Parte prima: premesse generali sul CMT e sulle associate nozioni

Cap. I
Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
Parte prima: premesse generali sul CMT e sulle associate
nozioni fisiche
Cap. I. - Sintesi dell’evoluzione storica delle conoscenze sul
magnetismo terrestre
I.1. Prime nozioni sui magneti e sul magnetismo: i «filosofi naturali» della Scuola Ionica
Le nozioni fondamentali sui magneti, intesi come corpi capaci di attrarsi e respingersi
tra loro con azioni enormemente più intense di quelle gravitazionali (azioni magnetiche)
e senza manifestare alcuna carica elettrica, nonché di attrarre (attrazione magnetica) e
rendere simili a sé (magnetizzare) oggetti o pezzi di certe sostanze (prime tra le quali il
ferro e leghe contenenti ferro) erano note in tempi assai antichi (parecchi secoli aC) nel
mondo orientale (Cina) donde nel Medioevo passarono, per il tramite degli Indiani e degli
Arabi, nel mondo occidentale (bacino del Mediterraneo).
Le scienze fisiche quali attualmente le conosciamo hanno avuto tuttavia la loro lontana
origine e il loro primo sviluppo nel mondo occidentale, e precisamente nel mondo
occidentale antico; i loro primi fondamenti (come prototipi della metodica osservativa e
speculativa) possono essere individuati nelle acquisizioni astronomiche degli AssiroBabilonesi, nei secoli dal 20° al 7° aC, e i loro primi documenti in opere di quella che si
usa chiamare la filosofia naturale greca, sviluppatasi all’incirca tra l’8° e il 4° sec. aC,
all’inizio ad Atene e poi nelle colonie greche dell’Italia meridionale (la cosiddetta Magna
Grecia) e nella parte più occidentale della Turchia, che allora, con riferimento all’etnia dei
fondatori di quelle colonie, gli Ioni delle regioni greche dell’Attica e dell’Eubea, si chiamò
Ionia. Così, pur dando la dovuta parte alle acquisizioni di altra origine storico-geografica,
è a questa filosofia naturale greca che occorre fare riferimento iniziale per tracciare un
quadro storico, sia pure molto sintetico, della fisica del magnetismo terrestre; fu da essa
che, elaborata inizialmente in forma orale e scritta nel mondo greco-romano e poi
tramandataci nella sistematizzazione dovuta al filosofo greco Aristotele (384-322 aC),
conservata e arricchita in gran parte per merito degli Arabi nel Medioevo e tornata poi a
fiorire in tutta l’Europa occidentale e centrale, nascerà nei secc. 16°-18°, soprattutto per
il lavoro pionieristico del pisano Galileo Galilei (1564-1642) e dell’inglese Isaac Newton
<niùt’n> (1642-1727), la fisica moderna (ricordiamo che il termine greco ph_sis <fìsis>
donde viene «fisica» vuol dire «Natura»).
La tradizione parla delle conoscenze fondamentali sui magneti come già possedute a
partire dall’8° sec. aC dai filosofi che operavano in una serie di «scuole» nelle colonie
greche della Ionia nominata poco sopra. Tra queste scuole una posizione preminente
acquistò presto la Scuola di Mileto (una città ora scomparsa), antonomasticamente nota
anche come Scuola Ionica, illustre principalmente per l’opera dei tre grandi filosofi della
Natura che rispondono ai nomi di Talete (n. 624 o 623 aC, m. tra il 548 e il 545 aC),
Anassimandro (610-547 aC) e Anassimene (n. 584 o 585, m. tra il 528 e il 524 aC.).
Della vita di questi filosofi naturali (o, se si vuole, protofisici) abbiamo poche notizie e
delle loro opere nulla ci è giunto direttamente, ma delle loro conoscenze e delle loro idee
sappiamo molto mediante i lavori dei loro discepoli e successori. Essi ebbero in comune
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Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
la concezione che l’Universo nel suo insieme derivasse da un solo principio, che fu
materiale per Talete (l’acqua) e, per le idee dell’epoca, quasi immateriale per Anassimene
(l’aria) e ancor più per Anassimandro (l’energia del fuoco che occupava l’intero spazio a
distanza infinitamente grande). Ciascuno di essi particolarizzò la linea delle sue
speculazioni teoriche; in particolare, Talete coltivò specialmente la matematica, mentre
Anassimandro e Anassimene si dedicarono piuttosto alle speculazioni sulla vita, per cui
possono essere considerati anche precursori della biologia; Anassimandro, poi, che fu
attentissimo osservatore della Natura, avanzò idee piuttosto ben definite sulla struttura
dell’Universo, ponendosi così quale ideale iniziatore delle nostre astronomia e
cosmologia (v.par. II.2.1).
Ai filosofi della Scuola Ionica sono dovuti il termine magnete (gr. màgnes -ètes [pron.
<màghnes maghnètes>] e i vari termini da esso derivati (magnetizzato, magnetizzare,
magnetizzazione, magnetismo, ecc.); quei filosofi trassero questi termini dal fatto che tra
le cosiddette rocce magnetiche, cioè i cui frammenti si comportavano da magneti, una
particolarmente energica (poi detta, anch’essa antonomasticamente, magnetite) si
rinveniva in cave nei pressi della città di Magnesia al Silipo, una città, non più esistente,
della Ionia (tale roccia si ritrova anche in Italia, in particolare nell’isola d’Elba; è da
ricordare che in Italia al termine «magnete» e ad alcuni dei termini derivati, quali
«magnetizzare» e «magnetizzato», s’affiancarono nei secc. 13°-16° i termini calamita,
calamitare, calamitato e altri derivati da questi, come sinonimi dei precedenti
specialmente nell’uso corrente, non scientifico).
Accanto ai magneti naturali, che erano costituiti semplicemente da frammenti di rocce
magnetiche, negli esperimenti entrarono presto nell’uso anche assai più comodi e utili
magneti artificiali, costituiti da un manufatto di ferro della forma voluta (per es., a ferro
di cavallo, a U, o a barretta cilindrica) che era magnetizzato facendolo scorrere molte
volte, sempre nello stesso verso, sopra un altro magnete, naturale o artificiale che fosse
(il risultato era lo stesso se si faceva scorrere nel modo detto il magnete magnetizzante
sul pezzo da magnetizzare). Nella realizzazione di magneti artificiali eccelsero dapprima
artigiani arabi e poi (specialmente a partire dal sec. 16°) artigiani inglesi.
I.2. La capacità dei magneti di autoorientarsi al nord
Tra le proprietà dei magneti era ben conosciuta, in particolare, quella per cui magneti di
forma allungata, filiformi o quasi (aghi magnetici), se posti in condizioni di orientarsi
liberamente in un piano orizzontale si disponevano spontaneamente dirigendo sempre
una delle due estremità, e sempre la medesima, verso il nord geografico; tale estremità
era qualificata come estremità nord o polo nord dell’ago, mentre l’altra, ovviamente
diretta verso il sud geografico, era l’estremità sud o polo sud dell’ago.
I.3. La realizzazione delle bussole magnetiche in Cina
La detta proprietà di autoorientamento al nord degli aghi magnetici liberi fu presto
sfruttata nelle bussole navali (propriamente, bussole navali magnetiche), i cui primi
esemplari furono realizzati in Cina (presumibilmente dal 4° sec. dC).
Queste prime bussole erano costituite da un recipiente contenente acqua, sulla quale
era posto a galleggiare un piccolo manufatto di legno, spesso foggiato artisticamente (per
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es., a forma di drago o di vascello), vincolato a rotare liberamente intorno all’asse
verticale centrale del recipiente (il galleggiamento, eventualmente aiutato da qualche
contrappeso, assicurava l’orizzontalità); questo manufatto conteneva un ago magnetico
che, orientandosi al nord come detto poco fa, orientava anche il manufatto, che quindi si
disponeva indicando con una sua estremità (corrispondente, per es., alla testa del detto
drago o alla prua del detto vascello) la direzione del nord: circostanza, questa, di primaria
importanza per governare la rotta del battello su cui si trovava la bussola.
Osserviamo marginalmente che fu l’introduzione della bussola a determinare
principalmente lo sviluppo della “navigazione d’altura”, cioè in alto mare, in condizioni
di invisibilità della costa e quindi nell’impossibilità di riferirsi a particolarità di essa per
dirigere il cammino della nave; esistevano, è vero, per la navigazione d’altura tecniche di
determinazione della posizione della nave mediante osservazioni della posizione del Sole
e di determinate stelle sulla volta celeste, ma si trattava di tecniche non semplici e non
possedute da tutti i naviganti, né utilizzabili sempre, per es. non utilizzabili con cielo
coperto sia per le stelle sia per il Sole oppure, per le stelle, in condizioni diurne.
I.4. L’introduzione in Occidente delle bussole magnetiche
La tradizione, basata su incerte cronache locali, fa risalire il primo uso delle bussole
magnetiche navali in Europa a un’epoca tra l’11° e il 12° sec. dC. In lavori storici di
epoca molto più tarda (16° sec.) l’introduzione di questo ritrovato nel Mediterraneo fu
attribuita a un immaginario Flavio Gioia da Amalfi, ma si trattò di un’errata
interpretazione del passo di un’opera del 1543 secondo il quale sembrava che marinai
amalfitani fossero stati i primi a usare e anche a perfezionare la bussola dei Cinesi.
Invece, notizie certe sull’uso della bussola magnetica nei mari nord-europei
all’inizio del 12° sec. provengono da Alexander Neckham o Necham <nèkam>
(1157-1217), un dotto monaco inglese che scrisse, fra molte altre opere di vario
argomento, un vasto compendio scientifico (De naturis rerum, «Sulle nature delle
cose»), in cui si parla anche della bussola magnetica.
I.5. Le prime teorie sul funzionamento delle bussole magnetiche
Il funzionamento della bussola magnetica costituì presto nell’Occidente un
cospicuo argomento di discussione da parte dei «filosofi naturali» medievali (quelli che
oggi chiameremmo «fisici» medievali), con la formulazione di varie teorie al riguardo.
Una teoria piuttosto diffusa partiva dalla constatazione sperimentale che un ago
magnetico deviava verso una vicina massa ferrosa e giungeva a spiegare il funzionamento
della bussola come dovuto alla presenza di grandi masse di rocce ferrose (si parlava
di «montagne di ferro») nella zona del polo nord geografico: una supposizione che
ben s’accordava con la nota esistenza di ricche miniere di ferro nella penisola scandinava,
all’estremo nord dell’Europa.
Fu un filosofo e naturalista inglese, il frate francescano Roger Bacon <bèikën> (circa
1214 - m. poco dopo il 1292), più noto in Italia come Ruggero Bacone, che confutò
brillantemente questa prevalente teoria. Egli osservò, infatti, che se si sospendeva un ago
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magnetico per il suo centro esso si disponeva sì con l’estremità nord verso il nord
geografico ma non orizzontalmente (se si voleva ciò, l’ago andava opportunamente
contrappesato) bensì fortemente inclinato sul piano orizzontale (per circa 70° a Oxford,
dove si trovava Bacone, e circa 60° nel Mediterraneo) e dunque la supposta grande
massa ferrosa che «attirava» l’ago si sarebbe trovata in una imprecisabile regione delle
profondità terrestri, sia pure verso il nord, e non in montagne scandinave; inoltre,
l’assetto di un ago magnetico presentava delle piccole variazioni da giorno a giorno, sia
nel piano orizzontale sia nel piano verticale, le quali non potevano essere spiegate in
alcun modo con l’ipotesi assunta.
Cominciò così ad affacciarsi un’ipotesi alternativa a quella delle «montagne di ferro al
nord», che, pur presentando alcune minori difficoltà, appariva assai più soddisfacente, e
cioè l’ipotesi secondo la quale la Terra nel suo insieme fosse un grande magnete
sferico, con i suoi poli all’incirca coincidenti con quelli geografici, come tale
influenzando l’assetto dell’ago delle bussole magnetiche.
Questa ipotesi, detta teoria del magnetismo terrestre, appena accennata da Bacone, fu
ripresa e sviluppata dallo scienziato francese Pierre de Maricourt <marikùr> (poche
notizie: visse nel 13° sec.), più noto con una sua denominazione latina, come allora si
usava, di Petrus Peregrinus («Pietro il pellegrino», presumibilmente per essersi recato in
pellegrinaggio a Roma). Nel 1269 egli scrisse Epistula de magnete («Lettera sul
magnete»), un compendio di quello che allora si sapeva sul magnetismo in generale e sul
magnetismo terrestre in particolare, che, nell’inevitabile forma manoscritta, ebbe subito
larga diffusione tra gli scienziati (fu stampato soltanto nel 1558).
I.6. Il trattato di William Gilbert
Le idee avanzate da Maricourt furono riprese e trovarono una più compiuta
espressione parecchio più tardi, e precisamente nel trattato a stampa del 1600 De
magnete magneticisque corporibus et de magno magnete Tellure physiologia nova
(«Nuova scienza naturale riguardante il magnete, i corpi magnetici e il grande magnete
Terra»), di William Gilbert <ghìlbert> (1540-1603), medico di corte della regina
Elisabetta I d’Inghilterra e scienziato. In questa sua opera, che può ben considerarsi il
primo vero e proprio trattato fisico di magnetismo terrestre, Gilbert si giovò anche dei
nuovi fatti via via scoperti. Tra questi fatti i due più notevoli furono la scoperta e la
tecnica di misurazione dell’inclinazione rispetto al piano orizzontale di un ago
magnetico libero di orientarsi a piacere anche nel piano verticale, messa a punto nel 16°
sec. dallo scienziato bavarese Georg Hartmann <‘àrtman> (1489-1564) (in realtà,
come accennato poco sopra, questa scoperta fu preconizzata assai prima da R. Bacone)
e, molto rilevante per l’uso delle bussole navali, la scoperta della declinazione dell’ago
della bussola, cioè dello scostamento angolare dell’ago della bussola rispetto alla
direzione del nord geografico deducibile da osservazioni astronomiche, che Cristoforo
Colombo fece nel corso del suo primo viaggio alle Americhe, nel 1492 (si dà la
circostanza che, come vedremo a suo tempo (par. VI.2), nell’Atlantico centrale tale
scostamento angolare è piuttosto grande, raggiungendo e anche superando 20° contro i
pochi gradi delle regioni europee continentali, come dire ben osservabile anche con i
modesti dispositivi di quell’epoca).
I.7. La «Terrella» di de Maricourt e Gilbert
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Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
Gilbert, riprendendo, com’è stato detto, le idee di de Maricourt, pensava che il
comportamento dell’ago della bussola fosse determinato dalle azioni che esso subiva da
parte della Terra, immaginata come un enorme magnete sferico, uniformemente
magnetizzato all’incirca secondo l’asse della rotazione terrestre. Per dimostrare ciò (pare
riprendendo quello che aveva fatto per primo de Maricourt) si fece costruire un magnete
di ferro di forma sferica, magnetizzato uniformemente secondo un suo diametro, che egli
chiamò Terrella («piccola Terra»); avvicinando alla superficie di esso un aghetto
magnetico sospeso per il centro a un filo, e
quindi libero di orientarsi sotto le azioni
promananti dalla Terrella, l’assetto assunto
dall’ago risultava in ottimo accordo con
quanto allora risultava dalle osservazioni,
cioè, principalmente, il fatto di rivolgere
sempre una delle sue estremità verso il nord
e l’altra verso il sud, la sua quasi
orizzontalità all’equatore e un’inclinazione
sul piano orizzontale rapidamente crescente
al crescere della latitudine (si osservi
l’andamento delle linee del campo magnetico
generato da una siffatta sfera magnetizzata,
qual è schematizzato nella fig. I.7/1), il che
faceva presumere
la verticalità in
corrispondenza dei poli geografici nord e
sud (a quell’epoca lontanissimi dal poter
essere raggiunti).
L’esistenza della declinazione dell’ago della bussola e di varie grandi irregolarità
geografiche rispetto a ciò che derivava dal modello della Terrella era accettata
semplicemente pensando che il magnete Terra, pur essendo all’ingrosso molto simile alla
Terrella, non avesse una costituzione interna così regolare come quella di quest’ultima.
Quanto poi alle piccole, ma misurabili, variazioni nel tempo della declinazione e di altre
grandezze osservabili del magnetismo terrestre, esse erano attribuite a indeterminate
«influenze cosmiche». Questa spiegazione, come vedremo a suo tempo, non è poi
lontana dal vero, dovendosi per tali variazioni fare capo all’attività radiativa del Sole e ai
moti della Terra e della Luna (cap. VII); allora si pensava però a influssi dovuti a
determinate stelle, prima fra tutte la Stella Polare. Vale la pena di rilevare che questa
stella già dai tempi di de Maricourt era da qualcuno ritenuta responsabile dell’azione
orientatrice verso il nord risentita dall’ago della bussola (tale teoria apparteneva al
gruppo di quelle che saranno poi chiamate «teorie del magnetismo esterno», cioè
consideranti per il magnetismo terrestre una causa esterna alla Terra, contrapposte alle
«teorie del magnetismo interno», qual era quella modellizzata con la Terrella).
La Terrella rimase per molto tempo un modello molto popolare del magnetismo
terrestre, e vari ricercatori se ne fecero fabbricare una per i loro esperimenti.
I.8. Le due teorie del «campo magnetico centrale»: il «campo di magnete centrale» e il
«campo di corrente elettrica centrale»
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Cap. I
Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
Già ai tempi di Gilbert (17° sec.), e ancor più nei due secoli seguenti, un’altra teoria
s’affiancò a quella della Terra uniformemente magnetizzata relativamente all’origine del
magnetismo terrestre (le locuzioni, per noi familiari, di campo magnetico terrestre (nel
seguito, per brevità, CMT), o, equivalentemente, di campo geomagnetico, appariranno
circa dalla metà del 19° sec., con lo stabilirsi nella fisica postnewtoniana dei fondamenti
di quella che oggi chiamiamo «teoria dei campi (fisici)»).
Questa nuova teoria postulava che il magnetismo terrestre derivasse non da una
magnetizzazione uniforme della Terra parallelamente all’asse della sua rotazione, ma
dalla presenza nel centro di essa di un potente magnete rettilineo e corto (magnete
centrale o anche dipolo magnetico centrale, in quanto schematizzabile come un dipolo
magnetico, cioè come l’associazione di un polo magnetico nord e di uno sud, di uguale
intensità e piuttosto vicini tra loro), disposto all’incirca come l’asse terrestre con il suo
polo sud rivolto all’emisfero boreale; in effetti, come mostra la precedente fig. I.7/1,
l’andamento del campo magnetico generato da un tale magnete all’esterno della sfera
terrestre è identico a quello che si avrebbe se la sfera fosse uniformemente magnetizzata,
pur avendosi due andamenti assai diversi nell’interno della sfera in questione. Questa
teoria del CMT da dipolo centrale ebbe un notevole conforto dai risultati ottenuti
effettuando l’analisi armonica delle misure medie annue degli elementi descrittivi del
CMT (cosiddetto CMT medio annuo), di cui parleremo diffusamente a suo tempo (cap.
VI); ci limiteremo qui a ricordare che tale analisi, eseguita (nella forma
che tuttora seguiamo) nel 1838 sui dati medi
dell’anno 1835 da Karl Friedrich Gauss
<gàus> (1777-1855),
professore
di
astronomia nell’università tedesca di
Gottinga, dimostrò che le caratteristiche
del CMT medio nel tempo erano per la
stragrande loro parte (circa il 94 %)
quelle stesse che avrebbe il campo
generato appunto da un dipolo
magnetico nel centro della Terra, con il
suo asse inclinato di qualche grado
sull’asse terrestre.
Qualche anno prima, a seguito degli
esperimenti del danese Hans Christian
Oersted <è’rsted> (1777-1851; professore
di chimica e fisica nel Politecnico di
Copenhagen), effettuati tra il 1816 e il 1820
(quest’ultimo è l’anno della pubblicazione
dei risultati degli esperimenti), era stato riconosciuto che i conduttori percorsi da
corrente elettrica avevano la proprietà (per usare il linguaggio dell’epoca) di modificare
le proprietà fisiche dello spazio circostante facendo nascere in questo azioni di forza su
aghi magnetici (nel linguaggio odierno: generando tutt’intorno un campo magnetico).
Così, apparve naturale pensare che al detto magnete centrale potesse sostituirsi, come
generatore del magnetismo terrestre, un sistema di correnti elettriche circolanti
nel piano dell’equatore terrestre intorno all’asse di rotazione della Terra, con un
effetto complessivo equivalente a quello di una grande spira circolare nel piano
equatoriale col centro nel centro della Terra (all’interno oppure appena all’esterno di
questa) e percorsa da corrente elettrica procedente sempre nello stesso verso e con
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Cap. I
Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
intensità quasi costante (teoria del CMT da corrente elettrica centrale quasi continua);
come si riconosce dalla fig. I.8/1, il campo magnetico generato da tale corrente ha,
all’esterno della Terra. la stessa configurazione del precedente campo di dipolo centrale.
Per quanto riguarda la struttura del CMT osservabile sulla superficie terrestre e nello
spazio sovrastante, i due modelli del dipolo magnetico centrale e della spira di corrente
centrale sono quindi equivalenti, ma all’inizio e poi per lungo tempo fu nettamente
preferito il modello del dipolo centrale, in quanto i dettagli di esso, sia qualitativi che
quantitativi, erano tutti ricavabili dalla succitata analisi armonica di Gauss, cosa che non
era così immediata se ci spostava sul modello della corrente centrale. In definitiva, il
CMT prese ad essere descritto come un campo principale di dipolo centrale o campo
dipolare (costituente, come è stato detto dianzi, circa il 94 % del CMT medio effettivo),
con le accennate caratteristiche geometriche rispetto all’asse terrestre e descritto dai
termini del primo ordine dell’analisi di Gauss, al quale si dovevano aggiungere, quali
campi accessori di importanza rapidamente decrescente, un campo di quadrupolo
centrale (termini del secondo ordine), un campo di ottupolo centrale (termini del terzo
ordine), e così via, costituenti nel complesso quello che fu chiamato campo accessorio o
campo non dipolare (circa il 6 % del CMT medio effettivo).
I.9. Evoluzione e crisi del concetto di campo principale di dipolo: il «campo nucleare» e
il «campo crostale» nella magnetoplasmadinamica del CMT
La concezione, che è stata schematizzata in precedenza, del CMT medio come un
campo principale generato da un dipolo magnetico nel centro della Terra
(equivalentemente, da una spira di corrente elettrica quasi continua nel piano equatoriale)
al quale dovessero aggiungersi (per qualche percento del campo effettivo) altri campi
generati da sorgenti di ordine superiore ma di rilevanza progressivamente minore, ha
dominato il geomagnetismo per un tempo piuttosto lungo, e cioè all’incirca dagli anni
Trenta del 19° sec. agli anni Sessanta del 20° sec.; essa ha dato luogo a un ben definito
corpo di definizioni e di procedure e, soprattutto, a una notevole modellistica
geomagnetica analogica per il campo principale di dipolo centrale, con modelli sia di tipo
magnetoelettromeccanico (modello della dinamo autoeccitata di Bullard, 1949; modello a
due dinamo autoeccitate interconnesse di Rikitake, 1958; ecc.), sia di tipo vettoriale
(modello di Bullard-Gellmann-Lilley a 2 campi di velocità e 4 campi di induzione
magnetica, 1968; ecc.), e anche a una modellistica, sia pure meno sviluppata, per il
campo non dipolare da aggiungere al precedente per dare conto del campo effettivo (par.
IX.3.3.2).
Un grande scompiglio in questo quadro modellistico del geomagnetismo fu provocato
dalla scoperta, intervenuta negli anni Sessanta del 20° sec., del fatto che il CMT ha
subito nel corso dei tempi geologici molte inversioni di polarità senza alcuna regolarità
nel tempo, pur restando la direzione del momento magnetico dipolare centrale
sempre quasi parallela all’asse terrestre; dei vari modelli caddero subito quelli che
non erano in grado di spiegare in qualche modo tali inversioni di polarità.
La crisi definitiva del detto quadro avvenne peraltro un po’ più tardi, nei primi anni
Settanta del 20° sec., quando i termini dell’analisi di Gauss delle componenti del CMT
medio furono interpretati non soltanto, come fatto fino ad allora, in base al formalismo
fisico-matematico dei vari tipi di «sorgente» (dipolo, quadrupolo, ecc.: par. VI.5), ma
anche portando in conto la profondità delle sorgenti nella Terra, quale risultava da
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Cap. I
Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
una nuova interpretazione di certi risultati dell’analisi medesima; inoltre, le sorgenti del
magnetismo terrestre furono definitivamente accertate non in combinazioni di «poli
magnetici» isolati (enti che sono rifiutati nella fisica macroscopica attuale) ma in sistemi
di correnti elettriche nella Terra e nella sua alta atmosfera. Apparve così evidente
come le correnti elettriche che sono sorgenti dei termini armonici di ordine tra 1 e circa 12
si situano nella parte esterna, fluida, del nucleo terrestre (a profondità circa tra
3000 e 5000 km) rappresentando nel complesso il vero CMT principale, detto campo
nucleare (par. VI.11.2), mentre i termini di ordine maggiore di 15 rappresentano il
campo crostale, cioè il contributo che al campo effettivo danno le rocce della crosta
terrestre magnetizzate dal campo nucleare (par. VI.11.3): per il CMT medio si parla
così attualmente non più di campo (principale) dipolare e di campo (accessorio) non
dipolare, ma di campo (principale) nucleare e di campo (accessorio) crostale.
Comunque, come nei modelli del passato recente, per descrivere il campo attuale, cioè
istantaneo, al campo medio vanno aggiunte componenti temporalmente variabili
che derivano da particolari correnti elettriche indotte fluenti nell’atmosfera della Terra
(campo atmosferico: cap. XI)) e nel suo interno (campo indotto interno).
Sulla base di queste acquisizioni si è passati a un’investigazione strettamente fisica
sull’origine e sulle caratteristiche delle componenti medie e istantanee del CMT a partire
dalle equazioni della magnetoplasmadinamica. Ricordiamo che questa ultima disciplina
studia il comportamento dinamico di un fluido completamente ionizzato ma localmente
neutro dal punto di vista elettrico (plasma) sottoposto a un campo magnetico; nel nostro
caso, il plasma è quello costituente la parte fluida del nucleo terrestre e l’alta atmosfera
terrestre ionizzata, cui, per vari versi, vanno aggiunte le correnti di particelle
elettricamente cariche promananti dal Sole (cosiddetto vento solare), l’anzidetto campo
magnetico è il CMT medesimo e nella dinamica compaiono come elementi primari per i
fenomeni di induzione elettromagnetica il campo di velocità della rotazione terrestre, il
campo di velocità dei moti convettivi nel nucleo fluido dovuti all’esistenza di gradienti di
temperatura in esso e le forze di Lorentz di interazione tra il CMT globale e i moti delle
dette particelle elettricamente cariche del plasma nucleare, dell’atmosfera ionizzata e del
vento solare (capp. IX-XI).
Lo sviluppo attuale di questa teoria magnetoplasmadinamica del CMT (si è parlato e
si parla tuttora anche, sia pure meno propriamente, di teoria magnetofluidodinamica
del campo) è ben lontano dall’essere esauriente, anche se si sono già avute soddisfacenti
spiegazioni delle principali particolarità osservate: per es., il lento spostamento verso
ovest (deriva occidentale) della parte non dipolare del campo va ascritta a un analogo
spostamento di un sistema di correnti elettriche con andamento ondoso presenti nel
nucleo terrestre fluido (onde magnetoplasmadinamiche del nucleo terrestre). Grosso
modo, ci si trova ancora nello stadio della proposizione di adatti, anche se complessi,
modelli matematici ottenuti introducendo (per necessità sperabilmente momentanea!)
opportune ipotesi semplificatrici di prima, anche se buona, approssimazione nel
formulare le equazioni di base della magnetoplasmadinamica terrestre.
Per verificare i risultati ricavabili da questi modelli una grande difficoltà è costituita dal
fatto che i dati sperimentali che si hanno a disposizione coprono un intervallo di tempo
(circa due secoli) assai minore dei più brevi periodi delle onde magnetoplasmadinamiche
presenti nel nucleo terrestre fluido, e per di più riguardano direttamente, anche per i
tempi recenti, soltanto una piccola parte della superficie terrestre.
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Cap. I
Sintesi dell’evoluzione storica delle nozioni sul magnetismo terrestre
Un’ultima breve notazione di carattere storico-filosofico: il CMT è stato il primo dei
«campi terrestri» a essere stato identificato e descritto. Infatti, la «scoperta
scientifica» di esso è convenzionalmente datata al 1269 − anno in cui cominciò a circolare
il citato manoscritto Epistula de magnete di P. de Maricourt, che può essere considerato
il primo trattato di magnetologia fisica (par. I.5) −, mentre la «scoperta» del campo
gravitazionale a opera di I. Newton è convenzionalmente datata al 1687 − anno della
pubblicazione dei newtoniani Philosophiae naturalis principia mathematica («Principi
matematici della filosofia naturale», cioè della fisica). Inoltre, dal punto di vista geofisico
il CMT è considerato il secondo dei «campi terrestri» in ordine d’importanza, appunto
dopo il campo gravitazionale.
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