Comunione, comunità e società ne L`essenza del cristianesimo di

GIUSEPPINA PREJANÒ
Comunione, comunità e società
ne L’essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach
Nel corso di questo studio tematico su Das Wesen des Christentums1, l’opera
più importante e più conosciuta del filosofo bavarese Ludwig Feuerbach,
sono stati messi in evidenza alcuni aspetti della filosofia feuerbachiana che
costituiscono il fulcro della sua prospettiva antropologica: pur mantenendo
come base di tutta l’analisi il motivo della critica al cristianesimo, la ricerca
è rivolta in particolare alle definizioni e ai concetti, di «Mensch», di «Gattung», e in particolare, anche se non in chiave prettamente politica, ai concetti di «Gemeinschaft», «Gemeinwesen» e «Gesellschaft».
La struttura concettuale utilizzata per individuare gli elementi, definiti
sempre a partire dall’opera, è caratterizzata da una progressione dialettica,
nel senso più generale dell’analisi dal particolare all’universale. Nel caso
della prospettiva di Feuerbach l’universale è da intedere non più come Assoluto2, e si delinea, invece, nel significato di collettivo/universale: una visione che ha come suo centro l’interesse del «Gattung» e della «Wesen des
Mensch», che concilia in termini pratici la particolarità del singolo uomo
con l’infinito concetto di essenza umana, essenza che, come vedremo, è
strettamente legata al destino del genere umano.
In base a questa prospettiva generale, e ai fini di una rilevanza teorica, è
risultato necessario utilizzare una vera e propria organizzazione tematica, per
chiarire e scandire i passaggi fondamentali, e analizzare nel dettaglio le defi1 Das Wesen des Christentums, pubblicata per la prima volta a Leipzig nel 1841, fu riedita
dallo stesso Feuerbach nel 1843. Feuerbach curò anche una terza edizione dell’opera che
fu pubblicata nel 1849, inserita come VII volume della raccolta delle sue opere tra il 1846 e
il 1866. La traduzione italiana alla quale facciamo riferimento, e che è utilizzata per lo
svilup-po di questo lavoro, si basa sulla prima edizione: L’essenza del Cristianesimo, a cura di
F. To-masoni, Laterza, Roma-Bari 2006.
2 Questa accezione di universale lo legherebbe ancora il pensiero di Feuerbach ad una
prospettiva idealista, in particolare di stampo hegeliano, dalla quale il filosofo già da tempo
si era emancipato: si vedano, ad es., gli scritti sulla storia della filosofia moderna, Geschichte
der neuern Philosophie von Bacon von Verulam bis Benedict Spinoza (Ansbach, 1833), lo scritto
sulla morte e sull’immortalità, Gedanken über Tod und Unsterblichkeit (Nürnberg, 1830), e
quello sulla critica del pensiero hegeliano, Zur Kritik der Hegelschen Philosophie, «Hallische
Jahrbücher» (1839).
Bollettino Filosofico 26 (2010): 479-490
ISBN 978-88-548-4673-9
ISSN 1593-7178-00026
DOI 10.4399/978885484673933
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nizioni e i luoghi del testo nei quali i concetti emergono. La scelta di alcuni
concetti ha permesso, inoltre, la ricapitolazione, e anche in parte l’approfondimento, di alcuni momenti importanti del pensiero di Feuerbach.
In primo luogo, come si è accennato a proposito della progressione dialettica, va messa in evidenza la caratterizzazione dell’uomo in quanto singolo, e in particolare delle sue determinazioni: pensare, amare e volere, tre facoltà che costituiscono quella che possiamo definire come la base ontologica,
ovvero ciò che il filosofo designa propriamente come l’essenza dell’uomo.
Il secondo momento di analisi considera, invece, l’individuo nel suo rapporto con l’altro, in una dinamica di negazione e riconoscimento di sé da
parte del singolo, momento dal quale scaturiscono i concetti di genere umano, e, correlativamente, l’importante tema del rapporto Ich–Du. Alla luce
della lettura critica della visione cristiana, emerge in Feuerbach un altro concetto che si pone in contrapposizione al singolo uomo, il concetto di «Welt»,
che contiene in sé l’idea di natura, o meglio di cosmo, e include a sua volta
forme organiche e inorganiche, tra le quali anche la dimensione umana.
Sulla base dell’analisi delle due parti precedenti, la prima parte relativa
all’individuo e all’essenza umana, e l’altra relativa al rapporto dell’uomo
con ciò che sta al di fuori di sé, il terzo momento di questo lavoro culmina
nella presa in considerazione di un eventuale concetto di ente sociale nella
filosofia di Feuerbach, di un’idea, in particolare, che determini il vivere associato degli uomini. In base all’indagine sul lessico, condotta sui tre termini utilizzati da Feuerbach, quali «Gemeinschaft», «Gemeinwesen», e «Gesellschaft», abbiamo riscontrato la mancanza, nella prospettiva feuerbachiana,
di un’argomentazione concreta di questo vivere associato: in teoria la società auspicata dovrebbe basarsi sulla comunità degli uomini uniti dall’essenza dell’uomo e dal concetto di genere. A proposito della generalità di
questa concezione, come ha osservato Engels, non esiste alcuna possibilità
di paragone tra l’impostazione, così dettagliata ed esplicita, di Hegel e la
visione di Feuerbach:
L’etica, o la dottrina dell’eticità, di Hegel è la filosofia del diritto e comprende:
1. il diritto astratto, 2. la moralità, 3. l’eticità. Che a sua volta abbraccia: la famiglia, la società civile, lo Stato. Per quanto è idealistica la forma, altrettanto è qui realistico il contenuto. Tutto il campo del diritto, dell’economia,
della politica, viene qui abbracciato insieme con la morale. In Feuerbach accade
precisamente l’opposto. Nella forma egli è realistico, egli parte dall’uomo; ma
non dice assolutamente nulla del mondo in cui quest’uomo vive […].3
3
F. ENGELS, Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassichen deutschen Philosophie (1886),
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In Feuerbach una concezione etica, intesa nei termini dell’analisi dei contenuti che caratterizzano la dimensione sociale, sembra non emergere
nemmeno dalla considerazione del concetto di società, espresso dal termine «Gesellschaft»: secondo il filosofo, infatti, gli uomini hanno la necessità
di vivere insieme poichè l’essere uniti e solidali rappresenta una ricchezza e
un vantaggio, ed è proprio nella società che si manifesta tale caratteristica
concreta, dimostrandone il valore intrinseco in due momenti strettamente
collegati, che approfondiremo più avanti, quali la cultura e la storia.
Manca anche, alla luce di queste considerazioni, una dimensione prettamente politica nella filosofia di Feuerbach, soprattutto nella prospettiva
di Das Wesen des Christentums. Bisogna, però, considerare che nelle intenzioni dell’autore l’opera era orientata principalmente all’analisi e alla critica del cristianesimo, e di quello che la religione comporta per la vita dell’uomo: Feuerbach non ha dubbi riguardo al fatto che la religione nasconde
all’uomo la propria essenza. Nell’opera vengono sviluppate, principalmente, le modalità dell’esperienza religiosa, nelle quali si può cogliere il manifestarsi dell’essenza vera dell’uomo, e che devono essere sottoposte ad un
vero e proprio smascheramento dei dettami religiosi. Feuerbach critica il
dogmatismo e il rigore dello schema teologico, mirando anche ad approfondire le manifestazioni esteriori della religione, come ad esempio il culto, nel caso del tutto particolare della religione cristiana.
1. Il singolo e l’essenza dell’uomo
Per Feuerbach la religione riguarda la vita interiore dell’uomo, e la sua
importanza emerge a partire dalle dinamiche che intercorrono tra la coscienza dell’uomo in quanto singolo e la sua essenza: l’essenza dell’uomo è
illimitata poiché egli, pur essendo individuo, appartiene all’infinitezza del
genere umano. L’essenza dell’uomo, inoltre, è costituita in senso stretto
da tre elementi, che la caratterizzano: «La ragione, la volontà, il cuore»4.
Questi, inoltre, non sono altro che il corrispettivo di quelle facoltà, anche
dette perfezioni, che, secondo Feuerbach, costituiscono la natura umana,
ovvero pensare, volere e amare.
tr. it. Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, a cura di G. Sgrò, La
Città Nuova, Napoli 2009, p. 81.
4 L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., p. 27; Gesammelte Werke, a cura di W.
Schuffenhauer, Akademie, Berlin 1973, vol. V, p. 31.
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Dalla lettura del testo emerge come di ciascuno di questi concetti – ragione, amore, e volontà – esista almeno una doppia lettura all’interno della
prospettiva feuerbachiana: la prima lettura orientativamente condizionata dall’influsso della religione, quindi che costituisce, secondo il filosofo, l’aspetto
negativo da criticare, e l’altra lettura che consiste nell’aspetto essenziale del
concetto, propriamente positivo, che deve essere a tutti i costi recuperato.
Nel caso della ragione, però, parlare di due aspetti è forse riduttivo,
poiché i significati presi in considerazione da Feuerbach sono molteplici e
si estendono dal concetto di ragione speculativa, dunque astratta,
all’intellet-to, e ancora alla ragione naturale e universale.
Riguardo alla ragione (Vernunft) speculativa, secondo Feuerbach, essa è
stata considerata, nella filosofia in particolare, una componente del tutto
astratta dell’uomo, che oggettiva e permette la conoscenza, ma che finisce
anche per separare l’uomo dalla propria natura e dalla propria complessità,
iniziando inconsciamente quel processo, presente nella concezione di
Feuerbach, che la storia della filosofia denominerà alienazione religiosa.
Secondo Feuerbach la colpa è anche, e soprattutto, dei filosofi, che non risolvono il dissidio con la fede, e con il conformismo della religione, che di
spirituale sembra avere ormai molto poco: la loro filosofia ha cercato di
perpetrare le giustificazioni della sudditanza della ragione nei confronti dei
dogmi teologici5. Inoltre, la ragione, che Feuerbach chiama cristiana, non
opera una distinzione tra gli oggetti della fede e gli oggetti reali: questi ultimi, infatti, sono comprensibili solo alla luce della fede. I contrasti che si
constatano nell’esperienza, apparentemente non risultano comprensibili
alla ragione del fedele, ma devono essere per forza accettati, poiché sono il
risultato di una ragione superiore e frutto di una rivelazione.
Alla ragione astratta il filosofo, almeno nella prima edizione dell’opera,
oltre ad una concezione attiva di ragione, libera ed universale, che principalmente consiste nella possibilità del dubbio, ovvero del mettere in discussione ciò che si conosce, contrappone anche il concetto di intelletto (Verstand)
inteso come la realizzazione della conoscenza oggettiva: l’intelletto fornisce categorie, procede per leggi, e non concepisce ciò che è contraddittorio.
A proposito dell’amore (Liebe) e della facoltà di amare, invece, possiamo fare una distinzione più netta tra due accezioni contrapposte: da una
parte Feuerbach pone un amore di derivazione religiosa, l’amore per la divinità, che segue le dinamiche della fede, e che subordina ad essa tutta la
sfera privata e pubblica dell’individuo; dall’altra parte troviamo, invece,
5
Cf. L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., pref. alla seconda ediz., p. 13.
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un amore naturale, propriamente rivolto all’uomo e al genere. In quest’ultimo aspetto, nell’amore naturale, emerge tutta la forza attiva dell’uomo,
la facoltà vera e propria che Feuerbach mette in relazione con la ragione
naturale e la volontà.
Il tema dell’amore permette al filosofo di chiarire quale sia il contrasto
con la fede: l’amore è il fondamento della religione cristiana perché si caratterizza per l’uomo come una delle sue facoltà principali; in esso l’individuo esce da sé, solo nel caso in cui, però, non sia più vincolato alla prospettiva religiosa, che dell’amore naturale, originario, ha mantenuto ben
poco. Nel merito della critica alla religione cristiana, tuttavia, non si può
dimenticare che Feuerbach riconosce l’importanza della figura di Cristo,
vera incarnazione dell’amore, e, proprio per questo, coscienza del genere
umano. Il messaggio di Cristo è universale poiché si fonda su una realtà,
quale quella dell’amore reciproco, che è comune a tutti gli uomini.
La volontà (der Wille) è definita da Feuerbach soprattutto come volontà
di essere liberi (die Willensfreiheit), e potremmo dire, dunque, di essere liberi di volere e/o di avere una volontà libera, ovvero non limitata a monte. Nella prospettiva del pensiero di Feuerbach, inoltre, risulta chiara l’importanza del binomio di atto e volontà, che determina la consequenzialità e
la corrispondenza di un volere al quale segue sempre un’azione, così che
l’azione sia sempre legata alla possibilità di attuarsi: la volontà di conseguenza è definita come energia del carattere, «forza della moralità», ovvero ciò che è in grado di ostacolare gli impulsi individuali nell’uomo, attraverso l’apertura all’analisi delle passioni egoistiche6.
Ma questa volontà, che deve essere libera dal principio soggettivo, ovvero da ciò che Feuerbach definisce come arbitrio, e da un’eventuale possibilità di costituirsi come volontà immaginativa, ovvero chiusa in sé, celebrante l’atto puro del quale non esiste un consistente corrispettivo nella
realtà, deve pur fare i conti con ciò che la circonda, e riorganizzare il concetto stesso di libertà: essere liberi significa anche fare i conti con ciò che
costituisce il cosmo in cui il singolo si muove, e solo alla luce di un equilibrio e dell’accettazione da parte del singolo di ogni aspetto della sua personalità, e della realtà in cui vive, l’individuo può dare il senso alla sua volontà di essere autonomo, libero, di far parte, dunque, di quell’equilibrio
necessario per la sua realizzazione, che nel caso della fede viene ostacolato
e deviato da una volontà dispotica e astratta, quale appunto quella divina.
6
Cf. L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., p. 28.
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2. La «Gattung» e il rapporto Ich-Du
Il problema di Feuerbach è un problema tradizionale della storia della
filosofia: quale rapporto intercorre fra il Tutto e le sue parti? Il concetto di
genere (Gattung), cerca in qualche modo di dare una soluzione a questa domanda, in una prospettiva che, come vedremo, mette in luce gli errori o i
pregiudizi del pensiero occidentale, secondo Feuerbach, influenzato in
maniera negativa dal cristianesimo.
Nel cristianesimo, infatti (anche se in Feuerbach non è presente una vera e propria suddivisione cronologica delle fasi storiche di questa religione)
vi sono stati dei momenti in cui la religione ha influenzato in maniera assoluta sia la condotta dei singoli, sia la cultura e la storia del mondo occidentale, e ciò è evidente nella deriva dell’alienazione religiosa che deve essere
superata, in vista di una riappropriazione di sé da parte dell’uomo, senza
intermediari ultraterreni. Il dio cristiano, infatti, per Feuerbach, è il desiderio recondito di ogni singolo uomo che vorrebbe non sentire il peso della propria limitatezza, e identificarsi in maniera immediata con la propria
essenza nella sua interezza. Per l’individuo che crede, Dio non è altro che
il manifestarsi della propria volontà, del proprio chiudersi in sé stesso, nella convinzione che qualcuno possa salvarlo dalla propria natura limitata.
Tale deriva dell’uomo religioso ha una motivazione ben precisa: secondo Feuerbach, infatti, nell’individuo, in particolare, si fondono due aspetti,
il suo essere finito e infinito al tempo stesso, poiché nel suo essere singolo
uomo egli è limitato, finito anche da un punto di vista biologico, e contemporaneamente parte dell’infinità dell’essenza umana, quindi illimitato nella
misura in cui egli è sia parte attiva dell’essenza, nell’unicità del suo essere
uomo, individuo, e sia in quanto egli è agito dalle facoltà della sua essenza:
l’uomo ama, pensa e vuole perchè è agito dalle facoltà di amare, pensare e
volere, che rappresentano il suo fondo ontologico, ma è anche soggetto attivo perchè sceglie e distingue le modalità e l’utilizzo di tali facoltà.
L’essenza divina non è altro, come abbiamo detto, se non la completa
astrazione dell’essenza umana da se stessa, un salto di coscienza che non
corrisponde alla realtà della propria radice ontologica. Il genere è, dunque,
per il filosofo, l’essenzialità diventata oggetto della coscienza di un ente. In
questo suo essere legato alla coscienza, caratterizzato da una certa oggettività, aggiungiamo, seguendo Feuerbach, che il genere è anche ciò che è
degno di scienza, poiché «la scienza è la coscienza dei generi»7.
7
L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., p. 25 («Die Wissenschaft ist das Bewußtsein
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Nel momento in cui però il concetto di genere non è ancora messo a
fuoco, come ad esempio nelle dinamiche della vita dell’uomo religioso,
possiamo ricorrere alla sua deduzione a partire dalle determinazioni della
divinità stessa: Dio è la cartina di tornasole che permette di conoscere ciò
di cui l’uomo ha bisogno, e il suo essere persona indica che l’uomo necessita di qualcuno, di un altro che sia garanzia della propria esistenza. Dio, in
particolare, è la prova che l’uomo sa di aver bisogno degli altri, ma non
vuole riconoscere ciò come fatto reale, perché sarebbe eccessivamente difficile convincersi di aver bisogno di chi non è uguale e identico a sé.
L’apertura del singolo alla coscienza di sé, del genere e del cosmo in
cui egli vive passa così, in maniera obbligata, per il filosofo bavarese, attraverso il rapporto che il singolo instaura con l’altro uomo/donna. Questo
aspetto, forse il più seguito dalla critica della filosofia di Feuerbach, quale
appunto è il rapporto tra io e tu, si articola in due momenti ben definiti,
caratterizzati e distinti dalla differenza sessuale: l’io e tu, costituito dal
rapporto d’amicizia tra due individui che appartengono allo stesso sesso, e
l’io e tu costituito dalla contrapposizione, difficilmente descritta come
scontro, poiché sempre fondata sull’amore – in particolare sull’amore sessuale – tra uomo e donna. Feuerbach argomenta l’autenticità di
quest’ultimo rapporto considerando come, appunto, sia l’aspetto
dell’amore sessuale, che corrisponde ad un bisogno, un istinto di cui difficilmente l’uomo può fare a meno, forse solo illudendosi, e come il rapporto uomo-donna sia la realizzazione della complementarietà dei due sessi,
necessari uno all’altro per raggiungere il vero momento di autocoscienza
che li apre alle dinamiche del genere, rivelandone la forza al di là della loro
situazione di singoli individui biologicamente opposti.
La sfera sensibile dell’uomo, in particolare il corpo e i sentimenti, in questo quadro così dettagliato, ricopre un ruolo fondamentale nella concezione di
Feuerbach. Questa concezione non ci permette, però di parlare di un semplice
o rozzo materialismo, poiché le determinazioni sensibili, i sentimenti, i bisogni
del corpo sono sempre considerati nella loro interazione con la parte razionale
dell’uomo, nell’intento feuerbachiano di ridare unità all’individuo, rispecchiando in questo modo la realtà concreta delle dinamiche della vita umana.
der Gattungen»), Gesammelte Werke, cit., p. 28. Si noti anche, in queste pagine, la distinzione
che Feuerbach mette in atto tra vita e scienza: «Nella vita trattiamo con individui, nella
scienza con generi» («Im Leben verkehren wir mit Individuen, in der Wissenschaft mit Gattungen»).
La scienza dunque si caratterizza come qualcosa di assolutamente altra dalla particolarità del
caso e della prospettiva individuale. I riferimenti di una visione del genere, riguardante la
scienza, sono sicuramente i filosofi e scienziati dell’età moderna e della rivoluzione scientifica, tra tutti in assoluto Bacone, che Feuerbach stesso cita in queste pagine (cf. ivi, p. 30).
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Possiamo, dunque, dire che l’altro uomo/donna è ciò che media, che
prepara ad accettare i limiti della propria condizione individuale, in modo
tale che l’essenza umana possa essere finalmente resa come oggetto della
coscienza a partire dalla figura dell’altro. Il tu prepara la visione oggettiva
della realtà, nell’altro, nel tu, si riscontra la limitatezza del singolo, ma anche la forza nel caso di un’azione coesa per un fine comune. Il rapporto tra
io e tu è un rapporto di amore, è un rapporto a due, privilegiato se vogliamo, che però ha la funzione di aprire il singolo, ampliando la sua prospettiva
e mettendo in discussione il suo egocentrismo, al resto dell’umanità.
Nel rapporto con l’altro si manifesta l’insoddisfazione del singolo per la
propria individualità, e la diretta conseguenza di tale insoddisfazione, riferita in particolare alla condizione di essere limitato in quanto individuo, è
la necessità di rifiutare la superbia che si cela nella propria volontà egoistica.
2. Le tre determinazioni del vivere associato
Su questa base teorica, della dinamica tra io-tu, e genere, Feuerbach delinea la propria prospettiva di vivere associato, che, seppur non intesa in un
quadro politico e adeguatamente dettagliata, essa rappresenta un momento
di riflessione interessante soprattutto per quanto riguarda l’uso dei termini
che l’autore decide di utilizzare. Ciò che abbiamo riscontrato, infatti, è la
motivata scelta, da parte del filosofo, di designare con termini diversi le caratterizzazioni della vita comunitaria: «Gemeinschaft», la comunione, l’essere
in comune; il termine «Gemeinwesen», ovvero la comunità, usato molto poco
dal filosofo bavarese nel corso di quest’opera; «Gesellschaft», la società, infine, termine che si riferisce ad una realtà concreta e organizzata.
Il termine che compare con maggiore frequenza in quest’opera di
Feuerbach, è senz’altro «Gemeinschaft», che tradotto in italiano indica
«unione, comunione», o anche «collettività, comunità». Nella traduzione
dei passi nei quali il temine compare, e all’interno della prospettiva feuerbachiana, molto spesso il significato preferito dal filosofo bavarese è quello
di comunione, nel senso religioso-cristiano che non corrisponde, però, al
sacramento da noi comunemente inteso8: qui infatti, il termine comunione
riguarda la costituzione di una comunità che ha come caratteristica l’esser
comune della fede. Non parliamo a caso di essere in comune, poiché molto spesso nel testo il sostantivo «Gemeinschaft» viene sostituito dal suo ag8 Il sacramento cristiano della comunione è indicato da Feuerbach come «Abendmahls»,
ovvero come «cena». Cf. Gesammelte Werke, cit., p. 393.
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gettivo gemeinschaftlich-, che ha appunto questo significato: l’essere comune, lo stato di comunanza di un qualcosa9. Il significato di comunione è utilizzato dal filosofo per determinare la natura di una comunità religiosa, ovvero dell’unione di individui che condividono la stessa fede nella divinità, e
che stabiliscono le regole della loro convivenza solo attraverso la fede stessa: la fede in Dio-Padre per il cristiano è il centro intorno al quale può riunirsi il singolo fedele insieme ad altri, che devono essere però nella sua
stessa privilegiata condizione, ovvero quella di uomini di fede: la fede è il
fondamento del loro essere in comune.
Apparentemente il cristianesimo, per la sua tendenza a definire l’importanza della costruzione di una comunità di uomini, sembra realizzare e
adempiere un desiderio dell’uomo, che corrisponde a quello di vivere con
gli altri. Ma, come abbiamo specificato, si tratta di apparenza appunto, che
viene meno nel momento in cui ci si sofferma sulle dinamiche interne alla
costituzione di questa comunione di uomini.
Seguendo il ragionamento di Feuerbach, ci ritroviamo in particolare a
definire cosa significa per il singolo uomo, al di là della fede, essere in comune: non può che essere la necessità di una condivisione con altri uomini
di aspetti che riguardano la vita del singolo stesso. La comunione, però, è
principalmente una comunione religiosa, o almeno Feuerbach la intende in
relazione alle dinamiche che intercorrono nella vita del fedele. All’individuo la fede impone questa verità: in primo luogo l’uomo ha bisogno della
divinità, e solo in un secondo momento della comunità degli uomini.
Il concetto di comunione religiosa, ancora, oltre a limitarsi ai singoli
che condividono la fede verso il Dio, nel cristianesimo resta completamente astratta dal contesto, ovvero dalla natura e dal mondo, in cui l’uomo vive: nella contraddizione della vita nella natura10 e del rifiuto della natura
stessa, da parte del cristiano si registra un’altra grande rinuncia, in favore
di un concetto che non gli restituirà mai la sua propria essenza.
Per quanto riguarda il contesto in cui il termine «Gemeinwesen» appare, designando il significato di comunità, Feuerbach si riferisce, invece, ad una realtà più naturale di vivere associato, che si fonda sull’essenza dell’uomo e sulla
necessità dello stare insieme all’insegna dell’amore reciproco11. I riferimenti
9 Per il significato di «Gemeinschaft» cf. anche l’uso del termine in G.W.F. HEGEL,
Phänomenologie des Geistes (1807), tr. it. Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero,
Bompiani, Milano 2000, pp. 194, 498, 884, 940. In questi passi il significato del termine
tedesco viene reso in italiano dai curatori con comunanza, comunione.
10 Cf. L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., p. 171.
11 Il termine nella tradizione repubblicana tedesca, come sottolineato da C. Cesa, so-
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che riscontriamo sono: il primo presente già nella prima edizione dell’opera,
nel capitolo dedicato alla riflessione sulla differenza tra paganesimo e cristianesimo12; il secondo compare, invece, nella seconda edizione, come aggiunta
alla prima occorrenza, sempre nell’ambito dello stesso capitolo.
In queste pagine, del suddetto capitolo, si analizza l’assenza di alcuni assunti fondamentali per l’essenza dell’uomo nella religione cristiana che,
invece, sono presenti e forti, secondo Feuerbach, nella religione pagana.
Nella prima edizione dell’opera, si tratta nello specifico della differenza
che esiste tra la concezione religiosa del paganesimo e quella del cristianesimo, in base al rapporto che l’uomo ha nei confronti della natura e del genere: «I pagani però considerarono l’uomo non solo in connessione all’universo; essi considerarono l’uomo, cioè l’individuo, solo in connessione agli
altri uomini, nel suo legame con un’essenza comune»13. La traduzione, quasi
alla lettera del termine tedesco, mette in luce principalmente il significato
del concetto che Feuerbach vuole esprimere. Si tratta, infatti, di salto significativo rispetto al concetto di essere comune o di comunione, espresso
in «Gemeinschaft»: la comunione e l’essere in comune sono costituiti e determinati in base alla loro dipendenza rispetto alla fede, qui, invece, si tratta di essenza comune, e non possiamo non intuire il riferimento di Feuerbach all’essenza umana.
Considerare l’essenza dell’uomo come fondamento della comunità per il
singolo significa fare riferimento al concetto di genere e a tutta una serie di
determinazioni particolari dell’essenza umana: ricordiamo che l’uomo è caratterizzato, secondo Feuerbach, da tre facoltà ben definite, che sono pensare, amare e volere. Una tale considerazione conduce, dunque, a ritenere
molto più importante una comunità che guardi alla natura reale dell’essere
umano, visto nella sua prospettiva concreta, nel suo vivere e nella sua natura, come sintesi di queste tre facoltà che lo connotano intimamente.
Dobbiamo aggiungere che, essendo l’essenza il valore reale sulla quale
si fonda il vivere associato, risulta evidente l’importanza, come avviene nel
caso del genere, di quel concetto di integrazione e compensazione che
prattutto nel periodo storico in cui Feuerbach visse, veniva anche utilizzato per designare la
res publica e raggirare così la censura. Cf. Geschichtliche Grundbegriffe alla voce «Gemeinwesen».
12 Cf. L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., ‘La differenza del cristianesimo dal
paganesimo’, p. 166.
13 Ivi, p. 167 («Die Heiden betrachteten aber den Menschen nicht nur im Zusammenhang mit dem Universum; sie betrachteten den Menschen, d.h. das Individuum, nur
im Zusammenhang mit andern Menschen, in Verbidung mit einem Gemeinwesen»),
Gesam-melte Werke, cit., pp. 393, 264.
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Feuerbach ha tentato di fare emergere: il singolo non basta a sé stesso, preso in sé è limitato, necessita di collaborare con altri singoli per potersi realizzare. Questo concetto è presente in particolare nella visione del mondo
degli antichi, poiché essi mettevano in ordine d’importanza sempre l’intero prima della parte, una concezione, dunque, che mette in secondo piano
il singolo in quanto valore in sé.
Il termine tedesco utilizzato da Feuerbach per designare la società, «Gesellschaft», non è accompagnato, come abbiamo visto, da una vera e propria
descrizione analitica delle parti che costituiscono la società o delle regole che
in essa intercorrono, né in queste pagine dell’opera, né in altri momenti del
pensiero del filosofo. In Feuerbach, il concetto di società si connota come
realtà effettiva, realizzazione della comunità, in stretto legame con l’idea di
genere, e si fonda sull’accettazione di un atto di consapevolezza, da parte
del-l’individuo, del proprio essere finito: l’uomo è un soggetto che necessita
della presenza degli altri, ai quali giunge attraverso l’esperienza del rapporto
io-tu, che risulta il momento in cui il singolo diventa autocosciente.
La società, ovvero la vita sociale, viene costituita da tutte le manifestazioni della vita attiva dell’uomo insieme agli altri, e che in essa si esplicano:
«L’arguzia, la sagacia, la fantasia, il sentimento, come distinto dalla sensazione, la ragione come facoltà soggettiva, tutte queste cosiddette facoltà
dell’animo sono facoltà dell’umanità, non dell’uomo in quanto singolo, sono prodotti della cultura, prodotti della società umana»14. Da questo passo
emerge la tendenza di Feuerbach a considerare, come parte integrante della società, l’aspetto culturale, che risulta il perno dello sviluppo, il nesso
che esiste tra la società e il concetto di genere umano, e, dunque, dell’essenza dell’uomo che la comprende.
L’idea di Feuerbach è che l’uomo non vive solo come essere di natura,
legato al suo essere materia e parte del sistema del mondo: egli è membro
della società umana, e necessita di essa, la quale si esplica nella cultura, ovvero nelle scienze e nella storia.
Nei Frammenti, che servivano all’integrazione del suo curriculum vitae filosofico, troviamo una ulteriore conferma di quanto abbiamo visto fino ad
ora, e che pone l’accento sul concetto di uomo, da Feuerbach elaborato:
«L’uomo venuto fuori originariamente, dalla natura, non era che un puro
14 L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., p. 99 («Witz, Scharfsinn, Phantasie,
Ge-fühl, als unterschieden von der Empfindung, Vernunft als subjektives Vermögen, alle
diese sogenannten Seelenkräfte sind Kräfte der Menschheit, nicht des Menschen al seines
Ein-zelwesens, sind Kulturprodukte, Produkte der menschenlichen Gesellschaft»),
Gesammelte Werke, cit., p. 166.
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essere naturale; non era un uomo. L’uomo è un prodotto degli uomini,
della cultura, della storia»15.
Non esisterebbe l’uomo così come lo conosciamo se non ci fosse la società degli uomini, caratterizzata come tale dalla portata della cultura e dalla
storia che la racconta. L’importanza di queste due determinazioni ci invita ad
approfondire il motivo del bisogno del singolo di far parte della società, in
vista della soddisfazione di un bisogno particolare e ineludibile, quale quello
della condivisione. L’uomo ha bisogno di condividere qualcosa: in particolare nella cultura parliamo di conoscenze, sensazioni, pensieri, suggestioni;
nella storia, invece, apprende i fatti che hanno caratterizzato la società, e gli
eventi sono condivisi da tutti i membri che appartengono ad essa, in modo
tale che questi non debbano essere dimenticati. In Feuerbach il tema della
condivisione non emerge in maniera così lampante, resta infatti quasi sottinteso, ma visibile nell’analisi della società come bisogno del cuore: «La solitudine è un bisogno del pensiero, la società un bisogno del cuore»16. Ancora
una volta il cuore, che mostrava la soggettività del sentimento umano, si intromette nelle dinamiche della vita dell’uomo, e a ben dire ne indirizza gli
interessi. Il bisogno del cuore, infatti, mette in guardia dalla relatività, dalla
solitudine della fede, che vuole il singolo solo in sé stesso, e afferma al contrario la necessità dell’individuo di vivere insieme ad altri uomini.
Alla base della società Feuerbach considera, oltre a questi due aspetti,
l’unione degli uomini attraverso il sentimento dell’amore, che contrassegna
i rapporti nella forma più intima e vissuta. Ritorna, dunque, il tema del
rapporto e dell’amore tra Io e Tu, sia nel legame di amicizia che in quello
all’insegna dell’amore sessuale. Il binomio che esiste tra due individui, uniti
nel sentimento e riconoscimento reciproco, è la premessa che non può essere evitata se si vuole concepire l’idea di una società: nel rapporto con
l’altro si manifesta l’apertura alla negazione, a qualcosa che viene riconosciuto non pienamente uguale a me, che sicuramente è affine, e che risulta
indispensabile perché completa il singolo; attraverso lui, o lei, è possibile
scorgere cosa c’è oltre se stessi, ovvero il mondo, e il genere umano, di cui
il singolo è parte e nel quale cessa la condizione di ente limitato, poiché
l’essere singolo all’interno della prospettiva del genere si costituisce come
parte del tutto, pur mantenendo le proprie peculiarità individuali.
15 L. FEUERBACH, Fragmente zur Charakteristik meines philosophischen curriculum vitae 18431844, in Gesammelte Werke, cit., vol. X, p. 151, tr. it. Scritti filosofici, Laterza, Roma-Bari 1976.
16 L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, cit., p. 80, Gesammelte Werke, cit., vol. V, p. 135.