275 CAPITOLO 12 Gaetano A. Lanza Roberto Satolli Filippo Crea Lo scompenso cardiaco rappresenta una delle manifestazioni cliniche più importanti e frequenti, iniziale o evolutiva, di molte patologie cardiache. Un’adeguata comprensione dello scompenso cardiaco non può prescindere da una conoscenza appropriata di come si esplica normalmente l’attività meccanica del cuore. Per questo motivo, prima di trattare gli aspetti fisiopatologici e clinici dello scompenso, si ritiene utile rivedere brevemente la fisiologia della funzione contrattile del muscolo cardiaco, insieme ai meccanismi di regolazione della gittata cardiaca. © 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati. FISIOLOGIA DELLA CONTRAZIONE CARDIACA Il muscolo cardiaco (miocardio) è costituito da cellule (o fibre) muscolari striate, i miocardiociti, che vengono stimolate a contrarsi in maniera coordinata a ogni battito dalla corrente di depolarizzazione elettrica generata normalmente dal nodo seno-atriale (si veda il Capitolo 11). La finalità principale dell’attività contrattile cardiaca è di garantire un adeguato flusso di sangue a tutti gli organi. La quantità di sangue che viene espulsa dal cuore a ogni contrazione (sistole) è detta gittata sistolica. Essa rappresenta solo una parte del volume telediastolico, vale a dire della quantità di sangue presente nella cavità ventricolare al termine della fase di rilasciamento del ciclo cardiaco (diastole). Il prodotto della gittata sistolica per il numero di battiti cardiaci al minuto (frequenza cardiaca) dà la portata cardiaca, che corrisponde, quindi, alla quantità di sangue che il cuore espelle in circolo in un minuto, ed è sostanzialmente identica per la parte destra e sinistra del cuore. La sistole cardiaca può essere divisa in due fasi. Nella fase iniziale, molto breve, l’eccitazione delle fibre miocardiche ventricolari produce un aumento della pressione endocavitaria senza accorciamento delle fibre muscolari (contrazione isometrica), che causa la chiusura delle valvole atrioventricolari. Successivamente, l’aumento della pressione intraventricolare determina l’apertura delle valvole semilunari aortica e polmonare, dando inizio all’espulsione del sangue; le fibre miocardiche si accorciano (contrazione isotonica), il volume dei ventricoli si riduce, e quindi un equivalente volume di sangue viene spinto nell’aorta e nell’arteria polmonare (fase espulsiva). Dopo aver raggiunto un massimo, la pressione endoventricolare comincia a ridursi, in quanto le fibre muscolari si rilasciano; quando essa, nel ventricolo sinistro, diviene C0060.indd 275 Scompenso cardiaco 1 inferiore alla pressione aortica (e, nel ventricolo destro, inferiore a quella polmonare), le valvole semilunari si richiudono. Inizia a questo punto la diastole ventricolare, che può essere divisa anch’essa in due fasi. In una prima fase, molto breve, il rilasciamento dei ventricoli avviene senza variazione di volume (rilasciamento isometrico). Quando la pressione endoventricolare, che continua progressivamente a diminuire per effetto del rilasciamento muscolare, diviene più bassa di quella presente negli atri, si aprono le valvole atrioventricolari e inizia la fase protodiastolica, di riempimento rapido dei ventricoli. L’aumento della pressione endocavitaria che consegue al riempimento ventricolare rallenta il flusso di sangue dagli atri ai ventricoli nella mesodiastole. In telediastole (o presistole), tuttavia, un nuovo impulso elettrico ha origine nel nodo del seno e si propaga agli atri, che, contraendosi, determinano un nuovo aumento di flusso verso i ventricoli. L’impulso giunge quindi ai ventricoli, dando origine a una nuova sistole. Le fasi del ciclo cardiaco, con le principali variazioni di pressione e di volume a livello cardiaco e vascolare, e la relazione con l’attività elettrica cardiaca sono schematicamente illustrate nella figura 12.1. Meccanica del muscolo cardiaco La meccanica della contrazione cardiaca è stata studiata a fondo dai fisiologi in studi sperimentali, che hanno consentito di individuarne i principi fondamentali e definirne i parametri quantitativi. Gli studi basilari sono stati eseguiti isolando un muscolo papillare cardiaco da un animale. In questi esperimenti, l’estremità inferiore del muscolo prelevato viene fissata a uno strumento che misura la tensione, mentre quella superiore è fissata al braccio lungo di una leva; all’altro braccio della leva può essere attaccato un peso, che non grava comunque sul muscolo a riposo, perché un fermo impedisce al braccio lungo di sollevarsi (Fig. 12.2 a). Quando il muscolo viene eccitato elettricamente, le miofibrille contenute nelle cellule miocardiche si accorciano, cioè il muscolo si contrae. Se nulla impedisce al muscolo di contrarsi liberamente (come quando nessun peso viene attaccato alla leva), la velocità con cui esso si accorcia è la massima possibile (velocità massima, o Vmax). Il valore numerico della Vmax (in millimetri al secondo) è una misura della contrattilità del muscolo, che è una proprietà intrinseca del muscolo stesso. 6/9/10 10:02:21 AM 276 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Pressione 120 (mmHg) 100 80 Aorta Ventricolo si nistro 60 40 20 Atrio sinistro Ventricolo sinistro tricolo destro Ven Arteria polmonare a 0 Atrio sinistro Atrio destro c z Atrio Atrio destro Ventricolo destro v x y Ventricolo Destro Eiezione Sinistro Eiezione Attività meccanica CTAP CP AT Destro Movimenti valvolari CM AA CA AM Sinistro Toni CLICK S1 S4 Curva di volume del ventricolo sinistro S2 SAM C a Polso giugulare S3 v z x E y A IC Apicocardiogramma SFW IR Figura 12.1 Fasi del ciclo cardiaco. P ECG T o RFW QRS 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 Sec Lo schema illustra i rapporti temporali tra i diversi eventi del ciclo cardiaco. In alto sono riportate le curve di pressione nelle quattro camere cardiache (atrio e ventricolo sinistro, atrio e ventricolo destro) e in aorta e arteria polmonare. Le lettere dell’alfabeto minuscole a, z, c, x, v, y indicano le diverse onde caratteristiche della curva di pressione atriale. Sotto le curve di pressione è indicata l’attività meccanica degli atri e dei ventricoli. Le parti evidenziate in giallo delle barre di attività meccanica dei ventricoli indicano le fasi di contrazione e di rilasciamento isometrici. Successivamente sono indicati i movimenti di apertura (A) e chiusura (C) delle valvole polmonare (P), aortica (A), tricuspide (T) e mitrale (M). S1, S2, S3 e S4 indicano il I, II, III e IV tono. Viene anche indicato lo schiocco di apertura della valvola mitrale (SAM), che si può tipicamente ascoltare in caso di stenosi di questa valvola. Seguono la curva di volume del ventricolo sinistro (che ne indica le fasi di riempimento e svuotamento), la curva del polso giugulare (con le stesse notazioni della curva di pressione atriale) e l’apicocardiogramma (che registra i movimenti dell’apice cardiaco e che presenta: 1) un’onda A in corrispondenza della contrazione atriale; 2) una salita isometrica [IC] con un apice E all’inizio dell’eiezione; 3) un’onda negativa durante il rilasciamento isometrico [IR] sino a un punto minimo [O] corrispondente all’apertura della valvola mitrale; 4) due tratti di riempimento rapido [RFW] e lento [SFW]). L’elettrocardiogramma alla base dello schema consente di valutare i rapporti tra attività meccanica e attività elettrica del cuore. Se si applica al braccio corto della leva un peso che agisce sul muscolo solo dopo che la contrazione ha avuto inizio (e per tale motivo prende il nome di postcarico, o afterload), per potersi accorciare il muscolo deve sollevare il peso; ne deriva che esso impiega parte della forza sviluppata con la contrazione per sollevare il carico e parte per accorciarsi. È facile constatare che quanto maggiore è il peso applicato, tanto minore è la velocità di accorciamento. Se il carico è troppo pesante per poter essere C0060.indd 276 sollevato, il muscolo si mette regolarmente in tensione, ma non si accorcia per niente (la velocità di accorciamento è cioè zero). I risultati di questi esperimenti si possono riassumere in un grafico in cui si pone sull’asse orizzontale la forza che il muscolo sviluppa sollevando valori crescenti di peso e sull’asse verticale la velocità con cui avviene, di volta in volta, l’accorciamento. La curva che ne risulta è detta curva forza-velocità (Fig. 12.3). 6/9/10 10:02:21 AM 277 Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Fermo Leva Fermo spostato in alto Leva Muscolo papillare Postcarico Postcarico Muscolo stirato Precarico Figura 12.2 Preparato sperimentale per lo studio della contrazione miocardica. Trasduttore di tensione a 1 b (a) Il fermo sulla leva è posto in modo che il muscolo papillare non sia stirato in condizioni di riposo. Variando il peso che il muscolo deve sollevare durante la contrazione (postcarico), si ottengono i dati necessari per costruire la curva forza-velocità illustrata nella figura 12.3. (b) Se il fermo viene spostato in alto si ottiene un certo grado di stiramento del muscolo a riposo; in pratica una parte del carico agisce sul muscolo già prima della contrazione (precarico). Variando il precarico, a parità di postcarico, si ottengono i dati necessari per costruire la famiglia di curve illustrata nella figura 12.5. C0060.indd 277 sottolineare che esso agisce sul muscolo prima della contrazione. Nella figura 12.2 b il precarico è indicato come una frazione del carico totale, il quale varia in funzione della posizione del fermo sulla leva, che determina uno stiramento più o meno elevato del muscolo. Ripetendo gli esperimenti con valori di precarico crescenti e mantenendo il postcarico costante, si può constatare che la velocità di accorciamento è tanto maggiore quanto più le fibre vengono stirate a riposo dal precarico. Dunque, se la lunghezza delle fibre miocardiche prima dell’inizio della contrazione viene aumentata, aumenta l’efficienza Vmax Velocità di accorciamento (mm/sec) Nel cuore in attività i ventricoli si contraggono sempre contro una resistenza che si oppone all’espulsione del sangue, e quindi all’accorciamento delle fibre muscolari. Questa resistenza è rappresentata per il ventricolo sinistro dalla pressione in aorta (che all’inizio della sistole è circa 80 mmHg) e per il ventricolo destro dalla pressione in arteria polmonare (che all’inizio della sistole è circa 5 mmHg). È evidente, quindi, che nel cuore in attività la velocità di accorciamento delle fibre è sempre inferiore alla velocità massima, ossia quella misurabile nella condizione sperimentale del muscolo libero di accorciarsi senza alcun carico da sollevare. Un equivalente della velocità massima di accorciamento delle cellule miocardiche può tuttavia essere calcolato indirettamente e indica, come detto, la contrattilità (o stato inotropo) del muscolo cardiaco. La contrattilità può essere influenzata da vari fattori. Le catecolamine, per esempio, la fanno aumentare, mentre l’ipotiroidismo la fa diminuire. La contrattilità miocardica è inoltre ridotta in molte condizioni di scompenso cardiaco. Come è facile capire, l’aumento della contrattilità sposta in alto la curva forza-velocità del miocardio (Fig. 12.4), mentre la sua diminuzione la sposta in basso. Oltre alla contrattilità, un’altra proprietà del muscolo cardiaco che contribuisce in modo fondamentale a regolarne la funzione contrattile è quella responsabile del comportamento descritto dalla legge fondamentale del cuore di Starling, dal nome del fisiologo londinese Ernest Henry Starling, che per primo la descrisse all’inizio del Novecento. Per comprendere questa legge, si riconsideri il dispositivo sperimentale con il muscolo papillare. Se, rispetto al precedente esperimento, si solleva di qualche millimetro il fermo che blocca verso l’alto il braccio lungo della leva, per effetto del peso applicato all’altro braccio le fibre muscolari saranno in parte stirate già prima della contrazione e acquisteranno una lunghezza a riposo leggermente superiore alla loro lunghezza naturale (Fig. 12.2 b). Un trasduttore applicato all’estremità inferiore del muscolo permette di misurare la tensione alla quale, con questo accorgimento, il muscolo viene sottoposto a riposo. A tale valore viene dato il nome di precarico (o preload), per 10 Vo 0 5 10 Carico (g) Figura 12.3 Curva forzavelocità. Il grafico mostra come, aumentando il carico cui il muscolo cardiaco è sottoposto durante la contrazione, ossia il peso (espresso in grammi) che il muscolo deve sollevare durante la contrazione (postcarico nella figura 12.2), riportato sull’asse delle ascisse, la velocità di accorciamento del muscolo (espressa in mm/sec), riportata sull’asse delle ordinate, si riduce progressivamente. La velocità massima (Vmax) si ha con un carico zero, mentre quando il carico raggiunge un valore tale per cui il muscolo non si accorcia per nulla, la velocità è pari a zero (V0). 6/9/10 10:02:21 AM 278 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Basale Con noradrenalina Velocità di accorciamento (mm/sec) 15 10 5 Figura 12.4 Curva forzavelocità ed effetti di variazioni dell’inotropismo. 0 1 2 Carico (g) 3 La curva inferiore (basale) è ottenuta come nell’esperimento relativo alla figura 12.3. La curva superiore è ottenuta ripetendo lo stesso esperimento in presenza di noradrenalina. Come si vede, l’effetto inotropo del farmaco sposta la curva forza-velocità verso l’alto; per ogni determinato carico, cioè, si osserva una velocità di accorciamento maggiore rispetto alle condizioni basali. della contrazione. Si ottiene cioè una curva forza-velocità spostata in alto, anche se in questo caso lo spostamento della curva non è parallelo, come avviene per variazioni della contrattilità, in quanto la V max non si modifica (Fig. 12.5). Tuttavia, l’aumento della contrazione determinato da un aumento del precarico si verifica fino a un certo livello di stiramento (detto massimale), oltre il quale non si verifica alcun ulteriore aumento della contrazione. In vivo, l’effetto fisiologico principale della relazione tra lunghezza iniziale della fibra ed efficienza della contrazione è quello di regolare con immediatezza eventuali variazioni del riempimento diastolico dei ventricoli. Maggiore, infatti, è il riempimento diastolico, maggiore sarà lo stiramento delle cellule miocardiche (in particolare subendocardiche) e maggiore sarà, entro certi limiti, la velocità di contrazione. Ciò consente, in ultima analisi, di armonizzare la funzione dei due ventricoli evitando oscillazioni eccessive del volume di sangue intravascolare contenuto nel circolo polmonare e nel circolo sistemico. Meccanismi intracellulari della contrazione miocardica Le proprietà delle fibre cardiache descritte nel paragrafo precedente hanno ovviamente delle basi a livello cellulare e molecolare. Le cellule miocardiche contengono fasci di miofibrille, disposte lungo l’asse maggiore della cellula. Le miofibrille sono costituite da una serie di sarcomeri, minuscoli ci- C0060.indd 278 lindri che rappresentano la più piccola unità contrattile del miocardio. Il sarcomero, a sua volta, è costituito essenzialmente da due proteine filamentose, l’actina e la miosina, disposte parallelamente al suo asse maggiore. La relazione tra i filamenti di actina e di miosina nel sarcomero conferisce a questo il classico aspetto a bande visibile al microscopio elettronico (Fig. 12.6). I filamenti di miosina occupano il centro del sarcomero. I filamenti di actina sono invece saldamente fissati alle due estremità del sarcomero stesso, le bande Z. In condizioni di riposo, actina e miosina si sovrappongono in parte, costituendo la banda scura A del sarcomero. Le bande chiare I sono invece costituite soltanto da filamenti di actina. Tra le due proteine si formano ponti, visibili al microscopio elettronico, costituiti da siti che contengono un enzima capace di scindere l’ATP. Durante la contrazione, grazie all’energia liberata dall’ATP, questi ponti si saldano e si sciolgono ciclicamente, facendo scorrere con forza i filamenti di actina su quelli di miosina. In tal modo le bande Z si avvicinano, il sarcomero si accorcia e così pure si accorciano in toto le fibre miocardiche. La velocità e la forza dello scivolamento dipendono dal numero di ponti che si possono attivare contemporaneamente. Il numero di ponti dipende a sua volta dalla sovrapposizione reciproca di actina e miosina all’inizio della contrazione e quindi dalla lunghezza iniziale del sarcomero. La lunghezza ottimale del sarcomero per la contrazione è compresa tra 2,0 e 2,2 m. Al di sotto di tale lunghezza i filamenti di actina tendono a sovrapporsi tra loro al centro del sarcomero, riducendo così la possibilità di ponti con la miosina. Al di sopra di 2,2 m i filamenti di actina si allontanano dal centro del sarcomero e anche in questo caso si riduce la sovrapposizione con la miosina (Fig. 12.7). In condizioni di rilasciamento (diastole) la formazione dei ponti è inibita da due proteine associate ai filamenti di actina: tropomiosina e troponina. Quando la cellula miocardica viene eccitata, questa inibizione viene rimossa grazie all’azione degli ioni calcio, che si legano alla troponina e ne modificano la struttura. Più in dettaglio, durante la fase di plateau del potenziale d’azione elettrico (fase 2), una piccola quantità di Ca2+ attraversa la membrana cellulare e raggiunge il reticolo sarcoplasmatico (si veda Fig. 12.6). Eccitato dal modesto flusso di Ca2+ proveniente dall’esterno, il reticolo libera massicciamente gli ioni calcio che contiene, lasciandoli diffondere verso le miofibrille, dove appunto si legano alla troponina e consentono la formazione di ponti. L’accoppiamento tra eccitazione elettrica della cellula e contrazione meccanica dipende dunque dal flusso di Ca2+ verso le miofibrille. Successivamente il reticolo sarcoplasmatico, grazie a una pompa ionica che utilizza energia generata dall’idrolisi dell’ATP, riprende ad accumulare attivamente Ca2+, riducendone la concentrazione nelle miofibrille, sino a che prevale nuovamente sulle proteine contrattili l’inibizione da parte del complesso troponina-tropomiosina, che dà inizio al rilasciamento. Contemporaneamente, anche attraverso la membrana cellulare viene espulsa la piccola quota di Ca2+ entrata in precedenza, sempre con processi attivi che consumano energia, cosicché la cellula diventa pronta per una nuova contrazione. 6/9/10 10:02:22 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO 279 10 Velocità di accorciamento (mm/sec) Precarico (g) Lunghezza iniziale del muscolo (mm) 1 basale 11,7 2 12,4 4 13,0 6 13,3 8 13,4 1 5 0 5 Figura 12.5 Curva forzavelocità ed effetti di variazioni del precarico. 10 Carico (g) Il grafico riporta cinque curve di forza-velocità ottenute in condizioni basali (Δ) e dopo aver stirato il muscolo cardiaco a riposo (prima di stimolare la contrazione) con un piccolo peso, di entità progressivamente crescente (precarico), in modo che la lunghezza iniziale del muscolo aumenti progressivamente. Per ogni determinato carico cui il muscolo è sottoposto durante la contrazione, la velocità di accorciamento risulta tanto maggiore quanto maggiore è la sua lunghezza iniziale. È questa la base della legge di Starling. Come si può vedere dal grafico, lo stiramento iniziale del muscolo non causa alcuna modifica della contrattilità intrinseca del muscolo. Infatti, non vi è alcun aumento della velocità massima in nessuna delle condizioni di aumento del precarico. Ciò è diverso da quello che si può osservare nella figura 12.4, in cui la stimolazione inotropa provoca anche un aumento della velocità massima di contrazione. a b c d Banda I FIBRILLA Capillare Filamenti di actina Z Dischi intercalari Nucleo M Z Cellula o fibra Fibrille Sarcolemma Reticolo sarcoplasmatico Sistema longitudinale Sistema a T C0060.indd 279 Disco intercalare Cisterne terminali Banda a 1,5 μm SARCOMERO Filamenti di actina e miosina Filamenti di miosina SEZIONI TRASVERSE Figura 12.6 Disegno schematico del sarcomero. Il disegno illustra la struttura della cellula miocardica, delle miofibrille in essa contenute e dei sarcomeri, che rappresentano le unità elementari contrattili delle miofibrille. 6/9/10 10:02:22 AM 280 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Miosina b c a z Forza (% del massimo) 6 Actina 5 4 3 2 C 100 1 B 80 60 40 20 0 1 a b 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 Lunghezza del sarcomero (μm) (a+b) Miosina 1 (b+c) Actina 2 (b) 3 (b-c) 4 Figura 12.7 Lunghezza ottimale del sarcomero. (a) 5 (1/2 b) c 6 La velocità e la forza di accorciamento del sarcomero (a) dipendono dal numero di ponti tra actina e miosina che si possono attivare contemporaneamente. Questo numero dipende, a sua volta, dalla sovrapposizione reciproca tra actina e miosina prima della contrazione, e quindi dalla lunghezza iniziale del sarcomero. Come si vede in (b), la lunghezza ottimale del sarcomero è compresa tra 2 e 2,2 m, cui corrisponde una sovrapposizione ottimale tra actina e miosina (esempio 3 in c) e, quindi, la massima forza sviluppata dal sarcomero. Al di sopra di 2,2 m (esempi 1-2 in c) i filamenti di actina si allontanano dal centro del sarcomero, per cui si riduce la sovrapposizione con la miosina e, quindi, viene meno il legame ottimale tra le due proteine contrattili del sarcomero. Al di sotto di tale lunghezza (esempi 4-5-6 in c), d’altro canto, i filamenti di actina tendono a sovrapporsi tra loro al centro del sarcomero, riducendo così, anche in questo caso, la possibilità di stringere ponti con la miosina. Si deve sottolineare che quanto maggiore è il flusso di Ca2+ verso le miofibrille, tanto maggiore è la velocità con cui si formano e si sciolgono ciclicamente i ponti tra actina e miosina e quindi tanto maggiori sono la velocità di contrazione e, pertanto, la contrattilità, a parità di altri fattori. Contrazione ventricolare Nel considerare i principi che regolano l’attività contrattile dei ventricoli del cuore in situ, si possono assumere il volume e la pressione delle cavità ventricolari come analoghi, rispettivamente, alla lunghezza e alla tensione delle fibre del muscolo papillare isolato negli studi sperimentali. Anche se considerazioni analoghe possono essere fatte ovviamente per il ventricolo destro, nella trattazione che segue ci si riferirà principalmente al ventricolo sinistro, che, per semplicità, si assumerà abbia le caratteristiche geometriche di una sfera. In un ventricolo, la lunghezza delle fibre a riposo dipende dal volume di riempimento ventricolare in telediastole, che assume perciò il significato fisiologico di precarico. In base alla legge di Starling, quanto più aumenta il riempimento in diastole, tanto maggiori sono l’accorciamento successivo delle fibre e, quindi, l’espulsione di sangue. Il volume di riempimento, a sua volta, è in relazione con la pressione ventricolare in telediastole (pressione di riempimento), che è più facile da misurare e perciò è di solito utilizzata come stima del precarico. La relazione tra C0060.indd 280 pressione e volume di riempimento dipende anche dalle caratteristiche di distensibilità del ventricolo in diastole. Il postcarico, d’altro canto, è costituito dall’insieme delle resistenze che il ventricolo deve superare per espellere il sangue. In termini più rigorosi, esso rappresenta lo sforzo (stress) di parete (forza per unità di superficie della parete) cui il ventricolo è soggetto durante la sistole. Secondo una legge fisica, che porta il nome del fisico francese Pierre Simon de Laplace, lo sforzo di parete (S) è uguale al prodotto della pressione endocavitaria (P) per il raggio della cavità (r) diviso 2 volte lo spessore (h) della parete (S = Pr/2h). In base a questa legge, quindi, il ventricolo si trova a sopportare un aumento del postcarico sia in caso di un aumento della pressione, sia in caso di un aumento del raggio, e quindi del volume ventricolare. L’aumento di spessore della parete, viceversa, comporta una riduzione del postcarico. Lo stato inotropo, o contrattilità, del ventricolo, infine, corrisponde al valore medio dello stato inotropo delle singole fibre e dipende essenzialmente dalle condizioni metaboliche delle cellule, in particolare, come visto, dalla concentrazione intracellulare di calcio. Relazioni fra pressione, volume e funzione ventricolare Tenendo conto di quanto detto nei paragrafi precedenti, anche per il ventricolo è possibile costruire sperimentalmente dei grafici che mettono in relazione le condizioni 6/9/10 10:02:25 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO del muscolo prima della contrazione (telediastole) con le prestazioni in sistole (Fig. 12.8). Si immagini un dispositivo sperimentale che consenta di modificare il riempimento (precarico) di un ventricolo mantenendo costanti gli altri fattori (inotropismo e postcarico). Per ogni aumento del precarico si osserverà un aumento della gittata sistolica, sino a quando non si arriva a distendere le fibre alla loro lunghezza ottimale. Oltre questo punto ogni ulteriore distensione produce una riduzione della gittata sistolica. In condizioni fisiologiche, tuttavia, questa condizione non viene mai raggiunta perché la lunghezza ottimale delle fibre è quasi coincidente con la massima distensibilità elastica della parete ventricolare. In condizioni patologiche, invece, la distensibilità delle cellule può andare oltre quella massima ottimale, per cui un’ulteriore distensione delle cellule finisce con il determinare una diminuzione della forza di contrazione e, quindi, della gittata. La relazione precarico-gittata può essere espressa in un grafico in cui si ponga sull’asse orizzontale il precarico e su quello verticale la gittata sistolica. La curva che ne risulta è detta curva di funzione ventricolare o di Starling (in quanto rispecchia i principi della legge di Starling). Normalmente la curva presenta una parte ascendente (dove la gittata aumenta con il precarico) e un plateau (la gittata rimane costante pur aumentando ulteriormente il precarico). In condizioni patologiche, come notato in precedenza, la curva presenta, dopo il plateau, una parte discendente, la quale indica che, aumentando il precarico oltre un certo livello, la gittata diminuisce (si veda Fig. 12.8). Si immagini ora di ripetere le misurazioni dopo aver fatto variare lo stato inotropo del ventricolo, per esempio con una stimolazione adrenergica. Per ogni valore di precarico si osserva allora una gittata sistolica maggiore rispetto a quanto osservato in assenza di stimolo inotropo. Nel grafico la porzione ascendente di questa curva è più ripida e il plateau di gittata massima più elevato. La stimolazione inotropa, quindi, sposta la curva di funzione ventricolare in alto. Ovviamente si osserverà l’inverso in caso di depressione dell’inotropismo cardiaco. Esiste, dunque, per ogni ventricolo un’intera famiglia di curve di funzione ventricolare, ciascuna in relazione a un particolare stato inotropo. Restano da considerare gli effetti del postcarico sulle curve di funzione ventricolare. Come precisato in precedenza, il postcarico, in base alla legge di Laplace, può aumentare per due ragioni: per un incremento della pressione nel ventricolo in sistole o per un aumento del raggio del ventricolo. Se si aumenta la pressione aortica e si ripetono le misurazioni per disegnare una curva di funzione ventricolare, si osserverà, per ogni valore di precarico, una gittata sistolica minore rispetto alle misurazioni basali. Un aumento del carico di pressione, quindi, sposta la curva di funzione ventricolare in basso. Lo stesso avviene per un aumento del carico di volume, ma in grado assai minore. La ragione di ciò risiede ancora una volta nella legge di Laplace, nella cui formula entra il raggio e non il volume ventricolare. Se il volume del ventricolo, per esempio, raddoppia, il raggio (e quindi il postcarico), per evidenti ragioni geometriche, varia solo in proporzione alla radice cubica di 2 (1,26 circa), cioè in pratica aumenta del 26%. Inoltre, lo spostamento in basso dello curva di funzione ventricolare è parzialmente attenuato dall’aumento del precarico che opera attraverso il meccanismo di Starling. È da osservare che, oltre alle curve di funzione del ventricolo in sistole, è possibile costruire anche curve che descrivono le proprietà elastiche del ventricolo in diastole. Infatti, se si aumenta progressivamente il volume di riempimento diastolico e si misurano i corrispondenti valori di pressione che si vengono a ottenere in ventricolo, si può osservare che, sino a quando il volume di riempimento ventricolare è limitato, il suo aumento determina solo un modesto aumento della pressione intraventricolare (in Curve di funzione ventricolare Curve di pressione-volume Gittata o lavoro sistolico Pressione telediastolica Rid o tta d No rm ale iste ns i bilit à Aum ent a ta co ntr att il ità Rido tta ttilità contra i tà ale bi l rm ns i e t No s di ntata Aume a Volume telediastolico b Volume telediastolico Le curve di funzione ventricolare si costruiscono mettendo in relazione in un grafico il precarico (volume telediastolico del ventricolo) con la prestazione contrattile (gittata o lavoro sistolico). Queste curve sono spiegate dalla legge di Starling, in base alla quale un aumento del precarico determina un aumento della gittata sistolica. Da notare che in presenza di insufficienza miocardica, oltre un certo limite di volume telediastolico, la gittata si riduce. Le curve di pressione-volume si costruiscono mettendo in relazione in un grafico il volume telediastolico con la pressione telediastolica del ventricolo. C0060.indd 281 281 1 Figura 12.8 (a) Curve di funzione ventricolare in condizioni normali, di ridotta contrattilità (insufficienza ventricolare) o di aumentata contrattilità (stimolazione inotropa). (b) Curve di pressione-volume in diastole in condizioni normali, di ridotta distensibilità ventricolare (ipertrofia) e di aumentata distensibilità ventricolare (dilatazione senza ipertrofia). 6/9/10 10:02:25 AM 282 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO quanto il ventricolo è distensibile). Quando il ventricolo è vicino ai valori massimi di riempimento, invece, anche un piccolo aumento del volume di riempimento determina un aumento rilevante della pressione intraventricolare. La relazione tra volume e pressione in diastole può essere espressa da un grafico in cui si pone sull’asse orizzontale il volume telediastolico e su quello verticale la pressione telediastolica. Ne risulta una curva, detta di pressionevolume, che presenta un andamento quasi orizzontale all’inizio e si impenna poi progressivamente per valori più elevati di volume (si veda Fig. 12.8). La curva riflette la distensibilità (o compliance) ventricolare. Quando il ventricolo diviene più rigido la curva si sposta verso l’alto e a sinistra, cioè, per uno stesso volume di riempimento il ventricolo presenta una pressione diastolica più elevata. È da osservare che la distensibilità ventricolare è determinata in parte dal rapporto fra fibre elastiche e collagene nell’interstizio e dallo spessore della parete ventricolare. Pertanto un aumento del collagene interstiziale rende il ventricolo più rigido. Tuttavia, la distensibilità non è una proprietà del ventricolo puramente passiva. Durante le prime fasi della diastole, infatti, essa dipende anche dal processo di rilasciamento che avviene in questa fase. Questo processo che, come visto, comporta la rimozione degli ioni calcio dal legame con la troponina e il loro accumulo nel reticolo sarcoplasmatico, è un processo attivo, che richiede consumo di energia (la pompa del calcio consuma ATP). Per questa ragione, in alcune circostanze patologiche (per esempio, ipertrofia o ischemia miocardica), esso può risultare incompleto o rallentato, causando così un’alterazione della distensibilità, e quindi del riempimento ventricolare. Inoltre, anche alcune condizioni patologiche del pericardio (per esempio, la pericardite costrittiva e il tamponamento cardiaco) influiscono sulla distensibilità ventricolare. Infine, il ventricolo si riempie anche per effetto di un’azione attiva di risucchio del sangue. L’energia richiesta per questo effetto di “pompa aspirante” si ritiene derivi dalla forza elastica accumulata dal cuore durante la sistole. Tale meccanismo può essere compromesso in condizioni patologiche caratterizzate da una riduzione della contrattilità e della gittata sistolica, in quanto, quando la sistole è meno energica, anche l’aspirazione diastolica risulta meno efficace. REGOLAZIONE DELLA PORTATA CARDIACA Il cuore adatta costantemente la propria gittata ai bisogni metabolici dell’organismo grazie al gioco combinato dei tre fattori che determinano la gittata sistolica (precarico, inotropismo, postcarico) più un quarto fattore, la frequenza cardiaca (Fig. 12.9). Normalmente, a riposo, la portata cardiaca è di circa 5 L/min, mentre la gittata sistolica oscilla tra 65 e 85 mL. Quando occorre, tipicamente in corso di esercizio fisico, il cuore aumenta la propria gittata, e lo fa soprattutto attraverso un aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità. Gli ambiti entro cui possono avvenire questi utili aumenti della frequenza e della contrattilità prendono il nome di riserva di frequenza e riserva di contrattilità. Da notare che l’aumento della frequenza cardiaca, riducendo la durata della diastole, potrebbe determinare una riduzione del riempimento ventricolare (precarico), e quindi della gittata; tuttavia, il riempimento ventricolare in diastole viene abitualmente mantenuto a valori normali grazie a un aumento del ritorno venoso o anche, in alcune condizioni patologiche, a meccanismi di ridistribuzione della massa di sangue circolante, che contribuiscono a impedire che esso scenda al di sotto di valori che garantiscono una normale efficienza della contrazione. + Ritorno venoso + Precarico Frequenza cardiaca + Forza/velocità di contrazione Contrattilità Figura 12.9 Lo schema riassume i rapporti tra i vari fattori che entrano in gioco nella regolazione della gittata cardiaca. Il segno più (+) indica un aumento, quello meno (−) una riduzione. C0060.indd 282 + Gittata cardiaca + Gittata sistolica + Postcarico – Pressione arteriosa + Resistenze periferiche + + 6/9/10 10:02:26 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Inoltre, il cuore può fare fronte a una riduzione patologica della contrattilità o a un aumento del postcarico attraverso un aumento del precarico che consenta di mantenere comunque a livelli adeguati l’efficacia della contrazione. Ovviamente, esiste un limite oltre il quale l’aumento di riempimento dei ventricoli è impossibile, o per lo meno controproducente, in quanto lo stiramento eccessivo delle fibre miocardiche porta a una contrazione meno efficiente; inoltre, l’aumento eccessivo del diametro ventricolare, come visto, fa aumentare lo sforzo di parete, ossia il postcarico. L’ambito entro cui il riempimento ventricolare può utilmente aumentare prende il nome di riserva di precarico. Si vedranno ora in dettaglio i singoli fattori che regolano la gittata sistolica e la portata cardiaca. Frequenza cardiaca La portata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica per la frequenza cardiaca. Perciò, in condizioni fisiologiche, la frequenza cardiaca contribuisce in misura considerevole ad adeguare la portata cardiaca. Durante un esercizio fisico moderato, per esempio, la frequenza cardiaca aumenta parallelamente all’entità dello sforzo, mentre la gittata sistolica resta quasi costante o aumenta di poco. L’aumento della frequenza cardiaca in questa condizione dipende dalla stimolazione che il sistema nervoso simpatico, la cui attività aumenta durante lo sforzo, esercita sulla velocità di scarica del nodo del seno, oltre che dall’eliminazione dell’effetto inibitorio del vago sullo stesso nodo seno-atriale (l’attività vagale è infatti inibita durante sforzo). Quando la frequenza cardiaca supera i 170-180 bpm (o anche valori più bassi con l’aumentare dell’età), la durata della diastole diviene troppo breve per consentire un buon riempimento del cuore. Di conseguenza la gittata sistolica diminuisce e ciò impedisce ulteriori aumenti della portata cardiaca. È questo il limite della riserva di frequenza. Precarico Se si fa aumentare artificialmente la frequenza cardiaca in un soggetto a riposo (per esempio, stimolando l’atrio destro con un catetere elettrodo introdotto da una vena periferica), la portata cardiaca resta pressoché invariata. Poiché la portata cardiaca è data dal prodotto della frequenza cardiaca per la gittata sistolica, ne deriva che la gittata sistolica si riduce, e ciò dipende dal fatto che anche il ritorno venoso per ogni singolo battito si riduce, mentre quello complessivo (per minuto) rimane costante. Durante l’esercizio fisico l’aumento della frequenza cardiaca produce un cospicuo aumento della gittata. Ciò può avvenire perché contemporaneamente aumenta il ritorno venoso al cuore, grazie all’effetto di spremitura sul circolo venoso dei muscoli periferici e all’aumento del tono venoso, per cui la gittata sistolica resta invariata o aumenta. L’adeguamento della portata cardiaca alle esigenze dei tessuti richiede in ogni caso il mantenimento di un precarico ottimale. Questo dipende da diversi fattori. Volume totale di sangue Riduzioni brusche della massa liquida circolante, superiori al 15% del totale (emorragie acute), determinano una C0060.indd 283 riduzione rilevante del precarico. Variazioni minori o croniche del volume totale di sangue, d’altro canto, non hanno effetti significativi sul riempimento ventricolare. Distribuzione del volume di sangue Il sangue circola continuamente, ma, se si fotografa la situazione in un determinato istante, si osserva che una quota di sangue è all’interno del torace, mentre il resto si trova distribuito alla periferia dell’organismo. Il precarico dipende dal volume di sangue intratoracico (volume centrale), il quale, a sua volta, è determinato da diversi fattori: • posizione del corpo: in piedi una quota maggiore di sangue occupa le posizioni declivi, per cui il volume centrale diminuisce; • tono venoso: la parete delle vene è capace di contrarsi, riducendo la quota di sangue periferico e aumentando quella centrale; ciò avviene durante l’esercizio fisico o quando la pressione arteriosa cala bruscamente; • spremitura muscolare: la contrazione dei muscoli scheletrici (con il gioco delle valvole venose) tende a spingere una quota maggiore di sangue verso il torace, aumentando, quindi, il volume centrale; • pressione intratoracica: in inspirazione la pressione intratoracica è negativa, per cui in questa fase del respiro il volume di sangue centrale aumenta; la pressione intratoracica diviene positiva nello pneumotorace iperteso o, temporaneamente, durante accessi di tosse o altre situazioni di espirazione a glottide chiusa; in questi casi il volume centrale diminuisce, con effetti anche cospicui sul riempimento cardiaco. 283 1 Distensibilità cardiaca È la capacità del cuore di aumentare di volume senza aumento eccessivo della pressione intracavitaria e dipende sia dalla distensibilità del miocardio sia da quella del pericardio. La prima si riduce in caso di ischemia, ipertrofia o fibrosi del tessuto miocardico, la seconda in caso di versamento pericardico o di pericardite cronica costrittiva. Effetto aspirante Il rinculo del cuore e la forza elastica accumulata durante la sistole producono un effetto di risucchio sul sangue proveniente dalle vene nella fase iniziale della diastole, che risulta compromesso in caso di ridotta contrattilità o di un’alterazione della matrice extracellulare miocardica con aumento del contenuto di collagene. Contrazione atriale La sistole atriale contribuisce efficacemente a completare il riempimento dei ventricoli nella parte finale della diastole. La perdita della contrazione atriale in caso di fibrillazione atriale può comportare una sensibile riduzione del riempimento ventricolare e, quindi, della gittata sistolica. Frequenza cardiaca La riduzione del tempo a disposizione per il riempimento (durata della diastole) comporta, a frequenze elevate (oltre i 150-180 bpm, a seconda dell’età), una riduzione del precarico. 6/9/10 10:02:26 AM 284 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Contrattilità miocardica Durante l’esercizio fisico, oltre alla frequenza cardiaca e al ritorno venoso, aumenta anche la forza contrattile del miocardio. In questa situazione, infatti, aumenta l’attività del sistema nervoso simpatico e, quindi, la quantità di noradrenalina liberata dalle terminazioni nervose simpatiche del cuore, con conseguente aumento della stimolazione dei recettori -adrenergici del miocardio. Il grado di stimolazione nervosa dei recettori -adrenergici cardiaci rappresenta il meccanismo fisiologico più importante alla base della riserva di contrattilità del cuore. Altri fattori possono però influenzare, positivamente o negativamente, l’inotropismo cardiaco. Catecolamine circolanti La noradrenalina e l’adrenalina liberate dal surrene, o altre catecolamine somministrate a scopo terapeutico, come la dopamina e l’isoproterenolo, stimolano la contrattilità miocardica. Farmaci inotropi positivi I glicosidi cardioattivi (digitale e simili), gli inibitori della fosfodiesterasi (amrinone e derivati), la caffeina, la teofillina e il calcio sono tutte sostanze in grado di aumentare la forza contrattile del miocardio. Ipossia, ipercapnia, acidosi Le gravi alterazioni del trasporto e della diffusione dei gas nel circolo e dell’equilibrio acido-base del sangue deprimono in misura rilevante la forza contrattile del cuore. Si può quindi determinare un pericoloso circolo vizioso quando la funzione respiratoria è compromessa per motivi cardiaci (come nell’edema polmonare acuto), in quanto ciò contribuisce a deprimere a sua volta la contrattilità miocardica. Sostanze inotrope negative Diversi gruppi di farmaci riducono la contrattilità miocardica. Tra di essi vi sono anzitutto i -bloccanti, ma anche i calcio-antagonisti non diidropiridinici, diversi antiaritmici, anestetici locali e generali e i barbiturici. Anche un eccesso di alcol può ridurre la contrattilità cardiaca. Postcarico Il postcarico ha un effetto negativo sulle prestazioni ventricolari ed è proporzionale alla pressione ventricolare sistolica e al raggio del ventricolo. In sistole, la pressione ventricolare sinistra è uguale a quella aortica, che a sua volta, secondo una nota legge fisica, equivale al prodotto della portata cardiaca per le resistenze vascolari (in formula: P = Q × R, dove Q è la portata e R la somma delle resistenze periferiche che si oppongono al flusso del sangue). Tali resistenze sono localizzate soprattutto a livello delle prearteriole e delle arteriole (vasi di resistenza), ma in parte dipendono anche dall’elasticità dei grandi vasi, soprattutto della stessa aorta. Durante l’esercizio fisico la portata cardiaca aumenta e ciò causa, sulla base della precedente formula, un aumento della pressione aortica e quindi del postcarico, con C0060.indd 284 riduzione dell’efficienza contrattile. Per limitare questo effetto negativo, si verifica per via riflessa una dilatazione dei vasi di resistenza (soprattutto nei distretti muscolari) che limita l’aumento della pressione. In altri casi la pressione, e quindi il postcarico, può aumentare acutamente per un incremento acuto delle resistenze vascolari (per esempio, una vasocostrizione cutanea causata dal freddo). In questi casi il ventricolo, sottoposto a un postcarico maggiore, espelle una gittata sistolica minore. Resta così in ventricolo una quota maggiore di sangue al termine di ogni sistole. Questa quota si aggiunge al normale riempimento diastolico, aumentando il precarico. Entro pochi battiti la maggiore dilatazione del ventricolo in diastole riporta la gittata sistolica ai valori di partenza. In altre parole, per adattarsi a un aumento del postcarico il cuore sfrutta la riserva di precarico, in modo da mantenere costante la gittata. Questo adeguamento ha però un prezzo che risulta evidente, se si considera il lavoro del cuore. Il lavoro di una pompa che espelle un volume V di liquido a una pressione P è proporzionale al prodotto di P × V. Nel caso del cuore, il lavoro per ogni sistole è dato dal prodotto della pressione sistolica media per il volume della gittata sistolica. Quindi, quando il cuore si adatta a un aumento di pressione aumentando il suo volume, così da mantenere costante la gittata sistolica, esso finisce comunque per compiere un lavoro maggiore. Ciò comporta, per ogni contrazione, un maggiore consumo di energia e, quindi, di ossigeno. Oltre a ciò, un aumento di pressione comporta anche un minore rendimento cardiaco, che è definito come il rapporto tra lavoro svolto ed energia spesa, e che già di base nel cuore è piuttosto basso (20-25% circa dell’energia consumata). Infatti, il lavoro effettivo (ossia la gittata sistolica) rimane costante, a dispetto dell’aumento del consumo energetico conseguente all’aumento della pressione arteriosa. Quando la contrattilità del cuore è ridotta, l’adattamento a un aumento brusco del postcarico è più difficile. Infatti, il cuore insufficiente sfrutta già in condizioni di base parte della riserva di precarico per mantenere una gittata normale; inoltre spesso la sua distensibilità è ridotta. Esso non può quindi aumentare di molto il riempimento per fare fronte a un aumento acuto delle resistenze periferiche. Ne consegue che, quando il cuore presenta una significativa insufficienza contrattile, un aumento acuto delle resistenze periferiche (e quindi della pressione e del postcarico) può determinare una riduzione della portata cardiaca, tanto maggiore quanto più depressa è la contrattilità miocardica. Questi concetti possono essere espressi con un grafico in cui sull’asse orizzontale si pongono le resistenze vascolari periferiche e su quello verticale la portata cardiaca ( Fig. 12.10 ). Il comportamento del cuore normale è rappresentato da una retta orizzontale (nessuna variazione della gittata con l’aumentare delle resistenze), che deflette solo a valori estremi delle resistenze. Il comportamento di un cuore con contrattilità ridotta è rappresentato, invece, da una linea discendente (riduzione della gittata con l’aumento delle resistenze) tanto più inclinata verso il basso quanto più è compromessa la contrattilità miocardica. 6/9/10 10:02:26 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO 285 Gittata cardiaca Normale Iperte Mod erata i Gr av e 1 Ipertensione ins nza mio car dic con scom pen so a za en i ci uf f nsuf ficie nsion e ica ard oc mi Resistenze all’eiezione Figura 12.10 Curve di resistenze-gittata. Nel cuore normale un aumento acuto delle resistenze all’eiezione ventricolare, causato, per esempio, da una vasocostrizione periferica, non provoca alcuna variazione della gittata, salvo che per valori estremi di vasocostrizione. Nel cuore insufficiente, invece, ogni aumento delle resistenze si accompagna a una riduzione della gittata cardiaca. La riduzione è tanto più marcata quanto più grave è il grado di insufficienza contrattile del miocardio. Scompenso cardiaco Lo scompenso cardiaco (o insufficienza cardiaca) è una condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare una quantità di sangue (portata cardiaca) adeguata alle necessità metaboliche dell’organismo o, comunque, di essere in grado di farlo solo a spese di un aumento delle pressioni di riempimento in una o più camere cardiache e nel circolo venoso a monte. Numerose malattie cardiache possono determinare o evolvere verso una condizione preclinica o clinica di scompenso cardiaco, e l’attuazione di alcune misure terapeutiche può in molti casi prevenirne o ritardarne lo sviluppo. Inoltre è possibile ridurre l’incidenza dello scompenso cardiaco nella popolazione anche prevenendo lo sviluppo delle malattie cardiache che ne sono potenziali cause (per esempio, cardiopatia ischemica, ipertensione ecc.), mediante controllo dei fattori di rischio che le determinano. Sulla base di queste considerazioni e dell’idea di un approccio globale al problema dello scompenso cardiaco, finalizzato non solo al trattamento ma anche alla prevenzione, è stata proposta dall’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA) una classificazione dello scompenso in quattro stadi (Fig. 12.11). Nei primi due (A e B) sono inclusi pazienti che, in effetti, non hanno alcuna evidenza (clinica o subclinica) di scompenso, ma nei quali appropriati interventi possono ridurre la probabilità che possano sviluppare uno scompenso in futuro. Gli ultimi due stadi (C e D) includono, viceversa, pazienti con evidenza di scompenso di gravità crescente, che necessitano specifici tipi di trattamento. C0060.indd 285 Epidemiologia Lo scompenso cardiaco è una condizione patologica di frequente riscontro per il medico. In Europa la prevalenza oscilla dal 2 al 3%; pertanto circa 15 milioni di persone ne sono affetti. Un numero simile di pazienti ha disfunzione ventricolare in assenza di sintomi di scompenso cardiaco. L’incidenza dello scompenso nella popolazione aumenta con l’età e raddoppia (o più) per ogni decennio dai 40 agli 80 anni. Essa è quindi destinata ad aumentare in futuro, a causa sia dell’allungamento della vita media della popolazione sia, ancor più, dell’aumento dell’attesa di vita dei pazienti affetti da diverse forme di cardiopatie che possono sfociare nello scompenso. Nell’età adulta lo scompenso è più frequente negli uomini che nelle donne, a causa della maggiore prevalenza di cardiopatia ischemica; la differenza tende comunque ad annullarsi con il passare degli anni. Eziologia Dal punto di vista clinico è utile classificare le cause dello scompenso in due categorie: 1) cause primarie, che comprendono molte delle malattie che colpiscono il cuore, sebbene la cardiopatia ischemica, in primo luogo, e la cardiomiopatia dilatativa idiopatica siano quelle più frequentemente responsabili di scompenso (Tab. 12.1); 2) cause precipitanti, che rendono evidente uno scompenso cardiaco subclinico, determinano l’aggravamento di uno scompenso preesistente o precipitano uno scompenso acuto. Per il clinico è impor- 6/9/10 10:02:26 AM 286 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO STADIO A Nessuna cardiopatia ma alto rischio di patologie che danno scompenso STADIO B Pazienti con malattia cardiaca strutturale, ma senza sintomi di scompenso Sviluppo di patologia cardiaca strutturale Figura 12.11 Classificazione dello scompenso cardiaco in stadi dell’ACC/AHA. Esempio Pazienti con: • ipertensione • cardiopatia ischemica • diabete mellito • uso di farmaci cardiotossici • storia familiare di cardiomiopatie STADIO C Pazienti con malattia cardiaca strutturale e sintomi di scompenso Comparsa di sintomi di scompenso cardiaco Esempio Pazienti con: • pregresso IMA • disfunzione sistolica nel ventricolo sinistro • valvulopatie asintomatiche STADIO D Scompenso refrattario che necessita di interventi specializzati Sintomi di scompenso cardiaco refrattari, a riposo Esempio Pazienti con: • malattia cardiaca strutturale nota • dispnea, faticabilità, ridotta tolleranza allo sforzo Esempio Pazienti con: • sintomi gravi nonostante terapia massimale (pazienti con frequenti ospedalizzazioni che richiedono supporto terapeutico speciale) La classificazione serve a identificare non solo il grado di gravità dei sintomi in pazienti con evidenza di scompenso (stadi C-D), ma anche i soggetti o pazienti esenti da un quadro di scompenso, ma a rischio per la presenza di malattie cardiache che possono evolvere verso un’insufficienza cardiaca (stadio B) o pazienti che, pur non avendo patologie cardiache in atto, sono tuttavia ad alto rischio di sviluppare cardiopatie in grado di evolvere verso uno scompenso (stadio A). tante identificare sia la malattia cardiaca che è la causa di base dello scompenso sia i fattori precipitanti. Infatti, il trattamento delle cause sottostanti può prevenire o contenere il peggioramento dello scompenso cardiaco, o anche risolverlo del tutto, mentre il trattamento delle cause precipitanti può consentire il ritorno a uno stato di stabilità clinica. Cause primarie Una condizione di scompenso cardiaco è nella maggior parte dei casi il risultato di un’insufficiente funzione miocardica. Questa può essere determinata primariamente dalla perdita di una quota significativa di tessuto miocardico, come nell’infarto miocardico (la causa più frequente di scompenso cardiaco nei Paesi occidentali), oppure da alterazioni strutturali e funzionali diffuse del miocardio, come nella cardiomiopatia dilatativa non ischemica o nelle miocarditi, o anche in alcune forme di cardiomiopatia dilatativa su base ischemica senza apparente evidenza di infarto (si veda il Capitolo 5). L’insufficienza miocardica può anche essere secondaria a un carico di lavoro cronico eccessivo, il quale può essere dovuto, a sua volta, a un sovraccarico di pressione (come nell’ipertensione arteriosa sistemica o polmonare o nelle Tabella 12.1 Eziologia dello scompenso cardiaco C0060.indd 286 Cardiopatia d ischemica h 65,0% Miocardiopatia dilatativa idiopatica Cardiopatia valvolare Cardiopatia ipertensiva Altro 18,0% 5,0% 5,0% 7,0% stenosi valvolari aortica o polmonare), o un sovraccarico di volume (come nelle insufficienze delle valvole sia atrioventricolari sia semilunari) (si veda il Capitolo 6). Molto raramente, l’insufficienza miocardica si può manifestare per un sovraccarico di volume determinato da patologie extracardiache che impongono al cuore una gittata persistentemente elevata (come l’anemia grave e l’ipertiroidismo). Alcune malattie miocardiche, d’altro canto, possono causare uno scompenso cardiaco determinando principalmente una compromissione della funzione diastolica del miocardio (come la cardiomiopatia ipertrofica e quella restrittiva). Lo scompenso cardiaco deve essere distinto da altre forme di insufficienza circolatoria, nelle quali la funzione di trasporto di ossigeno ai tessuti è compromessa per un’alterazione di una (o più di una) delle altre componenti del sistema (massa ematica, concentrazione di emoglobina ossigenata, letto vascolare). Un esempio di quadro clinico di insufficienza circolatoria non attribuibile a un’insufficienza miocardica o cardiaca è, per esempio, lo shock ipovolemico da emorragia acuta. In sintesi, bisogna ricordare che insufficienza miocardica, insufficienza cardiaca e insufficienza circolatoria non sono sinonimi, ma concetti di estensione crescente, ciascuno dei quali comprende i precedenti in una famiglia più ampia (Fig. 12.12). Cause precipitanti I pazienti con insufficienza cardiaca sono spesso sufficientemente compensati (vale a dire asintomatici, almeno a riposo, e in condizioni cliniche stabili) grazie a meccanismi endogeni di compenso (si veda in precedenza e oltre) e/o a un appropriato trattamento farmacologico. 6/9/10 10:02:27 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Insufficienza miocardica Primitiva: – cardiopatia ischemica – miocardiopatie – miocarditi Secondaria: – ipertensione arteriosa – cardiopatie valvolari – cardiopatie congenite – sindrome da alta gittata Insufficienza cardiaca – Ipertensione acuta grave – Cardiopatie valvolari (acute e croniche) – Cardiopatie congenite – Sindrome da alta gittata – Ostruzione AV – Ostruzione all’efflusso – Tamponamento cardiaco Insufficienza circolatoria – Riduzione della volemia – Anemia acuta – Vasodilatazione 287 1 Figura 12.12 Relazione tra insufficienza miocardica, cardiaca e circolatoria. Esso mostra come l’insufficienza miocardica, che è caratterizzata da un deficit funzionale meccanico del muscolo cardiaco, costituisca una parte dell’insufficienza cardiaca, la quale più generalmente comprende tutti i casi in cui la presenza di malattie cardiache impedisce al cuore di garantire un’adeguata gittata cardiaca. L’insufficienza cardiaca, a sua volta, è una parte della più generale condizione di insufficienza circolatoria, che comprende tutti i casi in cui non si riesce a garantire un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti dell’organismo. Tuttavia diversi fattori, che sopraggiungono in modo più o meno improvviso, possono alterare l’equilibrio, talora precario, raggiunto dal paziente e causare un aggravamento del quadro clinico, determinando un peggioramento della funzione cardiaca o imponendo al cuore un carico di lavoro supplementare. In questi casi è importante individuare la causa che ha determinato l’aggravamento, perché spesso si tratta di condizioni reversibili che possono essere risolte con una terapia appropriata. Se il paziente supera la crisi acuta e la causa precipitante può essere eliminata, è spesso possibile recuperare il precedente stato di equilibrio. Nella gestione successiva del paziente si dovrà avere particolare cura di evitare l’esposizione alla causa o alle cause che hanno precipitato l’aggravamento dello scompenso. I fattori che più frequentemente sono implicati come cause precipitanti di uno scompenso cardiaco sono indicati di seguito. Stress fisico, psichico, alimentare, ambientale Ogni brusco cambiamento delle condizioni di vita che comporti per il cuore un sovraccarico di lavoro (caldo, freddo, eccesso di sale nella dieta, emozione, superlavoro ecc.) può rendere manifesto o peggiorare uno scompenso. Ipertensione Bruschi aumenti della pressione arteriosa impongono al cuore, come visto, un significativo aumento del lavoro, che può far precipitare o aggravare uno scompenso. Aritmie La comparsa di aritmie è un evento frequente nei pazienti cardiopatici e può fare precipitare uno scompenso cardiaco in equilibrio precario. In caso di tachiaritmie si ha una marcata riduzione della durata della diastole, cosicché il riempimento ventricolare risulta insufficiente a mantenere un’adeguata portata cardiaca; nelle bradiaritmie, d’altro canto, se la frequenza cardiaca è molto bassa, per mantenere la portata cardiaca a valori sufficienti può essere richiesto un aumento della gittata sistolica al di sopra delle possibilità del ventricolo insufficiente. Inoltre, spesso C0060.indd 287 le aritmie comportano una dissociazione tra attività atriale e attività ventricolare, con perdita dell’apporto atriale al riempimento ventricolare, che in pazienti con insufficienza cardiaca di una certa gravità può essere determinante per mantenere una sufficiente portata cardiaca. La perdita della sistole atriale è anche la causa principale, insieme all’elevata frequenza cardiaca, dell’aggravamento dello scompenso quando si verifica una fibrillazione striale, che è peraltro una delle aritmie più frequenti in presenza di uno scompenso cardiaco. Infine, in caso di frequenti aritmie ventricolari o di tachicardia ventricolare, può contribuire alla riduzione dell’efficienza contrattile ventricolare anche la perdita della normale sincronizzazione della contrazione miocardica conseguente all’attivazione anomala dei ventricoli. Infezioni sistemiche Le infezioni possono precipitare uno scompenso cardiaco sia in quanto determinano un aumento del lavoro cardiaco (a causa dell’abituale tachicardia secondaria all’iperpiressia), sia per un aumento di citochine proinfiammatorie circolanti, che possono deprimere la contrattilità miocardica. Aumento della portata cardiaca La richiesta di un aumento della portata cardiaca, per motivi fisiologici (per esempio, durante una gravidanza) o per lo sviluppo di alcune condizioni patologiche (per esempio, anemizzazione, tireotossicosi), può essere causa di aggravamento o anche del primo manifestarsi di uno scompenso cardiaco prima clinicamente latente. Malattie renali L’insufficienza renale, acuta e cronica, è associata a una ridotta escrezione di sodio, che può esacerbare la ritenzione idrica tipica dello scompenso. Embolia polmonare L’embolia polmonare è una patologia acuta che richiede pronti riconoscimento e trattamento. In alcuni casi 6/9/10 10:02:27 AM 288 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO fenomeni microembolici, piuttosto che causare un quadro tipico di embolia polmonare, possono determinare un aumento della pressione nel circolo polmonare che si manifesta con un aggravamento di uno scompenso del ventricolo destro (si veda il Capitolo 21). Riduzione inappropriata della terapia La causa più frequente di peggioramento dello scompenso cardiaco è probabilmente un’inappropriata autoriduzione della terapia farmacologica da parte del paziente; è quindi importante spiegare bene al paziente che qualsiasi variazione del trattamento deve sempre essere concordata con il curante. Assunzione di farmaci controindicati o di sostanze tossiche L’assunzione di farmaci che riducono la contrattilità cardiaca (come molti farmaci antiaritmici, i calcio-antagonisti non diidropiridinici, dosi eccessive di -bloccanti e alcuni farmaci antineoplastici) o di farmaci che aumentano la ritenzione idrica (come gli estrogeni e i farmaci antinfiammatori, sia steroidei sia non steroidei) sono un’altra causa frequente di peggioramento di uno scompenso cardiaco. Inoltre, lo scompenso può essere aggravato da un’assunzione eccessiva di bevande alcoliche o sostanze tossiche, come, per esempio, la cocaina. Nuove malattie cardiache Il sovrapporsi di una nuova malattia cardiaca (infarto miocardico, endocardite infettiva, miocardite) alla cardiopatia di base può fare precipitare, spesso in maniera catastrofica, un’insufficienza cardiaca in equilibrio precario. Fisiopatologia In presenza di una riduzione della contrattilità miocardica o di un sovraccarico di lavoro cardiaco, le conseguenze emodinamiche più immediate sono rappresentate dall’aumento della pressione venosa a monte e/o dalla riduzione della gittata sistolica a valle della camera insufficiente. L’organismo reagisce con una serie di meccanismi di compenso che hanno lo scopo di mantenere la portata cardiaca su valori normali. Nei gradi più lievi di scompenso questi aggiustamenti riescono a garantire un adeguato flusso ematico in qualunque condizione. Nei casi di scompenso moderato, tuttavia, essi potranno consentire il mantenimento di una normale portata cardiaca solo a riposo, ma non sotto sforzo (quando è richiesto un aumento rilevante della gittata stessa). Nei casi più gravi, infine, essi saranno incapaci di garantire una gittata sufficiente anche per sforzi lievi, o addirittura a riposo. Va peraltro osservato che, sebbene i meccanismi di compenso consentano di garantire, per un periodo più o meno lungo, un soddisfacente compenso di circolo, essi, soprattutto quando il loro grado di attivazione è elevato, possono progressivamente comportare effetti negativi sulla funzione cardiocircolatoria, che finiscono con il contribuire a peggiorare, in un circolo vizioso, il quadro clinico dello scompenso cardiaco. I principali meccanismi di compenso che consentono al cuore di garantire una funzione di pompa soddisfacente in presenza di un’insufficienza cardiaca sono: C0060.indd 288 • meccanismo di Starling; • meccanismi neuroendocrini; • ipertrofia miocardica e rimodellamento ventricolare. Del primo di questi meccanismi si è parlato ampiamente in precedenza e si è visto come esso consenta una regolazione rapida della funzione cardiaca. Si vedrà ora come si attua e cosa comporta l’attivazione degli altri due meccanismi. Meccanismi neuroendocrini L’attivazione di meccanismi neuroumorali consente di ottenere un compenso rapido della funzione cardiaca. La riduzione della gittata cardiaca, infatti, determina immediatamente una serie di reazioni neuroumorali finalizzate a ripristinare valori normali della gittata stessa e mantenere una normale perfusione degli organi. Uno schema dei principali meccanismi di compenso e delle loro conseguenze è illustrato nella figura 12.13. Una delle prime e importanti conseguenze di una riduzione della gittata sistolica, mediata da riflessi nervosi a partenza da strutture barocettoriali e chemocettoriali, è l’attivazione del sistema nervoso simpatico. Questa determina, come già accennato nei paragrafi precedenti, un aumento sia della frequenza sia della contrattilità cardiache. Essa, inoltre, produce una vasocostrizione arteriolare nei distretti più sacrificabili dell’organismo (soprattutto cute, muscoli scheletrici e organi addominali), favorendo la ridistribuzione del flusso verso organi vitali (cuore e cervello), che hanno, peraltro, una regolazione delle resistenze vascolari in gran parte autonoma e indipendente da influenze neuroumorali. Un’altra fondamentale sequenza di meccanismi di adattamento nello scompenso consegue alla riduzione del flusso a livello del rene. La ridotta gittata cardiaca determina una riduzione della pressione nelle arteriole glomerulari. Ne consegue una complicata sequenza di eventi che ha come risultato una ritenzione di acqua e sodio. Nella risposta renale all’ipoperfusione riveste un ruolo centrale l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA), che contribuisce a mantenere la vasocostrizione arteriolare. Inoltre, tanto la stimolazione ␣-adrenergica quanto l’attivazione del sistema RAA promuovono il trasporto di sodio nei tubuli prossimali e causano ritenzione idrosalina, che è finalizzata ad aumentare il ritorno venoso di sangue al cuore, con l’intento di rispristinare un’adeguata portata cardiaca. Il sodio e l’acqua trattenuti, infatti, espandono solo il volume del compartimento extracellulare dell’organismo, in quanto il sodio è espulso attivamente dalle cellule e l’acqua lo segue passivamente per gradiente osmotico. Il compartimento extracellulare comprende l’interstizio e il letto vascolare. Quindi, la ritenzione idrosalina aumenta il volume ematico e il volume del liquido interstiziale. Il volume ematico totale influenza il riempimento ventricolare (precarico) e pertanto il suo aumento tende a migliorare la funzione cardiaca. Può contribuire a questi meccanismi di compenso anche una maggiore liberazione, da parte dell’ipofisi, di arginina-vasopressina (ormone antidiuretico), che pure induce vasocostrizione e ritenzione idrica. La liberazione di arginina-vasopressina avviene sia per sollecitazioni osmotiche 6/9/10 10:02:27 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Vasopressina (ADH) 1 ↓ Sensibilità b-AR ↓ Riserve norepinefrina ↓ Innervazione simpatica ↑ Aritmie ↑ Attività SNS ↓ Flusso renale ↑ Ritenzione sodio ↑ Riassorbimento H2O ↑ Secrezione di renina Vasocostrizione periferica Rimodellamento ventricolare Renina ET-1 Aldosterone 289 ↑ Angiotensina II Figura 12.13 Principali meccanismi neuroendocrini di compenso nello scompenso cardiaco, innescati dalla riduzione della gittata sistolica e dalla conseguente stimolazione di chemocettori e meccanocettori localizzati nel miocardio, nell’aorta e nel bulbo carotideo. Sono illustrati i più importanti effetti dell’attivazione del sistema nervoso adrenergico, del sistema renina-angiotensina-aldosterone, oltre che della vasopressina (o ormone antidiuretico, ADH) e dell’attivazione vascolare locale che determina un aumento della produzione di endotelina 1 (ET-1). (aumento della pressione osmotica del liquido extracellulare conseguente alla ritenzione di sodio), sia per sollecitazioni non osmotiche (la diminuzione della gittata sistolica viene avvertita dai barocettori carotidei come un segnale di diminuzione del volume di fluido circolante). È perciò possibile che nello scompenso cardiaco si abbia iponatriemia, che peraltro è un indicatore prognostico negativo. Oltre ai vari fattori neuro-ormonali circolanti, possono contribuire a determinare un aumento delle resistenze periferiche e ridistribuzione della portata cardiaca anche sostanze vasocostrittrici, prodotte in vari distretti vascolari, che agiscono come fattori locali di regolazione del circolo. Una delle più importanti di queste è l’endotelina, che è prodotta dalle cellule endoteliali. Agli altri meccanismi neuro-ormonali si aggiunge, nelle fasi finali dello scompenso cardiaco, un’elevata produzione di alcune citochine, in particolare il fattore di necrosi tumorale (TNF, Tumor Necrosis Factor), che è probabilmente responsabile del quadro di cachessia che si presenta nello scompenso terminale. Effetti negativi Come notato in precedenza, i meccanismi neuroumorali di adattamento circolatorio, validi ed efficaci nel breve termine, possono finire con l’essere controproducenti e nocivi a lungo termine. Per esempio, la vasocostrizione, utile inizialmente per ridistribuire il flusso ematico verso gli organi vitali, alla lunga comporta un aggravio di lavoro per il cuore (aumento del postcarico) e può instaurare un C0060.indd 289 circolo vizioso che tende a far peggiorare lo scompenso. Nel caso di un cuore insufficiente, infatti, l’aumento delle resistenze periferiche finisce con il comportare un’ulteriore riduzione della portata cardiaca; questa, a sua volta, determina un’ulteriore vasocostrizione per ridistribuire il flusso insufficiente, e così via in una spirale negativa. La base razionale per l’uso di vasodilatatori arteriosi nella terapia dello scompenso (in particolare dei farmaci che inibiscono l’aumentata attività del sistema RAA) sta proprio nell’intento di interrompere questo circolo vizioso. Analogamente, anche la ritenzione di sodio e acqua operata dal rene ipoperfuso, finalizzata, come visto, a garantire un adeguato ritorno venoso al cuore, può finire con l’essere inappropriata e avere alcune conseguenze negative. Essa, infatti, consente un miglioramento della gittata sistolica sino a quando la relazione precarico-gittata non raggiunge il plateau della curva di Starling. Al di là di questo limite l’espansione del volume ematico finisce con l’essere associata a una riduzione della gittata. Peraltro, a causa del deficit contrattile cardiaco, le curve di Starling sono spostate in basso e, quindi, il plateau in queste condizioni viene raggiunto prima che nel cuore normale. La base razionale per l’uso dei diuretici e dei vasodilatatori venosi nello scompenso sta proprio nell’intento di ridurre il volume ematico totale, o di ridistribuirlo verso la periferia, nei casi in cui esso abbia superato i limiti utili per il miglioramento della prestazione cardiaca o rischi di produrre un’eccessiva trasudazione interstiziale (pericolosa soprattutto nei polmoni). 6/9/10 10:02:27 AM 290 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Meccanismi di controregolazione Indipendentemente dagli interventi farmacologici, anche l’organismo prevede meccanismi di controregolazione che tendono a bilanciare, almeno in parte, l’eccessiva e persistente vasocostrizione e la ritenzione di acqua e sodio promosse dai meccanismi di compenso. Uno dei più importanti è rappresentato dai peptidi natriuretici, sostanze vasoattive prodotte dalle cellule muscolari degli atri (peptide natriuretico atriale) e dei ventricoli (peptide natriuretico di tipo B) in risposta a uno stiramento delle loro pareti che, come dice il nome, favoriscono l’escrezione urinaria di sodio. L’effetto diuretico e natriuretico e quello vasodilatatore di questi peptidi tendono a ridurre il volume ematico, e quindi il precarico. In aggiunta a ciò, i peptidi natriuretici frenano l’attività del sistema simpatico, della vasopressina e del sistema RAA. Anche a livello renale vengono prodotte sostanze con effetti vasodilatatori, le prostaglandine, che contrastano in parte gli effetti dell’angiotensina sull’albero vascolare e contribuiscono a sostenere la filtrazione glomerulare quando il flusso renale si riduce a livelli critici, nelle fasi avanzate della malattia. Per questo motivo i farmaci antinfiammatori che inibiscono le prostaglandine possono peggiorare il quadro di scompenso. Un ulteriore meccanismo di protezione dagli effetti negativi dei vari fattori neuroendocrini è rappresentato dalla ridotta espressione sulle membrane cellulari (down regulation) dei loro recettori specifici. In termini generali, qualsiasi stimolazione prolungata di recettori da parte di un ormone o di un neurotrasmettitore comporta alla lunga una riduzione del numero o della sensibilità dei recettori stessi. Tipicamente, la down regulation dei recettori -adrenergici cardiaci durante lo scompenso tende a preservare le cellule miocardiche dagli effetti negativi dell’eccessiva stimolazione simpatica (apoptosi, aritmogenicità). Tuttavia, quando essa è eccessiva e prolungata finisce con il determinare una marcata riduzione della risposta inotropa e cronotropa del cuore alla stimolazione adrenergica, con compromissione del meccanismo di compenso. In questa situazione l’uso dei -bloccanti, limitando la down regulation causata dall’intensa stimolazione adrenergica, può paradossalmente ripristinare una certa sensibilità dei -recettori alle catecolamine, determinando così un miglioramento della performance ventricolare. Un meccanismo puramente periferico di adattamento all’ipoperfusione è costituito, infine, da una maggiore estrazione di ossigeno dal sangue arterioso che perfonde i tessuti da parte delle cellule, che determina una diminuzione della saturazione di O2 nel sangue venoso misto, che può scendere dal normale 70% a meno del 55%. Il risultato del complesso gioco dei meccanismi neuroormonali di adattamento che intervengono nello scompenso cardiaco è un equilibrio precario, che diventa sempre più precario con il progredire dello scompenso. In alcune fasi lo stato di compenso è adeguato, in altre, invece, possono prevalere un’eccessiva vasocostrizione e/o un’eccessiva ritenzione idrica, che, in un cuore già in difficoltà, finiscono con il causare un ulteriore sovraccarico e, quindi, un ulteriore peggioramento della sua efficienza. C0060.indd 290 Ipertrofia miocardica e rimodellamento ventricolare L’ipertrofia miocardica costituisce un ulteriore meccanismo di compenso che il cuore mette in atto per migliorare la sua efficienza contrattile in condizioni di insufficienza cardiaca persistenti nel tempo. Essa è pertanto un meccanismo di compenso cronico. Non sono noti esattamente tutti i meccanismi molecolari attraverso cui un maggior carico di lavoro produce ipertrofia. Probabilmente lo stimolo iniziale è l’aumento dello sforzo di parete che porta all’attivazione di canali ionici sensibili alle sue variazioni. Un secondo messaggero intracellulare agisce poi sul nucleo, attivando alcuni geni normalmente latenti. Ne risulta un doppio effetto: una crescita quantitativa della cellula, con aumento del numero delle fibrille, dei sarcomeri e dei mitocondri, e una variazione qualitativa delle proteine che vengono sintetizzate per realizzare tale crescita. Il primo effetto è legato soprattutto all’attivazione di alcuni proto-oncogeni, come c-fos e c-myc, che fanno parte del normale meccanismo che regola la crescita e la divisione cellulare. Il secondo effetto sembra consistere, invece, nella sintesi di varianti (isoforme) delle proteine contrattili o di altre proteine cellulari, con riattivazione, in particolare, della sintesi di isoforme fetali. Ciò avviene, per esempio, per la miosina, la cui isoforma fetale dà una contrazione più lenta, ma caratterizzata da maggiore rendimento, cioè con minore consumo di energia a parità di lavoro, rispetto all’isoforma presente nell’adulto. La produzione di isoforme fetali nei cuori ipertrofici è stata dimostrata anche per le altre proteine che costituiscono le fibre miocardiche e sembra finalizzata, complessivamente, a garantire un maggiore risparmio energetico, sebbene a prezzo di una minore funzionalità. Ciò vale anche per la pompa ATP-dipendente che accumula gli ioni calcio nel reticolo sarcoplasmatico durante la diastole, consentendo il rilasciamento dei miocardiociti; il conseguente rallentamento di questo processo aiuta a spiegare la significativa disfunzione diastolica che caratterizza di solito il cuore ipertrofico. Anche le modificazioni della struttura del ventricolo che conseguono all’ipertrofia contribuiscono a spiegare la disfunzione diastolica tipica di questa condizione. Insieme alle modificazioni dei miocardiociti, infatti, vi è nell’ipertrofia cardiaca la produzione di una maggiore quantità di collagene interstiziale, dovuta a un’aumentata attività dei fibroblasti. L’ipertrofia miocardica, quindi, è in genere accompagnata da un certo grado di fibrosi, che conferisce una minore distensibilità alle pareti. Le variazioni della geometria del ventricolo che va incontro a ipertrofia sono diverse a seconda del tipo di sovraccarico a cui il cuore è sottoposto, sebbene, in generale, l’ipertrofia si sviluppi in modo da mantenere lo sforzo di parete il più possibile entro limiti normali (Fig. 12.14). Così, se l’ipertrofia miocardica è causata da un sovraccarico di pressione del ventricolo, si avrà un ispessimento delle pareti, mentre i volumi ventricolari non saranno sostanzialmente modificati (ipertrofia concentrica). Per la legge di Laplace (S = Pr/2h), l’aumento di spessore della parete ventricolare limita l’aumento di sforzo causato dall’aumento di pressione. Se, viceversa, l’ipertrofia è causata da un sovraccarico di volume, si avrà una dilatazione della camera ventricolare che consente di fronteggiare la neces- 6/9/10 10:02:28 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO 291 Normale – Sovraccarico pressorio Sovraccarico di volume Aumento della pressione sistolica Aumento del volume diastolico Aumento sistolico di S Aumento diastolico di S Aggiunta in parallelo di miofibrille Aggiunta in serie di sarcomeri + Ispessimento della parete 1 + Dilatazione della cavità – Ipertrofia concentrica Ipertrofia eccentrica Figura 12.14 Schema dei meccanismi e delle caratteristiche dell’ipertrofia miocardica da sovraccarico di pressione o di volume. Nel sovraccarico di pressione le pareti ventricolari si ispessiscono grazie a una replicazione parallela dei sarcomeri. Ciò comporta un aumento più spiccato dello spessore di parete (h) rispetto al raggio della cavità (r). Per la legge di Laplace (S = Pr/2h), l’aumento di spessore (h) compensa l’aumento di pressione (P), in modo da far crescere di poco il postcarico o stress di parete (S). Nel sovraccarico di volume, invece, la cavità si dilata grazie a una replicazione in serie dei sarcomeri e ciò consente di incrementare la gittata sistolica. L’aumento r che ne consegue comporterebbe un aumento di postcarico, ma anche questo viene compensato da un corrispondente modesto aumento di h. sità di una maggiore gittata sistolica (ipertrofia eccentrica). Ne consegue un incremento del postcarico, ma, anche in questo caso, un aumento dello spessore della parete ventricolare limita l’aumento dello sforzo di parete. Le modificazioni prodotte dall’ipertrofia permettono al cuore di sostenere, sino a un certo punto, il maggior carico di lavoro che viene richiesto. Se il grado di ipertrofia (ed eventualmente della fibrosi associata) diventa eccessivo, esso finisce con il determinare una notevole alterazione dell’equilibrio energetico cellulare e con il compromettere sia la funzione sistolica sia quella diastolica. Con il persistere del sovraccarico, inoltre, l’architettura dei ventricoli si altera e si assiste a una progressiva dilatazione della cavità, con assottigliamento e fibrosi delle pareti, che finisce per compromettere l’utilità dell’ipertrofia stessa. Agli effetti negativi che si hanno in caso di ipertrofia eccessiva contribuisce anche la possibilità che si verifichino ischemia miocardica, causata dal maggior lavoro cardiaco e da un insufficiente sviluppo, e frequenti alterazioni del microcircolo coronarico. C0060.indd 291 Progressione dell’insufficienza miocardica I meccanismi responsabili del peggioramento clinico di uno scompenso cardiaco sono molteplici e non sempre facilmente identificabili. Come visto, se le cause dello scompenso persistono, i meccanismi di compenso descritti in precedenza possono diventare progressivamente insufficienti a mantenere uno stato di compenso emodinamico e possono essi stessi avere effetti nocivi sul cuore. Esempi di questi effetti negativi sono l’effetto proaritmico causato dall’eccessiva attivazione simpatica, la fibrosi causata dall’attivazione del sistema renina-angiotensina e l’ischemia miocardica favorita dall’ipertrofia. Ovviamente, il peggioramento della patologia cardiaca di base o il sopravvenire di insulti cardiaci acuti (per esempio, un infarto acuto, una miocardite, un’endocardite ecc.) costituiscono altre condizioni frequenti di aggravamento del quadro di scompenso. Indipendentemente dai meccanismi, l’incremento più o meno progressivo e graduale di un sovraccarico di lavoro (pressorio e/o volumetrico) del cuore si rende responsabile 6/9/10 10:02:28 AM 292 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO in diversi pazienti di un progressivo peggioramento della funzione contrattile miocardica e dei sintomi di scompenso che, alla fine, può portare all’exitus. Le cause cellulari e molecolari del deterioramento contrattile del miocardio non sono tuttora molto chiare, ma esso può riflettere una perdita progressiva di miociti (in particolare per apoptosi o morte programmata), una riduzione progressiva della loro attività contrattile, in assenza di una riduzione del loro numero, o entrambi i meccanismi, che possono variamente coesistere, eventualmente con un peso diverso a seconda della causa primaria dello scompenso cardiaco. Conseguenze fisiopatologiche dell’insufficienza cardiaca conclamata Quando i meccanismi di compenso dell’insufficienza cardiaca non sono in grado di garantire una normale funzione circolatoria compaiono, in modo più o meno evidente, i segni dell’aumento della pressione venosa a monte e dell’ipoperfusione a valle del cuore insufficiente (stadi C e D dello scompenso cardiaco). Congestione venosa L’aumento della pressione venosa che consegue all’insufficienza cardiaca, per qualsiasi causa essa si verifichi, si trasmette a monte sino ai capillari, dove produce alterazioni negli scambi di acqua e ioni. Come è noto, la parete dei capillari è impermeabile alle proteine e agli elementi corpuscolati del sangue, mentre lascia liberamente passare acqua, ioni e piccole molecole. Semplificando, gli scambi tra sangue e liquido interstiziale sono regolati dalla differenza tra la pressione idrostatica nei capillari (che tende a fare uscire acqua verso l’interstizio) e la pressione osmotica del plasma (che tende a trattenere e richiamare acqua nel letto vascolare). Man mano che la pressione idrostatica nei capillari aumenta, sino a raggiungere o superare quella osmotica (che è in media di 25 mmHg), la fuoriuscita di acqua verso l’interstizio diviene nettamente prevalente e si assiste alla formazione di edema interstiziale. Nel caso del polmone, se la quantità di acqua nel circolo aumenta e supera la possibilità di drenaggio da parte del sistema linfatico polmonare, essa inonda gli alveoli e l’edema diventa alveolare. Ipoperfusione degli organi periferici Quando i meccanismi di compenso non sono più in grado di garantire una portata cardiaca sufficiente a soddisfare le loro esigenze metaboliche, diversi apparati e sistemi danno segni di sofferenza e non svolgono più adeguatamente le proprie funzioni. L’ipoperfusione dei tessuti in genere produce ipossia periferica e, nei casi gravi, acidosi, a causa dell’aumento del metabolismo anaerobico che la accompagna. L’ipoperfusione del rene, oltre un certo limite, produce insufficienza renale che, nei gradi estremi di shock cardiogeno, arriva sino all’anuria completa. Anche in casi non particolarmente gravi si possono riscontrare iperazotemia e aumento della creatinina. La congestione epatica (dovuta all’aumento della pressione venosa sistemica) associata all’ipoperfusione può condurre, nei casi gravi, alla necrosi centrolobulare, con C0060.indd 292 le relative manifestazioni metaboliche dell’insufficienza epatica. Termini descrittivi (classificazione) dello scompenso cardiaco Nel corso degli anni sono stati utilizzati diversi termini per descrivere caratteristiche particolari dello scompenso cardiaco, riferite, in genere, al prevalere di un particolare meccanismo patogenetico o fisiopatologico o al tipo di presentazione clinica. Sebbene questi termini spesso non rispecchino in modo adeguato i meccanismi e le manifestazioni cliniche dello scompenso, possano talora generare confusione e siano tutto sommato spesso mal definiti, essi sono ancora ampiamente utilizzati nella pratica clinica per la loro capacità di sintetizzare alcuni aspetti dello scompenso. Scompenso cardiaco acuto e cronico Mentre il termine scompenso cardiaco cronico indica uno stato di insufficienza cardiaca, più o meno compensata e sintomatica, stabile nel tempo, il termine scompenso cardiaco acuto indica in genere la comparsa improvvisa o in breve tempo di sintomi e/o segni di insufficienza cardiaca importanti, che richiedono un trattamento più o meno rapido o urgente. Si deve osservare come uno scompenso cardiaco acuto possa verificarsi in pazienti che presentano una funzione contrattile del miocardio del tutto normale, a causa di patologie che impongono improvvisamente al cuore un carico di lavoro eccessivo, come, per esempio, una grave crisi ipertensiva, la rottura di un lembo valvolare per endocardite o anche un improvviso ostacolo al riempimento cardiaco (come nel tamponamento cardiaco o per un’ostruzione dell’ostio mitralico). Quadri clinici specifici, particolarmente gravi, di scompenso cardiaco acuto sono l’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno, che sono descritti specificamente in seguito. Scompenso cardiaco destro e sinistro Le patologie cardiache che causano uno scompenso possono compromettere esclusivamente o prevalentemente una delle sezioni (destra e sinistra) del cuore, con ovvie implicazioni fisiopatologiche e cliniche. Infatti, se lo scompenso è dovuto alla compromissione del ventricolo e/o dell’atrio sinistro, l’aumento della pressione venosa, la congestione e gli edemi si verificano nel circolo polmonare (scompenso cardiaco sinistro); se, viceversa, esso è dovuto alla compromissione del ventricolo e/o dell’atrio destro, gli stessi processi patologici hanno luogo nella circolazione venosa sistemica (scompenso cardiaco destro). Nello scompenso cardiaco sinistro prevarranno i sintomi di dispnea e i segni di stasi polmonare all’auscultazione toracica, mentre nello scompenso cardiaco destro prevarranno i segni di una significativa congestione venosa periferica (turgore delle giugulari, edemi periferici, epatomegalia). Lo scompenso cardiaco sinistro è di gran lunga più frequente, e ciò perché le malattie cardiache che più spesso sono causa di insufficienza cardiaca (la cardiopatia ischemica, 6/9/10 10:02:28 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO l’ipertensione arteriosa e i vizi valvolari importanti) coinvolgono esclusivamente o prevalentemente le sezioni sinistre del cuore. L’interessamento esclusivo o predominante delle cavità destre nello scompenso è meno frequente e si verifica in genere per condizioni patologiche che interessano primitivamente il circolo polmonare (cuore polmonare cronico; si veda il Capitolo 13). Più spesso, viceversa, lo scompenso delle cavità destre del cuore consegue a quello delle cavità sinistre, per la ripercussione che le alterazioni del circolo venoso polmonare hanno, a lungo termine, sul circolo arterioso del polmone stesso. Alcune patologie, d’altro canto, possono colpire contemporaneamente le sezioni destre e sinistre del cuore (cardiopatia ischemica, miocarditi, miocardiopatie), determinando fin dal principio uno scompenso cardiaco biventricolare o globale. Scompenso cardiaco sistolico e diastolico Si è già visto come la compromissione della funzione contrattile del miocardio ventricolare sia la causa più frequente di scompenso cardiaco (scompenso sistolico). D’altro canto, in diversi casi sintomi di scompenso possono essere presenti in pazienti con normale funzione sistolica a causa di un’alterata funzione diastolica, dovuta a una ridotta distensibilità miocardica. Questa, se importante, può compromettere il riempimento diastolico ventricolare, causando un aumento delle pressioni endocavitarie telediastoliche e, quindi, nel circolo venoso a monte e, nei casi più gravi, può compromettere anche la gittata sistolica (scompenso diastolico; Fig. 12.15). Le cause di uno scompenso diastolico (detto anche scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata) sono soprattutto le patologie del miocardio che causano eccessiva ipertrofia e/o fibrosi delle pareti ventricolari (tipicamente l’ipertensione arteriosa). Una disfunzione diastolica, tuttavia, è anche presente in pazienti con ridotta funzione sistolica. Questa, d’altro canto, può subentrare alla lunga in condizioni inizialmente caratterizzate da una pura disfunzione diastolica, per cui la separazione di queste due forme di scompenso è spesso arbitraria. 293 1 Scompenso anterogrado e retrogrado Questi termini si riferiscono, rispettivamente, alla prevalenza di sintomi o segni di scompenso dovuti alla ridotta perfusione periferica conseguente alla riduzione della gittata cardiaca (quindi dovuti alle ripercussioni anterograde alla camera ventricolare insufficiente) o di sintomi o segni di scompenso dell’ipertensione venosa a monte della camera ventricolare insufficiente (quindi dovuti alle ripercussioni retrograde della disfunzione cardiaca). Anche in questo caso, tuttavia, la distinzione è sottile. I segni di congestione venosa spesso si associano a una grave compromissione sistolica e quindi della perfusione anterograda. D’altro canto una ridotta perfusione renale anterograda induce ritenzione di liquidi e quindi favorisce i segni di scompenso retrogrado. Scompenso a bassa gittata e ad alta gittata Lo scompenso cardiaco classicamente si associa a una riduzione della portata cardiaca; esso quindi è, o tende a essere, a bassa portata. Tuttavia, esistono alcune condizioni, peral- Disfunzione diastolica VSn Riduzione del volume telediastolico VSn Alterato riempimento VSn Ridotta gittata sistolica Aumento di pressione telediastolica VSn Ingrandimento atriale sinistro Attivazione neuro-ormonale Aumento di pressione in atrio sinistro Stasi atriale e nelle vene polmonari Rimodellamento sfavorevole VSn Edema Congestione/edema polmonare Ritenzione idrosalina Fibrillazione atriale Rischio tromboembolico Figura 12.15 Meccanismi attraverso cui la disfunzione diastolica del ventricolo sinistro può portare a segni e sintomi di scompenso cardiaco. Si sottolinea come anche lo scompenso di tipo diastolico, causando aumento della pressione atriale sinistra, favorisca lo sviluppo di fibrillazione atriale. C0060.indd 293 6/9/10 10:02:28 AM 294 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO tro rare, in cui lo scompenso cardiaco si manifesta perché l’organismo richiede un flusso ematico molto superiore al normale, che il cuore, pur non presentando di per sé alterazioni patologiche, almeno inizialmente, non riesce a garantire. Queste forme vengono definite di scompenso ad alta gittata. In pratica, allo scopo di aumentare la portata in risposta alle aumentate richieste dell’organismo, il cuore è sottoposto a un sovraccarico di volume simile a quello che si verifica nelle gravi insufficienze valvolari. In alcuni casi, inoltre, la patologia primitiva, responsabile delle aumentate richieste metaboliche dell’organismo, determina anche una compromissione diretta della funzione contrattile del miocardio, facilitando così la comparsa dello scompenso. In generale, le cause dello scompenso ad alta gittata sono abbastanza facilmente individuabili e il loro trattamento consente di risolvere efficacemente lo scompenso. Di seguito sono elencate le principali condizioni in grado di causare uno scompenso ad alta gittata. Ipertiroidismo L’aumento della portata cardiaca in questi casi è dovuto al maggiore metabolismo tissutale causato dall’eccesso di ormoni tiroidei. La tireotossicosi, inoltre, a lungo termine può compromettere il metabolismo cardiaco. La presenza di segni di ipertiroidismo, di tachicardia o di tachiaritmie atriali refrattarie alle terapie consuete dovrebbe far sospettare la diagnosi. Anemia In caso di anemia importante, un aumento della gittata cardiaca è necessario per mantenere un normale trasporto di ossigeno ai tessuti. L’ipossia miocardica e l’anemia possono inoltre causare una compromissione dell’attività contrattile del miocardio. Fistole arterovenose In presenza di fistole periferiche arterovenose una quota del sangue pompato dal cuore non attraversa i capillari tissutali, ma passa direttamente dal circolo arterioso a quello venoso; per mantenere la perfusione la portata cardiaca deve di conseguenza aumentare. Una condizione analoga si ha nella malattia di Paget, per la presenza di un aumento del flusso ematico a livello osseo. Beri-beri, alcolismo Un grave deficit di tiamina può determinare non solo i disturbi nervosi periferici tipici del beri-beri, ma anche una notevole vasodilatazione periferica, con aumento marcato del ritorno venoso; questo deficit, inoltre, può anche compromettere il metabolismo miocardico, riducendo la produzione di energia per la contrazione. Il beri-beri è ormai rarissimo in Occidente; tuttavia, una forma di scompenso ad alta gittata da deficit vitaminico si può verificare negli alcolisti cronici; in questo caso è comunque più frequente uno scompenso cardiaco dovuto agli effetti tossici diretti dell’alcol sul miocardio (cardiomiopatia alcolica). Manifestazioni cliniche dello scompenso cardiaco I sintomi e i segni clinici principali che si possono riscontrare all’anamnesi e all’esame obiettivo dei pazienti con C0060.indd 294 Tabella 12.2 Criteri di Framingham per la diagnosi di scompenso cardiaco* Criteri maggiori • Dispnea parossistica notturna • Distensione delle vene del collo • Rantoli • Cardiomegalia • Edema polmonare acuto • Ritmo di galoppo da III tono • Aumento della pressione venosa (>16 cm H20) • Reflusso epatogiugulare Criteri minori • Edemi periferici • Tosse notturna • Dispnea da sforzo • Epatomegalia • Versamento pleurico • Riduzione della capacità vitale di un terzo del normale • Tachicardia (frequenza cardiaca > 120 bpm) Criteri maggiori o minori • Perdita di peso > 4,5 kg in 5 giorni in risposta al trattamento *La diagnosi è ritenuta certa in presenza di due criteri maggiori o di un criterio maggiore e due criteri minori. scompenso cardiaco sono riassunti nella tabella 12.2, in cui vengono anche suddivisi in criteri maggiori e criteri minori per la diagnosi clinica sulla base di quanto suggerito dai risultati dello studio di Framingham. La loro patogenesi è sempre riconducibile in qualche modo alla congestione venosa o all’ipoperfusione periferica ed essi possono combinarsi in vario modo nel singolo paziente a comporre diversi quadri clinici variamente determinati dalle cause di base e di quelle scatenanti dello scompenso, dalla rapidità di insorgenza, dalla gravità della disfunzione ventricolare. Sintomatologia I sintomi principali dello scompenso cardiaco riguardano la funzione respiratoria, l’attività muscolare, la diuresi e le funzioni cerebrali. La valutazione del livello di attività fisica che determina la comparsa di sintomi (dispnea e fatica muscolare in primo luogo) consente di precisare il grado di capacità funzionale del paziente, che è strettamente dipendente dalla gravità dell’insufficienza cardiaca. Sulla relazione tra sintomi e attività fisica si basa la classificazione funzionale di gravità dello scompenso cardiaco della New York Heart Association, che è quella più utilizzata nella pratica clinica (Tab. 12.3). Funzione respiratoria La dispnea è senz’altro il sintomo più frequente e caratteristico dello scompenso e consiste in una sensazione di fatica a respirare associata a una sensazione di fame d’aria o mancanza di respiro. Essa è conseguenza della congestione polmonare, che provoca edema interstiziale e riduce perciò la distensibilità dei polmoni e l’ossigena- 6/9/10 10:02:29 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Tabella 12.3 Classificazione funzionale dei pazienti cardiopatici della New York Heart Association (NYHA) Classe I Pazienti senza limitazioni dell’attività fisica. L’attività fisica abituale non causa sintomi Classe II Lieve limitazione dell’attività fisica. Il paziente è asintomatico a riposo, ma l’attività fisica abituale causa sintomi Classe III Grave limitazione dell’attività fisica. Il paziente è asintomatico a riposo, ma un’attività fisica anche inferiore a quella abituale causa sintomi Classe IV Impossibilità di eseguire qualsiasi attività fisica senza avere disturbi. Il paziente può presentare sintomi di scompenso cardiaco anche a riposo. I disturbi aumentano se viene intrapresa una qualsiasi attività fisica zione del sangue. Ciò fa aumentare il lavoro dei muscoli respiratori, che possono per di più essere male ossigenati per effetto dell’ipoperfusione periferica, e contribuisce a determinare la sensazione di mancanza di aria. Nei casi lievi o iniziali di scompenso la dispnea si manifesta solo per sforzi intensi, o comunque in condizioni che richiedono un aumento del lavoro e della portata cardiaca. In alcuni pazienti, nelle fasi iniziali, il sintomo dominante può essere una tosse stizzosa. Nei casi più gravi la dispnea compare anche per sforzi di lieve entità e, nei casi avanzati, anche a riposo. Oltre che con gli sforzi, nei casi più gravi la dispnea può comparire con la semplice assunzione della posizione supina, per cui il paziente ha la necessità di assumere o mantenere la posizione eretta per potere respirare normalmente (condizione definita ortopnea). Pertanto, quando questi pazienti vanno a letto sono costretti a dormire con due o più cuscini per evitare la comparsa di dispnea, e quelli con maggiore insufficienza cardiaca sono a volte costretti a trascorrere intere notti seduti sul letto o su una poltrona per evitare o contenere la dispnea. Il motivo per cui la posizione supina facilita la comparsa di dispnea risiede nel fatto che essa aumenta il ritorno venoso al cuore, facilitando così la congestione polmonare. Per motivi analoghi i pazienti con insufficienza cardiaca possono andare incontro durante la notte a episodi improvvisi di dispnea (dispnea parossistica notturna). Oltre alla posizione supina, altri fattori possono contribuire in questo caso a facilitare la comparsa della dispnea, come una depressione del centro del respiro durante il sonno, che facilita l’ipossia, e la riduzione del tono simpatico, che priva il miocardio di uno stimolo importante per la sua efficienza contrattile. In questi casi il paziente si sveglia improvvisamente con sensazione di difficoltà respiratoria e un respiro affannoso e sibilante, talora accompagnato da tosse stizzosa. L’edema interstiziale, infatti, può comprimere i bronchioli, provocando un aumento delle resistenze delle vie aeree (asma cardiaco). In genere, il paziente si mette a sedere sul letto con i piedi penzoloni o si porta alla finestra alla ricerca di aria. Nei casi lievi i sintomi miglio- C0060.indd 295 rano rapidamente con la posizione eretta, mentre nei casi più gravi migliorano solo lentamente o non migliorano affatto senza un intervento terapeutico, soprattutto qualora si verifichi un edema polmonare conclamato, il quale si manifesta quando la congestione polmonare è tale da provocare, oltre all’edema interstiziale, anche edema alveolare (si veda oltre, Edema polmonare acuto). 295 1 Attività muscolare I sintomi relativi all’attività muscolare, secondari all’ipoperfusione dei muscoli, sono piuttosto frequenti, ma spesso sfumati e aspecifici, e consistono nella facile comparsa di astenia durante attività fisica. Funzione renale Nello scompenso cardiaco le alterazioni della diuresi sono spesso tipiche. La diuresi, infatti, è spesso contratta di giorno, mentre frequentemente migliora di notte (nicturia), costringendo il paziente ad alzarsi anche più volte per la minzione. Questo comportamento deriva dal fatto che durante le ore diurne l’ipoperfusione del rene può essere importante (per la ridotta gittata cardiaca), per cui la diuresi è ridotta. Di notte, con la posizione clinostatica, la portata cardiaca aumenta come conseguenza dell’aumento del ritorno venoso; ne deriva un aumento della perfusione renale, la quale migliora anche per la riduzione della vasocostrizione delle arteriole renali. Nelle fasi più avanzate dello scompenso l’ipoperfusione renale diventa costante e produce oliguria (meno di 500-600 mL nelle 24 ore), con aumento dell’azotemia e della creatininemia. Quando la portata cardiaca è gravemente ridotta, si giunge all’anuria completa. Attività cerebrale Sintomi di alterata funzione cerebrale compaiono solo nei casi di grave riduzione della portata cardiaca, in particolare quando coesistono gravi alterazioni vascolari cerebrali. Normalmente infatti l’autoregolazione del flusso ematico cerebrale protegge l’encefalo dall’ipoperfusione. Quando si manifestano, i sintomi cerebrali consistono in perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, insonnia e ansietà nei casi cronici. Nei casi acuti (edema polmonare e shock cardiogeno), si osservano confusione mentale, agitazione, sonnolenza e infine coma. Segni Diversi segni clinici indicativi di uno scompenso cardiaco possono essere variamente rilevati, a seconda delle cause e della gravità dello scompenso, mediante un attento esame fisico del paziente. Esame generale L’esame della cute nel paziente scompensato permette di evidenziare l’eventuale presenza di vasocostrizione o la presenza di edema. L’edema periferico, come la dispnea, è una manifestazione frequente e tipica dello scompenso cardiaco. Come si è detto, esso non è solo il risultato dell’aumento di pressione nelle vene e nei capillari sistemici, ma anche della ritenzione idrosalina operata dal rene per effetto dell’ipoperfusione. In pazienti con puro scompenso sinistro prolungato, infatti, vi può essere edema in assenza 6/9/10 10:02:29 AM 296 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO di congestione venosa sistemica. D’altro canto, in casi di scompenso destro insorto acutamente l’edema è inizialmente assente, nonostante un aumento notevole della pressione venosa sistemica. Ciò avviene perché, prima che si manifesti un edema periferico, è necessario un marcato aumento del liquido extracellulare, cosa che richiede alcuni giorni per verificarsi. L’edema compare prima nelle parti declivi, e cioè ai piedi e alle caviglie, dove la pressione idrostatica venosa è più elevata, ed è tipicamente simmetrico (interessa cioè entrambi gli arti inferiori). Nei casi meno gravi, esso compare durante il giorno ma viene riassorbito durante la notte, in seguito all’aumento del ritorno venoso e della diuresi, ed è assente al mattino. Nei pazienti costretti a letto l’edema compare prima in regione sacrale. La presenza di edema si apprezza in genere bene alla semplice ispezione cutanea. Tuttavia, nelle forme più sfumate la sua presenza può essere meglio evidenziata comprimendo la cute con un dito in aree cutanee abitualmente più esposte allo sviluppo di edema (tipicamente la regione pretibiale); la digitopressione, infatti, determina, in presenza di edema, un piccolo affossamento della cute, che scompare lentamente (segno della fovea). Nei casi più gravi di scompenso prolungato, l’edema può divenire generalizzato (anasarca), coinvolgendo gli arti superiori, il torace (versamento pleurico), l’addome (ascite) e i genitali. Se l’edema non viene risolto e persiste nel tempo, esso può provocare indurimento della cute, con formazione di aree discromiche (caratterizzate da macchie brune o rossastre), soprattutto sul dorso del piede e alle caviglie. La costrizione dei vasi cutanei è un meccanismo compensatorio dell’ipoperfusione periferica e mira a garantire un flusso adeguato agli organi più importanti. Essa diventa clinicamente evidente solo nei casi gravi di scompenso cardiaco, in particolare nello shock cardiogeno. In questi casi la cute appare pallida, fredda e madida di sudore; le estremità sono cianotiche. Nei casi estremi di vasocostrizione, aree cutanee cianotiche si aggiungono al pallore e all’ipotermia, rendendo la cute diffusamente marezzata, soprattutto agli arti (si veda oltre, Shock cardiogeno). Da notare che lo scompenso cardiaco cronico grave può portare a uno stato finale di cachessia, con perdita di peso e anoressia, una condizione indotta dall’aumentata produzione di alcune citochine, soprattutto il fattore di necrosi tumorale. Esame cardiovascolare L’esame obiettivo cardiaco spesso rivela alcuni reperti piuttosto tipici, che sono presenti indipendentemente dalla causa dello scompenso, come una frequenza cardiaca tendenzialmente elevata (per effetto dell’ipertono simpatico), un cuore dilatato (spostamento dell’itto a sinistra e in basso o aumento dell’aia cardiaca alla percussione) e un ritmo di galoppo all’auscultazione, dovuto in genere alla presenza di un III tono cardiaco, che, in aggiunta al I e II tono, fa assumere al reperto auscultatorio cardiaco caratteristiche che ricordano, appunto, un “galoppo” (galoppo protodiastolico). A questo punto va ricordato che la presenza di un III tono è un reperto abitualmente fisiologico nei bambini e nei giovani. Viceversa, il suo riscontro in un soggetto adulto è un segno fortemente indicativo di insufficienza C0060.indd 296 miocardica ed è comunque quasi sempre un segno di patologia cardiaca, per cui impone un approfondimento diagnostico. Il III tono è prodotto dalla brusca decelerazione del riempimento ventricolare al termine della parte iniziale della diastole e si rende udibile quando il flusso di sangue che riempie il ventricolo in diastole è aumentato (per esempio, insufficienza mitralica o tricuspidale, o shunt sinistro-destro), oppure quando è ridotta la distensibilità delle pareti ventricolari, come avviene appunto nello scompenso, nell’ipertrofia miocardica o nella pericardite costrittiva. Il III tono è un rumore di tonalità bassa, che si ascolta meglio con la campana del fondendoscopio in area apicale, con il paziente inclinato sul fianco sinistro, quando origina, come è nella maggior parte dei casi, dal ventricolo sinistro. Quando origina dal ventricolo destro, d’altro canto, esso si ascolta meglio in regione parasternale sinistra al IV o V spazio intercostale, con il paziente in posizione supina. In diversi pazienti può apprezzarsi, da solo o in aggiunta al III tono, anche un IV tono, che è legato al rumore generato dalla spinta di sangue in un ventricolo con ridotta distensibilità, dalla sistole atriale (galoppo presistolico). La presenza sia di III che di IV tono conferisce ai toni cardiaci, all’auscultazione, le caratteristiche di un ritmo a quattro tempi. Altri segni auscultatori cardiaci dello scompenso possono essere un’aumentata intensità della componente polmonare del II tono (per l’aumento della pressione arteriosa polmonare) e la comparsa di soffi sistolici da insufficienza della valvola mitrale o tricuspide, che spesso consegue alla dilatazione delle rispettive camere ventricolari e allo sfiancamento dei rispettivi anelli atrioventricolari secondario alla dilatazione ventricolare. L’ispezione del paziente consente di effettuare una valutazione della pressione venosa centrale, che è elevata nelle condizioni di scompenso con insufficienza ventricolare destra. La pressione venosa centrale si valuta osservando il grado di turgore delle vene giugulari in posizione semiseduta (a 45°). In questa posizione, quando la pressione venosa è normale, le giugulari sono solo parzialmente distese. Per una valutazione migliore è opportuno svuotare le vene giugulari facendovi scorrere due dita, uno in senso craniale e l’altro in senso caudale, e lasciando poi riempire la vena solo dal basso (mantenendo la pressione sulla vena solo con il dito craniale). Se la vena si riempie sino in cima o quasi, la pressione venosa è aumentata. La pressione arteriosa, nei pazienti con scompenso cronico, è abitualmente normale o modestamente ridotta, soprattutto la sistolica e la differenziale, a meno che non sussista una condizione di ipertensione arteriosa di base. Quando la pressione differenziale è ridotta, il polso risulta piccolo (vale a dire con una ridotta escursione di ampiezza apprezzabile alla palpazione). Misurando la pressione con lo sfigmomanometro, si può rilevare talora, in casi di grave insufficienza ventricolare, la presenza di un polso alternante, che nei casi più evidenti si può apprezzare anche con la semplice palpazione dei polsi periferici. Il polso alternante consiste nella successione regolare di contrazioni cardiache energiche e contrazioni deboli, per cui a una pulsazione forte ne segue una più debole. Nei casi di scompenso cardiaco acuto la pressione arteriosa, d’altro canto, è spesso elevata, soprattutto la diastolica, 6/9/10 10:02:29 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO per effetto della vasocostrizione arteriolare periferica, che, come detto, è un meccanismo compensatorio all’ipoperfusione. Se però la gittata sistolica è molto ridotta, la pressione, soprattutto quella sistolica e differenziale, risulta anche in questo caso normale o ridotta. Esame del torace L’esame obiettivo toracico risulta in genere normale nei casi di scompenso lieve. Quando l’aumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari provoca trasudazione di liquido nel tessuto polmonare, si cominciano ad ascoltare rumori umidi in corrispondenza delle basi polmonari. Questi rumori si definiscono come rantoli crepitanti e accompagnano l’inspirazione; tipicamente essi non si modificano dopo i colpi di tosse, a differenza dei rantoli di origine bronchiale. I rantoli possono interessare solo i campi inferiori, estendersi ai campi medi o essere diffusi a tutto l’ambito auscultatorio toracico, per livelli crescenti di gravità dello scompenso sinistro. Quando l’edema interstiziale e la congestione della mucosa bronchiale comprimono le vie aeree terminali, si possono ascoltare anche ronchi e sibili. In caso di edema polmonare acuto i rantoli divengono rapidamente grossolani e si diffondono progressivamente a tutto l’ambito polmonare (cosiddetta marea montante). Nello scompenso cronico, l’aumento della pressione nei capillari pleurici (che drenano sia nel sistema venoso sistemico sia in quello polmonare) determina talvolta un versamento pleurico, più frequentemente a destra (idrotorace). Esame dell’addome L’esame obiettivo addominale può mettere in evidenza anzitutto un’epatomegalia, che si verifica quando l’aumento della pressione venosa sistemica da scompenso destro o globale provoca congestione delle vene epatiche. Se l’aumento di volume è acuto, l’organo risulta dolente alla palpazione. In alcuni casi una compressione sostenuta sull’addome fa comparire una distensione delle vene giugulari prima assente, segno che prende il nome di reflusso epatogiugulare. Se la congestione epatica si prolunga, la compressione prodotta dalle venule sugli epatociti produce atrofia centrolobulare con segni clinici e di laboratorio di danno epatico (alterazioni enzimatiche, iperbilirubinemia ecc.). Quando la congestione venosa sistemica e l’epatomegalia sono gravi e prolungate, si può apprezzare anche splenomegalia. Nei casi di scompenso grave, inoltre, può comparire ascite, che è provocata da un prolungato aumento della pressione nelle vene epatiche e nei capillari peritoneali. Essa si manifesta più frequentemente nei casi di scompenso destro da ostruzione al riempimento cardiaco (stenosi della tricuspide o pericardite). è il dosaggio del peptide natriuretico di tipo B e del suo precursore NT-proBNP. Questi peptidi, come notato in precedenza, sono rilasciati dal miocardio in caso di aumento della tensione parietale e hanno elevata sensibilità nell’identificare la presenza di un sovraccarico ventricolare, per cui la loro negatività praticamente esclude la diagnosi di scompenso. Al momento, tuttavia, non è ben definito il valore al di sopra del quale essi dovrebbero essere considerati diagnostici e va tenuto anche presente che diverse condizioni che causano un aumento del lavoro cardiaco in assenza di insufficienza (per esempio, aritmie, ipossiemia, ischemia, ipertrofia) possono causare un loro aumento. Anche un lieve aumento della troponina, non necessariamente causato da ischemia miocardica, è spesso osservato in pazienti con scompenso cardiaco, soprattutto in pazienti con fibrillazione atriale e/o insufficienza renale. Infine, gli esami di laboratorio sono utili per identificare possibili cause precipitanti di scompenso cardiaco come tireotossicosi, anemia e infezioni subcliniche. C0060.indd 297 1 Elettrocardiogramma Sebbene l’elettrocardiogramma possa fornire informazioni utili a identificare le cause primarie dello scompenso, non esistono segni ECG specifici di scompenso. Tuttavia, l’ECG mostra in genere alcune anomalie di vario tipo, dai segni di ipertrofia ventricolare, con segni di sovraccarico, a segni di ingrandimento atriale, ad anomalie della conduzione intraventricolare a vari tipi di aritmie. Esso può inoltre rivelare la presenza di onde Q patologiche indicative di infarti miocardici pregressi. Un ECG completamente normale nei pazienti con scompenso cardiaco è molto raro. Radiografia del torace Informazioni importanti nel paziente scompensato possono essere ottenute da una radiografia del torace e riguardano principalmente le dimensioni del cuore e la presenza e il grado della congestione polmonare (Fig. 12.16). Le dimensioni del cuore si valutano calcolando il rapporto Esami diagnostici Esami di laboratorio Gli esami di laboratorio di routine sono importanti per valutare la presenza di alterazioni della funzione renale o epatica o alterazioni degli elettroliti sierici spesso associate allo scompenso cardiaco. Utile per la diagnosi di un’origine cardiaca di sintomi compatibili con uno scompenso (dispnea in primo luogo) 297 Figura 12.16 Radiografia del torace di un paziente con scompenso cardiaco. La radiografia mostra una marcata cardiomegalia, con aumentato rapporto cardio-toracico (0,78); si notano anche una congestione ilare e un piccolo versamento pleurico basale bilaterale. 6/9/10 10:02:29 AM 298 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO cardiotoracico, cioè il rapporto tra il diametro trasverso dell’ombra cardiaca e il diametro trasverso del torace a livello dei seni costo-frenici. Normalmente questo rapporto è inferiore a 0,5, vale a dire il diametro cardiaco non supera la metà di quello toracico. La valutazione della congestione polmonare consente di avere un’indicazione della gravità dello scompenso. Quando la pressione nei capillari polmonari (che normalmente non supera i 10-12 mmHg) è solo leggermente aumentata (13-18 mmHg), infatti, si osserva soltanto la cosiddetta inversione del circolo; si rendono cioè maggiormente evidenti i vasi venosi dei campi polmonari superiori, che normalmente, per ragioni di pressione idrostatica, sono meno visibili rispetto a quelli dei campi inferiori. Se la pressione capillare è più alta (sino a 23 mmHg), gli ili appaiono ingranditi e sfumati e i fasci bronchiolo-vascolari presi d’infilata mostrano una superficie sfumata causata da edema interstiziale perivascolare. Se l’aumento di pressione è persistente compaiono le strie di Kerley, cioè strie radio-opache dello spessore di pochi millimetri, a decorso orizzontale, prevalenti nei campi inferiori (si osservano soprattutto nella stenosi mitralica). Quando, infine, la pressione capillare polmonare supera i 25 mmHg, si osservano i segni radiografici dell’edema polmonare franco, cioè opacità più o meno omogenea di entrambi i campi polmonari (polmone “bianco”). Ecocardiogramma L’ecocardiogramma mono-bidimensionale e color Doppler è senz’altro l’esame che contribuisce più di ogni altro a identificare le cause dello scompenso cardiaco e a valutarne la gravità. Facilmente eseguibile, non invasivo e privo di rischi, questo esame consente di identificare rapidamente molte delle patologie cardiache (coronariche, miocardiche, valvolari e del pericardio) in grado di causare uno scompenso. L’ecocardiogramma consente, in particolare, di esaminare adeguatamente la funzione contrattile globale e regionale del ventricolo sinistro e, sebbene con minore precisione, del ventricolo destro. A tal proposito, esso permette di calcolare facilmente la frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVSn), che costituisce il parametro più importante e più largamente utilizzato nella pratica clinica per indicare lo stato della contrattilità miocardica e anche uno dei parametri prognosticamente più importanti nei pazienti cardiopatici. Essa esprime la percentuale di sangue espulsa dal ventricolo durante la sistole sul totale del volume di sangue in esso contenuto al termine della diastole ed è ottenuta con la formula: (VTDS − VTS) FEVSn = ____________ (VTDS × 100) dove VTDS e VTS indicano il volume telediastolico e telesistolico del ventricolo sinistro, che sono facilmente misurabili all’ecocardiogramma. Normalmente, la FEVSn è compresa tra 60 e 75%, ed è comunque superiore al 50%. La sua riduzione è tanto maggiore quanto maggiore è la compromissione della contrattilità globale del ventricolo sinistro. La valutazione della funzione sistolica ventricolare nei pazienti affetti da cardiopatia organica è estremamente importante, in quanto una riduzione subclinica della funzione ventricolare sinistra spesso precede i sintomi e i segni di scompenso. Il suo riconoscimento può pertanto C0060.indd 298 aiutare a prevenire l’evoluzione verso lo scompenso conclamato. L’ecocardiogramma Doppler consente anche un’adeguata valutazione della funzione diastolica dei ventricoli mediante analisi Doppler del flusso atrioventricolare (si veda il Capitolo 1). Altri esami diagnostici Anche altre metodiche di imaging possono essere utilizzate ai fini della valutazione dei volumi ventricolari e della FEVSn, come, in particolare, l’angioscintigrafia, la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica cardiaca e, in pazienti che necessitano di cateterismo cardiaco, la ventricolografia. Questi metodi, però, sono decisamente meno pratici, più costosi, richiedono l’uso di isotopi o di mezzo di contrasto e, nel caso della ventricolografia, sono invasivi, senza offrire significativi vantaggi rispetto alla metodica ecocardiografica. Essi pertanto trovano indicazione per la valutazione della funzione ventricolare solo in casi selezionati. Prognosi e stratificazione del rischio In media, la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco non è buona. Nelle statistiche del passato la probabilità di morte entro 4-5 anni dall’insorgenza dei sintomi era del 50% negli uomini e del 30% nelle donne. In caso di scompenso grave, la probabilità di morte saliva al 65% a un anno e superava l’80% a 3 anni. La metà circa delle morti dei pazienti con scompenso cardiaco è improvvisa, mentre negli altri casi si assiste a un progressivo deterioramento cardiaco. Tuttavia, grazie ai progressi conseguiti con l’impiego di farmaci che contrastano il rimodellamento del miocardio, la mortalità nello scompenso cardiaco appare oggi ridotta e l’impianto di defibrillatori cardiaci automatici (ICD, Implantable Cardioverter Defibrillators) in pazienti ad alto rischio ha ridotto anche l’incidenza di morte improvvisa. Restano, tuttavia, numerosi i casi che alla lunga risultano refrattari a tutti i trattamenti. Quando uno scompenso grave non risponde a una terapia razionale condotta con tutti gli strumenti disponibili, la mortalità entro pochi mesi è elevata. La prognosi è più favorevole nei casi in cui lo scompenso cardiaco è determinato da cause primarie rimovibili, come una valvulopatia o una cardiopatia ischemica con un’ampia area di miocardio ibernato (si vedano i Capitoli 5 e 6). La risoluzione della patologia di base, infatti, può in questi casi determinare un miglioramento anche consistente della funzione meccanica cardiaca. Vi sono diversi fattori (clinici e laboratoristici) che consentono di predire la prognosi in pazienti con scompenso cardiaco cronico (Tab. 12.4). Tra questi la gravità dei sintomi (classe NYHA), la frazione di eiezione, la capacità di esercizio, la funzione renale e i livelli ematici di BNP/NTproBNP sono tra i marcatori prognostici più importanti e utili dal punto di vista clinico. Manifestazioni cliniche di scompenso cardiaco acuto grave L’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno sono manifestazioni gravi di scompenso cardiaco che possono 6/9/10 10:02:30 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Tabella 12.4 Principali variabili prognostiche nello scompenso cardiaco congestizio Variabili cliniche • Età • Eziologia ischemica • III tono, segni di congestione • Classe NYHA • Disfunzione renale, diabete • Aumentata frequenza cardiaca • Bassa pressione arteriosa Variabili biochimiche • Sodiemia • Creatinina/clearance della creatinina • Emoglobina Neuro-ormoni • Fattore natriuretico tipo B (BNP)/pro-BNP • Fattore natriuretico atriale Variabili elettrocardiografiche • Fibrillazione atriale • Durata del QRS/blocco di branca sinistra • Ipertrofia ventricolare sinistra • Aritmie ventricolari complesse • Ridotta variabilità della frequenza cardiaca Variabili ecocardiografiche e radiografiche • Frazione di eiezione ventricolare sinistra • Indice di contrattilità regionale • Volume telediastolico/telesistolico del ventricolo sinistro • Funzione ventricolare destra • Rapporto cardio-toracico alla radiografia del torace provocano un ulteriore peggioramento della funzione cardiaca, con riduzione della portata e ulteriore aumento delle pressioni capillari polmonari, generando così un circolo vizioso. Anche in senso anterogrado, la riduzione della portata cardiaca attiva un altro circolo vizioso. Essa, infatti, stimola il sistema adrenergico che, attraverso la vasocostrizione cutanea, muscolare e splancnica, tende a mantenere la perfusione cerebrale e cardiaca. Questo spiega la tachicardia, l’ipertensione, l’aspetto cutaneo caratterizzato da pallore e profusa sudorazione e la contrazione della diuresi. L’aumento delle resistenze vascolari periferiche, però, comporta un ulteriore aumento del carico di lavoro per il cuore e, quindi, tende a peggiorare l’insufficienza cardiaca, con ulteriore riduzione della portata. Il paziente in edema polmonare acuto si presenta, in genere, agitato, seduto sul letto, fortemente dispnoico e tachipnoico, con respiro che, a seconda della gravità dell’edema, è caratterizzato da espirazione prolungata con sibili e ronchi, da inspirazione rumorosa e gorgogliante e, nei casi più gravi, dall’emissione con la tosse di un espettorato schiumoso, talvolta rosato. La cute del paziente si presenta fredda e sudata e le estremità e le labbra sono cianotiche. Il polso è in genere tachicardico; la pressione è spesso, anche se non sempre, elevata, soprattutto la diastolica, il che comporta spesso una riduzione della pressione differenziale. La diuresi risulta ridotta. All’auscultazione toracica si apprezzano rantoli inspiratori su tutti i campi polmonari. L’analisi dei gas ematici e dell’equilibrio acidobase rivela ipossia, acidosi (metabolica e respiratoria) e spesso ipercapnia. Variabili emodinamiche • Indice cardiaco • Pressione telediastolica ventricolare sinistra Spazi perivascolare e interstiziale Vene Alveoli Capillari H2O Lamina di surfattante Alveoli Pressione idrostatica costituire l’esordio drammatico di un’insufficienza cardiaca, come può avvenire più tipicamente quando la causa dello scompenso è acuta (per esempio, un infarto esteso del miocardio), oppure rappresentare un serio aggravamento di uno scompenso cardiaco cronico. Edema polmonare acuto L’edema polmonare acuto si manifesta quando la pressione nei capillari polmonari aumenta al di sopra di 25 mmHg; oltre questi livelli, infatti, l’equilibrio tra pressione idrostatica e pressione oncotica del sangue favorisce la trasudazione di liquido nell’interstizio e negli alveoli polmonari (Fig. 12.17). Ne segue una compromissione sia degli scambi gassosi sia della funzione polmonare meccanica (ventilazione). L’ipossia e l’acidosi che ne derivano C0060.indd 299 1 Vasi linfatici Variabili funzionali • Capacità di esercizio • Consumo massimo di O2 durante test ergometrico • Distanza percorsa al test del cammino di 6 min 299 Pressione osmotica Endotelio capillare Membrana basale Capillari Pneumocito di primo ordine Pneumocito di secondo ordine Versante sottile Versante spesso Setto interalveolare Assorbimento fisiologico di liquido dai polmoni Figura 12.17 Meccanismo dell’edema polmonare. Quando, in seguito a un aumento della pressione idrostatica all’interno dei capillari, secondario a un aumento della pressione venosa a valle, si forma un eccesso di liquido nell’interstizio polmonare, questo non può essere smaltito per via linfatica e trasuda negli alveoli. 6/9/10 10:02:30 AM 300 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Alcuni pazienti possono riferire anche dolore retrosternale. Ciò si può verificare quando la causa scatenante dell’edema polmonare è un infarto miocardico acuto o un’ischemia miocardica grave, oppure, al contrario, se l’ipossia causata dall’edema polmonare finisce con il provocare ischemia in pazienti con stenosi coronariche. Se non si interviene con un trattamento tempestivo, l’edema polmonare tende a peggiorare progressivamente sino all’arresto del respiro, oppure evolve verso lo shock cardiogeno (caduta della pressione) e l’arresto cardiaco. L’obiettivo principale del trattamento è quello di ridurre in modo marcato il precarico e, in caso di elevata pressione arteriosa, anche il postcarico. Shock cardiogeno Lo shock cardiogeno si manifesta quando la portata cardiaca scende al di sotto dei valori minimi necessari a mantenere la funzione degli organi vitali. In pratica, ciò si verifica in genere quando l’indice cardiaco è inferiore a 2,0 L/min/m2 di superficie corporea. La grave riduzione della portata cardiaca consegue abitualmente alla perdita funzionale di almeno il 40% della massa miocardica, come può accadere, soprattutto, in caso di un infarto miocardico acuto esteso (che rimane la causa più frequente di shock cardiogeno) o, in alcuni casi, in seguito a una miocardite o un’altra patologia che comprometta gravemente la funzione miocardica. In un certo numero di casi, tuttavia, la causa della grave riduzione della portata cardiaca è rappresentata da una complicanza acuta meccanica, più spesso in corso di infarto miocardico acuto (come rottura del setto interventricolare, di un muscolo papillare o di corde tendinee, tamponamento cardiaco da rottura di cuore, infarto del ventricolo destro ecc.). Un tamponamento cardiaco da altra causa e un’embolia polmonare sono ulteriori patologie importanti da considerare come causa dello shock cardiogeno. La violenta vasocostrizione che si innesca per mantenere la perfusione degli organi nobili (cervello e cuore), unita all’ipossia e all’acidosi, finisce per compromettere irreversibilmente anche il circolo periferico (arteriole, capillari, venule) con gravi alterazioni della permeabilità e della contrattilità vascolari. Si ha allora un sequestro di massa ematica in periferia (per fuoriuscita di liquido nello spazio interstiziale e per dilatazione paralitica dei vasi) che compromette il riempimento cardiaco e riduce ulteriormente la portata, già gravemente compromessa per la patologia acuta cardiaca, sino all’arresto di circolo. Il paziente si presenta in genere dispnoico, spesso in stato confusionale o semicosciente e può riferire dolore retrosternale (se vi è una sottostante cardiopatia ischemica). La cute è fredda e sudata, con ampie aree marezzate da macchie cianotiche. I polsi radiali sono spesso non apprezzabili e quelli carotidei e femorali sono piccoli e frequenti; la pressione arteriosa è bassa (< 90 mmHg) o addirittura non misurabile. Mentre predomina il quadro dell’ipoperfusione periferica, spesso non sono presenti segni evidenti di congestione polmonare. La diuresi è molto scarsa o assente (oliguria o anuria) ed è presente grave acidosi metabolica. Anche in caso di trattamento tempestivo e intensivo, il paziente con shock cardiogeno evolve spesso verso l’arresto di circolo e la morte, anche se la mortalità, nello shock che si verifica come complicanza di un infarto miocardico C0060.indd 300 acuto (che, come detto, è la condizione più frequente), è scesa da circa l’80% negli anni Ottanta a circa il 60% nell’era moderna della terapia intensiva e della riperfusione coronarica meccanica. Terapia Terapia dello scompenso cardiaco cronico Gli obiettivi della terapia dello scompenso cardiaco sono due, il miglioramento dei sintomi e il miglioramento della prognosi. Infatti, non tutti i farmaci che migliorano i sintomi dello scompenso cronico migliorano la prognosi. Per esempio, nello scompenso cronico gli ACE-inibitori e i -bloccanti migliorano sia la prognosi sia i sintomi, mentre i diuretici migliorano i sintomi ma non la prognosi e i farmaci inotropi, con l’eccezione forse della digitale, possono migliorare i sintomi ma peggiorano la prognosi. I farmaci inotropi sono peraltro indicati in alcuni pazienti con scompenso acuto (si veda oltre). È da sottolineare poi che il trattamento deve comprendere gli interventi medici o chirurgici diretti a correggere o rimuovere, laddove possibile, la causa primaria dello scompenso, come una coronaropatia, un vizio valvolare, una cardiopatia congenita ecc. Analogamente, il trattamento deve comprendere misure dirette a prevenire o eliminare eventuali cause precipitanti dello scompenso (infezioni, aritmie, embolia ecc.). I principali tipi di farmaci utilizzati nella terapia dello scompenso cardiaco, insieme ai loro effetti principali in questo contesto, sono riassunti nella tabella 12.5. La figura 12.18 mostra inoltre lo schema progressivo di trattamento dei pazienti dallo stadio A allo stadio D dello scompenso in base alla classificazione ACC/AHA. Misure generali Il paziente dovrebbe seguire norme di vita che evitino di imporre al cuore un lavoro eccessivo per le sue capacità. Il riposo a letto o in poltrona è indispensabile in caso di scompenso acuto. Nei casi cronici possono essere indicati periodi di riposo programmati. Un’eccessiva restrizione dell’attività fisica, tuttavia, può avere effetti deleteri, favorendo fenomeni di tromboembolia venosa e l’ipotonia muscolare, con ulteriore riduzione della tolleranza per lo sforzo. Studi condotti in anni recenti hanno evidenziato come una cauta attività fisica, laddove possibile e calibrata sulle capacità e lo stato clinico del paziente, non solo non è controindicata, ma migliora i sintomi, la tollerabilità dell’esercizio e la qualità della vita dei pazienti con insufficienza cardiaca. Oltre agli sforzi fisici intensi, il paziente con scompenso cardiaco deve evitare anche stress emotivi eccessivi, condizioni ambientali sfavorevoli (per esempio, temperatura e umidità elevate, che impongono al cuore un carico eccessivo di lavoro) ed eccessi alimentari. La dieta deve essere leggera e il peso deve essere mantenuto su valori quanto più possibile vicini a quelli ideali. L’assunzione di sale, infine, 6/9/10 10:02:31 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Tabella 12.5 Principali presidi farmacologici nella terapia dello scompenso cardiaco Scompenso cardiaco Cronico ACE-inibitori e antagonisti recettoriali dell’angiotensina II -bloccanti Principali effetti nello scompenso cardiaco Inibizione degli effetti dell’angiotensina II Riduzione del postcarico Effetti antiadrenergici Miglioramento della risposta adrenergica Effetto “antiaritmico” Nitrati Vasodilatazione venosa periferica Riduzione del precarico Idralazina Vasodilatazione arteriolare Diuretici dell’ansa e tiazidici Aumento dell’escrezione di Na+ e liquidi Riduzione del precarico Antialdosteronici Blanda azione diuretica Risparmio di K+ Glicosidi digitalici Attività inotropa positiva Riduzione della frequenza cardiaca durante fibrillazione atriale Acuto Diuretici dell’ansa Aumento dell’escrezione di Na+ e liquidi Riduzione del precarico Nitrati Vasodilatazione venosa periferica Riduzione del precarico Nitroprussiato di sodio Vasodilazione sia venosa sia arteriosa Riduzione di precarico e postcarico Glicosidi digitalici Attività inotropa positiva Riduzione della frequenza cardiaca durante la fibrillazione atriale Amine simpaticomimetiche Attività inotropa positiva Effetto diuretico a basse dosi Inibitori della fosfodiesterasi Attività inotropa positiva Effetto vasodilatatore arterioso Morfina Vasodilatazione venosa periferica Riduzione del precarico Azione antidolorifica e sedativa C0060.indd 301 deve essere contenuta il più possibile per evitare un aumento della ritenzione idrica e, quindi, del precarico. ACE-inibitori Questi farmaci svolgono un ruolo fondamentale nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco cronico. Essi, infatti, riducono la mortalità e migliorano i sintomi e i segni dello scompenso, migliorando di conseguenza, anche la qualità della vita. Da notare che i vantaggi prognostici degli ACE-inibitori si osservano già nei pazienti che presentano disfunzione ventricolare sinistra ma sono del tutto asintomatici. Essi agiscono inibendo l’enzima che converte l’angiotensina I in angiotensina II, ovvero l’Angiotensin Converting Enzyme (ACE), da cui deriva il termine ACE-inibitori. Riducendo la produzione di angiotensina II (che, come visto, è aumentata nello scompenso), gli ACE-inibitori determinano anzitutto vasodilatazione periferica, riducendo così le resistenze vascolari e interrompendo il circolo vizioso che dall’accentuata vasocostrizione cutanea e splancnica porta, per l’aumento del postcarico, a un ulteriore peggioramento della funzione e della portata cardiaca (si veda Fig. 12.10). Inoltre, il migliore svuotamento ventricolare, conseguente alla riduzione delle resistenze all’eiezione, determina anche una riduzione del volume sistolico residuo, il che porta anche a una riduzione del precarico, con effetti benefici sulla pressione venosa polmonare (si veda oltre, Diuretici). Da notare che gli ACE-inibitori agiscono anche riducendo gli effetti nocivi diretti sul cuore dell’angiotensina II, che, in eccessive quantità, alla lunga causa ipertrofia delle cellule miocardiche, seguita da apoptosi e fibrosi, con rimodellamento negativo del miocardio ventricolare. Alcuni degli effetti favorevoli degli ACE-inibitori, infine, sembrano mediati dall’inibizione della produzione tissutale locale di angiotensina II, che è stata dimostrata essere presente in diversi organi, compreso il cuore. Ipotensione e insufficienza renale sono tra gli effetti collaterali più frequenti degli ACE-inibitori. Attenzione bisogna prestare, inoltre, alla possibilità di iperpotassiemia, soprattutto quando essi sono somministrati in associazione con i diuretici risparmiatori di K+ e in pazienti con insufficienza renale. Tra gli altri effetti collaterali importanti è da ricordare la possibilità, per quanto molto rara, di edema angioneurotico (dovuto a un aumento delle concentrazioni di bradichinina), mentre tra quelli più frequenti vi è la comparsa di tosse secca e spesso stizzosa. 301 1 Antagonisti recettoriali dell’angiotensina Questi farmaci, detti anche sartani, hanno effetti complessivamente simili agli ACE-inibitori. Essi antagonizzano gli effetti dell’angiotensina II con un meccanismo, però, di inibizione recettoriale diretta, per la precisione a livello dei suoi recettori AT-I, presenti soprattutto a livello dei vasi di resistenza. 6/9/10 10:02:31 AM 302 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO STADIO D • Sintomi refrattari al trattamento • Necessità di interventi speciali STADIO C • Danno cardiaco strutturale • Sintomi attuali o precedenti Figura 12.18 Schema di prevenzione dello scompenso cardiaco e di trattamento progressivo dei pazienti con scompenso cardiaco conclamato, in base agli stadi della classificazione ACC/AHA dello scompenso. Trapianto VAD Inotropi STADIO B • Danno cardiaco strutturale • Nessun sintomo Team multidisciplinare Chirurgia della mitrale STADIO A • Pazienti ad alto rischio • Nessun sintomo ICD se FEVSn < 30-35% Resincronizzazione cardiaca se QRS > 120 msec Aggiunta di ARB e/o antialdosteronici ACE-I e β-bloccanti in tutti, diuretici per la ritenzione idrica ACE-I e β-bloccanti Trattare ipertensione, diabete, dislipidemia Riduzione dei fattori di rischio, educazione del paziente e dei familiari ACE-I = ACE inibitori; FEVSn = frazione di eiezione del ventricolo sinistro; ICD = defibrillatore impiantabile; VAD = assistenza ventricolare meccanica. Studi recenti mostrano effetti clinici comparabili a quelli degli ACE-inibitori in pazienti con scompenso cardiaco, con possibilità di minori effetti collaterali, come ipotensione e tosse. -bloccanti Mentre per lungo tempo i  -bloccanti sono stati considerati controindicati in pazienti con scompenso cardiaco a causa del loro effetto inotropo negativo, oggi, al contrario, sono ritenuti, in assenza di controindicazioni assolute, farmaci indispensabili nel trattamento di questa patologia. Diversi studi, infatti, hanno dimostrato un beneficio significativo sulla sopravvivenza, sulla funzione ventricolare (che paradossalmente, come detto, migliora) e sui sintomi e segni dello scompenso. Da notare che anche con i -bloccanti l’effetto positivo sulla prognosi si osserva già in pazienti che presentano una disfunzione ventricolare sinistra ma sono del tutto asintomatici. I meccanismi attraverso cui questi farmaci determinano benefici nei pazienti con scompenso cardiaco sono verosimilmente molteplici. Contrastando l’attività simpatica, i -bloccanti riducono la frequenza cardiaca, e quindi il lavoro cardiaco, con conseguente riduzione delle richieste energetiche e del consumo di ossigeno da parte del cuore. La riduzione della frequenza cardiaca, inoltre, favorisce un migliore flusso coronarico, con effetti benefici sulla funzione complessiva del cuore, in particolare in pazienti con cardiopatia ischemica. Infine, i -bloccanti riducono la suscettibilità alle aritmie ventricolari e migliorano il bilancio autonomico simpato-vagale, effetti C0060.indd 302 entrambi che possono ridurre l’incidenza di morte improvvisa. D’altro canto, nei casi di scompenso avanzato, nel quale la risposta inotropa cardiaca al sistema nervoso simpatico è gravemente compromessa per lo sviluppo di down regulation recettoriale, i -bloccanti possono favorire la riattivazione di una quota di recettori -adrenergici sufficiente a migliorare la contrattilità miocardica in risposta agli stimoli simpatici. Sebbene siano efficaci, i -bloccanti vanno comunque utilizzati con attenzione nei pazienti con scompenso, in quanto una depressione della funzione ventricolare è sempre possibile, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento o in caso di aumento delle dosi. La terapia andrebbe quindi cominciata sempre in ambiente ospedaliero, iniziando con dosi molto basse e aumentando le dosi molto gradualmente sino a quelle massime tollerate. Le controindicazioni all’uso dei -bloccanti comprendono bradicardia (FC < 60 bpm) o altre bradiaritmie, ipotensione (pressione arteriosa sistolica < 90-100 mmHg) e storia di asma bronchiale. Nitrati Quando somministrati acutamente, soprattutto per via venosa, i nitrati (nitroglicerina, isosorbide dinitrato) hanno un notevole effetto vasodilatatore venoso. Ciò determina una ridistribuzione della massa ematica dal centro verso la periferia e una marcata riduzione del ritorno venoso. Questi farmaci hanno quindi un effetto simile a quello dei diuretici, anche se il volume totale di liquido nell’organismo rimane invariato. Come per i diuretici, anche con i nitrati 6/9/10 10:02:31 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO bisogna fare attenzione a evitare un’eccessiva riduzione del precarico. Sebbene questi farmaci siano molto utili nelle fasi acute di uno scompenso cardiaco, come descritto in seguito, la loro utilità nella somministrazione cronica, per via transdermica o per via orale, è dubbia, sia al fine di migliorare i sintomi sia allo scopo di migliorare la prognosi, soprattutto in pazienti trattati in modo ottimale con diuretici, ACE-inibitori o sartani e -bloccanti. Vasodilatatori arteriosi Si fanno rientrare in questa categoria farmaci che agiscono direttamente sui vasi arteriosi di resistenza, causando quindi vasodilatazione arteriolare e riduzione marcata del postcarico. Tra di essi vi sono i calcioantagonisti diidropiridinici e l’idralazina. Gli studi clinici non hanno dimostrato un beneficio prognostico dei calcio-antagonisti diidropiridinici in pazienti con scompenso cardiaco. Ciò è verosimilmente da attribuire all’attivazione riflessa del sistema nervoso simpatico che consegue all’ipotensione spesso piuttosto marcata che questi farmaci determinano e che, come visto, può innescare effetti deleteri in pazienti con scompenso. L’associazione di idralazina e nitrati ha mostrato risultati favorevoli sulla prognosi, ma i dati disponibili non sono così solidi come quelli ottenuti per ACE-inibitori, sartani e -bloccanti. Inoltre, l’uso prolungato dell’idralazina causa spesso rilevanti effetti collaterali. Pertanto, il valore attuale di questi dati rimane dubbio, considerata l’efficacia di farmaci più tollerati e con maggiore evidenza di benefici. Diuretici I diuretici sono farmaci cardine nel trattamento dei sintomi dello scompenso cardiaco, mentre non sembrano avere effetti significativi sulla prognosi a medio-lungo termine. Essi aumentano l’eliminazione di sodio e acqua con le urine e perciò riducono il volume ematico circolante e il liquido interstiziale, diminuendo così il precarico e, di conseguenza, la congestione venosa. L’uso dei diuretici riduce la necessità di una restrizione eccessiva dell’assunzione di sale. I diuretici più usati nello scompenso sono di due tipi principali: i diuretici dell’ansa e i diuretici tiazidici. I primi hanno effetti diuretici più rapidi e potenti, e agiscono principalmente inibendo il riassorbimento di ioni Na+, K+ e Cl- nel braccio ascendente dell’ansa di Henle; il volume urinario è aumentato sia per la perdita di acqua associata all’eliminazione di questi ioni, sia per un’inibizione del riassorbimento di acqua libera. I farmaci tiazidici hanno effetti diuretici più lenti, ma più prolungati; essi agiscono principalmente riducendo il riassorbimento di ioni Cl- nel braccio prossimale del tubulo convoluto distale e nella parte iniziale dell’ansa di Henle, con associato volume di acqua. I diuretici sono utili in tutte le forme di scompenso, ma devono essere dosati con cura per evitare l’ipovolemia, con conseguente eccessiva riduzione del C0060.indd 303 riempimento cardiaco e della portata cardiaca. Essi possono, inoltre, causare ipokaliemia (per perdita eccessiva di K+ nelle urine) e alcalosi metabolica (per perdita di ioni H+). Evitare l’ipokaliemia è particolarmente importante, perché essa può causare una sindrome dell’intervallo QT lungo, con comparsa di aritmie ventricolari gravi (si veda il Capitolo 11), e peggiorare un eventuale quadro di tossicità digitalica come descritto in seguito. Altri effetti collaterali dei diuretici comprendono astenia e, in caso di tossicità, nausea, vomito e letargia. A livello metabolico si possono osservare iperazotemia, iperuricemia, ipertrigliceridemia e anche iperglicemia. 303 1 Diuretici risparmiatori di potassio Questi farmaci hanno solo una blanda azione diuretica e sono anzitutto utilizzati in associazione ai diuretici dell’ansa e ai diuretici tiazidici allo scopo di evitare la perdita eccessiva di potassio con le urine, e quindi l’ipopotassiemia, da questi causata. Essi comprendono principalmente farmaci ad azione antialdosteronica, che contrastano la perdita di K+ bloccando lo scambio di questo ione con gli ioni Na+ e H+, promosso nei tubuli distali e nei dotti collettori dall’aldosterone. Alcuni diuretici risparmatori di K+, come la bumetanide, agiscono tuttavia direttamente (in modo indipendente dall’aldosterone) sul tubulo distale e sul dotto collettore. In studi recenti i farmaci antialdosteronici si sono dimostrati in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco già in terapia ottimale, migliorando la funzione ventricolare sinistra e la capacità fisica e riducendo sia la mortalità totale sia la morte improvvisa. Il meccanismo di questi benefici non è chiaro. Tuttavia, oltre a evitare gli effetti negativi dell’ipopotassiemia, questi farmaci sembrano contrastare l’azione profibrotica dell’aldosterone. L’effetto collaterale più pericoloso dei farmaci risparmiatori di K+ è l’iperkaliemia, che può svilupparsi con una certa frequenza in pazienti con insufficienza renale e in pazienti anziani, soprattutto quando essi sono associati a farmaci inibitori dell’angiotensina, per cui devono essere somministrati con attenzione in queste situazioni. Tra gli effetti collaterali più tipici dei farmaci antialdosteronici vi è la ginecomastia. Glicosidi digitalici I glicosidi digitalici sono in pratica gli unici farmaci ad azione inotropa positiva disponibili per il trattamento dello scompenso cardiaco cronico e sono stati usati largamente per molti anni in questi pazienti. Essi agiscono inibendo la pompa sodio-potassio della membrana delle fibre miocardiche, con l’effetto ultimo di aumentare la disponibilità di calcio intracellulare per la contrazione. Oltre a ciò, i glicosidi digitalici riducono la frequenza cardiaca e la conduzione atrioventricolare (soprattutto per aumento del tono vagale). 6/9/10 10:02:32 AM 304 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Sebbene la somministrazione di digitale possa sortire effetti benefici sui sintomi e sui segni di scompenso, la somministrazione a lungo termine non si è rivelata in grado di migliorare la prognosi e in alcuni studi è stata addirittura associata a un aumento della mortalità, per cui il suo utilizzazo routinario non è più consigliato. La digitale può essere utile, tuttavia, nei casi di scompenso complicato da fibrillazione o flutter atriale con elevata frequenza ventricolare, in quanto questi pazienti traggono giovamento dalla sua capacità di ridurre la frequenza ventricolare. L’eccessivo accumulo di glicosidi digitalici nel sangue può determinare un tipico quadro di intossicazione digitalica, che comprende manifestazioni sia cardiache sia extracardiache. Tra le prime vi è la possibilità sia di bradiaritmie (seno-atriali o atrioventricolari) sia di tachiaritmie (giunzionali o ventricolari), dovute a un aumento dell’eccitabilità delle cellule miocardiche. I sintomi extracardiaci di intossicazione digitalica comprendono, nelle forme più lievi, senso di nausea e conati di vomito, mentre, nei casi più gravi, possono comparire visione gialla e sintomi di delirio. Le concentrazioni sieriche di digossina aumentano in caso di insufficienza renale, per cui il rischio di intossicazione digitalica è maggiore in questi pazienti se non si ha cura di ridurre la dose. L’ipokaliemia e l’ipomagnesiemia, d’altro canto, possono favorire gli effetti tossici della digitale. Nel sospetto di intossicazione digitalica, il dosaggio della digossinemia consente di confermare o escludere la diagnosi. Terapia non farmacologica In alcuni pazienti con scompenso cardiaco grave (classe NYHA III-IV), che rimangono sintomatici a dispetto di una terapia medica ottimale e che presentano all’ECG un QRS slargato (di solito ≥130 msec) con morfologia a blocco di branca sinistra, è possibile ottenere un miglioramento del quadro clinico con l’impianto di un pacemaker biventricolare. Il principio su cui si basa questa terapia risiede nel fatto che, a causa della turba di conduzione intraventricolare, nella maggioranza di questi pazienti, parte dell’inefficienza contrattile del ventricolo sinistro è dovuta alla perdita della sincronizzazione della contrazione dei due ventricoli e delle varie regioni del ventricolo sinistro (in particolare del setto interventricolare e della parete posteriore). L’applicazione di due elettrodi stimolatori (uno nel ventricolo destro e uno a livello della parete posteriore del ventricolo sinistro), che rispondono in modo sincrono all’attività atriale, consente di ripristinare in gran parte la sincronia della contrazione ventricolare, migliorando la gittata sistolica e, quindi, il quadro clinico. Questa terapia, definita di risincronizzazione cardiaca, si è dimostrata anche in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con indicazione al trattamento. Non essendo essa esente da complicanze legate alla procedura, la sua attuazione va prospettata a pazienti che rientrano nelle indicazioni cliniche per le quali si è dimostrata efficace. C0060.indd 304 In pazienti con grave insufficienza cardiaca cronica refrattaria a qualsiasi forma di trattamento, l’unica possibile terapia rimane il trapianto cardiaco. L’intervento di trapianto cardiaco presenta ormai un’alta percentuale di successi e una buona sopravvivenza (oltre il 60% a 5 anni), grazie al miglioramento dei trattamenti immunosoppressivi, purché esso venga eseguito in pazienti ben selezionati. Un problema del trapianto, tuttavia, è rappresentato dalla limitata disponibilità di donatori. Un’alternativa, ancora sperimentale e utilizzabile solo in pochissimi centri specializzati, è in questi casi l’impianto di un cuore artificiale meccanico che sostituisce parzialmente (o totalmente) la funzione di pompa del cuore; ciò può essere soprattutto utile per consentire la sopravvivenza di un paziente in previsione e in attesa di un intervento di trapianto di cuore. In pazienti con grave riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra, infine, è da considerare l’impianto di un ICD, il quale riduce significativamente la morte improvvisa di questi pazienti interrompendo eventuali aritmie fatali. L’indicazione all’ICD è categorica in pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco o in cui è stato documentato un evento aritmico potenzialmente fatale (prevenzione secondaria). D’altro canto, sono tuttora discusse le indicazioni all’impianto di ICD a scopo profilattico in pazienti che non hanno mai avuto in precedenza eventi aritmici gravi (prevenzione primaria). Sulla base di alcuni studi clinici le linee guida sull’argomento tendono a indicare l’impianto di un ICD in tutti i pazienti con FEVSn < 3035%. Tuttavia, appare chiaro che la maggior parte di questi pazienti non ha eventi aritmici anche a lungo termine, per cui sarebbe auspicabile, anche a causa dell’eccessivo costo di questi dispositivi, la possibilità di individuare gruppi di soggetti che effettivamente hanno un rischio significativamente alto di andare incontro a morte improvvisa e che quindi possono trarre effettivo beneficio dall’impianto di un ICD. Terapia dello scompenso con funzione sistolica preservata (scompenso diastolico) Nei pazienti nei quali lo scompenso è prevalentemente legato a un aumento delle pressioni intraventricolari per un’alterazione della funzione diastolica, l’obiettivo principale è di ridurre, con un oculato uso dei diuretici, le pressioni di riempimento ventricolare, in modo da eliminare o contenere i sintomi di congestione venosa a monte (dispnea, edemi periferici), evitando però di causare una riduzione eccessiva del precarico, che potrebbe determinare una riduzione significativa della gittata cardiaca. Sono inoltre utili i farmaci che possono migliorare il rilasciamento ventricolare, come, in particolare, gli ACE-inibitori, e i -bloccanti, che prolungano il tempo di riempimento diastolico riducendo la frequenza cardiaca. Sebbene il trattamento farmacologico migliori i sintomi e i segni di scompenso, non vi è attualmente dimostrazione che esso comporti in questi casi anche un miglioramento della prognosi. 6/9/10 10:02:32 AM Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO Terapia dello scompenso acuto Sotto il termine scompenso acuto si possono far rientrare tre tipi principali di condizioni che hanno in comune caratteristiche di gravità che rendono necessario un trattamento intensivo, più o meno urgente, al fine di evitare un’evoluzione infausta in breve tempo. Queste condizioni comprendono fasi subacute di aggravamento dei segni e sintomi di scompenso (contrazione marcata della diuresi, aumento della dispnea e/o degli edemi periferici, riduzione della pressione arteriosa) che risultano refrattari all’abituale trattamento cronico e quadri di più immediata gravità quali l’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno. L’ottimizzazione del trattamento nei pazienti più gravi (tipicamente quelli in shock cardiogeno) può trarre giovamento dal monitoraggio dei parametri emodinamici. Infatti, l’obiettivo ideale della terapia farmacologica nello shock cardiogeno è migliorare la perfusione periferica aumentando l’efficienza contrattile del miocardio, cercando allo stesso tempo di ridurre (se aumentate) le resistenze periferiche. Questo scopo può essere ottenuto con l’uso combinato di farmaci inotropi e vasodilatatori. Tuttavia, in diversi casi le resistenze periferiche sono già ridotte per la prevalenza della vasodilatazione reattiva periferica, per cui spesso, e soprattutto quando non si riesce a ottenere un aumento apprezzabile della contrattilità miocardica, l’obiettivo primario è, all’opposto, quello di aumentare le resistenze per sostenere la pressione a vantaggio della perfusione degli organi vitali più importanti. I parametri emodinamici da monitorare in questi pazienti sono rappresentati dalla pressione arteriosa, dalla pressione venosa centrale, dalla pressione arteriosa polmonare e dalla pressione diastolica nel ventricolo sinistro. Inoltre, per una valutazione completa della funzione cardiaca può essere importante la misurazione della pressione telediastolica nel ventricolo sinistro, che è, come detto, una misurazione del precarico. La pressione telediastolica ventricolare sinistra può essere misurata in corso di cateterismo cardiaco destro con relativa facilità posizionando un catetere (di Swan-Ganz) per via venosa nelle cavità destre del cuore e quindi nelle arterie polmonari. Se la punta del catetere viene avanzata sino a incunearsi in un piccolo vaso polmonare, le pressioni registrate dal catetere saranno quelle del sistema a valle (capillari e vene polmonari, atrio e ventricolo sinistro), le quali, al termine della diastole, sono uniformi. La misurazione di questo parametro può risultare importante, in quanto una pressione telediastolica ventricolare sinistra troppo bassa può suggerire la necessità di aumentare il precarico (mediante somministrazione di liquidi) per aumentare una gittata depressa, mentre valori troppo alti suggeriscono la necessità di facilitare lo svuotamento del ventricolo riducendo sia il precarico sia il postcarico. Attraverso lo stesso catetere è possibile misurare anche la portata cardiaca con il metodo della diluizione. Si è già visto come C0060.indd 305 normalmente la portata cardiaca a riposo sia di circa 5 L/min. Un parametro che consente di esprimere ancora meglio l’adeguatezza del flusso circolatorio è rappresentato, tuttavia, dall’indice cardiaco, che viene ottenuto dal rapporto tra la portata cardiaca e la superficie corporea, e che normalmente è > 3 L/ min/m2. 305 1 Diuretici L’uso di diuretici e.v., spesso ad alte dosi, costituisce un trattamento cardine delle forme di aggravamento di uno scompenso cronico e dell’edema polmonare acuto. I farmaci da utilizzare nelle forme di scompenso acuto sono essenzialmente i diuretici dell’ansa (furosemide, torsemide), che hanno effetto rapido e potente, oltre a un iniziale lieve effetto vasodilatatore arterioso. Nitrati I nitrati e.v., in somministrazione continua, trovano indicazione nelle fasi di destabilizzazione di uno scompenso cronico, quando è evidente l’aumento dell’edema interstiziale o alveolare a livello polmonare. Piccoli boli ripetuti di nitrati e.v. possono essere utilizzati, inoltre, in associazione ai diuretici, per ottenere una rapida riduzione del precarico ed eventualmente anche di un’elevata pressione arteriosa, nell’edema polmonare acuto. Nitroprussiato di sodio Il nitroprussiato di sodio è un vasodilatatore appartenente alla famiglia dei nitroderivati, ma che possiede anche azione vasodilatatrice arteriosa. I suoi effetti vasodilatatori sono rapidi e potenti, per cui va utilizzato sotto attento monitoraggio della pressione arteriosa. Esso può essere somministrato solo per via venosa e per brevi periodi. L’uso prolungato, infatti, può portare ad accumulo e intossicazione da cianati. Il nitroprussiato di sodio è quindi utile solo nei casi di scompenso acuto grave non rispondente alla terapia diuretica e ai nitrati. In particolare, può essere utile nello shock cardiogeno, in quanto, a dispetto della grave ipotensione, riducendo le aumentate resistenze periferiche può consentire un miglioramento dell’eiezione ventricolare, assicurando così il mantenimento di una certa pressione e di un flusso sufficiente nel circolo. Tuttavia, bisogna prestare attenzione, in questi casi, a evitare un calo ulteriore della pressione che comprometterebbe inevitabilmente la perfusione degli organi più importanti (in particolare dello stesso cuore). Farmaci inotropi Glicosidi digitalici Somministrati e.v. possono essere utili nei casi di scompenso acuto complicato da fibrillazione o flutter atriale con elevata frequenza ventricolare, grazie al fatto che possono ridurre la frequenza ventricolare, facilitando il riempimento cardiaco. L’azione inotropa, inoltre, può anche essere utile per contribuire a risolvere un quadro di aggravamento di uno scompenso cronico o un edema polmonare acuto. 6/9/10 10:02:32 AM 306 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Amine simpaticomimetiche Sono utilizzate soprattutto per risolvere casi di aggravamento subacuto o progressivo di scompenso o nei casi di shock cardiogeno. Le amine utilizzate nella terapia dello scompenso comprendono la dobutamina e la dopamina. A basse dosi questi farmaci (in particolare la dopamina) dilatano le arteriole renali e facilitano la perfusione renale, migliorando la diuresi. Con l’aumento delle dosi, essi aumentano l’inotropismo cardiaco stimolando i recettori -adrenergici, mentre a dosi più alte causano vasocostrizione, aumentando quindi le resistenze periferiche e la pressione arteriosa. Questi farmaci, inoltre, incrementano anche la frequenza e l’eccitabilità del cuore, aumentando quindi il fabbisogno miocardico di O2 e facilitando l’insorgenza di aritmie, con possibili effetti disastrosi in caso di ischemia. Per questi motivi, essi devono essere impiegati solo per brevi periodi e sotto attento monitoraggio degli effetti clinici ed emodinamici. Nei casi di shock cardiogeno particolarmente grave, nei quali la pressione arteriosa sistolica rimane particolarmente bassa (< 60 mmHg), si può ricorrere all’uso di noradrenalina, che ha azione vasocostrittrice più marcata. Inibitori della fosfodiesterasi Questi farmaci aumentano l’inotropismo cardiaco aumentando la concentrazione intracellulare di AMP ciclico mediante inibizione della sua degradazione da parte dell’enzima fosfodiesterasi. L’accumulo di AMP ciclico nelle cellule miocardiche fa aumentare la concentrazione di Ca2+ e stimola la contrazione, mentre nelle cellule muscolari lisce dei vasi riduce la concentrazione di Ca2+ causando vasodilatazione. Studi clinici controllati hanno dimostrato che, sebbene questi farmaci possano migliorare i sintomi di uno scompenso acuto grave nell’immediato, quando continuati anche per brevi periodi finiscono con l’essere associati a un aumento della mortalità. Come per le catecolamine, quindi, il loro uso è limitato alle fasi acute e a brevi periodi. Morfina La morfina, somministrata e.v., può essere utile a risolvere un edema polmonare acuto. Essa, infatti, riduce, come i nitrati, il ritorno venoso. Allo stesso tempo, la morfina può ridurre anche la reazione adrenergica alla componente di agitazione e di ansia che sono spesso associate al grave quadro clinico. Il farmaco va tuttavia somministrato con attenzione, a dosi refratte, per la possibilità di depressione del centro del respiro e, quindi, di arresto respiratorio. Terapia non farmacologica In caso di edema polmonare acuto, un accorgimento utile, quando non sono immediatamente disponibili i farmaci (e comunque attuabile anche in aggiunta ai farmaci), consiste nel porre dei lacci attorno alla radice degli arti inferiori in modo da ridurre il ritorno venoso. Nei pazienti con infarto miocardico acuto, insorto da poche ore, che si presentano in stato di shock, la contrattilità miocardica e, quindi, il quadro clinico possono essere migliorati da una tempestiva rivascolarizzazione miocardica con angioplastica primaria. Questo tipo di intervento, in effetti, ha consentito di ottenere una certa riduzione della mortalità ospedaliera di questo tipo di pazienti (dall’80 al 60% circa), anche se essa rimane comunque molto alta. In questi pazienti, inoltre, la perfusione coronarica può essere aiutata dalla contropulsazione aortica (cioè dal posizionamento in aorta discendente di un palloncino che si gonfia in diastole e si sgonfia in sistole). Nei pazienti, infine, nei quali lo shock cardiogeno è legato a complicanze meccaniche acute (si veda il Capitolo 5), il trattamento di elezione, laddove possibile, consiste nella rimozione o riparazione della causa dello shock. Anche in questo caso, comunque, la mortalità rimane elevata. Bibliografia ACC/AHA guidelines for the diagnosis and management of heart failure in adults. J Am Coll Cardiol 2009; 53:e1–e90. Braunwald E, editor. Insufficienza cardiaca: funzione e disfunzione cardiache. London: Science Press Ltd; 1999. Bristow MR. -adrenergic receptor blockade in chronic heart failure. Circulation 2000;101:558–69. Colucci WS. Heart failure: cardiac function and dysfunction. Philadelphia: Current Medicine; 1999. 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