il marchio: nozione e funzione

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“IL MARCHIO: NOZIONE E
FUNZIONE”
PROF. GUIDO BEVILACQUA
Università Telematica Pegaso
Il marchio: nozione e funzione
Indice
1
SEGNI DISTINTIVI E CONCORRENZA -------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LE FONTI LEGISLATIVE -------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
3
FUNZIONE DISTINTIVA E DIRITTO DI ESCLUSIVA ------------------------------------------------------------- 5
4
FUNZIONE DISTINTIVA E FUNZIONE DI INDICAZIONE DI PROVENIENZA ---------------------------- 6
5
FUNZIONE DI INDICAZIONE DI PROVENIENZA NELLA LEGGE VIGENTE ----------------------------- 8
6
I DIVIETI DI USO INGANNEVOLE DEL MARCHIO --------------------------------------------------------------- 9
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Segni distintivi e concorrenza
Un’economia liberista, un libero mercato, ha bisogno di segni distintivi. Anzitutto per
rendere possibile l’individuazione, il riconoscimento reciproco di coloro che vi operano a vari livelli
e con varie funzioni (produttori, enti finanziari, distributori, consumatori, ecc.), e fra i quali
intercorrono complessi rapporti che appunto senza la reciproca individuabilità non sarebbero
neppure pensabili.
Particolare rilievo assumono poi i segni distintivi specificamente utilizzati nel rapporto fra le
imprese ed il pubblico dei consumatori, vale a dire i segni inerenti a beni o servizi offerti appunto ai
consumatori. Se è vero, infatti, che il regime concorrenziale può dare i buoni frutti che il liberismo
da esso si attende solo a condizione che ad essere premiato dal mercato sia chi realmente vi opera
meglio (vale a dire solo a condizione che sia consentito al consumatore di operare nella gara
concorrenziale come giudice consapevole, premiando con il successo i <<buoni>>, e condannando
gli inetti e i <<cattivi>>); se questo è vero, è chiaro che presupposto della stessa possibilità che la
concorrenza si svolga fruttuosamente, è il fatto che il consumatore possa attribuire i meriti e i
demeriti dei prodotti e dei servizi che gli sono offerti all’imprenditore dal quale realmente
provengono. E ciò è appunto possibile solo per il tramite dei segni distintivi dei prodotti e dei
servizi, cioè anzitutto
dei marchi, che proprio per questo assumono sul mercato un rilievo
preminente rispetto a tutti gli altri segni distintivi.
In considerazione di questa preminenza, nonché del fatto che nell’uso del marchio sono
coinvolti rilevanti interessi dei consumatori, il legislatore ha dettato per questi segni una speciale ed
ampia disciplina, imperniata su di un procedimento amministrativo detto registrazione. Di qui il
termine di marchio registrato che evoca appunto la speciale disciplina cui questo segno è soggetto.
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2 Le fonti legislative
Il marchio, vale a dire essenzialmente il segno che si appone sul prodotto o sulla confezione
di esso, che ne costituisce <<la marca>> (ed al quale è assimilato il segno con cui si
contraddistinguono i servizi offerti al pubblico), è, per le ragioni appena esposte, il più importante
fra i segni distintivi. Ad esso il legislatore ha dedicato fin dai primi tempi dell’unità d’Italia una
dettagliata regolamentazione, contenuta ad un certo punto in alcuni articoli del codice civile (artt.
2569-2574 cod. civ.) ed in una legge speciale, il r.d. 21 giugno 1942, n. 929. Questa legislazione è
rimasta sostanzialmente integra fino ad una profonda revisione realizzata con il d.lgs. 4 dicembre
1992, n. 480, in attuazione della Direttiva CEE n. 89/104 sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi (ora sostituita dalla Direttiva CE n. 2008/95). Ulteriori modifiche
sono state introdotte con il d.lgs. 19 marzo 1996, n. 198, che ha adeguato la nostra legislazione agli
accordi internazionali cc.dd. TRIPs. Infine la materia è stata inserita nel Codice della proprietà
industriale, entrato in vigore il 19 marzo 2005; e dello stesso inserimento è stato fatto oggetto il
regolamento di attuazione che accompagnava la legge speciale.
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3 Funzione distintiva e diritto di esclusiva
La nozione legislativa del marchio, vale a dire ciò che il legislatore intendeva che il marchio
dovesse essere, fare, è desumibile da una serie di norme. L’art. 2569 cod. civ. parla infatti della
registrazione di <<un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi>>; l’art. 7 c.p.i. dice
che possono essere registrati come marchio certi segni a condizione che <<siano atti a distinguere i
prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese>>; l’art. 13 c.p.i. parla di <<carattere
distintivo>> del segno come elemento essenziale di esso; mentre l’art. 12 c.p.i. definisce alcune
delle condizioni in cui appunto la capacità distintiva si concreta. Secondo il legislatore, dunque, il
marchio è anzitutto un segno distintivo, che come tale deve essere idoneo a consentire al pubblico
dei consumatori di distinguere i prodotti o servizi di un imprenditore da quelli (simili) di un altro
imprenditore. Il che si può esprimere anche dicendo, come di solito si dice, che il legislatore
attribuisce al marchio funzione distintiva. A questa funzione corrisponde d’altra parte la struttura
del diritto sul marchio, che come ogni diritto su segno distintivo è diritto di esclusiva.
La natura esclusiva del diritto è invero essenziale in ordine ai segni distintivi, che ove
potessero essere adoperati da una pluralità di soggetti (o, per i segni collettivi, anche da soggetti
diversi da quelli facenti parte del gruppo identificato, o infine in caso di licenze plurime in
violazione delle condizioni poste dall’art. 23 c.p.i) distintivi non sarebbero più. Ed a ciò si collega il
fatto che si ha violazione del diritto al marchio quando esso venga usato da terzi senza
l’autorizzazione del titolare, cosicché quando si parla di tutela del marchio ci si riferisce al sistema
di prevenzione e di sanzioni che la legge dispone per impedire quest’uso.
La funzione distintiva è poi ulteriormente confermata dal fatto che la tutela del marchio
opera principalmente quando l’adozione di esso (o di un segno ad esso simile) da parte di un terzo
possa provocare <<un rischio di confusione per il pubblico>>, solo, cioè quando appunto la sua
funzione distintiva venga pregiudicata (il confondere essendo l’opposto del distinguere).
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4 Funzione distintiva e funzione di indicazione di
provenienza
I segni distintivi comunicano a chi li percepisce un messaggio inerente alle caratteristiche
dell’ente contrassegnato, così consentendo di distinguerlo dagli altri dello stesso genere. Lo stesso
accade per il marchio, che viene usato con riferimento a determinati prodotti (per solito venendo
fisicamente apposto su di essi o sulla loro confezione), e che consente al pubblico dei consumatori
di identificare quei prodotti dagli altri dello stesso genere, collegandoli a caratteristiche che sono
loro proprie. Sennonché perché la funzione distintiva del marchio sia effettiva occorre che la legge
assicuri la corrispondenza a realtà del messaggio comunicato dal segno, ché altrimenti questo non
sarebbe strumento di identificazione ma di inganno. E solo ove nella legge si trovi questa
assicurazione potrà dirsi che la funzione distintiva del marchio e la sua funzione distintiva del
marchio è la sua funzione giuridicamente tutelata.
Per verificare come stanno in realtà le cose bisogna anzitutto chiedersi quali siano le
caratteristiche differenziatrici del prodotto che il marchio evoca, alle quali si collega, vale a dire
quale sia il messaggio distintivo che al riguardo il marchio comunica.
In realtà questo messaggio varia a seconda del tipo di marchio di cui si tratti. Qualche
esempio varrà a chiarirlo. Le automobili recano di solito una pluralità di marchi, e così la <<FIAT
Punto>> reca almeno i marchi <<FIAT>> e <<Punto>>, ciascuno dei quali comunica con ogni
evidenza un messaggio diverso. Il marchio <<FIAT>> dice che si tratta di vettura prodotta dalla
celebre casa torinese nei suoi stabilimenti; il marchio <<Punto>> dice in più che si tratta di una
vettura che presenta determinate caratteristiche tecniche, funzionali e estetiche. Vi sono prodotti che
recano addirittura tre o più marchi ciascuno dei quali comunica un messaggio diverso. Si pensi ad
una confezione di merendine del Mulino Bianco, che reca il marchio <<Barilla>>, il marchio
appunto <<Mulino Bianco>> e infine, ad esempio il marchio <<Flauti>>. Anche qui ciascuno dei
tre marchi comunica un messaggio diverso, ed i tre messaggi si integrano a fornire al consumatore
un blocco di elementi informativi capaci di identificare il prodotto.
Ciò che distingue fra loro i marchi degli esempi è il fatto che i primi in essi menzionati
figurano su tutti i prodotti dell’impresa che ne è titolare, mentre gli ultimi figurano solo su di uno
specifico, singolo prodotto. Per questa contrapposizione si pensi ancora a <<FERRERO Rocher>>,
<<MON Chèri FERRERO>>, <<kinder FERRERO>>, <<Nutella FERRERO>>, ecc.
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I marchi del primo tipo sono detti marchi generali quelli del secondo marchi speciali e
questa distinzione ha senz’altro notevole importanza, dato che la differenza del messaggio che gli
uni e gli altri comunicano al pubblico fa sì che la rispettiva disciplina, sia talora diversa.
Abbiamo visto or ora come i marchi generali comunichino essenzialmente un messaggio
sull’origine del prodotto che interessa il consumatore che in ipotesi conosce l’impresa che ne è
titolare in quanto egli ragionevolmente confida che tutti i prodotti provenienti da quella impresa
presentino la qualità soddisfacente che egli ha già sperimentato. Naturalmente il messaggio deve
essere veritiero, cioè tutti i prodotti recanti il marchio in questione devono realmente e sempre (nel
tempo) provenire da quella impresa, e la legge deve garantirlo, altrimenti, la funzione distintiva del
segno sarebbe vanificata. E’ in relazione a tutto ciò che si sostiene – ed è corretto sostenere per
questo tipo di marchio – che la funzione distintiva di esso si specifichi in funzione di indicazione di
provenienza o di origine.
Per contro abbiamo constatato come il messaggio trasmesso dai marchi speciali attenga
anche ed essenzialmente alle specifiche caratteristiche del singolo prodotto. Cosicché si potrebbe
pensare che la funzione distintiva di essi si specifichi in una funzione di garanzia di identità nel
tempo, di costanza qualitativa e strutturale o merceologica dei singoli prodotti contrassegnati.
Sennonché, non esistendo nella legge del 1942 a carico del titolare del marchio speciale la
previsione di un vero e proprio onere di mantenimento nel tempo di identiche caratteristiche nel
prodotto contrassegnato, a questa conclusione non si poteva pervenire e perciò si era pensato di
ripiegare anche per questi segni su di una funzione di indicazione di origine imprenditoriale.
Soluzione che da un lato corrispondeva ad un messaggio che sia pure in secondo piano anche i
marchi speciali, nella gran maggioranza dei casi, comunicano (se un prodotto continua a recare nel
tempo lo stesso marchio speciale, si è portati a ritenere che esso continui a provenire dalla stessa
impresa), e dall’altro lato indirettamente e in qualche misura garantiva anche la costanza qualitativa
del prodotto (resa assai probabile dalla sua costante identica provenienza).
La conclusione di queste considerazioni era stata l’attribuzione indiscriminata al marchio, a
tutti i marchi, della funzione di indicazione di provenienza come unica funzione giuridicamente
tutelata.
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5 Funzione di indicazione di provenienza nella
legge vigente
Fino alla prima riforma della legge speciale n. 929/1942, questa era dunque la tesi elaborata
e affermata. Nella legge attuale, per contro, benché vi siano elementi coerenti con la funzione di
indicazione di provenienza quali la configurazione del diritto sul marchio come diritto di esclusiva e
il divieto in linea di massima dell’uso di uno stesso marchio da parte di imprenditori diversi; e
benché nei <<considerando>> che introducono la Direttiva CEE dalla quale discende la legge
vigente (Direttiva che costituisce un sicuro riferimento per l’interpretazione di quest’ultima) si dica
esplicitamente che la tutela accordata al marchio <<mira in particolare a garantire(ne) la funzione
d’origine>>, e questa funzione si è affermata con forza anche nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE; nella legge attuale non sembra più che la tesi in questione possa indiscriminatamente
condividersi.
Una funzione giuridica di indicazione di provenienza è in effetti attribuibile al marchio
soprattutto nel contesto di una legge che lo veda inscindibilmente legato, per il corso della sua vita,
sempre ad una e alla stessa impresa.
Ciò si verificava in buona misura nella legge speciale del 1942, soprattutto perché essa
prevedeva che il marchio non potesse essere trasferito senza l’azienda (o un ramo di essa). Nella
legge attuale questo vincolo non c’è più, e di conseguenza può accadere che nel tempo un marchio
sia successivamente pertinente a due o più imprese completamente diverse l’una dall’altra.
Inoltre, la legge ora in vigore contempla un certo numero di possibilità di coesistenza sul
mercato di marchi uguali usati da imprenditori diversi come è il caso in cui ciò si verifichi con il
consenso del titolare del marchio anteriore (ipotesi espressamente prevista all’inizio dell’art. 20
c.p.i., cui è coerente la limitazione della legittimazione ad agire per impedire la coesistenza ai soli
titolari dei diritti anteriori, secondo l’art. 122/2 c.p.i.), o quello della licenza concessa ad una
pluralità di soggetti (art. 23/2 c.p.i.) o altri ancora.
Infine vi sono oggi casi in cui la tutela del marchio esorbita dalla sua funzione distintiva,
proteggendo interessi diversi.
In questa nuova situazione attribuire al marchio esclusivamente una funzione
(giuridicamente tutelata) di indicazione di provenienza diventa difficile.
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6 I divieti di uso ingannevole del marchio
Il venir meno della connessione inscindibile, espressamente sancita, del marchio ad una
determinata impresa, rischiava di diminuire le garanzie che le aspettative del pubblico dei
consumatori in relazione ad un prodotto marcato non fossero deluse, ed in sostanza rischiava di
schiudere la via alla possibilità che il marchio diventasse strumento di inganno.
Se infatti io confido che un prodotto che reca un certo marchio provenga dallo stesso
imprenditore nel quale avevo fiducia, che ieri o un anno fa produceva quel prodotto con quel
marchio, il fatto che a mia insaputa il marchio sia stato trasferito ad altro imprenditore fa sì che io
sia ingannato.
Analogo discorso può farsi in ordine alla possibilità di coesistenza sul mercato di marchi
facenti capo ad imprenditori diversi: coesistenza che a sua volta, può determinare l’inganno del
pubblico che acquisti un prodotto che è marcato come quello già soddisfacentemente sperimentato e
proveniente da un determinato imprenditore ma che invece proviene da un imprenditore diverso.
A questa possibilità di inganno si può ritenere che il legislatore abbia ovviato inserendo
nella legge dei divieti di uso ingannevole del marchio, che si accentuano nell’ipotesi di
trasferimento (o di licenza) di esso.
Divieti che in parte erano dettati anche nella legge speciale del 1942, ma che in quella
attuale sono più organici e soprattutto muniti di una sanzione – la decadenza del marchio – che
induce a valorizzarli maggiormente.
In questa prospettiva le norme contro l’inganno di cui si tratta si prestano ad una
interpretazione flessibile della disciplina del marchio, capace di adattarsi alla specificità dei diversi
tipi di marchio, dei diversi messaggi che essi comunicano. Così le norme che vietano l’uso
ingannevole del marchio (art. 21/2 c.p.i.), anche sotto pena di decadenza (art. 14/2a) c.p.i.) assieme
a quelle che sanciscono la nullità del marchio ingannevole (art. 14/1b) c.p.i.) e che vietano che dalla
cessione o dalla licenza del marchio (art. 23/4 c.p.i.) possa derivare inganno del pubblico, diventano
norme centrali del sistema, dando luogo ad un compatto <<statuto di non recettività>> che consente
ancora di parlare di funzione distintiva dell’istituto.
In forza di questo <<statuto>>, infatti, può dirsi che la legge, vietando l’ingannevolezza dei
messaggi comunicati dai marchi, garantisce al pubblico la veridicità di ciascuno di quei messaggi
anche diversi, e fa assurgere a funzione giuridicamente tutelata la funzione distintiva che si
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specifica in funzione di garanzia di conformità del prodotto al messaggio che il relativo marchio
comunica al pubblico.
Il marchio così garantirà al pubblico per questa via la costante provenienza del prodotto,
quando si tratta di segni che comunicano appunto questo messaggio: il che accade per la maggior
parte dei marchi, e certo per tutti i marchi generali. Ed in tal senso si può dire che nella legge si
realizzi un recupero della funzione – giuridicamente tutelata – di indicazione di provenienza del
marchio (almeno in quanto, e fin tanto che, il marchio effettivamente trasmetta un messaggio di
provenienza del prodotto). Ovvero garantirà al pubblico (anche) la sostanziale costanza e
omogeneità tecnica, merceologica, qualitativa del prodotto contrassegnato quando si tratti di marchi
speciali.
Ove poi si tratta di marchi che comunicano messaggi diversi, come un marchio costituito dal
nome di un grande stilista, diciamo Armani, apposto su di un orologio, che non assicura agli occhi
del pubblico la provenienza del prodotto da Armani, ma piuttosto gli assicura che Armani abbia
disegnato quell’orologio, o almeno ne abbia scelto, apprezzandolo, il modello, ancora la legge
garantirà la veridicità di questo messaggio, vale a dire che Armani abbia realmente in qualche modo
partecipato all’elaborazione o alla scelta del prodotto.
Il sistema che ne risulta è un sistema complesso, nel quale la funzione di indicazione di
provenienza del marchio risulta ancora prevalente, ma ove trova spazio, specie nei marchi speciali,
anche una funzione di garanzia di costanza e omogeneità qualitativa.
Un sistema nel quale ciò che comunque è assicurato è la corrispondenza a verità del
messaggio trasmesso dal marchio, che può variare nel tempo a condizione che il pubblico che ne è il
destinatario sia adeguatamente avvertito.
Va detto peraltro che un’interpretazione rigorosa dello <<statuto di non decettività>> quale
è quella appena prospettata non appare ancora particolarmente diffusa.
D’altra parte a noi sembra che solo una simile interpretazione possa conciliarsi con quanto
anche recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia CE in tema di funzione del marchio, vale a dire
che <<la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore
finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato consentendo loro di distinguere
senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa>>.
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