, saggi e articoli che spaziano dal Settecento strumentale al Novecento musicale, con particolari predilezioni per
l’opera europea dell’Ottocento, Wagner, Brahms e Debussy. Dal 2006 è presidente della Società Italiana di Musicologia.
Ensemble Musagète
L’ensemble è attivo dal 2001 come formazione in residence alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari
di Vicenza. Il progetto dell’ensemble nasce dalla collaborazione tra il maestro Giovanni Guglielmo già primo violino solista dell’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia e dell’Orchestra Nazionale di
Santa Cecilia di Roma - e un gruppo di giovani musicisti, con l’obbiettivo di accompagnare l’attività
espositiva delle Gallerie. L’ensemble ha un organico base di 12 elementi (quintetto d’archi, quintetto di fiati, voce e pianoforte) e lavora a geometria variabile, dal duo alla piccola orchestra da camera, proponendo programmi che spaziano nei generi e nelle epoche, sempre guidati da una coerenza stilistica, cronologica o tematica. Nel 2010 è stata festeggiata la decima stagione Pomeriggio tra
le Muse che, tra settembre e dicembre, ogni anno presenta un nuovo ciclo di otto concerti.
In questi anni l’attività è cresciuta, così come il repertorio che supera ormai le 250 opere, e si è arricchita di molte esperienze diverse. L’ensemble è stato ospite di importanti rassegne (Festival Galuppi
di Venezia, Società del Quartetto di Vicenza, Musica nel Mendrisiotto - CH, Amici della Musica di
Verona, Concerti Vesperali della Comunità di Bose, Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza, MusicArte di Verona, Festival Vigontino, Teatro Comunale di Vicenza) e di RAI radio 3 - nel 2006
e nel 2010 all’interno della trasmissione Piazza Verdi e nel 2009 per lo speciale Piazza Fontana 40
anni dopo. L’ensemble ha inoltre partecipato a progetti speciali (Arcadia in villa, 24 concerti nell’ambito della mostra internazionale Andrea Palladio e la villa veneta e il concerto-melologo con l’attrice Milena Vukotic) e si è inoltre prodigato per la diffusione della musica tra i più piccoli con spettacoli quali la fiaba musicale di Filippo Del Corno La famosa invasione degli orsi in Sicilia tratta dall’omonimo racconto di Dino Buzzati.
Dal 2006 l’ensemble ha dato vita al Progetto compositori d’oggi che prevede di dedicare a un compositore contemporaneo, scelto per la sua rappresentatività nel panorama italiano e internazionale,
alcune esecuzioni all’interno della stagione Pomeriggio tra le Muse. A ciò si aggiunge la commissione di un’opera appositamente pensata per l’ensemble. Hanno fin’ora scritto per l’Ensemble Musagète e/o sono stati ospiti della stagione Nicola Campogrande (Melodie per preparare la carta, 2006),
Giovanni Bonato (Quintetto Musagète, 2007), Francesco Erle (Rime armoniche, 2008), Alessandro
Solbiati (Musagète per nove strumenti, 2009), Luca Francesconi, Fabio Vacchi, Pasquale Corrado
(Bludarcate, 2010) e Roberta Vacca (Entro-terra, 2011).
Accanto all’attività concertistica l’ensemble conta due incisioni discografiche (a proposito dell’esordio la rivista Amadeus ha scritto che l’incisione “testimonia le ottime qualità del gruppo”) con musiche di Schubert, Cambini, Beethoven e Campogrande.
NOTE BIOGRAFICHE
Compositori
Giovanni Bonato (1961)
Ha iniziato gli studi di Composizione con Fabio Vacchi a Vicenza, proseguendoli con Adriano Guarnieri e diplomandosi nel 1986 con Giacomo Manzoni al Conservatorio G. Verdi di Milano. Ha studiato Direzione d’Orchestra alla Scuola Civica di Musica di Milano. Ha ricevuto la Honorable Mention all’International New Music Composers Competition di New York nel 1987. È stato direttore
artistico di SpazioZen, festival di musica da camera. È stato più volte invitato a far parte di giurie in
premi nazionali ed internazionali di composizione ed esecuzione. È docente di Analisi (Musica Contemporanea) e Composizione ai corsi estivi organizzati dalla Feniarco per direttori e compositori di
musica corale e membro della commissione artistica della stessa organizzazione. Per la stagione concertistica 2002-2003 dell’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto è stato designato compositore in residence. Nel 2010 gli è stato assegnato il XXVII Premio Reina Sofia per la Composizione
Musicale, per la sua opera Dar Gaist is heute kemmet. È autore di numerosi brani cameristici (vocali e strumentali), corali e sinfonici. Attualmente insegna Composizione al Conservatorio C. Pollini
di Padova.
Nicola Campogrande (1969)
È considerato uno dei compositori più interessanti della giovane generazione italiana. La critica e il
pubblico riconoscono nella sua musica freschezza ed espressività, spesso messe al servizio di lavori
con una forte componente spettacolare. Tra i suoi interpreti ci sono Mario Brunello, Gauthier Capuçon, Alexander Lonquich, Emanuele Arciuli, Chlöe Hanslip, Jean-Bernard Pommier, Paul Daniel,
Andrea Lucchesini, Sonig Tchakerian, Roberto Prosseda, Michael Flaksman, Elena Casoli, Francesco
D’Orazio, Gianni Coscia, Lucia Minetti e molti altri musicisti, che hanno in repertorio suoi lavori e li
presentano regolarmente in stagioni concertistiche di tutto il mondo (circa 70 esecuzioni ogni anno). Oltre ai molti lavori destinati al teatro musicale, scrive prevalentemente musica cameristica e
sinfonica ma ha anche composto pagine per il cinema, per grandi mostre, per la televisione, per la
radio, per il teatro (di prosa e di figura), per il web. Alcuni suoi lavori sono stati remixati e presentati in contesti non concertistici dal dj Roger Rama. La sua musica si può ascoltare grazie a 29 cd
monografici e collettivi ed è pubblicata da Universal, da Sonzogno, da Ricordi, da RaiTrade. Diplomatosi ai conservatori di Milano e di Parigi, dopo tre anni passati al microfono di MattinoTre dall’ottobre 2002 è ritornato a condurre RadioTreSuite. Per la tv ha condotto Liaisons, il magazine settimanale di RaiSatShow. È direttore del mensile Sistema musica ed è stato critico musicale di Repubblica e del supplemento Musica!, de L’Indice, di Piano Time. È direttore artistico dell’Orchestra
Filarmonica di Torino ed è stato professore a contratto della Facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tor Vergata; insegna alla Scuola Holden di Tecniche della narrazione. Il suo sito è www.campogrande.it
Francesco Erle (1962)
Diplomato in pianoforte sotto la guida dei maestri Ezio Mabilia e Gino Gorini, si dedica in seguito
agli studi di composizione con Wolgango Dalla Vecchia e Bruno Coltro, diplomandosi cum laude
nel 1990. Negli anni la ricerca di un linguaggio personale si intreccia costantemente con l’attività di
revisore, nonché di direttore di coro e d’orchestra. Attività quest’ultime alle quali si dedica soprattutto con la sua Schola S. Rocco, assieme alla quale collabora con compositori e solisti di fama mondiale, da Ennio Morricone ad Andras Schiff. Tutte le esperienze professionali e la passione lo coinvolgono sempre più nell’avvicinamento al teatro musicale, mondo cui si accosta prima come direttore, nella prima ripresa moderna (1999) dei Chori per Edippo Tiranno e in seguito con la cura di
musiche originali cinquecentesche e la composizione di nuove musiche di scena per Il Gioco del
Palazzo, su testo di Howard Burns, spettacolo sulla vita di Palladio. Il riscontro di critica e pubblico
lo portano a cercare materia per un nuovo soggetto teatrale musicale: nel 2004 va in scena Pigafetta: in fines orbis terrae exivit sonus eorum, uno spettacolo teatrale elaborato assieme a Roberto
Cuppone per testi e regia, Mauro Zocchetta per l’immaginario visivo e con Ugo Pagliai voce narrante. L’anno seguente è quindi il Teatro Stabile del Veneto a proporgli di costruire un nuovo spettacolo imperniato sulla sua musica, e la scelta del soggetto cade su Odisseo, che prepara con la
stessa squadra del Pigafetta. Intanto continua il rapporto professionale col teatro lirico anche come
revisore (edizione critica della partitura dell’opera Marina di Malombra di Marco Enrico Bossi, e di
Orfeo e Euridice di Gluck per il Festival di Steyr, Austira). L’attività compositiva legata al teatro classico lo vede ancora impegnato nel 2007 per conto de il Teatro Stabile che gli commissiona la musica di scena per Elettra di Sofocle con Lina Sastri protagonista, spettacolo che ha avuto una lunga
tournée in tutta Italia. Nel 2009 su commisione del CISA compone per Villa Pojana di A.Palladio
Variazioni e Concerti di Poli Anas.
Alessandro Solbiati (1956)
Si è diplomato presso il Conservatorio di Milano in pianoforte (con Eli Perrotta) e in composizione
(con Sandro Gorli), dopo aver frequentato per due anni la Facoltà di Fisica. Contemporaneamente,
ha studiato per quattro anni (1977-80) con Franco Donatoni all’Accademia Chigiana di Siena. Ha
vinto, oltre a vari concorsi nazionali, il Concorso Internazionale di Torino nel 1980 (con il Quartetto d’archi) e il RAI-Paganini di Roma nel 1982 (con Di luce per violino e orchestra). Ha ricevuto commissioni dal Teatro alla Scala, dalla RAI, dal Ministero della Cultura francese, da Radio France, dall’Università di Parigi, dal Mozarteum, dal South Bank di Londra, dalla Fondazione Gulbenkian di
Lisbona, dalla Biennale di Venezia, dal Festival Milano Musica, dal Teatro Comunale di Bologna, dalla Basilica di San Petronio per il VII Centenario della fondazione, dall’Orchestra Sinfonica G. Verdi
di Milano; i suoi lavori sono stati eseguiti nei più importanti festival (Lille, Avignon, Huddersfield,
Présences ‘92, ‘94 e ‘97, Pontino, Wien Modern, Sydney, Metz, Strasbourg, Biennale di Venezia ‘81,
‘85 e ‘95, Montepulciano, Holland Festival, Zagabria, Lisbona, Stoccolma, IRCAM, S. Cecilia in
Roma, Maastricht, Mosca, Boston, Città del Messico, RAI di Roma, Milano, Torino e Napoli, Maggio Musicale Fiorentino, Settembre Musica, Unione Musicale, ecc.) e sono stati registrati e trasmessi
da molte radio europee ed americane. Tra le incisioni discografiche a lui più care si segnalano l’Oratorio Nel deserto, (CD ADDA - Ensemble 2E2M), Quartetto con Lied (Quartetto Borciani - Stradivarius), Trio (Trio Matisse - Ermitage) e un CD monografico dell’Ensemble Alternance di Parigi (Stradivarius - 1999), contenente vari pezzi cameristici. Per la RAI ha prodotto due radiofilm, entrambi
basati su racconti di Paola Capriolo, Frammenti da Il gigante (1994) e La colomba azzurra (1996).
La collaborazione con la Capriolo continua nel 1997 con la produzione di Con i miei mille occhi,
ispirato all’omonimo racconto lungo pubblicato da Bompiani. Dal 1995 è docente di Fuga e Composizione presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, dopo aver insegnato al Conservatorio di Bologna dal 1982 al 1994, anno nel quale ha iniziato una collaborazione con la Sezione Musica Contemporanea dell’Accademia Internazionale della Musica (Fondazione Scuole Civiche di Milano). Ha
insegnato al Centre Acanthes di Avignone nell’estate del 1996 e di Metz nel 2005; ha tenuto
masterclass ai Conservatori Superiori di Parigi (1997 e 2001), di Lione (2003) e di Città del Messico
(2002). Pubblica per la Casa Editrice Suvini Zerboni - SugarMusic Spa di Milano.
Roberta Vacca (1967)
Pianista e compositrice, ha compiuto i suoi studi tra il Conservatorio di Musica A. Casella de L’Aquila, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma e l’Accademia Chigiana di Siena. Ha ricevuto premi e riconoscimenti in importanti concorsi nazionali ed internazionali. Nel 2003 è stata scelta per rappresentare l’Italia all’Internatonal Rostrum of Composer e nel 2004 per il XXVI Foro Internacional de Música Nueva Manuel Enríquez in Messico. Nell’estate del 2004 è stata compositrice
residente presso la Mac Dowell Colony (USA) e nel 2010 presso la Fondazione Bogliasco e la Residenza d’Artista Le Ville Matte. Ha al suo attivo diversi lavori, eseguiti in Italia e all’estero e presenti in raccolte discografiche di varie etichette. Ha avuto commissioni da importanti festival, società
concertistiche e teatri. Nel 2006, in occasione delle celebrazioni mozartiane, il Cantiere OperaAperta/Terra di Teatri/Regione Marche ed il Conservatorio di Musica A. Casella hanno messo in scena una sua riscrittura de Il ratto dal serraglio, scelta anche come spettacolo inaugurale per il festival I Concerti del Parco di Roma, per il laboratorio teatrale del festival Le pietre che cantano di Ocre
(AQ), poi ripresa con successo più volte negli anni a seguire da importanti teatri e di cui è recentemente stata pubblicata una incisione discografica. Ha collaborato con il centro di produzione e di
ricerca elettroacustica Istituto Gramma (L’Aquila) per progetti sulla musica elettroacustica. In collaborazione con Francesca Checchi, per progetti sull’arte visiva, ha ottenuto premi e riconoscimenti.
Ha realizzato spartiti per la BMG-Casa Ricordi ed alcuni suoi lavori sono pubblicati dalle case editrici Ars Publica, Twilight e RAI Trade, con cui ha realizzato la sua monografia discografica emme alla
emme ed è in preparazione la seconda. Nel 1995 ha fondato il Gruppo Teatrale Burattinmusica con
cui cura produzioni basate sul teatro musicale di figura, presenti nelle piu’ importanti rassegne del
settore e con cui ha realizzato il compact disc American Dreams per l’etichetta VDM Records. È
docente di Teoria dell’Armonia e Analisi e di Teoria, Solfeggio e Dettato Musicale presso il Conservatorio di Musica A. Casella.
Matteo Zanetti (1977)
Si è brillantemente diplomato in pianoforte (cum laude), composizione, musica corale e direzione
di coro nei Conservatori di Vicenza e Venezia. Come compositore, si è formato con i maestri Angelino Rampazzo e Silvano Perlini. Nel 2002 ha conseguito il diploma in direzione d’opera lirica presso la Regia Accademia Filarmonica di Bologna. Successivamente si è perfezionato nella direzione
d’orchestra presso l’Accademia Pietro il Grande di San Pietroburgo, dove ha diretto in concerto la
prestigiosa Orchestra di Stato dell’Ermitage. Si è laureato con il massimo dei voti in Filosofia presso
l’Università degli Studi di Verona con una tesi di Storia della Musica sul compositore Angelo Bottagisio (1842–1925) ed ha al suo attivo pubblicazioni a carattere storico musicale in collaborazione
con l’Ateneo veronese e l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona. Pianista concertista in Italia e all’estero sia in veste solistica che in formazioni cameristiche, si è perfezionato con illustri docenti, fra i quali Franco Scala, Leonid Margarius, Bruno Canino, ed è risultato vincitore di concorsi pianistici nazionali e internazionali. Dal 1998 al 2003 è stato direttore del coro polifonico
Schola Cantorum di Albaredo d’Adige con il quale ha tenuto concerti con programmi di repertorio
sacro a cappella e un’attenzione particolare agli antichi polifonisti poco eseguiti come lo spagnolo
Pedro Escobar e gli italiani Giacomo Antonio Perti e Giovanni Battista Casali. Nel 2009, per l’editore Armelin di Padova, ha pubblicato Canto notturno per flauto solo dedicato al flautista Fabio Pupillo e il responsorio per coro a cappella Ego dixi. Nel gennaio 2011 l’orchestra da camera Alio Modo
diretta da Silvano Perlini ha eseguito in prima assoluta la sua Symphonietta per orchestra d’archi. È
docente di pianoforte nelle scuole medie statali ad indirizzo musicale.
Musicisti
Giovanni Guglielmo, I violino e concertatore
Si è diplomato al Conservatorio B. Marcello di Venezia avendo studiato con i maestri Ettore Bonelli e
Luigi Ferro. Nel 1962 ha ottenuto il primo premio assoluto al Concorso Nazionale di Violino Città di
Vittorio Veneto. Membro del prestigioso complesso I Virtuosi di Roma e del Sestetto Chigiano ha fatto Duo con Riccardo Castagnone e con Ezio Mabilia. È fondatore di famosi gruppi cameristici quali
L’Arte dell’Arco (per l’esecuzione di musiche antiche con strumenti originali) e I Solisti Filarmonici Italiani. È stato inoltre primo violino solista dell’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia e dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Per quanto concerne l’attività solistica ha collaborato con direttori quali Sinopoli, Gracis, Pesko, Constant, Gelmetti, Sawallisch e con importanti orchestre sinfoniche. Il suo repertorio spazia in tutto l’arco della produzione violinistica, da Corelli ai contemporanei. È stato direttore artistico delle orchestre sinfoniche di S. Remo e del Teatro Olimpico di Vicenza.
Titolare della cattedra di Violino nei Conservatori di Padova, Venezia e Vicenza, è stato quindi direttore del Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza. Tiene corsi di perfezionamento in Italia e all’estero. Attivamente impegnato in veste editoriale come pure in campo discografico nell’ambito della musica
rara ed inedita del Settecento italiano (ha completato l’incisione integrale dei concerti per violino di
G. Tartini), incide per Deutsche Harmonia Mundi, Dynamic, Chandons, Denon Nippon Columbia e
Tactus. Ha pubblicato inoltre opere didattiche e revisionato varie composizioni del Settecento italiano. Suona un Bernardo Calcanius del 1712 con montatura barocca ed un Francesco Gobetti del 1721
con montatura moderna. È Accademico dell’Accademia Olimpica di Vicenza e Socio Corrispondente dell’Accademia Galileiana di Padova.
Enrico Barchetta, corno
Rodigino, ha compiuto gli studi musicali nella sua città. È legato a Vicenza dal 1986 quando vi debutta a soli 16 anni. Nel 1992 si trasferisce a Chicago dove frequenta la Northwestern University, studiando con le prime parti della Chicago Symphony Orchestra, Dale Clevenger e Gail Williams, e con
il maestro Arnold Jacobs. Tra le sue collaborazioni orchestrali si segnalano quelle con l’Orchestra Internazionale d’Italia, L’Offerta Musicale, il Teatro La Fenice, l’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto, I Virtuosi Italiani e l’Orchestra Rossini di Pesaro. Dal 1997 al 1999 è stato inoltre primo corno assistente al Teatro San Carlo di Napoli. Dal 1995 è primo corno dell’Orchestra del Teatro Olimpico di
Vicenza. Coltiva interessi musicali i più disparati che lo hanno portato, tra le altre cose, a incidere per
la Mellow Records con il gruppo A piedi nudi, formazione di punta del rock-progressivo.
Laura Costa, fagotto
Diplomatasi con il massimo dei voti nel 1998 sotto la guida del maestro Leopoldo Armellini presso il
Conservatorio C. Pollini di Padova, ha proseguito gli studi musicali con il maestro Valentino Zucchiatti
presso l’Accademia della Filarmonica della Scala e la Fondazione Arturo Toscanini di Parma. Nel 2004
ha intrapreso inoltre lo studio del fagotto barocco sotto la guida del maestro Alberto Grazzi presso
il Conservatorio F.E. Dall’Abaco di Verona. È risultata idonea e segnalata in concorsi e audizioni nei
principali teatri e orchestre sinfoniche italiani (Verona, Genova, Venezia, Torino). Nel giugno 2005 ha
vinto il primo premio al Concorso Mozart di Parma per l’interpretazione dei concerti per fiati di Mozart, mentre nel giugno 2006 ha ottenuto il primo premio al concorso internazionale AudiMozart di
Rovereto. Ha eseguito da solista il concerto per fagotto e la sinfonia concertante di Mozart con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano e con l’Orchestra della Fondazione Toscanini di Parma. Collabora
col Teatro alla Scala e con l’Orchestra Filarmonica della Scala, con l’Orchestra Verdi di Milano, con
l’Orchestra Regionale Toscana, con l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza, con la Fondazione A.
Toscanini di Parma, con il Teatro C. Felice di Genova, con l’Arena di Verona e con l’Orchestra di Padova e del Veneto.
Gabriele Dal Santo, pianoforte
Diplomato con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza, ha conseguito,
sempre sotto la guida del maestro Antonio Rigobello, anche il diploma accademico di secondo livello
in Discipline Musicali con lode e menzione speciale di merito. Ha frequentato il corso triennale di alto
perfezionamento pianistico di Trento tenuto dai maestri Margarius e Kravtchenko e ha studiato all’Accademia Internazionale Incontri col Maestro di Imola, diplomandosi nell’ottobre 2004. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi partecipando a concorsi pianistici nazionali e internazionali (tra i quali
Città di Treviso, Camillo-Togni a Gussago-Brescia, Il Solista e l’Orchestra a Campobasso). Tra le altre partecipazioni si annoverano quelle del Premio Busoni (Bolzano), Prix Vandome (Pesaro), Beethoven Klavierwettbeverb (Vienna), Reine Elisabeth (Bruxelles). Ha tenuto recital solistici e concerti con orchestra
(Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza, Sinfonietta Italiana, Orchestra da Camera di Padova e del
Veneto, Orchestra di Roma e del Lazio) sotto la direzione dei maestri Andretta, Misto, Dini-Ciacci, Lu
Jia, Calvi. Ha frequentato diverse masterclass tenute dai maestri D’Alberto, Jasinsky, Cohen, Lucchesini, Spagnolo, Shelley, Naborè. Ricopre l’incarico di docente assistente di Pianoforte presso il Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza.
Tiziano Guarato, violino
Si è diplomato nel 2000 presso il Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza sotto la guida della prof.ssa Giuliana Padrin. Ha inoltre studiato con i maestri G. Guglielmo, D. Nordio ed E. Porta. Nel 1997 ha frequentato il corso d’orchestra della Jeunesse Musical d’Avignon partecipando alla tournée in Provenza
e nel 2001 il corso di orchestra della Giovane Sinfonietta Italiana diretta dal maestro Leon Spierer. Nel
2009 ha ottenuto il diploma di secondo livello per l’insegnamento strumentale con il massimo dei voti. Ha frequentato stages con G. Angeleri, S. Redaelli, L. Braga, U. Schaa, D. Young, S. Fischer. Con l’Insieme Strumentale Arcangelo Corelli ha suonato nell’ambito di importanti stagioni musicali italiane ed
effettuato diverse registrazioni. Ha collaborato con l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza e nella
stagione 1998-1999 ha partecipato, in qualità di violinista di scena, alle ottanta repliche di Casanova
comedièn con Giorgio Albertazzi e Giustino Durano per la regia di Maurizio Scaparro. Ha portato a termine il corso triennale di liuteria sotto la guida del maestro Scrollavezza alla Scuola Internazionale di
Liuteria di Parma e nel 2006 ha partecipato al corso annuale per riparatore d’archi presso la Scuola Civica di Liuteria Milano. Nel 2007 ha registrato un Compact Disc per la Bottega Discantica con le sinfonie ed i concerti per clavicembalo di W.F Bach e suonato al festival di musica antica di Magnano con
l’Ensemble Arcomelo di Michele Benuzzi. Attualmente è iscritto al biennio di violino con il maestro Davide Zaltron. È docente di Violino presso la scuola media ad indirizzo musicale.
Luigi Marasca, clarinetto
Dopo aver conseguito il diploma di Clarinetto presso il Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza con il
massimo dei voti e la lode nel 1993, si è perfezionato con i maestri Fabrizio Meloni e Giampiero Sobrino. Ha inoltre frequentato masterclass con i maestri K. Leister, T. Friedli, W. Boeykens, A. Carbonare e con G. Guglielmo e P. Borgonovo per la musica da camera. Nel 1994 ha vinto una borsa di
studio della CEE per frequentare i corsi di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo. È stato selezionato come primo clarinetto dell’ Orchestra Jeunesses Musicales de Suisse (1991-1992), dell’Opernorchester des 42. Internationalen Jugend-Festspieltreffens di Bayreuth (1992) e dell’Orchestra Giovane Sinfonietta Italiana (1998). In seguito ha collaborato e collabora con le seguenti orchestre: Orchestra dell’Arena di Verona, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Orchestra Sinfonica G. Verdi
di Milano, Orchestra del Festival di Brescia e Bergamo, Orchestra del Teatro C. Felice di Genova, Orchestra Filarmonia Veneta, Orchestra Filarmonica di Verona, Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza. Ha tenuto concerti per molte importanti società concertistiche italiane e estere, con particolare
attenzione alla produzione del ‘900. Ha inciso musiche di L. Berio, S. Prokofiev, F. Donatoni, G. Bo-
nato, F. Erle per Opus Avantra, Velut Luna, Rivo Alto. Ha effettuato varie tournées negli USA con il
gruppo Interensemble di Padova. Dal 1994 è docente di Clarinetto presso le scuole medie ad indirizzo musicale. Oltre all’attività come strumentista, svolge intensa attività concertistica anche come
cantante (basso), lavorando come solista con importanti direttori del repertorio barocco, classico e
contemporaneo.
Giordano Pegoraro, violoncello
Diplomatosi al Conservatorio A. Steffani di Castelfranco Veneto sotto la guida del maestro Enrico Egano, si è poi perfezionato con i maestri Enrico Dindo e Massimo Polidori (Conservatoire Superiore de
Fribourg, CH). Per la musica da camera ha studiato e collaborato con i maestri G. Guglielmo, M. Quarta, M. Rogliano, P. Toso e G. Angeleri. Per due anni ha preso parte alla Giovane Sinfonietta Italiana
con i maestri U.B. Michelangeli, L. Spierer ed E. Dindo. Collabora con l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza, il Teatro Regio di Parma, l’Orchestra di Padova e del Veneto, l’Orchestra del Festival
Michelangeli di Brescia e Bergamo, l’Orchestra da Camera di Mantova, la Filarmonia Veneta, i Solisti
Filarmonici Italiani, I Virtuosi Italiani, l’Orchestre Symphonique du Jura (CH), la Basel Sinfonietta (CH)
e l’Orchestra Sinfonica di Mulhouse (F). Per quanto riguarda la musica antica, ha studiato violoncello barocco presso il Conservatorio F. Dall’Abaco di Verona sotto la guida del maestro Stefano Veggetti ottenendo il diploma nel 2005 ed ha frequentato i corsi dei maestri Christophe Coin (Schola
Cantorum di Basilea) e Anner Bylsma. Collabora con l’Academia Montis Regalis, la Venice Baroque
Orchestra, l’Accademia de li Musici, l’Ensamble Cordia, l’Arte Dell’Arco, il Capriccio Basel suonando
al fianco di musicisti e direttori quali: E. Onofri, L. Mangiocavallo, A. Bayer, A. Grazzi, A. De Marchi,
F.M. Bressan, D. Kiefer, G. Carmignola, S. Veggetti, C. Coin, S. Azzolini, A. Bernardini, A. Marcon, J.
Savall, S. Kuijken.
Remo Peronato, oboe
Diplomatosi nel 1992 sotto la guida del maestro Alberto Vignato presso il Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza, ha poi studiato con il maestro Hans Elhorst presso il Conservatorio della Svizzera Italiana (CSI) ottenendo nel 1995 il diploma di solista. Si è inoltre perfezionato con i maestri T. Indermühle, I. Goritzky, O. Zoboli e S. Schilli. Nel 1996 è stato invitato a tenere un recital presso il festival
musicale di Davos Young Artists in Concert. Ha suonato in diverse compagini orchestrali (Orchestergesellschaft Biel - CH, Orchestra Filarmonia Veneta G.F. Malipiero, Orchestra Filarmonica di Torino,
Orchestra da Camera di Mantova) e dal 1997 collabora con l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza. Dal 1997 al 2009 ha insegnato presso la scuola di musica del CSI di Lugano. Nel 2002 ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova.
Fabio Pupillo, flauto
Ha intrapreso lo studio del flauto con il maestro Giorgio Bernabò, diplomandosi sotto la guida della
prof.ssa Monica Finco presso il Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza. Si è poi perfezionato con i maestri R. Guiot, C. Klemm, E. Caroli, P. Wavre e di fondamentale importanza sono stati gli insegnamenti
impartiti dal maestro Gianpaolo Pretto. Per la formazione orchestrale ha studiato coi maestri Pietro
Borgonovo e Leon Spierer. Ha lavorato come ricercatore presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Si è laureato con lode in Musicologia presso l’Università Cà Foscari di Venezia. Ha collaborato
con importanti istituzioni orchestrali tra le quali i Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra di Padova e del Veneto, la Filarmonica Veneta, la Sinfonica di Mosca, I Solisti Filarmonici Italiani ed è membro stabile dell’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza. È stato premiato in vari concorsi flautistici.
Ha partecipato alla tournée giapponese dell’Orchestra di Venezia suonando nelle più prestigiose sale da concerto del Paese. Per la musica da camera si è esibito con artisti del calibro di B. Canino, M.
Brunello, G. Guglielmo, S. Tchakerian, J. Levitz, T. Campagnaro e molti altri. Particolarmente importanti per la sua formazione sono stati gli incontri con Teodora Campagnaro, Bepi de Marzi, Giovanni Guglielmo, Andrea Oliva, Milena Vukotic e Fatima Terzo Bernardi.
Michele Sguotti, viola
Diplomatosi presso il Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza sotto la guida del maestro Igino Semprebon, si è poi perfezionato con i maestri F. Druzhinin, G. Guglielmo e B. Giuranna (Accademia W.
Stauffer di Cremona, 1996-1998) e D. Zaltron. Ha dedicato particolare attenzione alla formazione
quartettistica, prima col Quartetto Kairòs (studiando con i maestri P. Farulli, A. Nannoni e V. Berlinsky del Quartetto Borodin), e attualmente col Quartetto Chagall con il quale ha preso parte all’Accademia Europea per quartetto (studiando con i maestri H. Bayerle, Quartetto Alban Berg, e M.
Skampa, Quartetto Smetana). Ha collaborato con alcuni tra i maggiori teatri e orchestre sinfoniche
nazionali (Verona, Trieste, Firenze, Treviso, Udine, Parma), suona con l’Orchestra da Camera Italiana diretta dal maestro S. Accardo ed è membro stabile e viola di spalla dell’Orchestra del Teatro
Olimpico di Vicenza.
Patrizia Vaccari, soprano
Diplomata in Pianoforte, in Organo e Composizione Organistica, nonché in Canto sotto la guida rispettivamente dei maestri V. Pertile, E. B. Zoia e S. Lowe presso i Conservatori di Venezia e Rovigo.
Ha approfondito sia lo studio delle peculiarità fondamentali della voce, frequentando il corso triennale dell’Institut für Gesang und Instrumentalspiel di Lichtenberg diretto dalla prof.ssa G. Rohmert,
sia gli aspetti più prettamente stilistici del repertorio rinascimentale e barocco nonché cameristico,
con importanti maestri quali L. F. Tagliavini, M. Radulescu, C. Miatello e G. Banditelli. Svolge un’intensa attività concertistica in Europa, Stati Uniti e Canada, in prestigiose formazioni vocali e strumentali specializzate soprattutto nel repertorio antico e collaborando con direttori quali J. Savall, A.
Marcon, F. M. Bressan, C. Smith, M. Mencoboni, C. Astronio e C. Cavina. La sua discografia comprende incisioni per Stradivarius, Tactus, Symphonia, Naxos e Chandos, per cui ha registrato le Cantate op. 4 per soprano e basso continuo di Tommaso Albinoni. All’attività concertistica unisce quella didattica: è docente di Canto Rinascimentale e Barocco presso il Dipartimento di Musica Antica
del Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza ed ha tenuto corsi presso i festival internazionali di Belluno, Bolzano, Nervi (Genova) , Pamparato (Cuneo), Monte S.Savino (Arezzo), Corinaldo (Ancona) e
alla Scuola Civica di Milano.
Jan R. Zahourek, contrabbasso
Nato nel 1975 a Denver in Colorado (USA), intraprende a sedici anni lo studio del contrabbasso con
il maestro S. Macchia. Prosegue gli studi musicali presso il Sarah Lawrence College sotto la guida del
famoso jazzista V. Gaskin conseguendo il Bachelor Degree in Liberal Arts. L’anno successivo riprende gli studi con il prof. Macchia presso la University of Massachusetts conseguendo nel 2000 il Master Degree in Music. Nel settembre di quell’anno si trasferisce in Italia dove si perfeziona con il maestro M. Muraro. Partecipa inoltre a due masterclass tenute da K. Stoll, primo contrabbasso dei Berliner Philarmoniker. Nel 2010 consegue un secondo Master of Music in Viola da gamba e Violone in
Sol a Londra dove nel frattempo si è trasferito. Ha al suo attivo numerose collaborazioni, tra le quali l’Orchestra d’Archi Italiana, l’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza, la Royal Philharmonic e la
Philharmonia di Londra.
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