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Parte Seconda – I contratti di lavoro
Capitolo 8
I LAVORI ESTERNALIZZATI
Sommario
8.1.
8.2.
8.3.
8.4.
La somministrazione di lavoro
Appalto
Distacco
Trasferimento di azienda
8.1. La somministrazione di lavoro
Il Capo I del Titolo III del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 contiene una
delle novità operative più rilevanti per il sistema imprenditoriale italiano: facendo forza sui risultati conseguiti a seguito della introduzione del lavoro temporaneo o interinale, con la legge 24 giugno 1997, n. 196 (c.d. “Pacchetto Treu”), il
Legislatore della Riforma Biagi ha inteso estendere l’utilizzabilità del modello
della somministrazione di manodopera.
D’altro canto, nel corso del tempo, è maturata fortemente l’esigenza di operare mediante un decentramento produttivo sempre più avanzato, che secondo le
logiche internazionali dell’outsourcing potesse portare all’introduzione nel nostro Paese dapprima, appunto, del lavoro interinale (con la citata legge n.
196/1997), poi della sub-fornitura (con la legge 18 giugno 1998, n. 192) e da ultimo, con la riforma in argomento avviata dalla legge n. 30/2003, del distacco e
dello staff leasing. Per una definizione giurisprudenziale di outsourcing si rimanda a Cass. Civ., Sez. Lav., 2 ottobre 2006, n. 21287: «è noto che il fenomeno c.d. di outsourcing comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali
un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze base (c.d. core business). Ciò può fare,
tra l’altro, sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio, sia cedendo un
ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all’insindacabile
valutazione dell’imprenditore, a norma dell’art. 41 Cost.».
I vantaggi del decentramento produttivo, in ciascuna delle sue forme, e soprattutto nella somministrazione generalizzata, si evidenzia sotto un triplice aspetto: in primo luogo il processo di esternalizzazione, di decentramento, di
flessibilizzazione e di frantumazione dell’attività produttiva garantisce, in
un’ottica di economia aziendale, il contenimento dei costi della forza lavoro; inoltre, la più vasta “elasticità” della struttura dell’impresa consente di rispondere più agevolmente alle esigenze del mercato sempre più mutevoli, senza però
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
dover sottostare a determinate rigidità legislative; infine, il datore di lavoro che
utilizza le prestazioni dei lavoratori “somministrati” usufruisce delle prestazioni
lavorative di cui necessita, senza assumere su di sé le responsabilità datoriali
specifiche nei confronti dei prestatori di lavoro.
Sulla scorta di questi indiscussi vantaggi per il sistema imprenditoriale, la
riforma si è mossa ad introdurre la nuova somministrazione di manodopera, nel
convincimento, peraltro, che la liceità allargata dell’istituto possa agevolare le
occasioni di incontro fra aziende e lavoratori e quindi incidere profondamente,
in senso evolutivo, sul mercato del lavoro.
In effetti, la funzione socio-economica della somministrazione di lavoro,
intesa nel suo complesso, quale fattispecie negoziale costituita da un contratto di
lavoro (somministratore-lavoratore) e un contratto commerciale (somministratore-utilizzatore).
La somministrazione o fornitura professionale di manodopera nasce in un
contesto di crisi occupazionale, dal lato dei lavoratori, e di esigenze di flessibilizzazione, dal lato dell’impresa, a cui il sistema normativo e la rete dei servizi
pubblici deve dare risposta; è gioco forza, allora, ricondurre la funzione socioeconomica della somministrazione di lavoro proprio a questo binomio: occupabilità-flessibilità.
Partendo dal primo termine (occupabilità) senza dubbio la somministrazione rappresenta per i lavoratori inoccupati e disoccupati una possibilità occupazionale, nel senso di una fucina creativa di occasioni di lavoro. In questa prospettiva, peraltro, non deve destare eccessiva preoccupazione il venire meno del
limite della “temporaneità” della somministrazione che, secondo taluni, potrebbe determinare la nascita di una classe a sé di lavoratori, i “somministrati”, soggetti a vita al “doppio potere” di due figure datoriali distinte.
In realtà, da un lato occorre comunque annotare l’introduzione della somministrazione a tempo indeterminato che, dapprima abrogata dalla legge n.
247/2007, è stata totalmente ripristinata dalla legge n. 191/2009, che può rappresentare, nei fatti, una forma di occupazione a tempo pieno e a tempo indeterminato per lavoratori oggi non collocabili o difficilmente collocabili. Senza
dire poi della piena libertà ed autonomia degli utilizzatori di vagliare il lavoratore somministrato anche ai fini di una successiva piena assunzione alle proprie
dipendenze, quasi che la somministrazione, come da ultimo avvenuto per il lavoro interinale, possa costituire una sorta di “prova” sul campo della forza lavoro, già ricercata e selezionata dalla stessa agenzia di somministrazione.
Passando al secondo termine del binomio (flessibilità) la lettura del D.Lgs.
n. 276/2003 non lascia adito a dubbi circa la facoltà, oggi riconosciuta alle imprese, di qualsiasi settore e per qualsiasi attività, di scegliere se avvalersi e in
che misura di lavoratori dipendenti, direttamente e personalmente assunti, ovvero di personale somministrato, a termine o, a determinate condizioni, a tempo
indeterminato.
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
In ciò risiede il cardine normativo della “esternalizzazione” tipizzata nella
tipologia contrattuale di cui qui si discute, trattandosi, appunto, della possibilità,
giuridicamente lecita, di avvalersi di personale che lavora a tutti gli effetti nella
stessa misura del personale dipendente, ma che, fatta salva la sicurezza sul lavoro, non vengono computati nell’organico aziendale a nessun fine, di legge o di
contratto. La Circolare 22 febbraio 2005, n. 7 del Ministero del Lavoro, peraltro, sul punto ha precisato che: «il lavoratore somministrato lavoro, per tutta la
durata della missione, sotto le direttive e nell'interesse dell'utilizzatore ragione
per cui detti lavoratori potranno essere computati ai fini della valutazione della
consistenza organizzativa dell'imprenditore quale requisito di carattere tecnico
nell'ambito, per esempio, di una procedure selettiva per appalti pubblici».
Peraltro, il Legislatore della riforma ha inteso ribadire l’obbligo di una procedura autorizzativa pubblica per l’esercizio professionale della attività di
somministrazione e stabilire la presenza di specifici requisiti, in capo alle Agenzie per il lavoro delle prime due sezioni dell’Albo nazionale: ciò a garanzia dei
lavoratori che ricevono specifica tutela dal vaglio ministeriale delle capacità organizzative e gestionali dell’Agenzia cui si affidano, nonché delle imprese che
trovano negli estremi dell’autorizzazione il primo parametro di liceità della fornitura di manodopera.
Nella prospettiva dell’utilizzatore si apre una riflessione di ampia portata in
termini di convenienza reale dell’istituto: se, infatti, i vantaggi della non assunzione e del non computo in organico consentono una significativa flessibilità
all’azienda (anche in termini di sostituzione del lavoratore che si ritiene non idoneo, ad opera del somministratore), dall’altro lato si trova il “prezzo” della
somministrazione che si compone del costo effettivo del lavoro, compreso il
contributo al Fondo di garanzia, e dei costi aggiuntivi del servizio (il guadagno
dell’agenzia di somministrazione). Posto che una risposta secca, in termini di
analisi di costi e benefici, circa la maggiore vantaggiosità di un contratto di appalto rispetto a un contratto di somministrazione non può essere data in astratto
e in generale, ma necessita della valutazione specifica di tutti gli elementi del
caso concreto, chi scrive non intende sottrarsi al dovere di rispondere. Se la via
di fuga, rispetto ai costi della somministrazione, può essere rappresentata
dall’appalto di servizi, esso tuttavia non darà in nessun caso quella certezza del
diritto che la somministrazione regolare è in grado di fornire, a nessuno potrà
sfuggire che i calcoli dovranno essere svolti considerando molteplici fattori.
I fattori che determineranno il vantaggio della somministrazione saranno
quelli legati a: maggiori dimensioni dell’impresa, maggiori margini di guadagno
dall’attività dell’impresa (produttiva, commerciale o di servizio) e maggiore capacità concorrenziale dell’impresa sul mercato. Al contrario, invertendo negativamente i termini, si avranno maggiori convenienze nell’appalto, salvo a voler
dare prevalenza, in termini di costi eventuali, alla certezza giuridica dei rapporti
di lavoro, giacché in tal caso a prescindere dai risultati dell’analisi dei fattori in181
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
dividuati converrà sempre e comunque la somministrazione, in ragione
dell’evitata ricorrenza del contenzioso giudiziale e stragiudiziale; i costi aggiuntivi della somministrazione andranno recuperati su altro terreno, presumibilmente quello commerciale, con riflessi in termini sociali e macro-economici nei
confronti del cittadino.
La somministrazione lecita di lavoro, dunque, si svolge attraverso due distinte figure contrattuali che si attagliano l’una all’altra: da un lato il contratto di
somministrazione che è un contratto tipico di natura commerciale e dall’altro il
contratto di lavoro subordinato. Come il lavoratore rimane estraneo sostanzialmente al contratto di somministrazione, allo stesso identico modo l’utilizzatore
rimane estraneo al contratto di lavoro fra l’agenzia e il lavoratore. Si tratta,
quindi, di una vera e propria scissione strutturale fra la gestione normativa e gestione tecnico-produttiva del lavoratore somministrato, alla luce di una fattispecie negoziale complessa, la quale trova la propria disciplina regolativa nell’art.
20 del D.Lgs. n. 276/2003.
Di tutta evidenza è la struttura del rapporto di somministrazione che viene a
qualificarsi quale rapporto giuridico tripartito, fondato su una interrelazione trilaterale di distinte sfere giuridiche, in una fattispecie negoziale complessa che
coinvolge due posizioni contrattuali ben differenziate: un contratto di somministrazione (a termine o a tempo indeterminato), appunto, fra utilizzatore e somministratore; un contratto di lavoro subordinato (cd. “contratto di lavoro somministrato”), fra somministratore e lavoratore.
Per effetto della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dal 1° gennaio 2008 al 31
dicembre 2009 la somministrazione è stata possibile esclusivamente nella forma
a tempo determinato, come confermato dal Ministero del Lavoro con la Circolare 25 marzo 2008, n. 7; sotto il profilo della totale abrogazione doveva quindi
essere affrontata l’eventuale analisi sulla somministrazione di lavoro a tempo
indeterminato (cd. staff leasing).
Tuttavia con l’art. 2, comma 143, della legge Finanziaria 2010, legge 23
dicembre 2009, n. 191, viene ripristinato lo staff leasing con contestuale abrogazione del comma 46 dell’art. 1 della legge n. 247/2007 che lo aveva abrogato.
L’elenco delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato, viene integrato includendo, per tutti i settori produttivi, pubblici o privati, i servizi di cura e assistenza alla persona e i servizi di sostegno
alla famiglia. Inoltre, integrando il disposto di cui all’art. 20, comma 3, lett. i),
del D.Lgs. n. 276/2003, viene prevista la possibilità anche per la contrattazione
collettiva aziendale e non soltanto per quella nazionale o territoriale di introdurre nuove ipotesi di somministrazione a tempo indeterminato.
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
8.1.1. Il contratto di somministrazione
Il contratto di somministrazione è un contratto di scambio, a prestazioni sinallagmatiche, a titolo oneroso, in cui il somministratore si impegna, verso un
preciso corrispettivo economico (che la legge fissa nella misura minima inderogabile), a fornire uno o più lavoratori all’utilizzatore perché svolgano le proprie
prestazioni lavorative soggiacendo al potere direttivo, organizzativo e di controllo dell’utilizzatore stesso. Tale negozio giuridico deve essere stipulato in
forma scritta (art. 21, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003), ad substantiam, vale a
dire a pena di nullità.
In particolare, il contratto (scritto) di somministrazione deve contenere espressamente evidenziati alcuni elementi essenziali che di seguito si specificano:
a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
b) il numero dei lavoratori coinvolti dalla somministrazione;
c) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per
quanto concerne la somministrazione a tempo determinato;
d) l’espressa individuazione dei rischi per l’integrità e la salute dei lavoratori
individuati ai sensi della vigente normativa e delle misure di prevenzione
individuali e collettive adottate;
e) la data di inizio del contratto di somministrazione e la durata prevista dello
stesso, in caso di somministrazione a tempo determinato;
f) i costi della sicurezza, tenendo presente dal 15 maggio 2008, con l’entrata
in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, nei contratti di somministrazione
di lavoro, a norma dell’art. 26, comma 5, anche per gli appalti e i subappalti
in corso a tale data, «devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell'art. 1418 del cod.civ. i costi relativi alla sicurezza del lavoro con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto».
Accanto agli elementi richiamati, che possono ritenersi imprescindibili,
sebbene la loro mancanza non rappresenti un caso espresso di nullità, il Legislatore pone altri requisiti i quali devono risultare dal contratto scritto. L’art. 21,
comma 1, lett. da f) a k), del D.Lgs. n. 276/2003, infatti, configura il contenuto
complessivo del contratto di somministrazione, con una serie di elementi aggiuntivi relativi alla prestazione di lavoro che i lavoratori svolgeranno presso
l’utilizzatore, e che quindi forniscono chiarimenti circa l’oggetto commerciale
del contratto di somministrazione, ovvero di atti di impegno che già sono perfettamente previsti dalla legge.
Un’ultima precisazione, in materia di contenuto del contratto, viene estrinsecata dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003: «nell’indicare gli elementi
di cui al comma 1, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi». La contrattazione collettiva, dunque, tanto a livello nazionale che
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
ad altro livello, sia con riferimento all’utilizzatore che al somministratore, è
chiamata in causa nella fase di redazione e stipula del contratto di somministrazione al fine di integrare correttamente i dati contenutistici del contratto stesso.
L’importanza del richiamo, sostanziale e non formale, al contratto collettivo, nel
contesto delle operazioni negoziali legate alla somministrazione di lavoro, viene
sottolineata con forza anche dalla Circolare n. 13 del 9 aprile 2009.
Il Legislatore, nell’introdurre la somministrazione di lavoro, ha inteso anche prevedere alcune ipotesi tassative in cui la stipula del contratto non è semplicemente nulla, ma è vietata. I casi di divieto espresso, tassativamente esplicitati dall’art. 20, comma 5, del D.Lgs. n. 276/2003, sono ampiamente ricalcati,
sia pure con qualche aggiustamento e qualche inatteso taglio, a quelli già previsti dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 in materia di lavoro a termine e
dall’art. 1, comma 4 della legge n. 196/1997.
La legge n. 191/2009, tuttavia, modificando l’art. 20, comma 5, e aggiungendo il comma 5bis al medesimo articolo, ha previsto che non sia vietata la
somministrazione di lavoro se il contratto è stipulato per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti ovvero è concluso ai sensi dell'art. 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero ha una durata iniziale non superiore a tre
mesi, mentre ha precisato che, salvo diversa disposizione degli accordi sindacali, il divieto opera anche presso unità produttive nelle quali è operante una sospensione dei rapporti.
Con il comma 5bis, inoltre, è stato previsto che qualora il contratto di
somministrazione preveda l'utilizzo di lavoratori assunti dal somministratore ai
sensi dell'art. 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, non operano le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 del medesimo art. 20 con riferimento alle causali di legittimità della attivazione dei contratti di somministrazione. Inoltre ai
contratti di lavoro stipulati con lavoratori in mobilità ai sensi del nuovo comma
5bis si applica l'art. 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223.
8.1.2. Il contratto di lavoro somministrato
Il contratto instaurato dall’agenzia di somministrazione con il lavoratore
destinato ad essere somministrato non ha alcuna denominazione specifica, dovendosi assistere ad una sorta di “normalizzazione” del contratto di lavoro subordinato stipulato dal somministratore con il lavoratore che viene coinvolto
dalla somministrazione.
Sul punto la Circolare n. 7/2005 del Ministero del Lavoro ha avuto modo di
affermare esplicitamente: «diversamente da quanto previsto nella legge n. 196
del 1997, nella disciplina della somministrazione di lavoro non sono stati introdotti requisiti specifici relativamente al contratto di lavoro stipulato tra agenzia
di somministrazione e prestatore di lavoro. Il rispetto di requisiti formali dipenderà, pertanto, dalla tipologia di contratto stipulato tra le parti».
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
D’altronde, con la più recente Circolare n. 13 del 9 aprile 2009 il Ministero del
Lavoro ha inteso soffermarsi con assoluta attenzione alla disciplina del lavoro
somministrato e alle condizioni di legalità e di regolarità, anche documentale di
tale rapporto lavorativo.
Ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. n. 276/2003 il lavoratore che si appresta ad
essere somministrato può essere assunto sia a tempo indeterminato che a tempo
determinato. Nel primo caso è assoggettato alla disciplina generale dei rapporti
di lavoro dettata dal codice civile e dalle leggi speciali. In caso di lavoro a termine, invece, si applicano, nei limiti in cui risultano concretamente compatibili,
le norme previste dal D.Lgs. n. 368/2001 (ad eccezione dell’art. 5, comma 3 e
4). L’art. 22, comma 5, del D.Lgs. n. 276/2003 stabilisce poi che i lavoratori
somministrati non vengono computati nell’organico aziendale dell’utilizzatore
ai fini dell’applicazione della generalità degli istituti di legge o di contratto collettivo, fanno eccezione, però, le norme in materia di igiene e sicurezza del lavoro. Il computo dei lavoratori somministrati ai fini del rispetto delle norme in
materia di sicurezza presso lo stabilimento dell’utilizzatore può comportare particolari conseguenze in capo a quest’ultimo. Basti pensare, ad esempio,
all’incidenza sulla individuazione della figura del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, piuttosto che sulla riunione periodica di prevenzione
e protezione dai rischi, ovvero alla necessità di procedere alla elezione
all’interno dell’impresa utilizzatrice del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o ancora alla necessità di stabilire, a cura del medico competente, una
peculiare e differente periodicità delle visite nei luoghi di lavoro.
Il potere direttivo e quello organizzativo sono posti direttamente in capo
all’utilizzatore, mentre il potere disciplinare spetta esclusivamente al somministratore, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, in perfetta adesione allo schema giuridico del rapporto tripartito o trilaterale che vede la titolarità giuridica del rapporto di lavoro subordinato incentrata sull’agenzia di somministrazione, mentre lo svolgimento e l’utilizzazione effettiva della prestazione
lavorativa avvengono nell’interesse e sotto la direzione e il controllo
dell’utilizzatore. Peraltro, va segnalato, che l’agenzia di somministrazione seguita a gestire totalmente e senza deleghe né deroghe il potere direttivo nelle fasi che precedono l’assegnazione al singolo utilizzatore e nelle fasi successive,
nonché, durante lo svolgimento della somministrazione, residua in capo al
somministratore il potere direttivo e organizzativo consistente nel distrarre il lavoratore somministrato da una somministrazione in essere, per destinarlo ad altro e diverso incarico.
Lo ius variandi è esercitato di fatto dall’utilizzatore, quale espressione caratteristica e naturale del potere direttivo nei confronti del lavoratore somministrato. Se le mansioni cui il lavoratore viene assegnato sono superiori a quelle
contrattualmente previste, l’art. 23, comma 6, del D.Lgs. n. 276/2003 stabilisce
che l’utilizzatore deve tempestivamente informare per iscritto il somministratore
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
di tale evenienza: in mancanza della comunicazione scritta si ha una responsabilità esclusiva dell’utilizzatore per le differenze retributive dovute al lavoratore.
Il lavoratore somministrato, dipendente dell’agenzia di somministrazione,
ha diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello impiegati dall’utilizzatore, considerata la parità delle mansioni concretamente svolte (art. 23, comma 1). La norma
sancisce un vero e proprio obbligo di parità di trattamento fra il somministrato e
i lavoratori comparabili, non solo con riguardo al trattamento meramente economico, ma anche con riferimento al più generale trattamento normativo.
Fermi restando gli obblighi derivanti dalla contrattazione collettiva, soprattutto a seguito del rinnovo contrattuale del 24 luglio 2008, in vigore dal 1° gennaio 2009, di seguito, seguendo un autorevole e condivisibile schema espositivo, si annotano sinteticamente le componenti del costo del personale in somministrazione con riferimento ai profili retributivi:
a) elementi retributivi collettivi fissi: pure variamente denominati dai singoli
Ccnl, questi elementi comprendono le voci definite nella prassi quali “minimi tabellari”, e i trattamenti comunque soggetti a rinnovo periodico, si
tratta di emolumenti inderogabili;
b) elementi retributivi collettivi variabili: si tratta di elementi ricorrenti nella
contrattazione aziendale di molte imprese, che vanno espressamente concordati con esplicitazione delle modalità di attribuzione al personale somministrato;
c) elementi retributivi collettivi occasionali: rientrano in questa voce alcuni
elementi attribuiti dalla contrattazione collettiva, nazionale o anche aziendale, alla generalità dei lavoratori in ragione della particolare tipologia delle
prestazioni lavorative svolte;
d) elementi retributivi collettivi differiti e indiretti: si tratta degli emolumenti
corrisposti in aggiunta al trattamento periodico mensile, che maturano nel
corso dell’anno ma vengono erogati a consuntivo e devono essere comunicati alla agenzia di somministrazione;
e) trattamenti normativi collettivi da cui conseguono effetti economici: si tratta di trattamenti non spettanti in base al dettato del Ccnl, riconosciuti a titolo di miglior favore ad interi gruppi o categorie di lavoratori.
Sul trattamento economico del lavoratore somministrato si sofferma puntualmente la Circolare ministeriale n. 13 del 2009 al fine di evidenziarne le differenti peculiarità e caratteristiche.
8.1.3.Gli obblighi documentali
Con riferimento alle comunicazioni obbligatorie del rapporto di lavoro in
somministrazione, l’ultimo periodo dell’art. 9bis, comma 2, del D.L. 1° ottobre
1996, n. 510, convertito nella legge 28 novembre 1996, n. 608, come sostituito
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
dall’art. 1, comma 1180, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, obbliga le Agenzie per il lavoro autorizzate alla somministrazione ad effettuare al centro per
l’impiego territorialmente competente (in base alla sede operativa dell’agenzia),
rectius al Sistema Informatico CO, una apposita comunicazione entro il giorno
venti del mese successivo alla data dell’evento, l’assunzione, la proroga e la
cessazione dei lavoratori temporanei assunti nel corso del mese precedente. Per
quanto la norma faccia riferimento al mese successivo alla “data di assunzione”,
evidentemente il parametro temporale deve intendersi esteso anche alle rispettive date della proroga e della cessazione dei rapporti instaurati con i lavoratori
inviati in somministrazione.
A seguito della mini-riforma del collocamento, pertanto, le Agenzie di
somministrazione hanno un tempo ragionevole per adempiere agli obblighi di
comunicazione in materia per i lavoratori assunti e poi somministrati presso diversi utilizzatori, ferma restando la certezza della data di instaurazione del rapporto di lavoro in ragione dell’obbligo di forma scritta del contratto di somministrazione di lavoro e della relativa comunicazione di inizio somministrazione da
consegnare anticipatamente al lavoratore somministrato.
Sul ruolo della comunicazione obbligatoria delle agenzie di somministrazione interviene anche la Circolare ministeriale n. 13 del 9 aprile 2009, la quale
sottolinea che con l’entrata in vigore del decreto interministeriale del 30 ottobre
2007 anche per le agenzie per il lavoro di somministrazione è divenuto definitivamente operativo «il sistema di trasmissione telematica delle comunicazioni di
assunzione, cessazione, trasformazione e proroga dei rapporti di lavoro», dal
1° marzo 2008 in forma esclusivamente «per il tramite dei servizi informatici
resi disponibili dai servizi competenti». In virtù del nuovo sistema informativo
sul collocamento della manodopera le agenzie di somministrazione devono comunicare l’instaurazione, la trasformazione, la proroga e la cessazione dei rapporti di lavoro dei lavoratori somministrati mediante l’utilizzo del modulo “Unificato Somm”.
La Circolare n. 13/2009, precisa che «in considerazione della loro specificità», per le comunicazioni riferite ai lavoratori somministrati viene previsto
«un termine diverso» dalla generalità degli altri datori di lavoro, «stabilito nel
ventesimo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato l’evento da
comunicare».
Con riferimento al libro unico del lavoro sempre la citata Circolare n.
13/2009 del Ministero ribadisce che «tutti i lavoratori subordinati, senza distinzioni, che sono assunti o che operano per conto di un datore di lavoro devono
essere oggetto di scritturazioni sul libro unico del lavoro», secondo quanto previsto dall’art. 39, comma 1, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Da qui la sottolineatura, che la
Circolare n. 13/2009 compie sulla scia della Circolare n. 20/2008 e del Vademecum del 5 dicembre 2008, per cui l’agenzia di somministrazione, «quale datore
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
di lavoro dei lavoratori somministrati», è tenuto ad effettuare «le scritturazioni
integrali, sul proprio libro unico del lavoro, con riguardo ai dati identificativi
del lavoratore, al calendario delle presenze e ai dati retributivi, previdenziali,
fiscali e assicurativi», nel termine previsto dal D.L. n. 112/2008, vale a dire entro il 16 del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione lavorativa. Nondimeno, ribadendo quanto già esplicitamente affermato dallo stesso Ministero, la Circolare n. 13/2009 segnala che «l’obbligo di scritturazione riguarda anche l’utilizzatore, quale beneficiario della prestazione di lavoro e soggetto
titolare del potere di direzione e controllo del lavoratore». L’utilizzatore, quindi, deve procedere ad iscrivere nel proprio libro unico i lavoratori somministrati
che operano presso la propria azienda, annotando i soli dati identificativi: nome
e cognome, codice fiscale, qualifica e livello di inquadramento contrattuale,
nominativo dell’agenzia di somministrazione. Da ultimo la Circolare n. 13/2009
ribadisce anche quanto chiarito, in ottica semplificatrice, dal Vademecum ministeriale del 5 dicembre 2008, secondo cui «le registrazioni dei somministrati nel
libro unico del lavoro dell’utilizzatore possono essere effettuate senza particolari obblighi di tracciato e anche in forma di elenco, a condizione che il relativo
cedolino risulti elaborato con numerazione sequenziale e contenga per ciascun
soggetto i dati essenziali richiamati».
L’art. 21, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003 stabilisce che il somministratore
deve informare il lavoratore somministrato, per iscritto, all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore circa:
gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; il numero dei lavoratori somministrati; le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo che motivano il ricorso alla somministrazione a termine; la presenza
di rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e le misure di prevenzione adottate; la data di inizio e la durata prevista della somministrazione; le mansioni alle quali sarà adibito il lavoratore e il suo inquadramento; il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo.
La Circolare n. 13 del 9 aprile 2009 del Ministero del Lavoro si occupa in
modo assai impegnativo e significativo del problema riguardante la acquisizione
della prova, da parte del personale ispettivo degli organi di vigilanza in materia
di lavoro e previdenza sociale, circa la regolare costituzione del rapporto di lavoro fra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore somministrato.
Posto che le agenzie di somministrazione sono gli unici datori di lavoro che
possono procedere a comunicare l’assunzione dei lavoratori in somministrazione anziché preventivamente entro il giorno venti del mese successivo, la Circolare n. 13/2009 fornisce una indicazione chiara, certa e univoca al personale ispettivo e ai datori di lavoro, utilizzatori e somministratori, al fine di non incorrere nelle pesanti reazioni sanzionatorie legate al ricorso al lavoro irregolare
(maxisanzione contro il sommerso e sospensione dell’attività d’impresa). Le affermazioni del Ministero del Lavoro sono secche e decise: «In considerazione
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
della mancanza di una comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto
di lavoro, la regolare occupazione del lavoratore somministrato, inviato in missione presso l’utilizzatore, potrà essere dimostrata, a seguito di un accesso ispettivo, attraverso l’esibizione da parte del lavoratore stesso o della agenzia di
somministrazione del contratto individuale di lavoro sottoscritto dalle parti
(…), o in alternativa della comunicazione di invio in somministrazione».
Per avere la certezza di non incorrere nella sanzione per l’occupazione “in
nero” del lavoratore in somministrazione, dunque, l’agenzia di somministrazione – peraltro, nella consapevolezza che, per il principio di effettività della tutela,
la maxisanzione contro il sommerso colpirebbe il datore di lavoro utilizzatore –
deve mettere il lavoratore nelle condizioni di esibire al personale ispettivo, in
occasione dell’accesso presso l’azienda utilizzatrice nei confronti della quale
presta la propria attività lavorativa, alternativamente uno dei due documenti richiamati: il contratto di lavoro somministrato, vale a dire il contratto di lavoro
stipulato fra l’agenzia e il lavoratore, valido anche quale dichiarazione di assunzione; la comunicazione di inizio e di invio in somministrazione, rilasciata al
lavoratore prima dell’avvio della missione presso il singolo utilizzatore.
8.1.4. Potere disciplinare
Ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, che è riservato al somministratore in quanto datore di lavoro, l'utilizzatore comunica al somministratore gli elementi che formano oggetto della contestazione. Da tale disposizione di legge
risulta chiaro che il potere di comminare sanzioni disciplinari è del somministratore che giudicherà sulla base di quanto comunicato dall'utilizzatore (e delle
eventuali contestazioni e/o giustificazioni del lavoratore) e non appartiene direttamente all'utilizzatore; è di conseguenza evidente che il somministratore potrebbe anche disattendere, quanto meno sul piano giuridico, l'implicita richiesta
dell'utilizzatore di comminare la sanzione. Se vediamo la cosa dal punto di vista
del rapporto fra somministratore e utilizzatore il discorso è diverso ed importa
considerazioni coinvolgenti la politica da seguire nei confronti della clientela da
parte del somministratore. Se il lavoratore intende opporsi alle eventuali sanzioni adottate dovrà presentare le sue giustificazioni e contestazioni al somministratore dal quale dipende e non all'utilizzatore. In ogni caso la responsabilità
per l'applicazione di eventuali sanzioni indebite è del somministratore.
8.1.5. Diritti sindacali
Ferme restando le disposizioni specifiche per il lavoro in cooperative, ai lavoratori delle società o imprese di somministrazione e degli appaltatori si applicano i diritti sindacali di cui alla legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori). Il
prestatore di lavoro ha diritto di esercitare presso l'utilizzatore, per tutta la dura189
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
ta della somministrazione, i diritti di libertà e di attività sindacale nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici. Ai
prestatori di lavoro che dipendono da uno stesso somministratore e che operano
presso diversi utilizzatori compete uno specifico diritto di riunione secondo la
normativa vigente e con le modalità specifiche determinate dalla contrattazione
collettiva. L'utilizzatore comunica alla rappresentanza sindacale unitaria ovvero
alle rappresentanze aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: a) il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro prima della stipula del contratto di somministrazione; ove ricorrano motivati ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, l'utilizzatore fornisce le predette comunicazioni entro i cinque giorni successivi; b)
ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla
quale aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi e la qualifica dei lavoratori interessati.
8.1.6. Norme previdenziali
Gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali previsti
dalle vigenti disposizioni legislative sono a carico del somministratore che è inquadrato nel settore terziario. Sull'indennità di disponibilità i contributi sono
versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa
in materia di minimale contributivo. Il somministratore non è tenuto al versamento dell'aliquota contributiva di cui all'art. 25, comma 4, della legge n.
845/1978. Gli obblighi per l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali sono determinati in base al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte. I
premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio, o medio ponderato, stabilito per l'attività svolta dall'impresa utilizzatrice nella quale sono inquadrabili le attività svolte dai lavoratori somministrati, ovvero sono determinati in base al tasso medio o medio ponderato della voce di tariffa corrispondente
alla lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore, ove presso l'utilizzatore
la stessa sia già assicurata. Nel settore agricolo e in caso di somministrazione di
lavori domestici trovano applicazione i criteri erogativi e gli oneri previdenziali
e assistenziali previsti per i relativi settori. La disposizione è da mettere in relazione alle notevoli differenze in materia di prestazioni e di contribuzione rispetto a quanto previsto per il settore terziario nel quale sono inquadrate le Agenzie
di somministrazione.
190
Parte Seconda – I contratti di lavoro
8.1.7. La ritenuta Irpef
Il fatto che il lavoratore sia alle dipendenze del somministratore e non
dell'utilizzatore fa sì che, come del resto già visto, la retribuzione sia a carico
del somministratore (sia pure con il diritto di farsi rimborsare dall'utilizzatore),
con l'ulteriore conseguenza che tutti gli adempimenti di natura fiscale, a cominciare dall'obbligo di effettuare la ritenuta e del relativo versamento a favore
dell'Amministrazione finanziaria sono posti a carico del somministratore stesso.
8.1.8. Fondi per la formazione e l'integrazione del reddito
Sulla base di quanto disposto dall'art. 12 del D.Lgs. n. 276/2003 i soggetti
autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare ai fondi bilaterali (dei quali ci occuperemo più oltre in questo stesso sottotitolo), un contributo
pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a
tempo determinato per l'esercizio dell'attività di somministrazione. Le risorse
sono destinate ad interventi a favore dei lavoratori assunti con contratto a tempo
determinato intesi in particolare a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità di occasioni di impiego e prevedere specifiche misure di carattere previdenziale. I soggetti autorizzati alla
somministrazione di lavoro sono altresì tenuti a versare ai suddetti fondi bilaterali un contributo pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti
con contratto a tempo indeterminato. Le risorse sono destinate a: a) iniziative
comuni finalizzate a garantire l'integrazione del reddito dei lavoratori assunti
con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori; b) iniziative comuni
finalizzate a verificare l'utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione dal lavoro non regolare e
di contrasto agli appalti illeciti; c) iniziative per l'inserimento o il reinserimento
nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le Regioni; d) per la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale. Le somme di cui sopra sono rimesse a fondi bilaterali appositamente costituiti (Forma.temp per i somministrati a tempo determinato ed Ebiref per i somministrati a tempo indeterminato), attivati a seguito di
autorizzazione del Ministro del lavoro previa verifica della congruità rispetto alle finalità istituzionali enunciate in precedenza, dei criteri di gestione e delle
strutture di funzionamento del fondo stesso con particolare riferimento alla sostenibilità finanziaria complessiva del sistema. Il Ministero del lavoro esercita la
vigilanza sulla gestione dei fondi. In caso di omissione, anche parziale, dei contributi ai fondi bilaterali, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere, oltre al
contributo omesso e alle relative sanzioni una somma, a titolo di sanzione amministrativa, di importo pari a quello del contributo omesso; gli importi delle
sanzioni amministrative sono rimessi ai fondi in questione.
191
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
8.1.8.1.
Le novità sui Fondi bilaterali
Il comma 4 dell’art. 48 del Collegato Lavoro modifica l’art. 12 del D.Lgs.
n. 276/2003, anzitutto prevedendo che le risorse dei Fondi bilaterali sono destinate a interventi di formazione e riqualificazione professionale, nonché a misure
di carattere previdenziale e di sostegno al reddito a favore dei lavoratori assunti
con contratto a tempo determinato, dei lavoratori che hanno svolto in precedenza missioni di lavoro in somministrazione in forza di contratti a tempo determinato e, limitatamente agli interventi formativi, dei lavoratori potenziali candidati
a una missione (art. 12, comma 1). Sostituendo il comma 3 del medesimo art.
12 si chiarisce che gli interventi sono attuati nel quadro delle politiche e delle
misure stabilite dal CCNL delle agenzie di somministrazione, sottoscritto dalle
organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Nel comma 5 viene aggiunto l’obbligo di approvare, entro 60 giorni dalla presentazione, il documento contenente le regole
stabilite dal Fondo per il versamento dei contributi e per la gestione, il controllo,
la rendicontazione e il finanziamento degli interventi (decorso inutilmente tale
termine, il documento si intende approvato). Sostituendo il comma 8 si prevede
che in caso di omissione, anche parziale, dei contributi dovuti, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al fondo di cui all’art. 12, comma 4, oltre al contributo omesso, gli interessi nella misura prevista dal tasso indicato all’articolo 1
del D.M. Economia e finanze 26 settembre 2005, più il 5%, nonché una sanzione amministrativa di importo pari al contributo omesso. Con l’aggiunta del
nuovo comma 8bis si stabilisce che in caso di mancato rispetto delle regole contenute nel documento di cui al novellato comma 5, il fondo nega il finanziamento delle attività formative oppure procede al recupero totale o parziale dei finanziamenti già concessi (le somme restano a disposizione dei soggetti autorizzati
alla somministrazione per ulteriori iniziative formative); nei casi più gravi, individuati dalla predetta disciplina e previa segnalazione al Ministero del Lavoro,
si procede ad una definitiva riduzione delle somme a disposizione dei soggetti
autorizzati alla somministrazione in misura corrispondente al valore del progetto formativo inizialmente presentato o al valore del progetto rendicontato e finanziato (le somme sono destinate al fondo di cui al comma 4). Infine, con
l’inserimento del nuovo comma 9bis si chiarisce che gli interventi si applicano
esclusivamente ai lavoratori assunti per prestazioni di lavoro in somministrazione.
8.1.9. Norme particolari per i lavoratori “svantaggiati” (workfare)
L'art. 13 del D.Lgs. n. 276/2003 detta particolari norme derogative ai principi generali della somministrazione in relazione della somministrazione in favore dei lavoratori “svantaggiati” (da non confondere con i lavoratori “disabi192
Parte Seconda – I contratti di lavoro
li”). L'art. 2 dello stesso decreto definisce “lavoratore svantaggiato” qualsiasi
persona appartenente ad una categoria che abbia difficoltà ad entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro ai sensi dell'art. 2, nn. 18) e 19), del Regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione del 6 agosto 2008 (che ha sostituito
il previgente Reg. CE n. 2204/2002) che considera tale: chi non ha un impiego
regolarmente retribuito da almeno sei mesi; chi non possiede un diploma di
scuola media superiore o professionale; lavoratori che hanno superato i 50 anni
di età; adulti che vivono soli con una o più persone a carico; lavoratori occupati
in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che
supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al
genere sottorappresentato; membri di una minoranza nazionale all'interno di uno
Stato membro che hanno necessità di consolidare le proprie esperienze linguistiche, di formazione professionale o di lavoro, per migliorare le prospettive di
accesso ad un'occupazione stabile; lavoratore senza lavoro da almeno 24 mesi.
Ciò chiarito, al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mondo del
lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare, alle
agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro è consentito: a) operare in
deroga al principio per il quale i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quelli di pari
livello dell'utilizzatore a parità di mansioni svolte, ciò però solo in presenza di
un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro con
interventi formativi idonei, al coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, e a fronte della assunzione del lavoratore, da parte delle
Agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore
a sei mesi; b) determinare altresì, per un periodo massimo di dodici mesi e solo
in caso di contratto non inferiore a nove mesi, il trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennità di mobilità, indennità di disoccupazione
ordinaria o speciale, o altra indennità o sussidio la cui corresponsione è collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo dai contributi dovuti per l'attività lavorativa l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamento di mobilità e di indennità di disoccupazione ordinaria o speciale. Il lavoratore destinato alle attività di cui sopra decade dal trattamento di mobilità qualora l'inserimento nelle relative liste sia finalizzata esclusivamente al reimpiego,
di disoccupazione ordinaria o speciale o di altra indennità o sussidio la cui corresponsione è collegata allo stato di disoccupazione o di inoccupazione quando:
a) rifiuti di essere avviato a un progetto individuale di reinserimento nel mercato
del lavoro ovvero rifiuti di essere avviato a un corso di formazione professionale approvato dalla Regione o non lo frequenti regolarmente, fatti salvi i casi di
impossibilità derivante da forza maggiore; b) non accetti l'offerta di un lavoro
inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20% rispetto a quello delle
193
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
mansioni di provenienza; c) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla competente sede Inps dello svolgimento di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale. Le disposizioni si applicano
quando le attività lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano congrue
rispetto alle competenze e alle qualifiche del lavoratore stesso e si svolgano in
un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezzi pubblici da quello della sua residenza. Le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non si applicano ai lavoratori inoccupati. Nei casi di cui sopra i responsabili dell'attività formativa ovvero le
Agenzie di somministrazione di lavoro comunicano direttamente all'Inps e al
Servizio per l'impiego territorialmente competente ai fini della cancellazione
dalle liste di mobilità, i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti decaduti dai trattamenti previdenziali; a seguito di detta comunicazione l'Inps sospende cautelativamente l'erogazione del trattamento medesimo, dandone comunicazione agli interessati.
8.1.9.1.
Le novità sulla presa in carico
Il comma 5 dell’art. 48 del Collegato Lavoro modifica l’art. 13 del D.Lgs.
n. 276/2003, aggiungendovi un nuovo comma 5bis il quale prevede che la deroga al regime generale di parità di trattamento, in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, a fronte della assunzione da parte dell’agenzia di somministrazione, con contratto non inferiore a 6
mesi (art. 13, comma 1, lett. a), trova applicazione soltanto in presenza di una
apposita convenzione stipulata tra una o più agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro con i Comuni, le Province, le Regioni ovvero con le agenzie
tecniche strumentali del Ministero del lavoro (ad es. Italia Lavoro).
8.1.10. La somministrazione irregolare, illecita e fraudolenta
Il D.Lgs. n. 276/2003 parla di «somministrazione irregolare» con riferimento alle ipotesi in cui la somministrazione avviene «al di fuori dei limiti e
delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, lettere a), b), c), d) ed e)» (art. 27,
comma 1). Le conseguenze di tale comportamento «irregolare» da parte di utilizzatore e somministratore operano su due diversi piani.
Su un piano sanzionatorio entrambi saranno soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 18, comma 3, prevista nell’importo da 250 a
1250 euro, fa eccezione soltanto l’ipotesi della omessa effettuazione della comunicazione scritta al lavoratore somministrato, all’inizio dell’incarico di somministrazione e del conseguente invio presso l’utilizzatore, in quanto tale obbligo è posto in capo dal Legislatore al somministratore, che solo risponde
dell’eventuale omissione.
Su un piano strettamente giuslavoristico, invece, il lavoratore potrà presentare ricorso al Tribunale quale Giudice del lavoro nei confronti dell’utilizzatore
194
Parte Seconda – I contratti di lavoro
che ne ha utilizzato le prestazioni lavorative ai fini di ottenere il riconoscimento
della sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di questi, con effetto
fin dal sorgere della somministrazione.
Sono poi chiaramente delineati i contorni normativi delle ipotesi di reato integrate dall’esercizio abusivo della somministrazione di lavoro, in qualsiasi
forma e tipologia negoziale, e dall’utilizzazione illecita dei lavoratori abusivamente somministrati.
All’evidenza, pertanto, si discute di due distinte figure di reato, entrambe di
tipo contravvenzionale: il reato di somministrazione abusiva, quello commesso
dal somministratore che senza autorizzazione esercita le attività di somministrazione di lavoro a termine o a tempo indeterminato (art. 18, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. n. 276/2003); il reato di utilizzazione illecita, quello commesso dall’utilizzatore che ricorre alla somministrazione di prestatori di lavoro da
parte di soggetto non autorizzato e li occupa nella propria attività lavorativa (art.
18, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003).
La pena ora prevista è quella pecuniaria dell’ammenda, pari a 50 euro per
ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro; si tratta di una pena proporzionale impropria, ovvero di una pena a proporzionalità progressiva, dove
rilevano due elementi distinti: la base sanzionatoria stabilita in misura fissa predeterminata dal Legislatore e il coefficiente moltiplicatore che varia secondo le
concrete circostanze di fatto verificatesi nella fattispecie sottoposta ad accertamento.
Il Ministero del Lavoro con Nota 21 febbraio 2008, n. 2852, in merito al
criterio di calcolo da applicarsi per la quantificazione dell’ammenda ha chiarito
che «la quantificazione della pena è data dal prodotto della base monetaria per
la variabile lavoratori il cui risultato va nuovamente moltiplicato per l’altra variabile numero giorni».
Va segnalato che la fattispecie illecita in esame costituisce, nello schema
delineato dal D.Lgs. n. 276/2003, il grado medio nella somministrazione non a
norma di legge e, quindi, l’ipotesi base di reato. Nella scala ideale di gravità
crescente delle ipotesi di somministrazione posta in essere in violazione delle
disposizioni vigenti, al grado più basso si colloca, infatti, la somministrazione
irregolare, anzidetta, mentre all’estremo opposto, al grado massimo della graduazione del disvalore sociale della condotta del somministratore e
dell’utilizzatore si situa, invece, il reato contravvenzionale di tipo doloso della
somministrazione fraudolenta.
La somministrazione fraudolenta rappresenta, quanto all’analisi del profilo
soggettivo, un vero e proprio reato plurisoggettivo proprio, in cui le due parti
del contratto commerciale di somministrazione di lavoro rispondono penalmente di una specifica condotta posta al di fuori degli schemi tipici di liceità. Quanto all’elemento della colpevolezza deve rilevarsi che il grado di rimproverabilità
della condotta qui non è quello della colpa (come invece nel reato “composto”
195
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
di somministrazione abusiva con utilizzazione illecita), in quanto è prevista una
consapevolezza dolosa psicologicamente orientata da parte dei due responsabili,
utilizzatore e somministratore: l’art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003 definisce «somministrazione fraudolenta» quella che «è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al
lavoratore». Rileva, quindi, una fattispecie penale di dolo specifico, dove non
soltanto viene in considerazione l’intenzionalità del reato, ma la specifica finalità dello stesso, chiedendo che vi sia un’intesa fra utilizzatore e somministratore
o, quanto meno, la effettiva consapevolezza riguardo all’utilizzo illecito della
manodopera (c.d. consilium fraudis), vale a dire nei confronti di un uso illecito
del contratto di somministrazione che viene specificamente finalizzato alla elusione del sistema normativo di protezione configurato in dettagliate tutele legali
o contrattuali.
D’altra parte, si tenga presente che anche la somministrazione fraudolenta,
come già quella abusiva, si connota quale reato di pericolo: in effetti, l’illecito
penale potrà considerarsi realizzato ogniqualvolta la finalità elusiva dell’azione
risulterà provata, a prescindere da qualsiasi indagine circa gli eventuali esiti
concreti dell’elusione agita e voluta, che potranno anche mancare.
Sul piano sanzionatorio, con una tecnica legislativa non del tutto tipica della legislazione penale, viene confermato l’intero apparato sanzionatorio contenuto nell’art. 18 e a questo viene poi aggiunta la pena pecuniaria dell’ammenda
pari a 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ogni giorno di utilizzazione
fraudolenta.
8.2. Appalto
L’appalto è un contratto «di risultato» (Cass. Civ., 29 gennaio 1983, n.
821), mediante il quale una parte, che assume la denominazione di “appaltatore”, assume, con organizzazione di mezzi propri necessari e con gestione a proprio rischio, l’obbligazione di compiere per l’altra parte, denominata “appaltante” o “committente”, un’opera o di prestare alla stessa un servizio, verso un corrispettivo. Tale definizione, ricavata dalla disciplina prevista dal codice civile
(artt. 1655-1677), deve integrarsi con il dettato normativo dell’art. 29 del D.Lgs.
n. 276/2003 il quale stabilisce, in ottica strettamente lavoristica, che l’appalto si
distingue dalla somministrazione di lavoro proprio per l’organizzazione dei
mezzi necessari e per la assunzione del rischio d’impresa da parte
dell’appaltatore.
Nell’attuale contesto imprenditoriale, caratterizzato dal riassettarsi complessivo di una società cosiddetta “post-industriale”, nell’ottica quindi di un sistema economico in cui sempre più numerosi sono gli addetti al settore dei servizi e sempre meno rilevanti sono i numeri degli operatori dell’industria,
196
Parte Seconda – I contratti di lavoro
l’appalto si caratterizza sempre più quale tipologia contrattuale utilizzata secondo due standard di riferimento:
a) anzitutto, tradizionalmente, in quegli ambiti dell’attività produttiva nei quali l’imprenditore opera su commissione diretta del cliente per realizzare il
prodotto o i prodotti specifici ai quali il cliente stesso aspira, secondo i propri desiderata, senza limitarsi ad una produzione seriale e preventivamente
determinata. In questa prospettiva si determina, ad esempio, l’uso del contratto di appalto d’opera, sia inteso nel quadro della costruzione di edifici o
opere, pubbliche o private, sia nello spazio relativo alla realizzazione di
singoli prodotti o beni;
b) in secondo luogo, e da ultimo sempre con maggiore efficacia e presenza, la
figura contrattuale in argomento si estrinseca, in termini fenomenologici, e
in tale contesto prevalente se ne occupa il D.Lgs. n. 276/2003,
nell’affidamento, da parte di singole imprese, di uno o più servizi alle cure
di altre realtà imprenditoriali o aziendali, non necessariamente da considerarsi minori, specializzate o tecnicamente più attrezzate per l’esecuzione
dei servizi stessi. In questo ambito si muove il contratto di appalto di servizi, nei cui confronti l’impresa italiana volge ormai da qualche decennio
un’attenzione precipua, dando a questa tipologia contrattuale uno spazio
sempre più numeroso e crescente: sia nell’industria vera e propria (basti
pensare all’affidamento in appalto dei servizi di installazione, di montaggio-smontaggio, di manutenzione di impianti e/o attrezzature), sia nel terziario (e qui si ponga pensiero ai servizi legati ai sistemi informatici, alle
reti, alla pubblicità, all’informazione, al marketing, al customer service).
Parlare di “appalto”, allora vuol dire, essenzialmente, discutere non di una
singola tipologia negoziale, ma piuttosto di una fenomenologia più complessa,
in cui questo contratto tipico di origine codicistica si presenta primariamente distinto in due macro-modelli:
a) appalto d’opera, relativo alla realizzazione di una o più opere specifiche;
b) appalto di servizi, relativo alla prestazione di uno o più servizi.
Si deve poi ulteriormente riflettere sul dato della caratterizzazione del secondo dei due normotipi che, a sua volta, si struttura in due ambiti fortemente
differenziati, con problematiche e disciplina assai diverse fra loro: appalto di
servizi endo-aziendali, laddove i servizi vengono resi e svolti direttamente
all’interno degli spazi aziendali; appalto di servizi extra-aziendali, quando i servizi sono prestati nella sede propria dell’appaltatore.
Sulla dicotomia da ultimo accennata occorre concentrare una iniziale analisi epifenomenica. La differenza cade, come pure nominalisticamente osservabile, sul luogo di svolgimento del servizio appaltato. Nel primo caso l’appalto si
svolge negli spazi di pertinenza dell’azienda committente, ovvero, in taluni casi
sempre meno sporadici, direttamente nei luoghi di lavoro dell’appaltante. Nel
197
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
secondo caso, invece, il servizio viene prestato senza connessione strutturale
con la realtà lavorativa del committente, limitandosi l’appaltatore a recarsi presso l’impresa appaltante esclusivamente per il tempo strettamente necessario,
svolgendo l’attività di realizzazione o di predisposizione del servizio in altra
struttura di sua proprietà o appartenenza.
Proprio all’occhio allenato del giuslavorista la differenziazione fra appalti
endo-aziendali e appalti extra-aziendali impone una riflessione attenta. Non v’è
dubbio, in effetti, che proprio nelle situazioni in cui il datore di lavoro deciderà
di non svolgere direttamente il servizio avvalendosi del proprio personale dipendente o di lavoratori somministrati, ma si rivolgerà ad un altro soggetto in
veste di appaltatore, allorché lo stesso fosse chiamato ad impegnare i propri dipendenti direttamente all’interno dell’azienda committente, scorrono, oggi come
ieri, davanti agli occhi del giurista le immagini dei pericoli di confusione per il
corretto inquadramento della fattispecie posta in essere.
Discutendo dei soggetti che danno vita ad un contratto di appalto genuino,
occorre anzitutto precisare che non si tratta di un rapporto trilaterale. Coinvolti
nelle rispettive sfere giuridiche sono, in effetti, soltanto il committente, che necessita della realizzazione di un’opera ovvero della esecuzione di un servizio, e
l’appaltatore che vanta l’organizzazione idonea a realizzare l’opera o ad eseguire il servizio. Il lavoratore, dipendente dall’appaltatore, inserito nella sua struttura organizzativa, in un appalto genuino, infatti, non viene coinvolto dalla estrinsecazione dei contenuti e degli sviluppi del contratto, né nel momento genetico (stipula del negozio), né nel momento funzionale (sviluppo del rapporto).
8.2.1. La genuinità dell’appalto
Nel contratto regolare di appalto, ai sensi dell’art. 1655 cod.civ., che l’art.
29 del D.Lgs. n. 276/2003 espressamente ed esplicitamente richiama, nell’ottica
di un importante e atteso coordinamento normativo, l’appaltatore s’impegna, nei
confronti del committente, contro un corrispettivo pattuito, a realizzare con rischio a proprio carico un risultato predefinito, facendo affidamento e utilizzando la propria organizzazione imprenditoriale e, nell’ambito di questa, i propri
dipendenti in piena e totale autonomia. Al contrario si ha un fittizio contratto di
appalto (c.d. “appalto di manodopera”), che maschera una interposizione illecita
di manodopera, quando lo pseudo-appaltatore si limita a mettere a disposizione
dello pseudo-committente le mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti,
che finiscono per essere alle dipendenze effettive di quest’ultimo, il quale detta
loro le direttive sul lavoro, esercitando su di essi i tipici poteri datoriali.
Or bene, la giurisprudenza e la prassi hanno segnalato una serie di aspetti
sintomatici sulla scorta dei quali far emergere e sanzionare gli appalti (illeciti)
di manodopera, ieri alla luce dell’abrogata legge n. 1369/1960, oggi in virtù delle norme introdotte dal D.Lgs. n. 276/2003.
198
Parte Seconda – I contratti di lavoro
In questa prospettiva appare interessante leggere la massima di una recente
pronuncia della Suprema Corte volta a delineare i requisiti oggettivi di principale rilevanza per un appalto genuino: «Con riguardo al divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro sancito dall’art. 1, legge 23 ottobre 1960, n. 1369 occorre di volta in volta – al di là dell’ipotesi di presunzione di interposizione fittizia prevista dal terzo comma dell’art. 1 citato (per il caso di fornitura all’appaltatore da parte del committente di capitale, macchine
ed attrezzature) – procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che
caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se
l’impresa appaltatrice, assumendo su di sé il rischio economico dell’impresa,
operi concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’impresa committente; se sia provvista di una propria organizzazione d’impresa; se in concreto assuma su di sé l’alea economica insita
nell’attività produttiva oggetto dell’appalto; infine se i lavoratori impiegati per
il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall’appaltatore ed
agiscano alle sue dipendenze e nel di lui interesse. Quando tutti questi elementi
siano riscontrati come presenti ed i risultati dell’accertamento processuale
convergano nel senso che l’impresa appaltatrice sia sprovvista di effettiva autonomia imprenditoriale ed abbia struttura e capitali del tutto inadeguati
all’importanza dell’opera, i poteri decisionali siano riservati al committente e
sia sottratta all’appaltatore ogni autonomia, sicché questo sia un semplice
strumento per celare la realtà dei rapporti, il fatto che egli abbia anche potuto
impiegare, nell’esecuzione dei lavori, capitale, attrezzature e mezzi propri, diventa circostanza del tutto marginale ed irrilevante ai fini del riconoscimento
della sussistenza della situazione interpositoria ipotizzata dal primo comma
dell’art. 1 della legge n. 1369 del 1960» (Cass. Civ., Sez. Lav., 27 gennaio
2005, n. 1676).
Si tratta, allora, fondamentalmente di una serie di indici e criteri rivelatori
che possono sintetizzarsi come segue:
1) mancanza in capo all’appaltatore della qualifica di imprenditore, o meglio
di un’organizzazione (tecnica ed economica) di tipo imprenditoriale;
2) mancanza dell’effettivo esercizio del potere direttivo da parte
dell’appaltatore;
3) impiego di capitali, macchine e attrezzature fornite dall’appaltante;
4) la natura delle prestazioni svolte esula da quelle dell’appalto, afferendo a
mansioni tipiche dei dipendenti del committente;
5) corrispettivo pattuito in base alle ore effettive di lavoro e non riguardo
all’opera compiuta o al servizio eseguito, ovvero corresponsione della retribuzione direttamente da parte del committente.
Con riguardo ai criteri orientativi per individuare gli elementi essenziali
dell’appalto non genuino è intervenuto espressamente il Ministero del Lavoro
199
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
con Nota 29 novembre 2007, n. 15749 e con due risposte ad Interpello n. 16 del
20 febbraio 2009 e n. 77 del 22 ottobre 2009.
In merito agli appalti di servizi infermieristici la Nota ministeriale n.
15749/2007 ha chiarito che l’aspetto essenziale va individuato nella assunzione
su di sé del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore che deve esporsi
all’eventuale risultato negativo dell’attività se il servizio non è portato a compimento.
Il Ministero precisa che la gestione «a proprio rischio» da parte
dell’appaltatore «va oltre il mero significato economico relativo alle prospettive
di convenienza dell’affare, acquisendo l’espressione un valore giuridico preciso
nel senso che l’assunzione del rischio nell’esecuzione del rapporto contrattuale
è a carico delle parti per quello che ciascuna vi impegna direttamente».
L’Interpello n. 16/2009 – con riguardo alle attività di catering, banqueting
e ristorazione rese in forma di consorzio di imprese – ha chiarito che il consorzio, quale imprenditore autonomo può fornire servizi di consulenza specializzata o di altro tipo alle imprese consorziate per la gestione e l’organizzazione, segnalando che «ciò deve avvenire necessariamente nell’ambito di un contratto di
appalto genuino che presenti tutti i requisiti essenziali previsti dalla legge ed
enucleati dalla giurisprudenza (organizzazione imprenditoriale, rischio
d’impresa, esercizio del potere direttivo, impiego di capitali, macchine e attrezzature, ecc.)». Viene, in particolare, sottolineato che «deve essere riscontrabile
un’autonoma organizzazione funzionale e gestionale del servizio finalizzata allo
specifico risultato produttivo, che non si traduca nella mera gestione amministrativa del lavoro».
L’Interpello n. 77/2009 – riguardo all’ipotesi di un subappalto per
l’esecuzione di una fase specifica di attività appartenente al ciclo produttivo
dell’appaltatore che mette a disposizione (in comodato, noleggio o uso) dei lavoratori dipendenti dell’impresa subappaltatrice, le dotazioni, anche individuali,
esistenti in cantieri e stabilimenti già strutturati – dopo aver precisato che la
questione non può prescindere da un esame del caso concreto, ha ricordato che
la disponibilità del complesso delle attrezzature necessarie per lo svolgimento
dell’attività affidata in appalto non costituisce una presunzione di illiceità
dell’appalto, per poi evidenziare che non può ritenersi superata ogni indagine
sull’assetto dei “mezzi” diversi dalla forza lavoro utilizzati per l’esecuzione
dell’appalto/subappalto.
Il Ministero precisa che l’indagine sui mezzi non deve concentrarsi sul dato
formale della proprietà ma considerando l’assetto organizzativo complessivo
dell’appalto/subappalto per verificare la sussistenza di una struttura imprenditoriale adeguata rispetto all’oggetto del contratto, denominata «soglia minima di
imprenditorialità». L’Interpello del 22 ottobre 2009 segnala che nelle ipotesi di
utilizzo di mezzi di proprietà dell’appaltante è necessario verificare la sussistenza di «una adeguata regolazione economica dell’utilizzo da parte
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
dell’appaltatore di tali mezzi, oltre che la congrua imputazione del costo della
somministrazione di energia elettrica, gas, forza motrice eventualmente erogate
da un impianto unico centralizzato e con costo, a carico delle imprese appaltatrici, determinato in via forfetaria».
Perché si possa parlare di un appalto genuino occorre, inoltre, che
l’organizzazione dei macchinari e delle attrezzature, unitamente agli altri elementi indispensabili per l’esecuzione dell’opera o del servizio, venga effettuata
dall’impresa appaltatrice/subappaltatrice in autonomia e con gestione a proprio
rischio. L’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 fa riferimento all’organizzazione dei
mezzi necessari e non al titolo giuridico che permette l’utilizzo di tali mezzi,
chiarendo che l’elemento “organizzazione” può concretarsi nell’esercizio del
potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori occupati
nell’appalto, specie quando l’apporto del lavoro è comparativamente più rilevante tenuto conto del peso specifico della specializzazione e del know-how organizzativo e professionale dell’appaltatore o del subappaltatore.
In un sistema complesso di subappalto e appalto, in particolare, rileveranno,
anche in sede ispettiva, le modalità di coordinamento messe in atto tra le imprese coinvolte al fine di escludere qualsiasi commistione e sovrapposizione fra le
distinte realtà organizzative, e quindi la rigorosa attenzione alla disciplina in
tema di interferenze, il rispetto integrale degli standard di sicurezza previsti per
attrezzature e dotazioni, la previsione di adeguati strumenti per rendere evidente, anche sul profilo logistico, la separazione fra le imprese e le fasi della produzione.
Si ha interposizione illecita se l’appaltatore mette a disposizione del committente una mera prestazione lavorativa, riservandosi compiti di gestione amministrativa, senza l’esercizio dei poteri direttivi nei confronti dei lavoratori e
senza una concreta organizzazione della prestazione lavorativa finalizzata a un
risultato produttivo autonomo.
In questo quadro, secondo i chiarimenti ministeriali, il solo utilizzo di
strumenti di proprietà del committente o dell’appaltatore da parte dei dipendenti
del subappaltatore non costituisce elemento per sé solo decisivo per qualificare
la fattispecie come appalto non genuino, dovendosi valutare e verificare tutte le
circostanze concrete dell’appalto e in specie la natura e le caratteristiche
dell’opera o del servizio dedotti nel contratto di modo che, in concreto, possa ritenersi compatibile con un appalto genuino anche un’ipotesi in cui i mezzi materiali siano forniti dal soggetto che riceve il servizio, a condizione che la responsabilità del loro utilizzo rimanga totalmente in capo all’appaltatore e con
tale fornitura di mezzi non si inverta il rischio di impresa che deve gravare
sull’appaltatore o subappaltatore.
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
8.2.2. Igiene e sicurezza sul lavoro
In materia di igiene e sicurezza sul lavoro il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81,
all'art. 26, come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009, si occupa degli obblighi
connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione. La norma prevede che il datore di lavoro che affida lavori, servizi e forniture in appalto o a
lavoratori autonomi nella propria azienda anche se trattasi di una singola unità
produttiva della stessa o, comunque, nell'ambito dell'intero ciclo produttivo,
sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o
la prestazione di lavoro autonomo, deve verificare la idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi con riferimento ai lavori, servizi e forniture da affidare. Il datore di lavoro committente è indicato come promotore della cooperazione e del coordinamento che attuerà con la elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI). Nel documento dovranno essere indicate le misure adottate per eliminare
o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze. L'interferenza può essere definita come una sovrapposizione di attività lavorative risolventesi in un loro contatto “rischioso'”, a condizione che i soggetti coinvolti nel
rischio interferenziale appartengano a distinte organizzazioni di lavoro. Il documento di valutazione dei rischi deve essere allegato ai contratti di appalto o
d'opera e va adeguato in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture.
Quanto da ultimo evidenziato non è applicabile ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Il datore di lavoro committente è esentato in assenza di rischi «gravi» o «particolari»,
dall'obbligo di redazione del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali Duvri (non però dall'obbligo di «promuovere» la cooperazione ed il coordinamento tra le diverse organizzazioni di lavoro), con riguardo ai servizi di
natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, nonché ai lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai due giorni (art. 26, comma 3bis,
T.U.).
L'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, se unico, o
con tutti per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o
dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'Inail. Tale previsione
non si applica per i danni conseguenti ai rischi propri dell'attività delle imprese
appaltatrici o subappaltatrici.
I contratti di appalto, di subappalto e di somministrazione devono essere
corredati in maniera specifica, a pena di nullità (art. 26, comma 5, T.U.), dei costi, non soggetti a ribasso, delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia
possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro
derivanti dalle interferenze delle lavorazioni (nel settore edile il Ministero del
Lavoro con Nota n. 17549 del 19 agosto 2010, interpretando l’Allegato XV del
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Parte Seconda – I contratti di lavoro
T.U. vi ha inserito anche i costi per gli apprestamenti di norma realizzati nei
cantieri con monoblocchi prefabbricati denominati “baraccamenti”). Per i contratti stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro dovevano essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti fossero in corso a tale data.
Nello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale
occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento, da indossare esponendola, corredata di fotografia,
contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro. Nei
cantieri, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 agosto 2010, n. 136 (in vigore dal 7
settembre 2010) la tessera del dipendente deve contenere anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione e quella dei lavoratori
autonomi, l’indicazione del committente. Va precisato che tale obbligo non opera per quegli appalti e subappalti (ad es. i trasporti) da eseguirsi fuori dai locali
del committente (salvo che per le fasi di carico e scarico merci).
8.2.3. Tutele retributive
Di fondamentale rilievo i profili di tutela retributiva dei lavoratori impiegati
nell’appalto. Riguardo agli appalti privati, i trattamenti retributivi minimi vanno
determinati tenendo presente l’art. 36 Costituzione e in base alla contrattazione
collettiva applicabile all’appaltatore. Peraltro, l’art. 1, comma 1175, della legge
n. 296/2006 prevede l’obbligo di applicare gli accordi e i contratti collettivi nazionali (nonché quelli regionali, territoriali o aziendali), stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, al fine di ottenere il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) e fruire legittimamente dei benefici normativi e
contributivi. Questa previsione è particolarmente rilevante nell’edilizia e nel settore artigiano, poiché l’applicazione della parte economico-normativa del
CCNL, comprende il versamento della contribuzione agli Enti bilaterali, ovvero,
per l’artigianato, la corresponsione ai lavoratori dell’elemento aggiuntivo della
retribuzione (Atto di indirizzo del 30 giugno 2010). Negli appalti pubblici incide sulla tutela retributiva l’art. 118, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice
dei contratti pubblici), in base al quale «l’affidatario è tenuto ad osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi
nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni».
8.2.4. Solidarietà per retribuzioni, contributi e fisco
In materia di responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatore, relativamente ai trattamenti retributivi ed ai contributi previdenziali da
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
corrispondere ai lavoratori, rileva in primo luogo quanto previsto dall’art. 29,
comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, come modificato dall’art. 1, comma 911, della legge n. 296/2006. Non vi sono deroghe ammissibili da parte della contrattazione collettiva, alla quale residua la facoltà di aumentare ulteriormente le tutele
(ad es. reintroducendo in via negoziale l’obbligazione solidale dei datori di lavoro per le retribuzioni corrisposte ai dipendenti del committente impegnati in
mansioni comparabili). In secondo luogo, il termine di decadenza per i lavoratori creditori dell’appaltatore o del subappaltatore, per proporre la relativa azione
nei confronti del committente, è di due anni dalla cessazione dell’appalto. Infine
la solidarietà del committente è estesa ai lavoratori dell’appaltatore e a quelli
che operano nell’appalto per ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori.
Va così segnalato che il riferimento ai “lavoratori” permette di ritenere che del
regime di solidarietà possono beneficiare non solo i lavoratori dipendenti, ma
anche coloro che sono occupati con tipologie contrattuali di tipo non subordinato (ad es. associati in partecipazione e collaboratori a progetto). Analogamente
alle tutele derivanti dalla responsabilità solidale possono fare ricorso anche i lavoratori irregolari o sommersi impiegati nell’appalto o nel subappalto. Inoltre
vale la pena evidenziare che seppure l’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003
non faccia espresso riferimento ai premi assicurativi Inail, l’obbligazione solidale del committente deve ritenersi estesa a questi indiscutibilmente. La previsione normativa non trova applicazione quando il committente è una persona fisica
che non esercita attività di impresa o professionale (art. 29, comma 3ter, D.Lgs.
n. 276/2003). Peraltro, la responsabilità solidale del committente (nei confronti
di appaltatore e subappaltatori) e dell’appaltatore (nei confronti dei subappaltatori) opera esclusivamente con riferimento alle ipotesi di appalto lecito e genuino, non nei casi di interposizione illecita per pseudo-appalto (Cass., S.U., 26 ottobre 2006, n. 22910; Cass. 16 febbraio 2009 n. 3707).
Si tenga presente, inoltre, che si ritiene debba mantenere intatta la propria
portata prescrittiva l’art. 1676 c.c., per cui i dipendenti dell’appaltatore, i quali
hanno impegnato la loro attività lavorativa per l’esecuzione dell’opera o per la
prestazione del servizio, possono proporre azione diretta nei confronti del committente per conseguire quanto è loro dovuto, nei limiti del debito residuo del
committente verso l’appaltatore al momento in cui è proposta la domanda, comunque entro un anno dalla cessazione dell’appalto. Riassumendo, entrambe le
azioni, quella ex art. 1676 cod.civ. e quella ex art. 29, comma 2 del D.Lgs. n.
276/2003 necessitano di tre identici presupposti: l’esistenza di un rapporto di
lavoro subordinato fra lavoratori e appaltatore (ma per l’art. 29, comma 2, si sostiene la legittimità di una obbligazione solidale per i contributi dovuti a seguito
di una prestazione parasubordinata o autonoma), la partecipazione diretta dei
lavoratori nell’appalto, la sussistenza di un credito di lavoro in capo ai lavoratori. Un ultimo presupposto interessa la sola azione ex art. 1676 cod.civ., vale a
dire la permanenza di un debito del committente nei confronti dell’appaltatore.
204
Parte Seconda – I contratti di lavoro
Resta confermato, infine, il principio di responsabilità solidale a carico
dell'appaltatore in ordine all'effettuazione ed al versamento delle ritenute fiscali
e dei contributi previdenziali ed assicurativi sui redditi di lavoro dipendente, a
cui è tenuto il subappaltatore (qui si tratta dei soli lavoratori subordinati). Tale
previsione, non soggetta a limitazioni temporali esplicite, è contenuta nel comma 28 dell’art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
in legge 4 agosto 2006, n. 248, che rimane in vigore, non essendo stato oggetto
delle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 8, del D.L. 3 giugno 2008, n. 97,
convertito, con modificazioni, in legge 2 agosto 2008, n. 129, ha abrogato i
commi da 29 a 34.
Un ultimo cenno merita il regime di solidarietà negli appalti pubblici. Anzitutto, va rilevato che la giurisprudenza (Trib. Bolzano 6 novembre 2009; C.
App. Torino 22 settembre 2009; Trib. Milano 18 novembre 2008; C. App. Milano 7 novembre 2008; Trib. Pavia, 29 aprile 2006) ha riconosciuto
l’applicabilità dell’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 alle stazioni appaltanti pubbliche, argomentando l’esclusione dal campo di applicazione del decreto delle pubbliche amministrazioni solo in qualità di datori di lavoro (l’art. 6
della legge n. 30/2003 si riferisce “al personale delle pubbliche amministrazioni”). Agli strumenti di solidarietà ricordati si aggiunge l’art. 118, comma 6, del
D.Lgs. n. 163/2006 che prevede per l’affidatario del contratto la responsabilità
solidale dell'osservanza, da parte dei subappaltatori, del trattamento economico
e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per
il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni nei confronti dei
lavoratori impiegati nel subappalto.
8.2.5. La certificazione dell’appalto
L’art. 84 del D.Lgs. n. 276/2003, infatti, prevede la certificabilità del contratto di appalto, sia in sede di stipulazione, sia nelle fasi di attuazione del programma negoziale («sia in sede di stipulazione di appalto di cui all’art. 1655
del codice civile, sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale,
anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto
ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo III»). L’efficacia dell’azione del certifier adito, pertanto, risulterà tanto più efficace, quanto più si orienterà ad una disamina attenta della sussistenza degli elementi e dei requisiti previsti dall’art.
29, comma 1, non soltanto su base meramente documentale, ma anche mediante
dichiarazioni pubblicamente rese ed acquisite dai due contraenti in sede di audizione personale nel corso dell’iter dell’istanza di certificazione.
Una riflessione merita il riferimento dell’art. 84, comma 2, del D.Lgs. n.
276/2003, alla “rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore”. Non si
tratta, ovviamente, di una articolazione differenziale e contrapposta dei criteri
205
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
utilizzati dal richiamato art. 29: la norma si limita a ribadire i requisiti di liceità
(“genuinità”) dell’appalto secondo l’accezione più generale ed ampia di “mezzi”, come ricavabile dalla opzione ermeneutica sopra enucleata.
In questo preciso senso sembra aver operato l’allegato n. 5 («Linee guida
alla certificazione») alla Circolare n. 48 del 15 dicembre 2004 del Ministero del
Lavoro, laddove sono stati esplicitamente esposti alcuni “elementi utili” che ribadiscono la coessenziale natura definitoria dell’art. 29, comma 1, D.Lgs. n.
276/2003
La Circolare ministeriale, infatti, chiede anzitutto di esaminare puntualmente i principali “elementi del contratto” espressamente elencati, e cioè: «attività
appaltata, durata presumibile del contratto, dettagli in ordine all'apporto
dell'appaltatore ed in particolare precisazioni circa l'organizzazione dei mezzi
necessari per la realizzazione dell'opera o del servizio dedotto in contratto».
In secondo luogo, sempre nella Circolare n. 48/2004, si chiede alle Commissioni di certificazione di valutare la tipologia e la qualità dell’effettivo “apporto dell’appaltatore”, distinguendo a seconda dei casi prevalenti:
(a) se trattasi di “contratti d'appalto concernenti lavori specialistici”, laddove
l’aggettivo viene utilizzato al fine di individuare la speciale rilevanza delle
competences dei lavoratori impiegati a fronte della irrilevanza dell’utilizzo
“di attrezzatura o di beni strumentali”, si chiede al certificazione di acquisire “notizie” e informazioni utili con riguardo al know how aziendale posseduto dall’appaltatore ma anche con riferimento alle professionalità vantate
dal personale impiegato nell’appalto che devono risultare “elevate”, ma anche di evidenziare le specifiche indicazioni concernenti le modalità di esercizio “del potere organizzativo e direttivo” proprio con riguardo ai lavoratori impegnati nell’appalto cd. labour intensive;
(b) se, invece, si tratta di un appalto con caratteristiche sostanziali (e formali)
di “monocommittenza”, vale a dire attività rese dall’appaltatore per il solo
committente che congiuntamente a quello invoca la certificazione, la Circolare n. 48/2004 spinge il certifier a valutare attentamente il contratto predisposto, «al fine di verificare se in capo all’appaltatore incomba l'organizzazione dei mezzi necessari e se è rintracciabile il rischio d'impresa».
D’altra parte, proprio il “rischio d’impresa” rappresenta il terzo dei criteri
segnalati dalle linee guida ministeriali, col suggerimento operativo riguardo ad
una serie di indici rivelatori della sussistenza di esso:
• l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale che viene esercitata
abitualmente;
• l'appaltatore svolge una propria attività produttiva in maniera evidente e
comprovata;
• l’appaltatore opera per conto di differenti imprese da più tempo o nel medesimo arco temporale considerato.
206
Parte Seconda – I contratti di lavoro
Da ultimo, il certificatore trova nella Circolare n. 48/2004 la sollecitazione
espressa a considerare con attenzione l’obbligazione solidale che incombe sul
committente del contratto di appalto da certificare: «deve essere richiamato
l’obbligo solidale che vincola le parti contraenti in relazione ai trattamenti retributivi e contributivi dovuti alle maestranze impiegate nell'appalto».
8.2.6. Lo “pseudo-appalto” e l’appalto fraudolento
Quanto ai profili sanzionatori, occorre rilevare che l’art. 18, comma 5bis,
del D.Lgs. n. 276/2003 prevede espressamente: «nei casi di appalto privo dei
requisiti di cui all’art. 29, comma 1, (…) l’utilizzatore e il somministratore sono
puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e
per ogni giornata di occupazione».
Il decreto correttivo (D.Lgs. n. 251/2004), introducendo il nuovo comma
5bis, poneva così fine alla diatriba, secondo cui l’interposizione illecita di manodopera, scaturente da uno pseudo-appalto non sarebbe stata più da ritenersi
sanzionabile, alla luce delle previsioni dell’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003: in
verità, come pure rilevato dalla dottrina e confermato dalla giurisprudenza di legittimità, sebbene con opinioni contrarie espresse dalla dottrina minoritaria ed
essenzialmente dalla giurisprudenza di merito, alla rilevanza penale e alla meritevolezza di tutela costituzionalmente orientata per l’ipotesi di interposizione illecita nelle ipotesi di un appalto di opere o di servizi privo dei requisiti di legge
o anche di distacco senza i caratteri di liceità predeterminati, si poteva giungere
già nella prima versione del decreto attuativo della legge n. 30/2003.
Il reato di interposizione illecita da pseudo-appalto si perfeziona per la sussistenza dei seguenti elementi:
a) contratto di appalto non genuino: il contratto di appalto, di opere o di servizi, corrisponde in realtà all’esecuzione di mere prestazioni di lavoro da
parte dei lavoratori impiegati dallo pseudo-appaltatore e realmente eterodiretti dallo pseudo-committente, mancano cioè i requisiti legali che rendono
perfettamente lecito ed operativo l’appalto (art. 29, comma 1);
b) partecipazione psicologica dello pseudo-committente e dello pseudoappaltatore alla fattispecie illecita realizzata: entrambi sono corresponsabili, almeno sotto il profilo di una condotta colposa, perché hanno stipulato
un contratto di appalto fittizio, illecito o comunque non genuino, non usando della normale diligenza, prudenza e perizia richieste dall’ordinamento
giuridico;
c) effettiva e concreta utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori:
il personale fittiziamente impegnato in un appalto è stato concretamente, illecitamente, impiegato in un’attività lavorativa di tipo subordinato alle dirette e immediate dipendenze dello pseudo-committente.
207
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
Sotto altro aspetto, rileva l’appalto fraudolento, giacché se l’appalto illecito
è realizzato per eludere, in tutto o parzialmente, i diritti inderogabili dei lavoratori, si ha una somministrazione fraudolenta (art. 28, D.Lgs. n. 276/2003), di
conseguenza lo pseudo-committente fraudolento sarà punito anche con la pena
dell’ammenda di euro 20 per ciascun lavoratore e per ciascun giorno di impiego, che si aggiunge alla pena per l’appalto illecito. In tal caso la prescrizione
obbligatoria (art. 15, D.Lgs. n. 124/2004) intimerà al committente fraudolento la
regolarizzazione, alle proprie dipendenze, dei lavoratori, per tutta la durata
dell’impiego effettivo. Inoltre, gli ispettori del lavoro potranno adottare nei confronti del committente-utilizzatore fraudolento una diffida accertativa (art. 12,
D.Lgs. n. 124/2004) per i crediti patrimoniali maturati dai lavoratori, in base alle differenze retributive rilevate.
8.3. Distacco
L’istituto del distacco è stato oggetto di numerosi tentativi di ricostruzione
dogmatica, in ragione di una peculiare strutturazione della fattispecie lavoristica
che s’instaura coinvolgendo tre diverse soggettività: accanto ai protagonistiattori dell’originario (ed unico) rapporto di lavoro subordinato si aggiunge un
terzo soggetto datoriale che si interlaccia col datore di lavoro in termini commerciali, o pseudo tali, e con il lavoratore, nell’esercizio di un potere direttivo
che viene “distratto” dal datore di lavoro effettivo.
Peraltro, occorre evidenziare che nella discussione intorno al “distacco”,
tradizionalmente si distinguono, nella prassi e in dottrina, due tipologie fortemente differenziate:
•
distacco proprio = l’impresa distaccante invia uno o più dipendenti presso
un’impresa distaccataria per svolgere prestazioni lavorative a favore di
quest’ultima, inserendosi nel suo ciclo produttivo e/o commerciale ovvero
nella sua organizzazione;
•
distacco improprio = l’impresa “distaccante” invia uno o più dipendenti
presso un’impresa “distaccataria”, per svolgere l’opera o il servizio che
forma oggetto del contratto (di appalto o simile) in essere fra i due soggetti
datoriali, restando alle dipendenze funzionali e gerarchiche della prima.
Anzitutto, allora, va assolutamente precisato che resta del tutto fuori dalla
presente analisi il caso del “distacco” improprio, il quale consiste in una mera
mutazione del luogo di lavoro, ai fini dell’esecuzione di un incarico aziendale,
per la realizzazione di una specifica finalità commerciale o produttiva del vero
datore di lavoro, in nulla e sotto nessun profilo incidente sulla sostanza del rapporto lavorativo, che resta intatto.
208
Parte Seconda – I contratti di lavoro
Nel comando/distacco vero e proprio, invece, la peculiarità del rapporto lavorativo, posto in essere dal lavoratore distaccato, presenta aspetti di assoluto rilievo operativo.
D’altro canto, va precisato, che la giurisprudenza era intervenuta sul punto
al fine di riconoscere al distacco un percorso legittimo e lecito (Cass.civ., 9 agosto 1978, n. 3887; Cass. Civ., 21 maggio 1998, n. 5102; Cass. Civ., 2 novembre
1999, n. 12224; Cass. Civ., 24 ottobre 2000, n. 13979). In tal senso si erano individuati tre requisiti tipici:
1) il datore di lavoro distaccante doveva possedere una struttura imprenditoriale effettiva, dotata di una specifica organizzazione e di una autonoma facoltà d’azione e di gestione della realtà produttiva, commerciale o di servizio interessata;
2) il datore di lavoro distaccante doveva risultare portatore di un diretto e rilevante interesse di tipo imprenditoriale alla realizzazione del distacco;
3) il lavoratore doveva essere distaccato esclusivamente in modo temporaneo.
In questo stesso senso si era sostanzialmente mosso il Ministero del Lavoro
il quale, in risposta a specifico quesito, con Nota n. 5/25814/70/VA dell’8 marzo 2001 aveva sostenuto che è del tutto lecito il distacco quando «coesistono i
seguenti presupposti sostanziali: a) l’assegnazione al diverso posto di lavoro
deve essere temporanea; b) deve sussistere un interesse del datore di lavoro distaccante a che la prestazione lavorativa del proprio dipendente sia resa a favore di un terzo» (nella stessa direzione Ministero del Lavoro, Nota n. 5/26183
dell’11 aprile 2001).
Proprio alla luce di tali caratterizzazioni giurisprudenziali, si forma il dettato normativo di cui all’art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, sulla base del
quale è possibile affermare, sinteticamente, che il distacco di manodopera consiste nella scelta di un datore di lavoro che intenda soddisfare un proprio specifico interesse, di porre temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di
un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
Si tratta di una ulteriore ipotesi, accanto alla somministrazione di lavoro e
all’appalto, in cui il lavoratore svolge di fatto la propria prestazione di lavoro
nell’interesse di un soggetto diverso dal proprio datore di lavoro, con una scissione strutturale fra titolare giuridico del rapporto di lavoro e gestoreutilizzatore del medesimo rapporto lavorativo. Il distacco configura un rapporto
giuridico trilaterale, in una relazione triangolare che vede quali soggetti coinvolti: il datore di lavoro distaccante, il lavoratore distaccato e il distaccatario.
Per quanto concerne, dunque, i requisiti sostanziali che rendono legittimo e
lecito il distacco dei lavoratori, occorre andare al testo normativo dell’art. 30 del
D.Lgs. n. 276/2003, così come letto e interpretato dalle Circolari del Ministero
del Lavoro n. 3 del 15 gennaio 2004 e n. 28 del 24 giugno 2005.
209
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
Dalla lettura del dettato normativo, si ritiene che i requisiti di legittimità del
distacco siano, allora, essenzialmente tre:
• la temporaneità del distacco, vale a dire la non definitività dello stesso, rispetto alla quale non ha alcun rilievo l’entità del periodo di distacco, ma
soltanto il fatto che la durata del distacco stesso risulti concretamente funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante;
• l’interesse del distaccante, ovvero che il distaccante deve essere spinto o
mosso al distacco da un qualsiasi interesse produttivo proprio che non può
coincidere, evidentemente, con quello alla mera somministrazione di lavoro, interesse, peraltro, che deve sussistere e protrarsi per tutta la durata del
distacco;
• l’attività lavorativa determinata, nel senso che il lavoratore distaccato non
potrà essere addetto a prestazioni lavorative generiche, ma a quella determinata attività lavorativa che caratterizza e sostanzia l’interesse proprio del
distaccante.
Peraltro, giusti anche i chiarimenti ministeriali, gli elementi che caratterizzano la liceità del distacco dei lavoratori sono soltanto i primi due: la temporaneità del distacco e l’interesse del distaccante.
In primo luogo, dunque, il distacco lecito rappresenta una mera estrinsecazione del potere organizzativo del datore di lavoro imprenditore, che modifica
essenzialmente le modalità di svolgimento e di esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro subordinato. In tal senso, l’interesse del datore di
lavoro distaccante deve sussistere fin dall’inizio del distacco, e protrarsi per tutta la durata dello stesso. D’altro canto esso va accertato concretamente, caso per
caso, in base all’attività espletata e non semplicemente con riferimento agli scopi sociali dell’impresa.
In secondo luogo, il distacco non deve essere definitivo, ma deve essere
temporaneo, eccezionale ed occasionale, anche se non è necessario che la durata
sia particolarmente breve, né che essa sia predeterminata ab initio (Cass. Civ.,
Sez. Lav., 17 marzo 1998, n. 2880; Cass. Civ., Sez. Lav., 10 giugno 1999, n.
5721).
Più dettagliatamente, nel nuovo contesto normativo l’interesse del datore di
lavoro distaccante acquisisce, in termini di diritto positivo e non più quindi meramente giurisprudenziale, una centralità assoluta.
La Circolare ministeriale n. 28/2005 insiste sull’importanza fondamentale
dell’interesse che deve muovere il distaccante segnalandone alcune caratteristiche qualificative, per cui esso deve essere:
a) specifico, nel senso che necessita di una esatta individuazione, senza riferimenti generali e non circostanziati ad attività, fatti o situazioni contingenti: ogni distacco deve muovere da un distinto e specificamente individuato
210
Parte Seconda – I contratti di lavoro
interesse datoriale, evitando qualsiasi “clausola di stile” o causale generale
omnibus;
b) rilevante, vale a dire che deve mostrare caratteristiche idonee a proporzionare la scelta datoriale al significato strategico dell’operazione nel contesto
dell’organizzazione aziendale: il distacco va letto nell’ottica dei riflessi organizzativo-produttivi che viene precisamente ad avere per il datore di lavoro distaccante;
c) concreto, e cioè non deve avere astratta attinenza con i processi produttivi o
logistici aziendali, ma diretta e immediata incidenza su almeno uno di essi:
la giurisprudenza ha insistito sulla “concretezza” dell’interesse al distacco,
evidenziando che il patto con il quale il lavoratore viene ad essere distaccato deve trovare diretta e veritiera rispondenza in un interesse che non sia
generale ed astratto, ma che, al contrario, risulti perfettamente aderente alla
realtà gestionale dell’organizzazione datoriale interessata;
d) persistente, nel senso che deve permanere per tutta la durata del distacco e
sussistere fin dal primo momento dell’attivazione di esso: il distaccante dovrà per tutta la durata del distacco essere accompagnato da una specifica
valutazione interessata dell’operazione posta in essere.
8.3.1. Il distacco che modifica la prestazione
Ai sensi dell’art. 30, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, infatti, il Legislatore delegato, prendendo in considerazione alcune ipotesi particolari di distacco,
che maggiormente coinvolgono il lavoratore sotto il profilo del suo inquadramento contrattuale e dello svolgimento della prestazione lavorativa propria, afferma la necessità di acquisire la manifestazione di un libero consenso del lavoratore interessato in relazione al distacco che comporta un mutamento di mansioni.
Altra ipotesi presa in considerazione dal Legislatore della riforma è quella
del distacco presso un datore di lavoro la cui sede di lavoro si situa ad una distanza significativa da quella in cui il lavoratore distaccato è addetto. A norma
dell’art. 30, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, dunque, se il distacco comporta
il trasferimento del lavoratore distaccato a un’unità produttiva situata a più di 50
km dalla sede di lavoro di provenienza, dati gli evidenti maggiori disagi per il
lavoratore interessato, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni
di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo.
La Circolare n. 3/2004 del Ministero del lavoro ha riconosciuto espressamente, nel silenzio dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 sul punto, la possibilità di
un «distacco parziale», vale a dire la facoltà per il distaccante di inviare il lavoratore distaccato a svolgere la propria attività lavorativa anche solo parzialmente
presso il distaccatario, seguitando a svolgere presso il distaccante tutta la restante parte della prestazione lavorativa.
211
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
8.3.2. L’obbligo di comunicazione e il libro unico del lavoro
Il D.Lgs. n. 297/2002, nel modificare le previsioni normative del D.Lgs. n.
181/2000, aveva provveduto ad introdurre un nuovo obbligo di comunicazione
con riguardo a diverse ipotesi di variazione e trasformazione del rapporto di lavoro; l’obbligo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4bis, comma 5, del D.Lgs. n.
181/2000, introdotto dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 297/2002, deve essere
tempestivamente adempiuto dal datore di lavoro entro cinque giorni dall’evento,
mediante una specifica comunicazione al Centro per l’impiego competente per
territorio, o meglio attraverso il Sistema Informatico delle Comunicazioni Obbligatorie. Fra le ipotesi di trasformazione e variazione del rapporto di lavoro
originariamente considerate dal Legislatore della riforma del collocamento,
l’art. 1, comma 1183, della legge n. 296/2006 ha inserito anche l’ipotesi del distacco del lavoratore. Si tratta, peraltro, di una innovazione di assoluto rilievo in
termini di contrasto al lavoro sommerso e di tutela del lavoro regolare e dei diritti di informazione del lavoratore, in quanto proprio nella fattispecie in esame,
ora oggetto di comunicazione obbligatoria, si annidano frequentemente operazioni illecite di rilevanza penale che i servizi ispettivi potranno più agevolmente
scovare grazie al passaggio informativo istituzionale. La comunicazione è divenuta obbligatoria a far data dall’11 gennaio 2008 per effetto del D.I. 30 ottobre
2007, e va effettuata compilando la Sezione 4 (“Trasformazione”) del modello
Unificato Lav. Sul piano operativo vale poi la pena segnalare che l’introduzione
del libro unico del lavoro ha previsto l’obbligo di registrazione del lavoratore
distaccato in capo al datore di lavoro distaccatario: la Circolare n. 20/2008 ricomprende anche i lavoratori distaccati, i quali devono risultare iscritti nel libro
unico del distaccatario utilizzatore oltreché in quello del datore di lavoro distaccante che lo occupa, con la particolarità che il distaccatario si limiterà ad annotare i dati identificativi del lavoratore, con riferimento a: nome, cognome e codice fiscale del lavoratore (dati anagrafici); qualifica e livello di inquadramento
contrattuale (dati del rapporto di lavoro); nominativo del datore di lavoro distaccante, il quale, invece, procederà alle scritturazioni integrali, con riguardo al
calendario delle presenze e ai dati retributivi, previdenziali, fiscali e assicurativi.
Secondo il vademecum ministeriale del 5 dicembre 2008, i lavoratori distaccati
vanno registrati sul libro unico del lavoro all’inizio e alla fine dell’impiego
presso il distaccatario, ferma restando la possibilità di procedere alla registrazione degli stessi anche nei singoli mesi di impiego. Peraltro, se l’impresa è
“minima” e cioè non occupa dipendenti, né collaboratori o associati, non è tenuta alla istituzione del libro unico per registrare gli eventuali lavoratori distaccati
che operano presso la stessa, potendo i relativi nominativi essere evidenziati agli
organi di vigilanza, in tal caso, in qualsiasi modalità.
212
Parte Seconda – I contratti di lavoro
8.3.3. Distacco illecito e fraudolento
Nei casi in cui il distacco viene posto in essere senza i caratteri di liceità e
di legalità di cui all’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003, viene materialmente a configurarsi una chiara ipotesi di somministrazione illecita di manodopera, nelle
forme di una più generale “interposizione illecita di manodopera”, alla luce
dell’art. 18, comma 5bis. Si tenga presente, peraltro, che qualora il distacco sia
posto in essere in violazione delle disposizioni di cui all’art. 30, comma 3 (consenso del lavoratore per mutamento di mansioni o comprovate ragioni al distacco oltre 50 km), non si ha un’ipotesi di distacco illecito, ma soltanto di distacco
nullo per carenza di requisiti formali, con conseguente diritto per il lavoratore di
seguitare a svolgere la prestazione lavorativa presso il datore di lavoro distaccante, nell’originaria sede di lavoro.
Lo pseudo-distaccante e lo pseudo-distaccatario che hanno posto in essere,
in esecuzione di un distacco fittizio, una mera fornitura o somministrazione di
lavoratori, senza interesse e/o in maniera definitiva, sono entrambi soggetti alla
pena dell’ammenda pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna
giornata di occupazione.
Il reato di interposizione illecita da distacco illecito ripete identicamente lo
schema dello pseudo-appalto, quale reato di azione e di pericolo, a struttura unitaria, posto in essere da entrambi i soggetti datoriali.
La contravvenzione si connota inoltre secondo i noti elementi tipici:
• distacco illecito: il comando o distacco del lavoratore si risolve nella esecuzione di mere prestazioni di lavoro da parte dei lavoratori interessati, che
vengono occupati di fatto alle immediate direttive dello pseudodistaccatario e da questi realmente eterodiretti, mancano quindi i requisiti
legali che rendono lecito il distacco (art. 30, comma 1);
• partecipazione psicologica dello pseudo-distaccante e dello pseudodistaccatario alla fattispecie illecita: entrambi i soggetti datoriali si rendono corresponsabili, almeno per colpa, del reato avendo posto in essere un
distacco fittizio (ovvero simulato) o in sé illecito, senza usare della normale
diligenza, prudenza e perizia;
• effettiva utilizzazione delle prestazioni lavorative dei lavoratori distaccati: i
lavoratori oggetto dello pseudo-distacco devono essere stati concretamente
impiegati in attività lavorative alle immediate dipendenze dello pseudodistaccatario, non bastando a realizzare il reato il mero incontro di volontà
fra distaccante e distaccatario circa l’utilizzo delle energie lavorative di
singoli lavoratori preventivamente individuati ma di fatto non impegnati in
alcuna prestazione di lavoro.
Sotto altro aspetto, come già si è segnalato in tema di appalto, la formulazione dell’art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003 affida alla somministrazione fraudolenta un ruolo di assoluto rilievo, potendosi parlare di somministrazione fraudo213
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
lenta anche quando, al fine di eludere tutti o alcuni dei diritti inderogabili del
lavoratore distaccato, si realizzano ipotesi di distacco illecito in violazione dei
principi e dei criteri di cui all’art. 30, comma 1. Riguardo al profilo sanzionatorio la pena non si sostituisce a quella prevista per il distacco illecito, ma si aggiunge ad essa, aggravandone l’esito sanzionatorio: all’apparato sanzionatorio
dell’art. 18, comma 5bis viene aggiunta la pena dell’ammenda pari a 20 euro
per ciascun lavoratore e per ogni giorno di distacco fraudolento.
8.3.4. Distacco transnazionale
Rileva poi il distacco in territorio italiano di lavoratori appartenenti a imprese stabilite in altro Stato membro dell’Unione Europea (D.Lgs. 25 febbraio
2000, n. 72, con cui è stata data attuazione alla Direttiva 96/71/CE del 16 dicembre 1996). Il decreto detta una disciplina speciale per le ipotesi di distacco
temporaneo dei lavoratori provenienti da un altro Paese della UE; il campo di
applicazione del decreto, infatti, attiene esclusivamente ai casi di distacco temporaneo di un dipendente (in forza presso una impresa stabilita in uno dei Paesi
dell’UE) in territorio italiano, in seguito e per effetto di un contratto per prestazione di servizi stipulato dall’impresa estera con un destinatario operante in Italia. L’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 72/2000 chiarisce che la durata del distacco
deve essere predeterminata o predeterminabile con riferimento ad un evento certo. Il distacco transazionale può essere disposto, in territorio italiano,
dall’impresa per conto proprio e sotto la propria direzione in favore del destinatario della prestazione di servizi; presso un’unità produttiva della medesima impresa; presso un’altra impresa appartenente al medesimo gruppo. Il Ministero
del Lavoro, con risposta ad Interpello n. 33 del 12 ottobre 2010, offre una interpretazione sostanziale della disciplina del distacco transnazionale di lavoratori
volta a tutelare la competitività delle imprese, richiamando, per l’impiego di lavoratori distaccati presso una azienda italiana da imprese stabilite in uno Stato
della UE, il rispetto delle «medesime condizioni di lavoro», imposto dal D.Lgs.
n. 72/2000, da intendersi come obbligo di assicurare una parità di trattamento
effettiva fra i lavoratori comunitari e gli italiani, in base a disposizioni di leggi,
regolamenti, prassi amministrative e contratti collettivi. Il distacco, che può riguardare una filiale italiana dell’azienda comunitaria o una impresa italiana che
fa parte del medesimo gruppo oppure una azienda committente di un appalto o
altro contratto analogo, i lavoratori distaccati, per il principio di “territorialità”,
devono svolgere la prestazione lavorativa nel rispetto della normativa
sull’orario di lavoro e sulla salute e sicurezza nel lavoro, nonché le disposizioni
su maternità, paternità e discriminazioni, e vantano un diritto soggettivo a retribuzioni minime effettivamente equivalenti. La retribuzione va calcolata con riferimento ai contratti collettivi di lavoro e all’art. 36 Costituzione, dovendovi
rientrare gli scatti di anzianità e la generalità delle erogazioni patrimoniali deri214
Parte Seconda – I contratti di lavoro
vanti dal rapporto di lavoro, fra queste anche le maggiorazioni per il lavoro
straordinario, da individuarsi al lordo di contributi e trattenute, rilevando il valore totale della retribuzione, senza necessità di comparare le singole voci. Analogamente si afferma per i lavoratori temporaneamente somministrati in Italia da
agenzie con sede in altro Stato della UE il diritto a trattamenti non inferiori a
quelli spettanti ai lavoratori di pari livello occupati presso l’utilizzatore italiano.
Il regime previdenziale obbligatorio cui sono soggetti i lavoratori in distacco
transnazionale è quello del Paese di origine (principio di “personalità”), ma la
contribuzione deve essere applicata sulla retribuzione imponibile effettivamente
equivalente. Da ultimo l’Interpello n. 33/2010 evidenzia che, in base al principio di solidarietà, sia il committente che impiega i lavoratori in distacco transnazionale, sia l’utilizzatore dei lavoratori somministrati dall’agenzia comunitaria, in assenza di un trattamento retributivo effettivamente equivalente, possono
essere destinatari della diffida accertativa (art. 12, D.Lgs. n. 124/2004) per i
crediti vantati dai lavoratori per un trattamento inferiore a quello dei corrispondenti lavoratori occupati dall’azienda ospitante.
8.4. Trasferimento di azienda
Fra le ipotesi di esternalizzazione, seppure rientrante a pieno titolo fra le
fattispecie di variazione soggettiva (dal lato datore di lavoro) del rapporto di lavoro, rientra anche la tematica del trasferimento di azienda, che è regolamentato, sul piano generale, dall'art. 2112 cod.civ. – modificato nel tempo dapprima
dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 e successivamente dall’art. 32 del D.Lgs. n.
276/2003 – e, per quanto riguarda le modalità operative e le relative procedure,
anche in sede sindacale, dall'art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428. Anzitutto, per migliore comprensione, si tenga presente che si parla di «trasferimento di azienda» quando viene a mutare il titolare giuridico dell’attività imprenditoriale, a seguito di una delle diverse operazioni negoziali che determinano tale
effetto, come, a titolo di esempio, una fusione (fra due o più società). Il trasferimento, ben è vero, può riguardare sia l’azienda per intero, nel suo complesso,
sia una o più parti di essa, specificamente individuate e funzionalmente autonome: in questo caso, propriamente, si utilizza l’espressione «trasferimento di
ramo d’azienda». Inoltre, con una considerazione pratica, si può affermare che
in una operazione di trasferimento d'azienda si hanno due parti che concludono
l'operazione (cedente e cessionario) ed altre parti che la subiscono con effetti
differenti (lavoratori dipendenti, clienti, fornitori e chiunque abbia rapporti contrattuali con l'azienda). Rientrano nell'ipotesi di trasferimento i casi di successione ereditaria (anche se l'erede ha accettato l'eredità con beneficio d'inventario) ed anche il trasferimento autoritativo come la requisizione e, come detto, va
incluso nell'ambito di applicazione dell'art. 2112 cod.civ. anche il trasferimento
215
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
di singole unità produttive. In caso di fusione per incorporazione la società incorporante subentra nei rapporti giuridici facenti capo alla società incorporata,
che pertanto proseguono senza soluzione di continuità: i lavoratori conservano
perciò l'anzianità maturata alle dipendenze della società incorporata con tutti i
diritti che ne derivano, non costituisce invece trasferimento di azienda l'acquisto
del pacchetto di maggioranza o di controllo (Cass. 26 novembre 1994, n.
10068). Si è in presenza di trasferimento di ramo di azienda anche nel caso in
cui siano trasferiti i soli dipendenti della cedente, purché si ravvisi un collegamento stabile e funzionale tra le loro attività determinato dall'organizzazione
(Cass. 30 dicembre 2003, n. 19842), ovvero anche con la mera cessione dei rapporti di lavoro instaurati con un gruppo di lavoratori specializzati (Cass. 23 luglio 2002, n. 10761). Peraltro, a fronte della cessione di un ramo d’azienda, si è
applicato l’art. 2112 cod.civ. anche per il passaggio di lavoratori che prestano
una attività lavorativa prevalente in favore di detto ramo anche se non direttamente ed esclusivamente in esso (Cass. 6 dicembre 2005, n. 26668). Ai fini
dell’applicabilità dell’art. 2112 cod.civ. si ritiene sufficiente che il complesso
organizzato dei beni dell’impresa (l’azienda ai sensi dell’art. 2555 cod.civ.) passi a un altro titolare sulla base di un negozio giuridico lato sensu rientrante nella
fattispecie della successione potendosi, quindi, «prescindere da un rapporto contrattuale diretto fra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione»
(Cass. 13 gennaio 2005, n. 493), anche con un contratto di franchising o di affitto d’impresa (Cass. 27 dicembre 1998, n. 2200). Inoltre la disciplina prevista
nell’art. 2112 cod.civ. trova applicazione anche in ipotesi di trasformazione di
una ditta individuale in società (Cass. 12 maggio 2005, n. 9950) e perfino in assenza di scopo di lucro (Cass. 2 agosto 2002, n. 11622), mentre rileva in senso
assoluto che i beni dell’imprenditore siano orientati verso apposita finalità produttiva (Cass. 11 marzo 2002, n. 3469). Sempre al fenomeno della circolarità
dell’impresa viene ricondotta l’azione del trasferimento posta in essere mediante una pluralità di negozi giuridici fra loro specificamente collegati (Cass. 29
novembre 1996, n. 10688), per quanto in tal caso sia riconosciuta la assoluta necessità di avviare un rigoroso accertamento riguardo la effettiva sussistenza di
un vero e proprio collegamento negoziale, ma soprattutto la presenza di una volontà fraudolenta (Cass. 20 aprile 1998, n. 4010).
8.4.1. La riforma introdotta dal D.Lgs. n. 276/2003
L’art. 32 del D. Lgs. n. 276/2003 riformando il comma quinto dell’art. 2112
cod.civ. è interviene esplicitamente per stabilire che nel trasferimento di una o
più parti dell’azienda la valutazione del requisito dell’autonomia funzionale
deve risultare acclarata ed effettuata dal cedente e dal cessionario al momento
del trasferimento del ramo aziendale considerato. Ma l’intervento riformatore,
posto sulla direttrice maestra dell’introduzione più ampia dell’outsourcing nel
216
Parte Seconda – I contratti di lavoro
nostro sistema giuslavoristico, non si ferma a ciò, intervenendo con la previsione dello specifico regime di solidarietà di cui all’art. 29, comma 2, del D.Lgs.
n. 276/2003 tra appaltante e appaltatore, nelle ipotesi in cui il contratto di appalto è connesso alla cessazione di un ramo o di un settore aziendale. Con la attuale versione dell’art. 2112, comma 5, cod. civ., dunque, si segnala il superamento della concezione che voleva collocare la valutazione “oggettiva” del ramo d’azienda ad un momento temporale e funzionale precedente al trasferimento stesso, tale cioè che l’autonomia della parte aziendale fosse notoriamente e
oggettivamente preesistente, nel momento in cui cedente e cessionario iniziano
ad accordarsi per la cessione ovvero per il trasferimento. La nozione fondata
sugli aspetti oggettivi, cede il passo ad un diverso concetto di autonomia, basato su profili strettamente soggettivi di identificazione del ramo o della parte di
azienda. Il D. Lgs. n. 276/2003 si muove, in subiecta materia, anzitutto per individuare il momento in cui deve essere effettuata la valutazione del requisito
dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda, che, appunto, non sarà più necessariamente preesistente, ma verrà valutato all’atto del trasferimento da entrambe le parti contraenti.
In secondo luogo vale la pena segnalare che il Legislatore della riforma ha
ritenuto opportuno individuare, a differenza della precedente e previgente versione della norma codicistica, i soggetti deputati e competenti alla valutazione
in ordine all’autonomia funzionale del ramo di azienda da trasferire. L’art. 32
del D.Lgs. n. 276/2003, infatti, ha attribuito a cedente e cessionario la competenza ad effettuare tale identificazione, di modo ché non spetta più al giudizio
esclusivo e solitario del titolare cedente dell’azienda la corretta valutazione
dell’oggetto del contratto e, quindi, l’individuazione dell’unità dell’impresa che
forma oggetto di trasferimento/cessione, ma piuttosto il cedente è chiamato obbligatoriamente a confrontarsi in presa diretta con l’altro contraente (il cessionario). Ben è vero, peraltro, che sul punto la riforma Biagi ha inserito modifiche corrispondenti ai principi e ai criteri stabiliti a chiare lettere nella Direttiva
comunitaria 2001/23/Ce, con riguardo alla necessità di una uniformità e di una
armonizzazione in materia di mantenimento e garanzia dei diritti dei lavoratori
nelle ipotesi di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti o settori di essi. Una riflessione più che opportuna investe la questione del venire meno proprio del requisito della preesistenza dell’autonomia funzionale, giacché, secondo la lettura fornita da una parte degli interpreti, ciò potrebbe comportare la
soppressione, contestuale e conseguente, delle tutele poste a difesa dei lavoratori dipendenti (basti pensare alla disciplina dei licenziamenti collettivi). D’altra
parte, secondo una opposta visuale, occorre privilegiare l’ottica di esternalizzazione in cui si è mosso il Legislatore delegato, in quanto l’impact prevedibile
nell’immediato può al contrario essere quello di un circolo virtuoso e quindi di
una serie di effetti positivi proprio sullo stato dei lavoratori, con riferimento alla salvaguardia di una precipua “continuità occupazionale” dei dipendenti.
217
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
Secondo la giurisprudenza (Cass. 1° dicembre 2005, n. 26196; C. App.,
Roma 27 marzo 2009) l’intervento del D.Lgs. n. 276/2003 consente di affermare che si ha trasferimento di azienda con «il passaggio anche di una parte del
complesso organizzativo dei beni dell’impresa, accompagnata dal mantenimento della sua identità obiettiva» a tal punto che si può configurare un trasferimento di azienda anche con la cessione di singole unità produttive della stessa
azienda a condizione che «abbiano una propria autonomia organizzativa e funzionale, anche se una volta inserite nell’impresa cessionaria restino assorbite,
integrate o riorganizzate nella più ampia struttura di quest’ultima»; non necessita, pertanto, che detta organizzazione risulti preesistente al trasferimento, potendo le parti identificare consensualmente la «articolazione funzionalmente
autonoma» nel momento del trasferimento. Al contrario in altri pronunciamenti
la stessa Suprema Corte (Cass. 1° febbraio 2008, n. 2489; Cass. 17 luglio 2008,
n. 19740) ha affermato che «per ramo d'azienda suscettibile di autonomo trasferimento deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non
coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome,
unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito»; d’altro canto, «può applicarsi la
disciplina dettata dall'art. 2112 cod.civ. anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto
logistico sia al ramo ceduto che all'attività rimasta alla società cessionaria,
purché esso mantenga, all'interno della più ampia struttura aziendale oggetto
della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive
dell'impresa e che, in presenza di tale presupposto, si considerano fare parte
del ramo d'azienda i dipendenti che prestano la loro attività non solo esclusivamente, ma anche prevalentemente, per la produzione di beni e servizi del
ramo aziendale». La giurisprudenza di merito (Trib. La Spezia, 14 ottobre
2008, n. 579), tuttavia, ha più di recente affermato che «non costituisce autonomo ramo aziendale un reparto in cui non si realizza una attività finale
dell’azienda ma una mera attività strumentale o ausiliaria del più generale
core business aziendale; la modifica dell’art. 2112 cod.civ. operata dal D.Lgs.
n. 276/03 non muta, infatti, i requisiti di autonomia e di preesistenza del complesso trasferito, necessari perché possa legittimamente realizzarsi il trasferimento; ai fini dell’indagine in ordine alla non autenticità del ramo possono assumere rilievo probatorio talune circostanze concrete quali l’assenza,
nell’oggetto sociale dell’azienda cedente, dell’indicazione dell’attività specifi218
Parte Seconda – I contratti di lavoro
catamente esercitata dal comparto che si intende trasferire, l’eterogeneità e la
non circoscrivibilità delle attività nello stesso esercitate».
8.4.2. Continuità del rapporto
Il primo comma dell'art. 2112 cod.civ. dispone che in caso di trasferimento
dell'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente (con il cessionario) e
il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. La disposizione stabilisce
che, ferma restando la facoltà dell'alienante di esercitare il recesso ai sensi della
normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento non costituisce di per sé
motivo di licenziamento. La Corte di Cassazione (con sentenza n. 4132 del 14
luglio 1984) ha affermato che qualora il rapporto di lavoro sia di fatto proseguito con il nuovo titolare, il licenziamento del lavoratore, seguito dalla sua riassunzione, e l'apparente accordo fra questi ed il datore di lavoro cedente circa la
risoluzione del rapporto, devono essere valutati con legittimo sospetto e se ne
deve presumere il carattere fittizio e fraudolento; spetta al datore di lavoro provare in modo rigoroso la sussistenza dei requisiti di legge per la risoluzione del
rapporto e non è sufficiente il fatto che il lavoratore abbia accettato senza riserve le somme corrispostegli a titolo di indennità di fine rapporto. Pertanto, il rapporto di lavoro subordinato che abbia avuto inizio con il cedente prosegue senza
soluzione di continuità con il cessionario (subentrante), facendone derivare una
responsabilità diretta in capo alla nuova struttura societarie e d’impresa per la
generalità degli obblighi che derivano dal contratto e dal rapporto sussistenti
(Cass. 21 agosto 2004, n. 16500; Cass. 16 agosto 2004, n. 15934). Il quarto
comma dell'art. 2112 cod.civ., stabilisce poi che il lavoratore le cui condizioni
di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni (con gli effetti di cui
all'art. 2119 cod.civ.). In base alla norma relativa alla continuità del rapporto di
lavoro esiste, quindi, a favore del lavoratore la conservazione delle mansioni,
della qualifica e del livello retributivo (non della “misura”) in atto al momento
di trasferimento dell'azienda con tutte le logiche conseguenze anche per quanto
riguarda l'impossibilità di variazioni in peius delle mansioni e dell'inquadramento. Secondo il terzo comma dell'art. 2112 cod.civ., il cessionario è inoltre tenuto
ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi
nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa del cessionario. Naturalmente l'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. In proposito si segnala che per la giurisprudenza «solo nel caso in cui l'azienda acquirente non applichi alcun contratto collettivo ai lavoratori ceduti si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto con la precedente azienda, indipendentemente
dall'attività svolta dall'impresa acquirente. La preoccupazione della continuità
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Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
di una copertura contrattuale, invece, non ha più ragione d'essere quando l'impresa acquirente applichi comunque un contratto collettivo, dovendosi in tal
caso ritenere che questo contratto sostituisca immediatamente e totalmente la
disciplina collettiva vigente presso l'azienda alienante e che, secondo i principi
generali, detto contratto possa essere modificato anche in peius dalla successiva contrattazione collettiva» (Cass. 12 giugno 2007, n. 13726).
8.4.3. Obbligazione solidale
Secondo la previsione del codice civile (art. 2112, comma 2, cod.civ.) l'alienante e il cessionario sono obbligati in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. La norma prevede poi che «con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c. il lavoratore può consentire la liberazione
dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro». Non sono
ammesse altre forme di rinuncia da parte del lavoratore ed è chiaro che, in mancanza di un valido accordo nei termini ora accennati, continua la responsabilità
solidale dell'alienante, peraltro unicamente per i crediti del lavoratore al momento del trasferimento dell'azienda (fra i quali può essere rilevante il trattamento di fine rapporto maturato fino a quel momento).
L’art. 32 del D.Lgs. n. 276/2003 ha inserito un ultimo comma all’art. 2112
cod.civ. che estende, come anticipato, alle ipotesi di trasferimento di azienda il
peculiare regime di solidarietà stabilito in materia di appalto, nei limiti e alle
condizioni di cui all’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, se e quando, appunto, il contratto d’appalto risulta connesso o strutturalmente funzionale ad
una cessione di ramo o di parte di azienda. Una analisi ermeneutica di questa
seconda innovazione pare offrire ai lavoratori interessati dal trasferimento del
ramo/settore d’azienda la facoltà di agire direttamente nei riguardi
dell’appaltante, sempreché, ovviamente, l’appalto interessi direttamente, per
connessione funzionale o gestionale immediata, il ramo di attività dell’area aziendale che forma oggetto del trasferimento. In tal senso, se la lettura della
norma è corretta, l’esternalizzazione penetra nel nostro sistema giuslavoristico
in base a precisi canoni di rispetto delle tutele sostanziali dei lavoratori “esternalizzati”, grazie anche alla previsione di questa generale responsabilità solidale,
con lo scopo, che sembra potersi dire raggiunto, di razionalizzare in maniera decisa tutti i processi di outsourcing. L’ultimo comma dell'art. 2112 cod.civ. stabilisce, infatti, che, nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto
di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto della
cessione tra appaltante e appaltatore, opera il regime di solidarietà di cui all'art.
29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003.
Nel subentro nei contratti di appalto per servizi, l'acquisizione del personale
già impiegato nel medesimo appalto, non comporta l'applicazione delle disposi220
Parte Seconda – I contratti di lavoro
zioni in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti
dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste
dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati
con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. In tal
senso l'art. 7, comma 4bis, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con
modificazioni, in legge 28 febbraio 2008, n. 31, codifica l'esclusione dell'obbligo per l'impresa uscente di esperire le procedure di mobilità, ma condiziona tale
soluzione all'osservanza da parte dell'impresa subentrante, delle disposizioni del
C.C.N.L. applicato ai lavoratori riassunti.
8.4.4. Procedure sindacali
Nel caso in cui il trasferimento interessi un'azienda in cui siano occupati
più di quindici dipendenti, l'art. 47, commi 1 e 2, della legge n. 428/1990, prevede un particolare sistema di comunicazioni e consultazioni in sede sindacale.
L'alienante ed il cessionario, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una
parte dell'azienda, devono darne comunicazione per iscritto, almeno 25 giorni
prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante fra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze
sindacali, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei
sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi, può essere fatta dal
cedente o dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare i motivi del
programmato trasferimento, le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. Su
richiesta scritta delle rappresentanze sindacali aziendali o dei sindacati di categoria, comunicata entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, l'alienante e l'acquirente sono tenuti ad avviare, entro 7 giorni dal ricevimento della richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. Il mancato raggiungimento di un accordo nel termine di 10 giorni dall'inizio dell'esame congiunto, determina l'esaurimento dell'esame stesso e quindi le aziende riacquistano la loro libertà di azione. In base all'art. 47, comma 2, ultima parte, della legge n. 428/1990, «il mancato rispetto, da parte dell'acquirente o dell'alienante,
dell'obbligo di esame congiunto previsto nel presente articolo costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300».
Gli obblighi stabiliti dall'art. 47 della legge n. 428/1990 devono essere assolti
anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento di azienda o di ramo
di azienda sia stata assunta da altra impresa controllante, con la specificazione
221
Capitolo 8 – I lavori esternalizzati
che la mancata trasmissione da parte di questa delle informazioni necessarie non
giustifica l'inadempienza dei predetti obblighi.
8.4.5. Casi nei quali non opera l'art. 2112 cod.civ.
L'attuale testo dell’art. 47 della legge n. 428/1990 individua due casi nei
quali l'art. 2112 cod.civ. non si applica. Il primo quando il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata una procedura concorsuale, se la
continuazione dell'attività non è stata disposta o è cessata e nel corso della consultazione sindacale sia raggiunto un accordo per il mantenimento anche parziale dell'occupazione, salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore
per i lavoratori. L'altro caso di non operatività riguarda i lavoratori che, a seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non passano alle dipendenze del cessionario, ma hanno diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate
entro un anno dalla data del trasferimento, ai lavoratori che vengono assunti in
un momento successivo al trasferimento d'azienda. Peraltro, la portata normativa delle odierne esclusioni deriva dalla sentenza 11 giugno 2009 resa nella causa C-561/07 (procedura d’infrazione n. 2005/2433) dalla Corte di Giustizia delle
Comunità europee con la quale l'Italia è stata condannata per l'originaria disposizione contenuta nell’art. 47, commi 5 e 6, della legge n. 428/1990 che prevedono la disapplicazione dell'art. 2112 cod.civ., in quanto la norma in questione
non è stata ritenuta conforme alla Direttiva n. 2001/23/CE. In conseguenza di
tale condanna, l’art. 19quater del D.L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito,
con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, ha inserito nel corpo
dell’art. 47 della legge n. 428/1990 un nuovo comma 4bis, il quale prevede che
nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'art. 2112 cod.civ. trova applicazione nei termini e con
le limitazioni previste dall'accordo stesso quando il trasferimento riguarda aziende: a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi
dell'art. 2, comma 5, lett. c), della legge 12 agosto 1977, n. 675 (riguarda aziende o unità produttive delle quali sia accertato lo stato di crisi aziendale con particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale e a quella
produttiva del settore precedentemente escluse in ragione del testo originario
dell’art. 47, comma 5, modificato dal D.L. n. 135/2009); b) per le quali sia stata
disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n.
270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività. D’altro canto
la giurisprudenza ha precisato che vanno escluse dall’ambito di applicazione
dell’art. 2112 cod.civ. altre fattispecie: il trasferimento di una organizzazione
non imprenditoriale non definibile come azienda (Cass. 10 aprile 1999, n.
3543); la semplice continuità delle prestazioni lavorative rese dapprima alle dipendenze di una impresa e in seguito alle dipendenze di un’altra, negli stessi lo222
Parte Seconda – I contratti di lavoro
cali, ma senza il trasferimento del complesso organizzato dei beni in uso alla
prima impresa (Cass. 17 marzo 1993, n. 3148).
8.4.6. Obblighi di comunicazione
Il cessionario, titolare del rapporto di lavoro, deve effettuare entro 5 giorni
dal trasferimento dell’azienda o del ramo di azienda, una comunicazione
dell’evento, utilizzando il modulo “Unificato VARdatori”, secondo le indicazioni fornite dalla Nota del Ministero del Lavoro n. 8371 del 21 dicembre 2007. La
comunicazione dei trasferimenti di azienda attiene alle variazioni soggettive del
datore di lavoro per qualsiasi operazione che comporta il mutamento sostanziale
della titolarità dei rapporti di lavoro in essere, che continuano con il «cessionario», il quale ha sempre «un codice fiscale diverso dal datore di lavoro cedente», come sottolinea il Ministero del Lavoro, ma anche una differente «identità»
sociale e/o societaria. Seguendo l’impostazione ministeriale si hanno:
a) Trasferimento d’azienda per cessione - Si tratta della cessione dell’azienda
ad altro soggetto che assume su di sé la gestione dell’intera realtà aziendale.
Ne consegue che il cessionario ha l’obbligo di comunicare, entro 5 giorni: data e
tipo di trasferimento, dati identificativi del cedente, dati identificativi di ciascuna
sede di lavoro cui i lavoratori vengono destinati, dati identificativi dei lavoratori
trasferiti.
b) Trasferimento d’azienda per fusione - Altra ipotesi non meno frequente, che
interessa più complessi aziendali distinti, è la “fusione” fra diverse realtà
d’impresa. In questo caso il cessionario deve effettuare tante comunicazioni distinte per quanti sono i datori di lavoro cedenti coinvolti nell’operazione di fusione, identificando separatamente, per ciascuna comunicazione, i lavoratori rispetto ai quali, a seguito della fusione, ha acquisito la titolarità dei rapporti di lavoro.
c) Cessione di ramo d’azienda - La terza fattispecie individuata dal Ministero del
Lavoro attiene all’ipotesi del trasferimento di una sola parte, specificamente individuata, del complesso aziendale che si divide a seguito di cessione. A seguito del passaggio giuridico di titolarità del ramo d’azienda il cessionario deve inviare la comunicazione relativa ai lavoratori interessati dal trasferimento del ramo d’azienda, per i quali ha acquisito la titolarità dei rispettivi rapporti di lavoro.
d) Altre ipotesi di mutamento d’azienda – Stante la nozione legale di “trasferimento d’azienda” deve prendersi in considerazione qualsiasi operazione contrattuale che comporta il mutamento della titolarità dell’attività economica organizzata, anche solo evidenziata in un complesso di beni e di rapporti unitariamente strutturato e funzionalmente autonomo, oggetto di negoziazione, sia che
ciò avvenga per cessione o per fusione, ovvero anche per usufrutto, per affitto,
per successione ereditaria, per incorporazione o per scissione.
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