RECENSIONI

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RECENSIONI
V
F e u r s t e i n , Irrwege der Pfìicht
1938 - 1945. München - Wels. Verlag
Welsermühl. s. d., .pp. 356.
a l e n t in
Con ritardo siamo riusciti a rintrac­
ciare questo volume di memorie di un
generale della Wehrmacht che ha com­
battuto in Italia negli anni 1943 - 45.
Uscito tra la fine del 1963 e l’inizio del
1964 (la « prefazione » delI’A . reca la
data del giugno 1963), il libro del Feur­
stein non contiene rivelazioni clamoro­
se, ma merita tuttavia di essere cono­
sciuto, essenzialmente per le conferme
che reca alle nostre conoscenze del di­
spositivo tedesco per l ’occupazione del­
l’ Italia e per le valutazioni e i giudizi
sul movimento partigiano, anche se es­
se ripetono con poche varianti valuta­
zioni già presenti in analoghi libri di
memorie di generali tedeschi.
Due parole anzitutto sull’A . : il Feur­
stein è uno dei tanti ufficiali superiori
incorporati nella Wehrmacht all’ atto delr Anschluss austriaco. Ufficiale dell’eser­
cito federale austriaco, egli aveva già
combattuto in Italia durante la prima
guerra mondiale, compiendo esperienze
che sarebbero state utilizzate dalla W ehrmacht dopo il 25 luglio 1943. Specia­
lista di truppe alpine, non dovette su­
bire dall’Anschluss choc particolari; po­
liticamente non sembra meno sprovve­
duto della maggior parte dei suoi pari
grado: i giudizi politici di cui è sparso
il libro oscillano tra l ’ ingenuità e la ba­
nalità, Je sue letture appaiono meno dot­
te di quelle di qualche altro generale
tedesco, il tono più provinciale. Si in­
tuisce come motivo costante, oltre alla
deplorazione degli eccessi di Hitler, Fantibolscevismo, l'astio per le potenze oc­
cidentali e per la « vendetta » di N o­
rimberga , cui non è certo estraneo il
fatto che l’A . stesso rimase dopo la fi­
ne delle ostilità nove mesi in stato di
internamento nelle mani degli inglesi
per una imputazione di crimini di guer­
ra (la fucilazione di due paracadutisti
inglesi catturati al Passo della Cisa) dal­
la quale venne alla fine prosciolto.
La misura delle capacità di giudizio
politico dell’A . può essere offerta da
quanto egli scrive a proposito del movi­
mento di resistenza austriaco nel Tirolo;
ad esso il Feurstein non riconosce alcun
merito nè alcun rilievo all’infuori di que­
sto testuale apprezzamento: « Ad esso
però bisogna rendere decisamente grazie
per il fatto che ha in gran parte im­
pedito, con la sua decisa azione, i sac­
cheggi temuti e gli atti di vendetta
minacciati ad opera dei lavoratori for­
zati russi liberati » (pp. 313-14). Come
si vede la deportazione forzata dei russi
non è riuscita a suggerirgli altra consi­
derazione che il sollievo per lo scam­
pato pericolo dalla possibile vendetta
delle vittime. Che è anche una manie­
ra molto comoda di voltare le carte in
tavola e di gettare la croce addosso sui
deportati piuttosto che di condannare i
deportatori.
Ma ciò premesso a noi interessa segna­
lare piuttosto l’ attività direttamente svol­
ta dal Feurstein in Italia. Dopo aver
partecipato alla campagna di Polonia il
gen. Feurstein fu mandato in N orve­
gia, dove rimase dal 1940 al giugno del
1943; all’esperienza dell’occupazione in
Norvegia sono dedicati appunto i capi­
toli V - X delle sue memorie, che con­
tengono anche diverse notizie e dettagli
sull’attività crescente dei partigiani nor­
vegesi (in particolare alle pp. 144, 146
e 163-64). Nella primavera del 1943 io
stesso Feurstein chiese di essere trasfe­
rito in Italia e il 2 giugno di quell’anno
fu chiamato a Innsbruck in attesa di
« incarichi speciali ». La missione spe­
ciale della quale egli fu incaricato era
appunto quella di porre le basi per
l’occupazione dell’Italia in previsione del
cedimento politico e militare del fa­
scismo.
In questo quadro, particolarmente
preziosi si rivelano i capp. XI e XII,
ma specialmente il primo, che concer­
ne il periodo tra il 25 .luglio e la fine
di agosto del 1943, anche perchè ri­
producono praticamente giorno per gior­
no gli spostamenti delle unità tedesche.
Le direttrici dell’ azione tedesca, ed an­
che i tempi del suo svolgimento, rife­
rite dal Feurstein confermano e comple­
tano nella sostanza quanto è già noto
attraverso il diario di guerra (inedito)
del gen. Witthòft, da noi utilizzato nel
nostro studio su L ’amministrazione te­
desca dell’Italia occupata, pp. 60-64. Ai
dettagli forniti dal Witthòft altri ne ag­
giunge ora il Feurstein è non solo per
quanto riguarda specificatamente il cam­
mino compiuto dalle unità alle sue di­
pendenze. Apprendiamo ad esempio — e
sarebbe un punto che varrebbe la pena
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Recensioni
di approfondire — che il capo di S. M.
dell’esercito Haider « già ne] 1941 ave­
va elaborato uno studio operativo per
l’occupazione dell’Italia, preoccupato che
il partner {dell’Asse) potesse pendere
dalla parte degli alleati » (p. 170). Ma
purtroppo nessuna traccia si trova di
ciò nel KriegS'tagebuch di Haider, che
pure è una delle testimonianze di par­
te tedesca più astiose nei confronti del­
l’Italia.
Resta comunque confermato che pri­
ma ancora del 25 luglio l’O KW stava
predisponendo il piano di intervento in
Italia; il 27 luglio il Feurstein riceveva
l ’ordine di tenersi pronto ad occupare
di sorpresa il passo del Brennero nella
notte del 28-29 luglio* Rommel assegnò
al -suo gruppo il compito di rafforzare
« le unità di sicurezza italiane al Bren­
nero, che hanno il mandato di tenere
in ogni caso le fortificazioni del Bren­
nero ». L ’occupazione del passo fu rin­
viata di poche ore e ad essa non furo­
no estranee certo le pressioni — anch’esse già note — del Gauleiter del
Titolo Hofer (pp. 171-72). N egli avve­
nimenti dei giorni successivi si rispec­
chia la gara tra i due alleati per predi­
sporsi su posizioni di difesa l’uno nei
confronti dell'altro. Ma soprattutto i co­
mandi tedeschi non perdono tempo:
il 30 luglio Rommel ordina il passaggio
attraverso il Brennero di reparti tede­
schi ufficialmente diretti alla volta della
Sicilia (ma in realtà con l’obiettivo di
impossessarsi delle 'posizioni strategiche
dell’Alto Adige e soprattutto di stabi­
lire il controllo sulla linea del Bren­
nero) (p. 172) e, ad onta delle proteste
di parte italiana, ordina di proseguire
i movimenti ed eventualmente di inter­
venire al minimo accenno di resistenza
degli italiani, procedendo al caso al lo­
ro disarmo (e questo il 2 agosto, p. 175).
Così, con il pretesto di offrire la di­
fesa in comune della strada del Bren­
nero le forze tedesche penetravano nel
dispositivo italiano: alla data del 5 ago­
sto è previsto che la 44a divisione del
gen. Bayer assicuri il controllo del ter­
ritorio sino a Rovereto (p. 175): la
V/ehrmacht è quindi in piena marcia
verso la pianura padana. Neppure i col­
loqui Keitel-Ambrosio del 6 agosto mo­
dificano sostanzialmente la situazione: il
capo di S. M. italiano protesta, ma i
tedeschi insistono e impongono la loro
formula della difesa in comune dei pas­
si alpini (p. 177). Le posizioni si rove­
sciano al punto che quando il Coman­
do supremo italiano tenta di inviare in
Alto Adige 2 divisioni di alpini, il co­
mando tedesco può permettersi di di­
chiarare inammissibile che mentre le
truppe tedesche scendono in Italia « per
combattere contro il comune nemico »,
le truppe italiane vengano spostate «ver­
so il confine tedesco ». E sono ora i te­
deschi a ordinare il ritiro delle forze
italiane (p. 178). N on ancora contenti,
i tedeschi chiedono di conoscere l’ubi­
cazione delle fortificazioni italiane, men­
tre le resistenze italiane paiono irrigi­
dirsi (p. 179). Alla data del 14 agosto
il Feurstein registra già l’eventualità del
trasporto in Germania « degli alleati di­
sarmati » (p. 180). Il 16 agosto la ma­
novra tedesca acquista più largo respi­
ro: il gruppo Feurstein riceve l’ordine
di spostarsi nella zona di La Spezia :
« Il mio compito era di garantire con­
tro gli alleati il porto militare di Spe­
zia » (p. 181). Ma a Spezia, in un pri­
mo momento, italiani e tedeschi gioca­
no a « cane e gatto » : il gen. Rossi non
cede alle richieste tedesche (pp. 187-88).
Ciononostante il 7 settembre Rommel
ordina che il gruppo occupi la costa :
la sera dell’8 settembre esso è in grado
di iniziare il disarmo degli italiani (« fi­
nalmente », registra il F ., p. 191).
Nei capitoli XIII- XVIII il Feurstein
narra la sua esperienza di comandante
del LI corpo da montagna in Italia, se­
guendo tutti gli spostamenti richiesti dal­
le vicende belliche, dal fronte ligure a
quello adriatico, infine sul fronte appen­
ninico, dove rimase sino all’inizio del
marzo 1945, allorché fu richiamato in
Tirolo, quale ispettore del Volksturm.
Proprio la durezza della lotta combat­
tuta lungo la penisola dalla linea Gustav
alla linea Gotica induce il F. a rivalu­
tare il suggerimento di Rommel, il qua­
le dopo l’ armistizio italiano avrebbe vo­
luto rinunciare a difendere l ’Italia pal­
mo a palmo attestandosi subito a dife­
sa della pianura padana, contrariamente
alla concezione di Kesselring che finì
per imporsi con l’ appoggio risolutivo di
H itler: « Il fatto che tutto lo spirito di
sacrificio, che tutti gli sforzi addirittu­
ra sovrumani fossero condannati al fal­
limento — scrive il F . (p. 238) •— mi
fa riproporre continuamente la questio­
ne se nell’autunno del 1943 non sarebbe
stato più indicato rinunciare all’Italia e
alla sua lunga costa, esposta alla minac­
cia, e offrire una resistenza tecnicamente
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ben preparata sull’Appennino ». Consi­
derazione che si accompagna alla critica
dell’ordine di Hitler di « difendere tut­
to » senza cedere mai terreno, criterio
che per l’ Italia fu tradotto in un ordine
di questo tipo : « Resistere ad ogni co­
sto, come impone l’importanza politica
ed economica del settore italiano ! »
(P- 265).
Dal punto di vista militare il libro
contiene quindi una ennesima testimo­
nianza dell’ asperità della lotta sul fron­
te italiano, quale già conoscevamo at­
traverso le memorie del gen. von Senger
und Etterlin (si veda quanto scrivevamo
su di esse nel n. 64 del luglio-settem­
bre 1961 di questa rivista). In più il
Feurstein sottolinea i fenomeni di stan­
chezza che con crescente intensità si an­
davano manifestando anche tra le file
dei soldati della RSI e dei Volksdeutsche
inquadrati nella W ehrmacht: si v . in
proposito le cifre delle diserzioni che
egli fornisce per il periodo fine otto­
bre 1944 - fine gennaio 1945 e la con­
statazione che il 25 per cento degli ita­
liani che andavano in licenza non tor­
navano ai loro reparti (p. 283). Una
constatazione che non fa che confer­
mare il giudizio negativo che il F . espri­
me ripetutamente sul risorto fascismo
repubblicano, « vuoto involucro di una
dottrina consunta», come scrive (p. 202),
riecheggiando un giudizio abbastanza
uniformemente diffuso allora tra le auto­
rità tedesche e dal quale traspare an­
che la conclusione che in definitiva la
liberazione di Mussolini rappresentò per
i tedeschi più fastidi che vantaggi.
T ra questi fastidi dovette essere anche
la costituzione deH’armata Graziani, av­
venuta, come scrive il F. » per rispon­
dere presumibilmente ad una esigenza
politica » (p. 254). Quanto allo stesso
Graziani (ma possibile che il F. non
riesca a scrivere correttamente neppure
il suo nome!) il giudizio del F. non si
distingue per particolare perspicuità, an­
zi è di desolante banalità: « La sua
possente figura corrispondeva al tratto
del suo nome nel nostro libro degli
ospiti » (p. 275)!
Per quanto riguarda la lotta partigiana, la testimonianza del Feurstein
sulla costante minaccia che essa rappre­
sentò per le forze tedesche si aggiun­
ge — e senza riserve — , a quelle pre­
cedenti di Kesselring e del von Senger
und Etterlin. Qui anzi si sottolinea con
particolare insistenza, e con una espres­
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sione che sembra tolta di peso dalla
propaganda nazista, il carattere osses­
sivo che la presenza dei partigiani fini
per avere per la W ehrmacht: « Una
volta che avessimo tagliato all’idra al­
cune teste, gliene rinascevano rapida­
mente di nuove » (p. 280). Il richiamo
all’azione dei partigiani è frequente, sin
dal primo incontro con le bande nel­
l’Anconitano (p. 205), aU’intensificarsi
della loro azione nell’ Italia centrale dopo
la liberazione di Roma (pp. 241-44); alla
narrazione di precisi episodi di lotta
partigiana e di repressione antipartigia­
na, tra cui il ferimento del gen. Ziegler
ad opera dei partigiani e due rastrella­
menti tedeschi nelle zone di Carrara e
dell’Abetone, nell’ autunno del 1944 (pp.
275-280). All'inizio del 1945 la situazio­
ne appariva estremamente grave, se il
F. può scrivere: «Lungo la via Emilia
in una notte furono abbattuti 80 pali
telegrafici. Ponti saltavano in aria a ri­
petizione e le autorità italiane di Mo­
dena e Spezia dichiararono apertamente
di non essere più padrone della - situa­
zione. Era chiaramente visibile una sol­
levazione del paese, alla quale non po­
tevano più essere contrapposte le forze
delle retrovie. Alla nostra richiesta, in­
vece di alcuni battaglioni di polizia sud­
tirolesi ci furono attribuite parti delle
« brigate nere », resti della milizia fa­
scista, tanto temute quanto odiate dalla
popolazione » (p. 284).
Ma per quanto riguarda il quadro
generale che i tedeschi si fecero del
movimento partigiano non si può certo
dire che il F. abbia fatto grandi sforzi
per andare al di là delle fantasticherie
e delle inesattezze che continuano a
trasmettersi dall’uno all’altro questi libri
di memorie o che sono raccolte da storie
della seconda guerra mondiale come quel­
la del gen. von Tippelskirch, uno degli
autori preferiti del Feurstein. Meraviglia
solo che a ventanni di distanza da que­
gli avvenimenti ben ipochi dei protago­
nisti della guerra sembrano preoccuparsi
di mettere un poco d ’ordine nei loro
approssimativi ricordi. Di conseguenza
ne vien fuori un panorama del genere:
« Nei mesi invernali la nostra attività
di combattimento si limitava ad azioni
territorialmente circoscritte e a compiti
di esplorazione. Da questo punto di v i­
sta i partigiani ci diedero molto da fare.
Per la truppa, avere il nemico alle
spalle è logorante, e lottare contro di
esso doveva diventare quasi il nostro
io6
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compito principale. Seppure nel com­
plesso le bande si astennero da consa­
pevoli atrocità, il tenere in scacco ’ la
peste nelle retrovie ' fu per noi causa
di notevoli sforzi.
Le bande furono organizzate e di­
rette da ufficiali alleati ed erano arti­
colate in più ampie unità, che porta­
vano nomi storici. C ’erano partigiani
cristiani, liberali e soprattutto comuni­
sti. Questi ultimi erano quelli sottopo­
sti a più rigida disciplina. Secondo Mark
Clark la generale propaganda in favore
della Russia sovietica ha non poco con­
tribuito a dare la sua forza e solidità
odierna al comuniSmo in Italia.
Ma di quando in quando incontra­
vamo anche qualcuno che era stufo di
quel mestiere. Così un giorno ci si pre­
sentò un tale, che non voleva più sa­
perne... » (p. 272).
Dopo di che è facile distinguere in
quale misura libri come questi ci of­
frano una testimonianza valida su come
la guerra partigiana fosse vista dall’ al­
tra parte della barricata e in quanta
parte riflettano la mentalità di uomini
troppo irretiti nelle « vie sbagliate del
dovere » per riuscire a rendersi vera­
mente ragione delle forze e delle con­
seguenze scatenate dal sistema nazista
del quale essi stessi furono, lo ricono­
scano o no, strumento e complici.
E nzo C o ll o t t i .
E y c k , Storia della Repubblica di
Weimar, ed. Einaudi, pp. X X I I -825,
L . 7500.
E r ic h
Quando, nel settembre 1945, appar­
ve in Italia Ja Storia della repubblica
tedesca (1934) di Arthur Rosenberg, era
ancora troppo vicina e bruciante l ’espe­
rienza della guerra e della dittatura fa­
scista perchè nel nostro Paese potesse
aprirsi un dibattito su quello che fin da
allora apparve come il quesito di fondo
della vicenda di Weimar : perchè fallì
« il tentativo del popolo tedesco di auto­
governarsi »? Ma era lecito aspettarsi
che negli anni successivi una tale di­
scussione si aprisse. N ell’ avvenüura te­
desca tra le due guerre, negli anni in­
tensi che vanno dalla fine della prima
guerra mondiale all’ avvento del nazio­
nalsocialismo e che segnano il punto
culminante d’una profonda crisi della
democrazia occidentale c’ è assai più che
la storia d ’un paese in un particolare
periodo. Vengono a galla problemi es­
senziali per gli storici dell’età contem­
poranea: sia per chi segua con parti­
colare attenzione gli aspetti costituzio­
nali e politici del primo dopoguerra sia
per chi cerchi di individuare i nessi tra
una certa struttura dell’economia e del­
la società e le forze politiche che si
contendono il potere.
Nella rapida sintesi di Rosenberg,
l ’ex comunista tedesco emigrato in In­
ghilterra e autore d ’una notevole Storia
del bolscevismo (1932), non c’era ovvia­
mente una risposta a tali quesiti. L ’ at­
tenzione dello storico si era rivolta in
modo particolare alla rivoluzione del
19 18, alla politica del partito comunista,
alle vicende della socialdemocrazia. Sul­
le giornate della rivolta, sui protagoni­
sti del tentativo dei Soviet, sul gover­
no dei commissari del popolo il libro di
Rosenberg ha pagine ancora valide e la
stessa tesi centrale del lavoro — che in­
siste sugli errori del comuniSmo tede­
sco, troppo rigido e intransigente verso
le altre formazioni del movimento ope­
raio, e sulla cattura dei socialdemocra­
tici da parte delle più scaltre forze della
borghesia — non è priva d’un certo
fondamento, anche se così come è stata
espressa dallo studioso marxista appare
oggi almeno unilaterale.
M a, scrivendo pochi mesi dopo la
conquista del potere da parte di Hitler,
senza poter utilizzare documenti d’ ar­
chivio e un vasto materiale informativo
e nell’assoluta carenza di lavori prepa­
ratori o di monografie su temi specifici,
Rosenberg, che alla lotta politica a W ei­
mar aveva preso parte attiva come mem­
bro del K PD e deputato al Reichstag,
doveva necessariamente limitarsi ad esa­
minare un aspetto della complessa sto­
ria di Weimar, proponendo per il resto
spunti e intuizioni agli storici futuri.
Il suo tentativo ebbe comunque il
merito di suscitare un attento dibattito
tra gli studiosi. Nel secondo dopoguer­
ra, in Germania e nel mondo anglo­
sassone, sono apparse numerosissime ri­
cerche che hanno analizzato gli aspetti
principali del problema a cui ci riferi­
vamo all’ inizio: la vita dei partiti po­
litici, i rapporti tra militari e autorità
politiche, la politica estera della Ger­
mania weimariana, l’economia tedesca
nel quindicennio 1918-33, le personalità
di Hindenburg, Stresemann, Ebert, la
vita degli ebrei, per citare soltanto al­
Recensioni
cuni dei temi indagati da studiosi come
K . D . Bracher, B. Buchta, Preller, von
Oertzen, Giusberg, l ’inglese Carstens e
molti altri.
In Italia soltanto alcuni mesi or so­
no, sull’onda dell’interesse suscitato da
recenti pubblicazioni sulla Germania na­
zista, è apparsa l ’opera di Eyck uscita
dieci anni fa nell’edizione originale, mai
più aggiornata per la scomparsa del­
l’autore nonostante la nuova documen­
tazione acquisita dalla storiografia at­
traverso le ricerche d ’archivio, ferma
in più punti a tesi e interpretazioni
superate o smentite dai risultati di inda­
gini monografiche sull’ uno o 1’ altro
aspetto del periodo esaminato.
Malgrado ogni riserva, la sintesi di
Eyck ha il merito di offrire ancora oggi
un panorama vasto, preciso, in larga
parte attendibile degli avvenimenti che
hanno caratterizzato la lotta politica nel­
la repubblica di Weimar e di restare
un punto di riferimento obbligato per
lo storico che, utilizzando le migliori
risultanze dei più recenti studi, vorrà
proporre una sintesi nuova del quindi­
cennio democratico in Germania.
Per comprendere l’ impostazione e i
limiti dell’ opera, occorre accennare alla
formazione e alla personalità dell’auto­
re : Erich Eyck esercitò fino al 1937 la
professione di magistrato in Germania
coltivando nello stesso tempo gli studi
storici. Costretto a rifugiarsi in Inghil­
terra, Eyck sentì il bisogno di rivivere,
attraverso la ricerca storica, le vicende
e la crisi della Germania moderna.
Nacquero così le biografie di Bismarck
(di cui Einaudi ha pubblicato una ridu­
zione) e di Guglielmo II e, dopo la ca­
duta del nazionalsocialismo, la storia
della repubblica di Weimar. Animato
da fede liberale, a contatto per v e n ta n ­
ni con la grande tradizione britannica,
profondo conoscitore dei problemi costi­
tuzionali ed attento in modo partico­
lare alla storia diplomatica e parlamen­
tare, Eyck è nel suo racconto nello
stato d’animo di chi ha sperato che la
sconfitta tedesca del 19 18 segnasse l’i­
nizio d ’un periodo nuovo, in cui si rea­
lizzassero le aspettative diffuse fin dal­
l’Ottocento d ’una Germania « liberale »
caratterizzata da un sistema di governo
stabile, da un’ economia sana, da un
parlamento più efficiente e più potente
dei partiti.
Di qui nel suo libro il tentativo di
10 7
seguire ed analizzare con minuzia a vol­
te esasperante la vita politica al livello
parlamentare e di governo e i rapporti
tra la Germania e le potenze europee,
l’attenzione dedicata alle « disfunzioni
costituzionali » sempre più frequenti a
Weimar dopo il 1930 fino al governo
presidenziale di Hindenburg, l ’impor­
tanza — a nostro avviso, eccessiva —
attribuita agli effetti negativi della leg­
ge elettorale proporzionale sulla demo­
crazia tedesca: quasi che un simile me­
todo bastasse a fornire gli elementi ne­
cessari per un giudizio complessivo sul­
l’esperienza del ’ i 8-’33 e consentisse di
risalire dagli avvenimenti « esterni » alle
cause di fondo che provocarono il fal­
limento del quindicennio weimariano.
Da una tale impostazione deriva an­
che lo scarso interesse che l ’autore nu­
tre per altri aspetti, altrettanto e forse
più significativi di quelli citati, della de­
mocrazia tedesca. N ell’opera di Eyck
non c’è soltanto la critica al sistema dei
partiti che — a suo avviso — usurpano
le funzioni delle assemblee elettive e
guastano [’equilibrio garantito dal si­
stema parlamentare : l’ autore rinuncia a
un’analisi dei movimenti politici che per­
metta di rivelarne i connotati essen­
ziali, si attiene ai discorsi degli espo­
nenti ufficiali trascurando di esaminare
la struttura interna, la composizione so­
ciale, gli aspetti ideologici più caratte­
ristici d ’ogni movimento politico. A n­
che sul piano più strettamente costitu­
zionale, del resto, lo storico — in ciò
influenzato dalla sua esperienza di giu­
rista e da un certo persistente forma­
lismo — si ferma spesso alla superficie
nell’ esame delle istituzioni e si preclu­
de così una conoscenza dei rapporti di
potere che si stabiliscono di fatto — e
non sulla carta — tra l ’uno e l’ altro
organo costituzionale.
Ancora più grave appare l’incom­
prensione che Eyck non di rado dimo­
stra nei confronti del movimento ope­
raio tedesco. Non soltanto lo studioso
dedica scarso spazio e poco interesse ad
illustrare quali erano i moventi ideali
dell’opposizione di sinistra e si limita
ad un’esposizione diligente ma, tutto
sommato, superficiale e insoddisfacente
delle vicende che caratterizzano la sto­
ria della socialdemocrazia e del comu­
niSmo tedesco. Quel che è peggio, Eyck
esaurisce in poche righe, problemi o
avvenimenti che avrebbero meritato ben
altra considerazione.
o8
Recensioni
Valga per tutti l’esempio della rivo­
luzione di novembre e del fermento che
nei giorni successivi all’ armistizio si im­
padronì di Berlino e di altre grandi cit­
tà della Germ ania: per Eyck le masse
furono vittima di « demagoghi, idealisti
o coscienti agitatori che fossero » (p. 54).
Quanto all’assassinio di Karl Liebnecht
e di Rosa Luxemburg, ecco il com­
mento dello storico .liberale: « E ’ tra­
gico che la repressione della rivolta non
andasse esente da eccessi; ma ciò desta
appena meraviglia. L ’impressione mag­
giore sollevò l’ uccisione di K arl Lieb­
necht e di Rosa Luxemburg avvenuta il
16 gennaio. La grande maggioranza del­
la popolazione di Berlino la salutò come
la liberazione da un grande pericolo,
senza scervellarsi troppo a pensare se
tutto si era svolto proprio con i me­
todi più leciti. Gli amici degli uccisi
sbraitarono che essi erano stati uccisi
dalla soldataglia reazionaria. Oggi si può
ben dire che sia accertato che almeno
Rosa Luxemburg cadde vittima della giu­
stizia sommaria di una folla estremamente eccitata.
Non si scusa l’ assassinio ricordando
l’ antico detto che chi di spada ferisce
di spada deve morire, e si è assistito
a troppi fatti di sangue provocati pro­
prio dai compagni di fede di Liebnecht
e della Luxemburg per potere provare
una particolare indignazione per la loro
sorte. Ma anche in questo caso si ri­
petè la maledizione per cui un atto di
tale brutalità distrugge il timore del
crimine e il rispetto della vita umana
ed abitua gli animi a considerare l’a­
zione violenta e cruenta come strumen­
to dei contrasti politici interni » (p. 57).
Si trovano, nel brano riportato, al­
cune delle caratteristiche più significati­
ve dell’opera di E yck : l’incomprensione
della lotta condotta dalle masse operaie
e dell’azione di personalità come i capi
del movimento spartachista; il pensiero
fisso a una società in cui domini l’or­
dine e governi una borghesia liberale;
un certo moralismo che ricorda la men­
talità dell’antico magistrato.
A voler azzardare una conclusione,
potremmo dire che Eyck non affronta
nè tenta di risolvere i problemi cen­
trali che si pone oggi la storiografia su
Weimar, vale a dire quello dei rapporti
tra la Germania gugliejmina e l ’espe­
rienza democratica e delle cause del fal­
limento della repubblica, ma si limita
a mettere in luce e ad enumerare i
punti deboli e le carenze del sistema
repubblicano tedesco: dai «Corpi Fran­
chi » allo strapotere dell’esercito, dalla
connivenza del governo e dall’indulgen­
za delle autorità verso gli estremisti di
destra al ruolo dei grandi proprietari
terrieri e d’una parte degli industriali
nell’ascesa nazista.
Da quelle carenze, Eyck —• attento
soprattutto alla descrizione del « gioco
di vertice » — non risale a una linea
interpretativa unitaria che fornisca ima
risposta ai quesiti di fondo, non si chie­
de fino a che punto il crollo di Weimar
fu la caduta d’una democrazia avanzata
o fu invece il fallimento d ’un sistema
che non era riuscito a modificare a fon­
do Je strutture e i rapporti effettivi di
potere consolidatisi nella Germania del
Kaiser. Ed è questo, crediamo, il limite
più grave dell’opera.
Sarebbe, tuttavia, ingiusto non se­
gnalare che la sintesi di Eyck si di­
stacca nettamente da quella corrente sto­
riografica, purtroppo ancora operante in
Germania, che tende ad attribuire al
fato o all’atteggiamento franco - inglese
l’ avvento di Hitler ed a minimizzare la
gravità della crisi tedesca negli anni
trenta. Quando Eyck tratta temi a lui
congeniali — la costituzione di Weimar,
il trattato di Versailles e la politica este­
ra di Stresemann, per fare solo due
esempi —- è capace di scrivere pagine
magistrali in cui, accanto alla perizia del
ricercatore e alla sicurezza di giudizio
dello storico, vibra l’ impegno civile d ’un
sincero liberale.
N icola T r a n f a g l ia .
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