Giancarlo Pellegrini Schema di relazione per l’incontro con i soci del circolo “Ora et labora” di Fossato di Vico presso il Castello di Baccaresca – 29 dicembre 2014 LA PACE E LA GUERRA. A cento anni dalla Prima Guerra mondiale la posizione della Chiesa. A) Clima politico e culturale al tempo in cui scoppiò il Conflitto. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo resta ucciso in un attentato l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria. Responsabile dell’attentato fu uno studente bosniaco, Gravrilo Princip, che faceva parte di un’organizzazione irredentista serba. La Serbia non faceva parte dell’impero Austro-Ungarico. L’Austria reagisce: vuole dare una lezione alla Serbia. Entra in gioco un meccanismo che scatenò in Europa un conflitto mai visto. L’evento dell’attentato produrrà una serie di fatti storici di grande rilievo, che si concluderanno con la II Guerra mondiale e con il tramonto delle centralità dell’Europa. Nell’ Europa del 1914 esistevano tutte le premesse che rendevano possibile una guerra: • Rapporti tesi tra le grandi potenze: Austria contro Russia, Francia contro Germania, Germania contro Inghilterra; • Divisione in blocchi contrapposti: Triplice alleanza e Intesa; • Corsa agli armamenti e rafforzamento degli eserciti nazionali; • Spinte belliciste all’interno dei singoli stati. Impressiona il clima culturale che si andò sviluppando ai primi del Novecento a favore del nazionalismo e della guerra (cfr. il volme di E. Gentile, L’apocalisse della modernità.La Grande Guerra per l’uomo nuovo, Mondadori, 2008). Il Novecento era iniziato in Europa con l’esaltazione della civiltà moderna all’Esposizione inaugurata a Parigi nell’aprile 1900, dove si era celebrata la scienza, la macchina, la tecnica. Inoltre le espansioni coloniali e le conquiste territoriali, avviate da alcuni Stati europei nell’Ottocento in Africa e Asia, esaltavano e stimolavano la politica di potenza per tutelare e ingrandire gli interessi nazionali. Il futurismo, fondato da Marinetti nel 1909, esaltava la bellezza della velocità, la macchina, il coraggio, 1 l’audacia, la ribellione. Gli imperialisti consideravano il colonialismo un’idea appartenente alla civiltà e non giudicavano una forma di barbarie le nefandezze nei confronti degli indigeni. Il darwinismo sociale – come sintetizza E. Gentile – dava «una vernice di scientificità alle teorie razziste, proclamando che la lotta per la vita e il trionfo del più forte erano una legge necessaria della storia e del progresso. La guerra era parte integrante di questa lotta, altrettanto necessaria per la selezione del più forte e per l’avanzare della civiltà».1 Con la vittoria della Prussia sulla Francia (Sedan 1870), in cui emerse la potenza e l’efficienza dell’esercito prussiano, considerato come la base dell’ascesa della potenza della Germania tra fine Ottocento e primi anni del Novecento, si diffuse l’esaltazione dello spirito marziale, dello spirito guerriero. Si vide la guerra come un grande strumento per progredire nelle forme di civiltà superiore, perché la guerra impediva di addormentarsi e mobilitava i popoli. Ma non solo. In tale apologia della guerra si comprendeva un’altra funzione: la funzione rigeneratrice di un popolo. Con la guerra si rigenerava, si rafforzava un popolo: nasceva un popolo nuovo. Queste idee troviamo negli scritti di Dostoevskij e di Nietzsche. È perciò importante tener conto e capire questo clima culturale, che fa da sfondo anche in Italia alle famose «radiose giornate» del maggio 1915. Alcune date per capire la sequenza degli eventi 28 giugno 1914: attentato di Sarajevo e uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie. 23 luglio 1914: l’Austria dà ultimatum alla Serbia: entro 48 ore pretendeva di inviare funzionari per indagini sull’attentato. La Russia entra in gioco, sostenendo la Serbia, sua principale alleata nei Balcani. La Serbia forte del sostegno russo dà una risposta conciliante all’ultimatum, ma respinge la clausola della partecipazione dei funzionari austriaci alle indagini sull’attentato. 28 luglio 1914: L’Austria ritiene insufficiente la risposta serba e dichiara guerra. 29 luglio 1914: la Russia proclama la mobilitazione delle proprie forze armate non solo sul confine austro-ungarico, ma su tutto il confine occidentale per prevenire un attacco da parte della Germania. 31 luglio 1914: La Germania interpreta questo fatto come atto di dichiarata ostilità, tanto che invia un ultimatum alla Russia affinché sospenda i preparativi bellici. 1 agosto 1914: la Germania dichiara guerra alla Russia. Allora la Francia, legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilita le proprie forze armate. 3 agosto 1914: La Germania reagisce con un ultimatum anche alla Francia e con la successiva dichiarazione di guerra alla Francia. 1 E. Gentile, L’apocalisse della modernità.La Grande Guerra per l’uomo nuovo, Milano, Mondadori, 2008, p. 50. 2 La Germania soffriva da tempo di un complesso di accerchiamento ma aveva anche ambizioni militari internazionali. I generali tedeschi infatti avevano predisposto sin dall’inizio del secolo (subito dopo la conoscenza dell’alleanza francorussa) un piano militare basato sulla rapidità e sulla destrezza, che prevedeva prima un massiccio attacco alla Francia e poi avrebbe impiegato il grosso delle forze militari verso la Russia: piano Schlieffen (dal nome del capo di stato maggiore). Il piano prevedeva l’invasione del Belgio, nonostante la sua neutralità, per puntare direttamente su Parigi. 4 agosto 1914: Germania invade il Belgio: il fatto scuote l’opinione pubblica, vista la neutralità del Belgio. L’Inghilterra, preoccupata dell’eventuale successo tedesco, non può tollerare l’aggressione di un Paese neutrale che si affacciava sulla Manica. Per cui il 5 agosto 1914: Inghilterra dichiara guerra alla Germania (per la Germania è il primo grave scacco). Il conflitto si allarga: infatti diversi Stati, rimasti neutrali, entrano in guerra. Agosto 1914: Il Giappone, richiamandosi al trattato che lo legava alla Gran Bretagna dal 1902, dichiara guerra alla Germania, approfittandone per impadronirsi dei possedimenti tedeschi in estremo oriente. Novembre 1914: La Turchia, legata alla Germania da un trattato segreto, interviene in favore degli Imperi centrali. Maggio 1915: L’Italia entra in guerra contro Austria e Ungheria. Settembre 1915: La Bulgaria entra a fianco degli Imperi Centrali Marzo 1916: Portogallo entra con l’Intesa Agosto 1916: Romania entra con l’Intesa Giugno 1917: Grecia entra con l’Intesa Aprile 1917: Gli Usa entrano con l’Intesa Tutti i governi europei sottovalutano ciò che si sta preparando. Molti politici, anzi, pensano che un conflitto possa servire a placare i contrasti sociali. Le forze pacifiste trovano scarsa eco e sono ben presto travolte: le città si riempiono di manifestazioni a favore della guerra, che puntano sul richiamo del patriottismo. Nei vari paesi europei neanche i partiti socialisti, che avevano fatto dell’ideale della pace il loro fondamento, riescono a sottrarsi al clima che inneggia alla guerra: così cessa di esistere la II Internazionale Socialista, nata nel 1889 come espressione della solidarietà tra i lavoratori di tutti i Paesi e impegnata nella difesa della pace. La coscrizione obbligatoria (tranne che in Gran Bretagna dove si conta sui volontari) consente agli eserciti di schierare una quantità di forze militari mai viste. Gli eserciti hanno a disposizione nuovi armamenti: fucili a ripetizione, cannoni potentissimi. Si pensa ad un conflitto di poche settimane, ad una guerra di movimento (quella sperimentata nel 1870 dai tedeschi a Sedan) : cioè ad un conflitto che punta sulla manovra offensiva, sul rapido spostamento di ingenti masse per pochi scontri rapidi. 3 Invece: i tedeschi trovano la resistenza dei belgi, la reazione dei francesi che in poco tempo sanno fermare i tedeschi in corrispondenza dei fiumi Aisne e Somme. Sul fronte orientale i russi sono fermati presso i laghi Masuri e presso Tannenberg. Né gli Austriaci né i Tedeschi si aspettano una tale forza e consistenza. Nei primi 4 mesi di guerra si hanno 400.000 morti e quasi 1 milione di feriti, senza che nessuno degli schieramenti raggiunga risultati decisivi sul piano strategico. Fallisce la guerra di movimento, diviene guerra di logoramento con due schieramenti praticamente immobili, che si affrontano in una serie di combattimenti con numero indicibile di morti e feriti. È un’immane carneficina. Qualche dato, indicato da Emilio Gentile, induce a riflettere: sul fronte occidentale ogni giorno tra 1914 e 1918 muoiono circa 900 francesi e 1300 tedeschi, senza modificare la linea del fronte (p.4). All’inizio gli Imperi Centrali sono superiori, ma con l’andare del tempo tale superiorità scompare e diviene essenziale il ruolo della Gran Bretagna, che punta sulle risorse del suo impero coloniale e sulla superiorità navale. Poi nel 1917 l’intervento degli Usa è decisivo. La posizione dell’Italia. L’Italia entra in guerra il 24 maggio 1915, schierandosi a fianco dell’Intesa contro l’Impero Austro-Ungarico, che fino ad allora era stato suo alleato. È una scelta sofferta e contrastata, dopo che si sono contrapposti due fronti: interventisti e neutralisti. Appena scoppiato il conflitto il governo Salandra dichiara la neutralità dell’Italia: sia per il carattere difensivo della Triplice Alleanza sia perché l’Italia non era stata interpellata dall’Austria. L’ipotesi di una guerra a fianco degli Imperi Centrali viene ben presto scartata, dati i sentimenti antiaustriaci. Si fa strada l’idea di una guerra contro l’Austria per portare a compimento il processo risorgimentale. Nel 1915 Germania e Austria promettono all’Italia compensi territoriali (cioè Trento e Trieste e loro regioni), purché l’Italia resti neutrale. Il ministro della guerra britannico avverte gli italiani che queste erano promesse che non sarebbero state mantenute, se gli Imperi centrali avessero vinto e che pertanto era più sicuro mettersi con gli Alleati ed entrare in guerra. Intanto nel paese si sviluppa la contrapposizione tra interventisti e neutralisti. Interventismo di sinistra • Repubblicani: custodi della tradizione garibaldina • I radicali e socialriformisti di Bissolati • Le associazioni irredentiste di Cesare Battisti 4 • Le frange estremiste del movimento operaio e del sindacalismo rivoluzionario (Alceste De Ambris e Filippo Corridoni pensavano ad una guerra rivoluzionaria). Interventismo dei nazionalisti Favorevoli affinché l’Italia potesse affermare la sua vocazione di grande potenza imperialista (politica di potenza) Interventismo dei conservatori che hanno la loro più importante espressione nel “Corriere della sera” di Luigi Albertini, hanno i loro punti di riferimento in Salandra (presidente del consiglio) e in Sonnino (ministro degli esteri dal 1914): secondo loro, la mancata partecipazione all’assise, che avrebbe deciso le sorti d’Europa, avrebbe compromesso la posizione internazionale d’Italia ed il prestigio della corona. In contrapposizione ci sono: I Neutralisti L’ala più consistente dei liberali, che faceva capo a Giolitti, intuiva che la guerra sarebbe stata lunga e logorante, che il Paese non era preparato, che comunque l’Italia avrebbe ottenuto buona parte dei territori rivendicati come compenso per la neutralità. I cattolici Con Papa Benedetto XV si delinea una forte politica pacifista della Chiesa, che non voleva che l’Italia si schierasse a fianco dell’anticlericale Francia e contro la cattolica Austria. I Socialisti del Psi e della Cgl Ferma condanna alla guerra: né adesione né sabotaggio. Con l’eccezione di Mussolini (allora direttore dell’Avanti), il quale prima si schiera per la neutralità assoluta poi si converte all’interventismo e viene espulso dal partito. Fonda un nuovo giornale, “Il Popolo d’Italia”, che diviene l’organo ufficiale dell’interventismo di sinistra. Rapporti di forza: I neutralisti hanno la maggioranza tra le forze parlamentari, mentre gli interventisti hanno la maggioranza nelle piazze. Sono interventisti anche intellettuali di prestigio come Giovanni Gentile, Giuseppe Prezzolini, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, Gabriele D’Annunzio. Nonostante la promessa dagli Imperi Centrali di ottenere i territori di Trento e Trieste in caso di neutralità, prevale il desiderio di diventare con la guerra un grande Stato, pensando che la guerra avrebbe rigenerato il popolo italiano. Il Capo del Governo, il ministro degli esteri e il re decidono per l’ingresso in guerra. Mentre proseguono ufficialmente le trattative con i Governi Centrali per strappare qualche compenso territoriale in cambio della neutralità, vengono avviate in 5 maniera segreta le trattative con l’Alleanza. Si giunge così al Patto di Londra (26 aprile 1915): con Francia, Inghilterra e Russia. In caso di vittoria l’Italia avrebbe ottenuto il Trentino, il Sud Tirolo fino al Brennero, la Venezia Giulia e l’Istria (Fiume esclusa), parte della Dalmazia. Il 4 maggio l’Italia denuncia la Triplice Alleanza. Nella fase cruciale Giolitti, ignorando il Patto di Londra, si pronuncia a favore della continuazione delle trattative con l’Austria e circa 300 deputati gli manifestano solidarietà (consegnandogli il proprio biglietto da visita): Salandra è costretto a dimettersi. Il Re respinge le dimissioni. La Camera dei Deputati, incitata dalle manifestazioni di piazza in quelle che sono definite “le radiose giornate” di maggio, per non aprire una crisi istituzionale, approva i pieni poteri al Governo, che la sera del 24 maggio dichiara guerra all’Austria. Il 24 maggio iniziano le operazioni militari. L’Italia entra in guerra quando è tramontata la prospettiva di un conflitto rapido e già si erano avute le prime orrende carneficine. Ma la retorica dannunziana, l’incertezza dei parlamentari, l’agitazione della piazza hanno il sopravvento. Gli eserciti cessano di combattere ai primi di novembre del 1918. Nel frattempo nel 1917 c’era stata la rivoluzione bolscevica, che porterà l’URSS a ritirarsi dal conflitto nella primavera del 1918. Nell’aprile 1917 c’è anche l’entrata in guerra degli USA. Sul piano militare dall’una e dall’altra parte si erano alternate vittorie e sconfitte. Quando cessano le attività militari (novembre 1918) non ci sono sconfitte decisive sul campo. L’Austria aveva perso con l’Italia e anche la Germania non stava attraversando un fase buona; il Kaiser era fuggito in Olanda, subito imitato dall’Imperatore Carlo I d’Austria con la proclamazione di repubblica in Germania e Austria. Dopo la lunga guerra con oltre 10 milioni di morti e 20 di feriti, i nuovi governi di Germania e Austria accettano armistizi convinti di negoziare una pace onorevole, senza aver subito sconfitte decisive. Invece il Trattato di Versailles (28 giugno 1919) considera la Germania responsabile della guerra e impone pesanti clausole sul piano territoriale, militare ed economico, cioè deve pagare i danni di guerra prodotti. L’entità di questi danni verrà stabilita da un Commissione interalleata nella primavera del 1921 nella cifra di 132 miliardi di marchi-oro, da pagare in 42 rate annuali: cioè i tedeschi avrebbero dovuto privarsi per quasi mezzo secolo di un quarto del loro prodotto nazionale per assolvere a questo impegno imposto con un diktat. B) Come si muove la Chiesa tra 1914 e 1918 - il 20 agosto 1914 muore Pio X, molto rattristato per la guerra. Al Conclave, che si apre il 1 settembre, viene eletto l’arcivescovo di Bologna, il card. Giacomo 6 della Chiesa, genovese di nascita, che assume il nome di Benedetto XV. La prima esortazione alla pace del nuovo Papa, l’8 settembre 1914, ricalca lo schema interpretativo della guerra come punizione divina per espiare in terra le colpe collettive degli uomini allontanatisi dal cristianesimo: era uno schema che dopo De Maistre (fine Settecento) si era affermato nella Chiesa e che era stato riproposto il 31 agosto ai cardinali prima del Conclave da mons. Aurelio Galli, nella Oratio de eligendo summo pontefice. Infatti Benedetto XV nell’esortazione dell’8 settembre invitava i cattolici alla preghiera, affinché Dio «memore della sua misericordia, deponga questo flagello dell’ira sua, col quale fa giustizia dei peccati delle nazioni».2 Quindi guerra come flagello, ma flagello dell’ira di Dio perché la società moderna si era allontanata dalla Chiesa. - Più volte Papa Benedetto XV tornerà sull’argomento. Nel Concistoro del 22 gennaio 1915 non formula un giudizio sulla guerra in corso, per non schierarsi dall’una o dall’altra parte, ma richiama la necessità di una moralizzazione del conflitto: ad esempio si sofferma sulle regioni invase e devastate e ammonisce a non ferire gli animi degli abitanti.3 Quando l’Italia entra in guerra nel maggio 1915, papa Della Chiesa parla dell’ «orrenda carneficina che disonora l’Europa»; il 4 marzo del 1916 parla di «suicidio dell’Europa civile»; il 31 luglio 1916 stigmatizza la guerra come la «più fosca tragedia dell’odio umano e della umana demenza». - Ma come si muovono Papa e curia vaticana? Dopo aver preso atto che la società contemporanea si era allontanata dal cristianesimo, il papa opera per la pace, affinché finisca la guerra. Forte è l’aspirazione in Vaticano che si possa ricostruire una società cristiana a guida del papa, sul modello della cristianità medievale. Entro questo progetto cui si muove il Vaticano intero. Segnali: nel dicembre 1916 negli auguri natalizi il card. Vannutelli ricorda che la pace potrà essere raggiunta solo se l’umanità saprà riconoscere che il papa è «l’autorità stabilita da Dio per tutelarla». In occasione del Natale 1919, nel Sacro Collegio, in risposta al card. Vannutelli che aveva ricordato che la guerra da poco cessata aveva avuto l’effetto di manifestare il ruolo importante del papa nel consorzio umano, Della Chiesa aderiva alle parole del Decano, sottolineando di aver ispirato in quegli anni tutta la sua attività all’affermazione di Cristo come «legislatore sovrano della civile convivenza».4 Naturalmente per il ristabilimento della pace e della concordia internazionale il Papa punta anche sul fattore religioso, che si sviluppa in molteplici direzioni, una delle quali è la promozione del culto del Sacro Cuore di Gesù, con una preghiera composta personalmente dal papa nel 1915. Gemelli si attiverà per la consacrazione dell’esercito al Sacro Cuore.5 2 Citato da D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento, Bologna, Il Mulino, 2008, p.17. Ivi, p.37. 4 Ivi, p.23. 5 Ivi, p.34. 3 7 - Anche la Nota Vaticana del 1 agosto 1917, la famosa Lettera ai Capi dei popoli belligeranti, in cui troviamo la famosa frase, che il conflitto «ogni giorno più apparisce inutile strage», va considerato come un tassello del disegno papale di contribuire a ricostruire una nuova società cristiana. Come osserva Menozzi, è anche il tentativo di proporre il ruolo del papato come suprema autorità morale del mondo, dopo che l’intervento degli USA con il Presidente Wilson e i suoi 14 punti aveva assunto il ruolo di riferimento per il futuro assetto del mondo. C’era anche stato l’intervento dell’arcivescovo luterano di Uppsala per la Pentecoste del 1917, il quale si era dichiarato disposto a fare da intermediario tra le parti. Pertanto legittimamente Benedetto XV si propone come mediatore, data la sua autorità morale, con un documento che ricordava i precedenti appelli alla pace, la «perfetta imparzialità» verso tutti i belligeranti e gli sforzi compiuti per arrivare ad una pace giusta e duratura, in sintonia con la propria missione pacificatrice. Ma il papa indica anche «proposte più concrete», per invitare i governanti ad accordarsi su punti che gli sembrano i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando poi ai governi di completarli e approfondirli. Tali proposte concrete prevedono: la forza morale del diritto, che subentri alla forza materiale delle armi; un percorso verso il disarmo con un accordo verso la diminuzione degli armamenti; l’accettazione dell’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice. Una volta dato risalto all’impero del diritto, il papa propone di togliere ogni ostacolo alle vie di comunicazione, alla libertà e comunanza dei mari; poi raccomanda che ci sia «intera e reciproca condonazione» rispetto ai danni e alle spese di guerra; come pure raccomanda la «reciproca restituzione dei territori occupati» (il caso del Belgio e Alsazia e Lorena; poi le questioni territoriali fra Italia e Austria; come pure l’assetto dell’Armenia, dei paesi balcanici, della Polonia). È un documento di carattere politico, di cui subito apparve l’importanza. Confrontandolo con l’esito dei successivi trattati di pace, ci si accorge subito quanto ci si allontanò dalle proposte sagge avanzate dal Papa. Quando esce la nota vaticana sull’inutile strage, ampio era il malessere delle truppe e della popolazione italiana. Ci furono rivolte nel Torinese, quasi che il dire «inutile strage» sembrasse incoraggiare l’abbandono delle armi. Quando poi si ebbe la disfatta di Caporetto nell’ottobre 1917, sul Papa cadde l’accusa di disfattismo e negli ambienti dello Stato maggiore di Cadorna ci fu chi se la prese con il Papa (bisognava impiccarlo!). C) Come si muove la Chiesa dopo il 1918 - C’è una certa diffidenza, nei primi anni, nei confronti della Società delle Nazioni (avente sede a Ginevra), perché – secondo come rilevava papa Pio XI – non c’era un istituto umano che potesse dare alle nazioni un codice internazionale 8 rispondenti alle condizioni moderne, quale ebbe nel Medioevo, quella vera società delle nazioni che fu la cristianità medievale.6 Ma dopo diversi settori del mondo cattolico, riflettendo sulla realtà possibile, manifestarono favore verso la Società delle Nazioni, anche pensando che il papa avrebbe mantenuto quel ruolo supremo di arbitro internazionale. Fu importante la posizione assunta da Ernesto Vercesi, Luigi Sturzo, soprattutto dal gesuita francese Yves de La Brière. Per cui si va verso un sostegno del vaticano alla Società delle nazioni. - Le micidiali armi distruttive comparse nella Grande Guerra cominciano a scavare nel mondo cattolico circa l’ammissibilità morale dell’obiezione di coscienza al servizio militare, anche perché si va diffondendo l’idea che anche questa strada debba essere percorsa per impedire il ripetersi degli orrori della grande Guerra. Sturzo: la propaganda contro la coscrizione obbligatoria è propria dello spirito del pensiero cattolico, perché ogni nuova guerra è una guerra ingiusta.7 Era una questione molto delicata. Anche Pacelli, allora nunzio in Germania, nel 1929 intervenne, distinguendo la volontà pacificatrice della Chiesa dal falso pacifismo e sottolineando che la Chiesa intendeva rispettare il diritto naturale, secondo cui l’intervento militare non comprendeva solo la legittima difesa, ma anche la volontà di ristabilire con le armi la giustizia violata.8 Questa dell’obiezione di coscienza sarà una questione che per lungo tempo arrovellerà i cattolici e lo Stato italiano. Si pensi alle polemiche quando uscì nel 1963 il film Non uccidere! di Autant-Lara e poi come ne fu coinvolto don Lorenzo Milani, condannato dal Tribunale poco prima che morisse. Il caso dell’obiezione di coscienza torna sulle cronache italiane sul finire degli anni Quaranta con il primo obiettore, Pietro Pinna, collaboratore di Aldo Capitini, quando già in Parlamento era stata presentata la proposta di legge da Igino Giordani, cattolico, e da Umberto Colosso, laico. Don Mazzolari pubblica nel 1952 il volumetto Tu non uccidere, poi messo all’indice dal S. Uffizio. Solo con il Concilio nella Gaudium et Spes verrà sancito l’auspicio di una legalizzazione dell’obiezione di coscienza.9 - Ancora negli anni Trenta la minaccia comunista e bolscevica costituiva un poderoso campanello d’allarme rispetto a chi perseguiva il sogno del disarmo totale. Così la strada cercata di privilegiare la costruzione della pace rispetto alla moralizzazione dei conflitti (documento di Friburgo di otto teologi cattolici, 1932) non trovò il consenso necessario. - Negli anni Trenta alcuni eventi inducono a delineare per la Chiesa una posizione di giustificazione etico-religiosa della guerra.10 Benché nel discorso al 6 Ivi, p.48. Ivi, p. 84. 8 Ivi, p. 89. 9 Ivi, pp. 188-196 10 Cfr. ivi, p.131. 7 9 collegio cardinalizio del Natale 1934 papa Ratti sia in sintonia con coloro che hanno difficoltà a legittimare con la religione la guerra (ripete il Salmo 67, 31: «Dissipa gentes quae bella volunt»), poi quando ci fu l’impresa italiana in Etiopia nell’allocuzione orale alle infermiere cattoliche (agosto 1935) papa Ratti si espresse nel senso di una guerra ingiusta: ma il testo pubblicato, con la revisione di mons. Tardini, preoccupato delle reazioni del governo fascista, lasciò trapelare, anche se in modo contraddittorio e contorto, un significato contrario: che cioè l’aggressione italiana veniva giustificata: quindi legittimazione da parte vaticana alla guerra imperiale fascista.11 Nei confronti della guerra civile spagnola la posizione di Roma è più netta, sia pure dopo qualche incertezza. Ricevendo a Castel Gandolfo i profughi spagnoli nel settembre 1936, papa Ratti tra l’altro inviava la sua benedizione all’intero popolo spagnolo e indirizzava la sua speciale benedizione «a quanti si sono assunto il difficile e pericoloso compito di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della religione». Pur tra molte cautele e raccomandazioni appariva evidente che Pio XI sosteneva la guerra contro coloro che volevano dissolvere la civiltà cristiana.12 C’erano anche posizioni diverse. Padre Mariano Cordovani, nel Corso universitario di Teologia cattolica (1939), rilevava che la «guerra non è più la soluzione di un problema, ma la complicazione di tutti i problemi … che nell’attuale sistema …storicamente la guerra non è più uno strumento di giustizia … Bisogna avere il coraggio di rivedere la nostra pratica della guerra, perché le condizioni della teologia della guerra giusta non si verificano quasi mai…».13Per un certo periodo anche La Pira è pressoché sulle stesse posizioni; poi, quando si verifica l’invasione tedesca della Polonia e quella sovietica della Finlandia, egli sulla rivista «Principi» sostiene la necessità di muovere la guerra contro i pagani nazisti e gli atei comunisti.14 - Nella prossimità del secondo conflitto mondiale Pio XII riproponeva la linea adottata da tempo e diceva di rifarsi al magistero di Pio X, Benedetto XV e Pio XI: nell’imparzialità e neutralità della S. Sede, le ragioni del conflitto venivano individuate nell’allontanamento del mondo moderno dalla Chiesa e quindi la guerra era quel flagello inviato da Dio agli uomini, affinché tornassero sulla buona strada, subordinandosi alle direttive ecclesiastiche come unica via per ristabilire una autentica pace.15 Le stesse tesi sull’origine del conflitto si ritrovano nell’enciclica programmatica “Summi Pontificatus”; idem nel radiomessaggio natalizio del 1942. Per legittimare i cattolici alla guerra, nel settembre 1940 ai dirigenti di Azione Cattolica il papa ricorda la necessità della piena subordinazione degli iscritti alla gerarchia ecclesiastica e che questi sono tenuto alle leale obbedienza alle autorità civili e alle loro legittime prescrizioni: quindi sostenere anche la guerra in atto. 11 Ivi, pp.132-133. Ivi, pp.136-137. 13 Ivi, p.145. 14 Ivi, p.148. 15 Ivi, p.149. 12 10 Certo il Papa guardava con preoccupazione alla guerra, cercando ogni mezzo per evitarla. Si ricordano in proposito le parole di Pio XII, scritte da Montini: «Nulla è perduto con la pace. Tutto è perduto con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Ritornino gli uomini a trattare». - Periodo della Guerra Fredda e Armi atomiche. Marzo 1950. Viene lanciato l’Appello di Stoccolma: si chiede l’interdizione delle armi nucleari data la loro enorme capacità distruttiva. Tale appello è lanciato dal Consiglio mondiali dei partigiani della pace, un movimento che affianca i partiti comunisti. Una quarantina di personalità cattoliche francesi, tra cui p. Chenu, firma l’appello. Il problema turba i cattolici nella fase in cui lo scontro con i comunisti è alle stelle. Nel messaggio natalizio del 1951 papa Pacelli deplora «la mostruosa crudeltà delle armi moderne», facendo rilevare che il problema era costituito dall’«assenza dell’ordine cristiano, che è il vero garante della pace».16 Parlando nel settembre 1954 all’Associazione medica mondiale Pio XII arrivava a sottolineare: «Non si può per principio porre la questione della liceità della guerra atomica, chimica e batteriologica, se non nel caso in cui esse deve essere giudicata indispensabile per difendersi nelle condizioni indicate. Però anche allora si deve tentare con tutti i mezzi di evitarla, mediante intese internazionali, oppure ponendo alla sua utilizzazione limiti molto chiari e stretti affinché rimangano limitati alle esigenze rigorose della difesa».17 Con tali armi distruttive per il papa rimaneva moralmente lecita solo la guerra di difesa: questo veniva dichiarato dalla Chiesa nel 1954, quando, morto Stalin, ancora rimanevano incertezze e pericoli sul piano internazionale per le situazioni esplosive in estremo Oriente, nel medio Oriente, in Africa, nel sud America ed anche in Europa. - Con Papa Giovanni XXIII si andrà concretizzando una nuova impostazione della linea vaticana sulla pace e sulla guerra, o meglio un allargamento di prospettiva, cioè di coloro che vanno coinvolti nel problema della pace. Anche Roncalli affermava che «solo la religione può alimentare la pace, rafforzarla, consolidarla» e ammoniva a non violare i «sacri diritti» di Dio per garantire pacifiche relazioni internazionali, ma invitava tutti i responsabili politici ad avviare negoziati per il disarmo. Lo faceva senza precisare minutamente i criteri con cui giudicare la legittimità della pace e della guerra. Thomas Merton ha rilevato che così veniva «creata un’atmosfera di speranza e di fiducia nel negoziato» per il disarmo.18 Questa apertura sul tema viene apprezzata anche nella prima enciclica Ad Petri cathedram, nel messaggio natalizio del 1959 in cui il papa apprezza la distensione internazionale che si è andata realizzando: dalla coesistenza si possa passare ad una vera e propria convivenza internazionale. Da qui il Papa riesce a instaurare un buon 16 Ivi, p. 208. Ivi, p. 213. 18 Ivi, p.259. 17 11 rapporto con Chruscev e con Kennedy e si vede nella crisi di Cuba del 1962: sull’orlo della guerra nucleare, l’appello del papa alla pace – effettuato dopo aver ottenuto il gradimento di entrambe le parti – ottiene il fine che il papa si prefigge. L’altro capolavoro è l’enciclica Pacem in terris dell’aprile 1963. Mons. Pietro Pavan, che già aveva collaborato all’elaborazione della Mater et magistra, nel novembre 1962 sollecita mons. Capovilla affinché si arrivi ad una enciclica che sul tema della pace sia il completamento della prima. Quindi stesura, correzioni e l’enciclica viene firmata l’11 aprile. Viene indirizzata a «tutti gli uomini di buona volontà», richiedendo l’apporto di tutti coloro che, pur non essendo illuminati dalla fede, operavano per la pace sorretti dalla ragione e dall’onestà intellettuale. Distinguendo tra errore ed errante e tra ideologie e movimenti politici e sociali, sui temi trattati dall’enciclica si poteva realizzare un’intesa tra cattolici e non. Abbandonando l’atteggiamento pedante di dettare i criteri di moralizzazione della pace e stimolando invece al dialogo tra uomini schierati su posizioni contrapposte, si faceva assumere alla Chiesa questa posizione importantissima di costruzione della pace. - Poi il Concilio con la Gaudium et Spes, poi Montini con il discorso alle Nazioni Unite (ottobre 1965) («Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno»)19, e con l’enciclica Populorum progressio (marzo 1967) («lo sviluppo è il nuovo nome della pace») indicavano i percorsi più convincenti per la Chiesa in tema di pace e di guerra. - Poi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ed ora Francesco sono altrettante tappe di un percorso che tiene conto delle sensibilità reali de cristiani sul tema della pace, della non violenza, dell’amore. 19 Ivi, p.272. 12