m Anno 8 - Numero 1 Gennaio 2012 u Magazine s i cdell’Orchestra a l mda Camera e ndi Mantova te Stefano Bollani Ragazzi, cambiamo registro! Ray Chen © Paolo Soriani Un violino per gioco NEO-CLASSICA La musica conquista i giovani Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova EDITORIALE di Andrea Zaniboni CLASSICA: un’opportunità per penetrare l’anima del mondo Chi frequenta abitualmente le sale da concerto e la musica della nostra storia antica e recente, che per convenzione diffusa diciamo “classica”, dà per scontati atteggiamenti, pensieri ed emozioni che in realtà appartengono al patrimonio di una esperienza che non è soltanto un cumulo di ascolti acquisiti in tempi e luoghi diversi, ma sostanza di noi stessi e della nostra vita. Tutti ascoltiamo musica, chi più chi meno, e tutti riceviamo appagamento dalla sua ripetizione; ma forse possiamo affermare che le differenze fra i vari generi musicali si diano anche in relazione ai tempi della soddisfazione emotiva ed interiore. Non è assolutamente vero che chi ascolta la “classica” rappresenti una sorta di élite sorda all’attualità o alle più spontanee forme espressive musicali. Il sondaggio che Musicalmente condusse qualche mese fa ha chiarito, seppur nella delimitata area mantovana, che l’esclusività di un pubblico specializzato ed impermeabile ad altre influenze, comprese quelle cosiddette “commerciali”, non esiste. Il che può spiegare perché il Fauré riletto con scintillante malinconia da Bill Evans o il sorprendente Debussy di Barbra Streisand o ancora la canzone d’autore possano appagare anche l’ascoltatore più intransigente di qualunque possibile fazione. Che la “classica” esiga disciplina, perseveranza e lungo studio ai suoi interpreti è cosa nota, ma che sia essa stessa un prodotto artistico in grado modellare il pensiero di chi la avvicina dall’esterno e cerca di comprenderla - accrescendo senso critico, attenzione al dettaglio, percezione della dinamica storica - è invece un fatto molto meno riconosciuto. Questa mancanza di chiarezza sulla forza di cambiamento che la musica d’arte possiede e che agisce oltre i confini delle sale da concerto, è ciò che spiega molti fatti che stanno sotto gli occhi di tutti: la carenza educativa della scuola, la cronica insufficienza delle risorse, il pregiudizio di chi non la conosce. Come leggete in questo numero, le modalità per avvicinare la “classica” sono molteplici perché la difficoltà fondamentale è quella di assottigliare, infrangere il diaframma che separa il brulicante mondo “vero” da quello del pensiero e dell’immaginazione, dell’utopia e dello sguardo interiore. Varcare questa soglia non fisica ma esclusivamente mentale, corrisponde ad una opportunità: quella di accedere ad una concezione dell’espressione umana governata dall’attenzione e dall’indipendenza intellettuale, oltre che dal cuore. Ne deriva, per naturale conseguenza, il continuare a credere che ci sia spazio per la sincerità, la conoscenza, la comunicazione positiva fra il singolo e la comunità. Non è vero che chi ascolta la classica è un’élite sorda all’attualità La mancanza di chiarezza sulla forza di cambiamento della musica spiega le molte indifferenze che la circondano musicalmente 3 IN COPERTINA m Gennaio 2012 SOMMARIO 7 10 12 7 Caccia al nuovo pubblico Giro d’Italia in 5 tappe di Anna Barina 10 Intervista a Stefano Bollani Un pianoforte nel deserto di Emilia Campagna 12 Madama DoRe: motivi ed eventi dell’esperimento firmato Ocm di Giovanni Bietti 15 Intervista a Ray Chen Star del violino per gioco di Giacomo Giuliani I CONCERTI 15 18 17 20 29 26 17 Una sinfonia da record: la Grande di Luigi Fertonani 18 Silver-Garburg Duo simbiosi e peculiarità di Luca Ciammarughi 20 Intervista a Claudio Ambrosini compositore e poeta di Patrizia Luppi 26 Sol Gabetta, la principessa del violoncello di Oreste Bossini IN ORCHESTRA a cura di Valentina Pavesi 29 Nella calza della Befana per l’Ocm c’è il Concertgebouw 30 The Observer su Hewitt-Ocm “Avviato un viaggio elettrizzante” 31 Ocm&Lonquich cronaca di un successo trionfale m usicalmente Magazine dell’Orchestra da Camera di Mantova TIRATURA 4.000 copie DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni COORDINAMENTO EDITORIALE E RESTYLING: Anna Barina GRAFICA E RESTYLING: Elena Avanzini REDAZIONE: Valentina Pavesi HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Giovanni Bietti, Simonetta Bitasi, Oreste Bossini, Emilia Campagna, Luca Ciammarughi, Luigi Fertonani, Claudio Fraccari, Giacomo Giuliani, Patrizia Luppi, Vincenzo Mancini, Emanuele Salvato, Luca Segalla, Giorgio Signoretti, Renato Spagnolo EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12 Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected] STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121. Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004 4 musicalmente AMICI 32 AMICI Incontri curiosi e trasferte musicali RUBRICHE 33 COLONNA SONORA I cent’anni di Nino Rota 40 ALTRA MUSICA Quale pubblico per il jazz? di Claudio Fraccari di Giorgio Signoretti 35 GRAMMOFONO Lo Zar Evgenij 41 QUADERNO DI VIAGGIO Una violetta d’amore in Laguna di Michele Ballarini di Andrea Zaniboni 36 CD - DVD La forza del metodo Abreu 42 IN PLATEA Corghi. Il miracolo della buona musica di Luca Segalla di Alice Bertolini 37 MUSICA & ARTE Vasilij Vasil’evič Kandinskij di Paola Artoni 38 MUSICA & ACUSTICA Sull’onda delle note di Renato Spagnoli 39 LEGGERE Qualcosa di simile in storie diverse di Simonetta Bitasi Paola Artoni Paola Artoni (Mantova, 1973) è convinta che in arte non possano esserci limitazioni di tempo e di spazio. Per questo trova normale conciliare la professione di storica dell’arte e di critica freelance con lo studio materiale e tecnico-scientifico della pittura. Funzionaria del Laniac (laboratorio di analisi non invasive per l’arte antica moderna e contemporanea) dell’Università di Verona, viaggia tra i musei italiani e le collezioni alla ricerca di dettagli d’artista invisibili all’occhio umano… Emilia Campagna Emilia Campagna, roveretana, è pianista e critico musicale. Accanto all’attività concertistica, l’interesse per la divulgazione musicale l’ha portata a dedicarsi alla critica musicale per il giornale L’Adige. È corrispondente della rivista Amadeus ed inviato di Radio 3 Suite. In un rapporto a tutto tondo con il mondo musicale, svolge attività concertistica in ambito cameristico, si dedica con passione all’insegnamento del pianoforte e tiene corsi di scrittura giornalistica finalizzati alla critica musicale. Patrizia Luppi Patrizia Luppi, giornalista professionista, fa parte dell’Associazione nazionale dei critici musicali. È consulente editoriale del sito ilcorrieremusicale.it. A lungo redattrice di due riviste specializzate, prima Musica Viva e poi Amadeus; nel frattempo ha collaborato con quotidiani (è stata fra l’altro il critico musicale del dorso milanese de La Stampa), con testate settimanali e mensili, con Rai Radio 3 e con RaiSat Show. Tra i suoi principali interessi professionali quello per la musica contemporanea. Renato Spagnolo Renato Spagnolo è stato per molti anni ricercatore all’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” di Torino (poi Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, dove è tuttora associato fuori ruolo). Insegna Acustica applicata nel corso di Laurea magistrale in Fisica all’Università di Torino. Ha pubblicato alcuni testi universitari, tra cui Manuale di acustica applicata e, con Sergio Cingolani, Acustica musicale e architettonica. È direttore responsabile del trimestrale scientifico Rivista italiana di acustica. musicalmente 5 I Giovani Amici del Filarmonico di Verona nel foyer del Teatro (Foto Studio Tommasoli) Caccia al nuovo PUBBLICO musicalmente 7 IN COPERTINA Giovanissimi spettatori al Teatro Bibiena di Mantova per Madama DoRe La musica mette le ali al pensiero e rende libero lo spirito. Lo teorizzava Nietzsche e dovrebbe tenerlo presente chi si occupa di educare le future menti pensanti. Accade? Raramente in Italia. Così alcune realtà musicali corrono ai ripari e scendono in campo con progetti mirati al coinvolgimento dei giovani di Anna Barina «Si è mai notato che la musica rende libero lo spirito? Mette ali al pensiero? Io divento un uomo migliore, quando questo Bizet mi incoraggia (…). Come rende perfetti una tale opera! Nell’udirla si diventa noi stessi un ‘capolavoro’. E realmente, ogni volta che ascoltavo la Carmen mi sembrava di essere più filosofo, un miglior filosofo di quanto non fossi solito credere». Queste le parole di Friedrich Nietzsche (Il caso Wagner - Lettera da Torino del maggio 1888, Milano 1989) all’indomani della messa in scena dell’opera di Georges Bizet a Genova, il 27 novembre del 1881. Il grande filosofo aveva compreso in pieno il potere della musica di elevare l’animo umano, svilupparne le potenzialità ed arricchirlo. Attitudine che non conosce tempo e luogo, e che dovrebbe essere tenuta in considerazione soprat8 musicalmente tutto nell’educazione delle future menti pensanti, i giovani. Accade veramente questo, oggi, in Italia? In quale considerazione è tenuta la musica “forte”(utilizziamo questa definizione a sostegno della proposta di Quirino Principe di sostituirla a “classica”)? Ad osservare il pubblico che normalmente frequenta teatri e sale da concerto sembrerebbe che la teoria di Nietzsche sia stata disattesa, anche e soprattutto dal sistema scolastico italiano. A porre rimedio alle rovinose lacune che esso presenta e a rimboccarsi le maniche sono giocoforza le stesse istituzioni musicali, che per non rischiare di trovarsi in pochi anni davanti a platee vuote, hanno messo in opera iniziative per richiamare e formare le nuove leve di pubblico. All’Unione Musicale di Torino, ad esempio, la parola d’ordine è “formule disin- volte”. «Cerchiamo di ‘catturare’ i giovani avvicinandoci alle loro esigenze, e non viceversa. Il modello che abbiamo per Atelier Giovani ideato lascia spazio per affiancare la fruizione di musica colta ad altri impegni - racconta il direttore artistico Giorgio Pugliaro -. Gli appuntamenti iniziano alle 18.30 con una breve introduzione condotta da un giovane musicologo, segue un aperitivo sostanzioso e poi il concerto, che termina alle 21. È necessario reinventare la forma tradizionale del concerto per creare una richiesta di servizi musicali». Se poi il pubblico non arriva, a Padova hanno pensato di andarlo a prendere sotto casa. Si chiama I Bus della Musica il servizio attivato dall’Orchestra di Padova e del Veneto per consentire di raggiungere i concerti con bus organizzati; avviato nel 2008, ha portato IN COPERTINA all’Auditorium Pollini nella scorsa stagione più di 2.000 persone, «tra cui molti giovani che non abitano in centro e non hanno la macchina», sottolinea il direttore artistico Filippo Juvarra. Che a Padova siano sensibili all’educazione del nuovo pubblico lo dimostra anche OPV Families&Kids, un nuovo progetto dedicato a bambini e famiglie. «Si tratta di una proposta fatta non di concerti tradizionali ma di occasioni informali e coinvolgenti, appositamente pensate per il pubblico dei più piccoli e per i nuclei familiari», conclude Juvarra. Educare all’ascolto il pubblico giovanile non è un’attività che va considerata secondaria rispetto a quella rivolta ad un pubblico adulto, e va curata con estrema attenzione. Ne è convinta Maddalena da Lisca, direttore generale del Bologna Festival, rassegna che festeggia quest’anno la quinta edizione di Baby BoFe’, quattro appuntamenti studiati per bambini dai tre anni in su: «Se si sbaglia nel proporre ai piccoli l’approccio alla musica classica, il rischio è quello di perdere irrimediabilmente, per sempre, il contatto con questo esigentissimo pubblico». A Bologna hanno evidentemente trovato la ricetta giusta, visto che Baby BoFe’ ha raddoppiato il numero di spettatori del Bologna Festival, abbassandone anche l’età media. Un’altra motivazione che spesso i giovani adducono alla non frequentazione delle sale da concerto è che il biglietto “costa troppo” per le loro tasche, e non hanno tutti i torti. Per aggirare questo problema la Fondazione Arena di Verona ha appena inaugurato Anteprima Giovani, iniziativa che apre a tutti gli under 30 la prova generale degli spettacoli al Teatro Filarmonico ad un prezzo accessibile: 5 euro per l’opera e 3 per i concerti sinfonici. «Questi biglietti speciali sono la dimostrazione che il teatro ha deciso di investire su di noi. In un momento buio come quello che stiamo vivendo, una scelta simile è di grande coraggio e lungimiranza, esattamente quanto occorre per superare qualunque crisi», così racconta Giulia, arrivata per il Falstaff e uno dei volti dei Giovani Amici del Filarmonico, neonata associazione veronese che raggruppa ragazzi appassionati di musica. Stefano è il coordinatore: «Ci scam- biamo informazioni e opinioni attraverso la nostra pagina Facebook», racconta, «Siamo in contatto con associazioni analoghe in Italia e all’estero e organizziamo visite ad altre istituzioni musicali per avvicinarci a nuove realtà e assistere a spettacoli di particolare interesse». Di recente, infatti, Stefano, Giulia e gli altri sono stati alla Scala per l’anteprima del Don Giovanni: il teatro milanese, infatti, ha aperto le porte con un biglietto unico a 10 euro a tutti i giovani con meno di trent’anni. A Verona incontriamo anche Manuel, coordinatore di JuVenice, giovani all’opera, analogo gruppo nato su Facebook per dare voce ai giovani melomani veneziani: «Siamo stanchi di sentirci dire che saremo il pubblico di domani, vogliamo essere quello di oggi. Spero che anche “La Fenice” offra presto iniziative come questa». Per concludere torniamo al pensiero di Nietzsche: la musica ha il potere di arricchire l’animo umano e i giovani lo hanno perfettamente capito, basta solo saperli coinvolgere. Giro d’Italia in cinque tappe. Tra Families&Kids a Padova e Atelier Giovani a Torino Al Filarmonico di Verona si punta su Anteprima Giovani. E Bologna raddoppia il pubblico col Baby BoFe’ musicalmente 9 IN COPERTINA STEFANO BOLLANI ? Un pianoforte nel deserto di Emilia Campagna Passa agilmente dal jazz alla classica fino all’entertainment raffinato, e attraverso radio e televisione da qualche anno porta la musica anche ad un pubblico diverso da quello delle sale da concerto. E proprio per questa trasversalità di sguardi abbiamo chiesto a Stefano Bollani il suo punto di vista sullo stato dell’arte dell’educazione e della divulgazione musicale. Stefano Bollani, la situazione dell’educazione musicale in Italia è davvero così disastrosa? «L’educazione musicale non è disastrosa, semplicemente non c’è. Soprattutto non si studia storia della musica ai Licei, mentre si studia storia dell’arte, della letteratura, del pensiero. Non so come mai, è un mistero tutto italiano. Invece la storia della musica deve essere conosciuta, anche per 10 musicalmente comprendere il nostro presente: ad esempio, Wagner ha inventato praticamente il cinema, non si può non conoscere la sua opera». Pensa che si debba intervenire solo sull’insegnamento della storia o anche la pratica dovrebbe essere incoraggiata? «Non sono tanto convinto sulla pratica, estenderla a tutti i ragazzi mi pare un po’ un sogno e voglio essere realistico: penso che sia importante trasmettere la storia, ma soprattutto attraverso un’educazione all’ascolto che faccia ascoltare la musica con orecchio diverso ai ragazzi, che sia Beethoven o Charlie Parker, e che aiuti a comprendere i compositori e non solo a conoscerne esclusivamente le date di nascita e di morte, ma faccia capire la musica, e il perché è stata composta. Bisogna riuscire a “L’unico modo per provocare un cambiamento resta sempre lo stesso: inserire la musica nelle scuole” IN COPERTINA OLTRE I CONFINI CON CURIOSITA’ E INTELLIGENZA Di sé racconta che si è messo a studiare pianoforte perché a sei anni voleva fare il cantante, e per esibirsi si accompagnava da solo: oltre l’aneddoto, la biografia di Bollani è una storia di insaziabile curiosità e di brillante intelligenza musicale. Sono probabilmente queste due doti (curiosità e intelligenza) la chiave per capire la capacità di scavalcare confini che lo contraddistingue: diplomato al Conservatorio di Firenze, quindi con una formazione classica, sia nella tecnica pianistica che nella cultura, jazzista nell’anima (divoratore di dischi) ma turnista pop agli inizi della carriera. La collaborazione con Enrico Rava gli apre le porte del jazz più maturo e personale, che esplora in vari ambiti: il piano solo, le riletture carioca, il trio con colleghi nordeuropei. Brillante intrattenitore, con David Riondino conduce su Radio3 Rai la trasmissione Il Dottor Djembé e su Rai3 e Sostiene Bollani, trasmissioni che sono diventate dei veri cult. Stefano Bollani (Fotoservizio Paolo Soriani) trasmettere l’amore e la curiosità, l’idea che con la musica ci si può anche divertire, in modo tale che magari, dopo l’ascolto, qualcuno sia invogliato ad andare a cercarla in Internet». Ci vuole un talento speciale per spiegare la musica a tutti? «Nell’insegnamento ci vuole un talento speciale per spiegare e trasmettere qualsiasi materia, così anche per la musica». E per divulgare? Cosa direbbe ad un quarantenne che le chiedesse come deve ascoltare Beethoven? «Anche in questo caso ci vuole passione e capacità di dare risposte che non siano preconfezionate e prese dai libri. Non si può rispondere che Beethoven è bello perché è un grande compositore e l’ha deciso la storia. Non basta». Parlava di divertimento legato alla conoscenza della musica, negli ultimi anni ha preso piede la moda della comicità musicale: quali sono i meccanismi per cui si ride con la musica? «Non è una cosa facile, perché fai ridere quando ti muovi entro i confini di una grammatica, di un vocabolario comune, poi ad un certo punto scarti, entri ed esci da questi confini: se il pubblico ti segue scatta il meccanismo comico. Se invece il pubblico non conosce la musica e non è a suo agio nell’argomento, è difficile scherzarci sopra, tanto è vero che le barzellette che fanno meno ridere al mondo sono quelle sui musicisti, e le capiscono solo gli addetti ai lavori. Per far ridere chi non ha una conoscenza musicale di un certo tipo ci vuole una doppia bravura: far entrare il pubblico dentro un vocabolario, e poi scardinarlo». Ma quindi non è vero quello che comunemente si dice, sul fatto che certi spettacoli di comicità musicale, penso ad esempio al duo Igudesman&Joo, avvicinino il grande pubblico alla classica? «Ci sono persone e persone e il pubblico che va a vedere questi spettacoli può essere molto variegato. Ma sicuramente la mag- gior parte è formata da gente che la musica la conosce già e che la ama. Appunto perché non si tratta di ridere “della” musica ma di ridere “con” la musica». Quest’anno lei è stato in televisione con Sostiene Bollani, da qualche stagione è in radio con il Dottor Djembè: Bollani intrattenitore ma anche divulgatore? «In realtà io non mi sono mai sentito un divulgatore e non penso di esserlo: semplicemente, non c’è nessun altro che in televisione dica due parole di spiegazione prima di suonare un pezzo, per cui Sostiene Bollani è anche una trasmissione di divulgazione. Ma solo perché attorno c’è praticamente il deserto». Però la trasmissione ha fatto ottimi ascolti, portando la musica al pubblico televisivo. Inoltre ci sono altri segnali, le trasmissioni di Rai5, gli spazi dedicati periodicamente da Fazio, oppure Gad Lerner che invita i musicisti della Scala all’Infedele: forse qualcosa sta cambiando? «Non so se qualcosa sta cambiando: certo, la mia trasmissione è andata molto bene, ma bisogna pensare sempre che si tratta di quella determinata parte di pubblico televisivo, che magari non seguirebbe un’altra trasmissione. In realtà l’unico modo per provocare un cambiamento resta sempre lo stesso: inserire la musica nelle scuole». musicalmente 11 IN COPERTINA MUSICA FORMATO FAMIGLIA: DOMENICA 15 GENNAIO L’INFANZIA SECONDO SCHUMANN MADAMA DoRe Tutti in ascolto! La testimonianza diretta di un abile comunicatore da anni sceso in campo con convinzione. Che assicura: “Le persone hanno sempre più bisogno di capire la musica, di recuperare un rapporto vivo con l’arte dei suoni” di Giovanni Bietti Mi capita sempre più spesso, in ogni parte d’Italia, l’occasione di parlare al pubblico di musica: dal vivo ma anche alla radio, alla televisione o attraverso audiovisivi, dvd dal taglio divulgativo e accessibile. Non credo che questo avvenga solo perché cerco sempre di parlare nel modo più comprensibile e coinvolgente, mettendoci tutta la passione e l’entusiasmo di cui sono capace. Il punto è che le persone hanno sempre più bisogno di capire la musica, di recuperare un rapporto vivo con l’arte dei suoni, di comprendere perché un compositore ha usato proprio quel tema, quello strumento, quel ritmo per parlare con il suo ascoltatore, e soprattutto che cosa effettivamente egli volesse dire attraverso le note. A Roma, all’Auditorium Parco della Musica, curo una serie di conferenze dal carattere divulgativo intitolate Lezioni di Musica. Immaginate: 1.200 persone che pagano per ascoltare una conferenza sulla musica di un’ora e mezza, affrontando il traffico romano della domenica mattina! Un fenomeno singolare, e un segnale talmente forte che la scorsa estate le Lezioni di Musica, ri-editate, sono state trasmesse su Radio 3 Rai, con un riscontro di pubblico ed un apprezzamento straordinari. Sono molti, in questi ultimi anni, gli enti che hanno deciso di dedicare uno spazio crescente alla divulgazione, agli eventi per le famiglie: dall’Accademia di Santa Cecilia di Roma (vedi articolo a pagina 14, ndr) al Festival Mito. La stagione Madama DoRe - Musica Formato famiglia dell’Orchestra da Camera di Mantova (presentata a lato, ndr) è solo l’ultima di queste iniziative, in ordine di tempo. Insomma, se c’è un settore dell’attività musicale che in questo pesante momento di crisi si sta ampliando e sviluppando, sia pure lentamente, è senza dubbio quello della didattica e della divulgazione. Credo che questa crescita sia, prima di tutto, una risposta alla triste constatazione che per i nostri illuminati amministratori la musica potrebbe tranquillamente scomparire: è costosa e non porta voti. E in più è anche 12 musicalmente IN COPERTINA E A FEBBRAIO CARNEVALE ALLA SAINT-SAËNS «C’è in ogni bimbo una profondità meravigliosa», scrive Robert Schumann nel suo taccuino di pensieri. L’artista, uno dei maggiori musicisti romantici, esplorò tale profondità in alcune delle sue più grandi e ispirate composizioni: domenica 15 gennaio (ore 11 – Teatro Bibiena di Mantova) le Kinderszenen (Scene infantili) op. 15 e il notissimo Album für die Jugend (Album per la gioventù) op.68 trasporteranno il pubblico nei mondi del gioco, dell’incantato stupore, del sogno, della fantasia e delle fiabe, dipingendo inoltre aspetti della vita quotidiana. Al pianoforte e in veste di narratore ci sarà Giovanni Bietti, compositore e pianista, consulente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, divulgatore di vasta esperienza, come racconta nel pezzo principale di questo servizio. Giovanni Bietti all’opera Stelle filanti di strumenti e coriandoli di note è il titolo del quarto concerto del ciclo Madama DoRe, in programma domenica 19 febbraio sempre al Bibiena, sempre alle 11. Nei panni del narratore, questa volta, Augusto Morselli, didatta di lungo corso, già protagonista di riuscite iniziative di educazione all’ascolto. Il carnevale degli animali di Camille Saint Saëns, eseguito dai musicisti dell’Orchestra da Camera di Mantova, sarà al centro dell’appuntamento. «Questo serissimo compositore - spiega Morselli – propone una raffinatissima satira, pungente ed elegante, del comportamento di diversi animali, compreso anche l’uomo. Insieme li riconosceremo e insieme ricorderemo gli strumenti che li descrivono in un’indimenticabile, favolosa e emozionante visita al bioparco orchestrale». Il ciclo si concluderà domenica 18 marzo (ore 11, Teatro Bibiena). Quando la musica si fa piccina – il quinto appuntamento della rassegna - eleggerà a protagonista la musica da camera, l’espressione più pura e raffinata creata dall’arte occidentale, un dialogo, intimo e riflessivo, tra strumenti che parlano attraverso le note, con un linguaggio specifico eppure universale. Affidato a Giovanni Bietti e ai musicisti dei Corsi di Alto perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il concerto svelerà caratteristiche e smisurata bellezza della musica piccina di grandissimi come Brahms, Mozart e Schubert. I biglietti per i concerti hanno un prezzo estremamente contenuto per favorire la partecipazione delle famiglie: 6 euro adulto, 5 euro bambino. La prevendita è in corso alla biglietteria Ocm, in piazza Sordello 12 a Mantova (tel. 0376 1961640, [email protected], www.ocmantova.com). pericolosa: può rendere chi la ascolta più colto ed intelligente! Meglio insomma riempire gli outlet che gli auditori. Ma da parte del pubblico, dei fruitori, i problemi e le responsabilità sono altrettanto evidenti: i miei nonni conoscevano a memoria tutte le opere di Rossini o di Verdi, oggi una persona di media cultura non riconosce La Donna è Augusto Morselli mobile. Il melodramma è davvero un nostro patrimonio unico, riconosciuto in tutto il mondo; è uno dei motori che hanno acceso la coscienza nazionale, e hanno dato la spinta al Risorgimento. La Nona di Beethoven è addirittura diventata l’inno europeo. La musica, insomma, si intreccia con la vita, ci ispira e ci aiuta ad interpretare il mondo. Eppure, non c’è bisogno di essere dei veggenti per capire che se continua così la musica “seria” (terminologia Siae) è destinata a scomparire, ad essere sempre più marginale ed insignificante. Ecco perché alcuni musicisti hanno deciso di dimostrare che le istituzioni hanno torto, che vale la pena di rimboccarsi le maniche. Dobbiamo occuparci in prima persona della formazione del pubblico, visto che chi dovrebbe occuparsene non lo sta facendo. Partendo dai più piccoli, dal pubblico del futuro, e dalle loro famiglie. Vogliamo far capire che la musica è una delle più alte e straordinarie esperienze umane, e soprattutto che dona benessere, fa star bene chi la ascolta perché affronta, da sempre, i problemi dell’uomo e prova a dargli una risposta. Bisogna renderla musicalmente 13 IN COPERTINA La JuniOrchestra Advanced dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia introdotta da Gregorio Mazzarese, protagonista del secondo concerto del ciclo Madama DoRe al Bibiena lo scorso dicembre accessibile, condividerla, mostrare la sua infinita ricchezza. Ed è importante cercare di farlo con leggerezza, sapendo che si devono offrire degli strumenti ma si deve allo stesso tempo lasciare all’ascoltatore il piacere della scoperta, la possibilità di proseguire da sé il percorso. Questa è la cultura, nel senso più ampio: un termine, non dovremmo dimenticarlo così facilmente, che deriva da coltivare ed implica quindi un’azione diretta, non una passiva fruizione. Preparare il terreno, seminare, accudire, far crescere; l’apprendimento graduale che porta alla gioia della conoscenza oltre che al piacere fisico della musica. Questo è il compito che ci stiamo prefiggendo, e ci serve il vostro aiuto. MADAMA DoRe: NUOVA PROPOSTA FIRMATA OCM SUCCEDE ALL’ACCADEMIA DI SANTA CECILIA... Madama DoRe è, come accennato, la nuova iniziativa dell’Orchestra da Camera di Mantova: un piccolo ciclo di concerti domenicali che punta a coinvolgere tutti, dai nonni ai nipoti, in un contesto di sapiente leggerezza e di condivisione intergenerazionale. Il ciclo di concerti mattutini è stato inaugurato, lo scorso 13 novembre, in un Teatro Bibiena stracolmo, da un primo intervento di Giovanni Bietti, nelle vesti d’affabulatore, con i musicisti dell’Orchestra da Camera di Mantova chiamati a mostrare quanto Maurice Ravel fosse capace di evocare in maniera spettacolare le atmosfere delle fiabe del grande scrittore Perrault (l’evento, I racconti di Mamma Oca, era inserito nel cartellone del Festival internazionale d’are e teatro per l’infanzia, Segni d’Infanzia). Il secondo appuntamento, ha visto invece protagonista la JuniOrchestra Advanced dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 50 giovanissimi musicisti guidati dal direttore Carlo Rizzari e introdotti, insieme con la meravigliosa Settima Sinfonia di Beethoven, dallo stesso e dal responsabile organizzativo Gregorio Mazzarese. Di nuovo teatro da tutto esaurito a testimoniare di un’accoglienza entusiasta e partecipata all’iniziativa. L’Auditorium Parco della Musica di Roma, oltre ad essere una delle più prestigiose sedi concertistiche europee, è oggi il centro di divulgazione musicale e di formazione del pubblico concertistico più attivo ed importante d’Italia: oltre 300 eventi l’anno tra concerti, seminari, conferenze, lezioni, rivolti ad ogni fascia d’età. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vi svolge un ruolo centrale con l’articolata stagione Tutti a S. Cecilia, insignita alcuni anni fa del Premio Abbiati della critica musicale. Fiori all’occhiello dell’attività sono le due formazioni giovanili (Coro di voci bianche e JuniOrchestra), e i seguitissimi Family Concerts, concerti domenicali dell’orchestra Ceciliana preceduti da un’introduzione divulgativa. Le Lezioni di Musica, realizzate dall’Accademia in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma, sono un’altra importante iniziativa di divulgazione: sono condotte da artisti e musicologi di fama internazionale e attirano migliaia di persone. L’offerta divulgativa del Parco della Musica è davvero a tutto tondo, e comprende anche il rock, il jazz e la musica etnica. 14 musicalmente IN COPERTINA Mai come oggi assistiamo al proliferare di giovanissimi talenti provenienti dai più diversi paesi, specialmente orientali, tanto che diventiamo quasi assuefatti a questa sorta di “eccezionalità diffusa”. Un violinista come Ray Chen, invece, dovrebbe farci sempre meravigliare con il suo curriculum: oltre a numerosi primi premi in concorsi giovanili spiccano i podi più alti allo “Yehudi Menuhin” di Cardiff nel 2008 a soli 19 anni, e soprattutto al “Queen Elisabeth” di Bruxelles l’anno seguente. In un panorama come quello italiano in cui l’educazione musicale nelle scuole è ridotta ai minimi termini, l’esperienza di questo straordinario violinista taiwanese cresciuto in Australia è certamente illuminante. All’età di 4 anni ha iniziato a studiare con il metodo Suzuki, completando tutto il percorso formativo. Quali sono stati i vantaggi? «È un metodo fantastico perché incoraggia i bambini ad amare la musica e a divertirsi con essa. Molti sostengono che non sia un buon sistema perché non impari subito a leggere la musica bensì inizi ad ascoltare delle registrazioni e a suonarle ad orecchio, come quando si ascolta una canzone pop e la si canta sotto la doccia. In realtà è un programma di studio molto divertente e, se vogliamo, meno “serio”, ma penso sia fondamentale per far conoscere la musica e adatto anche ad una giovanissima età. In questo modo la passione per la musica viene mantenuta per il resto della vita. Per diventare seri c’è tempo!». Come sono stati i suoi inizi? «Ho iniziato a suonare il violino quasi per gioco a 4 anni in Australia, dove sono cresciuto. I miei genitori non mi hanno mai obbligato a farlo e sono molto felice di questo. Loro non sono musicisti, è stadi Giacomo Giuliani ta quindi una mia scelta e passione Ray Chen Star del violino PER GIOCO Nel panorama italiano in cui l’educazione musicale nelle scuole è ridotta ai minimi termini, l’esperienza di questo straordinario artista taiwanese cresciuto in Australia appare davvero illuminante musicalmente 15 IN COPERTINA ll metodo Suzuki è fantastico: incoraggia i bambini ad amare la musica e a divertirsi. Non è mai costrittivo Ho iniziato a suonare il violino a 4 anni. I miei genitori non mi hanno mai obbligato. Anzi, dicevano: “Puoi anche smettere” personale. Anche per quanto riguarda la pratica giornaliera mia mamma non è mai stata pressante. Spesso, quando non avevo voglia di studiare, lei usava una sorta di psicologia “inversa” e mi diceva: “Non preoccuparti, puoi anche smettere di suonare il violino...”. Così mi sentivo veramente in colpa e impaurito e iniziavo subito a studiare. Anche il metodo Suzuki non è mai costrittivo, suoni a orecchio, fai lezioni collettive, suoni con i compagni di corso e fai concerti con loro. E molto presto sei in grado di poter suonare da solo in concerto, a me è successo quando avevo 8 anni». Crede sia meglio avere molti insegnanti o avere un unico punto di riferimento fino alla maturità musicale? «Penso che in questo caso la via di mezzo sia la soluzione migliore, perché se hai solo un insegnante diventi troppo dipendente da lui e nel momento in cui venisse a mancare ti sentiresti perduto. Se ne hai molti corri il rischio di essere confuso dai diversi metodi e dalle differenti opinioni che ti arrivano e che non sei ancora in grado di sintetizzare in una tua visione personale». Quali sono i violinisti che considera i suoi idoli? «Se ne devo scegliere un paio direi sicuramente David Oistrakh e Maxim Vengerov, che ho conosciuto durante il concorso “Menuhin” nel 2008 quando era tra i giurati». Il 26 gennaio la ascolteremo nel concerto di Bruch con l’Orchestra della Toscana a Suzzara, nel mantovano. Quali sono i punti di forza di questo concerto? «È uno dei miei preferiti perchè è veramente ben scritto, ben orchestrato, non è troppo lungo e ha un bellissimo secondo movimento, ed è anche molto piacevole da ascoltare. E poi è perfetto per me, tra quelli che amo di più suonare insieme ai concerti di Brahms e di Cajkovskij. Di quest’ultimo, tra l’altro, uscirà poco prima della tournèe italiana a gennaio la mia incisione per Sony». LA MUSICA S’IMPARA COME LA LINGUA MADRE Negli anni ’30 Schinichi Suzuchi arriva in Europa, a Berlino, con lo scopo di comprendere il vero significato dell’Arte. Conosce e studia violino con Karl Klinger e diviene amico di Albert Einstein. In quegli anni si diffondono i nuovi metodi educativi di Piaget e della Montessori in cui il bambino diventa soggetto, e questo non sfugge all’intraprendente violinista e didatta giapponese. La sintesi di questo “apprendimento” si riassume nella sua frase: «L’Arte non è qualcosa che sta sotto o sopra di me, l’Arte è legata alla mia essenza più profonda». Il metodo Suzuki rappresenta un approccio didattico alla musica tanto sorprendente nei risultati quanto semplice nel suo messaggio: imparare la musica come si impara la lingua madre. Per imitazione dunque, nella quotidianità familiare, per piccoli passi, quasi inconsapevoli per un bimbo di pochi anni. Il docente formato all’utilizzo del metodo Suzuki coinvolge il genitore e gli affida un ruolo importante nell’educazione dei figli: accoglie in classe bimbo e adulto, insegna la tecnica strumentale e rinforza la naturale inclinazione al linguaggio ritmico e melodico ad entrambi creando una complicità che rende la 16 musicalmente conoscenza naturale conseguenza, perché tutto inizia come un gioco. Attraverso il metodo Suzuki si crea un magico coinvolgimento tra due generazioni che contemporaneamente vengono avviate alla musica, al linguaggio sonoro,alla tecnica strumentale, alla conoscenza del repertorio, alla passione e quindi all’emozione nell’interpretazione e nell’ascolto. Un passaggio successivo è l’inserimento dei bambini nei gruppi orchestrali dove si combinano anche forti valenze socia- lizzanti, insieme all’approfondimento dei repertori e all’affinamento ulteriore della tecnica. Ecco forse il segreto per riportare le nuove generazioni ad amare, interpretare, ascoltare e vivere la musica: non delegare allo “specialista” la totale cura formativa del bambino ma riconsegnare al genitore il suo ruolo dimenticato restituendo anche alle mura domestiche il luogo eletto alla formazione del gusto e del piacere per il bello, come la capacità di saperlo riconoscere. (Anna Tonini) I CONCERTI Una sinfonia da record: LA GRANDE Ort La Sinfonia n. 9 in do maggiore di Franz Schubert ha sempre colpito l’immaginazione e la sensibilità non soltanto del pubblico ma anche dei discografici. Lo prova una produzione sterminata con picchi d’eccellenza di Luigi Fertonani La Sinfonia n. 9 in do maggiore D.944 di Franz Schubert, detta La Grande, ha sempre colpito l’immaginazione e la sensibilità non soltanto del pubblico ma anche dei discografici. Infatti, andando a vedere la produzione in questo senso, si vede che al di là della fama dell’Incompiuta, è sicuramente la Sinfonia schubertiana più incisa. Così, per l’appassionato, non c’è letteralmente che l’imbarazzo della scelta e si può andare tranquillamente dalle incisioni storiche a quelle più recenti, dalle registrazioni audio a quelle video che, specialmente negli ultimi anni e con mezzi tecnici sempre più raffinati stanno gradualmente ma in evitabilmente invadendo di suoni ma anche d’immagini gli scaffali. Iniziamo dalle registrazioni audio più datate tra le quali notiamo immediatamente quella pubblicata da Archipel Records (ARPCD0185): nientemeno che l’Orchestra Vienna Philharmonic diretta da Wilhelm Furtwängler, in una registrazione live “di guerra” effettuata nel 1943 che unisce l’Ottava alla Nona; un documento emozionante, al di là degli inevitabili segni del tempo. Un’edizione non così datata e cui siamo personalmente affezionati è sicuramente l’integrale sinfonico schubertiano – ma disponibile anche in cd singoli come questo, che unisce la Nona alla Terza schubertiana – registrato fra il 1969 e il 1977 dall’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese diretta da Rafael Kubelik per Audite (92542). Qui abbiamo un approfondimento maggiore che in Furtwängler, Franz Schubert e non solo: infatti la registrazione è stata “ripulita” in modo accuratissimo e infatti il cd è in formato audio Hybrid Stereo, dalla resa davvero eccezionale. Venendo a tempi molto più vicini ai nostri, da guardare con attenzione l’operazione dell’Elatus – Warner Classics LIVE CON ORT E CHEN IL 26 GENNAIO (0927467502) per lo splendore dei timbri della Royal Concertgebouw Orchestra che Nikolaus Harnoncourt riesce a esprimeDiscepolo di Piero Bellugi e Isaac Karabtchevsky, il fiorentino Daniele Giorgi, un trascorso da spalre; l’incisione contiene anche l’Ouverture della Bella Melusina la d’orchestra e lanciato in una brillante carriera op. 32 di Mendelssohn con la Berlin Philharmonic Orchestra, direttoriale, guida l’Orchestra della Toscana (giovedì di qualità però non eccelsa. Se vogliamo citare alcune delle più 26 gennaio, ore 20.45, Teatro Sociale di Mantova) in riuscite edizioni guidate da grandi direttori non possiamo ometun programma estremamente attraente che unisce tere quella recentemente pubblicata dalla Deutsche Grammoliricità e brillantezza, spaziando dal Wagner intimo phone (E4236562) con la Chamber Orchestra of Europe diretta dell’Idillio di Sigfrido alle intensità del Concerto di da Claudio Abbado, che, smagliante nei fiati, presenta anche un Bruch, testimonianza del pieno e più rassicurante altro piccolo gioiello schubertiano, l’Ouverture Rosamunde. Fra romanticismo tedesco, fino alle inarrivabili bellezze i dvd, tutto da vedere quello pubblicato due anni fa da Ducale dell’ultima trepidante Sinfonia di Schubert. Solista nel Concerto di Bruch Ray Chen, protagonista Music (2057728) con Riccardo Muti che dirige straordinari Berdell’intervista a pagina 15. liner Philharmoniker al Teatro San Carlo di Napoli. musicalmente 17 I CONCERTI Silver-Garburg Duo differenze CONDIVISE rispettive tastiere, i due strumenti creano già in sé uno spettacolo visivo che diventa fasto auditivo nel momento in cui risuonano in stereofonia. Certo, ai tempi di Mozart i pianoforti (o fortepiani che dir si voglia) non avevano le dimensioni di un moderno gran coda: la spazializzazione e la particolare sonorità stereofonica è quindi di matrice prevalentemente novecentesca (e non a caso ha affascinato compositori come Bartók o Berio); ma aldilà di ciò, è curioso notare come in tre secoli soltanto due compositori abbiano saputo risolvere pienamente il problema della sonorità nel momento in cui ai due pianoforti si aggiunge l’orchestra: uno naturalmente è Wolfgang Amadeus Mozart, l’altro è Francis Poulenc (che, non a caso, cita Mozart nel secondo movimento del suo Concerto). Se già non è facile amalgamare la sonorità del pianoforte con quella degli archi, con i due pianoforti il rischio è quello di creare una sorta di rischioso duello fra sonorità pianistica e sonorità orchestrale. Se la scrittura dialogica di Mozart, con i due pianisti che perlopiù si alternano, facilita il raggiungimento di un equilibrio complessivo, è anche vero che essa mette in maggiore evidenza le eventuali disparità fra i due solisti. Il fatto che Sivan Silver e Gil Garburg provengano dalla medesima scuola pianistica - quella del grande didatta israeliano Arie Vardi - è già un ottimo A Mantova eseguiranno i Concerti mozartiani K 365 per due pianoforti e K 242 “Lodron” per tre tastiere. Il loro modo di pensare suono e fraseggi appare perfetto per una rilettura contemporanea di Luca Ciammarughi La formazione del duo pianistico prevede due diversi modi di suonare: da un lato il “quattro mani”, in cui i due pianisti condividono lo stesso strumento, dall’altro il suonare a due pianoforti, in cui ogni pianista ha uno strumento a disposizione tutto per sé. Se il repertorio a quattro mani privilegia la dimensione intimistica, memore dei salotti sette-ottocenteschi e della pratica domestica diffusa fino alla prima metà del ‘900, i due pianoforti evocano una dimensione di maggior spettacolarità. Non è solo l’aumentare del volume sonoro, prodotto da due strumenti piuttosto che uno, a suggerire una dimensione più pubblica che privata, ma la disposizione stessa dei pianoforti: la coda dell’uno inserita in quella dell’altro, vicini eppur lontani nelle 18 musicalmente I CONCERTI punto di partenza: le piccole differenze di personalità che rendono più vario e quindi più piacevole il loro dialogo strumentale si innestano infatti su una forte base condivisa, su una concezione comune del suono, vera e propria conditio sine qua non per il costituirsi di un duo pianistico. Nel caso specifico, il loro modo di pensare il suono e i fraseggi sembra perfetto per traghettare il meraviglioso K 365 nel XXI secolo: sensibilità, lirismo, magistero tecnico al servizio del discorso musicale ci restituiscono un Mozart immune da certi vacui meccanismi da puro divertissement che troppo spesso sono andati di moda nel Novecento; tutto canta, tutto vive in un flusso in cui - comunque - la precisione e il rigore non vengono mai meno. Non è un caso che il duo Silver-Gasburg si sia distinto nell’interpretazio�ne della musica, stavolta a quattro mani, di Franz Schubert: è proprio dal Mozart più intimista che Schubert imparerà la lezione di come quattro mani possano sembrare due. Il suonare a due pianoforti non diventa così un sommarsi potenzialmente fastidioso di sonorità, ma un raffinato gioco di specchi in cui i due strumenti quasi si fanno uno. Questo “farsi uno” ha determinato il fatto che molti dei duo pianistici più celebrati siano stati spesso legati da rapporti di strettissima parentela (i fratelli Kontarsky o le sorelle Labèque) o da relazioni di coppia (Robert & Gaby Casadesus o Arthur Gold & Robert Fizdale): l’ideale è in effetti una capacità di Sopra Sa Chen mentre a lato Sivan Silver e Gil Garburg entrare in simbiosi che non escluda le reciproche differenze. Sivan Silver e Gil Garburg si inseriscono in tal senso mirabilmente in una tradizione interpretativa piuttosto recente (nell’800 il duo pianistico come formazione stabile non era ancora in voga) e quindi foriera di nuovi ed eccitanti sviluppi. CON L’ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA E SA CHEN MERCOLEDì 18 GENNAIO Mercoledì 18 gennaio, al Teatro Sociale di Mantova, il Duo composto da Sivan Silver e Gil Garburg, compagni nell’arte e nella vita, dividerà la scena con la talentuosa pianista cinese Sa Chen e con l’Orchestra da Camera di Mantova. Sa Chen - terza classificata al concorso “Van Cliburn”, due ottimi piazzamenti a Leeds e a Varsavia - interverrà nell’esecuzione dello spettacolare mozartiano Concerto n. 7 in fa maggiore per tre pianoforti e orchestra K 242 “Lodron”. Completerà il programma la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Ludwig van Beethoven, affidata a un’Ocm che affronta in assenza direttore, guidata da Carlo Fabiano nel ruolo di violino concertatore, le vitali energie del primo Beethoven sinfonico. L’Ocm al Teatro Sociale musicalmente 19 I CONCERTI CLAUDIO AMBROSINI compositore e poeta Nato nel 1948 a Venezia fa parte di quella generazione che ha rinnovato profondamente, con grande varietà di linguaggi, la produzione musicale degli ultimi decenni nel nostro paese di Patrizia Luppi Claudio Ambrosini, recente vincitore del Premio Abbiati dell’Associazione nazionale dei critici musicali, è uno dei compositori italiani più apprezzati. Nato nel 1948 a Venezia, dove risiede tuttora, fa parte di quella generazione di cinquanta-sessantenni che hanno rinnovato profondamente, e con grande varietà di linguaggi, la produzione degli ultimi decenni nel nostro Paese; nelle sue partiture spesso si respira una venezianità che trae sostanza da legami dichiarati o sotterranei con lo straordinario patrimonio musicale della Serenissima, da Ambrosini scrupolosamente indagato e assimilato. Non per questo la sua scrittura è passatista, tutt’altro: è avanzata e versatile e si è applicata con successo a molti generi diversi. Non a caso, dunque, nel concerto in programma l’11 febbraio all’Auditorium di Suzzara (ore 20.45), le sue composizioni sono accostate a quella di grandi autori di area veneziana: Giovanni Gabrieli, Claudio Monteverdi, Gian Francesco Malipiero. Ad aprire e chiudere la serata, due brani in cui la musica Claudio Ambrosini 20 musicalmente Le sue composizioni accostate a quelle di Monteverdi e Malipiero. L’11 febbraio all’auditorium di Suzzara l’atteso concerto “A volte, mentre compongo e sono stanco, mi fermo e vado a sfogliare un libro di poesia; così mi rigenero lo spirito” NOTE ALL’ASCOLTO a cura di Andrea Zaniboni Mantova | Teatro Sociale Martedì 18 gennaio 2012 ore 20.45 INSERTO ESTRAIBILE W.A. Mozart Concerto n.10 in mi bemolle maggiore per due pianoforti e orchestra K.365 W.A. Mozart Concerto n. 7 in fa maggiore per tre pianoforti e orchestra K. 242 “Lodron” L.v. Beethoven Sinfonia n.2 in re maggiore op.36 Lavoro radioso, intreccio mirabile di spettacolare dialogo strumentale e squisito stile “galante”, il Concerto in mi bemolle maggiore per due pianoforti può ritenersi come uno degli esempi più efficaci per comprendere il gusto corrente del tempo di Mozart. Brillante rappresentazione di situazioni musicali, arricchito dall’intensità dei contrasti, dalla virtuosità gioiosa, dalla cantabilità sentimentale, presenta efficacemente quel Mozart che, assecondando il suo pubblico, sa come condurlo, con apparente svagatezza, nella regione dell’arte ristoratrice, eterna. Tutto obbedisce ad un progetto complesso eppur, com’è tipico nello scrivere del maestro di Salisburgo, di immediata comprensibilità: il gioco delle tastiere, il rilievo del tessuto orchestrale, la libera interpretazione della forma – se nel primo movimento figurano ben 9 brevi motivi tematici, segnale di inventiva sfrenata – il clima celebrativo, sono le tessere di un mosaico di irresistibile effetto. La partitura fu realizzata nei primi mesi del 1779 a Salisburgo e destinata all’esecuzione congiunta dell’autore e della sorella maggiore “Nannerl”, ma poi dovette diventare una delle pagine favorite negli anni viennesi del compositore. Dei tre movimenti, il primo tesse un dialogo stretto fra i due solisti con gran sfoggio di idee, ora ritmiche e festose, ora delicate e leggere. Il centrale “Andante” invece vibra di toni amorosi, che nel procedere vengono arricchiti di sfumature sempre più pensose. Al finale “Rondò” il compito di riportare il Concerto alla brillantezza. Colpisce che il tema d’ingresso ricalchi quello utilizzato nella precedente Sonata da chiesa K.336, come il fatto che il ribollente passaggio in modo minore troverà citazione nel successivo Flauto Orchestra da Camera di Mantova Carlo FABIANO, violino concertatore Sivan SILVER e Gil GARBURG, duo pianistico Sa CHEN, pianoforte magico. Ma questo conferma come la fantasia mozartiana si nutrisse di una immaginazione nutrita da un fortissimo, inesauribile senso di teatro. Il Concerto per tre pianoforti, scritto esplicitamente per 6 mani femminili (“Dedicato all’incomparabile merito di Sua Eccellenza la Signora Contessa Lodron, nata Contessa d’Arco, e delle sue figlie le Signore Contesse Aloisa e Giuseppa”) all’inizio del 1776, a questo proposito non fa che accentuare il senso dello spettacolo, con tre tastiere in campo, pur sostenendo l’azione non competitiva dei solisti. Lo spirito che infatti qui affiora, non è tanto quello dell’esibizione di bravura, quanto piuttosto quello di un amichevole convivio, di un diletto familiare che si compie ad un contenuto livello di difficoltà tecnica, giusto adatto alle capacità delle prime esecutrici, la contessa Antonia e due delle sue figlie, l’una quattordicenne e l’altra undicenne, tutte allieve dirette, oltre che vicine di casa, di Wolfgang a Salisburgo. Il godibile lavoro comprende i tre classici movimenti: al primo, giocoso e dal tono affermativo fanno seguito un Adagio finemente lavorato, d’ampia tavolozza timbrica e di serena dolcezza, e quindi un conclusivo, vivace Rondò dai caratteri più contrastati. Il Concerto, che attribuisce al terzo pianoforte un ruolo più defilato in raffronto alle altre due parti soliste, fu predisposto dall’autore anche per due pianisti, con abili modifiche di dettaglio. Dopo averne avviato il disegno verso la fine del 1800, Beethoven giunse alla stesura definitiva della Seconda Sinfonia nel corso del 1802 ad Heiligenstadt. Data e luogo rammentano uno dei più drammatici momenti della vita del compositore, di cui il famoso “testamento”, scritto nella disperata consapevolezza della sordità avanzante, ci ha portato prova. Eppure è sconsigliabile il tentativo di individuare connessioni tra vicende biografiche e arte, perché le tracce, se mai ci sono, sembrano in fortissimo contrasto con l’animo di chi accettava di «vivere come un proscritto», pur cosciente d’essere «colmo di amore per l’umanità e del desiderio di bene operare». La Seconda Sinfonia appare piuttosto un inno alla vitalità, cantato con energia indomabile, immagine di un Beethoven decisamente riconoscibile per la forte, quasi scomposta personalità che vi fa capolino, già lontana dalla vivace freschezza della Sinfonia n.1 compiuta tre anni prima. Anche ad una semplice verifica dimensionale, la Seconda denuncia ambizioni crescenti. L’introduttivo “Adagio molto” sottolinea a dovere funzionalità e tensione espressiva, mentre il seguente e collegato “Allegro con brio” ha tutto il tono di una festosa celebrazione che adotta, con chiari propositi di sintesi, la dialettica dei principi opposti. Ma aspetti innovatori, al confine con la brutalità, sono espressi anche nel finale che muovendo dal tagliente incipit, disarciona quell’ascoltatore che attende l’epilogo di maniera. Infatti, questo movimento conclusivo spinge al parossismo tono e dinamiche, fino ad un “burlesco” che non ha proprio nulla di bonario. La Seconda Sinfonia fu presentata il 5 aprile 1803 nel corso di un’interminabile “accademia” che comprendeva il Concerto per pianoforte in do minore, la Prima Sinfonia e l’oratorio Cristo sul Monte degli ulivi. (a.z.) musicalmente 21 m NOTE ALL’ASCOLTO Orchestra della Toscana Ray CHEN, violino Daniele GIORGI, direttore Suzzara | Auditorium Giovedì 26 gennaio 2012 ore 20.45 R. Wagner Idillio di Sigfrido M. Bruch Concerto n.1 in sol minore per violino e orchestra op.26 F. Schubert Sinfonia n.9 in do maggiore D.944 “La Grande” Note estratte da materiale gentilmente concesso in uso da ORT Orchestra della Toscana Richard Wagner compose in gran segreto il Siegfried-Idyll (Idillio di Sigfrido) per festeggiare contemporaneamente il natale del 1870, il trentatreesimo compleanno della moglie che un anno e mezzo prima gli aveva dato un erede maschio e il quarto mese di matrimonio. Wagner si era sposato con Cosima Liszt, di ventiquattro anni più giovane di lui, il 25 agosto precedente, dopo una relazione adulterina durata alcuni anni da cui erano nati tre figli, tutti battezzati con nomi di suoi personaggio operistici: Isolde, Eva e appunto Siegfried. Cosima, che alla morte del marito sarebbe diventata la sacerdotessa del suo culto a Bayreuth, era figlia di Franz Liszt e della bellissima Marie d’Agoult, e prima moglie del pianista e direttore d’orchestra Hans von Bülow, un wagneriano di ferro. Nella loro dimora svizzera di Triebschen, sul lago di Lucerna, quella mattina del 25 dicembre il compositore aveva radunato una piccola orchestra che, non appena Cosima si affacciò dalla sua camera, cominciò a suonare questo poema sinfonico dall’organico in miniatura (13 strumenti: flauto, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba, archi), testimonianza di un’ispirazione domestica, ‘reservata’, placidamente confidenziale e intimistica del tutto inconsueta per Wagner. La scena della sveglia di Cosima e dell’offerta musicale dell’Idillio è stata meticolosamente ricostruita da Luchino Visconti nel film Ludwig. Gregorio Moppi (…) Il rinvenimento della Sinfonia in do maggiore, detta Grande per distinguerla dall’altra giovanile nella medesima tonalità ma di proporzioni più ridotte perciò denominata Piccola, si deve a un Robert Schumann in trasferta viennese (…)Schumann aveva fatto visita a Ferdinand Schubert, che presso di sé conservava una gran messe di inediti del fratello Franz. Tra questi giaceva anche la partitura della Sinfonia 22 musicalmente in do maggiore, inviata immediatamente all’amico e collega Felix Mendelssohn, a Lipsia, perché la dirigesse nella stagione di concerti del Gewandhaus. Esecuzione avvenuta il 23 marzo 1839, di nuovo in dicembre, e poi ancora nel marzo e nell’aprile 1840. Era la prima volta che la Sinfonia veniva data in pubblico. (…) Fino a qualche anno fa si credeva che la Grande risalisse al 1828, anno della morte del compositore, così come scritto sulla prima pagina del manoscritto. Studi piuttosto recenti (condotti anche sulla carta e sull’inchiostro impiegati) hanno invece permesso di retrodatarne la composizione. Dunque Schubert vi lavorò nell’estate del 1825, durante i soggiorni a Gmunden e Gastein, ritornandovi sopra a Vienna, in autunno. (…) Nonostante le proporzioni inconsuete per l’epoca, la Grande si mostra monumentale solo in superficie (la «sublime lunghezza» che le riconosceva Schumann). Nella sostanza invece è tutt’altro che granitica: procede con passo narrativo e svagato, trascolorante da un episodio all’altro in maniera discorsiva, piana, a tratti fantastica, attraverso morbide concatenazioni sintattiche e strutturali tipicamente schubertiane. Di Beethoven, venerato modello di riferimento cui viene reso omaggio nell’ultimo movimento richiamandone l’Inno alla gioia dalla Nona Sinfonia, non vi sono l’impeto eroico di proporzioni ferree e stringate, le deflagrazioni dialettiche, lo sviluppo organico del materiale tematico. (…) Schubert non poteva davvero tradire la sua natura più profonda, rinunciare all’espansione lirica, alle caratteristiche modulazioni e sospensioni armoniche, alla frequente contrapposizione timbrica e dinamica tra archi, forte, e fiati, piano, a spargere per la partitura gioielli tematici, paesaggi dello spirito, digressioni, indugi, pause, emozioni più o meno fugaci. La sua originalità sta nell’esser riuscito a connetterli in una struttura ariosa, certo distante dalla scultorea concen- trazione beethoveniana, a suo modo, tuttavia, logica, coerente, unitaria. Gregorio Moppi (…) Apprezzato come direttore e come didatta, autore di un copioso catalogo che si proietta addirittura fino al 1919 (…) Max Bruch è visto erroneamente come un epigono brahmsiano; in realtà si mantenne fedele ancora in pieno Ventesimo secolo alla sua formazione nel solco di Mendelssohn. Tratti mendelssohniani caratterizzano infatti la natura lirica della sua ispirazione, che nei momenti migliori è soavemente e affettuosamente espansa come in certe Romanze senza parole. L’osservazione vale per il giovanile Concerto in sol minore op.26, l’unico pezzo di Bruch oggi sopravvissuto in repertorio, assieme al Kol Nidrei op.47 per violoncello e orchestra su melodie ebraiche. Bruch vi lavorò a lungo, dal 1864 al 1868, e già nel ‘66 ne aveva licenziata una prima versione su cui Joachim sarebbe poi intervenuto per una revisione ulteriore, da lui portata al successo. Il primo tempo è un Preludio dal carattere libero e soavemente rapsodico, in cui l’ingresso del solista con una sorta di cadenza potrebbe richiamare proprio il modello beethoveniano. (…) Il Preludio sfocia direttamente nell’Adagio, soave ed intenso, costruito su un tema nobilmente sentimentale da Romanza strumentale, non immemore dell’Adagio del concerto mendelssohniano, abbastanza ampio da dar luogo ad una struttura articolata di colloquio tra solista e orchestra, in cui l’ampia idea principale interagisce con un disegno alternativo breve e vivo, successivamente introdotto, che propizia il collegamento diretto con il Finale. (…)Soprattutto lo slancio cavalleresco di questo Finale, impostato su un tema magnificamente ambientato nei bicordi dello strumento solista, ha assicurato al Concerto op.26 l’affetto dei grandi concertisti e la sua permanenza nel repertorio. Elisabetta Torselli Suzzara | Auditorium Sabato 11 febbraio 2012 ore 20.45 Musiche e poesie tra pianura e laguna C. Ambrosini Dai Filò di Zanzotto, trittico per quattro voci femminili e pianoforte G. Gabrieli Toccata sul Secondo Tono per clavicembalo C. Monteverdi Piang’e sospira, dal IV Libro dei madrigali G.F. Malipiero Ricercar Toccando per pianoforte C. Ambrosini Ur-Malo, da Meneghello, polittico per quattro voci femminili, pianoforte e cose Un concerto-omaggio a due tra i più importanti scrittori italiani contemporanei, Meneghello e Zanzotto, di cui vengono presentate alcune pagine dialettali messe in musica da Claudio Ambrosini. Per questi due lavori, i primi di una serie “in progress” sulla letteratura italiana avviata in collaborazione con l’Ateneo Veneto, Ambrosini si è avvalso di un organico-base piuttosto inusuale, costituito da quattro voci femminili e pianoforte. Dai Filò di Zanzotto (2003) è un trittico che accosta tre frammenti tratti da Filò, raccolta pubblicata da Zanzotto nel 1976 e, in parte, usata da Fellini per il suo film Casanova. Nel libro, all’immagine iniziale di una Venezia sensuale – “Venusia” dai capelli “blu e biondi” – fa seguito una riflessione a tratti amara sul “vecio parlar”, sul dialetto, che il poeta ritrova in un momento di doloroso bilancio della sua vita. La perdita della madre gli riapre sentieri interiori da cui parte una profonda riflessione sullo stato della nostra terra e della nostra società. Nella musica, ai ritmi “liquidi” dell’inizio – che alternano momenti di calma lagunare ad ondate tempestose – fanno seguito successioni veloci di termini dialettali brevi, scattanti, irregolari: per Zanzotto il “vecio parlar” ha, nel suo sapore, “un s’cip del lat de la Eva” (un goccino del latte di Eva). Un “parlare” che tocca anche le corde della sofferenza e che, come molte cose ormai, è in pericolo. Ma nella terza parte si fa strada un piccola speranza, espressa nell’auspicio che si arrivi alla creazione di un nuovo “tessuto” di comunicazione, in grado di ricomporre in un disegno armonioso “i fili del sogno e della ragione”. Ur-Malo, da Meneghello (2007) è invece un “polittico per quattro voci femminili, pianoforte e cose” in cui Ensemble Vox Secreta Stefano CELEGHIN, concertatore Matteo LIVA, pianoforte Sonia VISENTIN, Sheila RECH, soprani Julie MELLOR, mezzosoprano Caterian BONELLI, contralto delle poesie-filastrocche-quasi/nonsense (pubblicate dallo scrittore maladense in Pomo pero, come “corollario” al suo capolavoro Libera nos a malo) vengono rese da Ambrosini accostando allo strumento “accademico per eccellenza” – il pianoforte – altri piccoli strumenti a percussione e, soprattutto, delle cose, robe, oggetti in gran parte desunti dalla quotidianità o dall’ambiente rurale che fa da contorno alle narrazioni di Meneghello: zucche, melograni, scopini, bottiglie, spazzole di saggina, conchiglie, carta argentata, richiami per gli uccelli… Colto e “campagnolo”, alto e basso dunque continuamente mescolati e assorbiti nei vortici delle sorprendenti sequenze ritmiche di monosillabi, bisillabi, trisillabi architettate dallo scrittore e sciorinate in felice bilico tra sapienza e ironia. L’esecuzione di entrambi i lavori viene preceduta dall’ascolto “della voce del poeta”: quella vera di Zanzotto, che legge la sua poesia e quella “indiretta” di Meneghello, sonoramente rappresentato da rumori e voci raccolti da Ambrosini nelle strade di Malo. Claudio Ambrosini *** Dai Filò di Zanzotto L’ora illanguidisce nella cenere dello scaldino, è l’ora di andarsene, di lasciare il calduccio del covo. Ma dalle poche braci di quaggiù, dai fiati dei filò di quaggiù, se i fili se i fili del sogno e della ragione tra loro si fileranno, lassù, nei dintorni del tirar vento di stelle si accenderanno i nostri mille parlari e pensieri nuovi in un parlare che sarà uno per tutti, fondo come un baciare, aperto sulla luce, sul buio, davanti alla mannaia piantata nel buio col suo taglio chiaro, appena affilato da sempre. Un estratto dai testi per Dai Filò di Zanzotto - Trascrizioni in italiano a cura di Tiziano Rizzo 1. O come ti cressi, o luna dei busi fondi, o come ti nassi, cavegi blu e biondi, nu par ti, ti par nu, la gran marina no te sèra più, le gran barene de ti se inlaga, vien su, dragona de arzento, maga! Aàh Venessia aàh Venaga aàh Venùsia Oci de bissa, de basilissa O come cresci, o luna dei baratri fondi, o come nasci, capelli blu e biondi, noi per te, tu per noi, il grande mare più non ti rinserra, le grandi barene di te si allagano, sali, dragona d’argento, maga! Aàh Venessia aàh Venaga aàh Venùsia Occhi di biscia, di regina 3. L’ora se slanguoris inte ‘l zhendre del scaldin, l’é l’ora de des‘ciorse, de assar al calduzh, al coàt. Ma da ‘ste poche brónzhe de qua dó, dai fià dei filò de qua dó, si i fii, si i fii del insoniarse e rajonar tra lori se filarà, là sù, là par atorno del ventar de le stele se inpizharà i nostri mili parlar e pensar nóvi inte ‘n parlar che sarà un par tuti, fondo come un basar, vèrt sul ciaro, sul scur, davanti la manèra inpiantada inte ‘l scur col sò taj ciaro, ‘pena guà da senpre. *** musicalmente 23 m NOTE ALL’ASCOLTO Orchestra da Camera di Mantova Sol GABETTA, violoncello Michael Talbot, accreditato studioso di Vivaldi, nel suo libro dedicato al maestro veneziano ricorre ad una datata definizione del Mattheson, celebre teorico tedesco riferita alla forma concerto, laddove questi la considera realizzata «in modo tale che ciascuna parte a volta a volta predomini e rivaleggi, per così dire, con altre parti». In realtà il Concerto vivaldiano non rincorre quest’unico obbiettivo: si può infatti dire che le soluzioni adottate siano molteplici, e che tali si diano anche in ragione di variegati rapporti tra i movimenti che li compongono. Ciò che tuttavia costituisce l’aspetto ricorrente è l’accensione ritmica, la chiarezza dell’eloquio, la virtuosità che dal solista si trasferisce all’orchestra, il dinamismo che assume il confronto fra le parti, la variabilità dei dettagli. Per quanto è dato sapere oggi, degli oltre 300 concerti che Vivaldi destinò ad uno strumento solista e orchestra d’archi, quelli per violoncello assommano a 27 offrendo prova della maturazione a cui era giunta questo strumento dopo i primi esperimenti concertanti comparsi, per mano di altri autori, anche secondari, all’inizio del Settecento. I Concerti in fa maggiore RV410 ed in sol minore RV416, coinvolgono lo strumento solista pienamente, lo pongono in grande evidenza con le sue caratteristiche virtuosistiche e di canto, ma rispettano le convenzioni del genere adottando i tre movimenti classici secondo la successione tradizionale (veloce,lento,veloce). Singolare risulta la sottolineatura pronunciata – in confronto a quanto avviene nei concerti per violino – sul piano melodico, che coinvolge il “tutti” e che assume suggestivi toni arcaici nelle sezioni lente. «Un musicista commuove gli altri soltanto se egli stesso è commosso: è indispensabile che provi tutti gli stati 24 musicalmente Mantova | Teatro Bibiena Martedì 22 febbraio 2012 ore 20.45 C.P.E. Bach Sinfonia n.2 in si bemolle maggiore Wq 182/2 A. Vivaldi Concerto in fa maggiore per violoncello e archi RV 410 A. Vivaldi Concerto in sol minore per violoncello e archi RV 416 W.A. Mozart Divertimento in fa maggiore K.138 G. Platti Concerto in sol minore a violoncello obbligato P.V. 657 A. Vivaldi Concerto in fa minore “L’inverno” RV 297 (da Le quattro stagioni) d’animo che vuole suscitare nei suoi ascoltatori, perché in tal modo farà loro comprendere i suoi sentimenti e li farà partecipare alle sue emozioni». Così scriveva Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788), secondo figlio di Johann Sebastian, nel suo Saggio di metodo per la tastiera trasferendo sul piano didattico la medesima convinzione affermata come creatore, quella che lo rese esponente di primo piano del cosiddetto Empfindsamer Stil, lo stile sentimentale o della sensibilità. Uno stile esercitato nei generi più disparati e poi anche nelle sinfonie, rappresentative della sua tendenza modernista aperta ad un ampio ventaglio di caratteri. C. P. Emanuel risulta autore di 18 sinfonie, numero contenuto per quei tempi: 8 scritte a Berlino, alla corte di Federico il Grande, ed altre 10 ad Amburgo dove il compositore si trasferì nel 1768 in sostituzione del defunto Telemann. Le prime 6 delle dieci sinfonie amburghesi (1773), costituiscono a loro volta una serie coerente, essendo destinate ad un organico di archi e continuo, e composte su commissione del barone van Swieten, a quel tempo ambasciatore d’Austria a Berlino, il quale aveva raccomandato al musicista di abbandonarsi all’ispirazione senza il minimo scrupolo per le difficoltà esecutive che ne sarebbero potute derivare. Tale richiesta aveva evidentemente uno scopo: quello di ottenere il meglio dalla fantasiosità del maestro, già ben saggiata nelle opere per tastiera. E l’obbiettivo parve raggiunto nel commento che ne diede Friedrich Reichardt quarant’anni dopo, sottolineando «l’ardito e originale corso delle idee, e la grande varietà e novità di forme e modulazioni». Commento adeguato anche per la Seconda Sinfonia della serie, legata sì a schemi barocchi ma ad essi estranea nella fisionomia esplosiva dei materiali, negli sbalzi umorali, nella ricercata continuità dell’azione, nella estrosità travolgente che contraddistingue i movimenti veloci, nel senso di meditazione che avvolge il breve “Adagio”. E così una piccola orchestra d’archi fa scorgere la rivoluzione delle idee. Il nome di Giovanni Benedetto Platti non ricorre frequentemente negli odierni programmi da concerto ma è oggetto di un interesse crescente che peraltro riflette il riconoscimento di una personalità non comune che, padrona dei modi del Barocco si protende verso quelli preclassici con notevoli esiti. Tale cifra stilistica è stata notata da Roberto Zanetti sia laddove si è occupato delle sue sonate per cembalo, definendolo «uno dei più notevoli innovatori del sonatismo italiano» pur considerando l’influenza che su di lui certamente esercitò l’ambiente tedesco. Non è infatti marginale il fatto che Platti, veneto di origine (forse nato a Padova nel 1697), visse a lungo, fin da giovane e fino alla morte (1763), in terra germanica ed in particolare a Würzburg, in Baviera, dove approdò agli inizi degli anni Venti. Tra i tanti meriti di Platti c’è anche quello di aver coltivato, fra i primi, la letteratura per violoncello: una raccolta di 12 sonate si data 1725, mentre di incerta collocazione sono i molti concerti per violoncello conservati a Wiesentheid, una delle tappe toccate da Platti prima del servizio a Würzburg. Il numero totale di questi lavori suddivisi in due gruppi (Concerti a violoncello concertato e Concerti a violoncello obbligato) assomma a 37 considerando le partiture incomplete e le trascrizioni, e da esso viene estratto il Concerto in sol minore, in prima esecuzione moderna, da cui trarre l’immagine di un maestro capace di dominare la virtuosità più turbolenta e le più tenui distensioni liriche con i sapori di una felicissima comunicativa. (a.z.) I CONCERTI A sinistra il compositore veneziano Claudio Amvbrosini e a destra il poeta veneto Andrea Zanzotto scomparso lo scorso 18 ottobre poco dopo aver compiuto novant’anni di Ambrosini incontra le parole di due poeti e scrittori veneti da lui molto amati: Andrea Zanzotto e Luigi Meneghello. «La mia inclinazione verso la poesia», ci spiega Claudio Ambrosini, «è nata ai tempi del Liceo classico e dell’Università. Nel mio studio, a parte gli spartiti e tutto ciò che riguarda la musica, c’è un solo scaffale di libri – tutti gli altri li tengo a casa – che contiene esclusivamente opere di poesia. A volte, mentre compongo e sono stanco, mi fermo e vado a sfogliarne uno; così mi rigenero lo spirito». Ambrosini prosegue parlando del suo rapporto con l’opera di Zanzotto: «Avevo appena composto un’operina su Casanova quando ho letto il suo libro Filò, il testo che Zanzotto aveva scritto per il Casanova di Fellini. Filò sono quelle serate che i contadini e le loro famiglie trascorrono in campagna, riunendosi al caldo nelle stalle, parlando e raccontando. Sono momenti in cui c’è una grande trasmissione diretta di cultura, tra persone e generazioni, che si Ad aprire e chiudere la serata due brani in cui la musica di Ambrosini incontra le parole di Zanzotto e Meneghello sta perdendo ai nostri tempi, benché Internet permetta l’accesso a tutti gli angoli del mondo». Nel 2007 Ambrosini ha fondato l’Ensemble Vox Secreta, al quale è affidata l’esecuzione. «È una formazione abbastanza rara e secondo me molto stimolante: quattro voci femminili che corrispondono in sostanza al quartetto d’archi. Un quartetto misto mette insieme dei timbri non identici, mentre qui, con un soprano acuto, uno lirico, un mezzosoprano e un contralto (nel concerto di Suzzara saranno Sonia Visentin, Sheila Rech, Julie Mellor e Caterina Bonelli), si ottiene una grandissima estensione e un’estrema omogeneità di timbro. Al quartetto femminile si aggiungono un pianista e un concertatore (Matteo Liva e Stefano Celeghin) che a volte suonano il clavicembalo o l’organo e a volte si aggiungono al canto. L’obiettivo è quello di proporre musiche nuove, ma anche di interpretare il repertorio madrigalistico del quale Venezia possiede un patrimonio immenso». L’ENSEMBLE VOX SECRETA E L’OMAGGIO AL GRANDE POETA VENETO DEI FILO’ Il concerto dell’ensemble Vox Secreta a Suzzara era stato ideato con l’intento di rendere omaggio ad Andrea Zanzotto per i suoi novant’anni attraverso l’esecuzione di Dai Filò di Zanzotto, trittico per quattro voci femminili e pianoforte di Claudio Ambrosini. Purtroppo, il grande letterato di Pieve di Soligo (Treviso) si è spento il 18 ottobre scorso, solo otto giorni dopo il compleanno. Zanzotto, una delle voci più alte della poesia italiana, si era messo in luce intorno al 1950, dopo una partecipazione attiva alla Resistenza, grazie in particolare a Giuseppe Ungaretti, all’ermetismo del quale si avvicinò per sviluppare poi una propria linea del tutto personale. Le sue scelte lessicali erano eterogenee, variegati gli elementi ispirati dai molti temi culturali e sociali cui il poeta si era avvicinato. Nella propria opera, Andrea Zanzotto sviluppò una riflessione profonda sull’esistenza e sulle sorti dell’umanità; per lui la poesia era come la libertà, «una sola parola, quella che salva l’anima». musicalmente 25 I CONCERTI Sapete, Sol Gabetta ha un fratello maggiore di nome Andrés, buon violinista. A giudicare dal tipo di immagine che le hanno cucito addosso, sembrerebbe invece che Sol (forse il diminuitivo di Soledad?) sia una tipica figlia unica, brava bella e un po’ viziata. Sulle copertine dei dischi e nelle fotografie ufficiali si vede solo lei, Sol, sempre in primo piano e sempre insieme al violoncello. Sol che suona in vestito da sera, Sol in jeans e maglietta, Sol con l’aria sbarazzina e sorridente, Sol con i capelli mossi dal vento, eccetera. Sembra che qualunque altro artista attorno a lei diventi invisibile e debba farsi da parte, per evitare il rischio di gettare la minima ombra sulla sua figura principesca. Persino quando interpreta i lavori di uno dei maggiori compositori di oggi, il lituano Peteris Vasks, Sol riesce a occupare l’intera scena, come se la musica che nasce dalle sue mani fosse solo merito suo. L’impressione insomma è di trovarsi di fronte a una sorta di Federica Pellegrini del violoncello. Certo, le doti della diva non le mancano. In primo luogo, un grande talento. Sol Gabetta non è stata un wunder Kind, ma una ragazza che con disciplina e determinazione ha messo a frutto i doni abbondanti della sua natura musicale, lavorando sodo fin da piccola. Dei vecchi filmati della televisione argentina la mostrano a otto anni, con un vestitino di velluto e una corona di treccine, mentre suona un pezzo da concerto tutta seria e concentrata, senza sbagliare una nota, la perfetta prima della classe che tutti in cuor nostro abbiamo odiato a scuola. Ma Sol Gabetta è anche una donna di grande intelligenza. Parla alla perfezione tedesco, francese, di Oreste Bossini italiano e inglese, oltre allo spa- SOL, principessa del violoncello Attraverso il suo Guadagnini del 1759 esprime un mondo di molteplici interessi e il desiderio di vivere sempre nuove avventure. A riprova un repertorio che va dal barocco al contemporaneo 26 musicalmente I CONCERTI Una professionista impeccabile: la sua splendida carriera riflette una perfetta organizzazione mentale Col fratello Andrés ha fondato la Cappella Gabetta. E firma un piccolo festival barocco battezzato SOLsberg Sopra Sol Gabetta, tra i protagonisti del calendario 2012 delle star della classica. A lato, il fratello Andrés gnolo, in questo aiutata anche dal miscuglio delle sue origini. I genitori infatti, anche loro musicisti ed emigrati in Argentina, vantano radici russe, francesi e italiane. Ma oltre alla facilità di parlare le lingue, Sol sa esprimere molto bene i suoi pensieri e ha una spontanea capacità di comunicare. È davvero una professionista impeccabile e la sua splendida carriera riflette la perfetta organizzazione mentale di questa musicista ancora giovanissima. Il successo tuttavia per un artista non è tutto. L’intuito, la fantasia, la sensibilità sono ingredienti indispensabili per parlare con la musica al cuore delle persone. Attraverso la voce del suo violoncello (un Giovanbattista Guadagnini del 1759, avuto in prestito grazie alla generosità di un mecenate), Sol Gabetta esprime un mondo di molteplici interessi e il desiderio di vivere sempre nuove avventure. L’arco del suo repertorio abbraccia sia la musica barocca, sia il linguaggio contemporaneo, passando ovviamente per i capolavori del periodo classico e romantico. Da qualche tempo, per esempio, Sol Gabetta ha scoperto l’energia e la forza espressiva della musica strumentale italiana del primo Settecento, in particolare di Vivaldi. Con molta umiltà e la consueta applicazione professionale si è immersa in questo nuovo mondo dalle prospettive sonore vertiginose e dai colori timbrici accesi, figli della pittura dei grandi artisti veneziani come Tiziano e Tintoretto. Da qualche tempo viene in Italia spesso, per capire da dove nasce questa musica e per imparare dai nostri musicisti il segreto di una espressione allo stesso tempo vibrante e razionale, appassionata e classica. Si diceva all’inizio del fratello Andrés. Insieme hanno fondato un ensemble, la Cappella Gabetta, proprio per suonare insieme la musica barocca e anche un piccolo festival nel monastero di Olsberg, in Germania (si chiama SOLsberg, tanto per non smentirsi), dove si ritrovano con vari amici per leggere musica da camera. Malgrado le apparenze, dunque, nella famiglia Gabetta c’è in realtà anche un fratello maggiore. musicalmente 27 I CONCERTI Debutto a Mantova, poi SI RITORNA IN SVIZZERA L’Orchestra da Camera di Mantova varca il confine per la seconda volta in tre mesi: Ennenda e Coira le mete che raggiungerà con Sol Gabetta. A novembre, con il flautista András Adorján, si era esibita a Sciaffusa di Vincenzo Mancini Mantova, Ennenda, Coira. Un trittico di date, tra Italia e Svizzera, attende il nuovo progetto dell’Orchestra da Camera di Mantova con la violoncellista d’origini argentine Sol Gabetta. Il prossimo febbraio, con debutto mercoledì 22 a Tempo d’Orchestra, nella cornice del Teatro Bibiena (ore 20.45), e successivi concerti il 23 a Coira e il 24 a Ennenda, nelle strettissime vicinanze della città di Glarus, insieme proporranno un programma seducente e godibilissimo, che si concentra su pagine degli italiani (veneti) Vivaldi e Platti, cui si abbinano una sinfonia (la n.2 in si bemolle maggiore) di Carl Philipp Emanuel Bach e un divertimento (K138 in fa maggiore) di Wolfgang Amadeus Mozart. Di Vivaldi spicca e incuriosisce L’inverno dalle Quattro stagioni in adattamento per violoncello. I concerti per violoncello e archi in sol minore e in fa maggiore completano l’omaggio al compositore. Quindi l’attenzione si sposta su Platti di cui si andrà ad ascoltare il Concerto in sol minore a violoncello obbligato. Orchestra da Camera di Mantova e Sol Gabetta sono stati protagonisti di una precedente tournée, nel maggio 2009, in terra tedesca, accolta con entusiasmo da società concertistiche e pubblico. Ora si torna a collaborare, con questo nuovo ciclo di appuntamenti che portano l’Ocm in Svizzera per la seconda volta in questa stagione: lo scorso novembre, con il flautista András Adorján, la compagine mantovana era stata protagonista di una riuscitissma serata a Sciaffusa (musiche di Boccherini, Mozart, Haydn), dove è attesa nuovamente nel marzo 2014. 28 musicalmente Nella foto d’apertura l’Ocm con Sol Gabetta nella tournée tedesca 2009 Qui sopra l’Ocm con Adorján a Sciaffusa IN ORCHESTRA a cura di Valentina Pavesi OCM & NICOLA BENEDETTI: BATTESIMO DI GRANDE MUSICA PER L’AUDITORIUM DI POGGIO RUSCO Concertgebouw Nella calza della Befana il CONCERTGEBOUW Amsterdam, Concertgebouw, domenica 8 gennaio 2012. La più prossima delle mete internazionali dell’Orchestra da Camera di Mantova è di quelle che tutti i musicisti sognano di raggiungere. Per via di attributi che la rendono praticamente perfetta dal punto di vista dell’acustica, la sua Grote Zaal del Concertgebouw è annoverata tra le migliori sale al mondo. Con i suoi oltre 900 concerti e il suo milione di presenze l’anno, il Concertgebouw è tra i contenitori più frequentati. Tutto ciò concorre a fare di esso uno dei centri nevralgici d’Europa per la musica classica. La struttura venne progettata nella seconda metà dell’Ottocento e la sua edificazione richiese quasi sei anni, a partire dal 1883. L’inaugurazione ufficiale si ebbe dunque nell’aprile 1888. Raso al suolo da un bombardamento aereo delle forze naziste nel 1943, fu oggetto in seguito di una pesante opera di ricostruzione ed è oggi sede della Royal Concertgebouw Orchestra, una delle migliori compagini a livello mondiale. L’Ocm si esibirà nella Grote Zaal, la principale delle due sale della struttura (che è dotata appunto anche di uno spazio più contenuto, utilizzato principalmente per la musica da camera), che si caratterizza per 2037 posti a sedere, 44 metri di lunghezza, 28 di larghezza e 17 d’altezza. L’Orchestra da Camera di Mantova vi approderà al fianco della violinista scozzese Nicola Benedetti, con la quale ha debuttato, nell’ambito di Tempo d’Orchestra, lo scorso novembre (al riguardo si veda la recensione a lato, ndr). Analogo a quello di tale prima, il programma, che prevede Concerto in la maggiore per violino di Mozart e Sinfonia in mi minore “Trauer” di Haydn. Nicola Benedetti È un premio prezioso quello che ha atteso quanti hanno osato sfidare il gelido nebbione di martedì 15 novembre per raggiungere l’Auditorium di Poggio Rusco. L’Orchestra da Camera di Mantova e la violinista Nicola Benedetti hanno donato al pubblico una serata di grandissima musica in cui, grazie anche all’armoniosa risonanza con la splendida solista, l’eccellenza tecnica, la classe interpretativa e l’arte di emozionare che ormai da un trentennio costituiscono l’inconfondibile sigillo dell’Ocm sono brillate ai massimi livelli. Ad esaltare lo sfavillio, in una sorta di fatata e reciproca rifrazione, hanno contribuito le tre gemme in programma: dalle vampe sulfuree cariche di echi gluckiani che guizzano nella Casa del diavolo di Boccherini all’anticipo di romantico Sturm und Drang racchiuso nella poderosa Trauer di Haydn, passando per la perfetta sintesi di ragione e sentimento, maturità e slancio giovanile, racchiusa nel Concerto per violino in la maggiore di Mozart. Un brano questo la cui straordinaria bellezza e poesia sono state rese con piglio sicuro, intonazione adamantina e il suono ben in corda di chi è abituato alle grandi sale dalla Benedetti e dal suo Stradivari del 1712, poderoso cavallo di razza domato da virtuosissima amazzone. Tre le gemme ma tre anche le inaugurazioni: quella dell’Auditorium, apprezzato per un’acustica ben sopra la media dei moderni spazi musicali; quella della sinergia artistica tra l’Ocm e la Fondazione Innovarte, che ha ospitato l’evento; quella della collaborazione tra l’Orchestra e la giovane violinista scozzese di ascendenze italiane. Una serata indimenticabile dunque, suggellata da due applauditissimi fuoriprogramma. Chi le ha preferito il tiepido ozio di un soporifero televisore si è perso qualcosa di speciale. Peccato. (c.b.) musicalmente 29 IN ORCHESTRA The Observer: “Ha preso avvio un viaggio elettrizzante” È uscito nel mese di ottobre il primo cd mozartiano realizzato da Angela Hewitt con l’Orchestra da Camera di Mantova per l’etichetta londinese Hyperion. Entrato nella top 20 della prestigiosa rivista Gramophone, che ha anche elogiato l’incisione con una recensione dai toni molto positivi, il cd ha raccolto consensi e apprezzamenti unanimi da parte della critica specializzata. All’estero note liete giungono da prestigiose testate, prima fra tutte The Observer. Stephen Pritchard scrive, a fine settembre: «Chiunque sia stato così fortunato da trovarsi alla Queen Elizabeth Hall ad aprile ad ascoltare Angela Hewitt dirigere dalla tastiera il Concerto per pianoforte n. 9 K. 271 di Mozart sarà allietato della sua nuova ambizione di registrare tutti e 27 i Concerti per Hyperion. A giudicare dal primo esempio, sta per concretizzarsi un percorso tanto rivelatore quanto la sua esplorazione dei maggiori lavori per tastiera di Bach. Hewitt è anche violinista e così aggiunge eleganti e pratiche intuizioni alla sua direzione (…) È affiancata in questa eccitante e nuova impresa dall’Orchestra da Camera di Mantova, che condivide la sua attenzione ai dettagli stilistici. L’impressione è che abbia preso av- vio un elettrizzante viaggio”. Pochi giorni più tardi gli fa eco The Guardian attribuendo al cd una valutazione a quattro stelle. Ancora, The World of The WholeNote, per voce di Richard Haskell, sottolinea come la Hewitt, affiancata dall’Orchestra da Camera di Mantova, dimostri di sentirsi a casa propria tanto con Mozart quanto con la musica del periodo barocco o di quello tardo romantico: «Il disco - si legge - è un gioiello! Il suo (della Hewitt, ndr ) suonare è ricco di stile ed elegante, caratterizzato da una fraseggio molto ben articolato e una raffinata sensibilità, mentre i 29 musicisti dell’ensemble orchestrale rappresentano un partner musicale formidabile». «Bravissimo a tutti - conclude (in italiano) il giornalista - per l’ottima performance. Ne attendiamo altre da questo ciclo». Il portale Sound and Music osserva, invece: «Eseguendo questi concerti Angela Hewitt sfoggia la sua caratteristica eleganza e la sua innata musicalità, venendo accompagnata dall’Orchestra da Camera di Mantova, formazione dotata di un impasto sonoro di impeccabile raffinatezza». In Italia la prima ad essersi diffusaOcm-Hewitt a Dobbiaco Nei negozi di dischi da ottobre il primo dei due cd incisi da Angela Hewitt con l’Ocm nella Sala Mahler di Dobbiaco mente occupata del lavoro è stata la rivista Musica, che sul numero di dicembre/gennaio gli attribuisce quattro stelle, osservando che il «nuovo cd di Angela Hewitt rappresenta una piccola novità», con il suo portato di «naturalezza» e «calore», dovuti anche alla «sintonia venutasi a creare con l’Orchestra da Camera di Mantova». «Carlo Fabiano – si legge ancora – dirige con discrezione dal leggio del primo violino, ottenendo un timbro trasparente senza però assottigliare troppo il suono (…) Dal canto suo l’Orchestra da Camera di Mantova suona decisamente bene (...)». Se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera... LA SCHEDA DEL CD Wolfgang Amadeus Mozart Concerto n. 6 in si bemolle maggiore K 238 Concerto n. 8 in do maggiore K 246 “Lützow” Concerto n. 9 in mi bemolle maggiore K 271 “Jeunehomme” Orchestra da Camera di Mantova Solista Angela Hewitt (pianoforte) Etichetta Hyperion Anno 2011 Prezzo € 19,90 30 musicalmente IN ORCHESTRA Musiche di C.P.E. Bach, A. Vivaldi, W.A. Mozart, G. Platti I PROSSIMI CONCERTI DELL’ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA Domenica 08 Gennaio 2012 Amsterdam (NL), Concertgebouw, ore 11 Orchestra da Camera di Mantova Nicola Benedetti, violino Musiche di W.A. Mozart, F.J. Haydn Mercoledì 18 Gennaio 2012 Mantova, Teatro Sociale, ore 20.45 Orchestra da Camera di Mantova Carlo Fabiano, violino concertatore Silver Garburg Duo Sa Chen, pianoforte Musiche di W.A. Mozart, L.v.Beethoven Mercoledì 22 Febbraio 2012 Mantova, Teatro Bibiena, ore 20.45 Giovedì 23 Febbraio 2012 Coira (CH), Stadttheater, ore 20.30 Venerdì 24 Febbraio 2012 Ennenda (CH), Gemeindehaussaal, ore 20 Orchestra da Camera di Mantova Sol Gabetta, violoncello Venerdì 16 Marzo 2012 Quistello, Teatro Lux, ore 20.45 Orchestra da Camera di Mantova Isabelle Moretti, arpa Musiche di F. Mendelssohn, E. Parish-Alvars, C. Debussy, F.J. Haydn Martedì 20 Marzo 2012 Pavia, Teatro Fraschini, ore 21.00 Orchestra da Camera di Mantova Viktoria Mullova, violino Musiche di L.v. Beethoven, W.A. Mozart OCM&LONQUICH cronaca di un successo trionfale Dapprima l’inaugurazione della stagione mantovana Tempo d’Orchestra, con un’intera giornata di appuntamenti dedicati a Beethoven culminata in una maratona attraverso i meravigliosi cinque concerti per pianoforte e orchestra. A seguire l’apertura, al suon della medesima integrale (proposta stavolta in doppia serata) del cartellone 2011/12 dell’Unione Musicale di Torino. E ancora la prima della Società del Quartetto di Vicenza, nonché serate da tutto esaurito al Teatro Valli di Reggio Emilia e al Comunale di Monfalcone, nel segno di Mozart, Mendelssohn, Schubert e Beethoven. È stato un autunno decisamente caldo quello del sodalizio Orchestra da Camera di Mantova-Alexander Lonquich, con propaggine dicembrina per una doppia performance nello storico Musikverein dell’austriaca Graz, in diffusione rac’è anzi un vigore insodiofonica dall’Orf, la radio nazionale del Paese d’Oltralspettato (…), un’enerpe. Entusiasmanti gli esiti, testimoniati dalla pargia speranzosa che si tecipazione del pubblico e da numerose ottime riflette nella magnifiOcm con Lonquich a Graz recensioni, oltre che da reinviti immediatamenca duttilità e incisività te scaturiti da parte di più direzioni artistiche. A dell’Orchestra da CaGraz, ad esempio, gli artisti torneranno – e sarà mera di Mantova, emola quarta volta in una manciata d’anni – «presto» zionante nell’abbaassicura il manager Marcus Gisperg, lasciandosi gliante precisione degli sfuggire una data: maggio 2014. Una per quanattacchi, nel colore eloto stringata rassegna stampa dell’accaduto non quentissimo, nelle detpuò prescindere da quanto riportava Il Giornale tagliate dinamiche». di Vicenza, un paio di giorni dopo il concerto al Solo qualche giorno Teatro Comunale del capoluogo veneto. Titolo: prima, La Stampa aveva «Lonquich, lo stile del Classicismo diventa assodefinito «bellissima» la luto. Con la brillantissima Orchestra di Mantova doppia inaugurazione una serata di straordinaria eleganza e ricchezza sonoproposta dall’Unione Musicale, con un Lonquich di cui ra». L’articolo, a firma di Cesare Galla, spiegava: «Non si il critico musicale Giorgio Pestelli si spingeva a dire: «se può trovare oggi in Italia un approccio più convincente è stato bravo nella prima serata con i tre primi conceral grande repertorio concertante del Classicismo vienti (di Beethoven, ndr), è stato arci-bravo in quella con il nese (e successive propaggini). È allo stesso tempo una Quarto e il Quinto: dove le sue caratteristiche di granquestione di sostanza e di particolari: qualcosa che ride pianista e musicista, la fantasia, le dolcezze del tocco, guarda il pensiero interpretativo, la sensibilità musicale, più di tutto quella segnaletica interna al fraseggio che sa un’istintiva adesione culturale affermata squisitamente additarci i punti chiave del discorso, trovavano il campo anche sul piano della tecnica, una capacità straordinain cui espandersi in tutta libertà; e l’orchestra mantovaria di modellare il suono con eleganza e misura, senza na, ben amalgamata e con prime parti di sicura classe, manierismi, con tratti anche originali eppure mai tralo ha seguito in tutte le intenzioni profuse dal gesto disgressivi, semplicemente convincenti nella loro moderrettoriale e, invisibilmente, ma con efficacia anche magnità (…) Nell’interpretazione di Lonquich, l’eleganza giore, dal pianoforte». Insomma, prendendo a prestito non diventa mai stucchevole né la poesia lacrimevole: le parole di Pestelli: «successo trionfale». Maratona Beethoven a Mantova e Torino. Quindi prestigiose tappe a Vicenza, Reggio Emilia, Monfalcone e nell’austriaca Graz musicalmente 31 AMICI Tra incontri curiosi e attese trasferte MUSICALI Piacevole fuori programma Martha Argerich Piacevole fuori programma per il ciclo Parolenote, che si arricchisce di un appuntamento in cui di musica si parlerà col sorriso sulle labbra. Mercoledì 1° febbraio in Sala Norlenghi (ore 18 - ingresso libero) ci sarà Stefano Patuzzi protagonista di una conversazione non solita dal titolo Tutta un’altra musica. L’incontro si aggiunge a quelli originariamente programmati e, senza prescindere dal rigoroso rispetto di fatti e circostanze, offrirà un approccio inusuale alla storia della musica prendendo spunto da curiosi, significativi aneddoti. Le trasferte musicali dell’Associazione proseguono, invece, con un appuntamento particolarmente ambito e di pregio. Lunedì 5 marzo, è in programma un’uscita al Teatro Comunale di Ferrara, per assistere al concerto della Mahler Chamber Orchestra con Martha Argerich dirette da Claudio Abbado. I posti a disposizione (collocati in una tribunetta alle spalle dell’orchestra, di fronte al direttore) sono 30. La quota di partecipazione, comprensiva di biglietto e bus, è di 68 euro. Chi fosse interessato a prenotarsi può contattare Gianfranco Lodi (cell. 335 520 7369) o Tiziana Vivian (cell. 333 996 7578). Intanto, alla sede dell’Orchestra da Camera di Mantova, in piazza Sordello 12 a Mantova, prosegue il tesseramento 2012 (al costo immutato di 10 euro): il rinnovo dell’adesione, magari coinvolgendo anche amici e conoscenti, o facendo un regalo intelligente a baso costo, è vitale per l’Associazione. per Parolenote. E il 5 marzo si va a Ferrara a sentire Abbado e la Mahler con Martha Argerich Rossini, protagonista di numerosi celebri aneddoti PAROLA D’AMICO Tiziana Vivian Graz 2011. “Che orgoglio quest’Orchestra. Quanto rammarico però...” A Graz il 12 e 13 dicembre scorsi, la bella sala del Musikverein era completamente esaurita in ogni ordine di posti, c’era anche molta gente in piedi (lì è concesso). Vi suonavano Alexander Lonquich e l’Orchestra da Camera di Mantova, seguiti da un pubblico attento e silenzioso, scatenatosi in applausi che sembravano non esaurisrsi mai alla fine di una magistrale esecuzione beethoveniana. Non volevano proprio andarsene gli ascoltatori, accontentati dai bis dei generosi musicisti, e di fronte a tanto entusiasmo mi sono sentita orgogliosa di vedere così ben rappresentata all’estero 32 musicalmente la mia città. Quanto rammarico, però, quando ad una signora d’origine mantovana, residente a Graz, attorniata da molti amici appassionati, sicura dell’esistenza nella nostra Mantova di molti sponsor sensibili a tanta eccellenza, ho dovuto rispondere che la generosità non era così importante da assicurare all’Orchestra un’attività finanziariamente sostenibile. Oltre a questo, la paura che i tagli delle sovvenzioni possano cancellare drasticamente una stagione concertistica che tanto ha dato, dà, darà sicuramente alla città. Li ho visti increduli e dispiaciuti. COLONNA SONORA di Claudio Fraccari AMARCORD di F. Fellini Omaggio di Federico Fellini alla sua città natale, una Rimini ricostruita col filtro della memoria e sul filo della fantasia. Le finezze registiche duettano con quelle musicali di Nino Rota per ottenere onde umoristiche ma anche risacche nostalgiche. Sullo sfondo degli anni Trenta, la narrazione indugia su situazioni e figure tanto bizzarre da acquistare un rilievo quasi proverbiale: il transatlantico Rex, la Mille Miglia, la bella Gradisca. Oscar come miglior film straniero. (It.-Fr. 1973) IL GATTOPARDO di L. Visconti Sontuoso affresco della Sicilia del 1860, nel momento di passaggio dalla dominazione borbonica alla monarchia sabauda. In primo piano le vicende del principe Fabrizio di Salina, che tenta di conciliare due epoche e due mondi. Dal romanzo di Tomasi di Lampedusa. Cast internazionale (Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon) e intensa colonna sonora di Nino Rota per un film che condensa le virtù e i vezzi del Visconti maturo. Palma d’oro a Cannes e tre Nastri d’argento. (It.-Fr. 1963) IL PADRINO di F. F. Coppola Tratto dal libro omonimo di Mario Puzo, non è solo un racconto di e sulla mafia italo-americana, quanto un saggio sul potere, la sua morale e le sue profonde ambiguità, ove Coppola sfrutta al meglio la spettacolarità del mezzo cinematografico. Ebbe un notevole successo di pubblico e si aggiudicò tre Oscar, tra cui quello a un monumentale Marlon Brando. Importante il contributo delle musiche di Nino Rota, che si ripeté nel sequel per il quale conquistò un meritato Oscar personale. (Usa 1972) ROTA, Fellini e gli altri L’occasione del centenario della nascita consente di ricordare un compositore maiuscolo come Nino Rota. Musicista precoce, altrettanto precocemente trovò interesse e soddisfazione nel comporre colonne sonore per il cinema. In questo campo, solo Ennio Morricone può competere con lui quanto a varietà e qualità. Già nel 1933, poco più che ventenne, realizza lo score musicale di Treno popolare, film leggero diretto da Raffaello Matarazzo, che gli lascia una sorta di imprinting: la vena di Rota si rivelerà infatti copiosa proprio in direzione umoristica, amando oscillare fra opera buffa e canzone popolare, all’insegna del divertissement parodico. Fra gli innumerevoli titoli che ospitano il suo contributo prevalgono inevitabilmente le commedie; a lui si rivolgono a più riprese registi come Luigi Castellani e Mario Soldati, Alberto Lattuada e Luigi Zampa, Eduardo de Filippo e Mario Monicelli. Sul versante drammatico, eccolo tuttavia firmare le musiche per due capolavori di Luchino Visconti, Rocco e i suoi fratelli (‘60) e Il Gattopardo (‘63). Ma fondamentale è certo l’incontro con Federico Fellini; a partire da Lo sceicco bianco del 1952, i due formeranno un sodalizio artistico e umano inossidabile. A legarli è una comune visione, incantata e insieme disincantata, della vita: al lirismo screziato di ironia del grande cineasta riminese corrisponde la levità buffa eppure malinconica delle partiture di Rota; per entrambi, decisivo è il retrogusto nostalgico, lo sguardo in avanti però memore del passato, il realismo che non esclude il fantastico. Paradigma ne può essere Amarcord (‘73), anche se tutti i film di Fellini recano una traccia profonda di tale poetica condivisa. Da menzionare è almeno Casanova, per la cui colonna sonora Nino Rota nel 1977 ottiene il David. D’altra parte, il mu- Nino Rota sicista aveva già ricevuto nel 1973 un BAFTA e un Golden Globe per Il padrino di Francis Ford Coppola; solo due anni più tardi, un altro Golden Globe e l’Oscar per Il padrino – Parte II impreziosiranno la collaborazione con il regista italo-americano. Diversi sono stati comunque i cineasti stranieri che si affidarono al compositore italiano – da Edward Dmytryk a Terence Young, da Henri Verneuil a Réné Clément, da King Vidor a John Guillermin. È infine suggestivo che una delle ultime colonne sonore composte da Nino Rota sia stata quella per Prova d’orchestra di Fellini. La parabola di un direttore che strapazza i suoi orchestrali causandone la ribellione violenta, fin quando un’enorme palla d’acciaio insieme alle macerie riporta l’ordine, ben si presta come cifra del lavoro – oltre che di un regista – di un autore del commento musicale. Non di un semplice sottofondo si tratta; piuttosto, di una cruciale, sensibile, impegnativa interpretazione delle immagini attraverso le note. Un contrappunto che ordini lo spazio secondo il tempo. musicalmente 33 34 musicalmente - Tempo d’Orchestra GRAMMOFONO di Michele Ballarini Lo ZAR EVGENIJ L’arte indimenticabile di un grande direttore russo che violava le regole del mercato L’attività di una grande orchestra è subordinata a regole di mercato che sovente impongono un numero elevato di esecuzioni a fronte di prove non sufficienti: ne consegue perciò che anche la figura del direttore stabile si deve – se non in poche eccezioni – uniformare a queste esigenze. Una di queste eccezioni si concretizzò nell’Unione Sovietica dove Evgenij Mravinskij (19021988) fu a capo dell’Orchestra Filarmonica di Leningrado dal 1938 alla sua scomparsa: cinquant’anni di collaborazione che non hanno quasi eguali nella storia dell’interpretazione. Non toccato fortunatamente dai rivolgimenti storici e politici del suo paese, anche se velatamente dissenziente con il regime sovietico, Mravinskij era un direttore autoritario e inflessibile, totalmente votato al repertorio sinfonico e abituato a pretendere tutto il tempo che riteneva necessario per provare adeguatamente un concerto: anche una sinfonia di Čajkovskij eseguita da decine di anni veniva ripresa volta per volta con due o tre giorni di prove, limando, ripensando e approfondendo un testo che di conseguenza poteva suggerire e rivelare un numero infinito di inaudite bellezze, allontanando così quel pericolo di routine che emerge in parecchie altre esecuzioni, anche ad opera di orchestre e direttori al- trettanto blasonati. Un lavoro incessante questo, e non solo dedicato al repertorio russo – del quale il nostro tenne a battesimo la Sesta Sinfonia di Prokof’ev e parecchie altre di Šostakovic tra cui la Quinta, l’Ottava e la Decima - ma anche ad altri autori, dal periodo classico-romantico con Beethoven, Brahms e Bruckner al Novecento storico di Debussy, Hindemith e Bartók. Ascoltando le sue registrazioni si rimane affascinati dalla continua e stupefacente tensione esecutiva, resa con un perfetto senso della forma e nel contempo con una cura infinita del particolare; un calore e una pienezza interpretativa che contrastavano singolarmente con il suo gesto estremamente parco e con la sua figura asciutta, dal volto scavato e quasi ascetico,mentre la padronanza e il dominio assoluto che emanava dal podio si riflettevano immancabilmente sulla partitura che utilizzava sempre durante il concerto. Anche il fascino e la suggestione che Mravinskij esercitava durante le prove erano leggendari: gli orchestrali dovevano essere accordati un’ora prima dell’inizio della prova e seduti al loro posto mezz’ora prima. La sua severità non si stemperava in urla o imprecazioni, bensì in frasi secche e laconiche di terribile durezza. Tutto ciò portava a esiti altissimi la cui eco è stata preservata dal disco. DOPPIONI INDESIDERATI DAL VIVO ANCHE SUI DISCHI MRAVINSKIJ NEL WEB La discografia di Mravinskij è molto vasta, anche se purtroppo la Melodiya – unica casa discografica allora esistente in URSS – ha ceduto i diritti a molteplici case occidentali, per cui capita che una stessa registrazione figuri sotto etichette e antologie diverse, generando così numerosi doppioni. La Erato ha ripubblicato un cofanetto di 12 cd con opere di Šostakovic, Cajkovskij, Beethoven e altri – reperibile su www.amazon.it - indispensabile per una conoscenza approfondita della sua arte. Gran parte della discografia di Mravinskij proviene da esecuzioni dal vivo: infatti il maestro, per motivi non chiari, dopo il 1961 decise di non effettuare più registrazioni in studio, e nonostante alcune di esse come le ultime tre sinfonie di Cajkovskij incise dalla DG siano di eccezionale valore, è innegabile che la presa diretta restituisca ancor oggi esecuzioni di ininterrotta e grandissima tensione espressiva, supportate anche dall’incredibile precisione dell’orchestra. Per altre notizie su Mravinskij si rimanda alla pagina http:// www32.ocn. ne.jp/~yemravinsky/ index.htm un sito in inglese interessante ma aggiornato al 1999. Un altro sito è http://lugansky. homestead.com/Mravinsky.html , più recente e con links per la discografia, oltre a numerose notizie in inglese. Sui numeri 49 e 76 della rivista MUSICA si trovano due interessantissimi articoli di M. Selvini e G.A. Lodovici, oltre al sito http://www.mravinsky.org/ , interessante ma solo in russo. musicalmente 35 CD - DVD di Luca Segalla La forza di ABREU e il fascino di Neumann L’energia della Simón Bolívar Dal Festival di Lucerna (marzo 2010) una brillante prova dell’orchestra venezuelana, gioiello del Sistema creato da José Antonio Abreu. Un’esplosiva Suite scita di Prokof’ev e un’incandescente Lulu Suite di Berg: si apprezzano virtuosismo e compattezza. La voce del soprano Anna Prohaska è limpida, rotonda e algida nella Lulu Suite e nell’aria di Pamina Ach, ich fühl’s, es ist verschwunden dal Flauto magico mozartiano. C’è qualcosa che rende unica la Simón Bolívar. Nasce da una bella storia, prima di tutto. Poi sembra l’ultimo stadio di un missile: alle sue spalle c’è il Sistema, decine di orchestre sparse in tutto il Venezuela. Un po’ generico l’approccio alla Sinfonia n. 6 “Patetica” di Cajkovskij. I nostri musicisti non sono russi e sono giovani. Si sentono entrambe le cose, però grazie ad Abbado questa “Patetica” alla fine non dispiace. INVITO ALL’ASCOLTO Le Barbariche Bellezze del Barocco italiano e tedesco Orchestra giovanile Simón Bolívar; direttore Claudio Abbado. 1 Dvd Accentus (ACC20101) Václav Neumann d’archivio Sul podio un grande vecchio, il ceco Václav Neumann (1920 - 1995). Con lui la Gustav Mahler Jugendorchester. Francoforte, 1990, Sinfonia n. 9 di Dvorák: un incontro emozionante. Il suono, prima di tutto. Fascinoso, antico, dal sapore slavo. Quindi il fraseggio e la forza emotiva. Neumann immerge i giovani della Mahler nel cuore della musica mitteleuropea. Accanto a Dvorák la Missa glagolitica di Janácek, registrata nel 1987 con la Filarmonica Ceca e il Coro Filarmonico di Praga. Una Missa intima, lirica e luminosa. Interpretazione da antologia. Václav Neumann. 1 Dvd Arthaus (101 535) Kissin e Demidenko Tra il cinquatacinquenne Nikolai Demidenko e trentanovenne Evgeny Kissin ci sarebbero i presupposti per una sfida pianistica all’ultima nota. Il primo affronta il Concerto n. 1 op. 11 di Chopin, l’altro il Concerto n. 2 op. 21. Stessa serata, il 27 febbraio 2010 a Varsavia, per l’anno chopiniano, e stessa orchestra, la Filarmonica di Varsavia diretta dall’ottimo Antoni Wit. Alla prova dei fatti ogni retorica è bandita. Robusto, nobile e severo Demidenko. Lirico ed elegante Kissin. Giù il cappello: il rischio era di fare solo dello spettacolo. 36 musicalmente Fryderyk Chopin. I Concerti per pianoforte. 1 Dvd Accentus (ACC20104) Barbarische Schönheit, barbariche bellezze. Così definì le musiche dell’Est a forte connotazione popolare il buon Telemann, quando ebbe l’occasione di avvicinarvisi, ancora giovanissimo, al seguito della corte di Erdmann von Promnitz, rimanendo colpito dalla vivacità e frenetica fantasia che vi fiorivano. Tradotto nell’universale inglese, Barbarian Beauty è anche il titolo, scelto a proposito, del cd recente (etichetta Passacaille) che vede all’azione in alcune eccitanti musiche del barocco italiano e tedesco - da Telemann a Vivaldi - l’orchestra Il Suonar Parlante con l’intervento solistico e direttoriale di Vittorio Ghielmi, uno tra i maggiori gambisti ed interpreti italiani oggi in attività. Non suggeriremmo una ennesima registrazione di musica barocca se non vi vedessimo i motivi dell’eccezionalità; e qui appunto questi motivi ci sono, anche sovrabbondanti. Naturalmente Il Suonar Parlante, che è un piccolo complesso multilingue, lavora con maestria e mette a frutto la varietà dei suoi elementi costitutivi conferendo al passo musicale uno slancio ed una vivezza di irresistibile energia. Ma altro motivo dominante sta nell’ascolto di pagine nelle quali la viola da gamba diviene una virtuosa protagonista. «Oltre ai lavori di Graun, a tre composizioni di Telemann ed un concertino di Johann Pfeiffer – scrive Ghielmi nella presentazione – l’uso della viola da gamba come strumento solista con orchestra è una rara perla nel repertorio barocco». E nulla sembra più consigliabile dello scoprirla in avvincenti pagine permeabili all’influsso della cultura di strada, spinta decorazione di uno spirito che sentiamo esotico e vicinissimo. (a.z.) MUSICA & ARTE di Paola Artoni KANDINSKY Non c’è arte senza musica Secondo il grande artista russo “l’anima è come un pianoforte con molte corde” Sopra da sinistra, Composizione 8 del 1923 e Improvvisazione 7 del 1910. A lato, Giallo, rosso, blu del 1925 Colore come suono e suono come colore. Nel turbinio delle Avanguardie che hanno attraversato il Novecento, il pensiero pittorico di Vasilij Vasil’evic Kandinskij – o semplicemente Kandinsky – rappresenta un punto di non ritorno nella concezione dell’arte come fluido dialogo tra le diverse espressioni. L’artista, nato a Mosca nel 1866 e scomparso a Parigi nel 1944, affascinato dalle avanguardie francesi, viaggiatore curioso, convinto sostenitore del dialogo tra artisti e musicisti, fondatore del movimento del “Blaue Reiter”, nel 1910 teorizza l’incontro tra arte e musica nel suo Lo spirituale nell’arte dove egli afferma che il colore produce un effetto psichico generato dalle qualità del colore, ovvero odore, sapore e suono. La nostra anima è come un pianoforte con molte corde, affermava Kandisky, dove il colore è un tasto e l’occhio un martelletto mentre ogni colore ha un proprio suono interiore. La combinazione sonora del colore è la combinazione di caldo-chiaro, caldo-scuro, freddochiaro, freddo-scuro. Ecco allora il catalogo dei suoni di Kandinsky, dove il giallo è l’energia vitale, il suono della tromba, la fanfara; il rosso è caldo e profondo, ed è il suono della tuba; il blu è un cielo che suona come un flauto. Tra i colori secondari vi è l’energico arancione che suona come una campana e un contralto; il quieto verde che respira come un violino; l’instabile viola che ricorda il fagotto, il corno inglese e la zampogna; le sfumature del blu che hanno il carattere del violoncello; sono invece fermi il grigio e il marrone. Infine il bianco e il nero: mentre il primo è il non-suono, la pausa tra una battuta e l’altra e quindi il momento della nascita, il secondo è il silenzio della pausa finale e della morte che, tuttavia, è necessario per fare risaltare gli altri colori. Nel suo testo Punto, linea, superficie Kandinsky si dedica alla composizione e osserva che le linee spezzate ispirano sentimenti di drammatica tensione mentre DA VEDERE E ASCOLTARE Per quanti desiderano inebriarsi del colore musicale di Kandinsky si segnala la mostra di prossima apertura a Castel Sismondo di Rimini: dal 21 gennaio al 3 giugno 2012 sarà infatti allestita la rassegna Da Vermeer a Kandinsky, a cura di Marco Goldin. Inoltre, il VeronaContemporanea Festival mette in scena l’11 febbraio in prima italiana Il Suono Giallo, nella versione musicata da Alfred Schnittke nel 1974. quelle curve sono liriche. La tensione tra pittura e musica trova in Kandinsky il suo naturale completamento nel teatro, in quella che secondo una definizione attuale diremmo un’ottica multimediale. Si conoscono i frammenti teatrali Paradiesgarten e Daphnis und Chloe, i testi delle composizioni Suono giallo, Suono verde, Bianco e Nero, Viola, che tuttavia egli non riuscì mai a rappresentare, mentre una vicenda più fortunata è quella dell’opera Quadri da un’esposizione, tratta dal poema musicale di Modest Musorgskij, messa in scena nel 1928 a Dessau con i dipinti astratti di Kandinsky che rappresentano la traduzione pittorica dei suoni. musicalmente 37 MUSICA & ACUSTICA di Renato Spagnolo Sull’onda DELLE NOTE Nell’accezione più comune, l’acustica è la scienza che si occupa dei suoni che possono essere percepiti dall’apparato uditivo umano, e le onde acustiche – poiché di onde si tratta – sono quelle che, qualunque sia il modo in cui vengono generate, alla fine inducono una qualche sensazione uditiva. In realtà, anche onde con frequenza troppo bassa (infrasuoni) o troppo alta (ultrasuoni) per essere udite dall’uomo rientrano a pieno titolo nel dominio dell’acustica, e anche da un punto di vista propriamente fisico esibiscono gli stessi comportamenti e in gran parte vengono descritte dalle stesse leggi. Ciò che le distingue è appunto la frequenza (il numero di oscillazioni complete dell’onda in 1 secondo: un’oscillazione al secondo corrisponde alla frequenza di 1 Hz), e il campo delle frequenze cosiddette “udibili” ne occupa in realtà una regione contenuta, convenzionalmente compresa tra 20 Hz e 20.000 Hz. Per dare un’idea di quanto ciò sia vero, si pensi al fatto che gli infrasuoni prodotti da grandi eventi naturali o artificiali possono raggiungere le frazioni di hertz (fino a 0,001 Hz), oppure che gli ultrasuoni utilizzati nella consueta diagnostica medica hanno tipicamente una frequenza dell’ordine di 1.000.000 Hz. Diversi altri fenomeni della fisica, pur attenendo ad ambiti anche mol- 38 musicalmente Nelle immagini un modello al computer di un antico teatro romano per studiarne il comportamento acustico, prove di ascolto binaurale con manichino in camera anecoica e una schematizzazione delle riflessioni del suono in un teatro Breve introduzione alla scienza della trasmissione del suono. Alla scoperta del significato fisico di sensazioni uditive, frequenze, infrasuoni e ultrasuoni to distanti, si manifestano in forma di onde, e con l’acustica presentano, concettualmente, alcune strette analogie: le onde elettromagnetiche (e quindi la luce); le onde sismiche prodotte da movimenti della crosta terrestre; le onde dell’acqua di mari e oceani; per non parlare delle onde della meccanica quantistica, dove (e qui le cose si complicano un po’) rappresentano la probabilità di trovare una particella in una determinata posizione. Ciò che caratterizza le onde acustiche è la necessità di un mezzo materiale per potersi propagare (le onde elettromagnetiche, tanto per dire, si propagano anche nel vuoto), e questo mezzo deve essere “elastico”, come lo sono i gas (l’aria, ad esempio), i liquidi (come l’acqua), i corpi solidi. Il concetto di elasticità è abbastanza semplice: gli elementi costituenti il mezzo, per esempio le molecole, o meglio volumetti elementari contenenti un buon numero di molecole, devono essere in grado di compiere oscillazioni intorno alla propria posizione di equilibrio, quella che occupano a riposo, al passaggio della perturbazione, cioè dell’onda, per poi ritornare nella posizione originaria. D’altra parte l’onda acustica altro non è che il propagarsi di questo moto oscillatorio, avanti-indietro, che le molecole si comunicano sequenzialmente l’una all’altra, senza che sostanzialmente esse si spostino, se non appunto localmente, dalla propria posizione di equilibrio. E questo specifica anche un’altra proprietà molto importante: la propagazione delle onde acustiche non comporta spostamento di materia (aria, acqua o altro) ma solamente di “moto”, cioè di energia. LEGGERE di Simonetta Bitasi Quel Qualcosa di simile SANNA RILEGGE IL FLAUTO MAGICO DI MOZART Una rappresentazione originale questa del Flauto magico di Mozart dove i personaggi diventano simboli elementari che si muovono come pedine sul pentagramma musicale. In ogni pagina un ritratto di un personaggio e in ogni riga del pentagramma una scena diversa e un’atmosfera magica accompagnano la narrazione semplice e di immediata comprensione. Le illustrazioni dell’autore mantovano, sono, come sempre, magiche e profonde. (Il Flauto Magico, di Alessandro Sanna, Nuages, 34 pp., 16 euro) LA MUSICA CHE AIUTA A CRESCERE MEGLIO Un libro che favorisce lo sviluppo delle potenzialità del bambino fin dalla fase prenatale, gettando un ponte fra grembo materno e mondo esterno. Grazie a un’accurata selezione di brani di musica classica e jazz, scelti secondo la Music Learning Theory di Edwin E. Gordon. Nel libro ci sono poi le suggestive illustrazioni di Mariagrazia Orlandini e alcune brevi frasi per dare voce al caleidoscopio di sentimenti ed emozioni che accompagnano la nascita di un bambino. (Ma che musica! a cura di Andrea Apostoli, Curci Young, 48 pp., 15 euro) MOZART E LA RICERCA DELLA FELICITÀ Il 27 gennaio 1756, nella piccola città di Salisburgo, una povera donna di nome Anna Maria, rischiava di morire dando alla luce il suo ultimo figlio. La donna decise di dare a quel bambino un nome speciale che lo proteggesse durante tutta la sua vita. E per far meglio, gliene diede due: Wolfgang, che vuol dire che ha il passo del lupo, e Amadeus, che vuol dire che ama Dio. Un albo illustrato per raccontare un’infanzia straordinaria. (Mozart e la ricerca della felicità, di Melania Nuara, Rueballu, 128 pp., 19 euro) in DIECI STORIE così diverse «Le idee che stanno alla base di Qualcosa di simile sono diverse perchè diverse sono le storie che lo compongono. Le tematiche però sono ricorrenti: la musica, il cibo, il Giappone, l’amicizia. Tutti elementi presenti sempre in compagnia della loro ombra, a volte inquietante. Ognuno dei dieci racconti presenta un elemento che ricompare in quello successivo, che a sua volta ne contiene uno che completa il precedente»: Francesca Scotti racconta benissimo la struttura del suo libro d’esordio Qualcosa di simile, una raccolta di racconti che tradiscono da subito il legame dell’autrice con la musica. Nata nel 1981 a Milano, si è infatti diplomata in Conservatorio e suona il violoncello. E la scrittura ha preso sicuramente ispirazione, insieme ai temi e ai protagonisti delle sue storie, dalla frequentazione e dall’educazione musicale dell’autrice. Tanto che dopo aver terminato l’ultimo racconto, il lettore conserva per giorni dentro di sé la traccia e il ritmo delle storie, così come accade per i brani musicali. Quello che colpisce dei racconti di Francesca Scotti, già leggendo solo le prime pagine è la maturatà stilistica, la pulizia precisa dello stile, la capacità di avvolgere il lettore in un’apparentemente quieta quotidianità, per poi via via crescere di ritmo e dare la stoccata finale. Sottilmente annunciata, ma mai prevedibile e prevista. Incontriamo così una giovane donna ritornata da un periodo di cure, pro- Sopra la scrittrice Francesca Scotti. A lato il suo libro Qualcosa di simile (Edizioni Pequod, 114 pp., 14 euro) babilmente psichiatriche, che vede spezzate le sue speranze per colpa di una torta, al centro di una scena ugualmente drammatica e umoristica; poi tocca all’incontro tra allieva e maestra di musica, in un commuovente dialogo rotto dalla voce della bambina della giovane donna che tanto ha sofferto per l’abbandono subito dalla sua insegnante; e ancora ragazze in vacanza da sole nella casa di una di loro, la non amica, quella meno amata. Scorrono i personaggi, scorrono i racconti con sempre un piccolo richiamo tra l’uno e l’altro come se l’autrice lanciasse un gioco che il lettore si diverte a seguire per cercare gli indizi di parentela tra una storia e l’altra. Un libro che conforta sul futuro della narrativa italiana. musicalmente 39 ALTRA MUSICA di Giorgio Signoretti UN BUON LIBRO PER COMINCIARE LA SCUOLA MANTOVANA Una buona educazione non può prescindere da letture e frequentazioni di buona qualità. Le ultime non si possono regalare, ma un grande libro può fare davvero moltissimo. La serie di volumi di Gunther Schuller sul jazz classico, ad esempio (Edt), oppure il magnifico Free Jazz di Ekkehard Jost (L’Epos) sono per chi è disposto a soffrire un po’ in cambio di una lettura di grande densità analitica. Una solida storia del jazz, precisa, divertente e ricca di aneddoti rivelatori, può essere il classico Jazz di Arrigo Polillo per Mondadori. Ma forse può risultare ancora più motivante sbirciare il grande jazz dall’interno con l’aiuto di Enrico Rava (nella foto), autore di Incontri con Musicisti Straordinari, edito da Feltrinelli. Mantova può vantare una notevolissima tradizione nel campo dell’offerta jazzistica: ogni anno, da trent’anni a questa parte, il festival Mantova Jazz - Chiozzini ospita i più grandi jazzisti statunitensi ed europei, raccogliendo idealmente sia l’eredità dello storico Circolo del Jazz degli anni Cinquanta che quella successiva dell’Ente Manifestazioni Mantovane. Per quanto riguarda la didattica jazz, conviene invece fare un salto al Conservatorio di Mantova, dove Mauro Negri (nella foto), da autentico maestro quale è, ha assemblato con grande cura un gruppo di docenti di valore assoluto tra i quali spicca un altro musicista mantovano, il talentuoso chitarrista Simone Guiducci. Quale pubblico per il JAZZ? Si può educare il futuro pubblico del jazz? Ma quale pubblico? Quello vacanziero e pop di Umbria Jazz o quello intransigente ed informato delle rassegne più rigorose? Il pubblico aristocratico che rigetta sdegnosamente il termine “jazz”, ammuffito residuo di un intollerabile passatismo, preferendogli magari il più trendy New Music (per poi di fatto cercare in questa le stesse cose che hanno reso grande il vecchio jazz)? O le coppie eleganti che sprizzano coolness in un club di classe, vino francese alle labbra, alla ricerca del nuovo Chet Baker? Con i Naked City di John Zorn ci siamo abituati a vedere nei festival jazz borchiati metallari fare headbanging a tempo (o non sempre a tempo) con i tamburi di Joey Baron; con Steve Coleman ci siamo sentiti un po’ provinciali in mezzo ai fan di aggressivi (e talentuosi) rappers newyorchesi. Quale pubblico, dunque? Per come è nato e si è evoluto, il jazz è stato un laboratorio collettivo animato da migliaia di individui alla ricerca della propria voce interiore, una spettacolare rete di trasmissione dati e di rielabora- 40 musicalmente zione “orizzontale” del saper fare. Musica dinamica attraverso la quale musicista, linguaggio, prodotto e perfino pubblico e circuito di distribuzione si formano e si ristrutturano in tempo reale, la tradizione afro-americana non sembra contemplare un training ortodosso e standardizzato dei suoi ascoltatori. È forse più probabile che il jazz si debba semplicemente suonare e far suonare; che lo si John Zorn debba solamente rendere disponibile, creando situazioni dove lo si possa proporre a tutti i livelli, magari contaminato da suggestioni di ogni tipo. E luoghi dove maestri illuminati sappiano trasformare i propri corsi in creativi e flessibili laboratori nei quali si possa comprendere come cercare se stessi, sia con uno strumento in mano che seduti tra il pubblico, qualsiasi pubblico, sia un magnifico investimento per la propria vita. Il jazz è stato un laboratorio collettivo animato da migliaia di individui alla ricerca della propria voce interiore QUADERNO DI VIAGGIO di Andrea Zaniboni Una violetta d’amore in LAGUNA Venezia: ricca di rarità la mostra di liuteria allestita nella chiesa settecentesca di San Maurizio Città della musica, Venezia è il luogo dei cento musei e degli esperimenti, delle memorie e del domani, ed è facile lasciarsi attirare nel vortice delle sollecitazioni più diverse. Si possono visitare le sale wagneriane e omaggiare la tomba di Igor Stravinskij nel cimitero di San Michele, esplorare l’archivio Luigi Nono o seguire le tracce di Monteverdi, fino alla visita del Piccolo Museo Vivaldi in Santa Maria della Pietà. «Ispiratrice eterna della nostra quiete» come fu definita dal famoso padre dei Balletti Russi (e impresario) Sergej Diaghilev che pure vi è sepolto, Venezia è invece, come sappiamo, un crocevia brulicante di idee e di storia. Questa volta è il caso di segnalare, forse non tanto conosciuta come altre legate al passaggio delle infinite celebrità, la mostra permanente di liuteria ospitata, da soltanto qualche anno, nella settecentesca Chiesa di San Maurizio, la cui pianta a forma di croce greca si presta ottimamente ad ospitare le numerose teche nelle quali sono in esposizione, a rotazione, molti e ben conservati strumenti di diversa epoca, dal Seicento ai primi decenni del Novecento. Ovviamente oggi sono in visione violini, viole, vioNelle foto alcuni particolari del museo (foto di Daniela Katia Lefosse) loncelli, due contrabbassi firmati Amati e (ma non è certo) Gasparo da Salò, nonché strumenti a fiato come flauti, oboi, clarinetti, fagotti. Ma la singolarità di questa esposizione, che la rende un piccolo interessante documento di storia, sta nella presenza di creazioni desuete: una chitarra lira, un contrabbasso in miniatura, un violino a cinque corde (datato 1905), un monocordo ad arco con campana, una violetta d’amore, un mandolino pochette del 1790, una tromba marina, e tanti altri “pezzi” tutti di scuola italiana che documentano la ricerca e la fantasia degli artigiani-artisti di casa nostra. L’esposizione, raccomandabile, che porta la firma di Artemio Versari, musicista (fu per trent’anni primo contrabbasso nell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna) e collezionista, si presta ovviamente alla visita dell’esperto come del curioso, ma possiede anche il pregio non comune di adattarsi a visite didattiche rivolte ai giovani, arricchite da un percorso teso a penetrare i segreti di una bottega artigiana di liuteria, oggi come ieri una autentica prospettiva non soltanto creativa, ma occupazionale. Suggerimento tutt’altro che superfluo, in perfetta linea con la lunga tradizione nazionale. Insomma, memoria e futuro insieme ancora una volta, ad annodare bellezze tra le calme acque della laguna. musicalmente 41 IN PLATEA È uno dei più importanti compositori italiani del nostro tempo e le sue opere sono andate in scena sui palcoscenici più prestigiosi, a cominciare dal Teatro alla Scala. Didatta, musicologo, è anche accademico di Santa Cecilia, e qualche anno fa è stato insignito del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. Per una volta, però, Azio Corghi accetta di farsi intervistare nel ruolo di “semplice” spettatore. E la nostra chiacchierata comincia proprio dai tanti concerti dell’Orchestra da Camera di Mantova a cui ha assistito in questi anni. «Apprezzo molto l’Orchestra, trovo che sia un gioiello», è il suo primo commento, «la ascolto spesso, soprattutto quando suona dalle mie parti, a Castiglione delle Stiviere». Maestro, quali sono secondo lei i pregi dell’Ocm? «La qualità è prima di tutto nei suoi musicisti. Conosco bene molti di loro, che hanno interpretato anche alcuni miei brani in passato, e suonano davvero in modo eccellente. Ma non sono solo io a dirlo, ormai questo giudizio è vox populi. Ammiro anche il lato organizzativo, l’intelligenza nella programmazione, le scelte non scontate di repertorio». Pessimista o ottimista sul futuro della musica? «Ottimista, se penso al livello dei giovani compositori. Di recente ho potuto farmene un’idea anche al Festival Play-it di Firenze diretto da Giorgio Battistelli, a cui hanno partecipato nuovi talenti molto interessanti e preparati. Certo, poi mi rendo conto che per ciascuno di loro emergere è un’impresa. Ma potrei fare io una domanda in proposito?». Prego... «Che senso ha la figura del compositore, o quella del critico musicale, in un mondo dove dilaga l’analfabetismo e dove gli investimenti nella cultura e nell’arte continuano a diminuire?». Lei come risponderebbe? «Che è un miracolo che oggi ci sia tanta buona musica in giro. Lo si deve all’entusiasmo e alla buona volontà di tante singole istituzioni, che non sono adeguatamente sostenute, ma che per fortuna non perdono la passione. Penso anche alle realtà amatoriali. Di recente per esempio ho potuto apprezzare il Coro Alma Matris dell’Università di Bologna, che ha eseguito un mio brano. I coristi sono tutti dilettanti, ma non hanno nulla da invidiare a dei professionisti». La sua carriera la porta spesso all’estero: la crisi della musica si sente soltanto in Italia? «No, si sente dappertutto. Soltanto che in altri Paesi – penso alla Francia o alla Germania – le sovvenzioni alla musica sono molto più alte che da noi, nonostante la difficile situazione economica». Qual è la sua ricetta anti-crisi? «Bisogna portare la musica nelle scuole, valorizzarne il potere formativo della persona. Tutti lo dicono, tutti lo scrivono, sarebbe ora che qualcuno passasse dalle parole ai fatti». 42 musicalmente di Alice Bertolini Azio Corghi Foto di Roberto Masotti, © Casa Ricordi, Milano Il MIRACOLO della buona musica Azio Corghi famoso compositore e grande fan dell’Ocm si chiede che senso abbiano le figure del critico e del compositore in un mondo sempre più analfabeta e senza soldi per l’arte DAL 1994 ACCADEMICO DI SANTA CECILIA Il compositore Azio Corghi è nato a Ciriè, Torino, il 9 marzo 1937. Dopo gli studi musicali nei Conservatori di Torino e Milano, ha composto opere teatrali, balletti, musica elettronica, lavori sinfonici, corali e cameristici, che vengono eseguiti in tutto il mondo e che hanno ricevuto importanti riconoscimenti. È stato docente nei Conservatori di Parma, Torino e Milano, mentre dal 1995 è titolare della cattedra di perfezionamento in composizione all’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma; è docente anche all’Accademia Chigiana di Siena ed è stato protagonista di alcune masterclass nelle università americane di Berkeley e Cincinnati. Come musicologo ha curato numerose revisioni di opere del passato, tra cui L’Italiana in Algeri di Gioacchino Rossini e vari lavori di Antonio Vivaldi. Nel 1994 è stato nominato Accademico di Santa Cecilia e nel 2005 è stato insignito del titolo di Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana. (a.b.)