pubblicità regresso

annuncio pubblicitario
PUBBLICITÀ REGRESSO
Una campagna
di comunicazione sociale
“col trucco”
Pubblicità regresso
è una campagna
di comunicazione sociale
promossa e coordinata da Aesse,
il giornale delle Acli,
in collaborazione con
Scrittura.org
e con Aesse Comunicazione srl.
TESTI
Lanfranco Norcini Pala,
Simone Sereni (Aesse)
Alfonso Cannavacciuolo,
Roberta Pennarola (Scrittura.org)
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Stefano Orfei (Aesse Comunicazione srl)
STAMPA
La Cromografica srl
SI RINGRAZIANO PER LA COLLABORAZIONE
i “corsisti” di Scrittura.org
Lucia Ritrovato (Aesse)
Antonio Rossi (Aesse comunicazione srl)
La cartellina completa della campagna
è disponibile anche in formato cartaceo.
Per richiedere il materiale
e per informazioni:
Aesse Comunicazione srl
Via G. Marcora, 18/20 • 00153 Roma
tel. 06.5840534
[email protected]
www.aessecomunicazione.acli.it
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
PUBBLICITÀ REGRESSO
Una campagna
di comunicazione sociale
“col trucco”
Sembra vera, ma non lo è. Compare all’improvviso sfogliando la pagina,
e l’istinto è andare oltre: ma qualcosa incuriosisce.
È Pubblicità regresso, la campagna di comunicazione lanciata da Aesse, il
mensile delle Acli, in collaborazione con i copywriter dell’agenzia
Scrittura.org e lo staff grafico di Aesse comunicazione.
Pubblicità regresso è una raccolta di dieci annunci stampa,
pubblicati nel corso del 2008, sulle pagine di Aesse (www.acli.it/aesse).
Ogni mese, tra gli articoli del giornale ha fatto capolino un annuncio,
la parodia di una pubblicità o di un marchio famosi, per denunciare
temi importanti come povertà, crisi economica, denutrizione,
violenza sulle donne, abbandono degli anziani.
Gli annunci di Pubblicità regresso sono creati nel rispetto degli elementi
classici della pubblicità su stampa: titolo d’impatto, visual, body copy,
payoff che accompagna il prodotto. Si tratta di annunci verosimili,
che a prima vista possono trarre in inganno proprio per la loro
somiglianza con le pubblicità vere. Pubblicità che rispetta
le regole, e che rappresenta un ottimo esempio di creatività
al servizio della denuncia sociale.
Ecco allora una famiglia felice a colazione, con un senzatetto
alla loro finestra; le scarpe con i buchi, compagne inseparabili
di chi non arriva a fine mese; un anziano nel cassonetto,
protagonista di un’improbabile e cinica campagna di rottamazione.
Pubblicità regresso si prende gioco dei luoghi comuni e sfrutta
i meccanismi della pubblicità: ironia e inventiva, per una
comunicazione efficace che si serve degli stereotipi commerciali
per incuriosire e divertire, ma soprattutto per far riflettere
su temi scottanti e attuali.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
GLI ELEMENTI
DI UN ANNUNCIO
STAMPA
Gli annunci stampa sono le inserzioni pubblicitarie che
incontriamo ogni giorno sfogliando giornali e riviste.
Un annuncio stampa completo è composto di quattro elementi:
headline (il titolo), visual (l’immagine), body copy (testo descrittivo, più
lungo) e pay off (la frase che accompagna il logo).
Questi quattro elementi non sono sempre presenti in un annuncio.
Ci sono annunci senza titolo, annunci senza bodycopy, loghi senza pay off
e annunci senza immagine e con solo testo (“copy ad”). Ci sono anche annunci
composti solo di immagine e logo, come accade spesso nelle riviste di moda.
Un annuncio “da manuale”, però, comprende tutti questi elementi; ciascuno
svolge una funzione specifica.
Headline (il titolo)
Dopo l’immagine, la prima cosa che il lettore guarda è il titolo.
Solitamente il titolo, o headline, compare in alto sull’annuncio, ma spesso
si trovano annunci con il titolo al centro della pagina, o a destra. Il titolo
dell’annuncio pubblicitario ha una funzione simile ai titoli degli articoli
giornalistici: informa e attira l’attenzione del lettore. Spesso il titolo è
seguito da un sottotitolo, una subheadline, in carattere più piccolo, che
aggiunge altre informazioni sul prodotto.
L’annuncio raggiunge la sua massima efficacia quando immagine e testo
si accordano e il titolo racconta l’altra parte della storia che il lettore
ha iniziato guardando l’immagine.
In un annuncio che funziona, titolo e immagine vanno d’accordo.
HEADLINE
VISUAL
Visual (l’immagine)
L’immagine dell’annuncio pubblicitario è l’elemento più importante del
messaggio e il primo che attira l’attenzione del lettore. Il visual è la parte
visiva dell’annuncio: l’immagine principale, quella che di solito compare
a tutta pagina, ma anche le immagini secondarie, come foto del prodotto,
riquadri più piccoli. Il visual ha il compito di attirare il lettore e di
invitarlo alla lettura del testo.
Body copy
La body copy è il testo più lungo che compare nell’annuncio pubblicitario.
Questo testo ha una lunghezza variabile: da un paio di righe a una
colonna di testo, e la sua funzione principale è quella di offrire dati
e informazioni sul prodotto o servizio. Se l’immagine e il titolo hanno
il compito di attirare l’attenzione quindi, la body copy presenta
le caratteristiche e i vantaggi del prodotto.
Pay off
Il pay off è la frase che accompagna il logo di un’azienda. Quasi sempre
si trova in fondo alla pagina a destra, spesso accompagnato dal nome
e da una piccola immagine del prodotto (“packshot”). Il pay off è un
segno costante della comunicazione aziendale che accompagna il logo
aziendale o quello di prodotto, in qualsiasi contesto venga usato.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
BODYCOPY
Corpo del testo corpo del testo
corpo del testo corpo testo
corpo del testo corpo del
corpo del testo corpo testo
corpo del testo corpo del
LOGO E PAYOFF
HEADLINE
VISUAL
BODY COPY
LOGO
E PAY OFF
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
Chi è quell’uomo che si affaccia dalla finestra della
casa di un’allegra famiglia riunita per una ricca e
nutriente colazione?
Un invisibile “senza fissa dimora”..
HOMELESS
SUPPLICE
I “senza fissa dimora” in Italia
Secondo la Fiopsd (Federazione italiana organismi persone senza
dimora) “è possibile definire una persona ‘senza dimora’ come un
soggetto in stato di povertà materiale ed immateriale portatore di un
disagio complesso, dinamico e multiforme”. Tale condizione è associata
a 4 presupposti:
1. presenza contemporanea di bisogni e problemi diversi;
2. progressività del percorso nel tempo che determina il consolidamento dei
fattori di disagio;
3. difficoltà nel trovare accoglienza e risposte appropriate nei servizi
istituzionali;
4. difficoltà per la persona a strutturare e mantenere relazioni significative.
La condizione dei senza fissa dimora è più visibile nelle aree più povere delle
grandi città e in quelle suburbane, anche se i “barboni” spesso coesistono
più o meno visibilmente dentro comunità dove i residenti non sono affatto
poveri.
Un censimento vero e proprio sui senza fissa dimora in Italia non c’è.
Mancano dati ufficiali che fotografino il fenomeno, se escludiamo una
ricerca della Fondazione Zancan del 2002 che stimava in circa 17 mila
le persone in questa situazione. D’altra parte, secondo la Federazione
europea delle associazioni nazionali che lavorano con i senza fissa dimora
(Feantsa) in Italia sarebbero invece circa 200 mila i senza tetto, dei quali
ben 90 mila privi di qualsiasi sistemazione.
Tra le cause che portano a finire in strada spesso ci sono lutti improvvisi,
perdita del lavoro, reti familiari che hanno ceduto, debolezza umana. C’è
anche l’aumento del costo della vita che ha visto crescere il numero delle
famiglie italiane povere (ossia in grado di sostenere una spesa massima
di 719 euro mensili) passate, secondo dati Istat 2008, dall’10,6% all’11,7%.
Per chi vive in queste condizioni, basta poco, un evento a volte anche
banale, per ritrovarsi a non poter più pagare un affitto.
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 1/2, gennaio/febbraio 2008, p. 35
LE CITTÀ
SONO INVISIBILI,
NON PERCHÉ
NON CI SIANO,
MA PERCHÉ
NASCONDONO
SEMPRE
UN QUALCOSA CHE
AI NOSTRI OCCHI
SFUGGE SEMPRE
–
Gli sprechi alimentari
A fronte del grave disagio di questi “residenti invisibili”, l’indagine
dell’Adoc (2008), un’organizzazione di consumatori, sui consumi
alimentari delle famiglie, mette in luce il dato sugli sprechi alimentari
realizzati dagli italiani. Ogni anno vengono letteralmente buttati nel
cassonetto in media 561 euro, pari al 10% della spesa totale effettuata.
I motivi per i quali si spreca rimandano alle abitudini di spesa e alla
presenza di offerte che inducono ad acquisti non necessari: per il 39% si
tratta di un eccesso di acquisto generico, per il 24% di prodotti scaduti,
per il 21% di un eccesso di acquisti per offerte speciali, per il 9% di novità
non gradite e per il 7% di prodotti non necessari.
D’altro canto, negli ultimi anni si sono moltiplicate in Italia le associazioni
che portano avanti esperienze di salvaguardia dello spreco alimentare in
accordo con i supermercati.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
Italo Calvino
Una scarpa un po’ “vissuta”, quasi sbattuta
in faccia al lettore.
È il simbolo della crisi economica che sta
attanagliando il Paese e delle famiglie che ormai
“camminano al verde”, costrette a una corsa
a ostacoli tra spese, bollette da pagare, mutuo
e debiti.
Si chiama “Solax”, la scarpa che lascia respirare
“almeno i piedi”.
SOLAX
Crisi della seconda settimana in Italia
Un tempo c’era la crisi della terza settimana, alludendo alla
difficoltà di arrivare alla fine del mese. Ora, la crisi economica rende
gli italiani poveri già alla seconda settimana: il portafogli di tanti è
vuoto dopo nemmeno quindici giorni dall’accredito dello stipendio.
Dati aggiornati al 2008 attestano che sono 2 milioni le famiglie che non
superano la seconda settimana e oltre 6 milioni quelle che arrivano a
fatica alla terza. Secondo la medesima ricerca Confesercenti-Swg, per il
35% degli italiani tirare avanti è un’angoscia, un pensiero fisso.
Una quota superiore al 40% degli italiani nell’ultimo anno – secondo
l’Osservatorio sul capitale sociale realizzato da Demos & Pi in
collaborazione con Coop – ha visto diminuire il valore dei propri risparmi e,
per questo motivo (oppure per prevenire tempi più difficili), ha già messo in
atto strategie quotidiane per difendere il portafoglio domestico. Il 41% ha
adottato soluzioni per risparmiare su elettricità, riscaldamento e benzina.
Altrettanti hanno dovuto rinunciare a importanti acquisti programmati,
mentre la corsa ai saldi e alle “offerte speciali” diventano pratiche di
sopravvivenza sempre più diffuse e necessarie: nell’ultimo anno si è
aggiunto un 35% a quel 50% che lo faceva già da prima. Ci sono persone
che spesso, per paura di spendere, fuggono perfino dalle tentazioni,
evitando di entrare nei negozi (28%).
I nuovi poveri italiani
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 3, marzo 2008, p. 35
SOLO
I POVERI
CONOSCONO
IL SIGNIFICATO
DELLA VITA,
CHI HA SOLDI
E SICUREZZA PUÒ
SOLO TIRARE
A INDOVINARE
Charles Bukowski
La chiamano “povertà relativa” (che si realizza quando la differenza
tra le fasce più alte di reddito e quelle più basse impedisce a queste
ultime di avere accesso alle risorse necessarie per una vita realizzata)
e in Italia colpisce 2 milioni e 653 mila famiglie. Si tratta dell’11,1% del
totale delle famiglie residenti che, presto, potrebbero crescere di un
ulteriore 8% fatto di nuclei “a rischio”, con consumi, cioè, prossimi o
superiori di appena il 10% alla soglia standard di povertà. Che per una
famiglia di 2 persone equivale a 986,35 euro di spesa media mensile (in
aumento dell’1,6% rispetto alla linea del 2006).
Complessivamente, nel nostro Paese, ci sono 7 milioni e 542 mila
italiani poveri, il 12,8% dell’intera popolazione. Situazione peggiore
nel Sud, dove l’incidenza della povertà relativa è 4 volte superiore alla
media nazionale e tra le famiglie più numerose, in particolare, con
3 o più figli, soprattutto, minorenni. A rivelarlo è l’annuale indagine
dell’Istat sulla povertà relativa in Italia, condotta su un campione di
28 mila famiglie, che evidenzia una sostanziale stabilità, tra il 2006
e il 2007, dell’incidenza della povertà relativa delle famiglie italiane,
ancora fortemente associata a scarsi livelli d’istruzione e all’assenza
del posto di lavoro.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
Si chiama “Nerissima” ed è l’acqua che sgorga dalle
fonti contaminate dei paesi più poveri del mondo:
berla significa ammalarsi di dissenteria, non berla
significa morire di sete.
NERISSIMA
L’acqua, da bene comune a merce
L’accesso all’acqua nel mondo è un diritto umano che per una vasta
parte dell’umanità viene sistematicamente violato.
Oggi, secondo dati forniti dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti
economici, sociali e culturali, circa 700 milioni di persone in 43 paesi
vivono al di sotto della soglia di stress idrico (che significa disporre di
meno di 1.000 metri cubi di acqua all’anno) e 1,7 miliardi non possono
accedere regolarmente ad acqua pulita, né a infrastrutture sanitarie. 1,8 milioni
di bambini muoiono ogni anno di dissenterie dovute alla penuria d’acqua e alla
carenza di igiene.
Il settimo Obiettivo di sviluppo del Millennio mira, entro il 2015, a dimezzare il
numero di persone senza accesso all’acqua potabile. Gli scienziati avvertono
che, intorno al 2020, quando ad abitare la Terra saranno circa 8 miliardi di
persone, il numero delle persone senza accesso all’acqua potabile sarà di 3
miliardi circa.
Si ritiene che il problema dell’accesso e della proprietà del cosiddetto “oro
blu”, abbia scatenato nel mondo circa cinquanta guerre tra Stati. Tra le
cause principali dei conflitti, c’è il divario sempre più ampio tra domanda e
offerta, che interessa soprattutto i paesi del sud del mondo, dall’America
Latina all’Africa.
Per l’acqua, dal punto di vista economico/commerciale, è in corso
parallelamente una guerra che non si combatte con gli eserciti: dal
controllo sulle acque minerali alla battaglia per la gestione degli
acquedotti, dalla costruzioni di dighe alla privatizzazione dei bacini idrici.
La situazione in Italia
L’articolo 23bis della legge numero 133/2008, la cosiddetta “Finanziaria
triennale” del ministro Tremonti, ha affidato “il conferimento della
gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori
o di società in qualunque forma costituite”. Ciò al fine, “di favorire la più
ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di
libera prestazione dei servizi”. In altre parole, si è spalancata la via alla
privatizzazione dell’acqua pubblica. Tutto ciò dovrà avvenire entro il 2010.
Il nostro Paese, dagli anni Novanta, inoltre è tra i primi al mondo nella
produzione e nella consumazione di acqua minerale. Secondo l’Istat,
vengono imbottigliati annualmente 12.200 miliardi di litri, di cui in Italia si
bevono circa 11.200 miliardi, ovvero 194 litri all’anno per abitante. Il resto
viene esportato. A prediligere l’acqua che sgorga dal rubinetto è, ormai,
rimasto un misero 2% della popolazione.
Un business che, come specificato nel Rapporto sullo stato dell’acqua in
Italia a cura di Riccardo Petrella, fa leva su una credenza ingiustificata
indotta dalla pubblicità. L’acqua minerale non sarebbe infatti né per
definizione né in pratica necessariamente più pura e più sana dell’acqua
potabile comune.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 4, aprile 2008, p. 35
ACQUA, ACQUA
DAPPERTUTTO,
NEANCHE
UNA GOCCIA
DA BERE
Samuel T. Coleridge
Un viso curato e truccato di donna mette in risalto
il nuovo ombretto effetto bicolore “Neropesto”,
cinico prodotto della casa cosmetica Violenz.
“Per essere davvero come piace a lui – dice il
claim di questa Pubblicità regresso – usa
il nuovissimo ombretto che dona ai tuoi occhi
il glamour del nero” e un viola modaiolo.
Ma quello è, semplicemente e drammaticamente,
un occhio nero. “Perché tu non vali”, come recita la
Pubblicità regresso.
NEROPESTO
La violenza sulle donne
“La violenza sulle donne – afferma l’Onu nella Dichiarazione
sull’eliminazione della violenza contro le donne – è da intendersi come
qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa
verosimilmente provocare danno fisico, comprese le minacce di violenza,
la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita
pubblica che privata”. Nel mondo purtroppo una donna su tre, secondo le
Nazioni Unite, subisce violenza.
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 6, giugno 2008, p. 15
La violenza di genere si esprime su donne e minori in vari modi. A livello
domestico, è esercitata soprattutto nell’ambito familiare o nella cerchia di
conoscenti; a lavoro, dove le donne subiscono molestie sessuali e ricatti;
con matrimoni coatti o con la prostituzione forzata; e, in casi più eclatanti,
con le mutilazioni genitali femminili o lo stupro di guerra ed etnico.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna
su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel
corso della sua vita. E il rischio maggiore viene dai familiari, mariti e
padri, seguiti dagli amici, dai vicini di casa, da conoscenti stretti e da
colleghi di lavoro o di studio. Le ricerche compiute negli ultimi dieci
anni dimostrano che la violenza contro le donne è endemica, nei paesi
industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro
aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti
economici.
La situazione in Italia
Sono 6 milioni e 743 mila le donne, tra i 16 e i 60 anni, che sono state
oggetto di violenza fisica o sessuale almeno una volta nella loro vita,
mentre oltre 7 milioni hanno subito una violenza psicologica. L’ultima
(2008) impietosa fotografia dell’Istat rivela che nella maggior parte
dei casi la violenza arriva dai partner o dall’ex e non si ferma neppure
davanti a una gravidanza tanto che l’11% delle future mamme ha
subito violenza durante l’attesa.
Cinque milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), tre
milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%), più di 7 milioni violenze
psicologiche.
Il 70% delle violenze viene commesso in famiglia, ma solo l’1% di chi le
commette, padri, mariti, conviventi, viene condannato perché appena
sette donne su cento hanno il coraggio di presentare una denuncia e
in molto casi la ritirano di fronte alle minacce e alla paura di perdere il
sostegno economico o la casa.
Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata internazionale per
l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita ufficialmente
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
LA VIOLENZA
È L’ULTIMA RISORSA
DEGLI INCAPACI
Isaac Asimov
Cornett è un vecchio telefono,
di quelli a disco come il classico “bigrigio”
della Sip. Ci ricorda che questo strumento,
ideato da Antonio Meucci, nacque
con uno scopo principale e “rivoluzionario”:
mettere in comunicazione “immediata”
persone distanti. Nella Pubblicità regresso
è chiamato appunto “il giradito”.
CORNETT
Il boom del High-tech
Se si pensa a quello che è il telefono oggi, è chiaro che esso ha
subito una trasformazione. Messa in soffitta l’antica cornetta col filo,
superato anche il cordless, si è arrivati al cellulare: un mezzo che non
serve più solo a far parlare due persone, ma funge ormai anche da
videocamera, macchina fotografica, piccolo personal computer tascabile,
navigatore satellitare e via così.
Il “semplice” piacere del chiacchierare è stato travolto dall’ondata del progresso
tecnologico che, con le sue continue proposte, occupa ormai in vari modi
uno spazio sempre più ampio nella quotidianità della gente, determinando
profondamente l’evoluzione della società contemporanea e i processi di
comunicazione tra gli individui.
È il “mondo high-tech” che comprende tutti quegli strumenti che oggi
facilitano senza dubbio il lavoro, i collegamenti, le relazioni e in cui
annoveriamo il cellulare, l’i-pod, i videogames, il Pc, le “chiavette” usb, per
restare ai prodotti più popolari.
Lo sviluppo tecnologico pone una questione per certi versi paradossale: da
una parte, si ha ormai una fortissima dipendenza dalla tecnologia; dall’altra,
si tende a credere che questa sia una realtà dalla quale bisogna difendersi,
che sta ledendo i rapporti umani rendendoli sempre più scarni, virtuali e
dipendenti da uno schermo o da un telefono.
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
sociale n. 7, giugno 2008, p. 15
L’EVOLUZIONE
DEL PENSIERO
NON RIESCE
A STARE AL PASSO
CON LA TECNICA,
CON LA CONSEGUENZA CHE
LE CAPACITÀ AUMENTANO,
MA LA SAGGEZZA
SVANISCE
La “tecnoetica” giunge in aiuto per rispondere all’annosa questione,
tentando di mediare gli opposti e superare questo apparente paradosso,
non nascondendo la dipendenza della persona dalla tecnica, ma non
dimenticando che la tecnica è un elaborato dell’uomo e, quindi, un suo
strumento.
I giovani italiani e la tecnologia
La “dipendenza” dei giovani dai nuovi mezzi di comunicazione è il nuovo
problema che genitori da una parte e sociologi dall’altra stanno tentando
di affrontare.
Una ricerca del 2008 del Censis e dell’Ucsi (Unione cattolica stampa
italiana) dimostra infatti che l’attaccamento dei ragazzi italiani verso tv e
cellulare è notevole e problematico. Il 94% di loro, dai 14 ai 18 anni non
riesce a stare lontano da questi strumenti. Il cellulare piace praticamente
a tutti (90,4% dei giovani di tutte le età, 93,4% per quelli sotto i 18 anni)
e se ne apprezzano i vantaggi pratici: il cellulare è per gli utenti un utile
strumento che non sottrae tempo, risorse cognitive ed emotive. Altra
inevitabile attrazione è internet, usato principalmente dal 58,7% dei
giovani per fare amicizia e divertirsi.
I nuovi strumenti a disposizione dei teenager fanno subire però un forte
calo della lettura di quotidiani e libri: solo il 31,7% legge i quotidiani e
ancor meno i periodici (13,2%), mentre i libri sono letti, salendo nelle tre
fasce di età, dal 48,4%, dal 54,4% e dal 50,2% dei giovani.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
Bertrand Russell
Un percorso a ostacoli tra laurea, corsi di
formazione, stage, master… per arrivare, a 30
anni, al primo contratto a progetto e forse a
36 all’agognato “posto fisso”. Il cammino di un
giovane oggi, dal diploma al lavoro stabile si
compie in un dedalo di possibili strade: da “via
dell’impegno” a “corso del sacrifico”.
Ci vorrebbe un navigatore satellitare di nuova
generazione che “faciliti” la carriera, magari a suon
di raccomandazioni.
SPINTARELLA
La raccomandazione e il precariato
La cosiddetta “spintarella” si rivela il più mezzo veloce per non
perdersi nel precariato dilagante. Con questo termine si individua
generalmente l’insieme di coloro che, per un tempo più o meno lungo,
e a prescindere da formazione e competenza professionale, galleggiano
tra il cosiddetto “lavoro nero” e le varie forme di contratto flessibile
(part-time, contratti a termine, lavoro parasubordinato) che vengono
ripetutamente e patologicamente rinnovate nel tempo. Una precarietà
lavorativa che si traduce normalmente in una precarietà esistenziale, come
ormai osservato da più parti.
In Italia, i precari costituiscono circa il 23% degli occupati totali. È una delle
fotografie dell’occupazione italiana scattate dal Censis nel settembre
del 2008. Stando agli ultimi dati, relativi al 2007, quasi 2 milioni 760 mila
italiani, vale a dire l’11,9% degli occupati, si trova in condizione di lavoro a
termine, mentre quasi 3 milioni sono i lavoratori sommersi, che incidono
per il 12% sul totale dell’occupazione nel nostro Paese. Tra i lavoratori
precari il 9,8% sono stagionali, interinali o apprendisti, o a tempo
determinato, il 2,1% hanno invece incarichi a progetto o occasionali.
Un paese di “figli di”:
meritocrazia e clientelismo
Nonostante l’articolo 3 della Costituzione italiana, la meritocrazia
(ovvero il criterio secondo il quale si trova lavoro non per appartenenza
lobbistica o familiare ma per meriti) in Italia è ignorata. Le percentuali
indicano che nel Paese la maggioranza delle persone trova lavoro grazie
a segnalazioni e raccomandazioni. Il fenomeno prevale al Sud dove il
fenomeno tocca punte del 50%, ma è diffuso anche al Centro (42,4%) e
al Nord (39%) e circa il 60% degli italiani crede che la meritocrazia non
serva per trovare lavoro (fonte: indagine Unioncamere su dati Excelsior,
2006).
Il 66 per cento dei neolaureati e laureandi, secondo una ricerca di
Confcommercio, crede che l’azione di governo non avrà effetti positivi
sui propri orizzonti di vita. Troppe barriere alla meritocrazia e poche
agevolazioni per accedere al credito, farsi una famiglia e avere dei figli.
I giovani, sanno già che dovranno rinunciare a molte cose pur di avere
un percorso professionale dignitoso. Molti sono pronti a lasciare il
posto dove sono cresciuti, a rinviare il compimento delle relazioni
affettive e posporre l’età in cui diventare padri e madri. Ma anche
questo non sempre può bastare. Anche perché davanti a loro si apre
lo scenario di responsabili d’azienda che si dichiarano meritocratici e
pronti ad assumere i più bravi ma poi, alla resa dei conti, non lo fanno.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 8/9, agosto/settembre 2008, p.15
IL SUCCESSO
OTTENUTO
COL MERITO
E PAGATO CON
L’INDIFFERENZA
ANNOIA IL GROSSO
PUBBLICO E,
DA QUALCHE
TEMPO IN QUA,
ANCHE GLI ALTRI
Ennio Flaiano
Beve, si diverte e “sballa”. Il ragazzo è felice e
spensierato con la sua bottiglia in mano, ignaro,
probabilmente, degli effetti correlati all’assunzione
acuta o cronica di alcol.
CRETINI
Una questione di vita o di morte
L’alcolismo, problema sottovalutato dai giovani, si piazza al terzo
posto, secondo il ministero della Salute, per mortalità dopo le malattie
cardiache e il cancro ed è riconosciuto come uno dei più gravi problemi
di salute pubblica.
Può portare alla morte per emorragie interne, malattie del fegato
o incidenti stradali
Non solo. L’alcol comporta danni nella sfera lavorativa e in molti altri campi della
vita di una comunità. Secondo l’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcool,
bere costituisce un fattore importante negli infortuni sui luoghi di lavoro ed è
causa, inoltre, di assenteismo e riduzione delle prestazioni professionali. È inoltre
responsabile di una parte consistente di problemi di ordine pubblico inclusi crimini,
omicidi e atti violenti.
Le malattie alcol-correlate sono legate agli effetti tossici della sostanza nel
tempo. Questa non è dannosa solo per il fegato ma i suoi effetti negativi possono
manifestarsi, in modi diversi, in tutti gli organi del nostro corpo. Studi del ministero
della Salute dimostrano che l’alcolismo interessa anche e profondamente i
membri delle famiglie di chi beve. I bambini possono esserne influenzati anche
da grandi – quella che comunemente è definita “sindrome dei figli adulti degli
alcolisti” – e anche prima della nascita, generando la cosiddetta “sindrome fetale
da alcol” nei bimbi nati da madri alcoliste.
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 10, ottobre 2008, p. 15
OGNI TIPO
DI DIPENDENZA
È CATTIVA,
NON IMPORTA
SE IL NARCOTICO
È L’ALCOL
O LA MORFINA
O L’IDEALISMO
Carl Gustav Jung
Giovani e alcol
Sono sempre di più gli adolescenti che a partire dalle scuole medie, hanno i
loro primi approcci con lo “sballo”, cominciando “banalmente” da una birra per
finire ai superalcolici.
Circa 740.000 minori in Italia sono a rischio e un ragazzino su cinque inizia a
bere già tra gli 11 e i 15 anni. Questo l’allarme lanciato nel 2008 dalla Consulta
nazionale sull’alcol e sui problemi a esso correlati, assieme al ministero del
Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Ben il 19,5% dei minori nella
fascia 11-15 anni dichiara di aver bevuto alcolici nel corso del 2005 nonostante
sia in vigore il divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 16
anni. Anche tra i ragazzi di 16-17 anni, il consumo di alcolici è diffuso: uno su
due beve e l’8% dei maschi di quella fascia di età lo fa tutti i giorni.
Secondo i dati dell’indagine Eurobarometro 2002, l’Italia presenta l’età
più bassa in Europa per quanto riguarda il primo contatto con le bevande
alcoliche: la media è 12,2 anni, contro i 14,6 della media europea. Per
spiegare il fenomeno, la Consulta ha sottolineato che in Italia il consumo
di bevande alcoliche e, in particolare, di vino fa parte “di una radicata
tradizione culturale e l’assunzione moderata di alcol è una consuetudine
alimentare molto diffusa, oltre che socialmente accettata”.
Negli ultimi anni si stanno diffondendo però nuovi modelli di consumo che
prevedono un uso occasionale, intenso e spesso intossicante di aperitivi,
birra e superalcolici.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
Come puoi liberarti del tuo vecchio?
Rottamandolo – propone questa improbabile e
cinica campagna istituzionale, rigorosamente
finta – e superando così tutti i problemi e i
fastidi che comporta averne cura. Il vecchietto
settantenne “parcheggiato” nel secchio
dell’immondizia rappresenta uno dei tanti anziani
che in Italia sono un “intralcio” per le famiglie.
LIBERARTI DEL
VECCHIO?
Una risorsa sociale
Purtroppo il sistema di welfare tutela poco chi, pensionato e/o
non-autosufficiente, deve affrontare gli imprevisti che la vecchiaia
comporta. Eppure, nel Mezzogiorno, le pensioni degli anziani
consentono la sopravvivenza di interi nuclei familiari e nel 50% dei casi
gli anziani si occupano dei nipotini, soprattutto in estate quando i bambini
non vanno a scuola per risparmiare su baby-sitter o centri estivi.
Poi, però, gli anziani diventano un peso o un’ulteriore spesa per i figli
che, non potendosi occupare di loro, devono affidarli alle case di cura o
alle colf. Secondo la Fnp (Federazione nazionale pensionati) della Cisl
sono in forte aumento le famiglie povere anziane (nel 2006 erano il 13%
della popolazione), sia per un reddito che non consente loro di vivere
dignitosamente, sia perché non hanno risorse sufficienti per lasciarsi
aiutare. La condizione di impoverimento interessa però anche i familiari:
secondo il rapporto 2008 dell’Istat sulla povertà, le famiglie “povere” con
due o più anziani sono l’11,9 per cento.
Gli anziani in Italia
L’Italia risulta il Paese più investito dal fenomeno dell’invecchiamento.
Ormai un italiano su cinque, secondo l’annuario 2008 dell’Istat, ha più
di 65 anni e i “grandi vecchi” (da ottanta anni in su) sono il 5,3% della
popolazione. Circa 2.500.000, sempre secondo Fnp Cisl, non sono
autosufficienti con particolare incidenza al Nord (18,4% in Lombardia)
e meno al Sud (11% in Molise) e solo il 3,5% sono assistiti dallo Stato
domiciliarmene, a fronte del 20% di Norvegia, Svezia e Danimarca.
Infine, il 33% fa fatica a sostenere le spese mediche.
Fino a qualche anno fa, sul piano delle politiche, la risposta tradizionale
alla sfida della non autosufficienza è stata quella di tipo “residenziale”.
Oggi però la misura dell’accoglienza residenziale non è certo la più
frequente, né la più diffusa sull’intero territorio nazionale, mostrando
una spiccata localizzazione nel nord Italia.
Si diffonde così la pratica dell’assistenza domiciliare, con il duplice
intento di evitare (o ritardare) l’istituzionalizzazione degli anziani e
di coinvolgere e valorizzare la rete di cura informale intorno a essi.
Una ricerca dell’Inca, il patronato della Cgil, conferma che gran parte
dell’assistenza agli anziani non autosufficienti infatti (soprattutto
al Sud) ricade ancora sui nuclei familiari: circa il 50% su familiari
conviventi, il 30% e un altro 20% su familiari non conviventi, mentre
il 20% si avvale di servizi esterni, tanto pubblici quanto privati.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
in collaborazione con
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 11, novembre 2008, p. 15
IN FONDO
LA VECCHIAIA
È UNA QUESTIONE
DI PROSPETTIVA
Mario Tobino
Il grande Suv rosso fiammante del crudele e
superbo re dei Vangeli, Erode, sorpassa i Magi con
i loro lenti cammelli e riesce ad arrivare per primo
alla grotta di Gesù Bambino.
È così che cambia, grazie a questo nuovo potente
mezzo, il corso della storia.
RANGE ERODE
Suv: prepotenti e sicuri?
Il Suv (Sport utility vehicle) è un veicolo simile a un fuoristrada con
elevate prestazioni e con finiture da vettura di lusso. Ha un costo che
va dai 30.000 euro in su e può avere anche sette posti. Nel 2007 è stata
una delle macchine più vendute, anche se nel 2008 le vendite hanno
subito un calo del 28%. I dieci Suv più venduti in Italia hanno consumi
urbani del 60-70% superiori rispetto a quelli delle dieci auto più vendute
tout court. Oltre ai consumi, è accusato di inquinare più di una macchina
normale, di ledere alla sicurezza stradale e di essere come una grande
“astronave” catapultata in città: la lunghezza dei Suv va tra i 4,80 e i 5
metri, la larghezza attorno a 2 metri. La stazza è un problema per gli altri
automobilisti, per non parlare di pedoni e ciclisti, ma anche per gli stessi
guidatori, accusati spesso di “uno strafottente senso di sicurezza”.
Numerosi studi negli Usa smentiscono anche l’affidabilità del veicolo.
La National highway traffic safety administration, l’ente governativo che
si occupa di sicurezza stradale più famoso nel mondo, ha bocciato il
30% dei modelli testati. Anche secondo la rivista di settore italiana
Quattroruote, “in certe manovre di emergenza, le fuoristrada risultano
più impacciate, meno agili e disinvolte e quindi per costituzione più
inclini all’incidente”. Il problema maggiore, nel traffico, è la scarsa
visibilità, dall’alto dell’abitacolo, di pedoni e soprattutto ciclisti, costretti
a viaggiare tenendo la destra.
pubblicato su
Aesse-Azione sociale
n. 12, dicembre 2008, p. 15
L’AUTOMOBILE
È DIVENUTA
IL CARAPACE,
IL GUSCIO
PROTETTIVO E
AGGRESSIVO,
DELL’UOMO URBANO
E SUBURBANO
Marshall McLuhan
Automobili e inquinamento in Italia
L’Unione Europea ha avviato all’inizio del 2009 una procedura
d’infrazione nei confronti dell’Italia per gli alti livelli d’inquinamento.
In gran parte delle nostre città, secondo uno studio di Legambiente,
l’inquinamento da polveri sottili e più in generale quello atmosferico
rimane strettamente collegato al traffico veicolare, che si conferma
come la principale causa del peggioramento della qualità dell’aria. Il
trasporto stradale è anche uno dei settori che producono più gas serra
in Italia e ancora oggi, rivela l’Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale, le emissioni di CO2 derivanti dalle auto, tendono ad
aumentare anziché diminuire.
L’Italia, stando ai dati di Ecosistema urbano 2009, in Europa è seconda
solo al Lussemburgo per il numero di automobili in circolazione, con
una media di 62 auto ogni 100 abitanti, che salgono a oltre 70 in città
come Roma.
Anche nel confronto con gli Stati Uniti, come riportano i dati della Us
metropolitan trasport commission, le città italiane detengono il primato
poco invidiabile del numero di auto in circolazione. Ad esempio,
mentre New York registra circa 20 auto ogni 100 abitanti, Madrid e
Berlino 30 e Parigi 45, a Milano se ne registrano 63.
il mensile delle Acli
Azione Sociale
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