Anno 7 | numero 3 - Orchestra da Camera di Mantova

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Anno 8 - Numero 1
Gennaio 2012
u Magazine
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e ndi Mantova
te
Stefano
Bollani
Ragazzi,
cambiamo
registro!
Ray
Chen
© Paolo Soriani
Un violino
per gioco
NEO-CLASSICA
La musica conquista i giovani
Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova
EDITORIALE
di Andrea Zaniboni
CLASSICA: un’opportunità
per penetrare l’anima
del mondo
Chi frequenta abitualmente le
sale da concerto e la musica della nostra storia antica e recente,
che per convenzione diffusa diciamo “classica”, dà per scontati
atteggiamenti, pensieri ed emozioni che in realtà appartengono
al patrimonio di una esperienza
che non è soltanto un cumulo di
ascolti acquisiti in tempi e luoghi
diversi, ma sostanza di noi stessi
e della nostra vita.
Tutti ascoltiamo musica, chi più
chi meno, e tutti riceviamo appagamento dalla sua ripetizione;
ma forse possiamo affermare che
le differenze fra i vari generi musicali si diano anche in relazione ai tempi della soddisfazione
emotiva ed interiore.
Non è assolutamente vero che chi
ascolta la “classica” rappresenti
una sorta di élite sorda all’attualità o alle più spontanee forme
espressive musicali. Il sondaggio
che Musicalmente condusse qualche mese fa ha chiarito, seppur
nella delimitata area mantovana,
che l’esclusività di un pubblico
specializzato ed impermeabile ad altre influenze, comprese
quelle cosiddette “commerciali”,
non esiste. Il che può spiegare
perché il Fauré riletto con scintillante malinconia da Bill Evans
o il sorprendente Debussy di Barbra Streisand o ancora la canzone d’autore possano appagare
anche l’ascoltatore più intransigente di qualunque possibile
fazione.
Che la “classica” esiga disciplina,
perseveranza e lungo studio ai
suoi interpreti è cosa nota, ma
che sia essa stessa un prodotto artistico in grado modellare il pensiero di chi la avvicina dall’esterno e cerca di comprenderla - accrescendo senso critico, attenzione al dettaglio, percezione della
dinamica storica - è invece un
fatto molto meno riconosciuto.
Questa mancanza di chiarezza
sulla forza di cambiamento che
la musica d’arte possiede e che
agisce oltre i confini delle sale da
concerto, è ciò che spiega molti
fatti che stanno sotto gli occhi di
tutti: la carenza educativa della
scuola, la cronica insufficienza
delle risorse, il pregiudizio di chi
non la conosce.
Come leggete in questo numero, le modalità per avvicinare la
“classica” sono molteplici perché la difficoltà fondamentale è
quella di assottigliare, infrangere
il diaframma che separa il brulicante mondo “vero” da quello
del pensiero e dell’immaginazione, dell’utopia e dello sguardo interiore. Varcare questa soglia non fisica ma esclusivamente
mentale, corrisponde ad una opportunità: quella di accedere ad
una concezione dell’espressione
umana governata dall’attenzione
e dall’indipendenza intellettuale, oltre che dal cuore. Ne deriva,
per naturale conseguenza, il continuare a credere che ci sia spazio per la sincerità, la conoscenza, la comunicazione positiva fra
il singolo e la comunità.
Non è vero
che chi ascolta
la classica
è un’élite sorda
all’attualità
La mancanza
di chiarezza
sulla forza
di cambiamento
della musica
spiega le molte
indifferenze che
la circondano
musicalmente
3
IN COPERTINA
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Gennaio 2012
SOMMARIO
7
10
12
7
Caccia al nuovo pubblico
Giro d’Italia in 5 tappe
di Anna Barina
10
Intervista a Stefano Bollani
Un pianoforte nel deserto
di Emilia Campagna
12
Madama DoRe: motivi ed eventi
dell’esperimento firmato Ocm
di Giovanni Bietti
15
Intervista a Ray Chen
Star del violino per gioco
di Giacomo Giuliani
I CONCERTI
15
18
17
20
29
26
17
Una sinfonia da record:
la Grande
di Luigi Fertonani
18
Silver-Garburg Duo
simbiosi e peculiarità
di Luca Ciammarughi
20
Intervista a Claudio Ambrosini
compositore e poeta
di Patrizia Luppi
26
Sol Gabetta, la principessa
del violoncello
di Oreste Bossini
IN ORCHESTRA
a cura di Valentina Pavesi
29
Nella calza della Befana
per l’Ocm c’è il Concertgebouw
30
The Observer su Hewitt-Ocm
“Avviato un viaggio elettrizzante”
31
Ocm&Lonquich
cronaca di un successo trionfale
m
usicalmente
Magazine dell’Orchestra da Camera di Mantova
TIRATURA 4.000 copie
DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni
COORDINAMENTO EDITORIALE E RESTYLING: Anna Barina
GRAFICA E RESTYLING: Elena Avanzini
REDAZIONE: Valentina Pavesi
HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Giovanni Bietti,
Simonetta Bitasi, Oreste Bossini, Emilia Campagna, Luca Ciammarughi, Luigi Fertonani,
Claudio Fraccari, Giacomo Giuliani, Patrizia Luppi, Vincenzo Mancini, Emanuele Salvato,
Luca Segalla, Giorgio Signoretti, Renato Spagnolo
EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova
SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12
Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected]
STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121.
Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004
4
musicalmente
AMICI
32
AMICI
Incontri curiosi e trasferte musicali
RUBRICHE
33
COLONNA SONORA
I cent’anni di Nino Rota
40
ALTRA MUSICA
Quale pubblico per il jazz?
di Claudio Fraccari
di Giorgio Signoretti
35
GRAMMOFONO
Lo Zar Evgenij
41
QUADERNO DI VIAGGIO
Una violetta d’amore in Laguna
di Michele Ballarini
di Andrea Zaniboni
36
CD - DVD
La forza del metodo Abreu
42
IN PLATEA
Corghi. Il miracolo della buona musica
di Luca Segalla
di Alice Bertolini
37
MUSICA & ARTE
Vasilij Vasil’evič Kandinskij
di Paola Artoni
38
MUSICA & ACUSTICA
Sull’onda delle note
di Renato Spagnoli
39
LEGGERE
Qualcosa di simile in storie diverse
di Simonetta Bitasi
Paola
Artoni
Paola Artoni (Mantova,
1973) è convinta che in arte
non possano esserci limitazioni di tempo e di spazio.
Per questo trova normale
conciliare la professione di
storica dell’arte e di critica
freelance con lo studio materiale e tecnico-scientifico
della pittura. Funzionaria
del Laniac (laboratorio di
analisi non invasive per l’arte antica moderna e contemporanea) dell’Università di Verona, viaggia tra i
musei italiani e le collezioni alla ricerca di dettagli
d’artista invisibili all’occhio
umano…
Emilia
Campagna
Emilia Campagna, roveretana, è pianista e critico
musicale. Accanto all’attività concertistica, l’interesse per la divulgazione
musicale l’ha portata a dedicarsi alla critica musicale per il giornale L’Adige.
È corrispondente della rivista Amadeus ed inviato di
Radio 3 Suite. In un rapporto a tutto tondo con il mondo musicale, svolge attività
concertistica in ambito cameristico, si dedica con passione all’insegnamento del
pianoforte e tiene corsi di
scrittura giornalistica finalizzati alla critica musicale.
Patrizia
Luppi
Patrizia Luppi, giornalista professionista, fa parte
dell’Associazione nazionale
dei critici musicali. È consulente editoriale del sito
ilcorrieremusicale.it. A lungo redattrice di due riviste
specializzate, prima Musica
Viva e poi Amadeus; nel frattempo ha collaborato con
quotidiani (è stata fra l’altro il critico musicale del
dorso milanese de La Stampa), con testate settimanali
e mensili, con Rai Radio 3 e
con RaiSat Show. Tra i suoi
principali interessi professionali quello per la musica
contemporanea.
Renato
Spagnolo
Renato Spagnolo è stato
per molti anni ricercatore
all’Istituto Elettrotecnico
Nazionale “Galileo Ferraris” di Torino (poi Istituto
Nazionale di Ricerca Metrologica, dove è tuttora associato fuori ruolo). Insegna
Acustica applicata nel corso
di Laurea magistrale in Fisica all’Università di Torino.
Ha pubblicato alcuni testi
universitari, tra cui Manuale di acustica applicata e, con
Sergio Cingolani, Acustica
musicale e architettonica. È direttore responsabile del trimestrale scientifico Rivista
italiana di acustica.
musicalmente
5
I Giovani Amici del Filarmonico di Verona nel foyer del Teatro (Foto Studio Tommasoli)
Caccia al nuovo
PUBBLICO
musicalmente
7
IN COPERTINA
Giovanissimi spettatori al Teatro Bibiena di Mantova per Madama DoRe
La musica mette le ali al pensiero e rende libero lo spirito. Lo teorizzava
Nietzsche e dovrebbe tenerlo presente chi si occupa di educare le future menti
pensanti. Accade? Raramente in Italia. Così alcune realtà musicali corrono
ai ripari e scendono in campo con progetti mirati al coinvolgimento dei giovani
di Anna Barina
«Si è mai notato che la musica rende libero lo spirito? Mette ali al pensiero? Io divento un uomo migliore,
quando questo Bizet mi incoraggia
(…). Come rende perfetti una tale
opera! Nell’udirla si diventa noi
stessi un ‘capolavoro’. E realmente,
ogni volta che ascoltavo la Carmen mi
sembrava di essere più filosofo, un
miglior filosofo di quanto non fossi
solito credere». Queste le parole di
Friedrich Nietzsche (Il caso Wagner
- Lettera da Torino del maggio 1888,
Milano 1989) all’indomani della
messa in scena dell’opera di Georges Bizet a Genova, il 27 novembre
del 1881. Il grande filosofo aveva
compreso in pieno il potere della
musica di elevare l’animo umano,
svilupparne le potenzialità ed arricchirlo. Attitudine che non conosce
tempo e luogo, e che dovrebbe essere tenuta in considerazione soprat8
musicalmente
tutto nell’educazione delle future
menti pensanti, i giovani. Accade
veramente questo, oggi, in Italia?
In quale considerazione è tenuta la
musica “forte”(utilizziamo questa
definizione a sostegno della proposta di Quirino Principe di sostituirla
a “classica”)? Ad osservare il pubblico che normalmente frequenta teatri e sale da concerto sembrerebbe
che la teoria di Nietzsche sia stata
disattesa, anche e soprattutto dal sistema scolastico italiano. A porre rimedio alle rovinose lacune che esso
presenta e a rimboccarsi le maniche
sono giocoforza le stesse istituzioni musicali, che per non rischiare
di trovarsi in pochi anni davanti a
platee vuote, hanno messo in opera
iniziative per richiamare e formare
le nuove leve di pubblico. All’Unione Musicale di Torino, ad esempio,
la parola d’ordine è “formule disin-
volte”. «Cerchiamo di ‘catturare’ i
giovani avvicinandoci alle loro esigenze, e non viceversa. Il modello
che abbiamo per Atelier Giovani
ideato lascia spazio per affiancare la
fruizione di musica colta ad altri impegni - racconta il direttore artistico
Giorgio Pugliaro -. Gli appuntamenti iniziano alle 18.30 con una breve
introduzione condotta da un giovane musicologo, segue un aperitivo
sostanzioso e poi il concerto, che
termina alle 21. È necessario reinventare la forma tradizionale del
concerto per creare una richiesta di
servizi musicali». Se poi il pubblico
non arriva, a Padova hanno pensato
di andarlo a prendere sotto casa. Si
chiama I Bus della Musica il servizio
attivato dall’Orchestra di Padova e
del Veneto per consentire di raggiungere i concerti con bus organizzati; avviato nel 2008, ha portato
IN COPERTINA
all’Auditorium Pollini nella scorsa
stagione più di 2.000 persone, «tra
cui molti giovani che non abitano
in centro e non hanno la macchina», sottolinea il direttore artistico
Filippo Juvarra. Che a Padova siano
sensibili all’educazione del nuovo
pubblico lo dimostra anche OPV
Families&Kids, un nuovo progetto
dedicato a bambini e famiglie. «Si
tratta di una proposta fatta non di
concerti tradizionali ma di occasioni informali e coinvolgenti, appositamente pensate per il pubblico dei
più piccoli e per i nuclei familiari»,
conclude Juvarra.
Educare all’ascolto il pubblico giovanile non è un’attività che va considerata secondaria rispetto a quella
rivolta ad un pubblico adulto, e va
curata con estrema attenzione. Ne è
convinta Maddalena da Lisca, direttore generale del Bologna Festival,
rassegna che festeggia quest’anno la
quinta edizione di Baby BoFe’, quattro appuntamenti studiati per bambini dai tre anni in su: «Se si sbaglia
nel proporre ai piccoli l’approccio
alla musica classica, il rischio è quello di perdere irrimediabilmente,
per sempre, il contatto con questo
esigentissimo pubblico». A Bologna
hanno evidentemente trovato la ricetta giusta, visto che Baby BoFe’ ha
raddoppiato il numero di spettatori
del Bologna Festival, abbassandone
anche l’età media.
Un’altra motivazione che spesso
i giovani adducono alla non frequentazione delle sale da concerto
è che il biglietto “costa troppo” per
le loro tasche, e non hanno tutti i
torti. Per aggirare questo problema la Fondazione Arena di Verona
ha appena inaugurato Anteprima
Giovani, iniziativa che apre a tutti
gli under 30 la prova generale degli spettacoli al Teatro Filarmonico
ad un prezzo accessibile: 5 euro
per l’opera e 3 per i concerti sinfonici. «Questi biglietti speciali sono
la dimostrazione che il teatro ha
deciso di investire su di noi. In un
momento buio come quello che
stiamo vivendo, una scelta simile
è di grande coraggio e lungimiranza, esattamente quanto occorre per superare qualunque crisi»,
così racconta Giulia, arrivata per il
Falstaff e uno dei volti dei Giovani
Amici del Filarmonico, neonata associazione veronese che raggruppa
ragazzi appassionati di musica. Stefano è il coordinatore: «Ci scam-
biamo informazioni e opinioni
attraverso la nostra pagina Facebook», racconta, «Siamo in contatto
con associazioni analoghe in Italia
e all’estero e organizziamo visite
ad altre istituzioni musicali per avvicinarci a nuove realtà e assistere a
spettacoli di particolare interesse».
Di recente, infatti, Stefano, Giulia
e gli altri sono stati alla Scala per
l’anteprima del Don Giovanni: il teatro milanese, infatti, ha aperto le
porte con un biglietto unico a 10
euro a tutti i giovani con meno di
trent’anni. A Verona incontriamo
anche Manuel, coordinatore di
JuVenice, giovani all’opera, analogo
gruppo nato su Facebook per dare
voce ai giovani melomani veneziani: «Siamo stanchi di sentirci dire
che saremo il pubblico di domani,
vogliamo essere quello di oggi.
Spero che anche “La Fenice” offra
presto iniziative come questa».
Per concludere torniamo al pensiero di Nietzsche: la musica ha il potere di arricchire l’animo umano e i
giovani lo hanno perfettamente capito, basta solo saperli coinvolgere.
Giro d’Italia
in cinque tappe.
Tra Families&Kids
a Padova e Atelier
Giovani a Torino
Al Filarmonico di Verona
si punta su Anteprima
Giovani. E Bologna
raddoppia il pubblico
col Baby BoFe’
musicalmente
9
IN COPERTINA
STEFANO
BOLLANI
?
Un pianoforte
nel deserto
di Emilia Campagna
Passa agilmente dal jazz alla classica fino all’entertainment raffinato, e attraverso radio e televisione
da qualche anno porta la musica anche ad un pubblico diverso
da quello delle sale da concerto.
E proprio per questa trasversalità
di sguardi abbiamo chiesto a Stefano Bollani il suo punto di vista
sullo stato dell’arte dell’educazione e della divulgazione musicale.
Stefano Bollani, la situazione
dell’educazione musicale in Italia
è davvero così disastrosa?
«L’educazione musicale non è disastrosa, semplicemente non c’è.
Soprattutto non si studia storia
della musica ai Licei, mentre si
studia storia dell’arte, della letteratura, del pensiero. Non so come
mai, è un mistero tutto italiano. Invece la storia della musica
deve essere conosciuta, anche per
10
musicalmente
comprendere il nostro presente:
ad esempio, Wagner ha inventato praticamente il cinema, non si
può non conoscere la sua opera».
Pensa che si debba intervenire
solo sull’insegnamento della storia o anche la pratica dovrebbe essere incoraggiata?
«Non sono tanto convinto sulla
pratica, estenderla a tutti i ragazzi
mi pare un po’ un sogno e voglio
essere realistico: penso che sia importante trasmettere la storia, ma
soprattutto attraverso un’educazione all’ascolto che faccia ascoltare la musica con orecchio diverso ai ragazzi, che sia Beethoven o
Charlie Parker, e che aiuti a comprendere i compositori e non solo
a conoscerne esclusivamente le
date di nascita e di morte, ma faccia capire la musica, e il perché è
stata composta. Bisogna riuscire a
“L’unico modo
per provocare
un cambiamento
resta sempre
lo stesso:
inserire
la musica
nelle scuole”
IN COPERTINA
OLTRE I CONFINI CON CURIOSITA’ E INTELLIGENZA
Di sé racconta che si è messo a studiare pianoforte perché a
sei anni voleva fare il cantante, e per esibirsi si accompagnava
da solo: oltre l’aneddoto, la biografia di Bollani è una storia di
insaziabile curiosità e di brillante intelligenza musicale. Sono probabilmente queste due doti (curiosità e intelligenza) la chiave
per capire la capacità di scavalcare confini che lo contraddistingue: diplomato al Conservatorio di Firenze, quindi con una
formazione classica, sia nella tecnica pianistica che nella cultura,
jazzista nell’anima (divoratore di dischi) ma turnista pop agli inizi
della carriera. La collaborazione con Enrico Rava gli apre le porte
del jazz più maturo e personale, che esplora in vari ambiti: il
piano solo, le riletture carioca, il trio con colleghi nordeuropei.
Brillante intrattenitore, con David Riondino conduce su Radio3
Rai la trasmissione Il Dottor Djembé e su Rai3 e Sostiene Bollani,
trasmissioni che sono diventate dei veri cult.
Stefano Bollani
(Fotoservizio
Paolo Soriani)
trasmettere l’amore e la curiosità, l’idea che con la musica ci si
può anche divertire, in modo tale
che magari, dopo l’ascolto, qualcuno sia invogliato ad andare a
cercarla in Internet».
Ci vuole un talento speciale per
spiegare la musica a tutti?
«Nell’insegnamento ci vuole un talento speciale per spiegare e trasmettere
qualsiasi materia, così anche
per la musica».
E per divulgare? Cosa
direbbe ad un quarantenne che le chiedesse come deve
ascoltare Beethoven?
«Anche in questo caso ci vuole passione e capacità di dare risposte che non siano preconfezionate e prese dai libri. Non si
può rispondere che Beethoven è
bello perché è un grande compositore e l’ha deciso la storia. Non
basta».
Parlava di divertimento legato
alla conoscenza della musica, negli ultimi anni ha preso piede la
moda della comicità musicale:
quali sono i meccanismi per cui si
ride con la musica?
«Non è una cosa facile, perché
fai ridere quando ti muovi entro i
confini di una grammatica, di un
vocabolario comune, poi ad un
certo punto scarti, entri ed esci da
questi confini: se il pubblico ti segue scatta il meccanismo comico.
Se invece il pubblico non conosce la musica e non è a suo agio
nell’argomento, è difficile scherzarci sopra, tanto è vero che le
barzellette che fanno meno ridere al mondo sono quelle sui musicisti, e le capiscono solo gli addetti ai lavori. Per far ridere chi
non ha una conoscenza musicale
di un certo tipo ci vuole una doppia bravura: far entrare il pubblico dentro un vocabolario, e poi
scardinarlo».
Ma quindi non è vero quello che
comunemente si dice, sul fatto che certi spettacoli di comicità musicale, penso ad esempio al
duo Igudesman&Joo, avvicinino
il grande pubblico alla classica?
«Ci sono persone e persone e il
pubblico che va a vedere questi
spettacoli può essere molto variegato. Ma sicuramente la mag-
gior parte è formata da gente che
la musica la conosce già e che la
ama. Appunto perché non si tratta di ridere “della” musica ma di
ridere “con” la musica».
Quest’anno lei è stato in televisione con Sostiene Bollani, da qualche
stagione è in radio con il Dottor
Djembè: Bollani intrattenitore ma
anche divulgatore?
«In realtà io non mi sono mai sentito un divulgatore e non penso
di esserlo: semplicemente, non
c’è nessun altro che in televisione dica due parole di spiegazione
prima di suonare un pezzo, per
cui Sostiene Bollani è anche una
trasmissione di divulgazione. Ma
solo perché attorno c’è praticamente il deserto».
Però la trasmissione ha fatto ottimi ascolti, portando la musica
al pubblico televisivo. Inoltre ci
sono altri segnali, le trasmissioni
di Rai5, gli spazi dedicati periodicamente da Fazio, oppure Gad
Lerner che invita i musicisti della Scala all’Infedele: forse qualcosa
sta cambiando?
«Non so se qualcosa sta cambiando: certo, la mia trasmissione è
andata molto bene, ma bisogna
pensare sempre che si tratta di
quella determinata parte di pubblico televisivo, che magari non
seguirebbe un’altra trasmissione.
In realtà l’unico modo per provocare un cambiamento resta sempre lo stesso: inserire la musica
nelle scuole».
musicalmente
11
IN COPERTINA
MUSICA FORMATO FAMIGLIA:
DOMENICA 15 GENNAIO
L’INFANZIA SECONDO SCHUMANN
MADAMA DoRe
Tutti in ascolto!
La testimonianza diretta di un abile
comunicatore da anni sceso in campo
con convinzione. Che assicura:
“Le persone hanno sempre più bisogno
di capire la musica, di recuperare
un rapporto vivo con l’arte dei suoni”
di Giovanni Bietti
Mi capita sempre più spesso, in ogni parte d’Italia, l’occasione di parlare
al pubblico di musica: dal vivo ma anche alla radio, alla televisione o attraverso audiovisivi, dvd dal taglio divulgativo e accessibile.
Non credo che questo avvenga solo perché cerco sempre di parlare nel
modo più comprensibile e coinvolgente, mettendoci tutta la passione e
l’entusiasmo di cui sono capace. Il punto è che le persone hanno sempre
più bisogno di capire la musica, di recuperare un rapporto vivo con l’arte
dei suoni, di comprendere perché un compositore ha usato proprio quel
tema, quello strumento, quel ritmo per parlare con il suo ascoltatore, e
soprattutto che cosa effettivamente egli volesse dire attraverso le note.
A Roma, all’Auditorium Parco della Musica, curo una serie di conferenze dal carattere divulgativo intitolate Lezioni di Musica. Immaginate:
1.200 persone che pagano per ascoltare una conferenza sulla musica di
un’ora e mezza, affrontando il traffico romano della domenica mattina!
Un fenomeno singolare, e un segnale talmente forte che la scorsa estate
le Lezioni di Musica, ri-editate, sono state trasmesse su Radio 3 Rai, con un
riscontro di pubblico ed un apprezzamento straordinari.
Sono molti, in questi ultimi anni, gli enti che hanno deciso di dedicare uno spazio crescente alla divulgazione, agli eventi per le famiglie:
dall’Accademia di Santa Cecilia di Roma (vedi articolo a pagina 14,
ndr) al Festival Mito. La stagione Madama DoRe - Musica Formato famiglia
dell’Orchestra da Camera di Mantova (presentata a lato, ndr) è solo
l’ultima di queste iniziative, in ordine di tempo.
Insomma, se c’è un settore dell’attività musicale che in questo pesante
momento di crisi si sta ampliando e sviluppando, sia pure lentamente, è
senza dubbio quello della didattica e della divulgazione.
Credo che questa crescita sia, prima di tutto, una risposta alla triste constatazione che per i nostri illuminati amministratori la musica potrebbe
tranquillamente scomparire: è costosa e non porta voti. E in più è anche
12
musicalmente
IN COPERTINA
E A FEBBRAIO CARNEVALE ALLA SAINT-SAËNS
«C’è in ogni bimbo una profondità meravigliosa», scrive Robert Schumann nel
suo taccuino di pensieri. L’artista, uno dei
maggiori musicisti romantici, esplorò tale
profondità in alcune delle sue più grandi
e ispirate composizioni: domenica 15
gennaio (ore 11 – Teatro Bibiena di Mantova) le Kinderszenen (Scene infantili) op.
15 e il notissimo Album für die Jugend
(Album per la gioventù) op.68 trasporteranno il pubblico nei mondi del gioco,
dell’incantato stupore, del sogno, della
fantasia e delle fiabe, dipingendo inoltre
aspetti della vita quotidiana. Al pianoforte
e in veste di narratore ci sarà Giovanni
Bietti, compositore e pianista, consulente
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
di Roma, divulgatore di vasta esperienza,
come racconta nel pezzo principale di
questo servizio.
Giovanni Bietti all’opera
Stelle filanti di strumenti e coriandoli di
note è il titolo del quarto concerto del
ciclo Madama DoRe, in programma domenica 19 febbraio sempre al Bibiena,
sempre alle 11. Nei panni del narratore,
questa volta, Augusto Morselli, didatta
di lungo corso, già protagonista di riuscite iniziative di educazione all’ascolto. Il
carnevale degli animali di Camille Saint
Saëns, eseguito dai musicisti dell’Orchestra da Camera di Mantova, sarà al
centro dell’appuntamento. «Questo
serissimo compositore - spiega Morselli – propone una raffinatissima satira,
pungente ed elegante, del comportamento di diversi animali, compreso
anche l’uomo. Insieme li riconosceremo
e insieme ricorderemo gli strumenti che
li descrivono in un’indimenticabile, favolosa e emozionante visita al bioparco
orchestrale».
Il ciclo si concluderà domenica 18
marzo (ore 11, Teatro Bibiena). Quando
la musica si fa piccina – il quinto appuntamento della rassegna - eleggerà
a protagonista la musica da camera,
l’espressione più pura e raffinata creata
dall’arte occidentale, un dialogo, intimo
e riflessivo, tra strumenti che parlano
attraverso le note, con un linguaggio
specifico eppure universale. Affidato a
Giovanni Bietti e ai musicisti dei Corsi di
Alto perfezionamento dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia, il concerto
svelerà caratteristiche e smisurata bellezza della musica piccina di grandissimi
come Brahms, Mozart e Schubert.
I biglietti per i concerti hanno un prezzo
estremamente contenuto per favorire
la partecipazione delle famiglie: 6 euro
adulto, 5 euro bambino. La prevendita è in corso alla biglietteria Ocm, in
piazza Sordello 12 a Mantova (tel. 0376
1961640, [email protected],
www.ocmantova.com).
pericolosa: può rendere chi la ascolta più colto ed intelligente!
Meglio insomma riempire gli outlet che gli auditori.
Ma da parte del pubblico, dei
fruitori, i problemi e le responsabilità sono altrettanto evidenti: i
miei nonni conoscevano a memoria tutte le opere di Rossini o di
Verdi, oggi una persona di media
cultura non riconosce La Donna è
Augusto Morselli
mobile.
Il melodramma è davvero un
nostro patrimonio unico, riconosciuto in tutto il mondo; è uno dei motori che hanno acceso la coscienza nazionale, e hanno dato la spinta al
Risorgimento. La Nona di Beethoven è addirittura diventata l’inno europeo. La musica, insomma, si intreccia con la vita, ci ispira e ci aiuta ad
interpretare il mondo.
Eppure, non c’è bisogno di essere dei veggenti per capire che se continua così la musica “seria” (terminologia Siae) è destinata a scomparire,
ad essere sempre più marginale ed insignificante.
Ecco perché alcuni musicisti hanno deciso di dimostrare che le istituzioni hanno torto, che vale la pena di rimboccarsi le maniche. Dobbiamo
occuparci in prima persona della formazione del pubblico, visto che chi
dovrebbe occuparsene non lo sta facendo. Partendo dai più piccoli, dal
pubblico del futuro, e dalle loro famiglie. Vogliamo far capire che la musica è una delle più alte e straordinarie esperienze umane, e soprattutto
che dona benessere, fa star bene chi la ascolta perché affronta, da sempre, i problemi dell’uomo e prova a dargli una risposta. Bisogna renderla
musicalmente
13
IN COPERTINA
La JuniOrchestra Advanced
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
introdotta da Gregorio Mazzarese,
protagonista del secondo concerto
del ciclo Madama DoRe
al Bibiena lo scorso dicembre
accessibile, condividerla, mostrare la sua infinita ricchezza. Ed è importante cercare di farlo con leggerezza, sapendo che si devono offrire degli
strumenti ma si deve allo stesso tempo lasciare all’ascoltatore il piacere
della scoperta, la possibilità di proseguire da sé il percorso.
Questa è la cultura, nel senso più ampio: un termine, non dovremmo
dimenticarlo così facilmente, che deriva da coltivare ed implica quindi
un’azione diretta, non una passiva fruizione. Preparare il terreno, seminare, accudire, far crescere; l’apprendimento graduale che porta alla
gioia della conoscenza oltre che al piacere fisico della musica. Questo è il
compito che ci stiamo prefiggendo, e ci serve il vostro aiuto.
MADAMA DoRe: NUOVA PROPOSTA FIRMATA OCM
SUCCEDE ALL’ACCADEMIA DI SANTA CECILIA...
Madama DoRe è, come accennato, la nuova iniziativa dell’Orchestra
da Camera di Mantova: un piccolo ciclo di concerti domenicali
che punta a coinvolgere tutti, dai nonni ai nipoti, in un contesto
di sapiente leggerezza e di condivisione intergenerazionale.
Il ciclo di concerti mattutini è stato inaugurato, lo scorso 13
novembre, in un Teatro Bibiena stracolmo, da un primo intervento di Giovanni Bietti, nelle vesti d’affabulatore, con i musicisti
dell’Orchestra da Camera di Mantova chiamati a mostrare quanto Maurice Ravel fosse capace di evocare in maniera spettacolare le atmosfere delle fiabe del grande scrittore Perrault
(l’evento, I racconti di Mamma Oca, era inserito nel cartellone
del Festival internazionale d’are e teatro per l’infanzia, Segni
d’Infanzia). Il secondo appuntamento, ha visto invece protagonista la JuniOrchestra Advanced dell’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia, 50 giovanissimi musicisti guidati dal direttore Carlo
Rizzari e introdotti, insieme con la meravigliosa Settima Sinfonia di
Beethoven, dallo stesso e dal responsabile organizzativo Gregorio
Mazzarese. Di nuovo teatro da tutto esaurito a testimoniare di
un’accoglienza entusiasta e partecipata all’iniziativa.
L’Auditorium Parco della Musica di Roma, oltre ad essere una
delle più prestigiose sedi concertistiche europee, è oggi il
centro di divulgazione musicale e di formazione del pubblico
concertistico più attivo ed importante d’Italia: oltre 300 eventi
l’anno tra concerti, seminari, conferenze, lezioni, rivolti ad ogni
fascia d’età.
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vi svolge un ruolo centrale con l’articolata stagione Tutti a S. Cecilia, insignita alcuni anni
fa del Premio Abbiati della critica musicale. Fiori all’occhiello
dell’attività sono le due formazioni giovanili (Coro di voci bianche e JuniOrchestra), e i seguitissimi Family Concerts, concerti
domenicali dell’orchestra Ceciliana preceduti da un’introduzione divulgativa.
Le Lezioni di Musica, realizzate dall’Accademia in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma, sono un’altra importante iniziativa di divulgazione: sono condotte da artisti e musicologi di fama internazionale e attirano migliaia di persone. L’offerta
divulgativa del Parco della Musica è davvero a tutto tondo, e
comprende anche il rock, il jazz e la musica etnica.
14
musicalmente
IN COPERTINA
Mai come oggi assistiamo al proliferare di giovanissimi talenti provenienti dai più diversi paesi, specialmente orientali, tanto che diventiamo quasi assuefatti a questa sorta di “eccezionalità diffusa”. Un
violinista come Ray Chen, invece, dovrebbe farci sempre meravigliare con il suo curriculum: oltre a numerosi primi premi in concorsi
giovanili spiccano i podi più alti allo “Yehudi Menuhin” di Cardiff
nel 2008 a soli 19 anni, e soprattutto al “Queen Elisabeth” di Bruxelles l’anno seguente. In un panorama come quello italiano in
cui l’educazione musicale nelle scuole è ridotta ai minimi termini,
l’esperienza di questo straordinario violinista taiwanese cresciuto
in Australia è certamente illuminante.
All’età di 4 anni ha iniziato a studiare con il metodo Suzuki, completando tutto il percorso formativo. Quali sono stati i vantaggi?
«È un metodo fantastico perché incoraggia i bambini ad amare
la musica e a divertirsi con essa. Molti sostengono che non sia un
buon sistema perché non impari subito a leggere la musica bensì
inizi ad ascoltare delle registrazioni e a suonarle ad orecchio, come
quando si ascolta una canzone pop
e la si canta sotto la doccia. In realtà è un programma di studio molto divertente e, se vogliamo, meno
“serio”, ma penso sia fondamentale per far conoscere la musica e
adatto anche ad una giovanissima
età. In questo modo la passione
per la musica viene mantenuta per
il resto della vita. Per diventare seri
c’è tempo!».
Come sono stati i suoi inizi?
«Ho iniziato a suonare il violino
quasi per gioco a 4 anni in Australia, dove sono cresciuto. I miei genitori non mi hanno mai obbligato
a farlo e sono molto felice di questo. Loro non sono musicisti, è stadi Giacomo Giuliani
ta quindi una mia scelta e passione
Ray Chen
Star del violino
PER GIOCO
Nel panorama italiano in cui l’educazione musicale
nelle scuole è ridotta ai minimi termini, l’esperienza
di questo straordinario artista taiwanese cresciuto
in Australia appare davvero illuminante
musicalmente
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IN COPERTINA
ll metodo Suzuki
è fantastico:
incoraggia i bambini
ad amare la musica
e a divertirsi.
Non è mai costrittivo
Ho iniziato a suonare
il violino a 4 anni.
I miei genitori non mi
hanno mai obbligato.
Anzi, dicevano:
“Puoi anche smettere”
personale. Anche per quanto riguarda la pratica giornaliera mia mamma
non è mai stata pressante. Spesso, quando non avevo voglia di studiare,
lei usava una sorta di psicologia “inversa” e mi diceva: “Non preoccuparti,
puoi anche smettere di suonare il violino...”. Così mi sentivo veramente in
colpa e impaurito e iniziavo subito a studiare. Anche il metodo Suzuki non
è mai costrittivo, suoni a orecchio, fai lezioni collettive, suoni con i compagni di corso e fai concerti con loro. E molto presto sei in grado di poter
suonare da solo in concerto, a me è successo quando avevo 8 anni».
Crede sia meglio avere molti insegnanti o avere un unico punto di riferimento fino alla maturità musicale?
«Penso che in questo caso la via di mezzo sia la soluzione migliore, perché
se hai solo un insegnante diventi troppo dipendente da lui e nel momento in cui venisse a mancare ti sentiresti perduto. Se ne hai molti corri il
rischio di essere confuso dai diversi metodi e dalle differenti opinioni che
ti arrivano e che non sei ancora in grado di sintetizzare in una tua visione
personale».
Quali sono i violinisti che considera i suoi idoli?
«Se ne devo scegliere un paio direi sicuramente David Oistrakh e Maxim
Vengerov, che ho conosciuto durante il concorso “Menuhin” nel 2008
quando era tra i giurati».
Il 26 gennaio la ascolteremo nel concerto di Bruch con l’Orchestra della
Toscana a Suzzara, nel mantovano. Quali sono i punti di forza di questo
concerto?
«È uno dei miei preferiti perchè è veramente ben scritto, ben orchestrato,
non è troppo lungo e ha un bellissimo secondo movimento, ed è anche
molto piacevole da ascoltare. E poi è perfetto per me, tra quelli che amo
di più suonare insieme ai concerti di Brahms e di Cajkovskij. Di quest’ultimo, tra l’altro, uscirà poco prima della tournèe italiana a gennaio la mia
incisione per Sony».
LA MUSICA S’IMPARA COME LA LINGUA MADRE
Negli anni ’30 Schinichi Suzuchi arriva
in Europa, a Berlino, con lo scopo di
comprendere il vero significato dell’Arte.
Conosce e studia violino con Karl Klinger
e diviene amico di Albert Einstein. In
quegli anni si diffondono i nuovi metodi
educativi di Piaget e della Montessori in
cui il bambino diventa soggetto, e questo non sfugge all’intraprendente violinista
e didatta giapponese. La sintesi di questo
“apprendimento” si riassume nella sua
frase: «L’Arte non è qualcosa che sta sotto o sopra di me, l’Arte è legata alla mia
essenza più profonda». Il metodo Suzuki
rappresenta un approccio didattico alla
musica tanto sorprendente nei risultati
quanto semplice nel suo messaggio:
imparare la musica come si impara la lingua madre. Per imitazione dunque, nella
quotidianità familiare, per piccoli passi,
quasi inconsapevoli per un bimbo di
pochi anni. Il docente formato all’utilizzo
del metodo Suzuki coinvolge il genitore
e gli affida un ruolo importante nell’educazione dei figli: accoglie in classe bimbo
e adulto, insegna la tecnica strumentale
e rinforza la naturale inclinazione al linguaggio ritmico e melodico ad entrambi
creando una complicità che rende la
16
musicalmente
conoscenza naturale conseguenza,
perché tutto inizia come un gioco. Attraverso il metodo Suzuki si crea un magico
coinvolgimento tra due generazioni che
contemporaneamente vengono avviate
alla musica, al linguaggio sonoro,alla
tecnica strumentale, alla conoscenza del
repertorio, alla passione e quindi all’emozione nell’interpretazione e nell’ascolto.
Un passaggio successivo è l’inserimento
dei bambini nei gruppi orchestrali dove si
combinano anche forti valenze socia-
lizzanti, insieme all’approfondimento
dei repertori e all’affinamento ulteriore
della tecnica. Ecco forse il segreto per
riportare le nuove generazioni ad amare,
interpretare, ascoltare e vivere la musica:
non delegare allo “specialista” la totale
cura formativa del bambino ma riconsegnare al genitore il suo ruolo dimenticato
restituendo anche alle mura domestiche
il luogo eletto alla formazione del gusto e
del piacere per il bello, come la capacità
di saperlo riconoscere. (Anna Tonini)
I CONCERTI
Una sinfonia
da record:
LA GRANDE
Ort
La Sinfonia n. 9 in do maggiore di Franz Schubert ha sempre colpito
l’immaginazione e la sensibilità non soltanto del pubblico ma anche
dei discografici. Lo prova una produzione sterminata con picchi d’eccellenza
di Luigi Fertonani
La Sinfonia n. 9 in do maggiore D.944 di Franz Schubert, detta La Grande, ha
sempre colpito l’immaginazione e la sensibilità non soltanto del pubblico
ma anche dei discografici. Infatti, andando a vedere la produzione in questo senso, si vede che al di là della fama dell’Incompiuta, è sicuramente la
Sinfonia schubertiana più incisa. Così, per l’appassionato, non c’è letteralmente che l’imbarazzo della scelta e si può andare tranquillamente dalle
incisioni storiche a quelle più recenti, dalle registrazioni audio a quelle
video che, specialmente negli ultimi anni e con mezzi tecnici sempre più
raffinati stanno gradualmente ma in evitabilmente invadendo di suoni ma
anche d’immagini gli scaffali. Iniziamo dalle registrazioni audio più datate tra le quali notiamo immediatamente quella pubblicata da Archipel
Records (ARPCD0185): nientemeno che l’Orchestra Vienna Philharmonic
diretta da Wilhelm Furtwängler, in una registrazione live “di guerra” effettuata nel 1943 che unisce l’Ottava alla Nona; un documento emozionante,
al di là degli inevitabili segni del tempo. Un’edizione non così datata e cui
siamo personalmente affezionati è sicuramente l’integrale sinfonico schubertiano – ma disponibile anche in cd singoli come questo, che unisce la
Nona alla Terza schubertiana – registrato fra il 1969 e il 1977 dall’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese diretta da Rafael Kubelik per Audite
(92542). Qui abbiamo un approfondimento maggiore che in Furtwängler,
Franz Schubert
e non solo: infatti la registrazione è stata “ripulita” in modo accuratissimo e
infatti il cd è in formato audio Hybrid Stereo, dalla resa davvero
eccezionale. Venendo a tempi molto più vicini ai nostri, da guardare con attenzione l’operazione dell’Elatus – Warner Classics
LIVE CON ORT E CHEN IL 26 GENNAIO
(0927467502) per lo splendore dei timbri della Royal Concertgebouw Orchestra che Nikolaus Harnoncourt riesce a esprimeDiscepolo di Piero Bellugi e Isaac Karabtchevsky,
il fiorentino Daniele Giorgi, un trascorso da spalre; l’incisione contiene anche l’Ouverture della Bella Melusina
la d’orchestra e lanciato in una brillante carriera
op. 32 di Mendelssohn con la Berlin Philharmonic Orchestra,
direttoriale, guida l’Orchestra della Toscana (giovedì
di qualità però non eccelsa. Se vogliamo citare alcune delle più
26 gennaio, ore 20.45, Teatro Sociale di Mantova) in
riuscite edizioni guidate da grandi direttori non possiamo ometun programma estremamente attraente che unisce
tere quella recentemente pubblicata dalla Deutsche Grammoliricità e brillantezza, spaziando dal Wagner intimo
phone (E4236562) con la Chamber Orchestra of Europe diretta
dell’Idillio di Sigfrido alle intensità del Concerto di
da Claudio Abbado, che, smagliante nei fiati, presenta anche un
Bruch, testimonianza del pieno e più rassicurante
altro piccolo gioiello schubertiano, l’Ouverture Rosamunde. Fra
romanticismo tedesco, fino alle inarrivabili bellezze
i dvd, tutto da vedere quello pubblicato due anni fa da Ducale
dell’ultima trepidante Sinfonia di Schubert. Solista
nel Concerto di Bruch Ray Chen, protagonista
Music (2057728) con Riccardo Muti che dirige straordinari Berdell’intervista a pagina 15.
liner Philharmoniker al Teatro San Carlo di Napoli.
musicalmente
17
I CONCERTI
Silver-Garburg Duo
differenze CONDIVISE
rispettive tastiere, i due strumenti creano già in sé uno spettacolo visivo che diventa fasto auditivo nel momento in cui risuonano
in stereofonia. Certo, ai tempi di
Mozart i pianoforti (o fortepiani
che dir si voglia) non avevano le
dimensioni di un moderno gran
coda: la spazializzazione e la particolare sonorità stereofonica è
quindi di matrice prevalentemente novecentesca (e non a caso ha
affascinato compositori come Bartók o Berio); ma aldilà di ciò, è
curioso notare come in tre secoli soltanto due compositori abbiano saputo risolvere pienamente il
problema della sonorità nel momento in cui ai due pianoforti si
aggiunge l’orchestra: uno naturalmente è Wolfgang
Amadeus Mozart, l’altro è Francis Poulenc (che, non
a caso, cita Mozart nel secondo movimento del suo
Concerto). Se già non è facile amalgamare la sonorità
del pianoforte con quella degli archi, con i due pianoforti il rischio è quello di creare una sorta di rischioso duello fra sonorità pianistica e sonorità orchestrale.
Se la scrittura dialogica di Mozart, con i due pianisti
che perlopiù si alternano, facilita il raggiungimento
di un equilibrio complessivo, è anche vero che essa
mette in maggiore evidenza le eventuali disparità fra i
due solisti. Il fatto che Sivan Silver e Gil Garburg provengano dalla medesima scuola pianistica - quella del
grande didatta israeliano Arie Vardi - è già un ottimo
A Mantova eseguiranno i Concerti mozartiani K 365
per due pianoforti e K 242 “Lodron” per tre tastiere.
Il loro modo di pensare suono e fraseggi appare
perfetto per una rilettura contemporanea
di Luca Ciammarughi
La formazione del duo pianistico prevede due diversi
modi di suonare: da un lato il “quattro mani”, in cui i
due pianisti condividono lo stesso strumento, dall’altro il suonare a due pianoforti, in cui ogni pianista ha
uno strumento a disposizione tutto per sé. Se il repertorio a quattro mani privilegia la dimensione intimistica, memore dei salotti sette-ottocenteschi e della pratica domestica diffusa fino alla prima metà del ‘900,
i due pianoforti evocano una dimensione di maggior
spettacolarità. Non è solo l’aumentare del volume sonoro, prodotto da due strumenti piuttosto che uno, a
suggerire una dimensione più pubblica che privata, ma
la disposizione stessa dei pianoforti: la coda dell’uno
inserita in quella dell’altro, vicini eppur lontani nelle
18
musicalmente
I CONCERTI
punto di partenza: le piccole differenze di personalità che rendono
più vario e quindi più piacevole il
loro dialogo strumentale si innestano infatti su una forte base condivisa, su una concezione comune
del suono, vera e propria conditio
sine qua non per il costituirsi di un
duo pianistico. Nel caso specifico,
il loro modo di pensare il suono e
i fraseggi sembra perfetto per traghettare il meraviglioso K 365 nel
XXI secolo: sensibilità, lirismo,
magistero tecnico al servizio del
discorso musicale ci restituiscono
un Mozart immune da certi vacui
meccanismi da puro divertissement
che troppo spesso sono andati di
moda nel Novecento; tutto canta,
tutto vive in un flusso in cui - comunque - la precisione e il rigore non vengono mai meno. Non è
un caso che il duo Silver-Gasburg
si sia distinto nell’interpretazio�ne della musica, stavolta a quattro
mani, di Franz Schubert: è proprio dal Mozart più intimista che
Schubert imparerà la lezione di
come quattro mani possano sembrare due. Il suonare a due pianoforti non diventa così un sommarsi potenzialmente fastidioso di
sonorità, ma un raffinato gioco di
specchi in cui i due strumenti quasi si fanno uno. Questo “farsi uno” ha determinato il
fatto che molti dei duo pianistici più celebrati siano
stati spesso legati da rapporti di strettissima parentela
(i fratelli Kontarsky o le sorelle Labèque) o da relazioni di coppia (Robert & Gaby Casadesus o Arthur Gold
& Robert Fizdale): l’ideale è in effetti una capacità di
Sopra
Sa Chen
mentre a lato
Sivan Silver
e Gil Garburg
entrare in simbiosi che non escluda le reciproche differenze. Sivan Silver e Gil Garburg si inseriscono in
tal senso mirabilmente in una tradizione interpretativa
piuttosto recente (nell’800 il duo pianistico come formazione stabile non era ancora in voga) e quindi foriera di nuovi ed eccitanti sviluppi.
CON L’ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA
E SA CHEN MERCOLEDì 18 GENNAIO
Mercoledì 18 gennaio, al Teatro Sociale di Mantova, il Duo
composto da Sivan Silver e Gil Garburg, compagni nell’arte e
nella vita, dividerà la scena con la talentuosa pianista cinese Sa
Chen e con l’Orchestra da Camera di Mantova. Sa Chen - terza
classificata al concorso “Van Cliburn”, due ottimi piazzamenti a
Leeds e a Varsavia - interverrà nell’esecuzione dello spettacolare
mozartiano Concerto n. 7 in fa maggiore per tre pianoforti e
orchestra K 242 “Lodron”. Completerà il programma la Sinfonia
n. 2 in re maggiore op. 36 di Ludwig van Beethoven, affidata a
un’Ocm che affronta in assenza direttore, guidata da Carlo Fabiano nel ruolo di violino concertatore, le vitali energie del primo
Beethoven sinfonico.
L’Ocm al Teatro Sociale
musicalmente
19
I CONCERTI
CLAUDIO AMBROSINI
compositore e poeta
Nato nel 1948 a Venezia fa parte di quella generazione che
ha rinnovato profondamente, con grande varietà di linguaggi,
la produzione musicale degli ultimi decenni nel nostro paese
di Patrizia Luppi
Claudio Ambrosini, recente vincitore del Premio Abbiati dell’Associazione nazionale dei critici
musicali, è uno dei compositori
italiani più apprezzati. Nato nel
1948 a Venezia, dove risiede tuttora, fa parte di quella generazione di cinquanta-sessantenni che
hanno rinnovato profondamente,
e con grande varietà di linguaggi,
la produzione degli ultimi decenni
nel nostro Paese; nelle sue partiture spesso si respira una venezianità
che trae sostanza da legami dichiarati o sotterranei con lo straordinario patrimonio musicale della
Serenissima, da Ambrosini scrupolosamente indagato e assimilato.
Non per questo la sua scrittura è
passatista, tutt’altro: è avanzata e
versatile e si è applicata con successo a molti generi diversi.
Non a caso, dunque, nel concerto
in programma l’11 febbraio all’Auditorium di Suzzara (ore 20.45),
le sue composizioni sono accostate
a quella di grandi autori di area veneziana: Giovanni Gabrieli, Claudio Monteverdi, Gian Francesco
Malipiero. Ad aprire e chiudere la
serata, due brani in cui la musica
Claudio Ambrosini
20
musicalmente
Le sue composizioni
accostate a quelle di
Monteverdi e Malipiero.
L’11 febbraio
all’auditorium di Suzzara
l’atteso concerto
“A volte,
mentre compongo
e sono stanco,
mi fermo e vado
a sfogliare
un libro di poesia;
così mi rigenero
lo spirito”
NOTE ALL’ASCOLTO
a cura di Andrea Zaniboni
Mantova | Teatro Sociale
Martedì 18 gennaio 2012
ore 20.45
INSERTO ESTRAIBILE
W.A. Mozart Concerto n.10
in mi bemolle maggiore
per due pianoforti
e orchestra K.365
W.A. Mozart Concerto n. 7
in fa maggiore
per tre pianoforti
e orchestra K. 242 “Lodron”
L.v. Beethoven Sinfonia n.2
in re maggiore op.36
Lavoro radioso, intreccio mirabile di
spettacolare dialogo strumentale e
squisito stile “galante”, il Concerto in mi
bemolle maggiore per due pianoforti può
ritenersi come uno degli esempi più
efficaci per comprendere il gusto corrente del tempo di Mozart. Brillante
rappresentazione di situazioni musicali, arricchito dall’intensità dei contrasti, dalla virtuosità gioiosa, dalla
cantabilità sentimentale, presenta efficacemente quel Mozart che, assecondando il suo pubblico, sa come condurlo, con apparente svagatezza, nella
regione dell’arte ristoratrice, eterna.
Tutto obbedisce ad un progetto complesso eppur, com’è tipico nello scrivere del maestro di Salisburgo, di immediata comprensibilità: il gioco delle
tastiere, il rilievo del tessuto orchestrale, la libera interpretazione della forma – se nel primo movimento figurano ben 9 brevi motivi tematici, segnale
di inventiva sfrenata – il clima celebrativo, sono le tessere di un mosaico di
irresistibile effetto.
La partitura fu realizzata nei primi
mesi del 1779 a Salisburgo e destinata
all’esecuzione congiunta dell’autore e
della sorella maggiore “Nannerl”, ma
poi dovette diventare una delle pagine
favorite negli anni viennesi del compositore. Dei tre movimenti, il primo
tesse un dialogo stretto fra i due solisti con gran sfoggio di idee, ora ritmiche e festose, ora delicate e leggere.
Il centrale “Andante” invece vibra di
toni amorosi, che nel procedere vengono arricchiti di sfumature sempre
più pensose.
Al finale “Rondò” il compito di riportare il Concerto alla brillantezza. Colpisce che il tema d’ingresso ricalchi
quello utilizzato nella precedente Sonata da chiesa K.336, come il fatto che
il ribollente passaggio in modo minore
troverà citazione nel successivo Flauto
Orchestra da
Camera di Mantova
Carlo FABIANO, violino concertatore
Sivan SILVER e Gil GARBURG,
duo pianistico
Sa CHEN, pianoforte
magico. Ma questo conferma come la
fantasia mozartiana si nutrisse di una
immaginazione nutrita da un fortissimo, inesauribile senso di teatro.
Il Concerto per tre pianoforti, scritto esplicitamente per 6 mani femminili (“Dedicato all’incomparabile merito di
Sua Eccellenza la Signora Contessa
Lodron, nata Contessa d’Arco, e delle
sue figlie le Signore Contesse Aloisa e
Giuseppa”) all’inizio del 1776, a questo proposito non fa che accentuare il
senso dello spettacolo, con tre tastiere in campo, pur sostenendo l’azione
non competitiva dei solisti.
Lo spirito che infatti qui affiora, non
è tanto quello dell’esibizione di bravura, quanto piuttosto quello di un
amichevole convivio, di un diletto familiare che si compie ad un contenuto livello di difficoltà tecnica, giusto
adatto alle capacità delle prime esecutrici, la contessa Antonia e due delle
sue figlie, l’una quattordicenne e l’altra undicenne, tutte allieve dirette, oltre che vicine di casa, di Wolfgang a
Salisburgo.
Il godibile lavoro comprende i tre
classici movimenti: al primo, giocoso e
dal tono affermativo fanno seguito un
Adagio finemente lavorato, d’ampia
tavolozza timbrica e di serena dolcezza, e quindi un conclusivo, vivace Rondò dai caratteri più contrastati.
Il Concerto, che attribuisce al terzo pianoforte un ruolo più defilato in raffronto alle altre due parti soliste, fu
predisposto dall’autore anche per due
pianisti, con abili modifiche di dettaglio.
Dopo averne avviato il disegno verso la fine del 1800, Beethoven giunse
alla stesura definitiva della Seconda Sinfonia nel corso del 1802 ad Heiligenstadt. Data e luogo rammentano uno
dei più drammatici momenti della vita
del compositore, di cui il famoso “testamento”, scritto nella disperata consapevolezza della sordità avanzante, ci
ha portato prova.
Eppure è sconsigliabile il tentativo di
individuare connessioni tra vicende
biografiche e arte, perché le tracce,
se mai ci sono, sembrano in fortissimo
contrasto con l’animo di chi accettava
di «vivere come un proscritto», pur cosciente d’essere «colmo di amore per
l’umanità e del desiderio di bene operare».
La Seconda Sinfonia appare piuttosto
un inno alla vitalità, cantato con energia indomabile, immagine di un Beethoven decisamente riconoscibile per
la forte, quasi scomposta personalità
che vi fa capolino, già lontana dalla vivace freschezza della Sinfonia n.1 compiuta tre anni prima.
Anche ad una semplice verifica dimensionale, la Seconda denuncia ambizioni crescenti. L’introduttivo “Adagio
molto” sottolinea a dovere funzionalità e tensione espressiva, mentre il seguente e collegato “Allegro con brio”
ha tutto il tono di una festosa celebrazione che adotta, con chiari propositi
di sintesi, la dialettica dei principi opposti.
Ma aspetti innovatori, al confine con
la brutalità, sono espressi anche nel
finale che muovendo dal tagliente incipit, disarciona quell’ascoltatore che
attende l’epilogo di maniera. Infatti,
questo movimento conclusivo spinge
al parossismo tono e dinamiche, fino
ad un “burlesco” che non ha proprio
nulla di bonario.
La Seconda Sinfonia fu presentata il 5
aprile 1803 nel corso di un’interminabile “accademia” che comprendeva il
Concerto per pianoforte in do minore,
la Prima Sinfonia e l’oratorio Cristo sul
Monte degli ulivi. (a.z.)
musicalmente
21
m
NOTE ALL’ASCOLTO
Orchestra
della Toscana
Ray CHEN, violino
Daniele GIORGI, direttore
Suzzara | Auditorium
Giovedì 26 gennaio 2012
ore 20.45
R. Wagner Idillio di Sigfrido
M. Bruch Concerto n.1 in sol minore
per violino e orchestra op.26
F. Schubert Sinfonia n.9
in do maggiore D.944
“La Grande”
Note estratte da materiale gentilmente
concesso in uso da ORT
Orchestra della Toscana
Richard Wagner compose in gran segreto il Siegfried-Idyll (Idillio di Sigfrido)
per festeggiare contemporaneamente il natale del 1870, il trentatreesimo
compleanno della moglie che un anno
e mezzo prima gli aveva dato un erede
maschio e il quarto mese di matrimonio. Wagner si era sposato con Cosima
Liszt, di ventiquattro anni più giovane
di lui, il 25 agosto precedente, dopo
una relazione adulterina durata alcuni anni da cui erano nati tre figli, tutti
battezzati con nomi di suoi personaggio operistici: Isolde, Eva e appunto
Siegfried. Cosima, che alla morte del
marito sarebbe diventata la sacerdotessa del suo culto a Bayreuth, era figlia
di Franz Liszt e della bellissima Marie
d’Agoult, e prima moglie del pianista e
direttore d’orchestra Hans von Bülow,
un wagneriano di ferro. Nella loro dimora svizzera di Triebschen, sul lago
di Lucerna, quella mattina del 25 dicembre il compositore aveva radunato
una piccola orchestra che, non appena Cosima si affacciò dalla sua camera,
cominciò a suonare questo poema sinfonico dall’organico in miniatura (13
strumenti: flauto, oboe, due clarinetti,
fagotto, due corni, tromba, archi), testimonianza di un’ispirazione domestica, ‘reservata’, placidamente confidenziale e intimistica del tutto inconsueta
per Wagner. La scena della sveglia di
Cosima e dell’offerta musicale dell’Idillio è stata meticolosamente ricostruita
da Luchino Visconti nel film Ludwig.
Gregorio Moppi
(…) Il rinvenimento della Sinfonia in
do maggiore, detta Grande per distinguerla dall’altra giovanile nella medesima tonalità ma di proporzioni più
ridotte perciò denominata Piccola, si
deve a un Robert Schumann in trasferta viennese (…)Schumann aveva fatto
visita a Ferdinand Schubert, che presso
di sé conservava una gran messe di inediti del fratello Franz. Tra questi giaceva anche la partitura della Sinfonia
22
musicalmente
in do maggiore, inviata immediatamente all’amico e collega Felix Mendelssohn, a Lipsia, perché la dirigesse nella
stagione di concerti del Gewandhaus.
Esecuzione avvenuta il 23 marzo 1839,
di nuovo in dicembre, e poi ancora nel
marzo e nell’aprile 1840. Era la prima
volta che la Sinfonia veniva data in pubblico. (…) Fino a qualche anno fa si
credeva che la Grande risalisse al 1828,
anno della morte del compositore, così
come scritto sulla prima pagina del manoscritto. Studi piuttosto recenti (condotti anche sulla carta e sull’inchiostro
impiegati) hanno invece permesso di
retrodatarne la composizione. Dunque Schubert vi lavorò nell’estate del
1825, durante i soggiorni a Gmunden
e Gastein, ritornandovi sopra a Vienna, in autunno. (…) Nonostante le
proporzioni inconsuete per l’epoca,
la Grande si mostra monumentale solo
in superficie (la «sublime lunghezza»
che le riconosceva Schumann). Nella sostanza invece è tutt’altro che granitica: procede con passo narrativo e
svagato, trascolorante da un episodio
all’altro in maniera discorsiva, piana,
a tratti fantastica, attraverso morbide
concatenazioni sintattiche e strutturali
tipicamente schubertiane. Di Beethoven, venerato modello di riferimento cui viene reso omaggio nell’ultimo
movimento richiamandone l’Inno alla
gioia dalla Nona Sinfonia, non vi sono
l’impeto eroico di proporzioni ferree
e stringate, le deflagrazioni dialettiche, lo sviluppo organico del materiale tematico. (…) Schubert non poteva
davvero tradire la sua natura più profonda, rinunciare all’espansione lirica, alle caratteristiche modulazioni e
sospensioni armoniche, alla frequente
contrapposizione timbrica e dinamica
tra archi, forte, e fiati, piano, a spargere per la partitura gioielli tematici, paesaggi dello spirito, digressioni, indugi, pause, emozioni più o meno fugaci.
La sua originalità sta nell’esser riuscito
a connetterli in una struttura ariosa,
certo distante dalla scultorea concen-
trazione beethoveniana, a suo modo,
tuttavia, logica, coerente, unitaria.
Gregorio Moppi
(…) Apprezzato come direttore e
come didatta, autore di un copioso catalogo che si proietta addirittura fino
al 1919 (…) Max Bruch è visto erroneamente come un epigono brahmsiano;
in realtà si mantenne fedele ancora in
pieno Ventesimo secolo alla sua formazione nel solco di Mendelssohn. Tratti
mendelssohniani caratterizzano infatti la natura lirica della sua ispirazione,
che nei momenti migliori è soavemente e affettuosamente espansa come in
certe Romanze senza parole. L’osservazione vale per il giovanile Concerto in sol minore op.26, l’unico pezzo di Bruch oggi
sopravvissuto in repertorio, assieme al
Kol Nidrei op.47 per violoncello e orchestra su melodie ebraiche. Bruch vi lavorò a lungo, dal 1864 al 1868, e già nel
‘66 ne aveva licenziata una prima versione su cui Joachim sarebbe poi intervenuto per una revisione ulteriore, da
lui portata al successo. Il primo tempo
è un Preludio dal carattere libero e soavemente rapsodico, in cui l’ingresso
del solista con una sorta di cadenza potrebbe richiamare proprio il modello
beethoveniano. (…) Il Preludio sfocia
direttamente nell’Adagio, soave ed intenso, costruito su un tema nobilmente sentimentale da Romanza strumentale, non immemore dell’Adagio del
concerto mendelssohniano, abbastanza ampio da dar luogo ad una struttura
articolata di colloquio tra solista e orchestra, in cui l’ampia idea principale
interagisce con un disegno alternativo
breve e vivo, successivamente introdotto, che propizia il collegamento diretto
con il Finale. (…)Soprattutto lo slancio
cavalleresco di questo Finale, impostato su un tema magnificamente ambientato nei bicordi dello strumento solista,
ha assicurato al Concerto op.26 l’affetto
dei grandi concertisti e la sua permanenza nel repertorio.
Elisabetta Torselli
Suzzara | Auditorium
Sabato 11 febbraio 2012
ore 20.45
Musiche e poesie
tra pianura e laguna
C. Ambrosini Dai Filò di Zanzotto,
trittico per quattro voci femminili
e pianoforte
G. Gabrieli Toccata
sul Secondo Tono per clavicembalo
C. Monteverdi Piang’e sospira,
dal IV Libro dei madrigali
G.F. Malipiero Ricercar Toccando
per pianoforte
C. Ambrosini Ur-Malo, da Meneghello,
polittico per quattro voci femminili,
pianoforte e cose
Un concerto-omaggio a due tra i più
importanti scrittori italiani contemporanei, Meneghello e Zanzotto, di cui
vengono presentate alcune pagine
dialettali messe in musica da Claudio
Ambrosini. Per questi due lavori, i primi di una serie “in progress” sulla letteratura italiana avviata in collaborazione con l’Ateneo Veneto, Ambrosini
si è avvalso di un organico-base piuttosto inusuale, costituito da quattro voci
femminili e pianoforte.
Dai Filò di Zanzotto (2003) è un trittico che accosta tre frammenti tratti da
Filò, raccolta pubblicata da Zanzotto
nel 1976 e, in parte, usata da Fellini
per il suo film Casanova. Nel libro,
all’immagine iniziale di una Venezia
sensuale – “Venusia” dai capelli “blu
e biondi” – fa seguito una riflessione
a tratti amara sul “vecio parlar”, sul
dialetto, che il poeta ritrova in un momento di doloroso bilancio della sua
vita. La perdita della madre gli riapre
sentieri interiori da cui parte una profonda riflessione sullo stato della nostra terra e della nostra società.
Nella musica, ai ritmi “liquidi” dell’inizio – che alternano momenti di calma
lagunare ad ondate tempestose – fanno seguito successioni veloci di termini dialettali brevi, scattanti, irregolari:
per Zanzotto il “vecio parlar” ha, nel
suo sapore, “un s’cip del lat de la Eva”
(un goccino del latte di Eva). Un “parlare” che tocca anche le corde della sofferenza e che, come molte cose
ormai, è in pericolo. Ma nella terza
parte si fa strada un piccola speranza,
espressa nell’auspicio che si arrivi alla
creazione di un nuovo “tessuto” di comunicazione, in grado di ricomporre
in un disegno armonioso “i fili del sogno e della ragione”.
Ur-Malo, da Meneghello (2007) è invece un “polittico per quattro voci
femminili, pianoforte e cose” in cui
Ensemble Vox
Secreta
Stefano CELEGHIN, concertatore
Matteo LIVA, pianoforte
Sonia VISENTIN, Sheila RECH, soprani
Julie MELLOR, mezzosoprano
Caterian BONELLI, contralto
delle poesie-filastrocche-quasi/nonsense (pubblicate dallo scrittore maladense in Pomo pero, come “corollario” al suo capolavoro Libera nos a
malo) vengono rese da Ambrosini accostando allo strumento “accademico
per eccellenza” – il pianoforte – altri
piccoli strumenti a percussione e, soprattutto, delle cose, robe, oggetti in
gran parte desunti dalla quotidianità
o dall’ambiente rurale che fa da contorno alle narrazioni di Meneghello:
zucche, melograni, scopini, bottiglie,
spazzole di saggina, conchiglie, carta
argentata, richiami per gli uccelli…
Colto e “campagnolo”, alto e basso
dunque continuamente mescolati e
assorbiti nei vortici delle sorprendenti
sequenze ritmiche di monosillabi, bisillabi, trisillabi architettate dallo scrittore e sciorinate in felice bilico tra sapienza e ironia.
L’esecuzione di entrambi i lavori viene
preceduta dall’ascolto “della voce del
poeta”: quella vera di Zanzotto, che
legge la sua poesia e quella “indiretta” di Meneghello, sonoramente rappresentato da rumori e voci raccolti da
Ambrosini nelle strade di Malo.
Claudio Ambrosini
***
Dai Filò di Zanzotto
L’ora illanguidisce nella cenere dello
scaldino,
è l’ora di andarsene, di lasciare
il calduccio del covo.
Ma dalle poche braci di quaggiù,
dai fiati dei filò di quaggiù,
se i fili se i fili
del sogno e della ragione tra loro
si fileranno,
lassù, nei dintorni del tirar vento di stelle
si accenderanno i nostri mille parlari
e pensieri nuovi
in un parlare che sarà uno per tutti,
fondo come un baciare,
aperto sulla luce, sul buio,
davanti alla mannaia piantata nel buio
col suo taglio chiaro, appena affilato
da sempre.
Un estratto dai testi per Dai Filò
di Zanzotto - Trascrizioni in italiano
a cura di Tiziano Rizzo
1.
O come ti cressi, o luna dei busi fondi,
o come ti nassi, cavegi blu e biondi,
nu par ti, ti par nu,
la gran marina no te sèra più,
le gran barene de ti se inlaga,
vien su, dragona de arzento, maga!
Aàh Venessia aàh Venaga aàh Venùsia
Oci de bissa, de basilissa
O come cresci, o luna dei baratri fondi,
o come nasci, capelli blu e biondi,
noi per te, tu per noi,
il grande mare più non ti rinserra,
le grandi barene di te si allagano,
sali, dragona d’argento, maga!
Aàh Venessia aàh Venaga aàh Venùsia
Occhi di biscia, di regina
3.
L’ora se slanguoris inte ‘l zhendre
del scaldin,
l’é l’ora de des‘ciorse, de assar al
calduzh, al coàt.
Ma da ‘ste poche brónzhe de qua dó,
dai fià dei filò de qua dó,
si i fii, si i fii
del insoniarse e rajonar tra lori se filarà,
là sù, là par atorno del ventar de le stele
se inpizharà i nostri mili parlar
e pensar nóvi
inte ‘n parlar che sarà un par tuti,
fondo come un basar,
vèrt sul ciaro, sul scur,
davanti la manèra inpiantada inte ‘l scur
col sò taj ciaro, ‘pena guà da senpre.
***
musicalmente
23
m
NOTE ALL’ASCOLTO
Orchestra da
Camera di Mantova
Sol GABETTA, violoncello
Michael Talbot, accreditato studioso di
Vivaldi, nel suo libro dedicato al maestro veneziano ricorre ad una datata
definizione del Mattheson, celebre teorico tedesco riferita alla forma concerto,
laddove questi la considera realizzata
«in modo tale che ciascuna parte a volta a volta predomini e rivaleggi, per così
dire, con altre parti». In realtà il Concerto vivaldiano non rincorre quest’unico obbiettivo: si può infatti dire che le
soluzioni adottate siano molteplici, e
che tali si diano anche in ragione di
variegati rapporti tra i movimenti che
li compongono. Ciò che tuttavia costituisce l’aspetto ricorrente è l’accensione ritmica, la chiarezza dell’eloquio, la
virtuosità che dal solista si trasferisce
all’orchestra, il dinamismo che assume
il confronto fra le parti, la variabilità
dei dettagli. Per quanto è dato sapere
oggi, degli oltre 300 concerti che Vivaldi destinò ad uno strumento solista
e orchestra d’archi, quelli per violoncello assommano a 27 offrendo prova
della maturazione a cui era giunta questo strumento dopo i primi esperimenti concertanti comparsi, per mano di
altri autori, anche secondari, all’inizio
del Settecento. I Concerti in fa maggiore
RV410 ed in sol minore RV416, coinvolgono lo strumento solista pienamente,
lo pongono in grande evidenza con le
sue caratteristiche virtuosistiche e di
canto, ma rispettano le convenzioni del
genere adottando i tre movimenti classici secondo la successione tradizionale
(veloce,lento,veloce). Singolare risulta
la sottolineatura pronunciata – in confronto a quanto avviene nei concerti
per violino – sul piano melodico, che
coinvolge il “tutti” e che assume suggestivi toni arcaici nelle sezioni lente.
«Un musicista commuove gli altri soltanto se egli stesso è commosso: è indispensabile che provi tutti gli stati
24
musicalmente
Mantova | Teatro Bibiena
Martedì 22 febbraio 2012
ore 20.45
C.P.E. Bach Sinfonia n.2
in si bemolle maggiore Wq 182/2
A. Vivaldi Concerto in fa maggiore
per violoncello e archi RV 410
A. Vivaldi Concerto in sol minore
per violoncello e archi RV 416
W.A. Mozart Divertimento in fa maggiore K.138
G. Platti Concerto in sol minore a violoncello obbligato P.V. 657
A. Vivaldi Concerto in fa minore “L’inverno” RV 297
(da Le quattro stagioni)
d’animo che vuole suscitare nei suoi
ascoltatori, perché in tal modo farà
loro comprendere i suoi sentimenti e
li farà partecipare alle sue emozioni».
Così scriveva Carl Philipp Emanuel
Bach (1714-1788), secondo figlio di
Johann Sebastian, nel suo Saggio di metodo per la tastiera trasferendo sul piano
didattico la medesima convinzione affermata come creatore, quella che lo
rese esponente di primo piano del cosiddetto Empfindsamer Stil, lo stile sentimentale o della sensibilità. Uno stile
esercitato nei generi più disparati e poi
anche nelle sinfonie, rappresentative
della sua tendenza modernista aperta
ad un ampio ventaglio di caratteri. C.
P. Emanuel risulta autore di 18 sinfonie,
numero contenuto per quei tempi: 8
scritte a Berlino, alla corte di Federico
il Grande, ed altre 10 ad Amburgo dove
il compositore si trasferì nel 1768 in sostituzione del defunto Telemann.
Le prime 6 delle dieci sinfonie amburghesi (1773), costituiscono a loro volta
una serie coerente, essendo destinate
ad un organico di archi e continuo, e
composte su commissione del barone van Swieten, a quel tempo ambasciatore d’Austria a Berlino, il quale
aveva raccomandato al musicista di
abbandonarsi all’ispirazione senza il
minimo scrupolo per le difficoltà esecutive che ne sarebbero potute derivare. Tale richiesta aveva evidentemente
uno scopo: quello di ottenere il meglio
dalla fantasiosità del maestro, già ben
saggiata nelle opere per tastiera. E l’obbiettivo parve raggiunto nel commento
che ne diede Friedrich Reichardt quarant’anni dopo, sottolineando «l’ardito
e originale corso delle idee, e la grande
varietà e novità di forme e modulazioni». Commento adeguato anche per
la Seconda Sinfonia della serie, legata sì
a schemi barocchi ma ad essi estranea
nella fisionomia esplosiva dei materiali, negli sbalzi umorali, nella ricercata
continuità dell’azione, nella estrosità
travolgente che contraddistingue i movimenti veloci, nel senso di meditazione che avvolge il breve “Adagio”. E così
una piccola orchestra d’archi fa scorgere la rivoluzione delle idee.
Il nome di Giovanni Benedetto Platti
non ricorre frequentemente negli odierni programmi da concerto ma è oggetto
di un interesse crescente che peraltro riflette il riconoscimento di una personalità non comune che, padrona dei modi
del Barocco si protende verso quelli preclassici con notevoli esiti. Tale cifra stilistica è stata notata da Roberto Zanetti
sia laddove si è occupato delle sue sonate per cembalo, definendolo «uno dei
più notevoli innovatori del sonatismo
italiano» pur considerando l’influenza
che su di lui certamente esercitò l’ambiente tedesco. Non è infatti marginale il fatto che Platti, veneto di origine
(forse nato a Padova nel 1697), visse a
lungo, fin da giovane e fino alla morte
(1763), in terra germanica ed in particolare a Würzburg, in Baviera, dove approdò agli inizi degli anni Venti.
Tra i tanti meriti di Platti c’è anche
quello di aver coltivato, fra i primi, la
letteratura per violoncello: una raccolta
di 12 sonate si data 1725, mentre di incerta collocazione sono i molti concerti
per violoncello conservati a Wiesentheid, una delle tappe toccate da Platti
prima del servizio a Würzburg. Il numero totale di questi lavori suddivisi in due
gruppi (Concerti a violoncello concertato e
Concerti a violoncello obbligato) assomma
a 37 considerando le partiture incomplete e le trascrizioni, e da esso viene
estratto il Concerto in sol minore, in prima
esecuzione moderna, da cui trarre l’immagine di un maestro capace di dominare la virtuosità più turbolenta e le più
tenui distensioni liriche con i sapori di
una felicissima comunicativa. (a.z.)
I CONCERTI
A sinistra il compositore veneziano Claudio
Amvbrosini e a destra il poeta veneto Andrea
Zanzotto scomparso lo scorso 18 ottobre poco dopo
aver compiuto novant’anni
di Ambrosini incontra le parole di
due poeti e scrittori veneti da lui
molto amati: Andrea Zanzotto e
Luigi Meneghello. «La mia inclinazione verso la poesia», ci spiega
Claudio Ambrosini, «è nata ai tempi del Liceo classico e dell’Università. Nel mio studio, a parte gli
spartiti e tutto ciò che riguarda la
musica, c’è un solo scaffale di libri
– tutti gli altri li tengo a casa – che
contiene esclusivamente opere di
poesia. A volte, mentre compongo
e sono stanco, mi fermo e vado a
sfogliarne uno; così mi rigenero lo
spirito». Ambrosini prosegue parlando del suo rapporto con l’opera di Zanzotto: «Avevo appena
composto un’operina su Casanova
quando ho letto il suo libro Filò,
il testo che Zanzotto aveva scritto
per il Casanova di Fellini. Filò sono
quelle serate che i contadini e le
loro famiglie trascorrono in campagna, riunendosi al caldo nelle
stalle, parlando e raccontando.
Sono momenti in cui c’è una grande trasmissione diretta di cultura,
tra persone e generazioni, che si
Ad aprire e chiudere
la serata due brani
in cui la musica di
Ambrosini incontra
le parole di Zanzotto
e Meneghello
sta perdendo ai nostri tempi, benché Internet permetta l’accesso a
tutti gli angoli del mondo».
Nel 2007 Ambrosini ha fondato
l’Ensemble Vox Secreta, al quale
è affidata l’esecuzione. «È una formazione abbastanza rara e secondo me molto stimolante: quattro
voci femminili che corrispondono
in sostanza al quartetto d’archi.
Un quartetto misto mette insieme
dei timbri non identici, mentre
qui, con un soprano acuto, uno
lirico, un mezzosoprano e un contralto (nel concerto di Suzzara saranno Sonia Visentin, Sheila Rech,
Julie Mellor e Caterina Bonelli),
si ottiene una grandissima estensione e un’estrema omogeneità di
timbro. Al quartetto femminile si
aggiungono un pianista e un concertatore (Matteo Liva e Stefano
Celeghin) che a volte suonano il
clavicembalo o l’organo e a volte
si aggiungono al canto. L’obiettivo è quello di proporre musiche
nuove, ma anche di interpretare il
repertorio madrigalistico del quale Venezia possiede un patrimonio
immenso».
L’ENSEMBLE VOX SECRETA
E L’OMAGGIO
AL GRANDE POETA
VENETO DEI FILO’
Il concerto dell’ensemble Vox
Secreta a Suzzara era stato ideato
con l’intento di rendere omaggio ad
Andrea Zanzotto per i suoi novant’anni attraverso l’esecuzione di Dai Filò
di Zanzotto, trittico per quattro voci
femminili e pianoforte di Claudio Ambrosini. Purtroppo, il grande letterato
di Pieve di Soligo (Treviso) si è spento
il 18 ottobre scorso, solo otto giorni
dopo il compleanno. Zanzotto, una
delle voci più alte della poesia italiana,
si era messo in luce intorno al 1950,
dopo una partecipazione attiva alla
Resistenza, grazie in particolare a
Giuseppe Ungaretti, all’ermetismo del
quale si avvicinò per sviluppare poi
una propria linea del tutto personale.
Le sue scelte lessicali erano eterogenee, variegati gli elementi ispirati dai
molti temi culturali e sociali cui il poeta
si era avvicinato. Nella propria opera,
Andrea Zanzotto sviluppò una riflessione profonda sull’esistenza e sulle
sorti dell’umanità; per lui la poesia
era come la libertà, «una sola parola,
quella che salva l’anima».
musicalmente
25
I CONCERTI
Sapete, Sol Gabetta ha un fratello maggiore di nome Andrés, buon violinista. A giudicare dal tipo di immagine che le hanno cucito addosso,
sembrerebbe invece che Sol (forse il diminuitivo di Soledad?) sia una
tipica figlia unica, brava bella e un po’ viziata. Sulle copertine dei dischi e nelle fotografie ufficiali si vede solo lei, Sol, sempre in primo
piano e sempre insieme al violoncello.
Sol che suona in vestito da sera, Sol in jeans e maglietta, Sol con
l’aria sbarazzina e sorridente, Sol con i capelli mossi dal vento,
eccetera. Sembra che qualunque altro artista attorno a lei diventi
invisibile e debba farsi da parte, per evitare il rischio di gettare la
minima ombra sulla sua figura principesca.
Persino quando interpreta i lavori di uno dei maggiori compositori di
oggi, il lituano Peteris Vasks, Sol riesce a occupare l’intera scena, come
se la musica che nasce dalle sue mani fosse solo merito suo.
L’impressione insomma è di trovarsi di fronte a una sorta di Federica
Pellegrini del violoncello. Certo, le doti della diva non le mancano. In
primo luogo, un grande talento.
Sol Gabetta non è stata un wunder Kind, ma una ragazza che con
disciplina e determinazione ha
messo a frutto i doni abbondanti
della sua natura musicale, lavorando sodo fin da piccola.
Dei vecchi filmati della televisione argentina la mostrano a otto
anni, con un vestitino di velluto
e una corona di treccine, mentre
suona un pezzo da concerto tutta seria e concentrata, senza sbagliare una nota, la perfetta prima
della classe che tutti in cuor nostro abbiamo odiato a scuola.
Ma Sol Gabetta è anche una donna di grande intelligenza. Parla
alla perfezione tedesco, francese,
di Oreste Bossini
italiano e inglese, oltre allo spa-
SOL, principessa
del violoncello
Attraverso il suo Guadagnini del 1759 esprime
un mondo di molteplici interessi e il desiderio
di vivere sempre nuove avventure. A riprova un
repertorio che va dal barocco al contemporaneo
26
musicalmente
I CONCERTI
Una professionista
impeccabile: la sua
splendida carriera
riflette una perfetta
organizzazione mentale
Col fratello Andrés ha
fondato la Cappella
Gabetta. E firma un
piccolo festival barocco
battezzato SOLsberg
Sopra Sol Gabetta,
tra i protagonisti
del calendario
2012 delle star
della classica.
A lato, il fratello
Andrés
gnolo, in questo aiutata anche dal miscuglio delle sue origini.
I genitori infatti, anche loro musicisti
ed emigrati in Argentina, vantano radici
russe, francesi e italiane.
Ma oltre alla facilità di parlare le lingue, Sol sa
esprimere molto bene i suoi pensieri e ha una spontanea capacità di
comunicare.
È davvero una professionista impeccabile e la sua splendida carriera
riflette la perfetta organizzazione mentale di questa musicista ancora
giovanissima. Il successo tuttavia per un artista non è tutto.
L’intuito, la fantasia, la sensibilità sono ingredienti indispensabili per
parlare con la musica al cuore delle persone.
Attraverso la voce del suo violoncello (un Giovanbattista Guadagnini
del 1759, avuto in prestito grazie alla generosità di un mecenate), Sol
Gabetta esprime un mondo di molteplici interessi e il desiderio di vivere sempre nuove avventure. L’arco del suo repertorio abbraccia sia la
musica barocca, sia il linguaggio contemporaneo, passando ovviamente
per i capolavori del periodo classico e romantico.
Da qualche tempo, per esempio, Sol Gabetta ha scoperto l’energia e la
forza espressiva della musica strumentale italiana del primo Settecento,
in particolare di Vivaldi.
Con molta umiltà e la consueta applicazione professionale si è immersa
in questo nuovo mondo dalle prospettive sonore vertiginose e dai colori timbrici accesi, figli della pittura dei grandi artisti veneziani come
Tiziano e Tintoretto.
Da qualche tempo viene in Italia spesso, per capire da dove nasce questa musica e per imparare dai nostri musicisti il segreto di una espressione allo stesso tempo vibrante e razionale, appassionata e classica. Si
diceva all’inizio del fratello Andrés.
Insieme hanno fondato un ensemble, la Cappella Gabetta, proprio per
suonare insieme la musica barocca e anche un piccolo festival nel monastero di Olsberg, in Germania (si chiama SOLsberg, tanto per non
smentirsi), dove si ritrovano con vari amici per leggere musica da camera. Malgrado le apparenze, dunque, nella famiglia Gabetta c’è in realtà
anche un fratello maggiore.
musicalmente
27
I CONCERTI
Debutto a Mantova, poi
SI RITORNA IN SVIZZERA
L’Orchestra da Camera di Mantova varca il confine per la seconda volta
in tre mesi: Ennenda e Coira le mete che raggiungerà con Sol Gabetta.
A novembre, con il flautista András Adorján, si era esibita a Sciaffusa
di Vincenzo Mancini
Mantova, Ennenda, Coira. Un trittico di date, tra Italia e Svizzera, attende il
nuovo progetto dell’Orchestra da Camera di Mantova con la violoncellista
d’origini argentine Sol Gabetta. Il prossimo febbraio, con debutto mercoledì 22 a Tempo d’Orchestra, nella cornice del Teatro Bibiena (ore 20.45), e
successivi concerti il 23 a Coira e il 24 a Ennenda, nelle strettissime vicinanze della città di Glarus, insieme proporranno un programma seducente
e godibilissimo, che si concentra su pagine degli italiani (veneti) Vivaldi
e Platti, cui si abbinano una sinfonia (la n.2 in si bemolle maggiore) di Carl
Philipp Emanuel Bach e un divertimento (K138 in fa maggiore) di Wolfgang
Amadeus Mozart. Di Vivaldi spicca e incuriosisce L’inverno dalle Quattro
stagioni in adattamento per violoncello. I concerti per violoncello e archi
in sol minore e in fa maggiore completano l’omaggio al compositore. Quindi
l’attenzione si sposta su Platti di cui si andrà ad ascoltare il Concerto in sol
minore a violoncello obbligato. Orchestra da Camera di Mantova e Sol Gabetta sono stati protagonisti di una precedente tournée, nel maggio 2009,
in terra tedesca, accolta con entusiasmo da società concertistiche e pubblico. Ora si torna a collaborare, con questo nuovo ciclo di appuntamenti che
portano l’Ocm in Svizzera per la seconda volta in questa stagione: lo scorso
novembre, con il flautista András Adorján, la compagine mantovana era
stata protagonista di una riuscitissma serata a Sciaffusa (musiche di Boccherini, Mozart, Haydn), dove è attesa nuovamente nel marzo 2014.
28
musicalmente
Nella foto d’apertura l’Ocm
con Sol Gabetta
nella tournée tedesca 2009
Qui sopra l’Ocm
con Adorján a Sciaffusa
IN ORCHESTRA
a cura di Valentina Pavesi
OCM & NICOLA BENEDETTI:
BATTESIMO DI GRANDE MUSICA
PER L’AUDITORIUM DI POGGIO RUSCO
Concertgebouw
Nella calza della Befana
il CONCERTGEBOUW
Amsterdam, Concertgebouw, domenica 8 gennaio 2012. La più prossima delle mete internazionali dell’Orchestra da Camera di Mantova è di
quelle che tutti i musicisti sognano di raggiungere. Per via di attributi che
la rendono praticamente perfetta dal punto di vista dell’acustica, la sua
Grote Zaal del Concertgebouw è annoverata tra le migliori sale al mondo. Con i suoi oltre 900 concerti e il suo milione di presenze l’anno, il
Concertgebouw è tra i contenitori più frequentati. Tutto ciò concorre a fare di esso uno dei centri nevralgici d’Europa per
la musica classica. La struttura venne progettata nella
seconda metà dell’Ottocento e la sua edificazione richiese quasi sei anni, a partire dal 1883. L’inaugurazione ufficiale si ebbe dunque nell’aprile 1888.
Raso al suolo da un bombardamento aereo delle
forze naziste nel 1943, fu oggetto in seguito di
una pesante opera di ricostruzione ed è oggi sede
della Royal Concertgebouw Orchestra, una delle
migliori compagini a livello mondiale.
L’Ocm si esibirà nella Grote Zaal, la principale delle due sale della struttura (che è dotata appunto
anche di uno spazio più contenuto, utilizzato
principalmente per la musica da camera), che
si caratterizza per 2037 posti a sedere, 44 metri
di lunghezza, 28 di larghezza e 17 d’altezza.
L’Orchestra da Camera di Mantova vi approderà al fianco della violinista scozzese
Nicola Benedetti, con la quale ha debuttato, nell’ambito di Tempo d’Orchestra, lo
scorso novembre (al riguardo si veda la
recensione a lato, ndr).
Analogo a quello di tale prima, il programma, che prevede Concerto in la
maggiore per violino di Mozart e Sinfonia in mi minore “Trauer” di Haydn.
Nicola Benedetti
È un premio prezioso quello che
ha atteso quanti hanno osato
sfidare il gelido nebbione di
martedì 15 novembre per raggiungere l’Auditorium di Poggio
Rusco. L’Orchestra da Camera di
Mantova e la violinista Nicola Benedetti hanno donato al pubblico
una serata di grandissima musica
in cui, grazie anche all’armoniosa
risonanza con la splendida solista,
l’eccellenza tecnica, la classe interpretativa e l’arte di emozionare
che ormai da un trentennio costituiscono l’inconfondibile sigillo
dell’Ocm sono brillate ai massimi
livelli. Ad esaltare lo sfavillio, in
una sorta di fatata e reciproca
rifrazione, hanno contribuito le
tre gemme in programma: dalle
vampe sulfuree cariche di echi
gluckiani che guizzano nella Casa
del diavolo di Boccherini all’anticipo di romantico Sturm und
Drang racchiuso nella poderosa
Trauer di Haydn, passando per
la perfetta sintesi di ragione e
sentimento, maturità e slancio
giovanile, racchiusa nel Concerto
per violino in la maggiore di Mozart.
Un brano questo la cui straordinaria bellezza e poesia sono state
rese con piglio sicuro, intonazione adamantina e il suono ben in
corda di chi è abituato alle grandi
sale dalla Benedetti e dal suo Stradivari del 1712, poderoso cavallo
di razza domato da virtuosissima
amazzone. Tre le gemme ma
tre anche le inaugurazioni:
quella dell’Auditorium, apprezzato per un’acustica ben
sopra la media dei moderni
spazi musicali; quella della
sinergia artistica tra l’Ocm e
la Fondazione Innovarte, che
ha ospitato l’evento; quella
della collaborazione tra l’Orchestra e la giovane violinista
scozzese di ascendenze
italiane. Una serata
indimenticabile
dunque, suggellata
da due applauditissimi fuoriprogramma.
Chi le ha preferito
il tiepido ozio di un
soporifero televisore
si è perso qualcosa di
speciale.
Peccato. (c.b.)
musicalmente
29
IN ORCHESTRA
The Observer:
“Ha preso avvio un
viaggio elettrizzante”
È uscito nel mese di ottobre il primo
cd mozartiano realizzato da Angela
Hewitt con l’Orchestra da Camera
di Mantova per l’etichetta londinese Hyperion. Entrato nella top 20
della prestigiosa rivista Gramophone,
che ha anche elogiato l’incisione
con una recensione dai toni molto
positivi, il cd ha raccolto consensi
e apprezzamenti unanimi da parte
della critica specializzata. All’estero
note liete giungono da prestigiose
testate, prima fra tutte The Observer. Stephen Pritchard scrive, a fine
settembre: «Chiunque sia stato così
fortunato da trovarsi alla Queen
Elizabeth Hall ad aprile ad ascoltare Angela Hewitt dirigere dalla
tastiera il Concerto per pianoforte n. 9
K. 271 di Mozart sarà allietato della
sua nuova ambizione di registrare
tutti e 27 i Concerti per Hyperion.
A giudicare dal primo esempio, sta
per concretizzarsi un percorso tanto
rivelatore quanto la sua esplorazione dei maggiori lavori per tastiera
di Bach. Hewitt è anche violinista
e così aggiunge eleganti e pratiche
intuizioni alla sua direzione (…)
È affiancata in questa eccitante e
nuova impresa dall’Orchestra da
Camera di Mantova, che condivide
la sua attenzione ai dettagli stilistici.
L’impressione è che abbia preso av-
vio un elettrizzante viaggio”. Pochi giorni più
tardi gli fa eco The Guardian attribuendo al cd
una valutazione a quattro
stelle. Ancora, The World of
The WholeNote, per voce di Richard
Haskell, sottolinea come la Hewitt,
affiancata dall’Orchestra da Camera di Mantova, dimostri di sentirsi a casa propria tanto con Mozart
quanto con la musica del periodo
barocco o di quello tardo romantico: «Il disco - si legge - è un gioiello!
Il suo (della Hewitt, ndr ) suonare è
ricco di stile ed elegante, caratterizzato da una fraseggio molto ben articolato e una raffinata sensibilità,
mentre i 29 musicisti dell’ensemble
orchestrale rappresentano un partner musicale formidabile». «Bravissimo a tutti - conclude (in italiano)
il giornalista - per l’ottima performance. Ne attendiamo altre da
questo ciclo». Il portale Sound and
Music osserva, invece: «Eseguendo
questi concerti Angela Hewitt sfoggia la sua caratteristica eleganza e
la sua innata musicalità, venendo
accompagnata dall’Orchestra da
Camera di Mantova, formazione
dotata di un impasto sonoro di impeccabile raffinatezza».
In Italia la prima ad essersi diffusaOcm-Hewitt
a Dobbiaco
Nei negozi di dischi
da ottobre il primo
dei due cd incisi
da Angela Hewitt
con l’Ocm nella Sala
Mahler di Dobbiaco
mente occupata del lavoro è stata
la rivista Musica, che sul numero di
dicembre/gennaio gli attribuisce
quattro stelle, osservando che il
«nuovo cd di Angela Hewitt rappresenta una piccola novità», con il suo
portato di «naturalezza» e «calore»,
dovuti anche alla «sintonia venutasi
a creare con l’Orchestra da Camera di Mantova». «Carlo Fabiano – si
legge ancora – dirige con discrezione dal leggio del primo violino, ottenendo un timbro trasparente senza però assottigliare troppo il suono
(…) Dal canto suo l’Orchestra da
Camera di Mantova suona decisamente bene (...)».
Se è vero che chi ben comincia è a
metà dell’opera...
LA SCHEDA DEL CD
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto n. 6 in si bemolle maggiore K 238
Concerto n. 8 in do maggiore K 246 “Lützow”
Concerto n. 9 in mi bemolle maggiore K 271
“Jeunehomme”
Orchestra da Camera di Mantova
Solista
Angela Hewitt (pianoforte)
Etichetta
Hyperion
Anno 2011
Prezzo
€ 19,90
30
musicalmente
IN ORCHESTRA
Musiche di C.P.E. Bach, A. Vivaldi,
W.A. Mozart, G. Platti
I PROSSIMI CONCERTI
DELL’ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA
Domenica 08 Gennaio 2012
Amsterdam (NL), Concertgebouw, ore 11
Orchestra da Camera di Mantova
Nicola Benedetti, violino
Musiche di W.A. Mozart, F.J. Haydn
Mercoledì 18 Gennaio 2012
Mantova, Teatro Sociale, ore 20.45
Orchestra da Camera di Mantova
Carlo Fabiano, violino concertatore
Silver Garburg Duo
Sa Chen, pianoforte
Musiche di W.A. Mozart, L.v.Beethoven
Mercoledì 22 Febbraio 2012
Mantova, Teatro Bibiena, ore 20.45
Giovedì 23 Febbraio 2012
Coira (CH), Stadttheater, ore 20.30
Venerdì 24 Febbraio 2012
Ennenda (CH), Gemeindehaussaal, ore 20
Orchestra da Camera di Mantova
Sol Gabetta, violoncello
Venerdì 16 Marzo 2012
Quistello, Teatro Lux, ore 20.45
Orchestra da Camera di Mantova
Isabelle Moretti, arpa
Musiche di F. Mendelssohn,
E. Parish-Alvars, C. Debussy, F.J. Haydn
Martedì 20 Marzo 2012
Pavia, Teatro Fraschini, ore 21.00
Orchestra da Camera di Mantova
Viktoria Mullova, violino
Musiche di L.v. Beethoven, W.A. Mozart
OCM&LONQUICH
cronaca di un
successo trionfale
Dapprima l’inaugurazione della stagione mantovana
Tempo d’Orchestra, con un’intera giornata di appuntamenti dedicati a Beethoven culminata in una maratona
attraverso i meravigliosi cinque concerti per pianoforte
e orchestra. A seguire l’apertura, al suon della medesima integrale (proposta stavolta in doppia serata) del
cartellone 2011/12 dell’Unione Musicale di Torino. E
ancora la prima della Società del Quartetto di Vicenza,
nonché serate da tutto esaurito al Teatro Valli di Reggio
Emilia e al Comunale di Monfalcone, nel segno di Mozart, Mendelssohn, Schubert e Beethoven. È stato un autunno decisamente caldo quello del sodalizio Orchestra
da Camera di Mantova-Alexander Lonquich, con propaggine dicembrina per una doppia performance nello
storico Musikverein dell’austriaca Graz, in diffusione rac’è anzi un vigore insodiofonica dall’Orf, la radio nazionale del Paese d’Oltralspettato (…), un’enerpe. Entusiasmanti gli esiti, testimoniati dalla pargia speranzosa che si
tecipazione del pubblico e da numerose ottime
riflette nella magnifiOcm con Lonquich a Graz
recensioni, oltre che da reinviti immediatamenca duttilità e incisività
te scaturiti da parte di più direzioni artistiche. A
dell’Orchestra da CaGraz, ad esempio, gli artisti torneranno – e sarà
mera di Mantova, emola quarta volta in una manciata d’anni – «presto»
zionante
nell’abbaassicura il manager Marcus Gisperg, lasciandosi
gliante precisione degli
sfuggire una data: maggio 2014. Una per quanattacchi, nel colore eloto stringata rassegna stampa dell’accaduto non
quentissimo, nelle detpuò prescindere da quanto riportava Il Giornale
tagliate
dinamiche».
di Vicenza, un paio di giorni dopo il concerto al
Solo qualche giorno
Teatro Comunale del capoluogo veneto. Titolo:
prima, La Stampa aveva
«Lonquich, lo stile del Classicismo diventa assodefinito «bellissima» la
luto. Con la brillantissima Orchestra di Mantova
doppia inaugurazione
una serata di straordinaria eleganza e ricchezza sonoproposta dall’Unione Musicale, con un Lonquich di cui
ra». L’articolo, a firma di Cesare Galla, spiegava: «Non si
il critico musicale Giorgio Pestelli si spingeva a dire: «se
può trovare oggi in Italia un approccio più convincente
è stato bravo nella prima serata con i tre primi conceral grande repertorio concertante del Classicismo vienti (di Beethoven, ndr), è stato arci-bravo in quella con il
nese (e successive propaggini). È allo stesso tempo una
Quarto e il Quinto: dove le sue caratteristiche di granquestione di sostanza e di particolari: qualcosa che ride pianista e musicista, la fantasia, le dolcezze del tocco,
guarda il pensiero interpretativo, la sensibilità musicale,
più di tutto quella segnaletica interna al fraseggio che sa
un’istintiva adesione culturale affermata squisitamente
additarci i punti chiave del discorso, trovavano il campo
anche sul piano della tecnica, una capacità straordinain cui espandersi in tutta libertà; e l’orchestra mantovaria di modellare il suono con eleganza e misura, senza
na, ben amalgamata e con prime parti di sicura classe,
manierismi, con tratti anche originali eppure mai tralo ha seguito in tutte le intenzioni profuse dal gesto disgressivi, semplicemente convincenti nella loro moderrettoriale e, invisibilmente, ma con efficacia anche magnità (…) Nell’interpretazione di Lonquich, l’eleganza
giore, dal pianoforte». Insomma, prendendo a prestito
non diventa mai stucchevole né la poesia lacrimevole:
le parole di Pestelli: «successo trionfale».
Maratona Beethoven a Mantova e Torino.
Quindi prestigiose tappe a Vicenza, Reggio
Emilia, Monfalcone e nell’austriaca Graz
musicalmente
31
AMICI
Tra incontri curiosi
e attese trasferte
MUSICALI
Piacevole fuori programma
Martha Argerich
Piacevole fuori programma per il ciclo Parolenote, che si arricchisce di un appuntamento in cui di musica si parlerà
col sorriso sulle labbra.
Mercoledì 1° febbraio in Sala Norlenghi (ore 18 - ingresso
libero) ci sarà Stefano Patuzzi protagonista di una conversazione non solita dal titolo Tutta un’altra musica.
L’incontro si aggiunge a quelli originariamente programmati e, senza prescindere dal rigoroso rispetto di fatti e circostanze, offrirà un approccio inusuale alla storia della musica prendendo spunto da curiosi, significativi aneddoti.
Le trasferte musicali dell’Associazione proseguono, invece,
con un appuntamento particolarmente ambito e di pregio.
Lunedì 5 marzo, è in programma un’uscita al Teatro Comunale di Ferrara, per assistere al concerto della Mahler
Chamber Orchestra con Martha Argerich dirette da Claudio Abbado. I posti a disposizione (collocati in una tribunetta alle spalle dell’orchestra, di fronte al direttore) sono
30. La quota di partecipazione, comprensiva di biglietto e
bus, è di 68 euro. Chi fosse interessato a prenotarsi può
contattare Gianfranco Lodi (cell. 335 520 7369) o Tiziana
Vivian (cell. 333 996 7578).
Intanto, alla sede dell’Orchestra da Camera di Mantova,
in piazza Sordello 12 a Mantova, prosegue il tesseramento
2012 (al costo immutato di 10 euro): il rinnovo dell’adesione, magari coinvolgendo anche amici e conoscenti, o facendo un regalo intelligente a baso costo, è vitale per l’Associazione.
per Parolenote. E il 5 marzo
si va a Ferrara a sentire Abbado
e la Mahler con Martha Argerich
Rossini, protagonista
di numerosi celebri aneddoti
PAROLA D’AMICO
Tiziana Vivian
Graz 2011. “Che orgoglio quest’Orchestra. Quanto rammarico però...”
A Graz il 12 e 13 dicembre scorsi,
la bella sala del Musikverein era
completamente esaurita in ogni
ordine di posti, c’era anche molta
gente in piedi (lì è concesso). Vi
suonavano Alexander Lonquich
e l’Orchestra da Camera di
Mantova, seguiti da un pubblico
attento e silenzioso, scatenatosi
in applausi che sembravano non
esaurisrsi mai alla fine di una
magistrale esecuzione beethoveniana. Non volevano proprio andarsene gli ascoltatori, accontentati dai bis dei generosi musicisti,
e di fronte a tanto entusiasmo mi
sono sentita orgogliosa di vedere
così ben rappresentata all’estero
32
musicalmente
la mia città. Quanto rammarico,
però, quando ad una signora
d’origine mantovana, residente a
Graz, attorniata da molti amici
appassionati, sicura dell’esistenza nella nostra Mantova di
molti sponsor sensibili a tanta
eccellenza, ho dovuto rispondere
che la generosità non era così importante da assicurare all’Orchestra un’attività finanziariamente
sostenibile. Oltre a questo, la
paura che i tagli delle sovvenzioni possano cancellare drasticamente una stagione concertistica
che tanto ha dato, dà, darà
sicuramente alla città. Li ho visti
increduli e dispiaciuti.
COLONNA SONORA
di Claudio Fraccari
AMARCORD di F. Fellini
Omaggio di Federico Fellini alla sua città natale, una Rimini
ricostruita col filtro
della memoria e sul
filo della fantasia. Le
finezze registiche
duettano con quelle
musicali di Nino Rota per ottenere onde
umoristiche ma anche risacche nostalgiche. Sullo sfondo degli anni Trenta, la
narrazione indugia su situazioni e figure
tanto bizzarre da acquistare un rilievo
quasi proverbiale: il transatlantico Rex,
la Mille Miglia, la bella Gradisca. Oscar
come miglior film straniero.
(It.-Fr. 1973)
IL GATTOPARDO di L. Visconti
Sontuoso affresco
della Sicilia del 1860,
nel momento di passaggio dalla dominazione borbonica alla
monarchia sabauda.
In primo piano le vicende del principe
Fabrizio di Salina, che tenta di conciliare
due epoche e due mondi. Dal romanzo
di Tomasi di Lampedusa. Cast internazionale (Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain
Delon) e intensa colonna sonora di Nino
Rota per un film che condensa le virtù e
i vezzi del Visconti maturo. Palma d’oro a
Cannes e tre Nastri d’argento.
(It.-Fr. 1963)
IL PADRINO di F. F. Coppola
Tratto dal libro omonimo di Mario Puzo,
non è solo un racconto di e sulla mafia italo-americana,
quanto un saggio sul
potere, la sua morale e le sue profonde
ambiguità, ove Coppola sfrutta al meglio la
spettacolarità del mezzo cinematografico.
Ebbe un notevole successo di pubblico e
si aggiudicò tre Oscar, tra cui quello a un
monumentale Marlon Brando. Importante il
contributo delle musiche di Nino Rota, che
si ripeté nel sequel per il quale conquistò
un meritato Oscar personale.
(Usa 1972)
ROTA, Fellini
e gli altri
L’occasione del centenario della
nascita consente di ricordare un
compositore maiuscolo come Nino
Rota. Musicista precoce, altrettanto precocemente trovò interesse e
soddisfazione nel comporre colonne sonore per il cinema. In questo
campo, solo Ennio Morricone può
competere con lui quanto a varietà e qualità. Già nel 1933, poco più
che ventenne, realizza lo score musicale di Treno popolare, film leggero
diretto da Raffaello Matarazzo, che
gli lascia una sorta di imprinting:
la vena di Rota si rivelerà infatti copiosa proprio in direzione umoristica, amando oscillare fra opera buffa e canzone popolare, all’insegna
del divertissement parodico. Fra gli
innumerevoli titoli che ospitano il
suo contributo prevalgono inevitabilmente le commedie; a lui si rivolgono a più riprese registi come
Luigi Castellani e Mario Soldati,
Alberto Lattuada e Luigi Zampa,
Eduardo de Filippo e Mario Monicelli. Sul versante drammatico, eccolo tuttavia firmare le musiche per
due capolavori di Luchino Visconti,
Rocco e i suoi fratelli (‘60) e Il Gattopardo (‘63). Ma fondamentale è certo l’incontro con Federico Fellini; a
partire da Lo sceicco bianco del 1952,
i due formeranno un sodalizio artistico e umano inossidabile.
A legarli è una comune visione, incantata e insieme disincantata, della vita: al lirismo screziato di ironia
del grande cineasta riminese corrisponde la levità buffa eppure malinconica delle partiture di Rota;
per entrambi, decisivo è il retrogusto nostalgico, lo sguardo in avanti però memore del passato, il realismo che non esclude il fantastico.
Paradigma ne può essere Amarcord
(‘73), anche se tutti i film di Fellini
recano una traccia profonda di tale
poetica condivisa. Da menzionare è
almeno Casanova, per la cui colonna sonora Nino Rota nel 1977 ottiene il David. D’altra parte, il mu-
Nino Rota
sicista aveva già ricevuto nel 1973
un BAFTA e un Golden Globe per
Il padrino di Francis Ford Coppola;
solo due anni più tardi, un altro
Golden Globe e l’Oscar per Il padrino – Parte II impreziosiranno la collaborazione con il regista italo-americano. Diversi sono stati comunque
i cineasti stranieri che si affidarono
al compositore italiano – da Edward
Dmytryk a Terence Young, da Henri
Verneuil a Réné Clément, da King
Vidor a John Guillermin.
È infine suggestivo che una delle ultime colonne sonore composte da
Nino Rota sia stata quella per Prova d’orchestra di Fellini. La parabola
di un direttore che strapazza i suoi
orchestrali causandone la ribellione violenta, fin quando un’enorme
palla d’acciaio insieme alle macerie
riporta l’ordine, ben si presta come
cifra del lavoro – oltre che di un regista – di un autore del commento
musicale. Non di un semplice sottofondo si tratta; piuttosto, di una
cruciale, sensibile, impegnativa interpretazione delle immagini attraverso le note. Un contrappunto che
ordini lo spazio secondo il tempo.
musicalmente
33
34
musicalmente - Tempo d’Orchestra
GRAMMOFONO
di Michele Ballarini
Lo ZAR EVGENIJ
L’arte indimenticabile
di un grande
direttore russo
che violava le regole
del mercato
L’attività di una grande orchestra
è subordinata a regole di mercato
che sovente impongono un numero elevato di esecuzioni a fronte di
prove non sufficienti: ne consegue
perciò che anche la figura del direttore stabile si deve – se non in poche eccezioni – uniformare a queste
esigenze. Una di queste eccezioni
si concretizzò nell’Unione Sovietica dove Evgenij Mravinskij (19021988) fu a capo dell’Orchestra Filarmonica di Leningrado dal 1938
alla sua scomparsa: cinquant’anni
di collaborazione che non hanno
quasi eguali nella storia dell’interpretazione. Non toccato fortunatamente dai rivolgimenti storici e
politici del suo paese, anche se velatamente dissenziente con il regime
sovietico, Mravinskij era un direttore autoritario e inflessibile, totalmente votato al repertorio sinfonico e abituato a pretendere tutto il
tempo che riteneva necessario per
provare adeguatamente un concerto: anche una sinfonia di Čajkovskij
eseguita da decine di anni veniva ripresa volta per volta con due o tre
giorni di prove, limando, ripensando e approfondendo un testo che di
conseguenza poteva suggerire e rivelare un numero infinito di inaudite bellezze, allontanando così quel
pericolo di routine che emerge in
parecchie altre esecuzioni, anche
ad opera di orchestre e direttori al-
trettanto blasonati. Un lavoro incessante questo, e non solo dedicato al
repertorio russo – del quale il nostro tenne a battesimo la Sesta Sinfonia di Prokof’ev e parecchie altre
di Šostakovic tra cui la Quinta, l’Ottava e la Decima - ma anche ad altri
autori, dal periodo classico-romantico con Beethoven, Brahms e Bruckner al Novecento storico di Debussy, Hindemith e Bartók. Ascoltando
le sue registrazioni si rimane affascinati dalla continua e stupefacente
tensione esecutiva, resa con un perfetto senso della forma e nel contempo con una cura infinita del
particolare; un calore e una pienezza interpretativa che contrastavano
singolarmente con il suo gesto estremamente parco e con la sua figura
asciutta, dal volto scavato e quasi
ascetico,mentre la padronanza e il
dominio assoluto che emanava dal
podio si riflettevano immancabilmente sulla partitura che utilizzava
sempre durante il concerto. Anche
il fascino e la suggestione che Mravinskij esercitava durante le prove
erano leggendari: gli orchestrali dovevano essere accordati un’ora prima dell’inizio della prova e seduti al
loro posto mezz’ora prima. La sua
severità non si stemperava in urla o
imprecazioni, bensì in frasi secche e
laconiche di terribile durezza. Tutto ciò portava a esiti altissimi la cui
eco è stata preservata dal disco.
DOPPIONI INDESIDERATI
DAL VIVO ANCHE SUI DISCHI
MRAVINSKIJ NEL WEB
La discografia di Mravinskij è molto vasta,
anche se purtroppo
la Melodiya – unica
casa discografica allora esistente in URSS
– ha ceduto i diritti
a molteplici case
occidentali, per cui capita che una stessa
registrazione figuri sotto etichette e antologie diverse, generando così numerosi
doppioni. La Erato ha ripubblicato un cofanetto di 12 cd con opere di Šostakovic,
Cajkovskij, Beethoven e altri – reperibile su
www.amazon.it - indispensabile per una
conoscenza approfondita della sua arte.
Gran parte della discografia di Mravinskij proviene da
esecuzioni dal vivo:
infatti il maestro, per
motivi non chiari,
dopo il 1961 decise di non effettuare più registrazioni in studio, e nonostante alcune di esse come le ultime tre
sinfonie di Cajkovskij incise dalla DG siano di eccezionale valore, è innegabile
che la presa diretta restituisca ancor oggi
esecuzioni di ininterrotta e grandissima
tensione espressiva, supportate anche
dall’incredibile precisione dell’orchestra.
Per altre notizie su
Mravinskij si rimanda
alla pagina http://
www32.ocn.
ne.jp/~yemravinsky/
index.htm un sito in
inglese interessante ma aggiornato
al 1999. Un altro sito è http://lugansky.
homestead.com/Mravinsky.html , più recente e con links per la discografia, oltre a
numerose notizie in inglese. Sui numeri 49
e 76 della rivista MUSICA si trovano due
interessantissimi articoli di M. Selvini e G.A.
Lodovici, oltre al sito http://www.mravinsky.org/ , interessante ma solo in russo.
musicalmente
35
CD - DVD
di Luca Segalla
La forza di ABREU
e il fascino di Neumann
L’energia della Simón Bolívar
Dal Festival di Lucerna (marzo 2010) una brillante
prova dell’orchestra venezuelana, gioiello del Sistema
creato da José Antonio Abreu. Un’esplosiva Suite scita
di Prokof’ev e un’incandescente Lulu Suite di Berg: si
apprezzano virtuosismo e compattezza.
La voce del soprano Anna Prohaska è limpida, rotonda e algida nella Lulu Suite e nell’aria di Pamina Ach,
ich fühl’s, es ist verschwunden dal Flauto magico mozartiano. C’è qualcosa che rende unica la Simón Bolívar.
Nasce da una bella storia, prima di tutto. Poi sembra
l’ultimo stadio di un missile: alle sue spalle c’è il Sistema, decine di orchestre sparse in tutto il Venezuela.
Un po’ generico l’approccio alla Sinfonia n. 6 “Patetica” di Cajkovskij. I nostri musicisti non sono russi e
sono giovani. Si sentono entrambe le cose, però grazie
ad Abbado questa “Patetica” alla fine non dispiace.
INVITO ALL’ASCOLTO
Le Barbariche Bellezze
del Barocco italiano
e tedesco
Orchestra
giovanile Simón
Bolívar; direttore
Claudio Abbado.
1 Dvd Accentus
(ACC20101)
Václav Neumann d’archivio
Sul podio un grande vecchio, il ceco Václav Neumann
(1920 - 1995). Con lui la Gustav Mahler Jugendorchester. Francoforte, 1990, Sinfonia n. 9 di Dvorák: un incontro emozionante.
Il suono, prima di tutto. Fascinoso, antico, dal sapore
slavo. Quindi il fraseggio e la forza emotiva. Neumann
immerge i giovani della Mahler nel cuore della musica
mitteleuropea. Accanto a Dvorák la Missa glagolitica di
Janácek, registrata nel 1987 con la Filarmonica Ceca e
il Coro Filarmonico di Praga. Una Missa intima, lirica
e luminosa. Interpretazione da antologia.
Václav
Neumann.
1 Dvd Arthaus
(101 535)
Kissin e Demidenko
Tra il cinquatacinquenne Nikolai Demidenko e trentanovenne Evgeny Kissin ci sarebbero i presupposti
per una sfida pianistica all’ultima nota.
Il primo affronta il Concerto n. 1 op. 11 di Chopin, l’altro il Concerto n. 2 op. 21. Stessa serata, il 27 febbraio
2010 a Varsavia, per l’anno chopiniano, e stessa orchestra, la Filarmonica di Varsavia diretta dall’ottimo
Antoni Wit. Alla prova dei fatti ogni retorica è bandita. Robusto, nobile e severo Demidenko. Lirico ed
elegante Kissin. Giù il cappello: il rischio era di fare
solo dello spettacolo.
36
musicalmente
Fryderyk
Chopin.
I Concerti per
pianoforte.
1 Dvd Accentus
(ACC20104)
Barbarische
Schönheit,
barbariche
bellezze. Così
definì le musiche dell’Est a
forte connotazione popolare il buon Telemann, quando ebbe
l’occasione di avvicinarvisi, ancora
giovanissimo, al seguito della corte
di Erdmann von Promnitz, rimanendo
colpito dalla vivacità e frenetica fantasia
che vi fiorivano. Tradotto nell’universale
inglese, Barbarian Beauty è anche il
titolo, scelto a proposito, del cd recente (etichetta Passacaille) che vede
all’azione in alcune eccitanti musiche
del barocco italiano e tedesco - da
Telemann a Vivaldi - l’orchestra Il Suonar Parlante con l’intervento solistico e
direttoriale di Vittorio Ghielmi, uno tra
i maggiori gambisti ed interpreti italiani
oggi in attività. Non suggeriremmo
una ennesima registrazione di musica
barocca se non vi vedessimo i motivi
dell’eccezionalità; e qui appunto questi motivi ci sono, anche sovrabbondanti. Naturalmente Il Suonar Parlante,
che è un piccolo complesso multilingue, lavora con maestria e mette a frutto la varietà dei suoi elementi costitutivi
conferendo al passo musicale uno
slancio ed una vivezza di irresistibile
energia. Ma altro motivo dominante
sta nell’ascolto di pagine nelle quali la
viola da gamba diviene una virtuosa
protagonista. «Oltre ai lavori di Graun,
a tre composizioni di Telemann ed un
concertino di Johann Pfeiffer – scrive
Ghielmi nella presentazione – l’uso
della viola da gamba come strumento
solista con orchestra è una rara perla
nel repertorio barocco». E nulla sembra più consigliabile dello scoprirla in
avvincenti pagine permeabili all’influsso
della cultura di strada, spinta decorazione di uno spirito che sentiamo
esotico e vicinissimo. (a.z.)
MUSICA & ARTE
di Paola Artoni
KANDINSKY
Non c’è arte
senza musica
Secondo il grande artista russo
“l’anima è come un pianoforte
con molte corde”
Sopra da sinistra,
Composizione 8 del 1923
e Improvvisazione 7
del 1910. A lato, Giallo,
rosso, blu del 1925
Colore come suono e suono come
colore. Nel turbinio delle Avanguardie che hanno attraversato
il Novecento, il pensiero pittorico di Vasilij Vasil’evic Kandinskij
– o semplicemente Kandinsky –
rappresenta un punto di non ritorno nella concezione dell’arte
come fluido dialogo tra le diverse
espressioni. L’artista, nato a Mosca
nel 1866 e scomparso a Parigi nel
1944, affascinato dalle avanguardie francesi, viaggiatore curioso,
convinto sostenitore del dialogo
tra artisti e musicisti, fondatore
del movimento del “Blaue Reiter”,
nel 1910 teorizza l’incontro tra
arte e musica nel suo Lo spirituale nell’arte dove egli afferma che il
colore produce un effetto psichico generato dalle qualità del colore, ovvero odore, sapore e suono.
La nostra anima è come un pianoforte con molte corde, affermava
Kandisky, dove il colore è un tasto
e l’occhio un martelletto mentre
ogni colore ha un proprio suono
interiore. La combinazione sonora del colore è la combinazione di
caldo-chiaro, caldo-scuro, freddochiaro, freddo-scuro. Ecco allora
il catalogo dei suoni di Kandinsky,
dove il giallo è l’energia vitale, il
suono della tromba, la fanfara; il
rosso è caldo e profondo, ed è il
suono della tuba; il blu è un cielo
che suona come un flauto. Tra i colori secondari vi è l’energico arancione che suona come una campana e un contralto; il quieto verde
che respira come un violino; l’instabile viola che ricorda il fagotto, il corno inglese e la zampogna;
le sfumature del blu che hanno il
carattere del violoncello; sono invece fermi il grigio e il marrone.
Infine il bianco e il nero: mentre
il primo è il non-suono, la pausa
tra una battuta e l’altra e quindi
il momento della nascita, il secondo è il silenzio della pausa finale
e della morte che, tuttavia, è necessario per fare risaltare gli altri
colori. Nel suo testo Punto, linea,
superficie Kandinsky si dedica alla
composizione e osserva che le linee spezzate ispirano sentimenti di drammatica tensione mentre
DA VEDERE E ASCOLTARE
Per quanti desiderano inebriarsi del colore musicale di Kandinsky si segnala la mostra di prossima apertura a Castel Sismondo
di Rimini: dal 21 gennaio al 3 giugno 2012 sarà infatti allestita la
rassegna Da Vermeer a Kandinsky, a cura di Marco Goldin. Inoltre, il VeronaContemporanea Festival mette in scena l’11 febbraio in
prima italiana Il Suono Giallo, nella
versione musicata da Alfred Schnittke nel 1974.
quelle curve sono liriche. La tensione tra pittura e musica trova in
Kandinsky il suo naturale completamento nel teatro, in quella che
secondo una definizione attuale
diremmo un’ottica multimediale.
Si conoscono i frammenti teatrali Paradiesgarten e Daphnis und Chloe, i testi delle composizioni Suono giallo, Suono verde, Bianco e Nero,
Viola, che tuttavia egli non riuscì
mai a rappresentare, mentre una
vicenda più fortunata è quella
dell’opera Quadri da un’esposizione, tratta dal poema musicale di
Modest Musorgskij, messa in scena nel 1928 a Dessau con i dipinti astratti di Kandinsky che rappresentano la traduzione pittorica dei
suoni.
musicalmente
37
MUSICA & ACUSTICA
di Renato Spagnolo
Sull’onda DELLE NOTE
Nell’accezione più comune, l’acustica è la scienza che si occupa dei
suoni che possono essere percepiti dall’apparato uditivo umano, e le
onde acustiche – poiché di onde si
tratta – sono quelle che, qualunque
sia il modo in cui vengono generate, alla fine inducono una qualche
sensazione uditiva. In realtà, anche
onde con frequenza troppo bassa
(infrasuoni) o troppo alta (ultrasuoni) per essere udite dall’uomo rientrano a pieno titolo nel dominio
dell’acustica, e anche da un punto di vista propriamente fisico esibiscono gli stessi comportamenti e
in gran parte vengono descritte dalle stesse leggi. Ciò che le distingue è
appunto la frequenza (il numero di
oscillazioni complete dell’onda in 1
secondo: un’oscillazione al secondo
corrisponde alla frequenza di 1 Hz),
e il campo delle frequenze cosiddette “udibili” ne occupa in realtà una
regione contenuta, convenzionalmente compresa tra 20 Hz e 20.000
Hz. Per dare un’idea di quanto ciò
sia vero, si pensi al fatto che gli infrasuoni prodotti da grandi eventi naturali o artificiali possono raggiungere le frazioni di hertz (fino a
0,001 Hz), oppure che gli ultrasuoni
utilizzati nella consueta diagnostica
medica hanno tipicamente una frequenza dell’ordine di 1.000.000 Hz.
Diversi altri fenomeni della fisica,
pur attenendo ad ambiti anche mol-
38
musicalmente
Nelle immagini un modello
al computer di un antico
teatro romano per studiarne
il comportamento acustico,
prove di ascolto binaurale
con manichino in camera
anecoica e una schematizzazione delle riflessioni del
suono in un teatro
Breve introduzione alla scienza
della trasmissione del suono.
Alla scoperta del significato fisico
di sensazioni uditive, frequenze,
infrasuoni e ultrasuoni
to distanti, si manifestano in forma
di onde, e con l’acustica presentano, concettualmente, alcune strette
analogie: le onde elettromagnetiche
(e quindi la luce); le onde sismiche
prodotte da movimenti della crosta terrestre; le onde dell’acqua di
mari e oceani; per non parlare delle onde della meccanica quantistica,
dove (e qui le cose si complicano un
po’) rappresentano la probabilità di
trovare una particella in una determinata posizione. Ciò che caratterizza le onde acustiche è la necessità di un mezzo materiale per potersi
propagare (le onde elettromagnetiche, tanto per dire, si propagano anche nel vuoto), e questo mezzo deve essere “elastico”, come lo
sono i gas (l’aria, ad esempio), i liquidi (come l’acqua), i corpi solidi.
Il concetto di elasticità è abbastanza
semplice: gli elementi costituenti il
mezzo, per esempio le molecole, o
meglio volumetti elementari contenenti un buon numero di molecole,
devono essere in grado di compiere
oscillazioni intorno alla propria posizione di equilibrio, quella che occupano a riposo, al passaggio della
perturbazione, cioè dell’onda, per
poi ritornare nella posizione originaria. D’altra parte l’onda acustica
altro non è che il propagarsi di questo moto oscillatorio, avanti-indietro, che le molecole si comunicano
sequenzialmente l’una all’altra, senza che sostanzialmente esse si spostino, se non appunto localmente, dalla propria posizione di equilibrio. E
questo specifica anche un’altra proprietà molto importante: la propagazione delle onde acustiche non
comporta spostamento di materia
(aria, acqua o altro) ma solamente
di “moto”, cioè di energia.
LEGGERE
di Simonetta Bitasi
Quel Qualcosa di simile
SANNA RILEGGE IL FLAUTO
MAGICO DI MOZART
Una rappresentazione originale questa
del Flauto magico di
Mozart dove i personaggi diventano
simboli elementari
che si muovono
come pedine sul
pentagramma musicale. In ogni pagina
un ritratto di un personaggio e in ogni
riga del pentagramma una scena diversa
e un’atmosfera magica accompagnano la
narrazione semplice e di immediata comprensione. Le illustrazioni dell’autore mantovano, sono, come sempre, magiche e
profonde. (Il Flauto Magico, di Alessandro
Sanna, Nuages, 34 pp., 16 euro)
LA MUSICA CHE AIUTA
A CRESCERE MEGLIO
Un libro che favorisce lo sviluppo delle potenzialità del bambino
fin dalla fase prenatale, gettando un ponte fra grembo materno e mondo esterno.
Grazie a un’accurata
selezione di brani
di musica classica e
jazz, scelti secondo la Music Learning Theory di Edwin E. Gordon. Nel libro ci sono
poi le suggestive illustrazioni di Mariagrazia
Orlandini e alcune brevi frasi per dare voce
al caleidoscopio di sentimenti ed emozioni
che accompagnano la nascita di un bambino. (Ma che musica! a cura di Andrea Apostoli,
Curci Young, 48 pp., 15 euro)
MOZART E LA RICERCA
DELLA FELICITÀ
Il 27 gennaio 1756, nella piccola città di Salisburgo, una povera
donna di nome Anna
Maria, rischiava di morire dando alla luce il
suo ultimo figlio. La
donna decise di dare
a quel bambino un
nome speciale che
lo proteggesse durante tutta la sua vita. E
per far meglio, gliene diede due: Wolfgang,
che vuol dire che ha il passo del lupo, e
Amadeus, che vuol dire che ama Dio. Un
albo illustrato per raccontare un’infanzia
straordinaria. (Mozart e la ricerca della felicità, di
Melania Nuara, Rueballu, 128 pp., 19 euro)
in DIECI STORIE così diverse
«Le idee che
stanno alla base
di Qualcosa di simile sono diverse perchè diverse
sono le storie che
lo
compongono. Le tematiche
però sono ricorrenti: la musica,
il cibo, il Giappone, l’amicizia.
Tutti
elementi
presenti sempre
in
compagnia
della loro ombra,
a volte inquietante. Ognuno dei dieci racconti presenta un elemento che ricompare in quello successivo, che a
sua volta ne contiene uno
che completa il precedente»:
Francesca Scotti racconta benissimo la struttura del suo libro d’esordio Qualcosa di simile, una raccolta di racconti
che tradiscono da subito il legame dell’autrice con la musica. Nata nel 1981 a Milano, si
è infatti diplomata in Conservatorio e suona il violoncello.
E la scrittura ha preso sicuramente ispirazione, insieme ai temi e ai
protagonisti delle sue storie, dalla frequentazione e dall’educazione musicale dell’autrice. Tanto che
dopo aver terminato l’ultimo racconto, il lettore conserva per giorni dentro di sé la traccia e il ritmo
delle storie, così come accade per i
brani musicali. Quello che colpisce
dei racconti di Francesca Scotti, già
leggendo solo le prime pagine è la
maturatà stilistica, la pulizia precisa dello stile, la capacità di avvolgere il lettore in un’apparentemente
quieta quotidianità, per poi via via
crescere di ritmo e dare la stoccata
finale. Sottilmente annunciata, ma
mai prevedibile e prevista. Incontriamo così una giovane donna ritornata da un periodo di cure, pro-
Sopra la scrittrice
Francesca Scotti.
A lato il suo libro
Qualcosa
di simile
(Edizioni Pequod,
114 pp., 14 euro)
babilmente psichiatriche, che vede
spezzate le sue speranze per colpa
di una torta, al centro di una scena
ugualmente drammatica e umoristica; poi tocca all’incontro tra allieva e maestra di musica, in un commuovente dialogo rotto dalla voce
della bambina della giovane donna che tanto ha sofferto per l’abbandono subito dalla sua insegnante; e ancora ragazze in vacanza da
sole nella casa di una di loro, la non
amica, quella meno amata. Scorrono i personaggi, scorrono i racconti
con sempre un piccolo richiamo tra
l’uno e l’altro come se l’autrice lanciasse un gioco che il lettore si diverte a seguire per cercare gli indizi
di parentela tra una storia e l’altra.
Un libro che conforta sul futuro della narrativa italiana.
musicalmente
39
ALTRA MUSICA
di Giorgio Signoretti
UN BUON LIBRO PER COMINCIARE
LA SCUOLA MANTOVANA
Una buona educazione non può
prescindere da letture e frequentazioni di buona qualità. Le ultime
non si possono regalare, ma un
grande libro può fare davvero
moltissimo. La serie di volumi di
Gunther Schuller sul jazz classico,
ad esempio (Edt), oppure il magnifico Free Jazz di Ekkehard Jost (L’Epos) sono per chi è disposto
a soffrire un po’ in cambio di una lettura di grande densità analitica.
Una solida storia del jazz, precisa, divertente e ricca di aneddoti rivelatori, può essere il classico Jazz di Arrigo Polillo per Mondadori.
Ma forse può risultare ancora più motivante sbirciare il grande jazz
dall’interno con l’aiuto di Enrico Rava (nella foto), autore di Incontri
con Musicisti Straordinari, edito da Feltrinelli.
Mantova può vantare una notevolissima tradizione nel campo
dell’offerta jazzistica: ogni anno,
da trent’anni a questa parte, il festival Mantova Jazz - Chiozzini ospita
i più grandi jazzisti statunitensi ed
europei, raccogliendo idealmente
sia l’eredità dello storico Circolo del Jazz degli anni Cinquanta che quella successiva dell’Ente
Manifestazioni Mantovane. Per quanto riguarda la didattica jazz,
conviene invece fare un salto al Conservatorio di Mantova, dove
Mauro Negri (nella foto), da autentico maestro quale è, ha assemblato con grande cura un gruppo di docenti di valore assoluto tra
i quali spicca un altro musicista mantovano, il talentuoso chitarrista
Simone Guiducci.
Quale pubblico
per il JAZZ?
Si può educare il futuro pubblico
del jazz? Ma quale pubblico?
Quello vacanziero e pop di Umbria Jazz o quello intransigente ed
informato delle rassegne più rigorose?
Il pubblico aristocratico che rigetta sdegnosamente il termine
“jazz”, ammuffito residuo di un
intollerabile passatismo, preferendogli magari il più trendy New
Music (per poi di fatto cercare in
questa le stesse cose che hanno
reso grande il vecchio jazz)?
O le coppie eleganti che sprizzano coolness in un club di classe,
vino francese alle labbra, alla ricerca del nuovo Chet Baker?
Con i Naked City di John Zorn ci
siamo abituati a vedere nei festival
jazz borchiati metallari fare headbanging a tempo (o non sempre a
tempo) con i tamburi di Joey Baron; con Steve Coleman ci siamo
sentiti un po’ provinciali in mezzo ai fan di aggressivi (e talentuosi) rappers newyorchesi.
Quale pubblico, dunque?
Per come è nato e si è evoluto, il
jazz è stato un laboratorio collettivo animato da migliaia di individui alla ricerca della propria voce
interiore, una spettacolare rete di
trasmissione dati e di rielabora-
40
musicalmente
zione “orizzontale” del
saper fare.
Musica dinamica attraverso la quale musicista, linguaggio, prodotto e perfino pubblico
e circuito di distribuzione si formano e si
ristrutturano in tempo reale, la tradizione afro-americana non
sembra contemplare
un training ortodosso e
standardizzato dei suoi
ascoltatori.
È forse più probabile
che il jazz si debba semplicemente suonare e
far suonare; che lo si
John Zorn
debba solamente rendere disponibile, creando situazioni dove lo si possa
proporre a tutti i livelli, magari contaminato da suggestioni di
ogni tipo.
E luoghi dove maestri illuminati sappiano trasformare i propri
corsi in creativi e flessibili laboratori nei quali si possa comprendere come cercare se stessi, sia
con uno strumento in mano che
seduti tra il pubblico, qualsiasi
pubblico, sia un magnifico investimento per la propria vita.
Il jazz è stato un
laboratorio collettivo
animato da migliaia
di individui
alla ricerca della
propria voce interiore
QUADERNO DI VIAGGIO
di Andrea Zaniboni
Una violetta d’amore
in LAGUNA
Venezia: ricca di rarità
la mostra di liuteria
allestita nella chiesa
settecentesca
di San Maurizio
Città della musica, Venezia è il luogo dei cento musei e degli esperimenti, delle memorie e del domani, ed è facile lasciarsi attirare nel
vortice delle sollecitazioni più diverse. Si possono visitare le sale wagneriane e omaggiare la tomba di
Igor Stravinskij nel cimitero di San
Michele, esplorare l’archivio Luigi
Nono o seguire le tracce di Monteverdi, fino alla visita del Piccolo
Museo Vivaldi in Santa Maria della Pietà. «Ispiratrice eterna della nostra quiete» come fu definita
dal famoso padre dei Balletti Russi (e impresario) Sergej Diaghilev
che pure vi è sepolto, Venezia è invece, come sappiamo, un crocevia
brulicante di idee e di storia. Questa volta è il caso di segnalare, forse non tanto conosciuta come altre
legate al passaggio delle infinite
celebrità, la mostra permanente di
liuteria ospitata, da soltanto qualche anno, nella settecentesca Chiesa di San Maurizio, la cui pianta a
forma di croce greca si presta ottimamente ad ospitare le numerose
teche nelle quali sono in esposizione, a rotazione, molti e ben conservati strumenti di diversa epoca, dal Seicento ai primi decenni
del Novecento. Ovviamente oggi
sono in visione violini, viole, vioNelle foto alcuni particolari del museo
(foto di Daniela Katia Lefosse)
loncelli, due contrabbassi firmati
Amati e (ma non è certo) Gasparo da Salò, nonché strumenti a fiato come flauti, oboi, clarinetti, fagotti. Ma la singolarità di questa
esposizione, che la rende un piccolo interessante documento di storia, sta nella presenza di creazioni
desuete: una chitarra lira, un contrabbasso in miniatura, un violino
a cinque corde (datato 1905), un
monocordo ad arco con campana,
una violetta d’amore, un mandolino pochette del 1790, una tromba marina, e tanti altri “pezzi” tutti
di scuola italiana che documentano la ricerca e la fantasia degli artigiani-artisti di casa nostra. L’esposizione, raccomandabile, che porta
la firma di Artemio Versari, musicista (fu per trent’anni primo
contrabbasso nell’Orchestra del
Teatro Comunale di Bologna) e
collezionista, si presta ovviamente
alla visita dell’esperto come del curioso, ma possiede anche il pregio
non comune di adattarsi a visite didattiche rivolte ai giovani, arricchite da un percorso teso a penetrare
i segreti di una bottega artigiana di
liuteria, oggi come ieri una autentica prospettiva non soltanto creativa, ma occupazionale. Suggerimento tutt’altro che superfluo, in
perfetta linea con la lunga tradizione nazionale. Insomma, memoria
e futuro insieme ancora una volta,
ad annodare bellezze tra le calme
acque della laguna.
musicalmente
41
IN PLATEA
È uno dei più importanti compositori italiani del nostro tempo e le sue opere sono andate in scena sui
palcoscenici più prestigiosi, a cominciare dal Teatro
alla Scala. Didatta, musicologo, è anche accademico
di Santa Cecilia, e qualche anno fa è stato insignito
del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. Per
una volta, però, Azio Corghi accetta di farsi intervistare nel ruolo di “semplice” spettatore.
E la nostra chiacchierata comincia proprio dai tanti
concerti dell’Orchestra da Camera di Mantova a cui
ha assistito in questi anni.
«Apprezzo molto l’Orchestra, trovo che sia un gioiello», è il suo primo commento, «la ascolto spesso, soprattutto quando suona dalle mie parti, a Castiglione delle Stiviere».
Maestro, quali sono secondo lei i pregi dell’Ocm?
«La qualità è prima di tutto nei suoi musicisti. Conosco bene molti di loro, che hanno interpretato anche
alcuni miei brani in passato, e suonano davvero in
modo eccellente. Ma non sono solo io a dirlo, ormai
questo giudizio è vox populi. Ammiro anche il lato organizzativo, l’intelligenza nella programmazione, le
scelte non scontate di repertorio».
Pessimista o ottimista sul futuro della musica?
«Ottimista, se penso al livello dei giovani compositori. Di recente ho potuto farmene un’idea anche al
Festival Play-it di Firenze diretto da Giorgio Battistelli, a cui hanno partecipato nuovi talenti molto interessanti e preparati. Certo, poi mi rendo conto che
per ciascuno di loro emergere è un’impresa. Ma potrei fare io una domanda in proposito?».
Prego...
«Che senso ha la figura del compositore, o quella del
critico musicale, in un mondo dove dilaga l’analfabetismo e dove gli investimenti nella cultura e nell’arte
continuano a diminuire?».
Lei come risponderebbe?
«Che è un miracolo che oggi ci sia tanta buona musica in giro. Lo si deve all’entusiasmo e alla buona
volontà di tante singole istituzioni, che non sono
adeguatamente sostenute, ma che per fortuna non
perdono la passione. Penso anche alle realtà amatoriali. Di recente per esempio ho potuto apprezzare
il Coro Alma Matris dell’Università di Bologna, che
ha eseguito un mio brano. I coristi sono tutti dilettanti, ma non hanno nulla da invidiare a dei professionisti».
La sua carriera la porta spesso all’estero: la crisi della musica si sente soltanto in Italia?
«No, si sente dappertutto. Soltanto che in altri Paesi
– penso alla Francia o alla Germania – le sovvenzioni
alla musica sono molto più alte che da noi, nonostante la difficile situazione economica».
Qual è la sua ricetta anti-crisi?
«Bisogna portare la musica nelle scuole, valorizzarne il potere formativo della persona. Tutti lo dicono,
tutti lo scrivono, sarebbe ora che qualcuno passasse
dalle parole ai fatti».
42
musicalmente
di Alice Bertolini
Azio Corghi
Foto di Roberto Masotti, © Casa Ricordi, Milano
Il MIRACOLO
della buona
musica
Azio Corghi famoso compositore
e grande fan dell’Ocm si chiede che
senso abbiano le figure del critico e
del compositore in un mondo sempre
più analfabeta e senza soldi per l’arte
DAL 1994 ACCADEMICO DI SANTA CECILIA
Il compositore Azio Corghi è nato a Ciriè, Torino, il 9 marzo
1937. Dopo gli studi musicali nei Conservatori di Torino e
Milano, ha composto opere teatrali, balletti, musica elettronica, lavori sinfonici, corali e cameristici, che vengono eseguiti
in tutto il mondo e che hanno ricevuto importanti riconoscimenti. È stato docente nei Conservatori di Parma, Torino e
Milano, mentre dal 1995 è titolare della cattedra di perfezionamento in composizione all’Accademia nazionale di Santa
Cecilia a Roma; è docente anche all’Accademia Chigiana di
Siena ed è stato protagonista di alcune masterclass nelle
università americane di Berkeley e Cincinnati. Come musicologo ha curato numerose revisioni di opere del passato,
tra cui L’Italiana in Algeri di Gioacchino Rossini e vari lavori di
Antonio Vivaldi. Nel 1994 è stato nominato Accademico di
Santa Cecilia e nel 2005 è stato insignito del titolo di Grande
Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana. (a.b.)
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