RECENSIONI V F e u r s t e i n , Irrwege der Pfìicht 1938 - 1945. München - Wels. Verlag Welsermühl. s. d., .pp. 356. a l e n t in Con ritardo siamo riusciti a rintrac­ ciare questo volume di memorie di un generale della Wehrmacht che ha com­ battuto in Italia negli anni 1943 - 45. Uscito tra la fine del 1963 e l’inizio del 1964 (la « prefazione » delI’A . reca la data del giugno 1963), il libro del Feur­ stein non contiene rivelazioni clamoro­ se, ma merita tuttavia di essere cono­ sciuto, essenzialmente per le conferme che reca alle nostre conoscenze del di­ spositivo tedesco per l ’occupazione del­ l’ Italia e per le valutazioni e i giudizi sul movimento partigiano, anche se es­ se ripetono con poche varianti valuta­ zioni già presenti in analoghi libri di memorie di generali tedeschi. Due parole anzitutto sull’A . : il Feur­ stein è uno dei tanti ufficiali superiori incorporati nella Wehrmacht all’ atto delr Anschluss austriaco. Ufficiale dell’eser­ cito federale austriaco, egli aveva già combattuto in Italia durante la prima guerra mondiale, compiendo esperienze che sarebbero state utilizzate dalla W ehrmacht dopo il 25 luglio 1943. Specia­ lista di truppe alpine, non dovette su­ bire dall’Anschluss choc particolari; po­ liticamente non sembra meno sprovve­ duto della maggior parte dei suoi pari grado: i giudizi politici di cui è sparso il libro oscillano tra l ’ ingenuità e la ba­ nalità, Je sue letture appaiono meno dot­ te di quelle di qualche altro generale tedesco, il tono più provinciale. Si in­ tuisce come motivo costante, oltre alla deplorazione degli eccessi di Hitler, Fantibolscevismo, l'astio per le potenze oc­ cidentali e per la « vendetta » di N o­ rimberga , cui non è certo estraneo il fatto che l’A . stesso rimase dopo la fi­ ne delle ostilità nove mesi in stato di internamento nelle mani degli inglesi per una imputazione di crimini di guer­ ra (la fucilazione di due paracadutisti inglesi catturati al Passo della Cisa) dal­ la quale venne alla fine prosciolto. La misura delle capacità di giudizio politico dell’A . può essere offerta da quanto egli scrive a proposito del movi­ mento di resistenza austriaco nel Tirolo; ad esso il Feurstein non riconosce alcun merito nè alcun rilievo all’infuori di que­ sto testuale apprezzamento: « Ad esso però bisogna rendere decisamente grazie per il fatto che ha in gran parte im­ pedito, con la sua decisa azione, i sac­ cheggi temuti e gli atti di vendetta minacciati ad opera dei lavoratori for­ zati russi liberati » (pp. 313-14). Come si vede la deportazione forzata dei russi non è riuscita a suggerirgli altra consi­ derazione che il sollievo per lo scam­ pato pericolo dalla possibile vendetta delle vittime. Che è anche una manie­ ra molto comoda di voltare le carte in tavola e di gettare la croce addosso sui deportati piuttosto che di condannare i deportatori. Ma ciò premesso a noi interessa segna­ lare piuttosto l’ attività direttamente svol­ ta dal Feurstein in Italia. Dopo aver partecipato alla campagna di Polonia il gen. Feurstein fu mandato in N orve­ gia, dove rimase dal 1940 al giugno del 1943; all’esperienza dell’occupazione in Norvegia sono dedicati appunto i capi­ toli V - X delle sue memorie, che con­ tengono anche diverse notizie e dettagli sull’attività crescente dei partigiani nor­ vegesi (in particolare alle pp. 144, 146 e 163-64). Nella primavera del 1943 io stesso Feurstein chiese di essere trasfe­ rito in Italia e il 2 giugno di quell’anno fu chiamato a Innsbruck in attesa di « incarichi speciali ». La missione spe­ ciale della quale egli fu incaricato era appunto quella di porre le basi per l’occupazione dell’Italia in previsione del cedimento politico e militare del fa­ scismo. In questo quadro, particolarmente preziosi si rivelano i capp. XI e XII, ma specialmente il primo, che concer­ ne il periodo tra il 25 .luglio e la fine di agosto del 1943, anche perchè ri­ producono praticamente giorno per gior­ no gli spostamenti delle unità tedesche. Le direttrici dell’ azione tedesca, ed an­ che i tempi del suo svolgimento, rife­ rite dal Feurstein confermano e comple­ tano nella sostanza quanto è già noto attraverso il diario di guerra (inedito) del gen. Witthòft, da noi utilizzato nel nostro studio su L ’amministrazione te­ desca dell’Italia occupata, pp. 60-64. Ai dettagli forniti dal Witthòft altri ne ag­ giunge ora il Feurstein è non solo per quanto riguarda specificatamente il cam­ mino compiuto dalle unità alle sue di­ pendenze. Apprendiamo ad esempio — e sarebbe un punto che varrebbe la pena 104 Recensioni di approfondire — che il capo di S. M. dell’esercito Haider « già ne] 1941 ave­ va elaborato uno studio operativo per l’occupazione dell’Italia, preoccupato che il partner {dell’Asse) potesse pendere dalla parte degli alleati » (p. 170). Ma purtroppo nessuna traccia si trova di ciò nel KriegS'tagebuch di Haider, che pure è una delle testimonianze di par­ te tedesca più astiose nei confronti del­ l’Italia. Resta comunque confermato che pri­ ma ancora del 25 luglio l’O KW stava predisponendo il piano di intervento in Italia; il 27 luglio il Feurstein riceveva l ’ordine di tenersi pronto ad occupare di sorpresa il passo del Brennero nella notte del 28-29 luglio* Rommel assegnò al -suo gruppo il compito di rafforzare « le unità di sicurezza italiane al Bren­ nero, che hanno il mandato di tenere in ogni caso le fortificazioni del Bren­ nero ». L ’occupazione del passo fu rin­ viata di poche ore e ad essa non furo­ no estranee certo le pressioni — anch’esse già note — del Gauleiter del Titolo Hofer (pp. 171-72). N egli avve­ nimenti dei giorni successivi si rispec­ chia la gara tra i due alleati per predi­ sporsi su posizioni di difesa l’uno nei confronti dell'altro. Ma soprattutto i co­ mandi tedeschi non perdono tempo: il 30 luglio Rommel ordina il passaggio attraverso il Brennero di reparti tede­ schi ufficialmente diretti alla volta della Sicilia (ma in realtà con l’obiettivo di impossessarsi delle 'posizioni strategiche dell’Alto Adige e soprattutto di stabi­ lire il controllo sulla linea del Bren­ nero) (p. 172) e, ad onta delle proteste di parte italiana, ordina di proseguire i movimenti ed eventualmente di inter­ venire al minimo accenno di resistenza degli italiani, procedendo al caso al lo­ ro disarmo (e questo il 2 agosto, p. 175). Così, con il pretesto di offrire la di­ fesa in comune della strada del Bren­ nero le forze tedesche penetravano nel dispositivo italiano: alla data del 5 ago­ sto è previsto che la 44a divisione del gen. Bayer assicuri il controllo del ter­ ritorio sino a Rovereto (p. 175): la V/ehrmacht è quindi in piena marcia verso la pianura padana. Neppure i col­ loqui Keitel-Ambrosio del 6 agosto mo­ dificano sostanzialmente la situazione: il capo di S. M. italiano protesta, ma i tedeschi insistono e impongono la loro formula della difesa in comune dei pas­ si alpini (p. 177). Le posizioni si rove­ sciano al punto che quando il Coman­ do supremo italiano tenta di inviare in Alto Adige 2 divisioni di alpini, il co­ mando tedesco può permettersi di di­ chiarare inammissibile che mentre le truppe tedesche scendono in Italia « per combattere contro il comune nemico », le truppe italiane vengano spostate «ver­ so il confine tedesco ». E sono ora i te­ deschi a ordinare il ritiro delle forze italiane (p. 178). N on ancora contenti, i tedeschi chiedono di conoscere l’ubi­ cazione delle fortificazioni italiane, men­ tre le resistenze italiane paiono irrigi­ dirsi (p. 179). Alla data del 14 agosto il Feurstein registra già l’eventualità del trasporto in Germania « degli alleati di­ sarmati » (p. 180). Il 16 agosto la ma­ novra tedesca acquista più largo respi­ ro: il gruppo Feurstein riceve l’ordine di spostarsi nella zona di La Spezia : « Il mio compito era di garantire con­ tro gli alleati il porto militare di Spe­ zia » (p. 181). Ma a Spezia, in un pri­ mo momento, italiani e tedeschi gioca­ no a « cane e gatto » : il gen. Rossi non cede alle richieste tedesche (pp. 187-88). Ciononostante il 7 settembre Rommel ordina che il gruppo occupi la costa : la sera dell’8 settembre esso è in grado di iniziare il disarmo degli italiani (« fi­ nalmente », registra il F ., p. 191). Nei capitoli XIII- XVIII il Feurstein narra la sua esperienza di comandante del LI corpo da montagna in Italia, se­ guendo tutti gli spostamenti richiesti dal­ le vicende belliche, dal fronte ligure a quello adriatico, infine sul fronte appen­ ninico, dove rimase sino all’inizio del marzo 1945, allorché fu richiamato in Tirolo, quale ispettore del Volksturm. Proprio la durezza della lotta combat­ tuta lungo la penisola dalla linea Gustav alla linea Gotica induce il F. a rivalu­ tare il suggerimento di Rommel, il qua­ le dopo l’ armistizio italiano avrebbe vo­ luto rinunciare a difendere l ’Italia pal­ mo a palmo attestandosi subito a dife­ sa della pianura padana, contrariamente alla concezione di Kesselring che finì per imporsi con l’ appoggio risolutivo di H itler: « Il fatto che tutto lo spirito di sacrificio, che tutti gli sforzi addirittu­ ra sovrumani fossero condannati al fal­ limento — scrive il F . (p. 238) •— mi fa riproporre continuamente la questio­ ne se nell’autunno del 1943 non sarebbe stato più indicato rinunciare all’Italia e alla sua lunga costa, esposta alla minac­ cia, e offrire una resistenza tecnicamente Recensioni ben preparata sull’Appennino ». Consi­ derazione che si accompagna alla critica dell’ordine di Hitler di « difendere tut­ to » senza cedere mai terreno, criterio che per l’ Italia fu tradotto in un ordine di questo tipo : « Resistere ad ogni co­ sto, come impone l’importanza politica ed economica del settore italiano ! » (P- 265). Dal punto di vista militare il libro contiene quindi una ennesima testimo­ nianza dell’ asperità della lotta sul fron­ te italiano, quale già conoscevamo at­ traverso le memorie del gen. von Senger und Etterlin (si veda quanto scrivevamo su di esse nel n. 64 del luglio-settem­ bre 1961 di questa rivista). In più il Feurstein sottolinea i fenomeni di stan­ chezza che con crescente intensità si an­ davano manifestando anche tra le file dei soldati della RSI e dei Volksdeutsche inquadrati nella W ehrmacht: si v . in proposito le cifre delle diserzioni che egli fornisce per il periodo fine otto­ bre 1944 - fine gennaio 1945 e la con­ statazione che il 25 per cento degli ita­ liani che andavano in licenza non tor­ navano ai loro reparti (p. 283). Una constatazione che non fa che confer­ mare il giudizio negativo che il F . espri­ me ripetutamente sul risorto fascismo repubblicano, « vuoto involucro di una dottrina consunta», come scrive (p. 202), riecheggiando un giudizio abbastanza uniformemente diffuso allora tra le auto­ rità tedesche e dal quale traspare an­ che la conclusione che in definitiva la liberazione di Mussolini rappresentò per i tedeschi più fastidi che vantaggi. T ra questi fastidi dovette essere anche la costituzione deH’armata Graziani, av­ venuta, come scrive il F. » per rispon­ dere presumibilmente ad una esigenza politica » (p. 254). Quanto allo stesso Graziani (ma possibile che il F. non riesca a scrivere correttamente neppure il suo nome!) il giudizio del F. non si distingue per particolare perspicuità, an­ zi è di desolante banalità: « La sua possente figura corrispondeva al tratto del suo nome nel nostro libro degli ospiti » (p. 275)! Per quanto riguarda la lotta partigiana, la testimonianza del Feurstein sulla costante minaccia che essa rappre­ sentò per le forze tedesche si aggiun­ ge — e senza riserve — , a quelle pre­ cedenti di Kesselring e del von Senger und Etterlin. Qui anzi si sottolinea con particolare insistenza, e con una espres­ 10 5 sione che sembra tolta di peso dalla propaganda nazista, il carattere osses­ sivo che la presenza dei partigiani fini per avere per la W ehrmacht: « Una volta che avessimo tagliato all’idra al­ cune teste, gliene rinascevano rapida­ mente di nuove » (p. 280). Il richiamo all’azione dei partigiani è frequente, sin dal primo incontro con le bande nel­ l’Anconitano (p. 205), aU’intensificarsi della loro azione nell’ Italia centrale dopo la liberazione di Roma (pp. 241-44); alla narrazione di precisi episodi di lotta partigiana e di repressione antipartigia­ na, tra cui il ferimento del gen. Ziegler ad opera dei partigiani e due rastrella­ menti tedeschi nelle zone di Carrara e dell’Abetone, nell’ autunno del 1944 (pp. 275-280). All'inizio del 1945 la situazio­ ne appariva estremamente grave, se il F. può scrivere: «Lungo la via Emilia in una notte furono abbattuti 80 pali telegrafici. Ponti saltavano in aria a ri­ petizione e le autorità italiane di Mo­ dena e Spezia dichiararono apertamente di non essere più padrone della - situa­ zione. Era chiaramente visibile una sol­ levazione del paese, alla quale non po­ tevano più essere contrapposte le forze delle retrovie. Alla nostra richiesta, in­ vece di alcuni battaglioni di polizia sud­ tirolesi ci furono attribuite parti delle « brigate nere », resti della milizia fa­ scista, tanto temute quanto odiate dalla popolazione » (p. 284). Ma per quanto riguarda il quadro generale che i tedeschi si fecero del movimento partigiano non si può certo dire che il F. abbia fatto grandi sforzi per andare al di là delle fantasticherie e delle inesattezze che continuano a trasmettersi dall’uno all’altro questi libri di memorie o che sono raccolte da storie della seconda guerra mondiale come quel­ la del gen. von Tippelskirch, uno degli autori preferiti del Feurstein. Meraviglia solo che a ventanni di distanza da que­ gli avvenimenti ben ipochi dei protago­ nisti della guerra sembrano preoccuparsi di mettere un poco d ’ordine nei loro approssimativi ricordi. Di conseguenza ne vien fuori un panorama del genere: « Nei mesi invernali la nostra attività di combattimento si limitava ad azioni territorialmente circoscritte e a compiti di esplorazione. Da questo punto di v i­ sta i partigiani ci diedero molto da fare. Per la truppa, avere il nemico alle spalle è logorante, e lottare contro di esso doveva diventare quasi il nostro io6 Recensioni compito principale. Seppure nel com­ plesso le bande si astennero da consa­ pevoli atrocità, il tenere in scacco ’ la peste nelle retrovie ' fu per noi causa di notevoli sforzi. Le bande furono organizzate e di­ rette da ufficiali alleati ed erano arti­ colate in più ampie unità, che porta­ vano nomi storici. C ’erano partigiani cristiani, liberali e soprattutto comuni­ sti. Questi ultimi erano quelli sottopo­ sti a più rigida disciplina. Secondo Mark Clark la generale propaganda in favore della Russia sovietica ha non poco con­ tribuito a dare la sua forza e solidità odierna al comuniSmo in Italia. Ma di quando in quando incontra­ vamo anche qualcuno che era stufo di quel mestiere. Così un giorno ci si pre­ sentò un tale, che non voleva più sa­ perne... » (p. 272). Dopo di che è facile distinguere in quale misura libri come questi ci of­ frano una testimonianza valida su come la guerra partigiana fosse vista dall’ al­ tra parte della barricata e in quanta parte riflettano la mentalità di uomini troppo irretiti nelle « vie sbagliate del dovere » per riuscire a rendersi vera­ mente ragione delle forze e delle con­ seguenze scatenate dal sistema nazista del quale essi stessi furono, lo ricono­ scano o no, strumento e complici. E nzo C o ll o t t i . E y c k , Storia della Repubblica di Weimar, ed. Einaudi, pp. X X I I -825, L . 7500. E r ic h Quando, nel settembre 1945, appar­ ve in Italia Ja Storia della repubblica tedesca (1934) di Arthur Rosenberg, era ancora troppo vicina e bruciante l ’espe­ rienza della guerra e della dittatura fa­ scista perchè nel nostro Paese potesse aprirsi un dibattito su quello che fin da allora apparve come il quesito di fondo della vicenda di Weimar : perchè fallì « il tentativo del popolo tedesco di auto­ governarsi »? Ma era lecito aspettarsi che negli anni successivi una tale di­ scussione si aprisse. N ell’ avvenüura te­ desca tra le due guerre, negli anni in­ tensi che vanno dalla fine della prima guerra mondiale all’ avvento del nazio­ nalsocialismo e che segnano il punto culminante d’una profonda crisi della democrazia occidentale c’ è assai più che la storia d ’un paese in un particolare periodo. Vengono a galla problemi es­ senziali per gli storici dell’età contem­ poranea: sia per chi segua con parti­ colare attenzione gli aspetti costituzio­ nali e politici del primo dopoguerra sia per chi cerchi di individuare i nessi tra una certa struttura dell’economia e del­ la società e le forze politiche che si contendono il potere. Nella rapida sintesi di Rosenberg, l ’ex comunista tedesco emigrato in In­ ghilterra e autore d ’una notevole Storia del bolscevismo (1932), non c’era ovvia­ mente una risposta a tali quesiti. L ’ at­ tenzione dello storico si era rivolta in modo particolare alla rivoluzione del 19 18, alla politica del partito comunista, alle vicende della socialdemocrazia. Sul­ le giornate della rivolta, sui protagoni­ sti del tentativo dei Soviet, sul gover­ no dei commissari del popolo il libro di Rosenberg ha pagine ancora valide e la stessa tesi centrale del lavoro — che in­ siste sugli errori del comuniSmo tede­ sco, troppo rigido e intransigente verso le altre formazioni del movimento ope­ raio, e sulla cattura dei socialdemocra­ tici da parte delle più scaltre forze della borghesia — non è priva d’un certo fondamento, anche se così come è stata espressa dallo studioso marxista appare oggi almeno unilaterale. M a, scrivendo pochi mesi dopo la conquista del potere da parte di Hitler, senza poter utilizzare documenti d’ ar­ chivio e un vasto materiale informativo e nell’assoluta carenza di lavori prepa­ ratori o di monografie su temi specifici, Rosenberg, che alla lotta politica a W ei­ mar aveva preso parte attiva come mem­ bro del K PD e deputato al Reichstag, doveva necessariamente limitarsi ad esa­ minare un aspetto della complessa sto­ ria di Weimar, proponendo per il resto spunti e intuizioni agli storici futuri. Il suo tentativo ebbe comunque il merito di suscitare un attento dibattito tra gli studiosi. Nel secondo dopoguer­ ra, in Germania e nel mondo anglo­ sassone, sono apparse numerosissime ri­ cerche che hanno analizzato gli aspetti principali del problema a cui ci riferi­ vamo all’ inizio: la vita dei partiti po­ litici, i rapporti tra militari e autorità politiche, la politica estera della Ger­ mania weimariana, l’economia tedesca nel quindicennio 1918-33, le personalità di Hindenburg, Stresemann, Ebert, la vita degli ebrei, per citare soltanto al­ Recensioni cuni dei temi indagati da studiosi come K . D . Bracher, B. Buchta, Preller, von Oertzen, Giusberg, l ’inglese Carstens e molti altri. In Italia soltanto alcuni mesi or so­ no, sull’onda dell’interesse suscitato da recenti pubblicazioni sulla Germania na­ zista, è apparsa l ’opera di Eyck uscita dieci anni fa nell’edizione originale, mai più aggiornata per la scomparsa del­ l’autore nonostante la nuova documen­ tazione acquisita dalla storiografia at­ traverso le ricerche d ’archivio, ferma in più punti a tesi e interpretazioni superate o smentite dai risultati di inda­ gini monografiche sull’ uno o 1’ altro aspetto del periodo esaminato. Malgrado ogni riserva, la sintesi di Eyck ha il merito di offrire ancora oggi un panorama vasto, preciso, in larga parte attendibile degli avvenimenti che hanno caratterizzato la lotta politica nel­ la repubblica di Weimar e di restare un punto di riferimento obbligato per lo storico che, utilizzando le migliori risultanze dei più recenti studi, vorrà proporre una sintesi nuova del quindi­ cennio democratico in Germania. Per comprendere l’ impostazione e i limiti dell’ opera, occorre accennare alla formazione e alla personalità dell’auto­ re : Erich Eyck esercitò fino al 1937 la professione di magistrato in Germania coltivando nello stesso tempo gli studi storici. Costretto a rifugiarsi in Inghil­ terra, Eyck sentì il bisogno di rivivere, attraverso la ricerca storica, le vicende e la crisi della Germania moderna. Nacquero così le biografie di Bismarck (di cui Einaudi ha pubblicato una ridu­ zione) e di Guglielmo II e, dopo la ca­ duta del nazionalsocialismo, la storia della repubblica di Weimar. Animato da fede liberale, a contatto per v e n ta n ­ ni con la grande tradizione britannica, profondo conoscitore dei problemi costi­ tuzionali ed attento in modo partico­ lare alla storia diplomatica e parlamen­ tare, Eyck è nel suo racconto nello stato d’animo di chi ha sperato che la sconfitta tedesca del 19 18 segnasse l’i­ nizio d ’un periodo nuovo, in cui si rea­ lizzassero le aspettative diffuse fin dal­ l’Ottocento d ’una Germania « liberale » caratterizzata da un sistema di governo stabile, da un’ economia sana, da un parlamento più efficiente e più potente dei partiti. Di qui nel suo libro il tentativo di 10 7 seguire ed analizzare con minuzia a vol­ te esasperante la vita politica al livello parlamentare e di governo e i rapporti tra la Germania e le potenze europee, l’attenzione dedicata alle « disfunzioni costituzionali » sempre più frequenti a Weimar dopo il 1930 fino al governo presidenziale di Hindenburg, l ’impor­ tanza — a nostro avviso, eccessiva — attribuita agli effetti negativi della leg­ ge elettorale proporzionale sulla demo­ crazia tedesca: quasi che un simile me­ todo bastasse a fornire gli elementi ne­ cessari per un giudizio complessivo sul­ l’esperienza del ’ i 8-’33 e consentisse di risalire dagli avvenimenti « esterni » alle cause di fondo che provocarono il fal­ limento del quindicennio weimariano. Da una tale impostazione deriva an­ che lo scarso interesse che l ’autore nu­ tre per altri aspetti, altrettanto e forse più significativi di quelli citati, della de­ mocrazia tedesca. N ell’opera di Eyck non c’è soltanto la critica al sistema dei partiti che — a suo avviso — usurpano le funzioni delle assemblee elettive e guastano [’equilibrio garantito dal si­ stema parlamentare : l’ autore rinuncia a un’analisi dei movimenti politici che per­ metta di rivelarne i connotati essen­ ziali, si attiene ai discorsi degli espo­ nenti ufficiali trascurando di esaminare la struttura interna, la composizione so­ ciale, gli aspetti ideologici più caratte­ ristici d ’ogni movimento politico. A n­ che sul piano più strettamente costitu­ zionale, del resto, lo storico — in ciò influenzato dalla sua esperienza di giu­ rista e da un certo persistente forma­ lismo — si ferma spesso alla superficie nell’ esame delle istituzioni e si preclu­ de così una conoscenza dei rapporti di potere che si stabiliscono di fatto — e non sulla carta — tra l ’uno e l’ altro organo costituzionale. Ancora più grave appare l’incom­ prensione che Eyck non di rado dimo­ stra nei confronti del movimento ope­ raio tedesco. Non soltanto lo studioso dedica scarso spazio e poco interesse ad illustrare quali erano i moventi ideali dell’opposizione di sinistra e si limita ad un’esposizione diligente ma, tutto sommato, superficiale e insoddisfacente delle vicende che caratterizzano la sto­ ria della socialdemocrazia e del comu­ niSmo tedesco. Quel che è peggio, Eyck esaurisce in poche righe, problemi o avvenimenti che avrebbero meritato ben altra considerazione. o8 Recensioni Valga per tutti l’esempio della rivo­ luzione di novembre e del fermento che nei giorni successivi all’ armistizio si im­ padronì di Berlino e di altre grandi cit­ tà della Germ ania: per Eyck le masse furono vittima di « demagoghi, idealisti o coscienti agitatori che fossero » (p. 54). Quanto all’assassinio di Karl Liebnecht e di Rosa Luxemburg, ecco il com­ mento dello storico .liberale: « E ’ tra­ gico che la repressione della rivolta non andasse esente da eccessi; ma ciò desta appena meraviglia. L ’impressione mag­ giore sollevò l’ uccisione di K arl Lieb­ necht e di Rosa Luxemburg avvenuta il 16 gennaio. La grande maggioranza del­ la popolazione di Berlino la salutò come la liberazione da un grande pericolo, senza scervellarsi troppo a pensare se tutto si era svolto proprio con i me­ todi più leciti. Gli amici degli uccisi sbraitarono che essi erano stati uccisi dalla soldataglia reazionaria. Oggi si può ben dire che sia accertato che almeno Rosa Luxemburg cadde vittima della giu­ stizia sommaria di una folla estremamente eccitata. Non si scusa l’ assassinio ricordando l’ antico detto che chi di spada ferisce di spada deve morire, e si è assistito a troppi fatti di sangue provocati pro­ prio dai compagni di fede di Liebnecht e della Luxemburg per potere provare una particolare indignazione per la loro sorte. Ma anche in questo caso si ri­ petè la maledizione per cui un atto di tale brutalità distrugge il timore del crimine e il rispetto della vita umana ed abitua gli animi a considerare l’a­ zione violenta e cruenta come strumen­ to dei contrasti politici interni » (p. 57). Si trovano, nel brano riportato, al­ cune delle caratteristiche più significati­ ve dell’opera di E yck : l’incomprensione della lotta condotta dalle masse operaie e dell’azione di personalità come i capi del movimento spartachista; il pensiero fisso a una società in cui domini l’or­ dine e governi una borghesia liberale; un certo moralismo che ricorda la men­ talità dell’antico magistrato. A voler azzardare una conclusione, potremmo dire che Eyck non affronta nè tenta di risolvere i problemi cen­ trali che si pone oggi la storiografia su Weimar, vale a dire quello dei rapporti tra la Germania gugliejmina e l ’espe­ rienza democratica e delle cause del fal­ limento della repubblica, ma si limita a mettere in luce e ad enumerare i punti deboli e le carenze del sistema repubblicano tedesco: dai «Corpi Fran­ chi » allo strapotere dell’esercito, dalla connivenza del governo e dall’indulgen­ za delle autorità verso gli estremisti di destra al ruolo dei grandi proprietari terrieri e d’una parte degli industriali nell’ascesa nazista. Da quelle carenze, Eyck —• attento soprattutto alla descrizione del « gioco di vertice » — non risale a una linea interpretativa unitaria che fornisca ima risposta ai quesiti di fondo, non si chie­ de fino a che punto il crollo di Weimar fu la caduta d’una democrazia avanzata o fu invece il fallimento d ’un sistema che non era riuscito a modificare a fon­ do Je strutture e i rapporti effettivi di potere consolidatisi nella Germania del Kaiser. Ed è questo, crediamo, il limite più grave dell’opera. Sarebbe, tuttavia, ingiusto non se­ gnalare che la sintesi di Eyck si di­ stacca nettamente da quella corrente sto­ riografica, purtroppo ancora operante in Germania, che tende ad attribuire al fato o all’atteggiamento franco - inglese l’ avvento di Hitler ed a minimizzare la gravità della crisi tedesca negli anni trenta. Quando Eyck tratta temi a lui congeniali — la costituzione di Weimar, il trattato di Versailles e la politica este­ ra di Stresemann, per fare solo due esempi —- è capace di scrivere pagine magistrali in cui, accanto alla perizia del ricercatore e alla sicurezza di giudizio dello storico, vibra l’ impegno civile d ’un sincero liberale. N icola T r a n f a g l ia .