Diaconi Foglio Notizie del Diaconato della Diocesi di Roma www. vicariatusurbis.org/diaconatus febbraio 2013 n.61 In questo numero, fra l’altro: Il Paradiso alla Porta Culture Giovanili Emergenti formazione informazione corresponsabilità editoriale Diaconi Mons. Nicola Filippi L -2- a storia della Chiesa con i suoi eventi, a volte imprevisti e che lasciano smarriti, non può essere mai interpretata con occhi umani, ma deve essere letta con gli occhi della fede perché è la storia del popolo di Dio, che Egli guida. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10): queste parole di Gesù ci aiutano a comprendere il senso della rinuncia al ministero che il nostro Vescovo, il Papa Benedetto XVI, ha compiuto l’11 febbraio scorso. Il gesto, così dirompente per la nostra mentalità, ci aiuta a ricordare l’essenziale dimensione del servizio che deve animare chiunque nella Chiesa eserciti un ministero. C’è un compito specifico che Dio assegna a ciascun battezzato per l’edificazione dei fratelli ed è nel segreto della coscienza che ogni ministro in un intimo e profondo colloquio con Dio comprende quando la missione assegnata è stata compiuta ed è giunto il momento di farsi da parte. Siamo certi che la scelta del Santo Padre è maturata nella fede, in quella fede in Gesù che in Pietro non viene mai meno per la preghiera che il Signore nella notte del tradimento assicurò al pescatore di Galilea affinché potesse sempre confermare i fratelli (cfr Lc 22,32). Il servizio di Papa Benedetto XVI è stato quello di tracciare la via sulla quale la Chiesa è chiamata a camminare negli anni a venire: il primato di Dio che in Gesù di Nazaret si è rivelato per indicare all’uomo la strada da percorrere, dove la fede non è nemica della ragione ma al contrario sua alleata. Ma c’è un servizio che il Santo Padre ha reso alla verità del significato del ministero ordinato: si serve Cristo e il suo corpo solo per amore non per brama di potere o di carriera. Indicare queste vie era, forse, il compito che Gesù aveva affidato a Joseph Ratzinger il 19 aprile 2005. Ma adesso, nei tempi che solo Dio conosce, è giunto il momento in cui un altro con maggiore vigore deve condurre i suoi fratelli lungo questa medesima strada. Si è spesso detto che il pontificato di Giovanni Paolo II, che tanto ha segnato la vita della Chiesa e di ciascuno di noi, non sarebbe stato possibile senza il breve ministero di Giovanni Paolo I. La fede ci invita a dire la medesima cosa: senza il pontificato di Benedetto XVI non sarebbe possibile quel rinnovamento della Chiesa, del quale egli ha parlato ai seminaristi di Roma in occasione della Festa della Madonna della Fiducia: “così, essendo cristiani, sappiamo che nostro è il futuro e l’albero della Chiesa non è un albero morente, ma l’albero che cresce sempre di nuovo … La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro… Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza della nostra vita, il grande, vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita eterna”. Con questa certezza, viviamo nella preghiera il tempo che ci attende. Affidiamo al Signore il Papa Benedetto, affinché lo ricompensi del ministero esercitato in questi otto anni, e imploriamo il dono dello Spirito Santo per i Padri Cardinali chiamati a eleggere un nuovo Vescovo di Roma, Successore di San Pietro. comunità Diaconi N el numero 3/2012 della rivista “Culmine e fonte” dedicato alla celebrazione del Battesimo, è stato pubblicato un articolo del diacono Giuseppe Colona dal titolo “Spunti per la catechesi battesimale”. A partire dall’esperienza diretta nell’ambito, Colona esamina le dinamiche legate all’accoglienza delle famiglie che chiedono il Battesimo, alla formazione dei catechisti e alla liturgia del Sacramento, con l’obiettivo di fondo di passare da una catechesi finalizzata alla celebrazione a una formazione cristiana per la vita. Tutto questo comporta cambiamento di mentalità, approccio missionario, fantasia pastorale e ministerialità da parte della comunità cristiana. L’entrare in contatto con giova- ni famiglie che, pur non assidue frequentatrici di chiese, sentono in fondo l’esigenza di S PUNTI PER LA C ATECHESI B ATTESIMALE crescere nella fede, diventa un momento propizio per avviare un contatto con la parrocchia. Per la comunità è un’occasione per non limitarsi a gestire l’esistente, ma per guardare fuori e costituire una rete di fedeli in grado di assumere compiti pastorali: di aprirsi a una prospettiva di Chiesa ministeriale.. diac. Girolamo Furio Battistero di san Giovanni in Fonte al Laterano -3- cultura Diaconi È uscito per le edizioni Lindau il nuovo lavoro di Fabrice Hadjadi, direttore dell’Istituto Philanthropos di Friburgo, in Svizzera, già vincitore del prestigioso Grand Prix Catholique de Littérature con Farcela con la morte (Cittadella), un saggio sulla morte nell'era tecnologica: "Ci tocca scegliere tra una liquidazione tecnica e una vita offerta. Non c’è alternativa: darsi ABRICE ADJADJ la morte o donare la vita per ciò che L ARADISO ALLA ORTA ne vale la pena". Battezzato in età adulta a Solesmes, già affermato S AGGIO SU UNA GIOIA SCOMODA . intellettuale nel panorama europeo, l’autore affronta con la lucidità del convertito le questioni più spinose dell’età moderna, con una franchezza difficile da reperire fra gli intellettuali contemporanei. Vince il Prix du Cercle Montherlant - Académie des Beaux-Arts nel 2009 e nel 2010 il Prix de littérature religieuse. Attualmente Hadjadj insegna filosofia e letteratura a Tolone. E’ sposato ed è padre di 6 figli. ”Il paradiso è un orizzonte di fecondità traboccante, e non un sogno sterilizzatore. Perché la nostra vita sarebbe sonnolenta senza questo accidenti di bisogno di Eden”. È quanto scrive nel suo libro, orientato a contrastare la pretesa contemporanea di agire a partire da un’ideologia del bene totale, realizzabile con le nostre mani. “La speranza del paradiso celeste impedisce questa follia totalitaria”. ”Se Nietzsche criticava il cristianesimo (ma anche il platonismo, la metafisica e il buddismo …), lo faceva perché pensava che tutti questi sistemi, senza distinzioni, rifiutano quel che ci è chiesto qui e ora. A suo dire essi inventavano un al di là di apparenze, un "dietro-mondo", con lo scopo di disprezzare e calunniare questo mondo. Nietzsche voleva che si dicesse "sì" al mondo e che ci si mettesse dentro una sorta di azione di grazie davanti a tutto quel che ci veniva presentato. Ancor oggi egli propone un’obiezione eccellente a quanti propongono un Fabrice Hadjadj paradiso di evasione, di fuga davanti al nostro stupore e alla nostra responsabilità sulla Terra. Ci permette di ritrovare il verso senso del paradiso cristiano, che non è un "altrove", ma un "in mezzo a voi", come disse Gesù, il quale ci comandava di stupirci davanti a un fiore di campo e all’incontro dei più poveri e piccoli tra noi”. Nel libro viene affrontata anche la questione dell’inferno, della possibilità del libero rifiuto di Dio, del quale oggi difficilmente si sente parlare dai pulpiti. “Se non si parla dei novissimi non si parla di noi stessi. Aristotele sosteneva che la causa finale è la causa delle cause. È la finalità che dice il perché ultimo di un essere. Faccio un esempio: se si trova per caso una chiave, essa non significa niente da sola. Sono la porta e la serratura che essa apre che ci dicono la natura vera di quella chiave. Possiamo dunque affermare che la meditazione sulle cose ulti- F I P H P . segue a pag. 5 -4- ØØ cultura Diaconi me ci illumina sulla natura dell’uomo. Ad esempio: per avvicinare con verità il corpo umano, bisogna conoscerne la vocazione ultima, ovvero riflettere sul corpo glorioso”. Secondo Hadjadj si tace sulle cose ultime per due ragioni: la prima è che si vuole far apparire la Chiesa “come una forza alleata del progresso. E quindi rischiamo di ridurla a una super-assistente sociale, un’esperta psicologa o una grande moralizzatrice”. In secondo luogo “la predicazione sui fini ultimi è indebolita da un immaginario datato, evasivo e che non risponde più alla sensibilità moderna: non ha saputo rinnovarsi né attraversare la critica nietzschiana, ben più forte di quella marxista”. Un libro che ci dà molto da pensare per interpretare la storia da cristiani. diac. Girolamo Furio Q uando – il 7 febbraio 2008 – all’annuale udienza del Papa al clero romano nella sala delle Benedizioni in San Pietro, il diacono Giuseppe Colona rivolse una breve domanda, Benedetto XVI rispose con un lungo intervento, dal ENEDETTO SUL DIACONATO quale traspariva tutto il suo apprezzamento per questo ministero. Cominciò così: B XVI «Grazie per questa testimonianza di uno dei più di cento diaconi di Roma. Vorrei anch’io esprimere la mia gioia e la mia gratitudine al Concilio, perché ha restaurato questo importante ministero nella Chiesa universale. Devo dire che quando ero arcivescovo di Monaco non ho trovato forse più di tre o quattro diaconi e ho favorito molto questo ministero, perché mi sembra che appartenga alla ricchezza del ministero sacramentale della Chiesa. Nello stesso tempo può essere anche un collegamento tra il mondo laico, il mondo professionale, e il mondo del ministero sacerdotale. Perché molti diaconi continuano a svolgere le loro professioni e mantengono le loro posizioni, importanti o anche di vita semplice, mentre il sabato e la domenica lavorano nella Chiesa. Così testimoniano nel mondo di oggi, anche nel mondo del lavoro, la presenza della fede, il ministero Papa Benedetto XVI annuncia ai cardinali la sua sacramentale e la dimensione diaconale del sacradecisione di lasciare il Pontificato. mento dell’Ordine. Questo mi sembra molto impor(Roma, 11 febbraio 2013) tante: la visibilità della dimensione diaconale….». -5- pastorale Diaconi “I -6- nuovi linguaggi dei giovani”; “la nuova cultura dei giovani”; “le nuove tecniche di comunicazione dei giovani”. Si fa tanta retorica oggi su tutto quello che riguarda l’universo giovanile. Ma è davvero così difficile comprendere le nuove generazioni? È vero che non si parla di un mondo semplice e che tante cose sono radicalmente cambiate. Se nel 1828, un timido e giovane Leopardi compose ben 63 versi per descrivere “a Silvia” i suoi sentimenti; ad un ventenne di oggi basterebbero 140 caratteri o un sms per dirti quanto “tvtttb”. A SSEMBLEA P LENARIA ANNUALE È vero che si è di fronte ad una “nuova lingua” che utilizza il DEL P ONTIFICIO C ONSIGLIO PER 10% del vocabolario italiano. Ed LA C ULTURA DEDICATA ALLE è vero che l’attuale modo di comunicare “al dialogo fatto di “ C ULTURE GIOVANILI EMERGENTI ” contatti diretti visivi, olfattivi” ha sostituito “il freddo chattare DAL 6 AL 9 FEBBRAIO virtuale attraverso lo schermo”. Quindi cosa fare? Astrarsi da tutto questo rifugiandosi nei luoghi comuni del “tanto con i giovani non si può parlare perché stanno sempre al telefonino”? Oppure provare ad instaurare con loro un dialogo, cercando un comune punto di incontro e scoprendo che dietro certe mode di massa e certe logiche pragmatiche c’è sempre una “domanda di senso”? Temi sempre cari al Presidente del Dicastero, il cardinale Gianfranco Ravasi, che per capire cosa si trova nel cuore dei giovani, ha provato prima ad entrare dalle loro orecchie, inserendo nella sua raffinata track list musicale i cd di Amy Winehouse. “Già in partenza mi accorgo che il loro udito è diverso dal mio – ha confidato Ravasi ai giornalisti - Eppure in quei testi così lacerati musicalmente e tematicamente emerge una domanda di senso comune a tutti”. “I nostri ragazzi sono nativi digitali - ha affermato - e la loro comunicazione ha adottato la semplificazione del twitter, la pittografia dei segni grafici del cellulare”, secondo una “logica informatica binaria del save o delete” che veicola anche la loro morale. Una morale “sbrigativa”, secondo il cardinale, che, con segnali come il tatuaggio, la movida notturna, le gang, “l’estetica del trasandato, del trash e del graffito”, rende evidente che “l’emozione immediata domina la volontà, l’impressione determina la regola, l’individualismo pragmatico è condizionato solo da eventuali mode di massa”. Questi, però, non sono per Ravasi dei capi d’accusa, quanto delle richieste d’aiuto nascoste dietro una volontaria “visiera” che i giovani calano “per autoescludersi”. Anche perché, ha sottolineato il porporato, “noi adulti li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalità”. “Anche il loro passeggiare per le strade – ha aggiunto - con l’orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche segnala che sono ‘sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti”. Un campanello d’allarme, quindi, per genitori, maestri, preti e classe dirigente. Diaconi pastorale Tuttavia, ha osservato Ravasi, non è corretto identificare il mondo giovanile come “diverso” e “negativo”. Seppur annebbiato “da una coltre di apparente indifferenza”, esso è lo stesso mondo che “contiene semi sorprendenti di fecondità e autenticità”, composto cioè dalle stesse persone che di loro iniziativa si impegnano nel volontariato, si appassionano “per la musica, per lo sport, per l’amicizia” e che vivono “una originale spiritualità”. “Per questi e tanti altri motivi mi interesso dei giovani” ha affermato il cardinale. Giovani che - ha ricordato - “sono il presente e non solo il futuro dell’umanità”. Basti pensare che dei cinque miliardi di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo, “più della metà sono minori di 25 anni, l’85% dei giovani di tutto il mondo”. In tutto questo contesto è richiesto un compito alla Chiesa: non tanto imparare a parlare ai giovani d’oggi modificando le proprie “strategie” di annuncio con moderne e spesso improbabili forme di linguaggio, ma piuttosto imparare a leggere “le culture giovanili emergenti” in continua trasformazione. La Chiesa, quindi, nella veste del Dicastero della Cultura - ha spiegato Ravasi - non si preoccupa, durante la Plenaria, di analizzare la “fede dei giovani” secondo gli “schemi freddi” della psicologia o di quella sociologia che parafrasata diventa “ciò lo so già”. Ma punta invece sulla “fede nei giovani”, ovvero “sulla fiducia nelle loro potenzialità, pur sepolte sotto quelle differenze che a prima vista impressionano”. Il programma di tre giorni, è iniziato con l’Udienza di Papa Benedetto XVI ai partecipanti, il quale tra l’altro ha detto: “Ci troviamo, in definitiva, di fronte ad una realtà quanto mai complessa ma anche affascinante, che va compresa in maniera approfondita e amata con grande spirito di empatia, una realtà di cui bisogna saper cogliere con attenzione le linee di fondo e gli sviluppi. S.E. cardinal Gianfranco Ravasi Guardando, ad esempio, i giovani di tanti Paesi del cosiddetto “Terzo mondo”, ci rendiamo conto che essi rappresentano, con le loro culture e con i loro bisogni, una sfida alla società del consumismo globalizzato, alla cultura dei privilegi consolidati, di cui beneficia una ristretta cerchia della popolazione del mondo occidentale. Le culture giovanili, di conseguenza, diventano “emergenti” anche nel senso che manifestano un bisogno profondo, una richiesta di aiuto o addirittura una “provocazione”, che non può essere ignorata o trascurata, sia dalla società civile sia dalla Comunità ecclesiale”. Nel pomeriggio, una conferenza del sociologo David Le Breton è stata arricchita da un concerto della rock band cristiana “The Sun”. Nel prosieguo dei lavori sono stati esaminati temi come: la “cultura digitale”, con l'aiuto dell’esperto Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica; l’“alfabeto emotivo” secondo il parere della studiosa americana e blogger Pia De Solenni; e il “generare la fede” affrontato dal teologo don Armando Matteo. Poi si sono avuti momenti di ascolto reciproco attraverso le esperienze di giovani provenienti dai diversi continenti. Un modo questo per abbattere quel muro di “indifferenza” che spesso condiziona gli stessi ragazzi e - come ha affermato nella sua testimonianza il “giovane” Alessio Antonelli – per riuscire ad “esprimere le esigenze dettate dal mondo in cui una generazione come la mia sta crescendo, quella dei nativi digitali”. -7- SS PAOLO VI - CREDO DEL POPOLO DI DIO Noi crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa e la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa, ricolma dei beni celesti; essa è germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l'opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria . Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza. E’ con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del Mistero della Morte e della Resurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione. Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo. Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le Scritture e venera i Patriarchi e i Profeti; fondala sugli Apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di Pastori nel Successore di Pietro e nei Vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità, che Dio ha manifestato in una maniera ancora velata per mezzo dei Profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù