un referendum sull`intento dei promotori?

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Un referendum metaforico e l’“insidia” della reviviscenza:
un referendum sull’intento dei promotori?
di Andrea Melani*
(11 gennaio 2012)
Si insegna che il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo è del tutto
imprevedibile nel suo esito e nel percorso logico-giuridico che costituisce la motivazione
della pronuncia della Corte costituzionale (N. ZANON, Intervento al Convegno “Un
referendum per cambiare la legge elettorale?” tenutosi a Milano l’11 novembre 2011).
A maggior ragione ciò è vero di fronte a quesiti referendari vertenti sulla materia
elettorale, la cui politicità potrebbe sostanzialmente incidere sulla decisione della Corte
costituzionale.
Le ragioni, la struttura e gli obiettivi dei quesiti referendari sulla legge elettorale n. 270
del 2005 sono noti alla comunità scientifica. Per questo si ritiene opportuno entrare
direttamente in medias res ed accertare l’esistenza di profili di inammissibilità dei due
quesiti, nonché incidentalmente la configurabilità dell’effetto della reviviscenza della
normativa precedentemente abrogata dalla legge n. 270 del 2005.
Questo referendum potrebbe essere ricordato come il “referendum delle metafore”. Si
sostiene che l’accoglimento dei quesiti referendari produrrebbe la “reviviscenza” della
normativa previgente abrogata dalla legge n. 270 del 2005, a sua volta oggetto,
rispettivamente in toto e pro parte, dei due quesiti referendari. Non è un caso che, tra i
primi commenti, si sia parlato di una operazione referendaria simile ad un “gioco di
prestigio” (M. AINIS, Referendum e giochi di prestigio, in Corriere della Sera del 16
settembre 2011) o si siano invocati i testi evangelici per giustapporre la reviviscenza della
normativa elettorale abrogata alla “resurrezione di Lazzaro” (F. LANCHESTER, intervento
al Seminario "La reviviscenza in ambito referendario" tenutosi a Roma il 22 settembre
2011, nonché ID., Il referendum elettorale: tra l’infanticidio e il miracolo di Lazzaro, in
www.federalismi.it). Alcuni autori avevano già espresso diffidenza nei confronti della
trasposizione terminologica di concetti della vita biologica nel linguaggio giuridico (A.
CERRI, Prolegomeni ad un corso sulle fonti del diritto, Torino, 1997, 120), proprio con
riguardo alla reviviscenza. Altri ancora suggeriscono di discorrere di “risveglio” della norma
abrogata piuttosto che di reviviscenza (A. RUGGERI, Abrogazione popolare e
“reviviscenza” di leggi elettorali, in www.forumcostituzionale.it, passim).
Come acutamente descritto da Galgano, il diritto è costellato di metafore che avrebbero,
come nel linguaggio comune, la funzione positiva di semplificare il discorso e di renderlo
più espressivo (F. GALGANO, Le insidie del linguaggio giuridico. Saggio sulle metafore
nel diritto, Bologna, 2010, 19). Sennonché, per ragioni eminentemente pratiche e non di
purismo giuridico, occorre sottoporre a falsificazione la metafora per accertare se dietro
alla reviviscenza si celi l’insidia della metafora, non soltanto giuridica, di indurre l’interprete
a «prendere per vero ciò che è vero soltanto per metafora» (Ibidem, 22).
Discutere della configurabilità, più in generale, dell’effetto della reviviscenza della norma
abrogata in seguito alla abrogazione della norma abrogante presuppone che la norma
abrogata che “risorge” sia morta, sebbene remotamente vi era chi sosteneva che la legge
abrogata deve reputarsi «morta e ben morta» (così G. SAREDO, come ricorda A.
1
CELOTTO, Voce Reviviscenza degli atti normativi, in Enc. giur. it., XXVII, Roma, 1998, 3),
e proprio per questo non si dovrebbe ammettere la sua “risurrezione”.
Diversamente, è noto che l’abrogazione non è la morte della norma abrogata, con
conseguente espunzione dall’ordinamento, bensì è la cessazione, di regola pro futuro,
degli effetti di una norma anteriore ad una altra, ed in contrasto con questa (Corte cost. n.
49 del 1970). Ciò comporta che la norma abrogata non può rivivere, semmai la sua
efficacia può riespandersi o, recte, l’ambito applicativo della stessa può ritornare allo stato
originario precedente all’abrogazione sopravvenuta (tuttavia, sul concetto di riespansione,
V. MARCENÒ, Perplessità sull’ammissibilità di un concetto ambiguo: la “reviviscenza” di
disposizioni abrogate, in www.forumcostituzionale.it, 5). Metaforicamente parlando,
l’abrogazione non “sradicherebbe” la fonte coinvolta che rimarrebbe «saldamente piantata
nel terreno dell’ordinamento» sicché da “atto dormiente” possa, nell’evenienza, «riaprire gli
occhi» (A. RUGGERI, op. ult. cit., 3 e 4).
Pur formalmente diversi, i due quesiti non differiscono da un punto di vista sostanziale,
sicché l’opportunità di promuoverli entrambi da parte dei promotori non si spiega,
quantomeno prima facie. L’approvazione di uno dei due quesiti dovrebbe portare,
nell’intenzione dei promotori, alla novazione del sistema elettorale con riemersione
automatica di quello precedentemente vigente. Proseguendo nella metafora, si è
osservato che «non c’è differenza se t’uccido tagliandoti la gola o invece facendoti a
pezzetti» (M. AINIS, op. ult. cit.).
Tuttavia, la ragione di questa operazione si manifesta quando si consideri la struttura
del secondo quesito. I promotori cercano di revocare in dubbio ogni riserva sull’operatività
della reviviscenza, quale effetto dell’abrogazione referendaria, ricorrendo a criteri di natura
formale.
Partendo dal quesito parziale, la sua formulazione prova la natura cd.
costituzionalmente necessaria della legge elettorale (Corte cost. n. 15 del 2008), nella
fattispecie, per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Circoscrivere l’oggetto del quesito referendario all’alinea della disposizione sostitutiva
ovvero modificativa della legge n. 270 che esprimerebbe l’ordine di sostituzione o di
modificazione dimostra che la legge elettorale non può essere meramente abrogata da
una altra successiva, bensì può essere sostituita o modificata da una altra normativa
immediatamente applicabile ed idonea a garantire l’indefettibilità dell’organo costituzionale
ovvero la continuità del suo funzionamento.
Il tentativo di portare sul terreno logico formale l’ammissibilità del referendum non pare
però sufficiente per un esito positivo. L’oggetto del quesito referendario può essere
costituito da un intero atto normativo con forza di legge, da singole disposizioni o da parti
di disposizioni. Il giudizio di ammissibilità si esprime, tuttavia, su norme, in particolare
quando, come nel caso della legge elettorale, o più in generale di un referendum di tipo
manipolativo, si tratti di verificare che l’abrogazione produca una normativa di risulta
coerente ed autopplicativa (sul punto, v. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale,
Milano, 2008, 468; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale,
Torino, 2004, 284-285).
Il “ritaglio” operato comporta che la pronuncia della Corte verta su disposizioni
meramente abrogatrici, e che il giudizio abbia ad oggetto norme meramente abrogatrici.
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Però, quella dei promotori sembra una operazione di ritaglio inammissibile già sotto il
profilo della chiarezza oggettiva.
A ben vedere quel che si sottopone alla consultazione popolare non è l’opportunità di
abrogare una disposizione meramente abrogatrice che, normativamente, avrebbe l’effetto
di far rivivere la norma abrogata; quel che si sottopone al giudizio referendario è la volontà
del legislatore che anticipa l’abrogazione (espressa), quale effetto imputabile soltanto alla
norma sostitutiva ovvero modificativa, la cui disposizione non è inclusa nell’oggetto del
quesito. Altrimenti detto, il ritaglio della disposizione effettuato appena prima
dell’individuazione del precetto sostitutivo o modificativo implica che l’alinea considerato
abbia mero effetto dichiarativo (in questo senso P. CARNEVALE, Tornare a vivere: ma è
sempre un vantaggio?, relazione introduttiva del seminario ferrarese “Amicus curiae” del
16 dicembre 2011, 10).
Limitare l’oggetto del quesito all’alinea della disposizione che esprime l’ordine in parola
comporta la trasformazione della disposizione sostitutiva o modificativa in disposizione
meramente abrogativa. Di converso, siccome l’abrogazione parziale, anche referendaria,
per definizione è una abrogazione di norme, per l’individuazione della norma dall’alinea
della disposizione del tipo “l’articolo X del decreto del Presidente della Repubblica n. XY è
sostituito dal seguente”, si deve procedere dalla disposizione complessivamente
considerata, senza possibilità di scissione tra norma abrogante e norma sostitutiva, come
si desume dalla lettera stessa dell’oggetto del quesito.
La norma di una disposizione sostitutiva non può che essere di tipo sostitutivo, e non
può essere scissa in due parti. Semmai dalla disposizione sostitutiva si ricavano due
intenti del legislatore, quello implicito dell’abrogazione, quello esplicito della sostituzione,
cui corrispondono non già due norme, bensì una unica norma produttiva di due effetti,
abrogativo e sostitutivo (che poi si può considerare un unicum perché la sostituzione
assorbe l’abrogazione secondo la regola che il meno sta nel più).
L’operazione manipolativa che ha prodotto il secondo quesito, non soltanto si pone sul
confine dell’ammissibilità alla luce della giurisprudenza della Corte che ammette la sola
espansione di una normativa vigente e non la riesumazione di una normativa abrogata,
ma dà luogo ad una trasformazione genetica dell’oggetto su cui opererebbe l’effetto
abrogativo, non già una disposizione o parte di essa, portatrice da sé sola o nel complesso
dell’oggetto del quesito, di un significato, bensì la mera intentio di abrogare con
sostituzione o modificazione del legislatore.
Il quesito così formulato non appare oggettivamente perspicuo per l’elettore che si trova
a dover decidere dell’abrogazione dell’ordine di sostituzione, senza potersi pronunciare
formalmente su altro. La formulazione letterale dell’oggetto del quesito implica chiedere
all’elettore di disvolere la sostituzione ovvero la modificazione in astratto, non quella
particolare della legge n. 270 del 2005. Sicché la proposta referendaria non mira ad
abrogare una norma, bensì l’intenzione del legislatore come “ritagliata” dai promotori
affinché coincida con il volere soggettivo degli stessi di far rivivere la normativa abrogata
dalla legge n. 270: invero l’intenzione del legislatore del 2005 non è quella di abrogare sic
et simplciter, come risulta dalla formulazione del quesito, bensì quella di modificare ovvero
sostituire alcune disposizioni delle leggi elettorali previgenti, sì dà dar luogo ad un sistema
elettorale diverso; i promotori avrebbero dovuto sottoporre questo sistema, o parte di esso,
al giudizio popolare.
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Allora, in ultima istanza si può anche ragionevolmente affermare che la formulazione
del secondo quesito non comporta la sottoposizione alla decisione popolare
dell’opportunità di abrogare un complesso normativo, dando luogo ad un giudizio di tipo
negativo. Il corpo elettorale è chiamato ad aderire o meno all’intenzione dei promotori, che
vuole la reviviscenza, esprimendo un patente giudizio di tipo propositivo.
Si potrebbe eccepire che la proposizione di quesiti “manipolativi” comporta che l’oggetto
del quesito possa essere anche soltanto una parola, di per sé priva di «autonomo
contenuto normativo» [Corte cost. n. 32 del 1993; in dottrina M. LUCIANI, Art. 75. Il
referendum abrogativo, in Commentario alla Costituzione, fondato da G. Branca e
continuato da A. Pizzorusso (a cura di), Bologna-Roma, 2005, 625], come accaduto per i
referendum sulla legge elettorale ammessi dalla Corte costituzionale con le sentenze nn.
15, 16 e 17 del 2008. Invece, come sopra detto, la soppressione ex nunc della singola
parola può assumere significato nel contesto normativo cui accede, esito da escludere
qualora sia sottoposto a giudizio il mero intento di abrogare comunque non coincidente
con l’intenzione del legislatore del 2005.
Secondo queste riflessioni, il primo quesito sarebbe formulato in modo più chiaro
perché indubbiamente il corpo elettorale è chiamato a disvolere una norma (rectius una
intera disciplina modificativa) e non già una mera intenzione, ricostruita artificialmente.
Tuttavia, all’ammissibilità del primo quesito osta proprio il carattere totale che, secondo
giurisprudenza pacifica della Corte, costituirebbe un limite insuperabile (Corte cost. n. 15
del 2008: «ai fini dell'ammissibilità, un referendum in materia elettorale deve essere
necessariamente parziale»). Con riguardo a questo quesito si ritiene dover sindacare
l’ammissibilità dell’effetto della reviviscenza: il vuoto normativo prodotto dall’abrogazione,
per la natura costituzionalmente necessaria della legge elettorale, implicherebbe la
riespansione della normativa abrogata.
Occorre incidentalmente ricordare che, da un punto di vista sostanziale, si pone il
problema se una consultazione popolare siffatta sia qualificabile come referendum di tipo
positivo, con la questione legata alla determinazione della volontà del singolo elettore:
meramente abrogativa, favorevole alla reviviscenza, favorevole all’introduzione di un
sistema elettorale diverso da quello che si intende far rivivere. Questa problematica non
verrà esaminata perché è preliminare l’ammissibilità stessa dell’effetto della reviviscenza
in generale.
È noto che una parte della dottrina si orienti nel senso di negare la configurabilità
dell’effetto della reviviscenza, sia in seguito ad abrogazione legislativa sia a quella di tipo
referendario. Si tratta di un orientamento suffragato in giurisprudenza (tra le tante, Cass.
11 aprile 1951, n. 855; Cons. Stato, sez. VI, 8 gennaio 1991, n. 7).
Tra le possibili aperture rientra la fattispecie maggiormente accreditata della
abrogazione della disposizione meramente ed esclusivamente abrogatrice. Elemento
fondamentale da considerare è dunque l’oggetto dell’abrogazione, ovverosia una
disposizione. Ne deriva che il ragionamento deve condursi sul terreno delle disposizioni e
non delle norme. Invero, la funzione meramente abrogatrice implica che la disposizione
produca una abrogazione esplicita o espressa, identificando, quindi, la disposizione
abroganda [cfr. R. BIN, Ordine delle norme e disordine dei concetti (e viceversa). Per una
teoria quantistica delle fonti del diritto, in Scritti in onore di L. Carlassare, G. Brunelli, A.
Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Napoli, 2009, I, 17]. L’abrogazione espressa è
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condizione necessaria ma non sufficiente perché possa prodursi l’effetto della
reviviscenza. La disposizione sostitutiva o modificativa, che individui la disposizione verso
cui opera la sostituzione o la modifica, dà luogo ad una abrogazione espressa, senza che
si possa ravvisare una funzione meramente abrogativa.
Ricostruita la fattispecie, quale momento oggettivo dell’attività ermeneutica, affinché si
possa riconoscere l’effetto reviviscente è necessario considerare altresì il momento
soggettivo. Difatti la reviviscenza è ricondotta all’intentio del legislatore. Sotto il profilo
della ratio, si potrà dire che l’attribuzione di un effetto siffatto è funzionale a colmare il
vuoto normativo generato dall’abrogazione.
Esula dalla trattazione l’analisi delle criticità comunque legate alla configurazione della
reviviscenza anche in questo caso. Proseguendo invece con la metafora, si osserva che le
sole disposizioni abrogate espressamente hanno il privilegio di una potenziale
resurrezione; le disposizioni che subiscono la “peggior sorte” potranno essere
ricompensate con un “ritorno in vita”.
Il rischio, però, è che la linearità argomentativa di questo procedimento assurga a
dogma (un dogma metaforico). Si dice che l’abrogazione espressa di disposizione
meramente abrogatrice non possa avere che il «valore effettivo […] di rimettere in vigore
le norme abrogate dalla precedente dichiarazione di abrogazione» (D. DONATI, come
ricorda A. CELOTTO, Voce Reviviscenza degli atti normativi, cit., 3).
L’asserto vale esclusivamente nel caso in cui il legislatore espressamente rimetta in
vigore quanto precedentemente abrogato. Qualora manchi questa esplicita indicazione,
considerando che la configurazione dell’effetto della reviviscenza dipende anche
dall’accertamento dell’intentio del legislatore, in presenza di una abrogazione di una
disposizione meramente abrogatrice si può soltanto dire che operi una presunzione juris
tantum a favore della riespansione dell’efficacia della disposizione previgente. In altre
parole, non trova ragion d’essere, prima logicamente, poi ragionevolmente, l’attribuzione di
automaticità alla produzione dell’effetto della reviviscenza.
La reviviscenza è pur sempre un effetto riconosciuto dall’interprete di modo che si
possa soltanto fittiziamente imputare alla volontà del legislatore (come accade per
l’abrogazione “implicita”, R. BIN, G. PITRUZZELLA, Le fonti del diritto, Torino, 2009, 7).
Ciò considerato, e segnatamente quest’ultimo asserto, non pare che la reviviscenza sia
un concetto adattabile all’abrogazione referendaria (in tema P. CARNEVALE, op. ul. cit., 2
ss.). Se determinante è la ricostruzione dell’intento del legislatore, che vuole abrogare ma
contestualmente non generare un vuoto normativo, allora si tratta di verificare se il
medesimo peso possa anche essere riconosciuto all’intenzione dei promotori.
È chiara la posizione di questi, propensi alla reviviscenza. Tuttavia l’intenzione dei
promotori, nel giudizio di ammissibilità, rileva soltanto nella versione oggettivata di fine
intrinseco (Corte cost. nn. 25 e 27 del 2011) e, tendenzialmente, «può fungere soltanto da
ulteriore mezzo di verifica dell’inconfondibilità teleologica del quesito, ma non […]
assurgere a riferimento fondamentale del giudizio di ammissibilità» (E. MALFATTI, S.
PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Torino, 2007, 273; cfr. Corte cost. nn.
15, 16 e 17 del 2008).
Il fine intrinseco del primo quesito non può coincidere con l’intenzione dei promotori,
mancando prima di tutto la fattispecie – l’elemento oggettivo – in base alla quale è
possibile ragionare di reviviscenza: l’abrogazione referendaria ha ad oggetto disposizioni
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che non sono meramente ed esclusivamente abrogatrici. Se lo fossero, in ogni caso,
sarebbe dubbia la produzione dell’effetto della reviviscenza non perché si nega in
generale la proprietà dell’automatismo, ut supra affermato, ma perché la ricostruzione
dell’intenzione del legislatore, quale momento determinante, non è ammissibile
analogamente rispetto all’intenzione dei promotori: il momento determinante è semmai la
volontà del corpo elettorale ed è evidente che non è possibile ravvisarla in modo univoco e
uniforme perché non si offre una opzione univoca, ovverosia non si indica un sistema
elettorale alternativo a quello vigente obbiettivamente individuabile.
La reviviscenza non è quell’effetto ammesso dalla Corte costituzionale di espansione
della portata della norma vigente (cfr. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, op. ult.
cit., 270) perché incide sull’efficacia o sull’ambito temporale di una norma, mentre
l’espansione opera sull’ambito oggettivo di applicazione di una norma. La reviviscenza
comporterebbe la sostituzione di una disciplina «con un'altra […] assolutamente diversa
ed estranea al contesto normativo, che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare
ex novo né direttamente costruire (sentenza n. 36 del 1997)» (Corte cost. n. 13 del 1999,
successivamente richiamata).
Che siano i promotori ad aver detto che all’abrogazione segue la reviviscenza, non è
argomento valido perché un effetto siffatto si possa produrre, semplicemente perché tale
effetto non è configurabile in astratto, né accertabile in concreto (similmente V.
MARCENÒ, op. ult. cit.; contra A. MORRONE, Ammissibili i quesiti elettorali sulla legge n.
270 del 2005? Ragionamenti intorno alla giurisprudenza costituzionale, in
www.forumcostituzionale.it, 3 ss.).
L’ammissibilità della reviviscenza vorrebbe dire aderire in modo dipendente alla volontà
“soggettiva” dei promotori e, a prescindere dalla rilevanza a fini istruttori, ci sarebbe il
rischio di un contrasto con l’intenzione del corpo elettorale, nel complesso non
ricostruibile, proprio perché non sarebbe chiara agli elettori l’alternativa (Corte cost. n. 47
del 1991) di fronte ad una proposta di abrogazione di una intera legge (ovvero ad una
proposta di soppressione di un determinato sistema elettorale). Quindi, come osservato
(S. CATALANO, Intervento, in www.amicuscuriae.it, 3-4), la Corte potrebbe prescindere
dall’accertamento dell’effetto della reviviscenza e dichiarare l’inammissibilità sotto altri
profili, quali la scarsa chiarezza del quesito (per il quesito “parziale”) e di assenza di una
normativa di risulta autopplicativa (per il quesito “totale”). La proposizione dei quesiti in
parola non è «tale da mettere gli elettori nella condizione di esprimere una scelta
consapevole ed in sé coerente» (Corte cost. n. 15 del 2008). A proposito si considerino
anche i titoli dei quesiti proposti nella memoria del 2 dicembre depositata presso l’Ufficio
Centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione, che non individuerebbero,
anche successivamente alla modifica apportata dall’Ufficio medesimo, il sistema elettorale
alternativo a quello soppresso attraverso l’abrogazione della legge n. 270.
L’ammissione dei quesiti farebbe cadere il corpo elettorale nell’insidia del “prendere per
vero ciò che è vero soltanto per metafora”: l’intenzione come formulata dei promotori di far
rivivere il sistema elettorale previgente non sembra traducibile sul piano normativo.
* Dottorando di ricerca in diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Milano.
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