La pace e la guerra. Posizione della Chiesa a cent`anni

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Giancarlo Pellegrini
Schema di relazione per l’incontro con i soci del circolo “Ora et labora” di Fossato di Vico
presso il Castello di Baccaresca – 29 dicembre 2014
LA PACE E LA GUERRA.
A cento anni dalla Prima Guerra mondiale la posizione della Chiesa.
A) Clima politico e culturale al tempo in cui scoppiò il Conflitto.
Il 28 giugno 1914 a Sarajevo resta ucciso in un attentato l’arciduca Francesco
Ferdinando, erede al trono d’Austria. Responsabile dell’attentato fu uno studente
bosniaco, Gravrilo Princip, che faceva parte di un’organizzazione irredentista serba.
La Serbia non faceva parte dell’impero Austro-Ungarico.
L’Austria reagisce: vuole dare una lezione alla Serbia.
Entra in gioco un meccanismo che scatenò in Europa un conflitto mai visto.
L’evento dell’attentato produrrà una serie di fatti storici di grande rilievo, che
si concluderanno con la II Guerra mondiale e con il tramonto delle centralità
dell’Europa.
Nell’ Europa del 1914 esistevano tutte le premesse che rendevano possibile
una guerra:
•
Rapporti tesi tra le grandi potenze: Austria contro Russia, Francia
contro Germania, Germania contro Inghilterra;
•
Divisione in blocchi contrapposti: Triplice alleanza e Intesa;
•
Corsa agli armamenti e rafforzamento degli eserciti nazionali;
•
Spinte belliciste all’interno dei singoli stati.
Impressiona il clima culturale che si andò sviluppando ai primi del Novecento a
favore del nazionalismo e della guerra (cfr. il volme di E. Gentile, L’apocalisse della
modernità.La Grande Guerra per l’uomo nuovo, Mondadori, 2008). Il Novecento era
iniziato in Europa con l’esaltazione della civiltà moderna all’Esposizione inaugurata
a Parigi nell’aprile 1900, dove si era celebrata la scienza, la macchina, la tecnica.
Inoltre le espansioni coloniali e le conquiste territoriali, avviate da alcuni Stati
europei nell’Ottocento in Africa e Asia, esaltavano e stimolavano la politica di
potenza per tutelare e ingrandire gli interessi nazionali. Il futurismo, fondato da
Marinetti nel 1909, esaltava la bellezza della velocità, la macchina, il coraggio,
1
l’audacia, la ribellione. Gli imperialisti consideravano il colonialismo un’idea
appartenente alla civiltà e non giudicavano una forma di barbarie le nefandezze nei
confronti degli indigeni. Il darwinismo sociale – come sintetizza E. Gentile – dava
«una vernice di scientificità alle teorie razziste, proclamando che la lotta per la vita e
il trionfo del più forte erano una legge necessaria della storia e del progresso. La
guerra era parte integrante di questa lotta, altrettanto necessaria per la selezione del
più forte e per l’avanzare della civiltà».1
Con la vittoria della Prussia sulla Francia (Sedan 1870), in cui emerse la
potenza e l’efficienza dell’esercito prussiano, considerato come la base dell’ascesa
della potenza della Germania tra fine Ottocento e primi anni del Novecento, si diffuse
l’esaltazione dello spirito marziale, dello spirito guerriero. Si vide la guerra come un
grande strumento per progredire nelle forme di civiltà superiore, perché la guerra
impediva di addormentarsi e mobilitava i popoli. Ma non solo. In tale apologia della
guerra si comprendeva un’altra funzione: la funzione rigeneratrice di un popolo. Con
la guerra si rigenerava, si rafforzava un popolo: nasceva un popolo nuovo. Queste
idee troviamo negli scritti di Dostoevskij e di Nietzsche.
È perciò importante tener conto e capire questo clima culturale, che fa da
sfondo anche in Italia alle famose «radiose giornate» del maggio 1915.
Alcune date per capire la sequenza degli eventi
28 giugno 1914: attentato di Sarajevo e uccisione dell’arciduca Francesco
Ferdinando e di sua moglie.
23 luglio 1914: l’Austria dà ultimatum alla Serbia: entro 48 ore pretendeva di
inviare funzionari per indagini sull’attentato. La Russia entra in gioco, sostenendo la
Serbia, sua principale alleata nei Balcani. La Serbia forte del sostegno russo dà una
risposta conciliante all’ultimatum, ma respinge la clausola della partecipazione dei
funzionari austriaci alle indagini sull’attentato.
28 luglio 1914: L’Austria ritiene insufficiente la risposta serba e dichiara
guerra.
29 luglio 1914: la Russia proclama la mobilitazione delle proprie forze armate
non solo sul confine austro-ungarico, ma su tutto il confine occidentale per prevenire
un attacco da parte della Germania.
31 luglio 1914: La Germania interpreta questo fatto come atto di dichiarata
ostilità, tanto che invia un ultimatum alla Russia affinché sospenda i preparativi
bellici.
1 agosto 1914: la Germania dichiara guerra alla Russia. Allora la Francia,
legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilita le proprie forze armate.
3 agosto 1914: La Germania reagisce con un ultimatum anche alla Francia e
con la successiva dichiarazione di guerra alla Francia.
1
E. Gentile, L’apocalisse della modernità.La Grande Guerra per l’uomo nuovo, Milano, Mondadori, 2008, p. 50.
2
La Germania soffriva da tempo di un complesso di accerchiamento ma aveva
anche ambizioni militari internazionali. I generali tedeschi infatti avevano
predisposto sin dall’inizio del secolo (subito dopo la conoscenza dell’alleanza francorussa) un piano militare basato sulla rapidità e sulla destrezza, che prevedeva prima
un massiccio attacco alla Francia e poi avrebbe impiegato il grosso delle forze
militari verso la Russia: piano Schlieffen (dal nome del capo di stato maggiore). Il
piano prevedeva l’invasione del Belgio, nonostante la sua neutralità, per puntare
direttamente su Parigi.
4 agosto 1914: Germania invade il Belgio: il fatto scuote l’opinione pubblica,
vista la neutralità del Belgio.
L’Inghilterra, preoccupata dell’eventuale successo tedesco, non può tollerare
l’aggressione di un Paese neutrale che si affacciava sulla Manica. Per cui il
5 agosto 1914: Inghilterra dichiara guerra alla Germania (per la Germania è il
primo grave scacco).
Il conflitto si allarga: infatti diversi Stati, rimasti neutrali, entrano in guerra.
Agosto 1914: Il Giappone, richiamandosi al trattato che lo legava alla Gran
Bretagna dal 1902, dichiara guerra alla Germania, approfittandone per impadronirsi
dei possedimenti tedeschi in estremo oriente.
Novembre 1914: La Turchia, legata alla Germania da un trattato segreto,
interviene in favore degli Imperi centrali.
Maggio 1915: L’Italia entra in guerra contro Austria e Ungheria.
Settembre 1915: La Bulgaria entra a fianco degli Imperi Centrali
Marzo 1916: Portogallo entra con l’Intesa
Agosto 1916: Romania entra con l’Intesa
Giugno 1917: Grecia entra con l’Intesa
Aprile 1917: Gli Usa entrano con l’Intesa
Tutti i governi europei sottovalutano ciò che si sta preparando. Molti politici,
anzi, pensano che un conflitto possa servire a placare i contrasti sociali. Le forze
pacifiste trovano scarsa eco e sono ben presto travolte: le città si riempiono di
manifestazioni a favore della guerra, che puntano sul richiamo del patriottismo.
Nei vari paesi europei neanche i partiti socialisti, che avevano fatto dell’ideale
della pace il loro fondamento, riescono a sottrarsi al clima che inneggia alla guerra:
così cessa di esistere la II Internazionale Socialista, nata nel 1889 come espressione
della solidarietà tra i lavoratori di tutti i Paesi e impegnata nella difesa della pace.
La coscrizione obbligatoria (tranne che in Gran Bretagna dove si conta sui
volontari) consente agli eserciti di schierare una quantità di forze militari mai viste.
Gli eserciti hanno a disposizione nuovi armamenti: fucili a ripetizione, cannoni
potentissimi.
Si pensa ad un conflitto di poche settimane, ad una guerra di movimento
(quella sperimentata nel 1870 dai tedeschi a Sedan) : cioè ad un conflitto che punta
sulla manovra offensiva, sul rapido spostamento di ingenti masse per pochi scontri
rapidi.
3
Invece: i tedeschi trovano la resistenza dei belgi, la reazione dei francesi che in
poco tempo sanno fermare i tedeschi in corrispondenza dei fiumi Aisne e Somme.
Sul fronte orientale i russi sono fermati presso i laghi Masuri e presso
Tannenberg.
Né gli Austriaci né i Tedeschi si aspettano una tale forza e consistenza.
Nei primi 4 mesi di guerra si hanno 400.000 morti e quasi 1 milione di feriti,
senza che nessuno degli schieramenti raggiunga risultati decisivi sul piano strategico.
Fallisce la guerra di movimento, diviene guerra di logoramento con due
schieramenti praticamente immobili, che si affrontano in una serie di combattimenti
con numero indicibile di morti e feriti. È un’immane carneficina. Qualche dato,
indicato da Emilio Gentile, induce a riflettere: sul fronte occidentale ogni giorno tra
1914 e 1918 muoiono circa 900 francesi e 1300 tedeschi, senza modificare la linea
del fronte (p.4).
All’inizio gli Imperi Centrali sono superiori, ma con l’andare del tempo tale
superiorità scompare e diviene essenziale il ruolo della Gran Bretagna, che punta
sulle risorse del suo impero coloniale e sulla superiorità navale. Poi nel 1917
l’intervento degli Usa è decisivo.
La posizione dell’Italia.
L’Italia entra in guerra il 24 maggio 1915, schierandosi a fianco dell’Intesa
contro l’Impero Austro-Ungarico, che fino ad allora era stato suo alleato.
È una scelta sofferta e contrastata, dopo che si sono contrapposti due fronti:
interventisti e neutralisti.
Appena scoppiato il conflitto il governo Salandra dichiara la neutralità
dell’Italia: sia per il carattere difensivo della Triplice Alleanza sia perché l’Italia non
era stata interpellata dall’Austria.
L’ipotesi di una guerra a fianco degli Imperi Centrali viene ben presto scartata,
dati i sentimenti antiaustriaci. Si fa strada l’idea di una guerra contro l’Austria per
portare a compimento il processo risorgimentale.
Nel 1915 Germania e Austria promettono all’Italia compensi territoriali (cioè
Trento e Trieste e loro regioni), purché l’Italia resti neutrale. Il ministro della guerra
britannico avverte gli italiani che queste erano promesse che non sarebbero state
mantenute, se gli Imperi centrali avessero vinto e che pertanto era più sicuro mettersi
con gli Alleati ed entrare in guerra.
Intanto nel paese si sviluppa la contrapposizione tra interventisti e neutralisti.
Interventismo di sinistra
•
Repubblicani: custodi della tradizione garibaldina
•
I radicali e socialriformisti di Bissolati
•
Le associazioni irredentiste di Cesare Battisti
4
•
Le frange estremiste del movimento operaio e del sindacalismo
rivoluzionario (Alceste De Ambris e Filippo Corridoni pensavano ad una
guerra rivoluzionaria).
Interventismo dei nazionalisti
Favorevoli affinché l’Italia potesse affermare la sua vocazione di grande
potenza imperialista (politica di potenza)
Interventismo dei conservatori
che hanno la loro più importante espressione nel “Corriere della sera” di Luigi
Albertini, hanno i loro punti di riferimento in Salandra (presidente del consiglio) e in
Sonnino (ministro degli esteri dal 1914): secondo loro, la mancata partecipazione
all’assise, che avrebbe deciso le sorti d’Europa, avrebbe compromesso la posizione
internazionale d’Italia ed il prestigio della corona.
In contrapposizione ci sono:
I Neutralisti
L’ala più consistente dei liberali, che faceva capo a Giolitti, intuiva che la
guerra sarebbe stata lunga e logorante, che il Paese non era preparato, che comunque
l’Italia avrebbe ottenuto buona parte dei territori rivendicati come compenso per la
neutralità.
I cattolici
Con Papa Benedetto XV si delinea una forte politica pacifista della Chiesa, che
non voleva che l’Italia si schierasse a fianco dell’anticlericale Francia e contro la
cattolica Austria.
I Socialisti del Psi e della Cgl
Ferma condanna alla guerra: né adesione né sabotaggio.
Con l’eccezione di Mussolini (allora direttore dell’Avanti), il quale prima si
schiera per la neutralità assoluta poi si converte all’interventismo e viene espulso dal
partito. Fonda un nuovo giornale, “Il Popolo d’Italia”, che diviene l’organo ufficiale
dell’interventismo di sinistra.
Rapporti di forza:
I neutralisti hanno la maggioranza tra le forze parlamentari, mentre gli
interventisti hanno la maggioranza nelle piazze. Sono interventisti anche intellettuali
di prestigio come Giovanni Gentile, Giuseppe Prezzolini, Luigi Einaudi, Gaetano
Salvemini, Gabriele D’Annunzio.
Nonostante la promessa dagli Imperi Centrali di ottenere i territori di Trento e
Trieste in caso di neutralità, prevale il desiderio di diventare con la guerra un grande
Stato, pensando che la guerra avrebbe rigenerato il popolo italiano.
Il Capo del Governo, il ministro degli esteri e il re decidono per l’ingresso in
guerra.
Mentre proseguono ufficialmente le trattative con i Governi Centrali per
strappare qualche compenso territoriale in cambio della neutralità, vengono avviate in
5
maniera segreta le trattative con l’Alleanza. Si giunge così al Patto di Londra (26
aprile 1915): con Francia, Inghilterra e Russia. In caso di vittoria l’Italia avrebbe
ottenuto il Trentino, il Sud Tirolo fino al Brennero, la Venezia Giulia e l’Istria
(Fiume esclusa), parte della Dalmazia.
Il 4 maggio l’Italia denuncia la Triplice Alleanza.
Nella fase cruciale Giolitti, ignorando il Patto di Londra, si pronuncia a favore
della continuazione delle trattative con l’Austria e circa 300 deputati gli manifestano
solidarietà (consegnandogli il proprio biglietto da visita): Salandra è costretto a
dimettersi. Il Re respinge le dimissioni.
La Camera dei Deputati, incitata dalle manifestazioni di piazza in quelle che
sono definite “le radiose giornate” di maggio, per non aprire una crisi istituzionale,
approva i pieni poteri al Governo, che la sera del 24 maggio dichiara guerra
all’Austria.
Il 24 maggio iniziano le operazioni militari.
L’Italia entra in guerra quando è tramontata la prospettiva di un conflitto rapido
e già si erano avute le prime orrende carneficine. Ma la retorica dannunziana,
l’incertezza dei parlamentari, l’agitazione della piazza hanno il sopravvento.
Gli eserciti cessano di combattere ai primi di novembre del 1918. Nel
frattempo nel 1917 c’era stata la rivoluzione bolscevica, che porterà l’URSS a ritirarsi
dal conflitto nella primavera del 1918. Nell’aprile 1917 c’è anche l’entrata in guerra
degli USA. Sul piano militare dall’una e dall’altra parte si erano alternate vittorie e
sconfitte. Quando cessano le attività militari (novembre 1918) non ci sono sconfitte
decisive sul campo. L’Austria aveva perso con l’Italia e anche la Germania non stava
attraversando un fase buona; il Kaiser era fuggito in Olanda, subito imitato
dall’Imperatore Carlo I d’Austria con la proclamazione di repubblica in Germania e
Austria. Dopo la lunga guerra con oltre 10 milioni di morti e 20 di feriti, i nuovi
governi di Germania e Austria accettano armistizi convinti di negoziare una pace
onorevole, senza aver subito sconfitte decisive. Invece il Trattato di Versailles (28
giugno 1919) considera la Germania responsabile della guerra e impone pesanti
clausole sul piano territoriale, militare ed economico, cioè deve pagare i danni di
guerra prodotti. L’entità di questi danni verrà stabilita da un Commissione interalleata
nella primavera del 1921 nella cifra di 132 miliardi di marchi-oro, da pagare in 42
rate annuali: cioè i tedeschi avrebbero dovuto privarsi per quasi mezzo secolo di un
quarto del loro prodotto nazionale per assolvere a questo impegno imposto con un
diktat.
B) Come si muove la Chiesa tra 1914 e 1918
- il 20 agosto 1914 muore Pio X, molto rattristato per la guerra. Al Conclave,
che si apre il 1 settembre, viene eletto l’arcivescovo di Bologna, il card. Giacomo
6
della Chiesa, genovese di nascita, che assume il nome di Benedetto XV. La prima
esortazione alla pace del nuovo Papa, l’8 settembre 1914, ricalca lo schema
interpretativo della guerra come punizione divina per espiare in terra le colpe
collettive degli uomini allontanatisi dal cristianesimo: era uno schema che dopo De
Maistre (fine Settecento) si era affermato nella Chiesa e che era stato riproposto il 31
agosto ai cardinali prima del Conclave da mons. Aurelio Galli, nella Oratio de
eligendo summo pontefice. Infatti Benedetto XV nell’esortazione dell’8 settembre
invitava i cattolici alla preghiera, affinché Dio «memore della sua misericordia,
deponga questo flagello dell’ira sua, col quale fa giustizia dei peccati delle
nazioni».2 Quindi guerra come flagello, ma flagello dell’ira di Dio perché la società
moderna si era allontanata dalla Chiesa.
- Più volte Papa Benedetto XV tornerà sull’argomento. Nel Concistoro del 22
gennaio 1915 non formula un giudizio sulla guerra in corso, per non schierarsi
dall’una o dall’altra parte, ma richiama la necessità di una moralizzazione del
conflitto: ad esempio si sofferma sulle regioni invase e devastate e ammonisce a non
ferire gli animi degli abitanti.3 Quando l’Italia entra in guerra nel maggio 1915, papa
Della Chiesa parla dell’ «orrenda carneficina che disonora l’Europa»; il 4 marzo del
1916 parla di «suicidio dell’Europa civile»; il 31 luglio 1916 stigmatizza la guerra
come la «più fosca tragedia dell’odio umano e della umana demenza».
- Ma come si muovono Papa e curia vaticana? Dopo aver preso atto che la
società contemporanea si era allontanata dal cristianesimo, il papa opera per la pace,
affinché finisca la guerra. Forte è l’aspirazione in Vaticano che si possa ricostruire
una società cristiana a guida del papa, sul modello della cristianità medievale. Entro
questo progetto cui si muove il Vaticano intero.
Segnali: nel dicembre 1916 negli auguri natalizi il card. Vannutelli ricorda che
la pace potrà essere raggiunta solo se l’umanità saprà riconoscere che il papa è
«l’autorità stabilita da Dio per tutelarla». In occasione del Natale 1919, nel Sacro
Collegio, in risposta al card. Vannutelli che aveva ricordato che la guerra da poco
cessata aveva avuto l’effetto di manifestare il ruolo importante del papa nel consorzio
umano, Della Chiesa aderiva alle parole del Decano, sottolineando di aver ispirato in
quegli anni tutta la sua attività all’affermazione di Cristo come «legislatore sovrano
della civile convivenza».4
Naturalmente per il ristabilimento della pace e della concordia internazionale il
Papa punta anche sul fattore religioso, che si sviluppa in molteplici direzioni, una
delle quali è la promozione del culto del Sacro Cuore di Gesù, con una preghiera
composta personalmente dal papa nel 1915. Gemelli si attiverà per la consacrazione
dell’esercito al Sacro Cuore.5
2
Citato da D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento, Bologna, Il Mulino, 2008, p.17.
Ivi, p.37.
4
Ivi, p.23.
5
Ivi, p.34.
3
7
- Anche la Nota Vaticana del 1 agosto 1917, la famosa Lettera ai Capi dei
popoli belligeranti, in cui troviamo la famosa frase, che il conflitto «ogni giorno più
apparisce inutile strage», va considerato come un tassello del disegno papale di
contribuire a ricostruire una nuova società cristiana. Come osserva Menozzi, è anche
il tentativo di proporre il ruolo del papato come suprema autorità morale del mondo,
dopo che l’intervento degli USA con il Presidente Wilson e i suoi 14 punti aveva
assunto il ruolo di riferimento per il futuro assetto del mondo. C’era anche stato
l’intervento dell’arcivescovo luterano di Uppsala per la Pentecoste del 1917, il quale
si era dichiarato disposto a fare da intermediario tra le parti.
Pertanto legittimamente Benedetto XV si propone come mediatore, data la sua
autorità morale, con un documento che ricordava i precedenti appelli alla pace, la
«perfetta imparzialità» verso tutti i belligeranti e gli sforzi compiuti per arrivare ad
una pace giusta e duratura, in sintonia con la propria missione pacificatrice. Ma il
papa indica anche «proposte più concrete», per invitare i governanti ad accordarsi su
punti che gli sembrano i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando poi ai
governi di completarli e approfondirli.
Tali proposte concrete prevedono: la forza morale del diritto, che subentri alla
forza materiale delle armi; un percorso verso il disarmo con un accordo verso la
diminuzione degli armamenti; l’accettazione dell’istituto dell’arbitrato con la sua alta
funzione pacificatrice. Una volta dato risalto all’impero del diritto, il papa propone di
togliere ogni ostacolo alle vie di comunicazione, alla libertà e comunanza dei mari;
poi raccomanda che ci sia «intera e reciproca condonazione» rispetto ai danni e alle
spese di guerra; come pure raccomanda la «reciproca restituzione dei territori
occupati» (il caso del Belgio e Alsazia e Lorena; poi le questioni territoriali fra Italia
e Austria; come pure l’assetto dell’Armenia, dei paesi balcanici, della Polonia).
È un documento di carattere politico, di cui subito apparve l’importanza.
Confrontandolo con l’esito dei successivi trattati di pace, ci si accorge subito quanto
ci si allontanò dalle proposte sagge avanzate dal Papa.
Quando esce la nota vaticana sull’inutile strage, ampio era il malessere delle
truppe e della popolazione italiana. Ci furono rivolte nel Torinese, quasi che il dire
«inutile strage» sembrasse incoraggiare l’abbandono delle armi. Quando poi si ebbe
la disfatta di Caporetto nell’ottobre 1917, sul Papa cadde l’accusa di disfattismo e
negli ambienti dello Stato maggiore di Cadorna ci fu chi se la prese con il Papa
(bisognava impiccarlo!).
C) Come si muove la Chiesa dopo il 1918
- C’è una certa diffidenza, nei primi anni, nei confronti della Società delle
Nazioni (avente sede a Ginevra), perché – secondo come rilevava papa Pio XI – non
c’era un istituto umano che potesse dare alle nazioni un codice internazionale
8
rispondenti alle condizioni moderne, quale ebbe nel Medioevo, quella vera società
delle nazioni che fu la cristianità medievale.6 Ma dopo diversi settori del mondo
cattolico, riflettendo sulla realtà possibile, manifestarono favore verso la Società delle
Nazioni, anche pensando che il papa avrebbe mantenuto quel ruolo supremo di
arbitro internazionale. Fu importante la posizione assunta da Ernesto Vercesi, Luigi
Sturzo, soprattutto dal gesuita francese Yves de La Brière. Per cui si va verso un
sostegno del vaticano alla Società delle nazioni.
- Le micidiali armi distruttive comparse nella Grande Guerra cominciano a
scavare nel mondo cattolico circa l’ammissibilità morale dell’obiezione di coscienza
al servizio militare, anche perché si va diffondendo l’idea che anche questa strada
debba essere percorsa per impedire il ripetersi degli orrori della grande Guerra.
Sturzo: la propaganda contro la coscrizione obbligatoria è propria dello spirito del
pensiero cattolico, perché ogni nuova guerra è una guerra ingiusta.7 Era una questione
molto delicata. Anche Pacelli, allora nunzio in Germania, nel 1929 intervenne,
distinguendo la volontà pacificatrice della Chiesa dal falso pacifismo e sottolineando
che la Chiesa intendeva rispettare il diritto naturale, secondo cui l’intervento militare
non comprendeva solo la legittima difesa, ma anche la volontà di ristabilire con le
armi la giustizia violata.8
Questa dell’obiezione di coscienza sarà una questione che per lungo tempo
arrovellerà i cattolici e lo Stato italiano. Si pensi alle polemiche quando uscì nel 1963
il film Non uccidere! di Autant-Lara e poi come ne fu coinvolto don Lorenzo Milani,
condannato dal Tribunale poco prima che morisse. Il caso dell’obiezione di coscienza
torna sulle cronache italiane sul finire degli anni Quaranta con il primo obiettore,
Pietro Pinna, collaboratore di Aldo Capitini, quando già in Parlamento era stata
presentata la proposta di legge da Igino Giordani, cattolico, e da Umberto Colosso,
laico. Don Mazzolari pubblica nel 1952 il volumetto Tu non uccidere, poi messo
all’indice dal S. Uffizio. Solo con il Concilio nella Gaudium et Spes verrà sancito
l’auspicio di una legalizzazione dell’obiezione di coscienza.9
- Ancora negli anni Trenta la minaccia comunista e bolscevica costituiva un
poderoso campanello d’allarme rispetto a chi perseguiva il sogno del disarmo totale.
Così la strada cercata di privilegiare la costruzione della pace rispetto alla
moralizzazione dei conflitti (documento di Friburgo di otto teologi cattolici, 1932)
non trovò il consenso necessario.
- Negli anni Trenta alcuni eventi inducono a delineare per la Chiesa una
posizione di giustificazione etico-religiosa della guerra.10 Benché nel discorso al
6
Ivi, p.48.
Ivi, p. 84.
8
Ivi, p. 89.
9
Ivi, pp. 188-196
10
Cfr. ivi, p.131.
7
9
collegio cardinalizio del Natale 1934 papa Ratti sia in sintonia con coloro che hanno
difficoltà a legittimare con la religione la guerra (ripete il Salmo 67, 31: «Dissipa
gentes quae bella volunt»), poi quando ci fu l’impresa italiana in Etiopia
nell’allocuzione orale alle infermiere cattoliche (agosto 1935) papa Ratti si espresse
nel senso di una guerra ingiusta: ma il testo pubblicato, con la revisione di mons.
Tardini, preoccupato delle reazioni del governo fascista, lasciò trapelare, anche se in
modo contraddittorio e contorto, un significato contrario: che cioè l’aggressione
italiana veniva giustificata: quindi legittimazione da parte vaticana alla guerra
imperiale fascista.11
Nei confronti della guerra civile spagnola la posizione di Roma è più netta, sia
pure dopo qualche incertezza. Ricevendo a Castel Gandolfo i profughi spagnoli nel
settembre 1936, papa Ratti tra l’altro inviava la sua benedizione all’intero popolo
spagnolo e indirizzava la sua speciale benedizione «a quanti si sono assunto il
difficile e pericoloso compito di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e
della religione». Pur tra molte cautele e raccomandazioni appariva evidente che Pio
XI sosteneva la guerra contro coloro che volevano dissolvere la civiltà cristiana.12
C’erano anche posizioni diverse. Padre Mariano Cordovani, nel Corso
universitario di Teologia cattolica (1939), rilevava che la «guerra non è più la
soluzione di un problema, ma la complicazione di tutti i problemi … che nell’attuale
sistema …storicamente la guerra non è più uno strumento di giustizia … Bisogna
avere il coraggio di rivedere la nostra pratica della guerra, perché le condizioni della
teologia della guerra giusta non si verificano quasi mai…».13Per un certo periodo
anche La Pira è pressoché sulle stesse posizioni; poi, quando si verifica l’invasione
tedesca della Polonia e quella sovietica della Finlandia, egli sulla rivista «Principi»
sostiene la necessità di muovere la guerra contro i pagani nazisti e gli atei
comunisti.14
- Nella prossimità del secondo conflitto mondiale Pio XII riproponeva la linea
adottata da tempo e diceva di rifarsi al magistero di Pio X, Benedetto XV e Pio XI:
nell’imparzialità e neutralità della S. Sede, le ragioni del conflitto venivano
individuate nell’allontanamento del mondo moderno dalla Chiesa e quindi la guerra
era quel flagello inviato da Dio agli uomini, affinché tornassero sulla buona strada,
subordinandosi alle direttive ecclesiastiche come unica via per ristabilire una
autentica pace.15 Le stesse tesi sull’origine del conflitto si ritrovano nell’enciclica
programmatica “Summi Pontificatus”; idem nel radiomessaggio natalizio del 1942.
Per legittimare i cattolici alla guerra, nel settembre 1940 ai dirigenti di Azione
Cattolica il papa ricorda la necessità della piena subordinazione degli iscritti alla
gerarchia ecclesiastica e che questi sono tenuto alle leale obbedienza alle autorità
civili e alle loro legittime prescrizioni: quindi sostenere anche la guerra in atto.
11
Ivi, pp.132-133.
Ivi, pp.136-137.
13
Ivi, p.145.
14
Ivi, p.148.
15
Ivi, p.149.
12
10
Certo il Papa guardava con preoccupazione alla guerra, cercando ogni mezzo
per evitarla. Si ricordano in proposito le parole di Pio XII, scritte da Montini: «Nulla
è perduto con la pace. Tutto è perduto con la guerra. Ritornino gli uomini a
comprendersi. Ritornino gli uomini a trattare».
- Periodo della Guerra Fredda e Armi atomiche. Marzo 1950. Viene lanciato
l’Appello di Stoccolma: si chiede l’interdizione delle armi nucleari data la loro
enorme capacità distruttiva. Tale appello è lanciato dal Consiglio mondiali dei
partigiani della pace, un movimento che affianca i partiti comunisti. Una quarantina
di personalità cattoliche francesi, tra cui p. Chenu, firma l’appello. Il problema turba i
cattolici nella fase in cui lo scontro con i comunisti è alle stelle. Nel messaggio
natalizio del 1951 papa Pacelli deplora «la mostruosa crudeltà delle armi moderne»,
facendo rilevare che il problema era costituito dall’«assenza dell’ordine cristiano, che
è il vero garante della pace».16
Parlando nel settembre 1954 all’Associazione medica mondiale Pio XII
arrivava a sottolineare: «Non si può per principio porre la questione della liceità della
guerra atomica, chimica e batteriologica, se non nel caso in cui esse deve essere
giudicata indispensabile per difendersi nelle condizioni indicate. Però anche allora si
deve tentare con tutti i mezzi di evitarla, mediante intese internazionali, oppure
ponendo alla sua utilizzazione limiti molto chiari e stretti affinché rimangano limitati
alle esigenze rigorose della difesa».17 Con tali armi distruttive per il papa rimaneva
moralmente lecita solo la guerra di difesa: questo veniva dichiarato dalla Chiesa nel
1954, quando, morto Stalin, ancora rimanevano incertezze e pericoli sul piano
internazionale per le situazioni esplosive in estremo Oriente, nel medio Oriente, in
Africa, nel sud America ed anche in Europa.
- Con Papa Giovanni XXIII si andrà concretizzando una nuova impostazione
della linea vaticana sulla pace e sulla guerra, o meglio un allargamento di prospettiva,
cioè di coloro che vanno coinvolti nel problema della pace. Anche Roncalli
affermava che «solo la religione può alimentare la pace, rafforzarla, consolidarla» e
ammoniva a non violare i «sacri diritti» di Dio per garantire pacifiche relazioni
internazionali, ma invitava tutti i responsabili politici ad avviare negoziati per il
disarmo. Lo faceva senza precisare minutamente i criteri con cui giudicare la
legittimità della pace e della guerra. Thomas Merton ha rilevato che così veniva
«creata un’atmosfera di speranza e di fiducia nel negoziato» per il disarmo.18
Questa apertura sul tema viene apprezzata anche nella prima enciclica Ad Petri
cathedram, nel messaggio natalizio del 1959 in cui il papa apprezza la distensione
internazionale che si è andata realizzando: dalla coesistenza si possa passare ad una
vera e propria convivenza internazionale. Da qui il Papa riesce a instaurare un buon
16
Ivi, p. 208.
Ivi, p. 213.
18
Ivi, p.259.
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rapporto con Chruscev e con Kennedy e si vede nella crisi di Cuba del 1962: sull’orlo
della guerra nucleare, l’appello del papa alla pace – effettuato dopo aver ottenuto il
gradimento di entrambe le parti – ottiene il fine che il papa si prefigge. L’altro
capolavoro è l’enciclica Pacem in terris dell’aprile 1963. Mons. Pietro Pavan, che già
aveva collaborato all’elaborazione della Mater et magistra, nel novembre 1962
sollecita mons. Capovilla affinché si arrivi ad una enciclica che sul tema della pace
sia il completamento della prima. Quindi stesura, correzioni e l’enciclica viene
firmata l’11 aprile. Viene indirizzata a «tutti gli uomini di buona volontà»,
richiedendo l’apporto di tutti coloro che, pur non essendo illuminati dalla fede,
operavano per la pace sorretti dalla ragione e dall’onestà intellettuale. Distinguendo
tra errore ed errante e tra ideologie e movimenti politici e sociali, sui temi trattati
dall’enciclica si poteva realizzare un’intesa tra cattolici e non. Abbandonando
l’atteggiamento pedante di dettare i criteri di moralizzazione della pace e stimolando
invece al dialogo tra uomini schierati su posizioni contrapposte, si faceva assumere
alla Chiesa questa posizione importantissima di costruzione della pace.
- Poi il Concilio con la Gaudium et Spes, poi Montini con il discorso alle
Nazioni Unite (ottobre 1965) («Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle
vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno»)19, e con l’enciclica
Populorum progressio (marzo 1967) («lo sviluppo è il nuovo nome della pace»)
indicavano i percorsi più convincenti per la Chiesa in tema di pace e di guerra.
- Poi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ed ora Francesco sono altrettante tappe
di un percorso che tiene conto delle sensibilità reali de cristiani sul tema della pace,
della non violenza, dell’amore.
19
Ivi, p.272.
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