na toni - Rassegna di Nuova Musica

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Rassegna di Nuova Musica
Programma
Stefano Scodanibbio
Produzione
Gianluca Gentili
Consulenza artistica
Tonino Tesei
Segreteria
Paola Pierucci
nell’ambito di
Le parole della musica - Palcoscenico Marche 2008
Ministero Beni e Attività Culturali
Regione Marche
M3/Polo Lirico-Sinfonico Regionale
Associazione Arena Sferisterio Macerata
Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Fondazione Teatro delle Muse Ancona
Provincia di Macerata
Assessorato ai Beni Culturali
Comune di Macerata
Assessorato Attività Culturali
Rai Radio3
www.rassegnadinuovamusica.it
Foto di Fabrizio Garghetti, © Casa Ricordi, Milano
Chi può oggi, al pari di Franco Donatoni, unire le qualità minute dell’artigiano
con l’originalità di un raffinato mondo immaginario?
Sono rari i compositori che, come lui, hanno forgiato un utensile originale,
che parlano un linguaggio così specifico, che si sono creati un territorio poetico
tanto evidente da essere riconoscibile fra tutti.
Inoltre il suo universo ha la fortuna di fare la gioia degli interpreti per il suo aspetto
concreto, vicino, evidente. La lunga perseveranza di Franco Donatoni sembra averlo
portato verso la libertà e, più ancora, verso la spontaneità: felice privilegio, se altri
ne esistono, questa facilità apparente che a disposizione d’altri mette simili profonde
risorse tanto ostinatamente raggiunte, e tanto seducenti!
Ogni compositore può invidiarlo per questa maestria che realizza l’illusione.
Pierre Boulez
do
na
toni
Omaggio a Franco Donatoni
_lunedì 17 novembre
_teatro lauro rossi
_martedì 18 novembre
_teatro lauro rossi
For Grilly (1960) Improvvisazione per 7
Clair (1980) due pezzi per clarinetto
Spiri (1977) per dieci strumenti
Lumen (1975) per sei strumenti
Nidi (1979) due pezzi per ottavino
Rasch (1990) per quattro sassofoni
Note d’amicizia per Franco Donatoni video/collage
Ash (1976) per otto strumenti
Argot (1979) due pezzi per violino
Rasch II (1995) per quartetto di sassofoni,
vibrafono, marimba, percussione e pianoforte
Alamari (1983) per violoncello, contrabbasso e pianoforte
Françoise Variationen, II e III ciclo (1987) per pianoforte
Hot (1989) per sassofono sopranino e tenore e sei strumenti
Isabella Consoli oboe
Roberta Gottardi clarinetto
Quartetto di Saxofoni Alea
Fausto Bongelli clavicembalo e pianoforte
Marco Rogliano violino
Matteo Cesari ottavino
Federico Mondelci sax
Quartetto Atem
Giorgio Casati violoncello
Stefano Scodanibbio contrabbasso (Alamari)
Maria Isabella De Carli pianoforte (Alamari)
Ciro Longobardi pianoforte (Françoise Variationen)
Ensemble Algoritmo
Matteo Cesari flauto
Massimo Munari clarinetto basso
Ciro Longobardi pianoforte
Antonio Caggiano percussioni
Maddalena Pippa violino
Gabriele Croci viola
Giorgio Casati violoncello
Ensemble Algoritmo
Roberta Gottardi clarinetto
Massimo Munari clarinetto basso
Mario Bracalente tromba
Massimo Gianangeli trombone
Antonio Caggiano percussioni
Gabriele Croci viola
Dario Calderone contrabbasso
Marco Angius direttore
Stefano Scodanibbio direttore (Rasch II)
Marco Angius direttore
Franco Donatoni è nato a Verona il 9 giugno 1927.
Ha studiato al Conservatorio di Milano con Ettore Desderi e al Conservatorio
di Bologna con Lino Liviabella.
Si è diplomato in composizione e strumentazione per banda nel 1949,
in musica corale e direzione di coro nel 1950 e in composizione nel 1951.
Nel 1953 ha conseguito il diploma del corso di perfezionamento di composizione tenuto
da Ildebrando Pizzetti presso l’Accademia di Santa Cecilia in Roma. Ha frequentato
i Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt nel 1954, 1956, 1958 e 1961.
Le sue opere sono pubblicate dagli editori Zanibon di Padova, Schott di Magonza,
Boosey & Hawkes di Londra, Suvini e Zerboni di Milano e Ricordi di Milano.
Ha pubblicato quattro libri di riflessioni sulla propria arte: Questo (Adelphi 1970),
Antecedente X (Adelphi 1980), Il sigaro di Armando (Spirali Edizioni 1982),
In-oltre (L’Obliquo 1988).
Partito da posizioni bartókiane, si è accostato dapprima alle tecniche seriali postweberniane e allo strutturalismo; tra i lavori più significativi che hanno concluso questa
fase di apprendistato ricordiamo i pezzi per orchestra Strophes (1959), Sezioni (1960)
e Puppenspiel (1961).
Influenzato dalla lezione di Cage, Donatoni ha compiuto una riflessione sull’operare
artistico che lo ha portato a teorizzare un rovesciamento del tradizionale rapporto
creatore-opera. Attraverso le pratiche dell’indeterminazione e riducendo l’attività
del comporre all’invenzione di tecniche automatiche di trasformazione del materiale,
ha aperto le sue composizioni ad aspetti aleatori. Tra gli esiti di queste pratiche giova
ricordare, con particolare rilievo: Per Orchestra (1962), Quartetto IV-Zrcadlo (1963)
per archi, Puppenspiel n. 2 per flauto, ottavino e orchestra (1965), Souvenir
(1967) per 15 strumenti, Etwas ruhiger im Ausdruck (1967) per 5 strumenti.
In seguito la riflessione di Donatoni si è volta verso il superamento dei rigorosi
automatismi combinatori: le tecniche usate sono sempre di tipo automatico,
ma legate all’empirismo del momento, con codici cambiati molto frequentemente.
Alla intensa produzione degli anni Settanta appartengono Double II (1970) e Voci
(1972-73) per orchestra, Espressivo (1974) per oboe e orchestra, Duo pour Bruno
(1974-75) per orchestra, Portrait (1976-77) per clavicembalo e orchestra,
Diario ’76 (1977) per 4 trombe e 4 tromboni, Ash (1976) per 8 strumenti,
Spiri (1977) per 10 strumenti, Arie (1978) per voce e orchestra e The Heart’s Eye (1979-80) per quartetto d’archi.
Le nozioni di «processo», «immagine», «figura» connotano la sua musica più recente che è caratterizzata da grande raffinatezza
sonora e da sviluppi forti ed imprevedibili. Tra i lavori più importanti degli anni Ottanta e Novanta ricordiamo: il monumentale ciclo
di brani orchestrali In cauda (1982-83) per coro e orchestra, In cauda II (1993-94), In cauda III (1996), Fire -In cauda IV (1998)
per 4 voci femminili e orchestra, Esa -In cauda V (2000); i numerosissimi pezzi per ensemble, tra i quali segnaliamo: Le ruisseau
sur l’escalier (1980) per violoncello e 19 esecutori, Tema (1981) per 12 strumenti, Cadeau (1984) per 11 strumenti, Darkness
(1984) per 6 percussionisti, Refrain (1986) per 8 strumenti, Flag (1987) per 13 strumenti, Le souris sans sourire (1988) per
quartetto d’archi, Closhes (1988-89) per 2 pianoforti e 10 esecutori, Sweet Basil (1993) per trombone e Big Band, Lem II (1996)
per contrabbasso e 15 strumenti.
Di altissimo rilievo è la grande serie dei pezzi bipartiti, ciascuno per un diverso strumento solista, che Donatoni ha composto
a partire dal 1977: il primo esempio è Algo per chitarra, seguito da Ali per viola, e da molti altri, fino ad arrivare ai più recenti
Feria IV per accordeon,Tell per corno inglese e Till per corno (tutti del 1997).
Nel febbraio 1985 è andata in scena al Teatro alla Scala di Milano la sua opera Atem. Nel 1990 il Festival Settembre Musica
di Torino gli ha dedicato un’ampia monografia e il volume Donatoni (EDT 1990).
Dal giugno all’ottobre 1992 Milano Musica ha realizzato, in suo omaggio, un’importante rassegna; nel corso di otto concerti sono
state eseguite alcune fra le sue composizioni più significative e, in prima assoluta, L’arte della fuga di Bach trascritta per orchestra.
Nel 1998, nell’ambito del Festival di Strasburgo, è stata rappresentata la sua opera buffa Alfred Alfred con lo stesso Donatoni
come attore protagonista.
Di fondamentale importanza è stata la sua attività didattica, che ha esercitato enorme influenza nel mondo musicale non solo
italiano. Ha insegnato nei conservatori di Bologna, Torino e Milano dal 1953 al 1978. Per molti anni è stato titolare della cattedra
di perfezionamento di composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma. Ha tenuto ininterrottamente dal 1969
al 1999 il corso di perfezionamento di composizione presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Dal 1971 al 1985 è stato
professore incaricato presso il corso DAMS della Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Nel 1972 è stato invitato
dal Deutscher Akademischer Austauschdienst a risiedere a Berlino per un anno. Ha tenuto numerosi seminari sulle proprie opere
in Francia, Svizzera, Spagna, Olanda, Israele, Stati Uniti, Messico, Australia.
Ha ottenuto molti premi: Liegi 1951 (Quartetto per archi), Radio Lussemburgo 1952 (Concertino per archi, ottoni e timpano solista),
e 1953 (Sinfonia per archi), SIMC. 1961 (Puppenspiel per orchestra), Marzotto 1966 (Puppenspiel n. 2 per flauto, ottavino
e orchestra), Koussevitzki 1968 (Orts per 14 strumenti), Psacaropoulo 1979 (Spiri per 10 strumenti).
Membro effettivo dell’Accademia Filarmonica Romana e dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nel 1985 è stato insignito
del titolo Commandeur dans l’Ordre des Arts et des Lettres dal Ministro della Cultura Francese.
Franco Donatoni si è spento a Milano il 17 agosto 2000.
Franco Donatoni, da Spiri
Note alle composizioni di Franco Donatoni
For Grilly, Improvvisazione per sette, è stato scritto nel 1960
ed è dedicato a Franco Travis. È stato eseguito la prima volta
a Roma il 24 maggio dello stesso anno.
Il principio dell’improvvisazione specificato dal sottotitolo non
si deve intendere nel senso comune (come nel jazz), ma
così come lo intendeva Boulez all’inizio degli anni Sessanta:
«Improvvisazione (…) è irruzione (Einbruch) nella musica
di una dimensione libera».
For Grilly è un brano formato da brevi episodi densi di
figurazioni multiformi, imprevedibili ed eccentriche. L’indicazione
metronomica iniziale «croma = il più veloce possibile» determina
un andamento vorticoso: gli strumenti si avvicendano e si
intersecano freneticamente in un travolgente gioco di contrasti
(fortissimo - pianissimo, acuto - grave, denso - rado, continuo discontinuo).
Con questo lavoro Franco Donatoni conclude il suo periodo
di apprendistato volto ad assimilare le ricerche dei maggiori
compositori post-weberniani: Pierre Boulez e Karlheinz
Stockhausen («In For Grilly risentivo un po’ dello Stockhausen
del tempo di Kontra-Punkte, di Zeitmasse, che io avevo sentito
a Baden-Baden e che avevano rappresentato per me una vera
e propria esplosione interiore» rivela Donatoni).
Clair, due pezzi per clarinetto, è stato scritto nel 1980 ed è
dedicato a Giuseppe Garbarino che l’ ha eseguito per la prima
volta a Siena il 26 agosto 1980.
Clair fa parte della grande serie di composizioni per strumento
solista iniziata da Donatoni nel 1977 con Algo per chitarra e poi
proseguita con due decine di altri lavori, fino a Till per corno del
1997. A proposito dichiara l’autore: «Non si tratta di pezzi scritti
per esplicita intenzione virtuosistica o nell’intento di esplorare
inedite possibilità strumentali, anche se le esecuzioni di essi
esige la presenza di interpreti dotati di attitudini virtuosistiche.
Si tratta piuttosto di un interesse per la scrittura lineare o
addirittura monodica che restringe il gesto compositivo ad
articolazione filiforme e riduce le possibilità di collocazione della
figura nello spazio». Tutti i componimenti sono divisi in due parti
complementari, onde ottenere in modo evidente la separazione
dei caratteri espressivi differenti per articolazione, dinamica,
gesto, ecc.
I due pezzi che formano Clair traducono nella maniera più
efficace questa opposizione binaria: il primo è impetuoso ed
estroverso, il secondo è sommesso e introverso. Il primo brano
è giocato prevalentemente sulla voce calda e brillante (anche
pettegola e petulante) del registro acuto del clarinetto; il secondo
pezzo (da eseguire «il più veloce possibile») comincia nel
registro basso dello strumento (chalumeau) con una dinamica
sommessa «al limite dell’udibilità» e «sempre sottovoce e
vorticoso» sale, con rapidi guizzi, nel registro medio e approda
a una «catena» di fantasmagorici trilli.
Spiri, per dieci strumenti, è stato scritto nel 1977 su commissione di diverse istituzioni
musicali italiane ed è dedicato a Salvatore Sciarrino. È stato eseguito la prima volta
a Roma il 18 gennaio 1978.
Scrive Donatoni: «L’utilizzazione continua dello stesso materiale iniziale secondo
procedure simili al canone, desta una riconoscibilità delle figure che può far pensare
al “tematismo”. Tale esito è anche dovuto ai processi compositivi di “trasformazione a
distanza” e non va attribuito ad una deliberata intenzione di fare riferimento a tecniche
specifiche di elaborazione». Nella presentazione di Spiri trova il posto per la prima
volta la nozione di «figura» che per Donatoni è un’identità importantissima. Per figura il
compositore intende «qualsiasi frammento nel quale il livello dell’articolazione consenta
di riconoscere l’identità tipologica, non come organismo individuale tematicamente e
soggettivamente connotato ma come singolarità riconoscibile nelle determinazioni che
sono proprie alla sua connotazione generalizzata. Si potrebbe anche dire che la figura
non è dotata di individualità ma esiste soltanto in una condizione di reale o presunta
staticità. La sua generalizzazione – dalla tipologia costante e dalla singolarità mutevole
– è quello che chiamo l’evento, statico nell’unità e dinamico nella molteplicità».
Fin dall’inizio la prima e più importante figura di Spiri è materializzata dall’oboe e
dal violino solista: è un breve arpeggio le cui note polarizzate sono tratte dal nome
dell’autore (F.A.C.D.: Fa, La, Do, Re).
Questo frammento appare con vesti strumentali sempre nuove (anche a breve
distanza) in molti luoghi della composizione (è una sorta di idée fixe). Una seconda
figura molto caratteristica è il Do diesis (la nota preferita dal compositore).
Si presenta per la prima volta a battuta 25 al violino solista (in pizzicato bartókiano),
successivamente al trio dei legni (su diversi registri, in ottava), e infine al violoncello.
Altre figure meno pregnanti ricorrono in questa composizione le cui unità
di articolazione sono molto frammentate a causa di un progetto di «schematizzazione
della macroforma» che era abbastanza consueto a Donatoni, fino al 1981. Le diverse
sezioni di cui il brano è costituito si succedono e si alternano in un gioco di variazioni
e di proiezioni a distanza; si riscontra la tendenza – tangibile soprattutto nella seconda
parte dell’opera – a stratificare un numero di elementi figurali sempre crescente.
In Spiri c’è una evidente leggerezza ludica: «È un pezzo felice, nato da condizioni
felici» confida l’autore.
Ash, per otto strumenti, è stato scritto nel 1976 su commissione
dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena dove è stato
eseguito per la prima volta, diretto dall’autore, il 27 luglio
dello stesso anno.
Ash - «cenere» - è l’opera che pose fine alla drammatica
decisione di Donatoni di abbandonare la composizione.
Racconta l’autore: «Talvolta sotto la cenere possono esserci
ancora delle faville capaci di divampare, ma la decisione di
scrivere Ash la devo a mia moglie Susie. [Nel 1976] mi era stato
commissionato un pezzo per l’estate successiva dall’Accademia
Chigiana di Siena in cui si prevedeva la partecipazione di singoli
docenti con Accardo, Garbarino, Giuranna, uno staff di gran
lusso, insomma. Non sapevo come sottrarmi a quell’impegno,
ma mia moglie mi convinse ad assolverlo ugualmente.
Diceva che tanto io avevo deciso di non comporre più e
quindi entro la prospettiva di quella decisione avrei potuto fare
un’eccezione scrivendo un pezzo soltanto. Perché no? In fondo
cosa rischiavo? La mia decisione era ormai presa e così scrissi
Ash applicando ancora una volta il mio solito procedimento degli
automatismi, in maniera un po’ meno rigorosa però, perché
dovevo concedere degli spazi ai singoli strumenti concertanti
suonati da quei solisti illustri. (…) La conseguenza pratica del
dover scrivere per quei solisti illustri fu l’accorciare i tempi entro
i quali i codici agivano. Ne venne una musica determinata più
dalla linearizzazione che dalla sovrapposizione dei codici,
ricca di articolazioni variegate e differenti. Era un vantaggio
indubbiamente e così a quella condizione mi sono attenuto
anche nei lavori successivi».
Argot, due pezzi per violino, è stato scritto nel 1979 ed è
dedicato a Salvatore Accardo che l’ha eseguito per la prima
volta a Siena il 25 agosto 1979.
Afferma Donatoni: «Questi pezzi nascono da niente (…)
nascono come gesti: nel primo caso un arpeggio, nel secondo
dei modelli ritmici molto difettivi come articolazioni di altezze,
il che ha dato l’estro ad Accardo, quando li ha eseguiti per
la prima volta, di interpretarli in modo zigano. [L’appiglio per una
interpretazione di questo tipo nacque] credo dalla cultura e dalla
mentalità di Accardo che non volle che assistessi alle prove
e mi mise davanti al fatto compiuto della sua interpretazione».
Il primo movimento di Argot, da intendersi «il più veloce
possibile», è caratterizzato da modalità esecutive tipiche del
virtuosismo paganiniano (arpeggi rapidissimi, spiccato, gettato,
ecc.) piegate tuttavia a una nuova funzionalità. Il secondo brano
di Argot è più esteso e variegato del primo: Donatoni espone
un materiale minimo e lo sottopone a un processo di crescita
e di variazione impressionante, che non sembra avere alcuna
direzionalità; il brano è facilmente divisibile in diciotto «pannelli»
differenti che sono il risultato di «riletture» del frammento
iniziale: ciò crea un movimento circolare, caleidoscopico;
la forma non è precostituita. Questo pezzo esemplifica bene
il pensiero compositivo dell’autore. Infatti, ecco quel che scrive
Donatoni: «Lo sviluppo viene negato a favore della crescita,
l’unità viene sacrificata alla molteplicità (…), il rettilineo lascia
il posto al ramificante in nome di un esito formale ch’è anzitutto
esplorazione e non attuazione di un progetto».
Rasch II, per quartetto di sassofoni, vibrafono, marimba,
percussione e pianoforte, è stato scritto nel 1995 su
commissione della Fundación Sax-ensemble.
È stato eseguito la prima volta a Madrid il 24 ottobre del 1995.
L’inizio di Rasch II è esattamente il retrogrado della coda di
Rasch (1990): questa composizione è scaturita – come sovente
accade in Donatoni – da un’opera ad essa precedente.
Al riguardo l’autore si esprime così: «Io di solito parto da
qualche suggestione desunta da pezzi precedenti, da qualche
evidenza non ancora bene espressa in superficie, ma di cui si
esige un commentario da parte mia. Continuo a commentare
sempre le stesse cose: si vedrà che il pezzo stesso è un
frammento perché in realtà il mio pensiero continua da un pezzo
all’altro. Solo per necessità pratiche il pensiero musicale viene
interrotto in quel certo organico, quando le cose che si devono
sperimentare nel pezzo sono finite e non hanno più interesse ad
essere continuate». Donatoni adatta l’idea che chiudeva Rasch
al nuovo e più vasto contesto strumentale e sviluppa
le figure musicali nelle nuove dimensioni spaziali e temporali.
Egli divide l’organico in undici gruppi tutti differenti che cito in
ordine di apparizione: 1) quartetto, 2) quartetto e vibrafono; 3)
quartetto e marimba; 4) vibrafono e pianoforte; 5) quartetto,
vibrafono e pianoforte; 6) quartetto e pianoforte; 7) marimba
e pianoforte; 8) quartetto, marimba e pianoforte; 9) quartetto,
temple blocks e pianoforte; 10) quartetto e bongos; 11) quartetto
e tom toms. Gli strumenti a percussione a suono indeterminato
entrano soltanto verso la fine della composizione. Nella casistica
delle possibili combinazioni strumentali l’elemento dialettico
resta il tratto caratterizzante e il confronto fra entità sonore
contrapposte genera una forma molto spettacolare. Le figure
circolano molteplici e, nella varietà e imprevedibilità delle
successioni, Donatoni instaura tra i gruppi strumentali ora un
rapporto antinomico, ora un rapporto dialogico, sottolineando
il ruolo fondamentale che i mutamenti giocano nella sua musica.
Lumen, per sei strumenti, è stato scritto nel 1975 ed è dedicato
alla memoria di Luigi Dallapiccola. È stato eseguito la prima
volta a Siena il 25 agosto 1975.
Il titolo e il materiale di partenza del brano donatoniano deriva
da Lux di Dallapiccola, su testo tratto dai Soliloquia di uno
pseudo-Sant’Agostino, per voce e strumenti, a cui il compositore
istriano cominciò a lavorare nel 1974 e che purtroppo lasciò
incompiuto.
In Lumen i sei strumenti sono divisi in tre coppie ciascuna
delle quali ha un ruolo specifico: i due archi hanno una funzione
ritmica, le due percussioni un ruolo armonico e i due fiati uno
melodico. La viola e il violoncello per quasi tutta la durata del
pezzo suonano, con diverse modalità di attacco, le sole quattro
note corrispondenti alle loro corde vuote; la celesta e il vibrafono
eseguono alcuni lievi accordi che vengono successivamente
sciolti in morbidi arabeschi; l’ottavino e il clarinetto basso,
estremamente divaricati tra loro, disegnano un canto estatico,
una sorta di malinconico lied. Tutto è avvolto da una luce tenue,
eterea. Tuttavia dalla battuta 39 i due fiati, come contagiati
dalle percussioni, trasformano gradualmente il loro canto in un
ghirigoro sempre più frenetico che sfocia nella «luminosissima»
sezione culminante del pezzo (battute 59-63) in fortissimo.
Segue un’esile coda dove, le leggere figurazioni musicali
scivolano via svanendo nel nulla.
Nidi, due pezzi per ottavino, è stato scritto nel 1979 ed è dedicato
a Pierre-Yves Artaud e a Roberto Fabbriciani. È stato eseguito
la prima volta alla Biennale di Venezia il 26 novembre 1979 da
Fabbriciani.
«Nidi prende le mosse da alcuni frammenti di Lumen» osserva
Franco Donatoni. Un piccolissimo frammento di tre suoni (Fa, Re,
Sol bemolle – i primi due sono anche le iniziali del compositore:
F.D.) desunto dalla misura 59 di Lumen dà origine a questo
fantastico dittico. L’ottavino inizia esponendo sommessamente
la cellula di tre suoni che, poi, viene sottoposta a un procedimento
di prolificazione, il quale mette in campo anche le altre note
del totale cromatico in un gioco di permutazioni e di spostamenti
di ottava; lo strumento conquista progressivamente anche
i registri, le dinamiche e le velocità estreme. In alcune parti,
il pezzo suscita la sensazione di polifonia ed eterofonia «latenti».
Spiega Donatoni, infatti: «[Pensate] alla scrittura classica con
il suo procedere a tre parti ma trasferita in un decorso lineare
com’è quello di uno strumento solista. Le tre articolazioni saranno
evidentemente giustapposte e non sovrapposte. (…) C’è una linea
sola ma ci sono in realtà momenti e articolazioni differenti che
fanno un falso contrappunto articolato mediante la connessione
armonica. (…) [La sensazione di eterofonia «latente»] nasce dalla
asimmetria metrica che fa sì che la durata di ciascuna linea sia
asimmetrica rispetto a quella delle altre». I due pezzi richiedono
allo strumentista una tecnica prodigiosa e la conoscenza delle
modalità esecutive dei suoni multipli. Lo splendido titolo evoca
il mondo degli uccelli: probabilmente Donatoni – che non era
un musicista ornitologo come Messiaen e non era interessato a
riprodurre l’esuberante assolo dell’usignolo – voleva evocare il
«tempo degli uccelli» (così l’aveva definito Gérard Grisey) i quali
hanno una costante di tempo molto breve. Questi piccoli pennuti,
infatti, si muovono in modo agitato e fremente, cantano reiterando
rapidamente brevi moduli, presi dal grande bisogno di sintesi che
caratterizza il mondo dei volatili.
Rasch, per quattro sassofoni, è stato scritto nel 1990 su
commissione del Österreichischer Rundfunk Landestudio
Steiermark ed è dedicato al Raschér Quartet che ne ha
realizzato la prima esecuzione a Graz il 10 giugno dello
stesso anno.
Rasch è sviluppato da un frammento estratto da Soft per
clarinetto basso che Donatoni ha composto nel 1989. Il pezzo
è diviso in undici brevi episodi ognuno dei quali è caratterizzato
da figure articolate in modo sempre diverso. Tali episodi sono
generati organicamente gli uni dagli altri senza soluzione di
continuità per creare un efficace arco dinamico e formale.
Infatti, la composizione si avvia con un suono legato e tenue
(soft, appunto) e arriva verso la metà a un fortissimo molto
incisivo e articolato; soltanto verso la fine il compositore ripristina
la dinamica iniziale: «pianissimo mormorando e un poco
vibrato». Il titolo Rasch riflette il nome del quartetto dedicatario,
ma è anche la parola tedesca che significa «rapido», «svelto»;
la suggestione desunta dal titolo si riverbera nella partitura,
la quale è continuamente pervasa da un ritmo spigliato
e frettoloso, e da un pressoché continuo avvicendarsi
del bipolare dialogo suono-pausa.
Alamari, per violoncello, contrabbasso e pianoforte, è stato
scritto nel 1983 su commissione dell’Accademia Musicale
Chigiana di Siena ed è dedicato a Stefano Scodanibbio.
È stato eseguito la prima volta a Siena il 29 agosto 1983
da Alain Meunier, Franco Petracchi e Maria Isabella De Carli.
Scrive ancora Donatoni: «Come accade per gli altri Trii, anche
questo utilizza materiali provenienti da Lame per violoncello,
Lem per contrabbasso e Rima per pianoforte. L’articolazione
che ne deriva è formalmente autonoma anche se gli oggetti
di provenienza possono essere facilmente riconosciuti».
E specifica: «[Ogni opera] fa parte di un pannello infinitamente
più grande, che è l’integrità dell’opera del compositore, cioè
la sua totalità dell’opera».
Alamari è concepito come una successione di «pannelli» dove
i materiali di partenza vengono trasformati mediante
la tecnica della variazione continua o delle «riletture».
In questa composizione Donatoni privilegia un esacordo
cromatico (Mi bemolle, Re, Re bemolle, Do, Si, Si bemolle)
al quale, in principio, dà una evidenza ritmica e in seguito una
evidenza melodica. Da battuta 97 fino a battuta 133 l’autore
scrive una lunga sequenza melodica che egli chiamava
«falsa melodia» perché le durate e l’ordine delle note sono
«inafferrabili» nella loro imprevedibilità. In questa circostanza,
a seguito del rinnovarsi incessante e permutato delle note
dell’esacordo e dell’assestarsi di queste su sempre diverse
posizioni della misura, si ha un bellissimo e soavemente esotico
esito musicale. Successivamente la «falsa melodia» si dissolve
assorbita da ritmi articolati e incalzanti.
Le Françoise Variationen (variazioni 8-14, II ciclo; variazioni
15-21, III ciclo), per pianoforte, sono state scritte nel 1987 su
commissione della Rassegna di Nuova Musica di Macerata
e sono dedicate rispettivamente a Massimiliano Damerini e
a Maria Isabella De Carli. Sono state eseguite la prima volta
all’Abbazia di Fiastra (Macerata) il 4 luglio 1987 da Damerini.
La genesi delle Françoise Variationen è spiegata da Donatoni:
«Françoise Peri, la moglie di un critico cinematografico che ha
collaborato con Fellini mi aveva chiesto una volta un foglietto
manoscritto da mettere in cornice. Fu così che buttai giù il materiale
dal quale sarebbero nate le variazioni».
Le Françoise Variationen consistono in sette cicli di sette variazioni
ciascuno (nel manoscritto ogni variazione occupa esattamente
una pagina che dura pressappoco un minuto). Spiega ancora
l’autore: «Ogni ciclo vive separatamente ed è permutabile a
seconda della discrezione del pianista, del respiro che lui intende
dare all’esecuzione». La tecnica di elaborazione impiegata è quella
della «variazione totale» (codificazione diversa del materiale) di cui
parlava Berio verso la fine degli anni Cinquanta. Aggiunge Donatoni:
«[Il materiale] è il medesimo nel primo ciclo; il secondo si basa su
un materiale corrispondente del primo ciclo. Quindi il materiale del
numero 1 sarà quello del numero 8, quello del 2 diverrà quello del
9 e così via». Si tratta dunque di una «variazione della variazione»
concepita secondo una distanza prospettica di 7. Ogni ciclo è
caratterizzato da un aspetto particolare del pianismo: il legato, lo
staccato, gli arpeggi, gli accordi, le note ripetute, ecc. Il primo ciclo è
datato 1983 e l’ultimo 1996, la durata complessiva è 40 minuti circa.
Le Françoise Variationen sono il lavoro più importante che Donatoni
ha dedicato al pianoforte e nel genere variazione sono una delle
opere più significative del secondo Novecento. La composizione,
grazie alla sua originalità e perfezione tecnica, si può facilmente
accostare alle opere dei grandi del passato. Lo stesso Donatoni,
il giorno della prima esecuzione maceratese, disse ironicamente:
«Anche Mozart ha scritto le sue Françoise Variationen…».
Hot, per sassofono sopranino e tenore e sei strumenti, è stato scritto nel 1989 su
commissione della Association des Saxophonistes de France (AS. SA. FRA.) ed è
dedicato a Daniel Kientzy. È stato eseguito la prima volta a Metz il 1 novembre 1989.
Lo stesso Franco Donatoni racconta la genesi della sua composizione: «Alamari è un
trio per violoncello, contrabbasso e pianoforte (…) e Berio avendolo ascoltato osservò
che avrebbe potuto costituire la base ritmica di un componimento più complesso.
Mi è parso un buon suggerimento e così da Alamari ho tratto Hot». Soggiunge
Donatoni: «Mi sarebbe piaciuto poter disporre di una vera “big band” jazzistica ma
alla fine ho dovuto accontentarmi del sestetto jazz tradizionale con clarinetto, tromba,
trombone, vibrafono, marimba, percussioni varie, pianoforte e contrabbasso. Per
questi strumenti ho composto un pezzo che definirei di jazz immaginario ma con un
materiale assolutamente mio in cui per esigenze di lettura i pannelli corrispondono a
vere e proprie sezioni di 34 battute (…). Secondo le esigenze dell’hot jazz tali sezioni
sono perfettamente strofiche. Il jazz vorrebbe inoltre una falsariga armonica che
qui non è propriamente tale, ma è costituita dalla presenza dello stesso materiale.
L’articolazione interna del brano prevede l’alternanza di episodi di insieme con passi
solistici del tipo: sassofono solo, sassofono con clarinetto, tromba con trombone, quindi
le ance semplici con gli ottoni e quindi la sezione ritmica che corrisponde al tradizionale
break della batteria e naturalmente assoli del pianoforte e del contrabbasso». L’autore
fornisce anche alcuni suggerimenti in merito all’interpretazione del suo brano: «Si tratta
di un jazz immaginario ma andrebbe interpretato, secondo me, secondo la tradizione
jazzistica, ovvero con swing e vibrato. Naturalmente non è facile perché lo swing non
si può insegnare in nessun modo e non può neppure essere notato. Puoi ricorrere a
tutte le acciaccature che vuoi, ma non riuscirai mai a riprodurre quel modo di pensare
musicale puntato che è tipico dello swing».
La partitura donatoniana non contiene sezioni dedicate alla libera improvvisazione,
il suo jazz immaginario risulta così particolarmente «rigoroso». A questo proposito
il compositore riporta un divertente episodio: «Tre miei allievi sono andati in un bar
di Porta Ticinese frequentato dai jazzisti e hanno proposto di ascoltare una cassetta
contenente il mio Hot senza dire chi era l’autore. Gli astanti hanno creduto che si
trattasse di un compositore di free jazz, autore di una partitura probabilmente scritta
perché gli strumenti andavano fin troppo insieme».
Franco Donatoni, da Françoise Variationen
Tonino Tesei, 2008
Interpreti
L’Ensemble ALGORITMO è stato fondato da Marco Angius
nel 2002 grazie all’adesione di giovani musicisti dediti per
vocazione alla musica contemporanea e già affermati sulla
scena internazionale. I suoi componenti, premiati in contesti
prestigiosi come il Kranichsteiner Musikpreis o il premio
della Fondazione Stockhausen, si sono esibiti nelle maggiori
sale e festivals di tutto il mondo. Le potenzialità del gruppo
si sono espresse in alcune performance spettacolari e
memorabili come la doppia partecipazione alla Gaudeamus
International Competition di Amsterdam 2005 (presso il
nuovo Muziekgebouw/Bimhuis della capitale olandese),
in Laborintus II e Canticum novissimi testamenti di Berio
al Parco della Musica di Roma (2003), nella Begleitmusik
zu einer Dichtspielszene di Giorgio Battistelli (2004), nel
Quaderno di strada di Sciarrino per il Warsaw Autumn
Festival 2006 e NYYD di Tallinn (2007), Le marteau sans
maître di Boulez (Parma, 2008)…
L’attività discografica di Algoritmo è culminata nel Premio
del Disco Amadeus 2007 per la miglior incisione dell’anno
nel repertorio contemporaneo con Mixtim di Ivan Fedele
(Stradivarius), in co-produzione RaiRadio3. Algoritmo si
è esibito presso la Biennale Musica di Venezia (2007),
La Filature di Mulhouse (2005), Romaeuropa Festival
(Musica XXI), Warsaw Autumn Festival (2003-06),
Concerti del Quirinale (2005), Traiettorie di Parma (2006
e 2008), Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano
(2008), Italian Music Days di Cracovia (2005), Nuova
Consonanza (2002-2006), Scuola Civica di Milano (2003),
Teatro Comunale di Modena, Dissonanzen di Napoli
(2008), Tonkünstlerfest di Lugano (2003), Radio3/Concerti
Euroradio. Nel 2008 è iniziata la collaborazione con i corsi di
perfezionamento di composizione dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia.
Marco Angius, direttore d’orchestra e d’ensemble, si è messo
in luce nel 2000 con la prima mondiale di Studi per l’intonazione
del mare di Salvatore Sciarrino, per cento flauti, cento sax e
solisti (Stradivarius). Ha diretto l’Orchestra Sinfonica della Rai di
Torino (Rai Nuova Musica), Orchestre de Chambre de Lausanne
(Les Amplitudes), Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano,
Muziekgebouw/Bimhuis di Amsterdam (Gaudeamus), Luxembourg
Philarmonie e deSingel di Anversa (con l’Hermes Ensemble),
Biennale Musica di Venezia, Filature di Mulhouse (Portraits
Croisés), Warsaw Autumn, Teatro Lirico di Cagliari (Cinque passi nel
Novecento), Romaeuropa Festival, Traiettorie di Parma, Accademia
Filarmonica Romana, Teatro Lirico Belli di Spoleto (Premio Orpheus
2007), Istituzione Universitaria dei Concerti. E’ fondatore e direttore
musicale dell’ensemble Algoritmo, col quale ha vinto il Premio del
Disco Amadeus 2007 per la migliore incisione dell’anno (Mixtim di
Ivan Fedele, etichetta Stradivarius). Dal 2008 dirige i concerti finali
del corso di composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia. Nel 2009 è previsto il suo debutto al Teatro dell’Opera
di Roma con Jakob Lenz di Wolfgang Rihm. Marco Angius è
autore di una monografia sull’opera di Salvatore Sciarrino (Come
avvicinare il silenzio, Rai Eri, 2007) e di numerosi scritti tradotti in
varie lingue (Musica/Realtà, Electa, Salzburger Festspiele 2008).
Fausto Bongelli si dedica con particolare interesse ed impegno
culturale alla produzione contemporanea; in collaborazione diretta
con i compositori ha presentato opere nei principali Festivals
in Italia, Austria, Germania, Spagna, Francia, Croazia e sue
esecuzioni sono state trasmesse dalla Rai, Radio Nacional
de España, Radio Colonia e Radio Saarbrücken-Germania,
Klassikaraadios-Estonia, Radio Charts-Canada, Yle RadioFinlandia, New Classical Radio-Tennesse (Usa), Radio Svizzera
Italiana. Ha registrato CD per le case discografiche New Albion,
Col-legno, Stradivarius, Rai-Trade, Edipan, Iktius, Rca, Ricordi,
Aliamusica e Bongiovanni.
Giorgio Casati ha svolto gli studi di violoncello con Marco
Bernardin presso il Conservatorio di Milano, diplomandosi nel
2002 con lode e menzione speciale. Dal 2001, si è perfezionato
con Mario Brunello ed è allievo dell’Altenberg Trio Wien, di Andrea
Lucchesini e di Günter Pichler.
Come solista o in duo, è stato invitato da Lingotto Giovani, l’Unione
Musicale di Torino, il Festival Amfiteatrof di Levanto, la Biennale
di Zagabria, i Solisti Aquilani, Novecento e presente di Lugano,
la Gia di Brescia, Contemporaneamente di Lodi, Sincronie, Milano
Musica e Radio3. Tra i compositori con i quali ha collaborato,
Fausto Romitelli, Gerard Pesson, Stefano Gervasoni, Emilio
Pomarico, Mauricio Kagel, Stefano Scodanibbio, Heiner Goebbels,
George Lopez, Misato Mochizuki, Giovanni Verrando, Emanuele
Casale, Liza Lim, Raphael Cendo. Nel 2002 è stato insignito
dal Presidente della Repubblica della medaglia di bronzo quale
Benemerito della Cultura e dell’Arte.
Matteo Cesari. Dopo essersi diplomato nel 2004 con Giorgio
Zagnoni al Conservatorio di Bologna con il massimo dei voti e
aver ottenuto lo stesso anno la maturità scientifica, ha continuato
i suoi studi all’Istituto Musicale Pareggiato di Modena con, tra gli
altri, Michele Marasco e Andrea Oliva ottenendo nel 2007 la laurea
summa cum laude con una tesi sul ciclo di conferenze tenute da
Luciano Berio all’Università di Harvard. Frequentato poi il Cour de
Perfectionnement al Conservatorio di Strasburgo con Mario Caroli
ha ottenuto il 1ére Prix. Attualmente frequenta il Master 2
in interpretazione e composizione all’Università di Strasburgo.
Nel 2006 ha ottenuto la Borsa di Studio “Severino Gazzelloni” e
il premio per la migliore interpretazione di Sequenza I di Luciano
Berio. Un anno dopo ha vinto il I Concorso Internazionale
d’Interpretazione di Musica Contemporanea “Fernando
Mencherini”. Recentemente, ha ottenuto lo Stipendienpreis al 44th
Internationale Ferienkurse für Neue Musik a Darmstadt subito
seguito dal primo premio al XII Concorso Internazionale di Musica
da Camera Contemporanea di Cracovia.Ha preso parte a diversi
festival tra i quali “Il Suono di una mano sola” di Cagli e “Musica”
di Strasburgo. Collabora con diversi ensemble tra i quali Accroche
Note e Ensemble Algoritmo. Ultimamente ha eseguito e registrato,
insieme anche a Mario Caroli, gli Studi per l’intonazione del mare
di Salvatore Sciarrino a Roma.
Maria Isabella De Carli ha compiuto i suoi studi musicali al
Conservatorio di Milano e al Mozartem di Salisburgo. Ha svolto
un’intensa attività concertistica sia come solista che in diverse
formazioni cameristiche, esibendosi nelle più importanti rassegne
musicali in tutta Europa, Stati Uniti, Messico, Argentina, Giappone,
Cina, con un repertorio che va dalla musica barocca a quella
contemporanea. Sue esecuzioni di musiche di Franco Donatoni,
alcune a lei dedicate, sono registrate su CD Ricordi e Stradivarius.
E’ docente di pianoforte e di metodologia dell’insegnamento
strumentale al Conservatorio di Milano.
Roberta Gottardi. Nata a Trento, ha studiato al Conservatorio
della sua città con Giulio Cappello e in seguito con Antony
Pay, di cui è poi stata assistente ai corsi del Campus di Musica
di Sermoneta. Si dedica da sempre al repertorio classico e
contemporaneo, sia come solista che in ensemble, collaborando
fra gli altri con l’Ottetto Classico Italiano, il Quartetto Prometeo,
il Quartetto di Torino, l’Ensemble Algoritmo. Si interessa anche
alla prassi esecutiva con strumenti storici, con collaborazioni con
il Serenatantica Ensemble e in Francia con La Grande Ecurie
et la Chambre du Roy. È presente in festivals italiani ed esteri
quali il Maggio Musicale Fiorentino, Festival Pontino, Münchener
Biennale, South Bank Centre di Londra, Bologna Festival,
Biennale di Venezia, Autunno Musicale di Como, Festival di Nuova
Consonanza, Gaudeamus Muziekweek di Amsterdam, Autunno
di Varsavia, Laeiszhalle di Amburgo. Nel suo vasto repertorio si
segnala lo spettacolo di teatro musicale Harlekin
di Karlheinz Stockhausen, per un unico clarinettista-danzatoremimo. Ha ricevuto il premio Cesare Barison per la musica da
camera e il primo premio del concorso promosso dalla Fondazione
Stockhausen. Ha collaborato con compositori quali Stockhausen,
Fedele, Cifariello e Ciardi. Ha inciso per Edipan, Symposion,
Philarmonia, Stradivarius, Altrisuoni, Stockhausen Verlag, oltre che
per diverse trasmissioni di Rai Radio3. È docente al Conservatorio
di Bolzano.
Ciro Longobardi compie gli studi pianistici con Carlo Alessandro
Lapegna, perfezionandosi in seguito con Alexander Lonquich
per il pianoforte e con Franco Gulli, Maurice Bourgue e Franco
Rossi per la musica da camera. Tra il 1994 ed il 1996 segue
le masterclasses tenute da Bernhard Wambach a Darmstadt
ed a Parma.Finalista e miglior pianista presso l’International
Gaudeamus Interpreters Competition 1994 di Rotterdam,
Kranichsteiner Musikpreis nell’ambito del 37° Ferienkurse für Neue
Musik di Darmstadt nello stesso anno, ha suonato per: Festival
Traiettorie di Parma (Teatro Farnese), Festival Milano Musica,
Festival Internazionale di Ravello, Ravenna Festival, Rai Nuova
Musica Torino, Giovine Orchestra Genovese, Festival Pontino,
Nuova Consonanza ed Istituzione Universitaria dei Concerti Roma,
Saarländischer Rundfunk Saarbrücken, Ferienkurse Darmstadt,
Festival Synthése Bourges, Festival Manca Nizza, Fondazione
Gaudeamus Amsterdam (Muziekgebouw), Peter B. Lewis Theatre
(Guggenheim Museum) New York, Festival di Salisburgo, in qualità
di solista, di camerista e di membro di Dissonanzen (Napoli) e
di Algoritmo (Roma). Ha inciso per Mode, Tactus, Niccolò, Graffiti
Records. Per Limen Classic & Contemporary ha pubblicato il primo
volume delle opere pianistiche complete di Charles Ives, disco
entusiasticamente recensito dalla critica specializzata.
Federico Mondelci si è diplomato con lode al Conservatorio
Statale di Musica “G. Rossini” di Pesaro e successivamente,
nel 1981, al Conservatorio Superiore di Bordeaux sotto la guida
di Jean-Marie Londeix ottenendo la Medaglia d’Oro all’unanimità.
Ha al suo attivo un’attività di solista internazionale nelle sale da
concerto più prestigiose tra cui il Teatro alla Scala, la Carnegie
Hall di New York, la Philarmonica di San Pietroburgo, la Sala
Tchaikovsky di Mosca. La sua discografia, principalmente con
le etichette Delos e Chandos, comprende il repertorio solistico con
orchestra, il duo con pianoforte e il quartetto. Accanto all’attività
internazionale di solista, Federico Mondelci affianca un’importante
attività di direttore d’orchestra collaborando con solisti di fama
internazionale come Ilya Grubert, Michael Nyman, Kathryn Stott,
Pavel Vernikov, Nelson Goerner, Francesco Manara, Luisa
Castellani. È docente di sassofono al Conservatorio “G. Rossini”
di Pesaro, direttore artistico dell’Ente Concerti di Pesaro e direttore
della ISO - Italian Saxophone Orchestra, da lui stesso fondata
nel 1995. È inoltre fondatore dell’Italian Saxophone Quartet che
dal 1985 si esibisce con successo in ambito internazionale.
Marco Rogliano, avviato prestissimo allo studio della musica,
si è diplomato con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio
S. Cecilia di Roma sotto la guida di Antonio Salvatore.
Perfezionatosi con Ruggiero Ricci, Riccardo Brengola e Salvatore
Accardo, fa il suo debutto internazionale come solista nel 1989
eseguendo il Concerto di Sibelius con la Helsingborg Symphony
Orchestra diretta da Ari Rasilainen. Premiato in numerosi concorsi
nazionali ed internazionali (Bucchi di Roma, ARD di Monaco,
East and West Artists di New York) ha tenuto concerti solistici e
cameristici nelle più importanti istituzioni italiane e straniere.
La sua incisione dei 24 Capricci di Paganini per la Tactus (secondo
italiano dopo Salvatore Accardo) gli ha procurato un grande
successo internazionale di critica annoverandolo tra i più grandi
interpreti del genere. Ha inoltre inciso l’Humoreske e la Leggenda
per violino e orchestra di Respighi (prima registrazione assoluta) e
le Quattro Stagioni di Vivaldi per Tactus.
Nel 1996 Salvatore Accardo lo ha invitato personalmente come
Primo Violino Solista della sua Orchestra da Camera Italiana e
dal 2001 ricopre lo stesso ruolo nell’Ensemble Cameristico
“I Solisti di Pavia” fondato e diretto da Enrico Dindo. Tiene il Corso
di Perfezionamento presso l’Accademia Musicale di Pavia.
Nel 2009 debutterà a Berlino accanto ad Ingolf Turban con
i Berliner Simphoniker diretti dal M° Shambadal ed in Cina con
il Quarto Concerto di Paganini assieme all’Orchestra Sinfonica
di Macao. Marco Rogliano suona su un Nicola Bergonzi (Cremona,
1790) affidatogli dalla Fondazione Maggini di Langenthal
(Svizzera). Gli è stato conferito il Premio Scanno 2008 per
la Musica. Già titolare della cattedra di Musica da Camera presso
il Conservatorio di Rovigo, è attualmente responsabile
del Triennio Cameristico e del Biennio di Specializzazione in Violino
al Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo.
Stefano Scodanibbio, contrabbassista e compositore, è nato
a Macerata il 18.6.1956.
Il suo nome è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni
‘80 e ‘90, ha infatti suonato nei maggiori festival di musica
contemporanea numerosi pezzi scritti appositamente per lui da
compositori quali Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith,
Globokar, Sciarrino, Xenakis. Ha collaborato a lungo con Luigi
Nono e Giacinto Scelsi. Attivo come compositore ha scritto più di
50 lavori principalmente per strumenti ad arco e per quattro volte
le sue composizioni sono state selezionate dalla SIMC, Società
Internazionale di Musica Contemporanea (Oslo 1990, Città del
Messico 1993, Hong Kong 2002, Stoccarda 2006). Nel giugno
2004 ha eseguito la prima esecuzione della Sequenza XIVb
di Luciano Berio, una propria versione per contrabbasso
dall’originale Sequenza XIV per violoncello. Il suo lavoro di Teatro
Musicale Il cielo sulla terra è stato eseguito a Stoccarda nel giugno
2006, replicato a Tolentino nel luglio dello stesso anno e ripreso a
Città del Messico in agosto del 2008.
Ha registrato per Montaigne Auvidis, col legno, New Albion, Dischi
di Angelica, Mode, Ricordi, Stradivarius, Wergo. Di particolare
rilievo le sue collaborazioni con Terry Riley e con Edoardo
Sanguineti. Nel 1983 ha fondato e da allora dirige la Rassegna
di Nuova Musica di Macerata.
Il Quartetto di Saxofoni ALEA, attivo dal 1998, ha come obiettivo
primario la ricerca e l’innovazione del repertorio. La, formazione
ricca di potenzialità, suscita sempre maggior interesse nelle nuove
generazioni di compositori e nel pubblico. Grande attenzione è
data ai recenti contributi dei più significativi compositori europei
e alle ultime correnti della musica americana, senza dimenticare
il repertorio del Novecento e le incursioni nel mondo del jazz e
della trascrizione colta. I componenti del quartetto, docenti titolari
in Conservatori di musica, svolgono intensa attività concertistica,
collaborano con prestigiose orchestre, effettuano registrazioni
radiofoniche, televisive e discografiche, e tengono corsi di alto
perfezionamento presso importanti istituzioni italiane ed europee.
L’ Atem Saxophone Quartet si è costituito nel 2005 dall’incontro
di quattro giovani sassofonisti italiani. I quattro musicisti hanno
completato i propri studi presso il CNSR di Bordeaux,
il Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro, il Conservatorio “G. Verdi”
di Milano, Konservatorium – Amsterdam.
Il Quartetto Atem debutta ufficialmente nel luglio 2008 presso
l’Auditorium Parco della Musica. I quattro musicisti si sono inoltre
esibiti presso i principali festival nazionali ed internazionali
di musica classica e Jazz.
Dal 2007 collaborano con il sassofonista argentino Javier Girotto
con il quale hanno inciso il CD Suix pubblicato dalla prestigiosa
etichetta Parco della Musica Records.
Il Quartetto Atem propone un repertorio vastissimo e unico che
spazia dalla musica antica alla musica d’avanguardia.
La mia distanza da Stockhausen, malgrado l’ammirazione, è che egli perfeziona
sempre più il proprio io e la propria musica, mentre io voglio distruggere l’uno
e l’altra. Ho tentato e tento di entrare nella coscienza del processo compositivo,
non m’interessa mostrarlo rifinito nella sua levigatezza di prodotto artigianale.
Alla scrittura della percezione preferisco la percezione della scrittura (nel secondo
caso la scrittura precede e guida la percezione), alla scrittura del tempo il tempo
della scrittura (nel secondo caso la scrittura, attuando la forma-tempo, definisce
nel processo la propria necessità e mediante quello istituisce la qualità della durata),
alla finalizzazione progettuale l’erratica ramificazione delle radici…
Comporre è radicalmente eterogeneo a produrre, esprimere è universalmente
estraneo a vendere: ciò che svanisce nella memoria è, oggi, un prodotto resosi
latitante all’approvazione, un oggetto paradossale che non può non esplicare la sua
impertinenza all’avere.
Il vero intendimento era di negare la negazione. Non per giungere attraverso la doppia
negazione all’affermazione, ma per concludere in una perfetta finzione: tutto a posto,
tutto corretto, ma tutto falso.
Le piste, d’altronde, sono tutte false, non esiste una pista che non sia falsa: chi le evita
tutte, indica una falsa pista a chi lo segue.
È necessario tuttavia incamminarsi, ritornando incessantemente a cancellare le orme.
In tempi difficili, solo la Parola che desta bagliori di fiamma ha diritto di sopravvivere;
la forma fatta di suoni reca una verità che non può patire violenza verbale: essa non
può essere detta, può venire soltanto ascoltata.
Il sole sta sopra, ne indovino solo la presenza, ne conosco l’effimero splendore,
ma io sto quaggiù, paziente nell’ombra che della tenebra ha soltanto memoria e timore.
Franco Donatoni
Stockhausen al Teatro Lauro Rossi di Macerata / Maggio 2007
Foto di Fabio Falcioni
Stockhausen è in senso tecnico l’eroe positivo della musica contemporanea,
l’inventore per eccellenza di linguaggi.
Franco Donatoni
sto
ck
hau
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Ricordo di Karlheinz Stockhausen
_giovedì 20 novembre
_cineteatro italia
proiezione del documentario WDR
FREITAG aus LICHT/FRIDAY from LIGHT
_venerdì 21 novembre
_teatro lauro rossi
“Am Himmel wandre ich…” (“In the sky I am walking…”) (1972)
American Indian Songs for two voices
Nicholas Isherwood basso
Sabine Neumann mezzosoprano
Mostra fotografica Stockhausen a Macerata
Foyer del teatro nei giorni della rassegna
Foto di Fabio Falcioni
Karlheinz Stockhausen è nato il 22 agosto 1928 a Mödrath, nei pressi di Colonia.
Ha composto 347 lavori, pubblicato 10 volumi di testi teorici (TEXTE zur MUSIK) editi
dalla casa editrice Stockhausen-Verlag. Le sue prime 36 partiture furono pubblicate
dalla Universal Edition di Vienna poi, dalla sua fondazione nel 1975, la StockhausenVerlag ha pubblicato tutti i suoi lavori. Nel 1991 la Stockhausen-Verlag inizia la
pubblicazione dei suoi compact discs nella serie Stockhausen Complete Edition,
che ad oggi comprende 134 cd, e si occupa della produzione e distribuzione di tutte
le sue partiture, libri, video e cd .
Dal 1998 il Maestro tiene regolarmente, con cadenza annuale, gli Stockhausen
Courses Kürten rivolti ad interpreti, musicologi e uditori. Nel 1977 Stockhausen inizia
la composizione di LICHT (LUCE), I Sette Giorni della Settimana.
LICHT, costituito dai Sette Giorni della Settimana, ha una durata complessiva di circa
29 ore: MARTEDÍ 240 minuti, SABATO 185 minuti, LUNEDÍ 278 minuti, GIOVEDÍ 156
minuti, VENERDÍ 290 minuti, MERCOLEDÍ 267 minuti, DOMENICA 298 minuti.
Subito dopo la prima mondiale di LICHT-BILDER, l’ultima scena del ciclo LICHT,
avvenuta il 26 ottobre 2004, Stockhausen inizia la composizione di KLANG (SUONO),
Le 24 Ore del Giorno.
Già con le sue prime composizioni puntillistiche come KREUZSPIEL (1951),
SPIEL (1952) e KONTRA-PUNKTE (1952/1953) Stockhausen acquista una fama
internazionale. Da allora i suoi lavori sono stati criticati da alcuni e ammirati da altri.
Fin dal 1950 i risultati ottenuti attraverso le sue composizioni hanno caratterizzato,
in modo indelebile, lo sviluppo musicale:Musica Seriale, Puntillismo, Musica
Elettronica, Nuova Musica per Percussioni, Musica Variabile, Nuova Musica per
Pianoforte, Musica Spaziale, Musica Statistica, Musica Aleatoria, Musica per Live
Electronics; nuove sintesi di Musica e Parola, Teatro Musicale, Musica Rituale,
Musica Scenica, Composizione per Gruppi, polyphonic Process Composition,
Moment Composition, Formula Composition fino all’attuale Multi-Formula Composition;
l’integrazione di “oggetti trovati” (inni nazionali, folklore di ogni Paese, short-wave
events, scene sonore, ecc.) fino alla World Music e alla Musica Universale; sintesi
di musiche europee, africane, latinoamericane e asiatiche in Telemusik, la verticale
Musica Ottofonica, ecc.
Dagli inizi sino ad oggi il suo lavoro può essere definito come Musica Spirituale, ciò è
sempre più evidente non solo nelle composizioni con testi spirituali, ma anche in altri
lavori attraverso Overtone Music, Intuitive Music, fino alla Cosmic Music in
STIMMUNG, AUS DEN SIEBEN TAGEN, MANTRA, STERNKLANG, INORI, ATMEN
GIBT DAS LEBEN, SIRIUS, LICHT.
A Osaka, Giappone, in occasione dell’Expo ’70, in un auditorio sferico da lui concepito,
fu eseguita la maggior parte dei lavori composti da Stockhausen fino ad allora: venti
strumentisti e cantanti, per 183 giorni, per 5 ore e mezzo al giorno, raggiunsero un
pubblico di milioni di ascoltatori.
Stockhausen costituisce l’esempio perfetto del compositore che, in qualità di
direttore d’orchestra, esecutore, direttore musicale, proiezionista del suono partecipa
direttamente a quasi tutte le prime mondiali dei suoi lavori ed a innumerevoli loro
esecuzioni e registrazioni in tutto il mondo.
Oltre ad essere stato invitato a tenere lezioni in Svizzera, Stati Uniti, Finlandia,
Olanda e Danimarca, nel 1971 Stockhausen è stato Professore di Composizione
al Conservatorio di Colonia, nel 1996 è stato insignito del dottorato onorario alla
Free University di Berlino e nel 2004 ha ricevuto un dottorato onorario alla Queen’s
University di Belfast. E’ membro di 12 Accademie per le Arti e le Scienze, nel 1988
è stato nominato Cittadino Onorario di Kürten e Commandeur dans L’Ordre des Arts
et des Lettres. Ha ottenuto numerosi premi discografici e prestigiosi riconoscimenti,
fra gli altri Medaglia Tedesca di Merito, 1° classe, Premio Musicale Siemens, Medaglia
Picasso dell’ UNESCO, Ordine al Merito della Nord-Reno Westfalia, 8 premi dalla
Società degli Editori Tedesca per le pubblicazioni delle sue partiture, Premio BACH
di Amburgo; Premio Cultura di Colonia e, nel 2001, il Polar Music Prize con la seguente
motivazione: “Per la sua carriera di compositore caratterizzata da un’impeccabile
integrità e da un’inesauribile creatività e per essere rimasto per cinquanta anni
all’avanguardia dello sviluppo musicale”.
Karlheinz Stockhausen si è spento il 5 dicembre 2007 all’età di 79 anni
a Kürten-Kettenberg.
“Am Himmel wandre ich…”
(“In the sky I am walking…”)
American Indian Songs for two voices
1. DREAM SONG
(Chippewa)
In the sky
I am walking,
A Bird
I accompany.
2. LOVE SONG
(Chippewa)
Oh
I am thinking
Oh
I am thinking
I have found my lover
Oh
I think it is so!
3. WAR SONG
(Pawnee)
Let us see, is this real,
Let us see, is this real,
This life I am living?
Ye Gods, who dwell everywhere,
Let us see, is this real,
This life I am living?
4. LOVE SONG
(Nootka)
No matter how hard I try
to forget you,
you always
come back to my mind,
and when you hear me singing
you may know
I am weeping for you.
5. SONG
sung over a dying person
(Chippewa)
You are a spirit,
I am making you a spirit,
In the place where I sit
I am making you a spirit.
6. OPENING PRAYER OF THE SUN
DANCE
(Teton Sioux)
Grandfather!
A voice I am going to send,
Hear me!
All over the universe
A voice I am going to send,
Hear me.
Grandfather!
I will live!
I have said it.
7. PERUVIAN DANCE SONG
(Ayacucho)
Wake up, woman (man),
Rise up, woman (man),
In the middle of the street
A dog howls.
May the death arrive –
May the death arrive –
Comes the dance
You must dance,
Comes the death
You can’t help it!
Ah! what a chill,
Ah! what a wind .....
8. PLAINT AGAINST THE FOG
(Nootka)
Don’t you ever,
You up in the sky,
Don’t you ever get tired
Of having the clouds between you and us?
9. A SONG BY NEZAHUALCOYOTL
(Aztec)
I am like the quetzal bird,
I am created in the one and only god;
I sing sweet songs among the flowers;
I chant songs and rejoice in my heart.
10. SONG TO BRING FAIR WEATHER
(Nootka)
You, whose day it is, make it beautiful.
Get out your rainbow colours,
So it will be beautiful.
11. LOVE SONG
(Aztec)
I know not whether thou hast been
absent:
I lie down with thee, I rise up with thee,
In my dreams thou art with me.
If my eardrops tremble in my ears,
I know it is thou moving within my
heart.
12. SONG OF A MAN WHO RECEIVED
A VISION
(Teton Sioux)
Friends, behold!
Sacred I have been made.
Friends, behold!
In a sacred manner
I have been influenced
At the gathering of the clouds.
Sacred I have been made,
Friends, behold!
Sacred I have been made.
Indianerlieder di Karlheinz Stockhausen
Nel 1972 Karlheinz Stockhausen compose ALPHABET für Liège,
un’opera di durata indeterminata (ma di minimo 3 ore) che
consiste di tredici “situazioni” eseguite contemporaneamente in
14 spazi differenti e intercomunicanti di uno stesso complesso,
entro il quale l’ascoltatore “va e viene liberamente da uno spazio
all’altro”.
La concezione di base di ALPHABET für Liège è simile a quelle
di altri meno noti lavori stockhauseniani quali i progetti collettivi
ENSEMBLE (1967) e MUSIK FÜR EIN HAUS (1968), che
sono delle “polifonie di composizioni”: entro un piano regolativo
sovraordinato si ha l’esecuzione simultanea di più composizioni
(di differenti compositori) in spazi diversi di uno stesso
edificio, messi in comunicazione tra loro attraverso microfoni e
altoparlanti.
Come in ALPHABET für Liège, anche in ENSEMBLE e MUSIK
FÜR EIN HAUS l’ascoltatore è libero di vagare a suo piacimento
da uno spazio all’altro, in modo da fare un’esperienza del suono
personale e “poliprospettica”.
Questa nuova prassi esecutiva è direttamente connessa all’idea
stockhauseniana di Momentform (forma-momento) o ‘forma
infinita’, formulata in un celeberrimo scritto del 1960.
Mentre la maggior parte delle composizioni occidentali
presentano forme drammatiche direzionate (la forma sonata
ne è l’emblema) e forme epiche o sequenziali (suite, variazioni,
eccetera), la Momentform è un tentativo di superare il concetto
di durata attraverso la verticalizzazione del tempo. È una forma
eminentemente anti-teleologica, anti-funzionale, anti-causale;
in essa ciò che conta è soltanto l’immediato, l’adesso.
Escludendo i concetti di inizio [Anfang] e fine [Ende]
la Momentform conduce naturalmente ad un rinnovo della prassi
d’ascolto e della prassi esecutiva.
Karlheinz Stockausen, da “Am Himmel wandre ich…”
Essendo tutto sempre concentrato sull’immediato, sullo hic et
nunc, non è necessario ascoltare un’opera sin dall’inizio,
ma si può cominciare indifferentemente da un punto qualsiasi.
A questo fine, già all’inizio degli anni Sessanta, Stockhausen
immaginava dei luoghi di esecuzione musicale permanente
- funzionalmente simili alle gallerie dove vengono esposte le
opere d’arte visiva -, in cui vi fossero programmi non-stop o
addirittura opere musicali perenni.
In tale contesto, non essendovi alcuna teleologia, nessun
filo rosso da seguire, l’atteggiamento dell’ascoltatore cambia
radicalmente: può ascoltare quando e per quanto tempo vuole.
Soltanto una delle 13 situazioni di ALPHABET für Liège “non ha
alcuna funzione”: si tratta del duetto vocale IN THE SKY I AM
WALKING (il titolo tedesco è AM HIMMEL WANDRE ICH), che
fu composto nel giugno 1972, “in einer knappen Woche”, come
Stockhausen stesso dice, in appena una settimana.
Questo duetto è concepito come un’unità scenico-musicale a sé
stante e può essere eseguito indipendentemente da ALPHABET
für Liège. Anche se originariamente pensato per 2 voci femminili,
il duetto può essere eseguito da qualsiasi coppia vocale
(2 voci femminili o 2 voci maschili o 1 voce maschile e
1 voce femminile).
In ALPHABET für Liège il termine ‘alfabeto’ non si riferisce
soltanto ad un espediente esecutivo utilizzato (la lista di termini
attraverso i quali si instaurano legami tra le differenti situazioni),
ma anche alla ri-fondazione di un originario linguaggio musicale
e alla riscoperta del potere del suono. In dodici delle tredici
situazioni di ALPHABET für Liège vengono esibite infatti delle
specifiche funzioni dei suoni, i quali vengono utilizzati per:
1. rendere visibili le vibrazioni sonore in liquidi, raggi luminosi,
fiamme; 2. rendere visibili gli spettri sonori nella materia solida
(cipria, polvere di ferro, ecc.); 3. mandare in frantumi delle lastre
di vetro; 4. magnetizzare i cibi; 5. massaggiare un corpo umano;
6. annichilare i suoni attraverso i suoni stessi; 7. “fare l’amore”;
8. armonizzare i sette centri vitali; 9. respingere e mantere
lontani i pensieri ; 10. accellerare e rallentare i ritmi respiratori
e cardiaci di animali; 11. invocare gli spiriti dei morti; 12. pregare.
La composizione prende il titolo dall’incipit del testo del primo
canto, “In the sky I am walking ...”., ma è anche conosciuta
come Indianerlieder (Canti indiani). Infatti il testo di questa
composizione consiste di 12 brevi “poesie o aforismi o
preghiere” delle tribù di nativi d’america (Chippewa, Pawnee,
Nootka, Teton Sioux, Ayacucho, Aztechi) che Stockhausen
scelse nella traduzione inglese, dall’antologia curata da Margot
Astrov e intitolata ‘American Indian Prose and Poetry’ (American
Indian Prose and Poetry. An Anthology, curato da Margot Astrov,
New York 1946, Quinta Edizione 1962. Il titolo della prima
edizione è The Winged Serpent).
Se questi testi fossero cantati (o forse salmodiati) dagli indiani
d’America è incerto, perché nessuna musica è stata tramandata
insieme ad essi.
Questi 12 testi, ampliati e trasformati secondo leggi musicali,
sono stati disposti da Stockhausen in tal modo da formare
un nuovo testo più complesso, un tutto unitario e inscindibile,
dove la successione delle atmosfere interiori ha una grande
importanza:
1. Sogno - 2. Amore ­- 3. Guerra – 4. Amore – 5. Morte –
6. Danza del sole – 7. Danza della morte – 8. Lamento contro
la nebbia – 9. Uccello quetzal – 10. Bel tempo – 11. Amore –
12. Visione
Questi testi poetici sono tuttavia soltanto una delle componenti
di cui consiste il materiale sonoro impiegato dai cantanti. Come
in altre composizioni stockhauseniane tra cui STIMMUNG e
MOMENTE, i testi poetici sono stati integrati con formazioni
sonore onomatopeiche (voci d’uccello, vento, richiami di
guerra, ecc.); astratte formazioni vocaliche e consonantiche;
“suoni vocali inusuali” e “nomi magici” (scelti liberamente
dagli interpreti); interiezioni varie; liberi testi intimi (vengono
sussurrate “erotic things to a lover, which you would not directly
say to him”); il racconto di una fiaba che ha a che fare con
i suoni (ugualmente scelta dall’ interprete); nomi d’uccelli
(sono note le personali identificazioni di Stockhausen con
il volo e con uccelli divini quali Huma, Garuda, Eagloo o
il Quetzalcoatl/Miron di MUSIK IM BAUCH); nomi come Jilly,
Jillina, Jika (tutti vezzeggiativi del nome di Jill Purce, l’autrice
di un importante testo sul significato simbolico della spirale
nella musica di Stockhausen ed esperta di canto armonico,
che partecipò all’esecuzione di ALPHABET für Liège del 1972).
Oltre a ciò un ruolo importante è svolto, come già nel teatro
musicale ORIGINALE (1961), anche dagli elementi scenici che
producono suono: l’arrivo dei cantanti, il fruscio delle vesti,
lo scricchiolio del suolo, i gesti e i movimenti sulla scena, ecc.
Gli Indianerlieder sono costituiti da dodici scene che si
susseguono l’una dietro l’altra senza interruzione, come un
continuum unitario, e in ognuna di esse viene utilizzato un canto.
La composizione della musica degli Indianerlieder è al di là
di qualsivoglia intento di ricostruzione etnomusicologica.
Il materiale musicale di base consiste di una serie di 12 suoni
(do - fa# - sol - mi - re# - sol# - do# - si - re - la - si - fa) che
lentamente si dispiega: il primo canto è composto interamente
con soltanto un suono, il secondo canto con due suoni,
il terzo con tre suoni, e così via fino al dodicesimo canto che è
composto utilizzando tutti e dodici i suoni della serie.
Il graduale iter melodico - dalla semplicità unisonica del primo
canto alla complessità pancromatica dell’ultimo - trova il suo
pendant nello sviluppo ritmico: dalla semplice sincronicità
iniziale, attraverso un graduale sfasamento, sincopi e sezione
polimetriche, alla fine del dodicesimo canto si raggiunge
una stratificazione ritmica del tutto non misurata con un
“accellerando bis ekstatisch” (accellerando fino ad estatico).
La molteplicità espressiva del contenuto testuale è associata
ad una grande varietà dinamica e temporale. In partitura i gradi
dinamici e i tempi sono notati in maniera relativa, in quanto
Stockhausen ha predisposto 12 forme dinamiche e 12 tempi
base, il cui ordine viene determinato preventivamente dagli
esecutori stessi, e la loro scelta determina una delle versioni
possibili dell’opera.
Per una versione lunga dell’opera (per esempio le 4 ore
in ALPHABET für Liège) i 12 canti possono essere eseguiti per
quattro volte di seguito e ad ogni esecuzione la successione
di tempi e dinamiche viene variata. Per eventuali versioni ancora
più lunghe Stockhausen suggerisce che i canti possono essere
eseguiti nel seguente ordine: 1, 1 + 2, 1 + 2 + 3, 1 + 2 + 3 + 4,
e così via fino a 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 + 10 + 11 + 12,
e poi 2...12, 3...12, e così via fino a 10 + 11 + 12, 11 + 12, 12.
Ad ogni ripetizione dello stesso canto devono venire variati
dinamica e/o tempo.
Da queste poche indicazioni riguardanti i criteri compositivi
utilizzati da Stockhausen negli Indianerlieder, risulta chiaro
che anche qui continuano a vigere i principi seriali. Infatti
il serialismo non definisce uno stile musicale, ma piuttosto
un modo di pensare i materiali musicali. Nella particolare
declinazione stockhauseniana il serialismo non è nient’altro che
relatività; esso funge da principio di mediazione tra estremi:
“organizzazione seriale è soltanto un modo di pensare che
garantisce l’equilibrio degli elementi in una forma data – si ha un
massimo di variazione e un minimo di elementi – si tratta
di un’organizzazione economica!”.
Nelle notizie per il programma di sala per un’esecuzione
del 23 febbraio 1975 nell’ambito di una serie di concerti
organizzati della WDR di Colonia, che aveva come motto
“Incontro con l’India” Stockhausen scriveva:
“Alla domanda, se uno dei miei lavori abbia un legame
immediatamente comprensibile con la musica indiana,
io rispondo spontaneamente: sì, gli Indianerlieder ‘; perché
questo ciclo si dispiega in maniera del tutto simile ad una
improvvisazione di musicisti indiani su un râga, quando il râga
nell’âlâpa (il preludio non accompagnato) a poco a poco viene
presentato in tutti i dettagli - suono per suono -, e quando
alla fine poi sta il râga completamente dispiegato. Anche
la successione immutata di gradi della scala e le altezze
nella medesima ottava e la graduale ascesa della melodia
sono simili all’âlâpa.
I gesti prescritti ai cantanti ricordano i gesti delle mani dei
cantanti indiani e sviluppano una ‘drammaturgia’ del dialogo.
Addirittura l’introduzione di elementi più liberi, - come i “nomi”
e i “suoni vocali inusuali”, le “deviazioni variate” (come in
STIMMUNG), dare alle note ripetute forma di nuvole con
glissandi delle altezze e di timbri” o il “Vogelmoment”
[“il momento dell’ uccello”], - hanno una funzione simile
ai râginîs, che servono all’ampliamento e alla vivacizzazione
del râga scelto. Tuttavia negli Indianerlieder vi è un ampliamento
essenziale: il râga è una melodia dodecafonica con tutte
le proprietà, che la musica seriale del ventesimo secolo ha
sviluppato.”
AM HIMMEL WANDRE ICH (Canti indiani) è dedicato a Helga
Hamm-Albrecht e a Karl O. Barkey, i cantanti della prima
esecuzione.
Secondo Stockhausen i cantanti “dovrebbero eseguire questa
musica soltanto se sono capaci di identificarsi perfettamente
con ciò che cantano. Chi dunque non esperisce perfettamente
in sé “In cielo cammino, accompagnando un uccello”, chi
non senza alcun dubbio canta “Voi Dèi, che dimorate
dappertutto” e rappresentandosi un morente tra i cantanti –
“Nel posto dove siedo, faccio di Te uno spirito” e “Grande Padre!
Invio una voce per tutto l’universo: vivrò” e “Io sono creato
nell’uno e unico Dio” e alla fine – mostrando la compagna –
“Sacra ella è divenuta, sacro io sono divenuto”, questi non
dovrebbe eseguire questa musica.”
Leopoldo Siano
Interpreti
Nicholas Isherwood è uno dei massimi interpreti della
musica antica e contemporanea. Ha lavorato con William
Christie, Peter Eötvös, Paul McCreesh, Nicholas McGegan,
Helmuth Rilling, Gennadi Rozhdestvensky, oltre ai compositori
Elliott Carter, George Crumb, Hans Werner Henze, Mauricio
Kagel, György Kurtág, Olivier Messiaen, Giacinto Scelsi,
Karlheinz Stockhausen and Iannis Xenakis (La Scala, Covent
Garden, Théatre des Champs Elysées, Salzburg Festival,
Concertgebouw, Berlin Staatsoper, Vienna Konzerthaus,
Tanglewood). Ha cantato “Antinoo” nel Ritorno di Ulisse in
Patria con Boston Baroque, “Claudio” nell’Agrippina di Händel
con Nicholas McGegan, “Satiro” nell’Orfeo di Rossi e “Pan”
nell’Alcione di Marais con Les Arts Florissants, “Joas” in Il
Gedeone di Porpora con Martin Haselböck, “Frère Léon” nel
Saint François d’Assise nell’ultima produzione seguita dal
compositore, “Der Tod” in due produzioni del Kaiser von Atlantis
di Ullmann con la Bach Akademie a Stuttgart e l’ensemble
2e2m, “Joe” in Dark Waters di Ernst Krenek alla Konzerthaus
di Berlino, “Roméo” dal Roméo et Juliette di Pascal Dusapin al
Festival di Avignone, “Lear” in Vision of Lear di Toshio Hosokawa
alla Biennale di Monaco, “Il Testimone” nel Tieste di Sylvano
Bussotti all’Opéra di Roma, “Micromégas” nell’opera omonima
di Paul Mefano, “Giovanni Falcone” nel Tempo Sospeso in Volo
di Nicola Sani al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia e “Lucifer”
nelle prime assolute di Montag, Dienstag e Freitag di Karlheinz
Stockhausen alla Scala e l’Opera di Lipsia e Donnerstag aus
Licht al Covent Garden. Ha improvvisato con Steve Lacy, Joelle
Léandre, Sainkho Namtchilak e David Moss, registrato 50 cd
e recitato in tre film. Ha pubblicato un articolo su Scelsi nella
rivista della Fondazione Scelsi. Il suo articolo sul vibrato vocale
sul Journal of Singing ed il suo libro Le Tecniche di Canto sarà
pubblicato da Bärenreiter Verlag nel 2008.
È stato professore di canto all’Università di New York, Notre
Dame, a Calarts e all’Ecole Normale de Musique e ha tenuto
stages al Conservatorio di Parigi, al Conservatorio Giuseppe
Verdi di Milano, al Mozarteum di Salisburgo e Stanford.
È attualmente professore di canto e arte scenica all’Università
dell’Oregon. In questa stagione canterà nei Teatri dell’Opera
di Bologna, Reggio Emilia e Roma. Ha lavorato con Karlheinz
Stockhausen per 24 anni esibendosi in numerose prime
assolute.
Sabine Neumann, mezzosoprano, nasce in Germania ad
Amburgo. Intraprende gli studi di canto nella nota università
berlinese “Hanns Eisler”, completando poi la sua formazione
artistica presso l’Accademia “Liszt Ferenc” di Budapest.
Si esibisce spesso allo Staatsoper di Amburgo e allo Staatsoper
“Unter den Linden” di Berlino, interpretando ruoli operistici sotto
la direzione di Herbert Blomstedt e Gerd Brecht.
Fra le rappresentazioni a cui ha preso parte nei due prestigiosi
teatri tedeschi, va segnalata l’Albert Herring di Benjamin Britten,
in cui si distingue interpretando il ruolo di “Emmy”.
L’intensa attività artistica della cantante comprende inoltre la
partecipazione a numerosi concerti e festival di musica antica
e contemporanea in Europa, Cina, Giappone, Usa e Messico.
Ha preso parte ad importanti progetti musicali quale Seven
attempted escapes from silence, opera di sette giovani
compositori andata in scena in prima mondiale assoluta allo
Staatsoper di Berlino nel 2005.
“L’essenziale della mia musica è sempre religioso, l’aspetto tecnico è soltanto
illustrativo. Mi è stato spesso rimproverato di fare della mistica fumosa. Oggi la
mistica viene fraintesa come qualcosa di confuso. Ma la mistica è ciò che non si
lascia pronunciare con parole, dunque è musica. La musicalità più pura è la più pura
mistica, in un senso moderno. La mistica è l’acuta capacità, di penetrare le cose con
lo sguardo. L’intuizione non è presente negli uomini in maniera chiara, ma – come
raggi di sole – penetra continuamente in essi. Il pensiero è una formulazione, una
traduzione dell’intuizione sul piano dei nostri congegni, del nostro mondo pratico un’applicazione all’ambito della percezione.”
(da Michael Kurtz, Stockhausen. Eine Biographie, Bärenreiter Kassel-Basel, 1988)
“L’ho detto e anche scritto
innumerevoli volte già da molti anni: che
io non faccio la MIA musica, piuttosto
trasmetto le vibrazioni che capto;
che io funziono come un traduttore,
sono un apparato radio. Se componevo giustamente
nella condizione adatta,
io STESSO non esistevo più.”
(dalla composizione verbale LITANEI, 1968)
“Già con i primi lavori che ho composto, come KREUZSPIEL o SPIEL per orchestra
o PUNKTE per orchestra, erano alla loro origine concetti puramente spirituali. Volevo
fare della “musica stellare”; volevo fare una musica spaziale. E l’organizzazione era
semplicemente un processo per realizzare ciò. Dunque il processo mentale viene
sempre in un secondo momento. All’inizio di ogni nuova composizione v’era un visione
interiore, la scoperta di un mondo che non avevo ancora mai esperito”.
(Vibrato beetween Intuition and Mental Work, colloquio con Richard Dufallo,
8 Aprile 1987, Texte zur Musik 10)
“Seppelliamo gli stanchi postmoderni – cominciamo un’epoca astronica e dedichiamo
la nostra vita all’arte astronica, alla musica astronica.”
(Astronische Epoche,Texte zur Musik 10)
Registrazioni audio e sito web Andrea Lambertucci
Grafica Simona Castellani
Foto Fabio Falcioni
Il documentario FREITAG aus LICHT/FRIDAY from LIGHT è stato gentilmente messo
a disposizione da Massimo Simonini (Festival Angelica di Bologna)
Si ringraziano:
Luciano Messi (direttore dell’organizzazione artistica e tecnica di Sferisterio Opera Festival)
Fabio Tiberi (direttore generale della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche)
gli uffici amminstrativi dell’Associazione Arena Sferisterio e FORM
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