Agosto2012;38(suppl.2):115-117 Reattività biologica ai materiali Biological reactivity to biomaterials Riassunto La chirurgia protesica di anca e ginocchio è in grado di alleviare la sintomatologia e ripristinare la funzionalità articolare nei pazienti con artrosi di grado avanzato. Tuttavia la longevità dell’impianto dipende dalla risposta biologica dell’organismo sia nelle fasi iniziali con l’osteointegrazione, che successivamente in seguito ai potenziali effetti avversi dell’ usura e dell’ ipersensibilità ai metalli. La comprensione di questi aspetti può facilitare l’introduzione di nuove strategie e biomateriali che migliorano la longevità e la funzione dell’impianto protesico. Parole chiave: chirurgia protesica, biomateriali, osteintegrazione, usura, allergia Summary Total joint replacement has been shown to improve pain, function and mobility in patients with end-stage arthritis. However, longevity of joint replacement is due to biocompatibility issues related to host responses both initially with osseointegration within bone and potential adverse effects of byproducts of wear and metal sensitivity. A clear understanding of these issues will facilitate the development of novel strategies and biomaterials to improve the longevity and function of implants for joint replacement. Key words: total joint replacement, biomaterials, osseointegration, wear, allergy Introduzione La chirurgia protesica di anca e ginocchio, ampiamente diffusa in ambito ortopedico, è in grado di alleviare la sintomatologia e ripristinare la funzionalità articolare, consentendo di ottenere buoni risultati clinici a lungo termine nel 90% dei casi. Il prolungamento della vita media della popolazione con conseguente aumento delle esigenze funzionali ha portato ad un incremento progressivo degli interventi di sostituzione protesica in tutto il mondo. Il miglioramento dei biomateriali e l’aumento della longevità dell’impianto hanno determinato un aumento degli interventi di artroprotesi M. Villano, S. Soderi, M. Innocenti I Clinica Ortopedica, Università di Firenze Indirizzo per la corrispondenza: M. Villano I Clinica Ortopedica, Centro Traumatologico Ortopedico, Università di Firenze, largo P. Palagi 1, 50139 Firenze Tel. +39 055 7948287 - E-mail: [email protected] s115 nei pazienti anche più giovani ed attivi. La comprensione dei processi biologici che stanno alla base della reattività tissutale all’impianto protesico è, quindi, di fondamentale importanza per ottenere buoni risultati clinici e sviluppare biomateriali resistenti all’usura e alla corrosione. A tale scopo è necessario ottimizzare alcune variabili legate al paziente, alla tecnica chirurgica e all’impianto protesico. L’importanza della biocompatibilità è fondamentale per la longevità e la funzionalità dell’impianto. In particolare l’osteointegrazione e la reattività tissutale ai detriti derivanti dall’usura dell’impianto sono fattori che possono determinare allentamento asettico e osteolisi periprotesica. Osteointegrazione L’osteointegrazione è importante per determinare la longevità dell’impianto e può essere ottenuta mediante tecniche cementate o non cementate, mentre l’usura, cui una protesi è soggetta immediatamente dopo l’impianto, determina la produzione di detriti che si possono depositare a livello articolare, ai linfonodi regionali o avere diffusione sistemica. L’iniziale stabilità dell’impianto può essere ottenuta mediante tecniche “press fit” o mediante tecniche cementate. Nel primo caso una buona qualità ossea ed una adeguata tecnica chirurgica consentono di posizionare l’impianto ottenendo una stabilità primaria ottimale necessaria per sostenere le sollecitazioni biomeccaniche nell’immediato postoperatorio. Successivamente la reazione tissutale periprotesica sarà fondamentale per determinare la stabilità secondaria dell’impianto che può essere a sua volta favorita nel lungo periodo dalla lavorazione della superficie protesica con tecniche fisiche (porous coated) o con tecniche chimiche (rivestimenti bioattivi). Le tecniche cementate, invece sfruttano le proprietà sigillanti del cemento osseo per aumentare la congruenza tra superficie protesica e superficie ossea. A tale scopo l’utilizzo di tecniche cementate di terza generazione consento di ottenere una interdigitazione all’interfaccia osso cemento che conferisce la stabilità primaria dell’impianto. Con il termine osteointegrazione si definisce connessione diretta strutturale e funzionale tra superficie ossea e superficie sottoposta a carico 1. La parte più importante viene quindi svolta dalla superficie impianto-osso che è sottoposta a “shear stress” garantendo la stabilità dell’impianto. È infatti necessario assicurare dei micromovimenti che siano inferiori a 50 micron per favorire la crescita ossea, mentre spostamenti compresi tra 50 e 100 micron determinano la formazione di tessuto fibroso all’interfaccia osso protesi 2. Il processo di osteointegrazione inizia al momento dell’impianto quando il trauma chirurgico determina una risposta infiammatoria acuta, la produzione di fattori di crescita quali FGF, TGF beta, VEGF, con conseguente stimolazione di precursori osteoblastici da s116 un lato e di precursori osteoclastici dall’altro determinando la formazione di osso trabecolare attorno all’impianto protesico. In presenza di fattori quali infezione, instabilità, scarsa vascolarizzazione all’interfaccia osso protesi, allergia, si può avere cronicizzazione dell’infiammazione ed eventuale fibrosi con conseguente scarsa osteointegrazione che può favorire una mobilizzazione dell’impianto. Nelle settimane e mesi successivi all’intervento chirurgico l’osso periprotesico va incontro a fenomeni di rimodellamento che proseguirà per tutta la durata dell’impianto a causa delle differenti proprietà fisico chimiche tra tessuto osseo e materiale protesico. Per quanto riguarda le tecniche non cementate le lavorazioni della superficie protesica possono favorire l’integrazione nell’arco di settimane o mesi con il “bone ingrowth”. Possiamo avere un rivestimento di superficie mediante lavorazione chimica che deposita idrossiapatite o calcio fosfato, oppure una lavorazione con mezzi fisici (Porous Coating) con finalità osteoconduttive. Usura e allentamento asettico Anche un impianto ben integrato può andare in contro a mobilizzazione che può essere dovuta ad infezione (mobilizzazione settica) oppure mobilizzazione asettica che può essere determinata da svariate cause tra le quali una reazione da corpo estraneo nei confronti dei detriti derivanti dall’usura. Dopo l’intervento di artroplastica si viene a ricreare una membrana sinoviale che determina un ultrafiltrato plasmatico soggetto a variazioni di volume in caso di flogosi o eccessiva sollecitazione biomeccanica. Questo può portare a formazione di onde pressorie sinoviali a causa delle variazioni cicliche di pressione durante la deambulazione e il movimento articolare. Si ha così la diffusione dei detriti da usura e dei prodotti di reazione da corpo estraneo dalla superficie articolare a tutto lo spazio articolare. Un altro meccanismo di azione della mobilizzazione asettica deriva dagli enzimi proteolitici che vengono liberati dalle cellule infiammatorie coinvolte nella reazione da corpo estraneo in cui la fagocitosi dei corpi estranei determina l’attivazione delle cellule del sistema fagocitico mononucleato con conseguente produzione di radicali liberi e proteinasi. Tra queste un ruolo fondamentale è svolto dalle endoproteinasi neutre che vengono prodotte per essere secrete nello spazio extracellulare; da collagenasi e da metallo proteinasi in particolare MMP-8, MMP13, MMP- 14, rilasciate da fagociti mononucleati e le cellule giganti da copro estraneo 1. Queste svolgono la loro azione prevalentemente all’interfaccia osso protesi determinando indebolimento dell’impianto e conseguente allentamento asettico. In alcuni casi, come negli accoppiamenti metallo-metallo delle protesi di anca, si ha il rilascio di ioni metallici a M. Villano et al. causa della corrosione di qualsiasi impianto metallico inserito nell’organismo umano. La particolarità degli ioni metallici è quella di determinare una reazione di ipersensibilità cellulo-mediata. Gli ioni metallici possono legarsi a proteine plasmatiche determinando modificazioni strutturali tali da non farle riconoscere come self e attivando una risposta immunitaria T cellulare con conseguente proliferazione clonale dei linfociti T e produzione di INF-ɣ con attivazione locale dei monociti e macrofagi. Questo tipo di reazione è associata ad una aggressività maggiore e più rapida osteolisi 1. Anche le dimensioni delle particelle hanno un ruolo nella risposta biologica tissutale. Mentre particelle di dimensioni macroscopiche fino ad alcuni micron non determinano una risposta immune da ipersensibilità ma solo una reazione da corpo estraneo, particelle solubili, come gli ioni metallici, sono invece principali determinanti di una risposta immune da ipersensibilità di tipo ritardato (Tipo IV) 3. Con lo scopo di ridurre l’usura e aumentare quindi la longevità dell’impianto protesico sono stati sviluppati nuovi materiali e nuovi accoppiamenti protesici. Tra questi gli inserti in polietilene reticolato che hanno dimostrato una maggiore resistenza all’usura e all’ossidazione soprattutto se associati ad agenti antiossidanti come la vitamina E. Per quanto riguarda l’utilizzo delle bioceramiche, in particolare quelle di seconda generazione (allumina) hanno dimostrato di avere un coefficiente di attrito molto basso con conseguente riduzione dell’usura e produzione di particelle che hanno bassissima reattività tissutale. Le problematiche principali di questi biomaterial sono il rischio di frattura della bioceramica e lo squeaking nell’accoppiamento ceramica-ceramica. Allergia Tutti i metalli in contatto con un sistema biologico sono soggetti a corrosione e conseguente rilascio di ioni metallici con stimolazione di una risposta biologica combinandosi con le proteine native 4. Numerosi studi di coorte evidenziano come la prevalenza della ipersensibilità ai metalli dei pazienti con impianto normalmente funzionante sia pari al 25% circa il doppio della popolazione normale (10%), ma tale tasso aumenta di circa 6 volte qualora andiamo ad analizzare i pazienti con fallimento di impianto protesico. Non è determinato un rapporto di casualità diretta tra fallimento e ipersensibilità ai metalli in quanto la sensibilizzazione può essere anche l’effetto del fallimento. L’ipersensibilità ai metalli è più frequentemente determinata da Nichel seguito da Cobalto e Cromo. La fase iniziale della risposta immunitaria di tipo ritardato è determinata dal contatto dei linfociti T con l’antigene. Questo determina il legame tra linfociti T e cellule presentanti l’antigene (APC) con attivazione e rilascio di citochine, le quali reclutano e attivano macrofagi, monociti, neutrofili, e Reattività biologica ai materiali altre cellule infiammatorie. Le principali citochine rilasciate sono Interleuchina 3 (IL-3) e GM-CSF, che attivano e richiamano i granulociti; Monocyte chemotactic actibavting factor (MCAF), che determinano la chemiotassi dei monociti verso il sito di ipersensibilità di tipo IV; INF ɣ e TNF beta, che agiscono sull’endotelio determinando un’azione facilitatrice dell’infiltrazione cellulare, Migration Inhibitory Factor (MIF), che impedisce la migrazione dei macrofagi dai tessuti interessati dal processo flogistico. Un ruolo fondamentale è svolto poi dai macrofagi attivati che amplificano e mantengono nel tempo il processo flogistico 4. Non ci sono ancora dei test universalmente accettati per identificare i soggetti con ipersensibilità candidati a sostituzione protesica. Il patch test è estremamente comune ma dotato di alta sensibilità e bassa specificità, inoltre non è paragonabile la reattività cutanea a quella intrarticolare. I test di laboratorio come il Lynfocyte Trasformation Test (LTT), Migration Inhibition Factor (MIF)e il dosaggio della concentrazione di citochine con metodo ELISA sono stati recentemente introdotti ma devono essere determinati ancora gli standard qualitativi e quantitativi per assicurare la riproducibilità e consentirne l’utilizzo routinario 4. Bibliografia Goodman SB, Barrena E, Takagi M, et al. Biocompatibility of total joint replacement: a review. J Biomed Mater Res A 2009;90:603-18. 2 Pilliar RM, Lee JM, Maniatopoulos C. Observation on the effect of movement on bone 1 s117 Il nostro protocollo di valutazione dei pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia protesica si basa su accurata valutazione anamnestica di esposizione a metalli pesanti per cause lavorative o presenza di familiarità per allergie specifiche. In caso di sospetto eseguiamo Patch Test (Nichel, Cromo, Cobalto) ed esami ematochimici per il dosaggio di specifiche citochine (Luminex Test) e colture di macrofagi e test radioimmunologico per linee cellulari timidina-attivate con analisi alla microscopia confocale. I risultati preliminari mostrano alterata produzione di specifiche citochine come Interleuchina-8, Macrophage Inflammatory Protein-1 (MIP-1) che evidenziano una iperstimolazione macrofagica e linfocitaria T 5. Nei pazienti con sospetta sensibilità ai metalli evidenziata dagli esami di laboratorio occorre impiegare protesi prive di Nichel o con rivestimento; in caso di fallimento e in particolare di protesi dolorosa da aumentata sensibilità ai metalli non rimane che eseguire la sostituzione dell’impianto protesico con altro impianto totalmente anallergico costituito da biomateriali recentemente sviluppati come Zirconio Ossidato, Zirconio nitruro, Bioceramiche. ingrowth into porous surfaced implants. Clin Orthop 1986;208:108-13. 3 Hallab N, Jacobs JJ. Biologic Effects of implant debris. Bull NYU Hosp Jt Dis 2009;67:182-8. 4 Hallab N, Merritt K, Jacobs JJ. Metal sensitiv- ity in patients with orthopaedic implants. J Bone Joint Surgery 2001;83A:428-36. 5 Carulli C, Villano M, Innocenti M. Painful knee arthroplasty: definition and overview. Clinical Cases in Mineral and Bone Metabolism 2011;8:23-5.