I PINK FLOYD: IL LATO CLASSICO DEL ROCK 24/05/2005

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I PINK FLOYD: IL LATO CLASSICO DEL ROCK
24/05/2005
Alessandro Balestrino & Cinzia Ciardi
[email protected] & [email protected]
INTRODUZIONE
I Pink Floyd hanno goduto e godono di un successo commerciale (e di critica, ma
questo aspetto non ci riguarda qui) che ha dimensioni eccezionali, non solo per il volume
delle vendite ma anche e soprattutto per la sua longevità.
In questo articolo cercheremo di argomentare che l’ampiezza e la durata del
successo dei Pink Floyd si basano su due caratteristiche particolari che la band ha
posseduto in misura maggiore di altre; primo, la capacità di cooperare e di distribuire i ruoli
secondo un particolare criterio vincente, che illustreremo più avanti; secondo, la scelta (e la
capacità) di utilizzare, nel loro lavori più maturi, la struttura del concept album, che
consente uno speciale taglio narrativo che, come vedremo anche qui più avanti, prende
profondamente l'ascoltatore.
Per sostenere queste due tesi ci avvarremo, senza però usare linguaggi tecnici, di
strumenti logici presi a prestito dalla scienza economica e dalla psicologia. La prima ci dà
indicazioni su come interpretare il rapporto fra i membri di un team produttivo (e una rockband è in effetti un team che produce dischi, concerti, ecc.), mentre la seconda ci aiuta a
capire in che modo uno strumento di comunicazione (come è un album musicale) possa
dire qualcosa che cattura l’interesse di generazioni sempre nuove.
Ma procediamo con ordine. Dicevamo del successo dei Pink Floyd. Nella storia del
rock ci sono moltissimi artisti e molti gruppi che hanno goduto di un successo enorme di
pubblico e di critica. Si pensi a Bob Dylan, a Bruce Springsteen, a Neil Young, ai Beatles,
ai Rolling Stones, tanto per citare solo la punta dell’iceberg. Alcuni di questi hanno avuto e
hanno una popolarità immensa, forse maggiore di quella dei Pink Floyd. Molte loro
canzoni sono rimaste famose per decenni e lo sono ancora, basti pensare a Blowing in the
Wind o a Yesterday. Queste sono probabilmente più famose di ciascuna singola canzone
mai scritta dai Pink Floyd. Molti artisti e molti gruppi hanno pubblicato lavori di qualità
uno dopo l’altro, mantenendo nel tempo la creatività: un esempio per tutti, Springsteen, che
con The Rising ha forse scritto il suo più bell’album e certamente qualcosa di non inferiore
a, poniamo, Born in the USA.
Ma i Pink Floyd hanno fatto qualcosa di veramente diverso. La loro caratteristica
fondamentale è l’inossidabilità!
I Pink Floyd hanno creato interi album, come Dark Side of the Moon (DSotM)1 o
The Wall (TW), che, a distanza di decenni dalla prima pubblicazione, continuano a vendere
annualmente un numero di copie paragonabile a quello di moltissimi CD appena usciti;
come molti sanno, DSotM è stato per 15 anni in classifica nelle charts americane ed è
citato nel Guinness dei primati come l’album che è stato più a lungo in una classifica di
vendita. Attualmente è ancora fra i duecento album più venduti annualmente negli USA. Si
1 Gli album dei Pink Floyd verranno citati per la prima volta con il loro titolo per esteso
seguito dall’acronimo; in seguito, si userà solo l’acronimo.
2
parla di oltre 15 milioni di copie vendute per DSotM e oltre 23 milioni per TW solo negli
Stati Uniti.
I Pink Floyd sono stati capaci di pubblicare nel 2000, con grande successo di
vendite, la registrazione di un concerto di 19-20 anni prima, l’esecuzione di The Wall.
L’anno dopo hanno pubblicato una collezione di 2 CD con un solo brano inedito su CD e
sono stati al vertice della classifica di vendite in tutta Europa, battendo idoli di oggi come
Britney Spears. E’ attualmente in lavorazione il DVD di Pulse, un doppio CD live del 1994
(più di 10 anni fa!) che conteneva per metà un’esecuzione delle canzoni di DSotM (risalenti
a più di 30 anni fa!).
In breve, i Pink Floyd sono stati in grado di pubblicare almeno tre album, DSotM,
TW e in misura minore anche Wish You Were Here (WYWH, sei milioni di copie negli
USA), che possono a buon diritto essere considerati dei “classici” non solo del rock ma
della musica tout court, senza aggettivi. Cos’è un “classico”? E’ un brano, o in questo caso
un album, che, negli anni, continua a destare l’interesse di generazioni sempre nuove di
ascoltatori. Per fare questo, noi riteniamo che debba soddisfare tre condizioni. Primo, deve
essere di elevata qualità. Poi, deve essere originale: deve avere uno stile inconfondibile e
personale nella composizione e nell’esecuzione. Infine, deve avere un carattere universale:
deve lanciare un messaggio che attrae ascoltatori sempre nuovi, toccare temi che si
ripropongono nella vita delle persone generazione dopo generazione ed avere un formato
che non risenta dello scorrere del tempo.
In breve, è vero che alcuni successi dei Beatles o di Dylan o di Springsteen
possono essere considerati immortali. Ma il fenomeno Pink Floyd è più ampio e più
duraturo. Come hanno fatto i Pink Floyd a ottenere questo?
COOPERARE O NON COOPERARE: QUESTO È IL DILEMMA
La risposta più immediata alla domanda precedente è: perché erano molto bravi!
Questo è innegabile – e non saremo certo noi a contestare questa affermazione.
Ma c’è qualcosa di più. L’idea è che, specie nei tre album classici, i Pink Floyd
siano riusciti a trovare il meccanismo migliore per creare e combinare i vari elementi che
costituiscono un brano musicale o una canzone. Per cercare di capire quale può essere stato
questo meccanismo, ricorderemo brevemente le principali fasi che contraddistinguono
l’evoluzione nel tempo della loro musica.
Gli inizi (1967-1972)
Agli inizi, la band era dominata dalla personalità di Syd Barrett. Tutti i brani di The
Piper at the Gates of Dawn tranne uno sono scritti e cantati da Barrett. Ci sono molti gruppi
che hanno funzionato e funzionano sostanzialmente allo stesso modo, con ruoli fissi per
canto e scrittura, ed un compositore che predomina su tutti gli altri (o è l’unico). Tutte le
canzoni dei Dire Straits sono state scritte e interpretate da Mark Knopfler; i Jethro Tull
hanno cambiato formazione innumerevoli volte, ma tutte le canzoni sono state scritte e
interpretate da Ian Anderson; la maggior parte delle canzoni degli Who è stata scritta da
Peter Townshend e interpretata da Roger Daltrey.
Negli album successivi, fino a Meddle, del 1972, la band è chiaramente alla ricerca
di una sua identità. Barrett non c’è più, e ciascuno dei rimanenti membri (incluso il nuovo
arrivato Gilmour) fornisce contributi indipendenti al repertorio musicale. Quasi tutti i brani
sono scritti a turno da un singolo membro della band (parole e musica) e da lui interpretati:
ad esempio in Atom Heart Mother, Waters canta una sua canzone (If), così come Gilmour
(Fat Old Sun) e Wright (Summer ‘68).
In pratica, il gruppo funziona di volta in volta come la band di supporto dell’autore
di turno della canzone. Ciascuno dei membri (con la parziale eccezione di Mason, che ha
sempre contribuito poco alla composizione dei brani e mai alla loro esecuzione canora, se
escludiamo la frase in One of These Days) forniva musica, parole e canto, e la band forniva
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l’esecuzione musicale. Uno schema fisso, che come tutti gli schemi fissi, non è
necessariamente il migliore in ogni circostanza. In altre parole, ciascuno dei componenti
della band prendeva come un dato il contributo degli altri (l’esecuzione musicale) e ci
aggiungeva i propri contributi (musica, testo, esecuzione canora); si tratta di una procedura
sostanzialmente non-cooperativa.
Benché questo fosse il modo tipico di procedere, non mancano eccezioni che
preannunciano la svolta degli album successivi. In particolare, Echoes è composta da tutti e
quattro i membri del gruppo e cantata da Gilmour e Wright assieme, con un effetto molto
accattivante che evoca la parola del titolo (echi, appunto). Quindi, tutti contribuiscono in
qualche misura alla musica, ai testi e all’esecuzione musicale e due membri su quattro
forniscono l’esecuzione canora. Un bell’esempio di lavoro corale, una dimostrazione che i
quattro stavano imparando a collaborare e a individuare il ruolo ideale da assegnare a
ciascuno di essi.
Un ruolo importante nell’avviare questa cooperazione è probabilmente giocato
dall’abitudine che i Pink Floyd prendono di lavorare tutti assieme alla creazione degli
album; molti dei loro brani più riusciti sono stati concepiti in sessioni di lavoro collettivo.
Inoltre, è ben noto il fatto che, al contrario di quel che si fa adesso (e che loro stessi hanno
fatto più tardi), i Pink Floyd eseguivano dal vivo i loro brani prima di inciderli. Nei ROIO2
dei primi anni ’70 si possono ascoltare versioni di canzoni che poi sarebbero confluite ad
esempio in DSotM; le prime versioni di Dogs e Sheep (con altri titoli) sono precedenti a
WYWH. Questo consentiva loro di raffinare sul campo la canzone ben prima di arrivare in
sala d’incisione, e soprattutto, consentiva a tutti di dare il loro contributo e di trovare la
collocazione ideale in rapporto agli altri.
L’epoca dei classici (1973-1979)
Le note di copertina di DSotM (1973) recano un’indicazione illuminante. Se andate
a guardare, ci troverete scritto, fra l’altro, “all lyrics by Roger Waters”. Questa frase rimane
nei 3 album successivi, e ci indica la direzione che i Pink Floyd hanno preso e che
riusciranno a mantenere brillantemente in WYWH e più faticosamente in Animals (A) e
TW. E’ la strada di assegnare a ciascuno il compito in cui è relativamente più bravo.
Occorre naturalmente un clima di cooperazione per raggiungere questo obiettivo, ed
evidentemente i quattro erano riusciti a stabilirlo nel corso del lavoro assieme fra il 1968 e
il 1972. Sono così in grado di sfornare una serie di capolavori del rock.
Cosa vuol dire con esattezza, attribuire a ciascuno il ruolo in cui è relativamente
più bravo? Prima di tutto chiariamo un possibile equivoco. Ci sono state e ci sono tutt’ora
infuocate discussioni su quale membro della band sia il migliore. L’argomentazione che
vogliamo sviluppare qui non ha niente a che vedere con queste discussioni: non ha alcun
rilievo ai nostri fini stabilire che è più bravo fra Gilmour e Waters. Quello che conta è
stabilire non la graduatoria dei musicisti che compongono il gruppo, ma la graduatoria delle
abilità individuali per ciascun musicista preso singolarmente. Detto altrimenti, ci
interessano le abilità relative, non quelle assolute.
Semplificando un po’, si possono fare alcuni esempi per chiarire questa idea. Cos’è
che contraddistingue Waters rispetto a altri musicisti rock? Vi è ampio consenso sul fatto
che Roger Waters sia uno dei migliori autori di testi della storia del rock – forse il migliore
– e comunque l’unico in grado di concepire dal 1973 a oggi, ininterrottamente, una
sequenza di 8 concept album (5 con la band e 3 da solo). La scrittura di testi è quindi il
compito in cui Waters eccelle, quello che gli ha portato i maggiori riconoscimenti. Per lui, è
in qualche modo più facile scrivere testi che affascinano milioni di persone, piuttosto che
brani strumentali indimenticabili. Invece, che cos’è che identifica subito nella mente di
qualunque ascoltatore David Gilmour? Le sue composizioni ed esecuzioni musicali, il suo
stile assolutamente personale nel suonare la chitarra, quegli assolo che ti fanno venire i
2 ROIO sta per “record of illegitimate/indeterminate origin”, cioè una registrazione pirata;
quelli che un tempo usava chiamare “bootleg”.
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brividi anche la milionesima volta che le ascolti (l’assolo di Time!!). La scrittura di musica
è il compito in cui Gilmour eccelle, o in ogni caso quello per cui ha riscosso più successo.
Per lui, viene in qualche modo più naturale concepire musica che lascia il segno, anziché
testi particolarmente brillanti. Qualcosa di simile si può dire per Richard Wright, che ha
dato ai Pink Floyd musiche eterne (come The great gig in the sky) ma non testi eccezionali.
Ne consegue che è vantaggioso scrivere canzoni in cui Waters fornisce l’elemento
testo e Gilmour o Wright forniscono l’elemento musica, perché così ciascuno lavora al
meglio nel campo in cui eccelle. Quando i Pink Floyd hanno seguito fedelmente questo
schema hanno prodotto gemme come Wish You Were Here (la canzone) o Confortably
Numb, con musica di Gilmour e parole di Waters; o come Us and Them, con musica di
Wright e parole di Waters.
L’applicazione del metodo delle abilità relative, che consiste in sostanza
nell’affidare il ruolo di scrittore dei testi a Waters e quello di autore della musica a Gilmour
e/o a Wright, è quello che ha consentito ai Pink Floyd di creare “classici”. Quando la
percentuale di brani così concepita sul totale dei brani dell’album è sufficentemente alta,
due dei requisiti che fanno dell’album stesso un classico è stato soddisfatto, abbiamo infatti
qualità e originalità: indubbiamente DSotM e WYWH rientrano entrambi in questa
categoria.
Gilmour ha spesso sostenuto che dei due album, egli trova WYWH più bello di
DSotM (tesi del tutto condivisibile), ma va riconosciuto che il più classico è senz’altro
quest’ultimo. La nostra ipotesi è che questo dipenda essenzialmente dall’altro requisito
della classicità, ovvero la trasmissione di un messaggio che cattura l’attenzione di un
pubblico sempre nuovo; tale aspetto è presente in misura minore in WYWH. Ma di questo
parleremo nella seconda parte.
Per quanto riguarda invece A (1977) e TW (1979) il discorso è leggermente
diverso. In questi due album, la cooperazione e l’attribuzione efficace dei ruoli comincia a
venir meno, e Waters assume un ruolo predominante non solo come autore dei testi ma
anche della musica. Spariscono del tutto i contributi di Wright, che dopo WYWH riapparirà
come autore di musica solo quasi 20 anni dopo, in The Division Bell (TDB), ed è una
mancanza che si sente. La collaborazione Waters-Gilmour a livello di musica e testi
secondo lo schema ideale funziona solo per Dogs, Confortably Numb, Run Like Hell e
Young Lust e produce risultati così eccezionali che veramente si rimpiange che non sia stata
più estesa.
Tuttavia, mentre A rimane un gradino sotto DSotM e WYWH in termini di
popolarità, TW assurge al ruolo di classico, anzi diventa il più classico album dei Pink
Floyd; questo, presumibilmente, perché il tema di cui tratta possiede i necessari tratti di
universalità, cioè perché instaura un dialogo eternamente rinnovabile col pubblico. Ma
anche di questo parleremo più avanti.
L’epilogo (1983-1994)
Dopo TW, la cooperazione fra i membri della band si riduce a quasi zero. The
Final Cut (TFC) del 1983, dicono le note di copertina, è solo “performed by Pink Floyd”.
Wright non fa più parte del gruppo; Waters scrive tutta la musica e tutti i testi e canta in
tutte le canzoni da solo, con l’eccezione di Not now John, dove duetta con Gilmour. In
pratica, siamo alla situazione di partenza, con un membro che fornisce musica, testo e canto
e la band (o quel che resta) che suona; di nuovo, una procedura essenzialmente noncooperativa. In A momentary lapse of reason (AMLoR), del 1987, quando anche Waters ha
lasciato il gruppo, Gilmour scrive la musica, molti dei testi e canta. Nessuno dei due album
ha raggiunto lo status di classico, per quanto entrambi contengano bellissime canzoni. E’
difficile garantire qualità e originalità in maniera costante attraverso tutto un album senza
un adeguato lavoro di cooperazione.
Maggiore coralità emerge nell’ultimo lavoro, TDB, del 1994. Wright torna a pieno
titolo nel gruppo e la collaborazione con Gilmour dà i suoi frutti sul piano della musica.
Aumenta anche il contributo esterno per le parole, il che suggerisce che ci sia stato un
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tentativo di riutilizzare lo schema vincente dei primi anni ‘70, con Gilmour e Wright a
fornire musica e autori specializzati a fornire testi.
Tirando le somme
In sostanza, nel periodo in cui i Pink Floyd sono stati capaci di collaborare a pieno
fra di loro, assegnando quanto più possibile a ciascuno un ruolo appropriato alle sue abilità
relative, hanno prodotto album di grande qualità e originalità. Questo periodo è stato
essenzialmente quello centrale della produzione dei Pink Floyd, dal 1973 al 1979: prima,
dovevano imparare a cooperare; dopo, le tensioni interne hanno reso impossibile la
cooperazione. Il meccanismo ha funzionato al suo meglio in DSotM e WYWH; meno bene
in A e TW. Tuttavia, DSotM, TW, e in misura minore WYWH, sono riusciti a divenire dei
classici in quanto hanno aggiunto alla qualità e originalità una dimensione di “universalità”
(particolarmente forte per TW) che andremo ad esplorare nella seconda parte.
PERCHÉ E A CHI PIACCIONO I PINK FLOYD
Cerchiamo di vedere adesso chi sono le persone attratte da questa musica. Come
dicevamo, quello che salta agli occhi nel valutare il successo dei Pink Floyd è la capacità di
destare interesse attraverso le generazioni, soprattutto con TW, che lancia un messaggio
apparentemente in contraddizione con questa circostanza: quello di prendere le distanze
dalla generazione precedente, dall’ordine precostituito
Un tentativo di ritratto del fan
Non è facile capire chi sono i fan dei Pink Floyd. Forse non esiste un tipico fan, e
l’ampiezza del successo dei Pink Floyd dipende dal fatto che la loro musica attrae per
motivi diversi persone diverse. Tentiamo comunque di evidenziare alcuni tratti che possono
apparire più immediati.
I primi fan del gruppo sono anagraficamente i padri e le madri degli attuali fan più
giovani, quelli che non erano ancora nati quando i Pink Floyd incidevano TW, per
intenderci. I fan più anziani hanno oggi cinquanta anni o più, ma sono incredibilmente
numerosi i quindicenni. Il messaggio, dunque, sembra un universale, almeno nella cultura
occidentale individualista. Com’è difficile staccarsi dall’abbraccio delle madri, dei padri,
dei datori di lavoro, delle aspirazioni condivise da tutti. La voglia di autodeterminazione
che traspare nella storia di TW, questo bisogno di rompere il muro per liberare la propria
identità: niente di più attuale, ora come trenta anni fa.
Innegabile che dietro questa grande presa sul pubblico c’è un’enorme capacità di
dominare il linguaggio espressivo usato: i Pink Floyd usano gli strumenti come un
prolungamento della propria mente e della voce, e hanno una capacità eccezionale di
fondere musica e testo. Il fatto che i Pink Floyd abbiano avuto grande successo anche in
paesi non anglosassoni, dove molti degli appassionati non conoscono l’inglese ma sono
comunque attratti indica che la musica, da sola, riusciva a trasmettere il messaggio, che
viene poi riconosciuto nel momento in cui si traducono le canzoni. Non per niente sono
diffusi libretti con i testi e la traduzione a fronte.
Si sente, in questa musica, che nessuno si è messo a tavolino ad indicare ai
musicisti quali sentimenti dovessero celebrare. Traspare il loro vissuto personale: ad
esempio, la perdita del padre per Waters, così tragicamente specchiata dalla follia di
Barrett, il primo leader del gruppo, un altro padre che se ne va. Dalle loro note, si crea così
quello stato di empatia tra chi suona e chi ascolta: si sente che il musicista ha veramente
qualcosa da dirti, che lo sta dicendo proprio a te. È questo in fondo che li avvicina ai
“classici” veri, Mozart o Bach, per fare qualche esempio.
Si percepisce la differenza con la musica commerciale, costruita in studio per
essere venduta e consumata in breve tempo e sostituita rapidamente da nuovi prodotti:
effimera. Il dialogo non è effimero per definizione. Se si ha qualcosa da dire questo lascia il
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segno. Lo strumento privilegiato di espressione dei Pink Floyd dal 1973 in poi, il concept
album, assicura la continuità e la non-volatilità della comunicazione, in quanto sviluppa per
tutto il percorso di ascolto lo stesso tema. Dopo DSotM, tutti gli album dei Pink Floyd
tranne AMLoR sono a tema, o nel senso che trattano di argomenti connessi fra loro o nel
senso addirittura che raccontano una storia. TW è di quest’ultimo tipo, è la storia della vita
di un (del?) musicista rock, ironicamente battezzato Pink di nome e Floyd di cognome. Gli
altri album sono riflessioni su vari aspetti di un argomento, ad esempio DSotM descrive per
immagini e sensazioni i possibili momenti di una vita (la morte, la violenza, la pazzia ...)
oppure A tratteggia tre tipi umani, ovvero cani, maiali e pecore, e le loro interazioni nella
società moderna. Ascoltare uno di questi album vuol dire riflettere su qualcosa, e spesso
qualcosa di rilevante.
Da queste premesse si capisce che il fan dei Pink Floyd non può essere il
consumatore distratto, quello che compra il disco perché lo sentono tutti, ci sarà pure
quello, ma non fa testo, almeno per noi sarà lui ad essere effimero. L’ascoltatore dei Pink
Floyd è una persona che vuole “sentire” la musica che ascolta, che cerca di evocare
emozioni, che ascolta la musica per sentirla anche sotto la pelle. Questa musica non si
presta ad essere ascoltata in spiaggia in mezzo al chiacchiericcio.
In sintesi il fan dei Pink Floyd è un ascoltatore esigente, forse un po’ snob, che non
ama troppo confondersi tra la massa, fra le inquietanti comparse; nel film TW, per dirla
breve è quello che non vuole finire nel tritacarne, o che almeno si accorge di quello che sta
succedendo ed è disposto a passare tutte le necessarie tribolazioni per abbattere il suo muro.
Simbolicamente questo è il passaggio cruciale dalla pubertà alla maturità, il divenire adulti,
che appunto nella cultura occidentale si identifica con la conquista della autonomia.
Cerchiamo adesso di valutare tramite un’analisi puntuale dei tre album classici dei
Pink Floyd (DSoM, WYWH e TW) in che modo essi siano riusciti a stabilire un contatto
con i loro fan. Il fatto già ricordato che siano dei concept album è fondamentale per capire
come mai i Pink Floyd siano riusciti a produrre album classici anziché canzoni classiche: il
messaggio coinvolgente e universale viene trasmesso solo dall’ascolto di tutto l’album.
Quindi, dovremmo cercare di capire di cosa parlano questi tre album classici e perché
abbiano fatto più presa di altri nella mente dei fan. Procederemo in ordine cronologico
inverso, partendo da TW, il più recente e il più famoso.
Il muro
E’ difficile capire se Waters ne fosse consapevole quando ha concepito TW, ma la
storia narrata nell’album ha esattamente la struttura classica di una fiaba, di quelle dei
fratelli Grimm per intendersi. Vi ricordate, per esempio, Hansel e Gretel? La matrigna li
abbandona nel bosco, i due passano brutte avventure con la strega perché non sanno
resistere alle tentazioni della casetta di marzapane, ma poi si liberano, diventano ricchi e
ritrovano la famiglia. E cosa succede a Pink, l’eroe di TW? Le figure che avrebbero dovuto
essere autorevoli nell’infanzia, come la madre e il maestro, sono in realtà soltanto
autoritarie e mettono i primi mattoni; lui stesso continua a costruire il muro perché si lascia
sedurre dall’idea di diventare un divo del rock (o il suo inquietante doppio, un violento
leader politico che arringa le folle e aizza i teppisti); ma alla fine attraversa un
(auto)processo e si libera, perché il giudice (lui stesso?) fa abbattere il muro, al di là del
quale ci sono those who really love you, “quelli che ti amano davvero”.
A chi serve il muro? Agli altri per proteggersi da Pink oppure a Pink per
proteggersi dalla paura di incontrare gli altri? E’ la storia della crescita di un individuo: la
storia di tutte le favole. Consapevole o inconsapevole che fosse, l’idea di dare a TW questa
struttura è stata semplicemente geniale (un tributo alla progettualità di Waters), ed ha
determinato, a nostro parere, lo straordinario successo dell’album, nonostante sia stato
realizzato in un momento in cui i membri della band avevano ormai perduto, per vari
motivi, la capacità di collaborare veramente (ad esempio, è ben noto che Wright non fosse
più ormai membro dei Pink Floyd all’epoca dell’incisione, ed abbia fatto il tour come
musicista di supporto).
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L’idea è stata geniale perché la struttura della favola cattura l’attenzione degli
ascoltatori in un modo suo peculiare, come nessun’altra struttura narrativa è in grado di fare
ed ha una dimensione universale che non risente del tempo e dello spazio. Le fiabe dei
fratelli Grimm piacevano ai nostri nonni, ai nostri genitori, sono piaciute a noi e piacciono
ai nostri bambini. La favola è l’inconscio collettivo che si racconta, è frutto di un lavoro
che si svolge attraverso le generazioni, è la storia che la comunità ha adattato alle proprie
esperienze, è l’esperienza critica che viene valutata cambiandogli nome e personaggi per
poterne prendere le distanze, per elaborare il problema senza sentirsene protagonisti. Cosa
c’è di meglio di un disco rock per potere fare a meno di essere il protagonista e allo stesso
tempo identificarsi con lui fino a condividerne le fatiche e il percorso verso la vittoria? Ed è
in particolare importante il lieto fine, comune alle favole, perché è quello che dà un senso
agli sforzi compiuti.
Certo, concepire una favola non è così facile come sembra, e raccontarla in musica
è ancora meno facile. Gli stessi Grimm hanno raccolto e cristallizzato fiabe della tradizione
orale, non hanno scritto le fiabe che comunemente vengono loro attribuite. Nella storia del
rock ci sono, oltre a TW, almeno tre esempi notevoli di concept album che hanno, più o
meno, la struttura della favola: Tommy e Quadrophenia degli Who (per meglio dire, di Pete
Townshend) e The Lamb Lies down on Broadway dei Genesis (o forse soprattutto di Peter
Gabriel). I due album degli Who raccontano, entrambi, una storia di abbandono
nell’infanzia, successive tribolazioni, e redenzione finale; Quadrophenia viola però il
criterio fondamentale del lieto fine, mentre Tommy tutto sommato non lo viola. Al di là
della qualità musicale dell’opera (come concezione ed esecuzione), questo essere meno
aderente al modello della favola contribuisce a spiegare perché Quadrophenia ha avuto
un’accoglienza peggiore e un successo meno duraturo di Tommy. Infine, The Lamb Lies
down in Broadway ha un protagonista abbandonato dalla famiglia e travolto da un viaggio
allucinato e allucinante (metà acid trip, metà percorso interiore) che, però, come in
Quadrophenia, va incontro a un destino finale troppo poco catartico, anzi abbastanza
inquietante. Il fatto che dei tre album citati, Tommy, l’unico a lieto fine, sia stato quello con
vita artistica più lunga va a rafforzare dunque l’idea che la struttura della favola sia stata la
chiave di volta del successo di TW.
Vorrei che tu fossi qui
WYWH è, si dice, dedicato a Syd Barrett. Waters ha comunque dichiarato in varie
occasioni che l’argomento dell’album è più genericamente la progressiva perdita di
coesione della band, la sensazione che ognuno si stia piano piano allontando dagli altri.
Non racconta una storia, ma descrive un momento della vita di una persona. E lo fa in
maniera eccellente: è delicato e dolcemente triste (Shine on You Crazy Diamond e Wish
You Were Here), con momenti di rabbia impotente (Have a Cigar e Welcome to the
Machine), una struttura che rispecchia molto bene lo stato d’animo di chi percepisce la fine
di una esperienza bella e coinvolgente, come potrebbe essere la perdità di una indefinita età
dell’oro, ad esempio l’infanzia oppure una grande storia d’amore. Musicalmente, e come
testi, è splendido, e come abbiamo già accennato, l’opinione di Gilmour che questo sia il
più bell’album dei Pink Floyd è assolutamente rispettabile. Questo spiega da una parte il
suo successo, ma è anche innegabile che esso abbia avuto meno diffusione di DSotM e
TW. Dopo che abbiamo chiarito perché TW ha avuto la longevità che ha avuto è facile
capire che la concezione di WYWH non aveva, non poteva avere, le stesse potenzialità. È
un disco a tema, ma non racconta una favola. In più, è un album introverso, su un tema che
difficilmente può aver presa su un gruppo veramente vasto di fan: la fine dell’età dell’oro,
per quanto splendidamente raccontata, non è un’esperienza che tutti rivivono volentieri,
spesso non la si vorrebbe neppure ammettere.
Il lato oscuro della luna
There is no dark side of the moon, really; matter of fact, it’s all dark, cioè “non c’è
mica un lato oscuro della luna: a dire il vero, è tutta scura”, dice una voce alla fine di
DSotM. Se il lato oscuro della luna è una metafora per il sostrato più profondo e difficile
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della nostra vita, allora questa frase, già scientificamente inappuntabile, diventa anche
emotivamente significativa.
DSotM ha una struttura intermedia fra TW e WYWH. Racconta una storia, la storia
di una vita, ma non ne racconta i fatti come in TW; piuttosto, riassume efficacemente i
momenti emotivi più forti che la scandiscono. Dalle inquietanti affermazioni di Speak to me
(I have been mad for fucking years, absolutely years...,”.sono stato pazzo per un fottio di
anni, assolutamente anni...”) nasce una persona e fra il primo respiro (in Breath) e l’ultimo
(in Eclipse) conosce la paura di invecchiare (Time) e quella della morte (The Great Gig in
the Sky), il potere del denaro (Money), gli orrori della violenza (Us and Them) e della
pazzia (Brain Damage). Quindi, non è una favola come TW, ma ha comunque un percorso
da seguire, sia pure “a scatti” quasi fotografici. La potenza espressiva di questi “primi
piani” è eccezionale – tanto nella musica quanto nei testi. Si pensi ad esempio a The Great
Gig in the Sky, e a quello che ci racconta. Qual è il punto di vista migliore per guardare la
vita? La morte! I’m not afraid of dying, anytime will do ...” non ho paura di morire,
qualunque momento va bene...”. Un grande senso di pace e un’enorme prospettiva. Non si
può parlare della morte se se ne ha paura. Qualsiasi terrore si nasconde dietro l’anonimato,
come sapeva bene il Manzoni. Chi ha il coraggio di guardare al di là del baratro non può
che essere qualcuno con un grande coraggio o una grande sapienza. Incute timore e
rispetto. E la pace arriva attraverso la purezza della voce che canta senza dire alcuna parola.
Grido, pianto, liberazione, come un’aquila che plana sul mondo, appunto uno splendido
punto di vista. Da una pace immensa, calma, sicura, certa. Come la morte. Why should I be
afraid of dying, there’s no reason for it ...“Perché dovrei avere paura di morire, non ce n’è
motivo...”.
APPENDICE
Nella prima parte del lavoro abbiamo utilizzato due strumenti di analisi propri della
scienza economica, ovvero la teoria dei vantaggi comparati (dovuta originariamente a
David Ricardo, economista inglese dell’800) e i concetti di equilibrio cooperativo e noncooperativo (diffusi nella loro forma attuale da J. Nash – sì, quello di A beautiful mind – in
una serie di articoli dei primi anni ’50). Il lettore interessato può approfondire la
conoscenza di questi strumenti in un manuale di economia internazionale (ad esempio, P.
Krugman e M. Obstfeld, Economia internazionale, Hoepli) per i vantaggi comparati, e in
un manuale di teoria dei giochi per gli equilibri (ad esempio, D.M. Kreps, Teoria dei giochi
e modelli economici, Il Mulino).
Nella seconda parte, abbiamo usato invece degli strumenti di analisi propri della
psicologia, in particolare l’intrepretazione psicoanalitica delle fiabe: Sigmund Freud ha
diffuso la pratica di utilizzare ad esempio miti dell’antica Grecia per interpretare situazioni
e atteggiamenti psicologicamente rilevanti (banalmente, si pensi al complesso di Edipo).
Un testo fondamentale e affascinante, dedicato specificamente alle fiabe e ai loro significati
psicoanalitici, è Il mondo incantato, di B. Bettelheim, edito da Feltrinelli. Nella stessa vena,
ma orientato specificamente verso i problemi femminili, è il saggio di C.P. Estes, Donne
che corrono coi lupi, Frassinelli.
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