ISSN 1122-0147 ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXII - N. 1/2012 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina © Copyright - Giuffrè Editore ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXII - N. 1/2012 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina © Copyright - Giuffrè Editore INDICE DOTTRINA ULRICH HAAS - DANIELE BOCCUCCI, Il termine per la proposizione dell’« appello » davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport ............................ ANTONIO CRIVELLARO, Advocacy in International Arbitration: an Art, a Science, or a Technique? .................................................................... LAURA BERGAMINI, Clausola compromissoria e tutela monitoria ................ 1 39 61 GIURISPRUDENZA ORDINARIA I) Italiana Sentenze annotate: Cass. 20 giugno 2011, n. 13531, con nota di M. COMASTRI, Favor arbitrati e art. 808-quater c.p.c. ....................................................................... Trib. Modena 5 maggio 2011, con nota di M. MARINARO, Mediazione obbligatoria e rilascio di immobile detenuto sine titulo ....................... Trib. Palermo 13 luglio 2011, con nota di C. CORBI, Il rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale conseguente all’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione ............................. II) 79 85 89 Straniera Sentenze annotate: Olanda - Gerechtshof di Amsterdam, 28 aprile 2009, con nota di G. VALLAR, Il riconoscimento di lodi annullati nel Paese d’origine: l’approccio dei Paesi Bassi ...................................................................... 97 GIURISPRUDENZA ARBITRALE I) Italiana Lodi annotati: Coll. arb. Roma, 15 novembre 2011, con nota di G. LUDOVICI, Le posizioni giuridiche di interesse legittimo possono considerarsi disponibili ai sensi dell’art. 1966 c.c. e quindi astrattamente compromettibili ..... 127 III © Copyright - Giuffrè Editore II) Internazionale e straniera Lodi annotati: ICSID - Coll. Arb. 4 agosto 2011, con nota di A. DE LUCA, L’arbitrato ICSID e l’azione collettiva: alcune osservazioni a margine del caso Abaclat ................................................................................................ 159 RASSEGNE E COMMENTI GIORGIO DE NOVA, Contrasti tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza togata .................................................................................................. VINCENZO VIGORITI, La trasparenza negli arbitrati sugli investimenti: le proposte Uncitral ................................................................................ ELENA GRANATA, La riconoscibilità extra moenia ai sensi della Convenzione di New York del 1958 del lodo irrituale del lavoro previsto dalla Legge n. 183/2010 ..................................................................... 227 231 237 DOCUMENTI E NOTIZIE Il Convegno celebrativo del Ventennale della Rivista [Andrea Atteritano] .................................................................................................... In ricordo di Giovanni Maria Ughi [Piero Bernardini] ............................. IV © Copyright - Giuffrè Editore 259 261 DOTTRINA Il termine per la proposizione dell’« appello » davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport ULRICH HAAS (*) - DANIELE BOCCUCCI (**) I. Introduzione. — II. La classificazione giuridica del « termine d’appello ». — 1. Distinzione rispetto agli altri termini. — 2. La natura giuridica del termine (« d’appello »). — a) Le possibili opzioni. — b) L’effetto attribuito al « termine d’appello » dall’intenzione delle parti. — c) La natura giuridica dell’effetto preclusivo. — 3. Considerazione del termine ex offıcio o su eccezione di parte. — III. L’autonomia delle parti con riferimento al « termine per la proposizione dell’appello ». — 1. Limiti dell’autonomia. — a) Limiti derivanti dal diritto applicabile al merito della controversia. — b) Limiti derivanti dalla riserva di ordine pubblico. — aa) La concretizzazione della riserva di ordine pubblico. — bb) Conseguenze della riserva di ordine pubblico nel caso in esame. — (1) Abbreviazione « eccessiva » del termine. — (2) Portata del termine. — c) Limiti derivanti dal testo dell’articolo R49 del Codice TAS. — 2. Esercizio dell’autonomia. — IV. Il computo del termine. — 1. Il diritto applicabile (in via sussidiaria) al computo del termine. — 2. Inizio e scadenza del termine. — a) L’evento che causa l’inizio della decorrenza. — aa) Il significato di « decisione ». — bb) La « ricezione ». — b) Computo del termine. — aa) Il computo del termine di ventuno giorni dell’articolo R49 del Codice TAS. — bb) Computo del termine negli altri casi. — 3. Estensione del termine. — a) Discrezionalità dell’arbitro. — b) Il principio della buona fede. — aa) Presentazione di un’istanza di riesame. — bb) « Induzione » all’inosservanza del termine. — cc) Il dilemma sulle vie legali da percorrere. — (1) Il dilemma della parte attrice. — (2) Soluzione al problema. — dd) Il mancato rispetto senza colpa del termine. — ee) Il divieto del formalismo eccessivo. — (1) Contenuto del principio. — (2) Esempi. — ff) Conseguenze del prolungamento del termine. — IV. Decisione del Giudice. — 1. Competenza. — 2. Forma della decisione. — 3. Contenuto della decisione. (*) Professore ordinario nella Università di Zurigo. (**) Collaboratore scientifico nella Università di Zurigo. 1 © Copyright - Giuffrè Editore I. La maggioranza dei procedimenti che si svolgono davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport (« TAS ») è rappresentata dai cosiddetti procedimenti d’appello (« appeal arbitration procedures »). Ciò è quanto si evince, in maniera impressionante, dall’esame della statistica. Delle 1975 domande di arbitrato presentate dal 1995 alla fine del 2009, infatti, ben 1647 riguardano dei procedimenti di appello. A caratterizzare questi ultimi è l’oggetto della controversia, costituito dall’« impugnazione » di un provvedimento adottato da un organismo sportivo (ad esempio, una misura disciplinare (1), una decisione di nomina, l’accertamento di un diritto al risarcimento o di una compensazione per formazione, ecc.) (2). Ad affrontarsi in questi procedimenti sono, per lo più, le organizzazioni sportive nazionali ed interazionali, da un lato, e gli sportivi e/o i clubs, dall’altro. Non è detto, però, che le parti debbano essere necessariamente quelle appena menzionate. Il regolamento procedurale del TAS (« Codice TAS ») prevede (agli articoli R47 ss.) delle regole specifiche, volte a disciplinare i procedimenti di appello. La definizione di procedimenti di appello per questo tipo di controversie, tuttavia, risulta essere alquanto fuorviante (3). Va sottolineato che, sebbene al centro del procedimento vi sia la verifica della correttezza giuridica di una decisione di una organizzazione sportiva, il TAS non agisce come organo interno dell’associazione, in qualità di ulteriore istanza. Al contrario, anche nell’ambito dei « procedimenti di appello », il TAS effettua un esame della controversia analogo a quello che si compie nei procedimenti arbitrali di primo grado, nei quali la verifica della correttezza giuridica della decisione dell’associazione viene effettuata da un’istanza indipendente, paragonabile a quelle dei giudici statali. Il Codice TAS prevede un termine specifico per la proposizione dell’appello. A questo proposito, l’articolo R49 di detto testo stabilisce che: « [i]n the absence of a time limit set in the statutes or regulations of the federation, association or sports-related body concerned, (1 ) Giustamente contrari ad una limitazione alle sole controversie disciplinari: KAUF- BÄRTSCH, in BLACKSHAW - SIEKMANN - SOEK (a cura di), The Court of Arbitration for Sport 1984-2004, 2006, 73 s. (2) Sulle peculiarità di questo tipo di procedimenti, si veda KRÄHE, in BLACKSHAW SIEKMANN - SOEK (a cura di), The Court of Arbitration for Sport 1984-2004, 2006, 99 ss.; SIMON, Rev. Arb., 1995, 185, 194 s. (3) SIMON, Rev. Arb., 1995, 185, 195; LOQUIN, Clunet, 2004, 289, 294. MANN-KOHLER 2 © Copyright - Giuffrè Editore or of a previous agreement, the time limit for appeal shall be twenty-one days from the receipt of the decision appealed against. (...) ». La disposizione riportata prevede, quindi, che l’esercizio dell’azione, volta ad ottenere la tutela giuridica dei diritti contro i provvedimenti di un’associazione, possa avvenire soltanto entro un termine stabilito. Tale norma — com’è il caso delle analoghe previsioni negli altri regolamenti procedurali — costituisce un ostacolo per coloro che vogliano far valere i propri diritti e solleva diverse questioni, alle quali si cercherà di dare una risposta nel prosieguo del presente contributo. II. 1. Il termine previsto dall’articolo R49 del Codice CAS è da distinguersi da quello di cui all’articolo R51. Il primo si limita solo alla fissazione del termine per la « proposizione » dell’appello, mentre non si riferisce all’esposizione delle motivazioni di quest’ultimo. Nell’ambito temporale previsto dall’articolo R49, infatti, sarà sufficiente il semplice deposito di una dichiarazione di appello, che presenti i requisiti (minimi) richiesti dall’articolo R48 del Codice. Per quanto concerne, invece, il deposito delle motivazioni dell’appello, deve farsi riferimento al termine stabilito dall’articolo R51. Quest’ultimo comincia a decorrere con (o meglio dopo) la scadenza del termine per la proposizione dell’appello (« following the expiry of the time limit for the appeal »). Qualora il termine per il deposito delle motivazioni non venisse rispettato, la domanda di arbitrato si considera ritirata (articolo R51 del Codice TAS). 2. a) All’accordo con il quale le parti stabiliscono un termine entro cui va presentata la domanda di arbitrato è possibile attribuire diversi significati (4). Il senso (e lo scopo) della fissazione del termine può essere, innanzitutto, quello di limitare la competenza dell’arbitro a decidere. In questo caso il decorso inutile del termine (4) Si veda CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.1; KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage international, II ed. 2010, par. 276, nota. 178; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1037 ss.; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione); HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 74; cfr. anche BGH RIW 1976, 449, 450; SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed. 2005, cap. 6 par. 6. 3 © Copyright - Giuffrè Editore comporterà l’incompetenza dell’arbitro a giudicare sulla controversia e l’inammissibilità della domanda di arbitrato (5). La fissazione del termine, inoltre, può avere anche lo scopo di impedire che una pretesa venga fatta valere. In questo caso la competenza arbitrale a decidere la controversia continuerà a sussistere anche dopo lo scadere del termine, senza che, però, alle parti sia possibile far valere le loro rispettive pretese, con la conseguenza che non si arriverà ad una pronuncia sul merito. La distinzione tra le due opzioni è stata chiarita da Paulsson sostenendo che: « is the objecting party taking aim at the tribunal or at the claim » (6). b) Per stabilire quale sia l’effetto connesso alla fissazione del termine, vi è bisogno di ricorrere all’interpretazione (7). Nella giurisprudenza del TAS si nota, talvolta, la tendenza a considerare la fissazione del termine come una questione relativa alla competenza arbitrale) (8). Cosı̀, ad esempio, in una decisione del TAS (9) si afferma che: « [t]he jurisdiction of an arbitral tribunal is an evident procedural prerequisite of the admissibility of a claim... It is also widely recognized that an agreement to arbitrate may, like other agreements, be limited in time: i.e. the parties may agree in advance to a certain time period, the elapse of which leads to the lapsing of the agreement to arbitrate... The Panel is of the view that after the lapse of the time period provided for in Art. 60 of the FIFA Statutes, and accepted hereby and agreed by the parties, there would be no valid agreement to arbitrate between the parties and the appeal would not be admissible, respectively. In such a case, the CAS would have to decline jurisdiction to rule on the merits of this case and to declare the appeal not admissible ». (5) Per un tale caso si veda quanto affermato dal Tribunale Federale svizzero, riportato in Bull. ASA, 1996, 673, 676. (6) PAULSSON, in Liber Amicorum Robert Briner, 2005, 616. (7) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.3; HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 74. (8) In tal senso anche CAS [25.7.2007 - 2006/A/1166] FC Aarau AG v/ Swiss Football League, par. 49; [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 38; [20.12.2006 - 2006/A/1120] UCI v/ Gonzalez & RFEC, par. 57 s. (9) CAS [15.9.2004 - 2004/A/674] Association P v/ FC V, par. 47 ss. 4 © Copyright - Giuffrè Editore Un’analoga opinione si rinviene nel testo di un’altra decisione (10) dello stesso Tribunale, nella quale si legge: « [t]he Panel is of the view that after the lapse of the time period of ten days provided for in art. 60 of the FIFA Statutes, and accepted and hereby agreed by the parties, there would be no valid agreement to arbitrate between the parties and the appeal would not be admissible, respectively. In such a case, CAS would have to decline jurisdiction to rule on the merits of this case and to declare the appeal not admissible. » Permangono dei dubbi circa la correttezza di una qualificazione della volontà delle parti, quale quella appena riportata (11). Contro di essa depone il fatto che lo scopo perseguito dalle parti con la fissazione del termine è, di norma, quello di far accertare, in maniera tempestiva e, soprattutto, vincolante, la correttezza giuridica — o, a seconda del punto di vista, la contrarietà al diritto — di un provvedimento adottato da un’associazione. Questo scopo, però, è raggiungibile soltanto per mezzo di un termine che serva ad impedire, una volta decorso, che la pretesa giuridica possa essere fatta valere, in modo che, scaduto il termine, l’« impugnazione » di un provvedimento dell’associazione sarà sicuramente esclusa. Se, invece, l’effetto del decorso inutile del termine fosse soltanto quello di far venir meno la competenza arbitrale, continuerebbe a sussistere la possibilità che le parti sottopongano la questione vertente sulla correttezza giuridica del provvedimento associativo all’esame di un altro organo giudicante, che potrebbe essere, ad esempio, un giudice statale. Una tale situazione potrebbe rivelarsi, nella maggior parte dei casi, contraria allo stesso interesse delle parti (12). In favore dell’opinione qui sostenuta, possono citarsi anche le soluzioni adottate dagli ordinamenti statali, i quali, nella misura in cui prevedono dei termini (10) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 56. (11) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1039; HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 74; si veda anche OLG Düsseldorf NJW-RR 1988, 1271, 1272 ss.; HAAS, in HAAS HAUG - RESCHKE (a cura di), Handbuch des Sportrechts, Parte B 2. cap. par. 130. (12) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.3; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par 1039; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione); HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 74; di diversa opinione REICHERT, Handbuch Vereins- und Verbandsrecht, XI ed. 2007, par. 2912. 5 © Copyright - Giuffrè Editore per l’impugnabilità dei provvedimenti associativi (com’è il caso, ad esempio, dell’articolo 75 del Codice Civile svizzero - « ZGB ») (13), impiegano tali termini al fine di escludere l’azionabilità della pretesa, con la conseguenza che una domanda presentata tardivamente risulterà essere infondata, anziché inammissibile (14). c) A questo punto, ci si può chiedere se la decadenza dall’azionabilità del diritto, derivante dall’articolo R49 del Codice TAS, debba essere considerata appartenente al diritto sostanziale od a quello procedurale. Occorre premettere che, nell’indagine che si sta conducendo, con il termine « decadenza » — appena utilizzato — ci si riferisce a quell’istituto elaborato nel diritto tedesco (e presente anche in quello svizzero) che viene denominato « Verwirkung ». Non è questo, certo, il luogo dove può illustrarsi in maniera esaustiva quali siano le similitudini (o le diversità) che gli effetti della « Verwirkung » presentano rispetto ad istituti affini di altri ordinamenti, essendo questo un argomento che meriterebbe una trattazione apposita. Basti qui rilevare che la « Verwirkung » è un istituto di diritto sostanziale (espressione del principio della buona fede) in base al quale, dalla combinazione di un elemento temporale (vale a dire il trascorrere di un determinato periodo di tempo che, però, a differenza della prescrizione non è predeterminato, ma può variare di volta in volta) unito ad un comportamento della parte (cui « nuoce », per cosı̀ dire, la « Verwirkung ») — caratterizzato dall’incompatibilità con l’intenzione di far valere il diritto, tenendo presente anche quanto l’altra parte possa legittimamente dedurre dal comportamento in questione — deriva l’impossibilità di far valere il diritto — come sostenuto nel presente contributo (si veda quanto riportato al paragrafo successivo) — o l’estinzione dello stesso (15). (13) BGE 85 II 525, 536; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 62; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 353. (14) La situazione è analoga anche nel diritto tedesco: cfr. OLG Düsseldorf NJW-RR 1988, 1271, 1272 ss.; cfr. anche RGZ 85, 355, 356 s.; HAAS, in HAAS - HAUG - RESCHKE (a cura di), Handbuch des Sportrechts, Parte B cap. 2, par. 130. (15) Sulle conseguenze giuridiche della « Verwirkung » nel diritto tedesco si veda, ad esempio, MünchKommBGB - ROTH, V ed., 2007, § 242, par. 311 (che propende per l’impossibilità di far valere il diritto) e PALANDT, BGB, 69a ed., 2010, § 242, par. 96 (che, invece, propende per l’estinzione del diritto). 6 © Copyright - Giuffrè Editore Da un punto di vista comparativo, comunque, può rilevarsi che le qualificazioni della « Verwirkung » sono tutt’altro che univoche (16). Mentre, infatti, alcuni ordinamenti giuridici fanno derivare conseguenze analoghe a quelle della « Verwirkung » dal divieto dell’abuso del diritto, altri ordinamenti vedono in essa (o nell’esclusione della possibilità di esercitare l’azione) una rinuncia tacita al diritto od un divieto processuale di far valere una pretesa dubbia (17). Nonostante queste differenze giuridiche, l’esclusione della possibilità di esercitare la pretesa e/o la « Verwirkung » dovrebbero essere, in via di principio, ricondotte — in ragione della stretta connessione con la pretesa che sta alla base — alla lex causae e, quindi, all’articolo R58 del Codice TAS (si veda, però, quanto riportato in seguito). Prima di procedere oltre nell’analisi, comunque, si vuole sottolineare che quando nella presente trattazione si ricorre all’uso del termine « decadenza », esso dovrà intendersi utilizzato in luogo di « Verwirkung ». 3. Non è chiaro se l’inosservanza del termine di decadenza nel procedimento debba essere rilevata dall’arbitro ex offıcio o su eccezione di parte (18). Mentre, ad esempio, il mancato rispetto del termine di decadenza previsto dall’articolo 75 ZGB — paragonabile a quello dell’articolo R49 del Codice TAS — viene rilevato d’ufficio dal giudice statale (svizzero) (19), il TAS tende ad esaminare la decorrenza del termine solo su eccezione di parte. A questo proposito, in una pronuncia del 27 maggio 2003 (20), si legge: « [t]he appeal is admissible... Having no evidence of the date when the FINA Doping Panel decision was sent to the Appellant and (16) KEGEL - SCHURIG, Internationales Privatrecht, IX ed., 2004, § 17 VI 1; NAGEL GOTTWALD, Internationales Zivilprozessrecht, VI ed., 2007, § 5 par. 42 ss. (17) Si veda sul punto MünchKommBGB - SPELLENBERGER, IV ed. 2006, Art. 32 EGBGB, par. 125. (18) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1043. (19) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 75; BezG Zürich, in Causa Sport, 2005, 254, 258; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 62 s.; BSK - HEINI - SCHERRER, ZGB, III ed., 2006, Art. 75 par. 22; si veda anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/674] Association P v/ FC V, par. 76. (20) CAS [27.5.2003 - 2002/A/432] Demetis v/ FINA, in REEB (a cura di), Digest of CAS Awards III 2001-2003, 2004, 419, 422; [31.1.2006 - 2005/A/971] RBF v/ IBF, par. 6.2.1: « The Respondent has raised no objection regarding the timeliness of the Appellant’s Statement of Appeal ». 7 © Copyright - Giuffrè Editore as the Respondent did not challenge the admissibility of the appeal, the Panel considers that the Statement of Appeal was filed within the deadline of one month set by... the FINA Constitution ». Una simile opinione è difficilmente conciliabile con la natura di diritto sostanziale del termine di decadenza, visto che la conseguenza di quest’ultima non è quella di impedire che il diritto possa essere esercitato, bensı̀ quella di far sı̀ che esso venga meno. Se, quindi, le parti fanno delle allegazioni su determinati fatti che indicano una mancata osservanza del termine, l’arbitro sarà tenuto a prendere in considerazione — come per le altre eccezioni (21) — la possibilità che l’inosservanza in questione si sia verificata (22). Ciò significa che la parte che vi abbia interesse non è tenuta a far valere le conseguenze legali che derivano da tali fatti — come per un’eccezione — al fine di far valere l’inosservanza del termine. Dalla questione dell’esame d’ufficio deve, però, distinguersi quella sull’incombenza dell’onere di formulare le allegazioni necessarie alla sussunzione giuridica nella fattispecie astratta rilevante. Tale incombenza è a carico delle parti. Non vi è, quindi, un principio che imponga all’arbitro di condurre d’ufficio delle indagini. Non è del tutto chiaro, però, su quale parte gravi l’onere dell’allegazione e quello della prova per quanto concerne il mancato rispetto del termine. Per ciò che riguarda la previsione dell’articolo 75 ZGB, comunque, l’opinione dominante ritiene che l’onere di allegazione e quello della prova siano posti a carico della parte che intende far valere la mancata osservanza del termine (23). III. Il termine di ventuno giorni, previsto dall’articolo R49 del Codice TAS, ha natura sussidiaria, risultando applicabile soltanto in assenza di un diverso termine stabilito dalle parti. Un termine diverso può essere previsto nei regolamenti delle associazioni, i cui provvedimenti rappresentano l’oggetto dell’« appello », oppure in un accordo separato intercorso tra le parti. Alcune associazioni hanno adottato, nei loro regolamenti, il termine di ventuno giorni, fissato nel Codice TAS (si veda, ad esempio, l’articolo 61, primo comma, (21) Sul diritto svizzero si veda SCHALLER, Einwendungen und Einreden im schweizerischen Schuldrecht, 2010, par. 163 ss. (22) Si veda anche RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1043; cfr. anche ZEN-RUFFINEN, in Causa Sport, 2007, 67, 81 s. (23) BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 75. 8 © Copyright - Giuffrè Editore dello Statuto FIFA). È piuttosto comune, tuttavia, che le varie associazioni sportive facciano uso della facoltà di stabilire un termine diverso da quello in oggetto (24). Dei termini diversi si trovano, ad esempio, all’articolo 62, terzo comma, dello Statuto UEFA (dieci giorni), all’articolo 15, secondo comma, della Costituzione IAAF (sessanta giorni), all’articolo 59, terzo comma, dello Statuto AIBA (trenta giorni) ed all’articolo L1.9 del Regolamento Interno FIBA (trenta giorni). Le normative delle associazioni presentano anche, talvolta, delle divergenze rispetto al Codice TAS per quanto riguarda le modalità del computo dei termini e dove — vale a dire l’autorità presso cui — la richiesta d’arbitrato vada presentata (si veda anche quanto riportato in seguito) (25). 1. a) Se si segue l’opinione sostenuta nel presente contributo e si ritiene, quindi, che il « termine per la proposizione dell’appello » dell’articolo R49 del Codice TAS appartenga al diritto sostanziale, è ben possibile che dei limiti all’autonomia delle parti derivino dal diritto applicabile al merito della controversia (articolo R58 del Codice TAS). Nel caso in cui al merito risulti essere applicabile il diritto svizzero, una limitazione dell’autonomia delle parti parrebbe, almeno a prima vista, profilarsi (26), visto che il Codice Civile di tale ordinamento contiene una previsione, quella dell’articolo 75, che fissa un termine per l’impugnazione dei provvedimenti adottati dalle associazioni (27). La previsione ora menzionata, infatti, recita: (24) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1032; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione); si veda anche CAS [4.7.2005 - 2005/A/831] IAAF v/ Hellebuyck (Preliminary Decision); [27.5.2003 - 2002/A/432] Demetis v/ FINA, in REEB (a cura di), Digest of CAS Awards III 2001-2003, 2004, S. 419, 422; [28.7.2000 - 2000/A/262] Roberts v/ FIBA, in REEB (a cura di) Digest of CAS Awards II 1998-2000, 2002, S. 377, 380; [20.6.2006 - 2006/A/ 1065] Williams v/ FEI. (25) Sulla questione vertente sull’ammissibilità di simili previsioni, si veda CAS [20.6.2006 - 2006/A/1065] Williams v/ FEI. (26) Si veda sul punto CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 75 ss.; NATER, in SpuRt 2006, 139 s.; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1040 ss.; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (27) La previsione viene interpretata — contro il suo tenore letterario — in maniera piuttosto ampia e viene applicata anche alle decisioni degli organi dell’associazione che riguardano la competenza che la legge o gli statuti attribuiscono all’associazione stessa; cfr. BGE 118 II 12, E. 3b; 108 II 15, E. 2; Handkommentar zum Schweizerischen Recht, NIGGLI, 2007, Art. 75 ZGB par. 6 f.; HEINI - PORTMANN, in TERCIER (a cura di), Das Schweizerische 9 © Copyright - Giuffrè Editore « Ogni [associato] ha, per legge, il diritto di contestare davanti al giudice le risoluzioni contrarie alla legge od agli statuti ch’egli non abbia consentite, entro un mese da quando ne ha avuto conoscenza ». Il termine dell’articolo 75 ZGB è imperativo (28). Ci si chiede, quindi, fino a che punto il Codice TAS o il regolamento di un’associazione possano divergere da quanto stabilito all’articolo 75 ZGB (qualora al merito della controversia debba essere applicato il diritto svizzero). Secondo una corretta opinione, però, non si ritiene che vi sia alcun conflitto tra il disposto dell’articolo R49 del Codice TAS (o delle analoghe previsioni contenute nei regolamenti delle varie associazioni) e quello dell’articolo 75 ZGB. Visto, infatti, che ai sensi dell’articolo R58 del Codice TAS — in base al quale si determina il diritto applicabile al merito della controversia — a dover trovare applicazione sono, in primo luogo, le disposizioni contenute nei regolamenti delle associazioni, la legislazione ordinaria (ad esempio il diritto svizzero) andrà applicata soltanto in maniera sussidiaria o integrativa, qualora una determinata questione non sia regolata (in maniera esaustiva) dalla normativa associativa. Quest’ultima normativa (od il termine previsto dall’articolo R49 del Codice TAS), quindi, ha precedenza applicativa — almeno nell’ambito dei procedimenti arbitrali « internazionali » — rispetto al diritto statale (nel caso di cui si tratta, l’articolo 75 ZGB) (29). Quanto appena sostenuto risulta essere valido anche nel caso in cui la normativa associativa sia in contrasto con le disposizioni imperative del diritto (sussidiariamente) applicabile al merito della controversia. L’articolo 75 ZGB non limita l’autonomia delle parti di stabilire un termine di decadenza neppure qualora il diritto svizzero debba trovare piena applicazione alla controversia (30). Vereinsrecht, Bd II/5, III ed., 2005, par. 281; BSK - HEINI - SCHERRER, ZGB, III ed., 2006, Art. 75 par. 3 ss. (28) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 75; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 63 par. 13; NATER, in SpuRt, 2006, 139; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 98, 248; ZEN-RUFFINEN, in Causa Sport, 2007, 67, 71; RIEMER, in Causa Sport, 2005, 359, 360; HEINI - PORTMANN, in TERCIER (a cura di), Das Schweizerische Vereinsrecht, Bd II/5, III ed. 2005, par. 281. (29) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.7; RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1042. (30) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.7; in particolare anche CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya, par. 10 © Copyright - Giuffrè Editore b) L’autonomia delle parti nella fissazione della lunghezza del termine viene limitata anche dall’ordine pubblico (31). L’ordine pubblico è il « nucleo centrale » degli ordinamenti giuridici, i quali si oppongono all’applicazione di norme di diritto ad esso (cioè a tale « nucleo ») estranee e con esso non conciliabili (32). La contrarietà all’ordine pubblico è uno dei motivi che — ai sensi dell’articolo 190, secondo comma, lett. e) della Legge Svizzera sul Diritto Internazionale Privato (di seguito « LDIP ») — giustificano l’annullamento del lodo. È evidente, quindi, che l’arbitro dovrà prestare una particolare attenzione ad emettere un lodo che sia il più possibile « a tenuta di Tribunale Federale », non applicando alcuna norma che possa essere in contrasto con l’ordine pubblico. aa) Se l’ordine pubblico, che l’arbitro è tenuto a rispettare, corrisponde ai criteri indicati alla lettera e) del secondo comma dell’articolo 190 LDIP (33), è evidente che il suo contenuto non si determina né secondo l’ordine pubblico svizzero, cui si riferisce l’articolo 17 LDIP, né in base all’ordine pubblico di qualche altro stato (34). Tale ordine pubblico è rappresentato, stando alla giurisprudenza del Tribunale Federale, da un ordine pubblico universale o internazionale (35). Si tratta qui di un ordine pubblico universale o transnazionale, spogliato della concezione prettamente svizzera (36). Le definizioni date fin qui dal Tribunale Federale sono molteplici e presentano notevoli sfaccettature. In esse, infatti, ci si riferisce ai 56; BERNASCONI - HUBER, in SpuRt, 2004, 268, 270; NATER, in SpuRt, 2006, 139, 143 s.; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1041; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (31) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.8; ZK-IPRG/HEINI, II ed., 2004, Art. 187 par. 18; si veda anche KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage International, II ed., 2010, par. 657 (32) KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage international, II ed., 2010, par. 655. (33) BSK-IPRG/KARRER, II ed., 2007, Art. 187 par. 204. (34) ZK-IPRG/HEINI, II ed., 2004, Art. 187 par. 18; BGE 120 II 155, E. 6a. (35) Si vedano BGer 05.01.07 [4P.210/2006], E. 4.1; BGer 08.03.06 [4P.278/2005], E. 2.2.2; BGE 120 II 155, E. 6a, nelle quali, ad esempio, il Tribunale Federale ha ricondotto a questo « ordine pubblico universale » il principio pacta sunt servanda, quello dell’affidamento e quello del divieto dell’abuso del diritto; BSK-IPRG/KARREN, II ed., 2007, Art. 187, par. 219, con altre indicazioni; ZK-IPRG/HEINI, Art. 187, par. 4 (con riferimento alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo come « ordine pubblico transnazionale »). (36) KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage International, II ed. 2010, par. 666; ZKIPRG/HEINI, II ed., 2004, Art. 187, par. 18; si veda anche PORTMANN, in Causa Sport, 2006, 200, 203 e 205. 11 © Copyright - Giuffrè Editore « diritti o valori giuridici fondamentali riconosciuti da ogni stato civilizzato » (37), ai principi « predominanti in uno stato di diritto » (38) od ai « principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, nel modo in cui essi sussistono in Svizzera » (39). Visto che non tutti gli Stati hanno i medesimi valori, si potrebbe parlare qui di un ordine pubblico internazionale con una « colorazione svizzera ». Ci si deve, quindi, sempre chiedere se l’ordinamento giuridico da considerarsi sia in armonia con l’ordine pubblico internazionale in questione ovvero se, in altri termini, tale ordinamento riconosce i valori fondamentali che, secondo l’opinione dominante in Svizzera, dovrebbero costituire la base di ogni ordinamento giuridico (40). All’ordine pubblico di cui si tratta dovrà ritenersi appartenere anche il diritto alla tutela giurisdizionale (previsto anche dall’articolo 29 della Costituzione federale svizzera). Per tale motivo, una disposizione sul termine per la proposizione dell’appello (contenuta nei regolamenti di un’associazione) che abbia l’effetto di privare l’interessato della tutela giurisdizionale, o renda irragionevolmente difficile l’esercizio di quest’ultima, è da considerarsi inefficace. bb) Sembra riscontrarsi un ampio consenso sul fatto che il termine previsto dall’articolo 75 ZGB (o, meglio, la sua lunghezza) non debba essere considerato come il minimo di tutela giurisdizionale richiesto dalla riserva di ordine pubblico (41). Nel paragone con il termine previsto dall’articolo 75 ZGB, inoltre, deve anche considerarsi che se tale termine si riferisce al deposito di tutta la documentazione introduttiva del procedimento (compresa la memoria di appello), quello dell’articolo R49 del Codice TAS si riferisce soltanto al deposito della « dichiarazione di appello » (lo « Statement of Appeal », di cui all’articolo R48 del Codice TAS) — relativamente semplice da redigere — mentre per il deposito della memoria contenente le motivazioni dell’« appello » proposto (« Appeal Brief ») si prevede un ulteriore termine di dieci giorni, decorrenti a partire dalla (37) BGE 128 III 234, E 4c. (38) BGE 128 III 191, E 4a. (39) BGer 08.04.05 [4P.253/2004], E 3.1. (40) BGer 05.01.07 [4P.210/2006], E 4.1. (41) RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1041; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione); per una diversa opinione si veda RIEMER, in Causa Sport, 2005, 359, 360. 12 © Copyright - Giuffrè Editore scadenza del termine per la proposizione dell’« appello » (« within ten days following the expiry of the time limit for the appeal ») (articolo 51 del Codice TAS; sul punto si veda quanto riportato in precedenza). Se, allora, i termini degli articoli R49 e R51 del Codice TAS vengono considerati congiuntamente, dovrà senz’altro escludersi che possa riscontrarsi un difetto di tutela giurisdizionale (contrario all’ordine pubblico) (42). (1) Il tentativo delle associazioni di impedire la verifica della correttezza delle decisioni da esse adottate, tramite la previsione di un termine (eccessivamente) breve, è piuttosto comune. Non sempre è chiaro, però, quando ci si trovi difronte ad una violazione di principi fondamentali caratteristici dello stato di diritto e, quindi, ad una violazione dell’ordine pubblico. Nel compiere una simile analisi non può obliterarsi il dato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto legittima una compressione del diritto di accesso alla giustizia (statale) — riconducibile all’articolo 6, primo comma, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali — nel caso in cui ciò risulti essere « in the interest of good administration of justice » (43). In tale contesto, la Corte ha sempre fatto riferimento all’ammissibilità dei termini per la proposizione della domanda nell’interesse della certezza giuridica (44). La compatibilità con l’ordine pubblico di un termine per la proposizione dell’appello dipenderà, quindi, dalle circostanze del caso concreto (45). È evidente, ad esempio, che per quanto concerne (42) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.8; si veda anche RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1041; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (43) Cfr. Corte EDU (8.7.1986) Lithgow and Others v/ The United Kingdom (Application no. 9006/80; 9262/81; 9265/81; 9266/81; 9405/81) par. 194; si veda, inoltre, Corte EDU (27.2.1980) Deweer v/ Belgium (Application no. 6903/75) par. 49; (18.2.1999) Waite & Kennedy v/ Deutschland, NJW 1999, 1173, 1174, par. 59; Corte EDU (13.7.1990) Axelsson and Others v/ Sweden (Application no. 11960/86); sul punto anche BRINER - VON SCHLABRENDORFF, in Liber amicorum Böckstiegel, 2001, 89, 91. (44) Si veda la documentazione riportata da VILLIGER, Handbuch der Europäischen Menschenrechtskonvention, II ed., 1999, § 19 par. 432 ss. (45) Si veda anche Corte EDU (8.7.1986) Lithgow and Others v/ The United Kingdom (Application no. 9006/80; 9262/81; 9265/81; 9266/81; 9405/81) par. 194: « The right of access to the courts secured by Article 6 para 1 is not absolute but may be subjected to limitations; these are permitted by implication since the right of access by its very nature 13 © Copyright - Giuffrè Editore le decisioni adottate in occasione delle competizioni sportive, per le quali — in vista di particolari esigenze legate allo svolgimento di dette competizioni, ancora in corso — è importante che la certezza giuridica sia raggiunta in maniera rapida e definitiva, dovrà preventivarsi la fissazione di un termine per la proposizione della domanda più breve, rispetto a quello relativo alle altre decisioni dell’associazione per le quali non sussistano le medesime esigenze di rapidità. Nell’ambito della valutazione del diritto alla tutela giurisdizionale e dell’interesse « of good administration of justice », inoltre, non si può evitare di considerare anche il dato che i termini previsti per l’esercizio di tale diritto nei confronti di una decisione di un’associazione non sono, nella maggior parte dei casi, il risultato di un « libero » accordo, intervenuto tra l’associazione sportiva e l’atleta, ma rappresentano delle regole di diritto stabilite unilateralmente dall’associazione stessa. Per stabilire se il termine per la proposizione della domanda è ragionevole, allora, nell’interesse della « parte debole » dovrebbe evitarsi di fissare un limite troppo « indulgente » (in favore dell’adeguatezza del termine). Secondo una corretta opinione, infatti, l’interesse generale dell’associazione ad una rapida risoluzione delle controversie non può giustificare a priori la fissazione, a proprio piacimento, di termini brevi per la richiesta di tutela giurisdizionale. La fissazione di termini brevi, invece, dovrà essere accompagnata da validi motivi che la giustifichino, motivi che dovranno essere tanto più importanti, quanto più brevi sono i termini che l’associazione intende stabilire. Alla luce di tali indicazioni, un termine di dieci giorni per il deposito dello « Statement of Appeal » dovrebbe essere considerato — in via di principio — sufficiente (anche per i casi in cui non vi sia una particolare esigenza di rapidità) (46). Alla stessa stregua, deve ritenersi lecita la previsione di una norma che fissa un primo termine di dieci giorni, decorrenti dalla notifica del dispositivo, entro il quale l’interessato deve richiedere la decisione corredata delle motivazioni, calls for regulation by the State, regulation which may vary in time and in place according to the needs and resources of the community and of individuals. In laying down such regulation, the Contracting States enjoy a certain margin of appreciation, but the final decision as to observance of the Conventions’ requirements rests with the Court. It must be satisfied that the limitations applied do not restrict or reduce the access left to the individual in such a way or to such an extent that the very essence of the right is impaired ». (46) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.8; si veda nache OSWALD, in ZEN-RUFFINEN (a cura di), Le temps et le droit, 2008, 238, 250. 14 © Copyright - Giuffrè Editore cui segue un secondo termine di altri dieci giorni, decorrente dalla data di notifica della documentazione richiesta, entro il quale va depositato lo « Statement of Appeal » (47). È evidente, invece, che il limite dell’ordine pubblico risulterebbe sicuramente violato qualora i regolamenti dell’associazione prevedano — senza che ricorra una valida giustificazione legata alle peculiarità dello sport — un termine per la proposizione della domanda di arbitrato al TAS della durata (esigua) di uno o due giorni. Una situazione problematica si profila, poi, quando gli statuti delle associazioni, pur prevedendo la possibilità di proporre appello al TAS (ed il relativo termine), prescrivano il previo ricorso ad un procedimento associativo (interno), la cui istituzione vada richiesta in un termine estremamente breve. In questo contesto si fa spesso notare che anche gli ordinamenti (processuali) nazionali prevedono, non di rado, dei termini molto brevi, entro i quali ci si può avvalere dei mezzi di impugnazione contro le sentenze dei giudici statali. Tale paragone, però, si rivela inadeguato sotto più punti di vista. Deve, innanzitutto, ricordarsi che il termine dell’articolo R49 del Codice TAS è un termine di decadenza di diritto sostanziale. Ora, è ben noto che i termini di decadenza di diritto sostanziale sono generalmente assai più lunghi di quelli previsti per i procedimenti davanti ai giudici statali. Deve anche rilevarsi, inoltre, che nel caso dei procedimenti di giustizia ordinaria, anche qualora vengano previsti dei termini molto brevi per le impugnazioni, la decisione che si vuole impugnare viene emanata, di norma, da un giudice statale di prima istanza. Al contrario, quando a dover essere impugnata è la decisione di un’associazione, il TAS rappresenta la prima (vera) istanza di giudizio. Ed infatti, anche se il procedimento viene denominato « appeal arbitration procedure », dietro di esso si nasconde, invece, un (vero e proprio) procedimento di primo grado. Le decisioni (interne) di un’associazione, del resto, non possono certo essere equiparate ai procedimenti di primo grado che si svolgono davanti ai giudici statali. In considerazione di quanto appena riportato, quindi, sembra doversi ritenere che la previsione di un termine per la proposizione della domanda di arbitrato al TAS della durata inferiore ai dieci giorni — senza che una simile previsione sia accompagnata da valide giustificazioni — debba essere considerata perlomeno problematica in vista della riserva di ordine pubblico. 8.2.8. (47) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 15 © Copyright - Giuffrè Editore (2) Nel diritto svizzero vi sono — essenzialmente — due diversi mezzi per impugnare una decisione di un’associazione. Il primo di essi è la domanda di annullamento prevista dall’articolo 75 ZGB, che è un’azione costitutiva (48). L’altro mezzo, invece, è quello con il quale l’interessato può far constatare la nullità di un provvedimento dell’associazione, da parte di un giudice ordinario, tramite un’azione di accertamento per la quale, diversamente dall’azione prevista dall’articolo 75 ZGB, non è previsto alcun termine (49). L’azione di mero accertamento, però, ha delle possibilità di successo soltanto quando la decisione impugnata sia contraria ad una determinata legge od allo statuto, cosa che non sempre si rivela agevole da appurare (50). In caso di dubbio, il diritto svizzero parte dal presupposto che — al fine di evitare situazioni di incertezza giuridica — non vi sia nullità del provvedimento, ma semplice impugnabilità. Per questa ragione, la parte interessata propone — in pratica — per lo più la domanda di annullamento ai sensi dell’articolo 75 ZGB, visto anche che con essa possono farsi valere pure i vizi di nullità (51). In considerazione della situazione del diritto (sostanziale) svizzero, ci si interroga anche sulla portata dell’articolo R49 del Codice TAS, vale a dire se il « termine d’appello » si applichi, o meno, a tutte le domande volte ad impugnare un provvedimento adottato dall’associazione. La questione è di una certa importanza, poiché, se ad essa dovesse darsi una risposta affermativa, in seguito al decorso del termine, l’interessato non potrebbe far valere — salvo si sia verificata una violazione dell’ordine pubblico — neppure errori madornali o assai gravi. c) L’autonomia concessa alle parti dall’articolo R49 del Codice TAS ha ad oggetto, evidentemente, la lunghezza del « termine d’appello ». È dubbio, invece, se tale autonomia si estenda anche ad altre questioni, che sono strettamente legate a quella della lunghezza del termine, come l’inizio della decorrenza del termine, le modalità di notifica o la questione vertente sul fatto se, per stabilire il rispetto del termine, debba valere il « principio di emissione » dell’atto, o (48) (49) - SEEMANN, (50) (51) HEINI - PORTMANN - SEEMANN, Grundriss des Vereinsrechts, 2009, par. 228. BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 91; HEINI - PORTMANN Grundriss des Vereinsrechts, 2009, par. 229. BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 92 ss. HEINI - PORTMANN - SEEMANN, Grundriss des Vereinsrechts, 2009, par. 229. 16 © Copyright - Giuffrè Editore quello della « ricezione » dello stesso (52). Poiché le questioni ora menzionate incidono — in maniera indiretta — sulla lunghezza del termine, pare doversi ritenere che anch’esse rientrino nell’ambito dell’autonomia che l’articolo R49 del Codice TAS riconosce alle parti, con la conseguenza che eventuali (divergenti) previsioni contenute nei regolamenti delle associazioni a questo riguardo, prevalgono su quanto stabilito all’articolo R49 del Codice TAS (53). 2. L’articolo R49 del Codice TAS stabilisce che l’autonomia concessa alle parti venga esercitata tramite la previsione di un termine nei regolamenti dell’associazione (ai quali l’altra parte si è assoggettata), oppure tramite la conclusione di un apposito accordo (« agreement ») tra le parti sulla lunghezza del termine (che può essere contenuto, ovviamente, anche in un accordo di natura più ampia, che non si limita, cioè, a stabilire l’entità del termine). Se il termine per la proposizione dell’appello viene previsto nei regolamenti dell’associazione, quest’ultima sarà tenuta a rispettare i principi giuridici (formali e materiali) valevoli per la modifica dei regolamenti stessi. La fissazione del termine, in particolare, dovrà essere effettuata dagli organi competenti e si dovrà osservare la gerarchia delle norme dell’associazione, il che significa che la fissazione del termine non può essere effettuata in violazione di norme associative di rango superiore (54). È dubbio se l’accordo delle parti sulla lunghezza del termine d’appello possa essere concluso soltanto prima, o anche dopo, il decorso del termine di decadenza dell’articolo R49 del Codice TAS. Un accordo successivo è problematico laddove il termine serve anche alla tutela dell’interesse di terzi (55), ossia a garantire l’esigenza di certezza giuridica anche al di fuori della stretta cerchia delle sole parti che si oppongono nel procedimento. In un tale caso il termine d’appello è sicuramente sottratto alla disponibilità delle parti e non può, quindi, essere modificato dopo il suo decorso. Anche negli altri (52) Su questo punto si veda anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (53) In questo senso anche CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya, par. 56. (54) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.10 ss. (55) Cosı̀ sul termine dell’articolo 75 ZGB RIEMER, in Causa Sport, 2005, 359, 360. 17 © Copyright - Giuffrè Editore casi (almeno ad una prima impressione), comunque, il testo dell’articolo R49 del Codice TAS sembra non prestarsi ad una modifica « tardiva », visto che ci si riferisce ad un « previous agreement », per la fissazione di un termine diverso da quello stabilito. Non si comprende, tuttavia, per quale motivo alle parti dovrebbe venire interdetto — a priori — un prolungamento di comune accordo del termine (di diritto materiale) di decadenza dopo la proposizione della domanda (56). IV. 1. Come osservato in precedenza, la decadenza (ovvero la decadenza dal potere di esercitare l’azione) si determina — in via di principio — in base al diritto applicabile al merito della controversia (articolo R58 del Codice TAS) (57). Lo stesso vale, inoltre, anche per tutte le altre questioni connesse al computo del termine. Se, allora, i regolamenti dell’associazione presentano delle lacune per ciò che concerne il computo dei termini, dovrà farsi ricorso — salvo diversa statuizione in detti regolamenti o diverso accordo tra le parti — ad un’applicazione integrativa del diritto dello stato nel quale l’associazione ha la propria sede (si veda l’articolo R58 del Codice TAS). È dubbio, invece, se lo stesso valga nel caso in cui il termine per la proposizione dell’appello non sia stabilito nei regolamenti dell’associazione, ma sia quello dell’articolo R49 del Codice TAS. In tale caso, in effetti, non sembra che l’applicazione in via integrativa del diritto statale della sede dell’associazione possa essere affermata in maniera altrettanto chiara, visto che a dover essere applicata in via principale non è una regola stabilita dall’associazione, bensı̀ una norma emanata da un’istituzione, il TAS, che ha sede in Svizzera e che è volta a disciplinare i procedimenti che si svolgono davanti ad essa. Considerando le valutazioni giuridiche alla base della formulazione dell’articolo R58 del Codice TAS, il riferimento in via sussidiaria andrebbe fatto al diritto dello stato nel quale ha sede l’istituzione che ha emanato la norma (sul termine). A trovare (56) In CAS [8.9.2005 - 2004/A/727] De Lima BOC v/ IAAF, par. 21, e CAS [18.3.2005 - 2004/A/769] Bouyer v/ UCI & AMA, par. 32 ss., il termine di decadenza viene considerato di natura meramente dispositiva. (57) In tal senso CAS 2004/A/953 [25.11.2005] Dorthe c/ IIHF, par. 50; [2007/A/ 1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James, par. 6.2.; [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.4; per una diversa opinione, secondo la quale deve farsi riferimento al diritto svizzero, si veda RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). 18 © Copyright - Giuffrè Editore applicazione al computo dei termini, pertanto, deve essere — salvo diversa previsione contenuta nei regolamenti dell’associazione — il diritto svizzero quale diritto della sede dell’arbitrato (58). 2. Ai sensi del dettato dell’articolo R49 del Codice TAS, il termine inizia a decorrere a partire dalla ricezione della decisione contro la quale si presenta l’appello (« twenty-one days from the receipt of the decision appealed against »). a) L’inizio della decorrenza del termine è determinato, secondo quanto previsto dall’articolo R49 del Codice TAS, dalla ricezione della decisione contro la quale l’appello si rivolge. aa) Con la parola « decisione », utilizzata all’articolo R49 del Codice TAS, si intende — essenzialmente — la « decisione completa »: « Per poter essere considerata completa, la decisione deve essere corredata delle motivazioni. Infatti, soltanto quando l’interessato abbia ricevuto il testo integrale della decisione, gli sarà possibile valutare i “rischi” di un procedimento d’appello. Se il dispositivo viene comunicato all’interessato separatamente, la valutazione delle “prospettive di successo” dell’appello che si vuole proporre potrà essere fatta soltanto a partire dal momento in cui venga trasmessa anche la motivazione della decisione ed è solo da questo momento che inizia a decorrere il termine per la proposizione dell’appello (59). Dalla questione concernente l’inizio del decorso del termine è da distinguere quella vertente sulla possibilità, per l’interessato, di proporre appello al TAS già dopo la (sola) comunicazione del dispositivo e, quindi, prima ancora che il termine inizi a decorrere (60). A tale domanda deve darsi una risposta affermativa, visto che con l’emanazione del dispositivo la decisione è quasi “in mundo”, vale a dire non è più un affare interno dell’organo giudicante ed è quindi, sostanzial- (58) Alla stessa conclusione giunge anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (59) Cfr. CAS [15.4.2008 - 2007A/1322] Giuseppe Giannini et al v/ S.C. Fotebal Club SA, par. 7.2. (60) Si veda sul punto CAS [15.4.2008 - 2007A/1322] Giuseppe Giannini et al v/ S.C. Fotebal Club SA, par. 7.3. 19 © Copyright - Giuffrè Editore mente, impugnabile. Ciò sempre, però, che i regolamenti applicabili non stabiliscano che si possa impugnare soltanto la decisione motivata. Se cosı̀ fosse, l’appello potrà essere presentato — di norma (61) — soltanto dopo che le motivazioni siano state rese note. Se un provvedimento dell’associazione decide solo su una parte della controversia ed è (separatamente) impugnabile presso il TAS, il termine per la proposizione dell’appello inizia a decorrere per tale provvedimento parziale, senza che debba attendersi la decisione vertente sui restanti punti della controversia. Alla decisione “completa” non appartengono — salvo che la normativa dell’associazione non preveda diversamente — le indicazioni relative ai mezzi di impugnazione. L’inclusione nella decisione di dette indicazioni, quindi, non è necessaria per l’inizio del decorso del termine (si veda anche quanto riportato in seguito). I regolamenti dell’associazione possono anche prevedere — in difformità rispetto all’articolo R49 del Codice TAS — che il termine cominci a decorrere solo a partire dal momento della ricezione di tutti gli atti del procedimento e non, invece, già dalla sola notifica della decisione (62). bb) Con l’espressione « ricezione », utilizzata nell’articolo R49 del Codice TAS, si intende che la decisione deve essere pervenuta sotto la « sfera di controllo » dell’interessato (o del suo rappresentante o di altra persona autorizzata). È dubbio se al termine in questione debba essere attribuito anche il significato secondo il quale l’interessato debba avere l’effettiva possibilità di prendere conoscenza della decisione. Una simile questione può assumere una certa rilevanza nel caso in cui la decisione venga trasmessa via fax all’interessato ad un’ora talmente tarda che, in circostanze normali, non si dovrebbe ritenere che lo stesso ne venga a conoscenza nello stesso giorno in cui la decisione è stata inviata. La problematica va affrontata facendo riferimento al diritto applicabile al merito della contro- (61) Ad una conclusione diversa dovrà arrivarsi qualora la decisione cominci a produrre degli effetti nei confronti dell’interessato ancor prima che la motivazione venga resa nota. (62) Si veda, ad esempio, CAS [7.4.2009 - 2008/A/1675] UCI v/ Ariel M. Richeze et UCRA, par. 51. 20 © Copyright - Giuffrè Editore versia ed al diritto svizzero (63). Quest’ultimo prevede che, per ritenersi giunta al destinatario, non è sufficiente che la dichiarazione di volontà (ma anche la decisione) sia pervenuta nella disponibilità (o sotto la « sfera di controllo ») dell’interessato, ma è necessario anche che quest’ultimo abbia la (effettiva) possibilità di prenderne cognizione (64). Il principio ora enunciato dovrà essere utilizzato anche nell’interpretazione dell’articolo R49 del Codice TAS (65). Ciò posto, è chiaro, però, che non rileva il fatto che l’interessato abbia concretamente preso cognizione della decisione, oppure no (66). Accade, talvolta, che la notifica della decisione venga fatta al destinatario a mezzo di lettera raccomandata. Nel caso in cui l’interessato non venga reperito all’indirizzo presso cui la notifica deve avvenire, al destinatario della corrispondenza viene lasciata una comunicazione nella propria cassetta postale, con la quale si indica che è stato compiuto un tentativo di notifica e che la relativa documentazione può essere ritirata (entro un determinato lasso di tempo) presso gli uffici postali. Ci si può chiedere, allora, cosa succeda se l’interessato non abbia ritirato la corrispondenza a lui destinata entro tale lasso di tempo e la decisione sia stata rinviata all’ente sportivo. Nel diritto svizzero, ad esempio, in un simile caso si presume che la notifica o la ricezione siano avvenute (67). È dubbio, però, se lo stesso principio sia applicabile anche all’articolo R49 del Codice. Ed infatti, deve notarsi che, in primo luogo, la regola sulla « ricezione fittizia », appena menzionata, si rivolge al caso di una notificazione da effettuarsi in Svizzera (tramite l’impiego dei servizi postali di tale Paese). Oltre a ciò, poi, va rilevato che l’applicazione della nozione di « ricezione fittizia » non viene condivisa dagli altri ordinamenti (68). Va notato, infine, che la disposizione dell’articolo R49 si pre- (63) Cfr. anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (64) BGE 118 II 42, E. 3b; si veda anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 60. (65) CAS [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPD, par. 40 (qui, però, con un’interpretazione restrittiva del principio). (66) CAS [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPD, par. 40; si veda anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 60. (67) Si veda l’articolo 138 del Codice di procedura civile oppure ATF 107 II 189, 191 s. (68) Per il diritto tedesco, si veda, ad esempio: Tribunale Federale (BGH) NJW 1998, 976, 977; per il diritto austriaco: Tribunale Federale (OGH) [12.1.1971] Az. 4Ob102/70. 21 © Copyright - Giuffrè Editore figge di disciplinare in maniera uniforme (a livello internazionale) tutte le problematiche legate al termine in essa previsto. Proprio per tale ragione, quindi, la regola enunciata dall’articolo R49 del Codice TAS deve essere considerata « esaustiva », senza che vi sia spazio per il ricorso — anche in via sussidiaria — alla normativa svizzera sulla « notifica fittizia » (tramite lettera raccomandata) (69). Se il regolamento dell’associazione prevede determinati requisiti di forma, secondo i quali la decisione deve essere resa nota all’interessato (ad esempio a mezzo di lettera raccomandata, plico raccomandato con ricevuta di ritorno, fax, ecc.), essi vanno rispettati (70). È dubbio, tuttavia, come debba procedersi nel caso in cui le regole in questione non siano state osservate ma l’interessato abbia, comunque, ricevuto la decisione completa. Le conseguenze dipendono dal fatto che la forma (di notifica) concordata — secondo il volere delle parti — abbia natura costitutiva oppure meramente dichiarativa. Alla forma va attribuita natura costitutiva quando dal rispetto della stessa dipendono l’efficacia della decisione o della dichiarazione contenuta nell’atto ed il relativo decorso del termine (71). Di una natura dichiarativa si parlerà, invece, quando il rispetto della forma sia finalizzato soltanto ad uno scopo documentativo od a quello della prova (72). Sembra doversi ritenere che in caso di accordo su una forma determinata, a quest’ultima debba essere attribuita — nel dubbio — soltanto un’efficacia (o « natura ») dichiarativa. Cosı̀, se i regolamenti dell’associazione prevedono che la decisione sia trasmessa « a mezzo di lettera raccomandata », è chiaro che la forma scritta è un requisito di natura costitutiva della decisione. Alla modalità con cui essa va comunicata (« tramite raccomandata »), invece, va attribuita — nel dubbio — una natura meramente dichiarativa, con la conseguenza che la decisione dell’associazione sarà efficace (recepita e determinerà l’inizio del decorso del termine) anche qualora il destinatario l’abbia ricevuta in un modo diverso da quello stabilito (ad esempio via fax) (73). (69) CAS [21.2.2012 - 2011/A/2506] Yassine Chikhaoui v/ Stéphane Canard, no. 6.9 ss. (70) CAS [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.6; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (71) In tal senso CAS [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.6 (la questione, tuttavia, non è stata, poi, decisa). (72) Sul diritto tedesco, si veda MünchKommBGB-Einsele, V ed. 2006, § 127 par. 4 s. (73) Cosı̀ — in generale — sugli accordi sulle modalità di comunicazione delle di- 22 © Copyright - Giuffrè Editore b) aa) Il testo dell’articolo R49 del Codice TAS non aiuta a capire come vada computato il termine in esso contenuto, visto che la previsione non è sufficientemente chiara (74). La recente revisione del Codice non ha, purtroppo, fatto luce sul punto. La stessa giurisprudenza del TAS su tale (importante) questione non è univoca (75). La problematica si concentra, essenzialmente, sulla possibilità che il computo dei termini venga effettuato facendo riferimento all’articolo R32 del Codice TAS, il quale prevede che: « [t]he time limits fixed under the present Code shall begin from the day after that on which notification by the CAS is received ». Ora, sebbene questa previsione non contenga alcun riferimento all’articolo R49 del Codice TAS, va anche detto che alla sua base vi è un intento che può essere esteso all’articolo da ultimo menzionato (76). Deve, pertanto, ritenersi che la parte che intende proporre l’appello abbia a disposizione ventuno giorni « pieni » per farlo. Cosı̀, per fare un esempio, se la notifica della decisione sarà avvenuta il 2 di ottobre, il termine scadrà il giorno 23 dello stesso mese. Detto termine, infatti, non inizierà a decorrere a partire dal giorno della notifica (il 2 ottobre), bensı̀ da quello successivo (vale a dire il 3 ottobre). Questa modalità di computare i termini corrisponde, tra l’altro, anche a valutazioni che si ritrovano, nel diritto svizzero, all’articolo 132 del Diritto delle Obbligazioni (« OR ») (77) nel combinato con il n. 1 del primo comma dell’articolo 77 OR (78). chiarazioni di volontà nel diritto tedesco BGH NJW 2004, 1320; MünchKommBGB-Einsele, V ed. 2006, § 127 par. 5; Bamberger/Roth/Wendtland, BGB, II ed. 2007, § 125 par. 13. (74) Su questo punto si veda RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1052. (75) Per un inizio del decorso del termine a partire dal giorno dell’avvenuta notifica CAS [2002/A/399 - 31.1.2003] P. v/ FINA, in: Reeb (Hrsg) Digest of CAS Awards III 20012003, 382, 385; per un inizio del decorso del termine a partire dal giorno successivo a quello della notifica, si veda, invece, CAS [2008/A/1705 - 18.6.2009] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.3; [2006/A/1176 - 12.3.2007] Belarus Football Federation v/ UEFA & FAI, par. 7.2; [2008/A/1583&1584 - 15.9.2008] Sport Lisboa e Benfica Futebol SAD v/ UEFA, & FC Porto Futebol SAD, par. 7; [2007/A/1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James, par. 6.1 s. (76) In tal senso anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 69; si veda anche CAS [18.6.2009 - 2008/A/ 1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.3 s. (77) La previsione si applica ai relativi termini di « Verwirkung », RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 195; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 357. (78) In tal senso anche CAS [2007A/1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James, par. 6.1 s.; [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 41. 23 © Copyright - Giuffrè Editore Il termine scade — come avviene nell’ambito applicativo dell’articolo R32 del Codice TAS — alla mezzanotte dell’ultimo giorno. Ciò significa che tale ultimo giorno rientra in pieno nel computo del termine e può essere pienamente sfruttato (79). La domeniche ed i giorni festivi sono inclusi nel computo del termine — come avviene per l’articolo R32 del Codice TAS — e non valgono a prolungare lo stesso. Se, però, l’ultimo giorno del termine cade in un giorno festivo o non lavorativo, il termine si prolunga, automaticamente — come nel caso dell’articolo R32 del Codice TAS —, fino alla mezzanotte del primo giorno lavorativo utile (successivo a quello in cui il termine sarebbe altrimenti scaduto) (80). La previsione dell’articolo R32 del Codice TAS corrisponde, per quanto qui interessa, a quella del primo comma dell’articolo 78 OR che, a sua volta, viene integrata dalla legge federale sulla decorrenza dei termini di sabato (S 172.110.3). È dubbio se, nel caso di cui ci si occupa, per stabilire se si abbia a che fare con una giornata non lavorativa o festiva debba farsi riferimento al « luogo di ricezione » od a quello dal quale la documentazione necessaria debba essere inviata. In ogni caso, però, lo stato del diritto del luogo di ricezione va senz’altro tenuto in considerazione (81). Secondo il diritto svizzero, un sabato nel quale cade l’ultimo giorno di un termine non va considerato come un giorno lavorativo (82). bb) Se i regolamenti dell’associazione prevedono un termine diverso da quello dell’articolo R49 del Codice TAS, il computo va effettuato in base al diritto applicabile al merito della controversia (si veda quanto riportato in precedenza). Nel caso in cui tale diritto fosse il diritto svizzero, trova applicazione l’articolo 77 OR (83). Se il termine è espresso in giorni, il suo computo si effettua secondo i principi che si sono indicati a proposito dell’articolo R49 del Codice 8.3.5. (79) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. (80) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa Valencia C.F. S.A.D., par. 69. (81) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa Valencia C.F. S.A.D., par. 70. (82) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa Valencia C.F. S.A.D., par. 69. (83) Questa previsione corrisponde, essenzialmente, ai criteri zione Europea sul Computo dei Termini del 15 maggio 1972. 24 © Copyright - Giuffrè Editore de Desportos v/ Club de Desportos v/ Club de Desportos v/ Club stabiliti dalla Conven- TAS (84). Se, invece, nei regolamenti dell’associazione il termine è espresso in settimane, la sua scadenza si verifica — in applicazione dell’articolo 77 OR — in quel giorno dell’ultima settimana che porta lo stesso nome del giorno in cui il termine ha iniziato a decorrere. Se il termine è espresso in mesi o in un periodo di tempo che comprende più mesi (un anno, un semestre, un trimestre), la scadenza si verifica con il decorso del giorno dell’ultimo mese che, in base al numero, corrisponde al giorno in cui il termine ha iniziato a decorrere (85). Se, allora, la decisione sarà stata notificata il quindici di ottobre, il termine mensile scadrà il quindici di novembre (86). Se la fine del termine cade in un giorno non lavorativo o festivo, si applica la stessa disciplina già esposta in precedenza con riguardo al termine dell’articolo R49 del Codice TAS. Poiché, spesso, i regolamenti delle associazioni fanno dipendere l’inizio della decorrenza del « termine per la proposizione dell’appello » (almeno nei confronti di una delle parti — di norma l’atleta od altro membro dell’associazione) dal verificarsi di determinate condizioni (come, ad esempio, la ricezione di tutti gli atti del procedimento), anche la data finale del termine può risultare (di riflesso) spostata in avanti nel tempo (87). Quest’ultima situazione può creare dei seri disagi agli altri interessati che abbiano già fatto affidamento sulla (supposta) validità del provvedimento. Non è chiaro, perciò, se sia possibile che una parte decada dal potere di impugnare — sebbene il termine non sia ancora scaduto — anche per motivi diversi dal decorso inutile del « termine d’appello » (88). È assai difficile che si possa stabilire un limite (massimo) temporale, entro il quale l’« appello » debba essere proposto. Molto dipenderà, invece, dalle circostanze del caso concreto. È certo, però, che il limite risulterà essere stato varcato qualora gli interessati abbiano fatto legittima- (84) Per un termine di dieci giorni, si veda CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.3 ss.; [2007/A/1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James, par. 6.3. (85) Si veda, per esteso, CAS [26.6.2007 - 2006/A/1175] Daniute v/ IDSF, par. 52. (86) Per un simile computo, si veda CAS [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.6 s. (87) Per un caso del genere, si veda CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya, par. 48 ss.; [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 42 ss.; [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.8 ss. (88) Questa problematica viene sollevata in CAS [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 44, nel quale non si fornisce, tuttavia, una risposta. 25 © Copyright - Giuffrè Editore mente affidamento sul fatto che il provvedimento (dell’associazione) non sarebbe stato più oggetto di impugnazione. Qualora, ad esempio, la « parte appellante » sia venuta (in qualche modo) a conoscenza dell’esistenza della decisione, su di essa potrà ritenersi gravare, sempre nell’ambito del ragionevole e delle sue possibilità, un obbligo di informarsi (89). Se tale obbligo non viene adempiuto, sarebbe da ritenersi contrario alla buona fede ogni eccezione legata al fatto che il termine non è iniziato a decorrere. Certo è, però, che l’intensità dell’obbligo in questione non potrà essere esagerata (90). 3. a) Indipendentemente dal fatto che la previsione sul termine, cui debba farsi riferimento, sia quella contenuta nel Codice TAS, oppure sia riportata nei regolamenti dell’associazione, tale termine non potrà essere prolungato dall’arbitro (91). Ciò si evince, chiaramente, dall’articolo R32 del Codice TAS (92), che stabilisce quanto segue: « [u]pon application on justified grounds, either the President of the Panel or, if he has not yet been appointed, the President of the relevant Division, may extend the time limits provided in these Procedural Rules, with the exception of the time limit for the filing of the statement of appeal, if the circumstances so warrant and provided that the initial time limit has not already expired. With the exception of the time limit for the statement of appeal, any request for a first extension of time of a maximum of five days can be decided by the CAS Secretary General ». b) È dubbio se il verificarsi di determinate circostanze successive all’emanazione della decisione possa influire sul decorso del termine. Se si considera il principio della buona fede — che va tenuto presente sia nell’ambito del diritto processuale, che in quello del diritto sostanziale —, sembra che al quesito posto debba darsi (89) In questo senso CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya, par. 54 ss. (90) Si veda anche CAS [23.6.2009 - 2008/A/1564] WADA v/ IIHF & Busch, par. 63. (91) Neppure un giudice statale — in via di principio — può, secondo il diritto svizzero, prolungare un termine di « Verwirkung » (od effettuare una remissione in tale termine), quando esso sia decorso. BGE 101 II 86 E. 2 (92) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1044 s. 26 © Copyright - Giuffrè Editore (pur in assenza di una base corrispondente nel Codice TAS) una risposta affermativa (93). aa) L’« appello » contro un provvedimento sportivo ai sensi dell’articolo R49 del Codice TAS può essere proposto soltanto dopo che i rimedi « interni » dell’associazione siano esauriti. Accanto ai mezzi di impugnazione « ordinari », all’interessato è data sempre la possibilità di presentare (senz’alcun vincolo di termine o di forma) un’istanza di riesame. Ci si chiede, quindi, se la presentazione di una simile impugnazione « straordinaria » possa influire sul decorso del « termine d’appello ». Sembra doversi escludere, tuttavia, che una « impugnazione » del tipo in oggetto possa incidere, in qualche modo, sul termine di decadenza (94). L’istanza di riesame, quindi, non eserciterà alcun influsso né per quanto riguarda un eventuale nuovo inizio del decorso del termine, né per ciò che concerne una sospensione di quest’ultimo. Quanto appena sostenuto deriva dal principio della buona fede, visto che, se si dovesse optare per una diversa soluzione, la « parte appellante » avrebbe il potere di prorogare il « termine d’appello » a suo piacimento (95). bb) Può darsi che il mancato rispetto del « termine d’appello » sia da imputare non alla condotta della « parte appellante » ma a quella della « parte appellata ». In tal caso il principio della buona fede impedisce — in via di principio — di far gravare le conseguenze derivanti dal decorso inutile del termine sulla « parte appellante ». Ci si può chiedere da quale istituto giuridico si possa trarre la conclusione ora indicata. Ad un primo sguardo viene in mente un’applicazione analogica delle previsioni della prescrizione, di cui agli articoli 135 ss. OR (96), con relativa rimessione in termini (93) Cosı̀ anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (94) In questo senso, sul diritto svizzero, RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 196; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 74. (95) Cosı̀, giustamente, BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 74. (96) Un’applicazione diretta va esclusa, visto che le previsioni in esame si riferiscono alla prescrizione (« Verjährung ») e non anche, invece, alla « Verwirkung ». Si veda RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, 27 © Copyright - Giuffrè Editore per negligenza non addebitabile, oppure il venir meno della possibilità, per la « parte appellata », di eccepire il mancato rispetto dei termini per contrarietà alla buona fede (articolo 2, comma 2, ZGB). In Svizzera, la dottrina e la giurisprudenza tendono generalmente — per gli altri termini di decadenza — ad applicare la previsione del secondo comma dell’articolo 2 ZGB, ritenendo, di conseguenza, che la decadenza causata dalla condotta della « parte appellata » non debba essere considerata (97). La possibilità del mancato rispetto dei termini causato da una condotta altrui può verificarsi, in particolare, nei seguenti casi: — Prospettarsi del ritiro del provvedimento dell’associazione. Un caso di « induzione », che dà luogo ad un prolungamento ex lege del termine, si verifica qualora l’associazione prospetti concretamente l’annullamento del provvedimento da essa adottato — ad esempio nel corso di una trattativa (stragiudiziale) con la « parte appellante » — ma si comporti diversamente dopo la scadenza del « termine d’appello » (98). — Mancanza di chiarezza sulle istanze giuridiche interne (dell’associazione). Molto spesso capita che il mancato rispetto del « termine d’appello » sia dovuto alla mancanza di chiarezza che si riscontra circa le istanze giuridiche interne dell’associazione. Come si è detto, con l’« appello » previsto dall’articolo R49 del Codice TAS possono essere impugnate solo decisioni definitive (dell’associazione). Detto altrimenti, la « parte appellante » deve aver esaurito le istanze interne di ricorso dell’associazione, prima di poter proporre appello al TAS. Ci si chiede, quindi, se si verifichi un caso di « induzione », nel senso sopra indicato, quando a causa della mancanza di chiarezza circa le istanze interne di ricorso (imputabile all’associazione) la « parte appellante » abbia impugnato la decisione presso l’istanza sbagliata ed abbia, cosı̀, mancato il « termine d’appello » (99). Sembra che, all’interrogativo ora proposto, debba darsi una risposta affermativa. par. 192; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 355. (97) BGE 101 II 86 E. 2; BGE 113 II 264, E. 2e; RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 194. (98) RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 194; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 380. (99) Per un caso in cui la questione di cui si discute è stata sollevata (dandosi una risposta negativa) si veda CAS [11.6.2009 - 2008/A/1658] SC Fotbal Club Timisoara SA v/ 28 © Copyright - Giuffrè Editore — Indicazione dei mezzi di impugnazione. L’eventuale necessità di riportare nella (o allegare alla) decisione l’indicazione circa i mezzi di impugnazione proponibili si evince dal diritto applicabile alla controversia (100). Se ciò fosse previsto, ma l’indicazione non venga fornita alla « parte appellante », deve ritenersi che il mancato rispetto del termine sia stato causato dalla « condotta » dell’associazione, con la conseguenza che quest’ultima non potrà far valere la decadenza. Un dovere di istruzione sui mezzi di impugnazione può derivare, eventualmente, anche se si considera l’« assistenza » che si deve prestare a coloro che sono soggetti alle regole associative, quando queste ultime sono complesse ed il « termine d’appello » è breve. Indipendentemente, poi, dalla previsione nei regolamenti dell’associazione di un dovere di indicare i mezzi di impugnazione, si ha a che fare con una « induzione », nel senso sopra indicato, quando tale indicazione è errata o equivoca (101). Per la « parte appellante », infatti, non potranno farsi derivare pregiudizi a causa di un’erronea indicazione dei mezzi di impugnazione (102). L’indicazione dei mezzi di impugnazione dovrà essere tanto più chiara e trasparente quanto più breve è il termine per la proposizione dell’« appello », visto che la « parte appellante » avrà, di riflesso, meno tempo per controllare la conformità dell’indicazione allo stato effettivo del diritto (103). cc) Il termine (di diritto sostanziale) di decadenza previsto dai regolamenti dell’associazione, o quello previsto dell’articolo R49 del Codice TAS, possono creare delle grosse difficoltà alla parte che vuole adire le vie legali, quando vi siano dei dubbi sulla stessa validità (od esistenza) dell’accordo arbitrale. Il motivi di una tale invalidità possono essere vari e derivare, ad esempio, dai vizi della volontà delle parti o da quelli di forma, dalla mancanza di capacità FIFA & RFF, par. 100 ss.; si veda anche CAS [13.7.2009 - 2009/A/1759& 1778] FINA v/ Jaben & ISA, WADA v/ Jaben & ISA, par. 1.6 ss. (100) Sul diritto tedesco, si veda HAAS, in HAAS - HAUG - RESCHKE, Handbuch des Sportrechts, Teil B 2. Cap, par. 131 s. (101) Si veda CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 80 ss.; CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.15. (102) Questo principio vale anche nel diritto svizzero con riferimento ai procedimenti di giurisdizione ordinaria. Si veda BGer 13.7.2007 [1C - 89/2007], E. 2.3 con riferimento all’Art. 197 IIIa OG und Art. 49 BGG, dove il principio viene espressamente ancorato al diritto processuale. (103) CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 80 ss. 29 © Copyright - Giuffrè Editore soggettiva di essere parte in un procedimento arbitrale oppure dalla non arbitrabilità dell’oggetto della controversia. (1) La questione sulla validità del compromesso (o accordo) arbitrale può essere sollevata — in via di principio — sia davanti ai giudici statali, che davanti agli arbitri. La prima ipotesi si verifica quando una parte abbia adito la giurisdizione ordinaria sul merito della controversia e la parte avversaria sollevi l’eccezione arbitrale. In tal caso il giudice statale dovrà verificare se vi è, in effetti, un compromesso arbitrale tra le parti e se lo stesso riguarda l’oggetto della controversia pendente davanti a lui. Questo è, comunque, quanto richiede ai giudici statali l’articolo II, terzo comma, della Convenzione di New York sul Riconoscimento ed Esecuzione delle Sentenze Arbitrali Straniere del 1958 (« CNY »). In base a tale previsione, il giudice di uno stato contraente « cui sia sottoposta una controversia su una questione, per la quale le parti abbiano concluso una convenzione [arbitrale]..., rinvierà le medesime, su istanza di una di esse, ad un arbitrato, sempreché non riscontri che detta convenzione sia caduca, inoperante o non suscettibile di applicazione ». Anche il tribunale arbitrale può — di norma —, quando sia stato adito da una delle parti, emanare una decisione parziale o finale sulla propria competenza. La possibilità di emanare un lodo parziale, nel caso del TAS, non deriva direttamente del Codice TAS, bensı̀ dall’articolo 186, terzo comma, della LDIP. A tale possibilità si ricorre sempre più spesso nella giurisprudenza del TAS (104). Se, tuttavia, la decisione sulla validità del compromesso arbitrale viene presa dall’arbitro, essa non è vincolante per i giudici statali. Sono questi ultimi, infatti, ad avere l’ultima parola sulla validità del compromesso arbitrale. Le conseguenze di una errata valutazione, circa la validità dell’accordo arbitrale, possono essere, in vista dei termini di decadenza, considerevoli. Per la parte attrice, infatti, sussiste il pericolo di perdere ogni possibilità di far valere i propri diritti. Quanto appena so- (104) Si veda RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1019; cfr., però, CAS [27.7.2006 - 2006/A/1024 FC Metallurg Donetsk v/ Lerinc (order); [4.7.2005 - 2005/A/831] IAAF v/ Hellebuyck (Preliminary Decision); [28.7.2000 - 2000/A/262] Roberts v/ FIBA, in Reeb (Hrsg) Digest of CAS Awards II 1998-2000, 2002, 377. 30 © Copyright - Giuffrè Editore stenuto può essere spiegato con un caso che è stato deciso dal TAS (105): La federazione internazionale di Hockey sul ghiaccio aveva emanato un provvedimento nei confronti dell’« attore ». Al provvedimento in questione era stato allegato un modulo nel quale, tra l’altro, si leggeva: « the player is entitled to lodge an appeal against this decision at the following court: Court of Arbitration for Sport (CAS). ... The time limit for the appeal is twenty-one days after receipt of this decision ». L’attore, in un primo momento, aveva contestato il provvedimento davanti ai giudici statali del luogo dove la federazione aveva la propria sede (Zurigo), perché, a suo avviso, non vi era un valido compromesso arbitrale. La federazione, convenuta in giudizio, aveva sollevato l’eccezione arbitrale, sulla base della quale la domanda è stata, poi, rigettata dal giudice. Subito dopo ciò — ma inevitabilmente dopo il decorso del termine relativo — l’« attore » ha presentato domanda d’arbitrato al TAS. Il Collegio incaricato della decisione, però, ha rigettato la domanda a causa del mancato rispetto del « termine d’appello ». (2) Ci si può chiedere come una simile situazione possa essere evitata. A questo proposito, vengono in rilievo diverse opzioni. — Instaurazione di procedimenti paralleli. Una soluzione al problema potrebbe essere — salvo per quanto riguarda, evidentemente, i costi — quella di instaurare dei procedimenti paralleli, davanti al giudice statale e davanti all’arbitro. Se il procedimento arbitrale è stato iniziato dopo quello statale, il primo risulterà essere (in determinate condizioni) « ostacolato », ai sensi del disposto dell’articolo 186, comma 1bis LDIP, dalla pendenza del secondo — se l’oggetto dei due procedimenti è identico —, con la conseguenza che il procedimento arbitrale dovrà essere sospeso (106). Visto, però, che vi sono delle eccezioni alla sospensione dovuta alla litispendenza, la parte attrice non ha alcuna garanzia che il procedimento arbitrale (105) CAS [25.11.2005 - 2004/A/953] Dorthe v/ IIHF; si veda anche CAS [14.3.2007 - 2006/A/1176] Belarus Football Federation v/ UEFA, par. 7.9. (106) In generale, sulla sospensione dovuta alla litispendenza nel rapporto tra i giudici statli e gli arbitri, cfr. HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 195 s.; si veda anche SCHLOSSER, in Bull. ASA, 2001, 15, 16 s. e 19 s.; sul (vecchio) diritto svizzero, si veda anche BGE 127 III 279, E. 2. 31 © Copyright - Giuffrè Editore venga, effettivamente, sospeso (107). Quanto appena detto vale anche per il caso in cui, con lo « Statement of Appeal » si richieda anche che il procedimento arbitrale debba essere sospeso fino a quando il giudice statale non abbia deciso sulla (propria) competenza (108). — Rinvio invece di rigetto. Un’altra via d’uscita al problema potrebbe essere quella di vincolare il giudice statale, davanti al quale l’eccezione arbitrale viene sollevata, a rinviare le parti al tribunale arbitrale (competente), invece di rigettare la domanda. Cosı̀ facendo, infatti, la domanda rimarrebbe pendente, con la conseguenza che il termine di decadenza sarebbe rispettato. A prima vista, la conclusione ora riportata parrebbe essere confermata dalla previsione del terzo comma dell’articolo II della CNY, che impone al giudice statale — qualora ravvisi l’esistenza di una valida convenzione arbitrale — di rinviare « the parties to arbitration ». Secondo l’opinione dominante, però, l’espressione contenuta nella previsione appena menzionata sul « rinviare le parti ad arbitrato » è da intendersi in maniera « non tecnica » (109), essendo volta soltanto ad impedire che il giudice adotti una decisione nel merito, mentre le conseguenze giuridiche vengono lasciate — dalla CNY — al diritto statale (interno) (110). A questo riguardo i singoli ordinamenti giuridici si dividono, essenzialmente, in due modelli che prevedono — nel caso venga sollevata una valida eccezione arbitrale — o il rinvio, o la sospensione del procedimento (111). Di norma, però, non si avrà un rinvio della controversia in senso tecnico (in particolare per come viene effettuato tra giudici statali) nel rapporto tra i giudici statali e gli arbitri (112). Quanto appena indicato è dovuto, non in ultimo, anche al (107) RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (108) Per un tal caso CAS [1.6.2010 - 2009/A/1880&1881] FC Sion v/ FIFA & AlAhly Sporting Club, Essam El Haddary v/ FIFA & Al-Ahly Sporting Club, par. 45. (109) SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed., 2005, Cap. 45, par. 1. (110) SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed., 2005, Cap. 45 par. 1; HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 114. (111) HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 114; HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 191. (112) Sul diritto tedesco si veda STEIN - JONAS - LEIPOLD, ZPO, XXII ed., § 281 par. 3; SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed. 2005, Cap. 45 par. 1; per una comparazione giuridica, si veda HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 191; GRUNSKY, in FS Röhricht, 2005, 1137 ss.; di diversa opinione (per un’applicazione analogica del rinvio tra giudici statali § 281 ZPO) PHBSportR/SUMMERER, 2. Teil par. 283; sul diritto (cantonale) svizzero si veda Gerichtspräsident 2 des Gerichtskreises Thun, in Causa Sport, 2004, 44, 51 s. 32 © Copyright - Giuffrè Editore fatto che un eventuale rinvio cadrebbe nel vuoto, qualora il collegio arbitrale non fosse stato ancora costituito oppure fosse previsto un meccanismo di conciliazione preliminare al procedimento arbitrale (113). — Proroga del termine. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di accordare all’arbitro — in contrasto con il tenore dell’articolo R32 del Codice TAS — il potere di prorogare, su istanza di parte, il termine oppure di concedere una remissione in termini quando l’interessato sia stato impossibilitato, senza colpa da parte propria, a rispettare il termine (114). Talvolta viene valutata anche la possibilità di un’applicazione analogica, nel caso di cui ci si occupa, delle previsioni legali sulla sospensione della prescrizione (articolo 139 OR ed articolo 63 del Codice di procedura civile) per la proposizione dell’azione (115). dd) Può darsi che il mancato rispetto del termine si sia verificato senza che alla parte interessata alla proposizione dell’« appello » sia imputabile colpa alcuna. Ci si chiede, allora, se in tali circostanze non sia il caso di concedere, in via eccezionale, un termine aggiuntivo. A questa domanda sembra doversi dare una risposta affermativa (116). Bisogna tener presente, comunque, che se la « parte appellante » è rappresentata da un avvocato la colpa di quest’ultimo è da considerarsi come se fosse propria del rappresentato (117). A questo proposito deve prestarsi attenzione al fatto che, nel diritto svizzero, la portata dei doveri gravanti sugli avvocati — per i procedimenti davanti ai giudici statali — è assai estesa. In tali doveri rientrano, in particolare, quello di sorveglianza e quelli organizzati- (113) P. HUBER, in SchiedsVZ, 2003, 73, 74; HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 191. (114) Si veda RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1045. (115) BezG Zürich, in Causa Sport, 2005, 254, 258; si veda anche CAS [14.3.2007 - 2006/A/1176] Belarus Football Federation v/ UEFA, par. 7.9; Gerichtspräsident 2 des Gerichtskreises X Thun, in Causa Sport, 2004, 44, 51; sull’applicazione analogica dell’articolo 139 OR (art. 63 del Codice di procedura civile) al termine di decadenza dell’articolo 75 ZGB, si veda, in generale, BGer, in ius.focus, 9/2011, p. 15 e FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2008, par. 379; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 65; BSK - HEINI - SCHERRER, ZGB, III ed., 2006, Art. 75 par. 22. (116) RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (117) CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 72, con riferimento al diritto svizzero (BGE 119 II 86, E. 2a; 112 V 255, E. 2a; 106 II 173). 33 © Copyright - Giuffrè Editore vi (118). In vista di detti doveri, ad esempio, soltanto in casi eccezionali la non osservanza del termine dovuta alla malattia dell’avvocato viene considerata come una condotta esente da colpa. Ciò si verifica quando la malattia sia di una gravità tale che l’avvocato sia impossibilitato, entro il termine, ad agire in prima persona o ad incaricare dei terzi ad agire (119). Non è chiaro se, ed eventualmente fino a che punto, questa (severa) giurisprudenza (svizzera) sia applicabile al « termine d’appello ». Certo è, però, che in quest’ultimo caso ci si deve orientare con accortezza (120), sia perché tale giurisprudenza si riferisce ai termini processuali, e non a quelli di decadenza di diritto sostanziale, sia perché la conseguenza del mancato rispetto del « termine d’appello » relativo ai procedimenti davanti al TAS — a differenza del mancato rispetto dei termini processuali — è la perdita della possibilità di far esaminare il provvedimento dell’associazione da una (qualche) istanza di giudizio indipendente. ee) Cosı̀ come avviene per la formulazione delle norme, anche la loro interpretazione è soggetta — anche con riferimento al diritto alla tutela giurisdizionale ancorato all’articolo 29 della Costituzione federale svizzera — a dei limiti (che derivano dall’esigenza di rispetto dell’ordine pubblico). Il Tribunale federale svizzero fa derivare dall’articolo 29 della Costituzione federale il « divieto di un formalismo eccessivo » (121). Quest’ultimo rappresenta un generale principio procedurale che ha trovato solo in parte una formulazione « positiva » nelle norme di natura processuale (ad esempio, nell’articolo 42, quinto comma, della legge sul Tribunale federale — « BGG ») (122). (1) Il principio vieta l’applicazione di previsioni (procedurali) che impediscano all’interessato di far valere un diritto, senza che ciò sia, in alcun modo, richiesto o giustificato da un’esigenza di tutela degli interessi delle parti del procedimento. Un simile caso si verifica quando un vizio processuale sia immediatamente riconoscibile (118) Per una panoramica si veda CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 72. (119) BGE 112 V 255, E. 2a. (120) CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 73. (121) Si veda sul punto BGE 125 I 166, E. 3a-c. (122) BGE 120 V 413, E. 6a; BGer 30.8.2005 [1P.254/2005], E. 2.5. 34 © Copyright - Giuffrè Editore dal giudice e sarebbe facilmente, e rapidamente, sanabile se il giudice facesse rilevare tale vizio alla parte interessata. Il mancato rispetto, da parte dell’arbitro, del divieto in questione può giustificare l’impugnabilità del lodo ai sensi dell’articolo 190 LDIP (123). Non tutti i rigorismi formali rappresentano, come sottolineato continuamente dal Tribunale federale, un formalismo eccessivo, bensı̀ soltanto quelli che non risultano essere giustificati dalla protezione di interessi degni di tutela e che, invece, sono meramente fini a sé stessi. Le forme giuridiche processuali sono necessarie per il regolare svolgimento del procedimento e per garantire l’attuazione del diritto sostanziale (124). Le comunicazioni che vengono fatte alle autorità giudiziali — specialmente quelle concernenti le memorie sulle impugnazioni — devono, pertanto, soddisfare in generale a determinati requisiti di forma. Da esse, in particolare, devono potersi evincere l’intenzione della parte attrice di impugnare la decisione, i motivi che stanno alla base dell’impugnazione e la misura in cui la decisione debba essere modificata o, magari, annullata. Il fatto che per la validità di un’impugnazione si richieda che la documentazione ad essa relativa contenga almeno una sommaria esposizione dei motivi dell’impugnazione non costituisce, quindi, né un diniego del diritto ad essere ascoltati dal giudice, né un formalismo eccessivo (125). (2) Può darsi che la « parte appellante » presenti il proprio « Statement of Appeal » nel termine previsto ma abbia dimenticato di depositare il numero necessario di esemplari (articolo R31.3 del Codice TAS), o di pagare la somma prevista dall’articolo R65.2 del Codice TAS oppure che lo « Statement of Appeal » manchi di qualcuno dei requisiti previsti dall’articolo R49 del Codice TAS. In tutti questi casi, il TAS concederà, di norma, un breve termine aggiuntivo alla « parte appellante » per sanare il vizio, invece di rigettare l’appello per l’« evidente decorso inutile » del termine ai sensi dell’articolo R49 (secondo periodo) del Codice TAS. Se il vizio viene sanato (123) RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (124) BGE 118 V 311, E. 4; 114 Ia 34, E. 3. (125) BGE 116 II 745, E. 2b; 113 Ia 225 E. 1b; BGer 13.7.2007 [1C - 89/2007], E. 3.1; BGer 8.2.2001 [5P.405/2000], E. 3c. 35 © Copyright - Giuffrè Editore nel termine aggiuntivo concesso, il « termine d’appello » deve ritenersi osservato (126). ff) Ci si può chiedere in quale misura il termine vada prolungato (o vada concesso, nel caso di rimessione in termini), qualora ricorra uno dei motivi che — in via eccezionale — giustificano il prolungamento del termine di decadenza. Mentre è chiaro che il termine non potrà essere spostato in avanti all’infinito, è anche vero che è difficile stabilire un limite massimo entro il quale il prolungamento (o la rimessione in termini) possa essere concesso. Molto dipenderà dalle circostanze del singolo caso. Può rilevarsi, comunque, che in dottrina si ritiene adeguata la concessione di un termine aggiuntivo di cinque giorni, decorrenti a partire dalla data di cessazione del motivo di impedimento (127). V. 1. A decidere sull’osservanza dei termini per la proposizione dell’appello sono, generalmente, gli arbitri del collegio incaricato della decisione. Nel caso in cui, però, il collegio non sia ancora costituito, l’articolo R49 (secondo periodo) del Codice TAS prevede che il « Division President » (il presidente, cioè, della « Appeals Arbitration Division ») possa decidere sul punto in questione. Nella disposizione ora menzionata, infatti, si stabilisce che: « [a]fter having consulted the parties, the Division President may refuse to entertain an appeal if it is manifestly late ». Deve notarsi, tuttavia, che il potere decisorio del « Division President » risulta essere limitato ai casi in cui l’appello sia stato presentato in maniera palesemente tardiva. L’esercizio del potere in questione da parte del « Division President » è facoltativo, visto che la decisione sul termine potrà anche essere lasciata al collegio (ancora da costituire). Qualora, però, il « Division President » decida di esercitare il potere di cui si tratta, dovrà previamente concedersi alle parti la possibilità di essere sentite sulla (ancora da stabilirsi) mancata osservanza del termine. Di regola, comunque, il « Division President » non si limita ad esercitare il potere di rigettare l’appello per decorrenza inutile del termine per la sua proposizione, ma constata (126) Per un simile caso si veda, CAS [12.3.2007 - 2006/A/1176] Belarus Football Federation v/ UEFA & FAI, par. 7.2. (127) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005 par. 1045. 36 © Copyright - Giuffrè Editore — in contrasto con quanto previsto dall’articolo R49 del Codice TAS — anche (sotto un profilo « positivo ») la tempestività dell’appello proposto (128). A questo riguardo, è lecito chiedersi se, e fino a che punto, una tale decisione del « Division President » vincoli anche il collegio incaricato della decisione della controversia. 2. La decisione sul rispetto del « termine d’appello » può essere adottata sia con un lodo finale, che con un lodo parziale. 3. Qualora il « termine d’appello » non fosse stato osservato, e non ricorra alcun motivo di legge per concedere un prolungamento, l’arbitro sarà tenuto a rigettare la domanda di arbitrato per infondatezza (e non per inammissibilità) della stessa (129). Il collegio arbitrale non gode, a questo riguardo, di alcun ambito discrezionale. L’articolo R49 del Codice TAS non stabilisce se, affinché il termine possa dirsi rispettato, sia sufficiente che la documentazione relativa all’appello proposto venga inviata al TAS prima della scadenza del termine (« principio di emissione dell’atto ») oppure se sia necessario che tale documentazione pervenga prima di detta scadenza (« principio della ricezione dell’atto »). La soluzione va ricercata in un’applicazione analogica dell’articolo R32 del Codice TAS (130), in base alla quale il termine deve considerarsi rispettato quando la domanda di arbitrato (« Statement of Appeal ») sia stata spedita prima della mezzanotte dell’ultimo giorno del termine, senza che rilevi, invece, il fatto che la domanda in oggetto sia pervenuta alla sede del TAS prima della scadenza del termine. Per il caso, infine, in cui la domanda di arbitrato risulti essere incompleta, potrà rinviarsi a quanto riportato in precedenza. Di certo, però, non sarà sufficiente il fatto che la « parte appellante » lasci intravedere la possibilità di presentare la domanda di arbitrato, senza che dia, poi, corso a tale proposito (131). (128) « Disposizione » (« order ») nel caso CAS 2006/A/1041 [24.3.2006] Vassilev v/ FIBT & BBTF. (129) Si veda RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (130) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 64; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione). (131) Ciò si è verificato in CAS [20.6.2006 - 2006/A/1065] Williams v/ FEI. 37 © Copyright - Giuffrè Editore Most cases referred to the Court of Arbitration for Sport (CAS) in Lausanne involve so-called “appeals arbitration proceedings”. In this regard, the case statistics are particularly telling. Between 1995 and December 2009, of the 1957 cases referred to the CAS, 1647 consisted of appeals arbitration proceedings. A distinguishing feature of these procedures is that the subject matter of the dispute is an appeal against a decision issued by a sporting body (for example, a disciplinary measure, an appointment, a decision awarding damages, the determination of remuneration for the training of an athlete, etc). The procedural rules before CAS contain, at articles R47 et seq, provisions specifically regulating appeals procedures. However, the expression “appeals procedure” for this type of dispute is quite misleading. In fact, even if the arbitrators are required to carry out a review of questions of law which were decided by the sporting body, CAS cannot be considered as an internal organ existing within the sporting body which issued the original decision. In the appeals procedure, CAS effectively carries out a kind of first instance arbitration proceeding, during the course of which questions of law are examined in response to an autonomous application, comparable with that of state courts. The procedural regulations of CAS foresee, at article R49, a term for the filing of an appeal against the decision of a sporting body. This article provides, inter alia, that “in the absence of a time limit set in the statutes or regulations of the federation, association or sports-related body concerned, or of a previous agreement, the time limit for appeal shall be twenty-one days from the receipt of the decision appealed against (...)”. This provision, therefore, provides that the right of appeal against an order made by a sporting body may be exercised only within an express term and constitutes, therefore, a possible barrier for those intending to challenge the legal grounds of the said decision. In relation to the legality and fairness of this term, various questions arise which this article intends to describe and clarify. 38 © Copyright - Giuffrè Editore Advocacy in International Arbitration: an Art, a Science, or a Technique? (*) ANTONIO CRIVELLARO (**) 1. From ancient to modern times. — 2. The great traditions on presentation of evidence: Anglo-American versus continental European legal systems. — 3. What tradition has mostly influenced international arbitration? — 4. International arbitration versus standing courts: from strict to flexible procedures. — 5. Arbitral advocacy as an « art of writing ». — 6. Techniques for oral advocacy: the hearing. — 7. Does a cultural « conflict » still exist in international arbitration? — 8. Conclusions. 1. How to best put into effect advocacy is not such a modern topic, as we commonly tend to consider it. Two thousand and four hundred years ago Aristotle deeply reflected on an equivalent notion: of course, he had not in mind the « advocate » in its contemporary meaning. He did rather philosophize about the « art of rhetoric », writing admirable pages on how « rhetoricians » should practice it (1). In his view, rhetoric is the typical « art of persuasion », or the « ability of observing in any given case the available means of persuasion ». Being an art implemented « by spoken word », it is exclusively reserved to « speakers », who have three « modes of persuasion » available. The first mode is ethos, that is the speaker’s « power of evincing a personal character which will make his speech credible ». Aristotle thought that, quite understandably, the predominant appeal on the audience is given by the personality of the speaker. (*) Il presente articolo è la versione scritta della relazione svolta oralmente alla giornata di apertura del Congresso ICCA (The International Council for Commercial Arbitration), Rio de Janeiro, 23-26 maggio 2010, in corso di pubblicazione da Kluwer Law International nel volume ICCA Congress Series No. 15 (Rio 2010). (**) Avvocato in Milano. (1) Aristotle’s Rhetoric, Book I, Chapter 2. 39 © Copyright - Giuffrè Editore The second is pathos, that is the speaker’s « power of stirring the emotions of the hearers », or the emotional attractiveness insinuated in the message; said otherwise, the ability of putting the audience into a certain frame of mind. The third mode is logos, the speaker’s « power of proving the truth, or an apparent truth, by means of persuasive arguments »: this is the attraction of the listener by the use of logic reasoning. He went on specifying that the persuasive arguments are: (a) the examples, corresponding to inductions in dialectic; (b) the enthymeme, corresponding to the syllogism; (c) the apparent enthymeme, corresponding to the apparent syllogism. The enthymeme is a rhetorical syllogism, and the example a rhetorical induction. In the end, argumentative persuasion is a « sort of demonstration » which « stands for proof ». Those who are in command of this art must « be able, reason logically, understand human character and goodness in their various forms and understand the emotions », which implies « to name them, to know their causes and the way in which they are excited ». Reading this language, one should not infer that the kind of speaker depicted by Aristotle is comparable to a sort of shaman or magician. Aristotle constantly insisted on the result that the speaker has to eventually achieve, which is « persuading through logic ». The « understanding and excitation of emotions » is just a means to obtain the result: « [e]veryone who effects persuasion through proof does in fact use either enthymemes or examples; there is no other way » (2). (2) The following passage — self-explanatory and still valid today — is worth quoting: « And since every one who proves anything at all is bound to use either syllogisms or inductions (and this is clear to us from the Analytics), it must follow that enthymemes are syllogisms and examples are inductions. The difference between example and enthymeme is made plain by the passages in the Topics where induction and syllogism have already been discussed. When we base the proof of a proposition on a number of similar cases, this is induction in dialectic, example in rhetoric; when it is shown that, certain propositions being true, a further and quite distinct proposition must also be true in consequence, whether invariably or usually, this is called syllogism in dialectic, enthymeme in rhetoric. It is plain also that each of these types of oratory has its advantages. Types of oratory, I say: for what has been said in the Methodics applies equally well here; in some oratorical styles examples prevail, in others enthymemes; and in like manner, some orators are better at the former and some at the latter. Speeches that rely on examples are as persuasive as the other kind, but those which rely on enthymemes excite the louder applause » (quoted from the translation made by Professor W. Rhys Roberts). 40 © Copyright - Giuffrè Editore At Cicero’s time, approximately three centuries after Aristotle, rhetorical and philosophical works were still mixed up. Cicero wrote De Oratore in 55 b.c. and Orator in 46 b.c. (and died in 43 b.c.). The work where he better defined the art of eloquentia in terms that to some extent apply to the present topic was De Oratore - Liber III. Reading this book, one gathers that also in Cicero’s view advocacy was typically an « oral » exercise. However, Cicero describes the orator more as what in modern language we would call an « intellectual » rather than an « artist » in Aristotle’s meaning. The orator persuades the audience by his elocutio or loquendi elegantia, which however is not self-sufficient and must be supported by a consistent and publicly renowned actio, that is his visible conduct and the doctrinae possessio typically belonging to an homine erudito. In Cicero’s view, the best advocacy coincides with the best speeches (sermones) and the best example is given by Demostenes’ orationes (3). Therefore, also according to Cicero the art of advocacy is exclusively aimed at « persuading other human minds » and its highest expression is given by a « persuasive speech ». At the time of Aristotle and Cicero, the subjective emotions of the listener were more decisive than the objective credibility of the speaker, or even more decisive than the evidence in his hands: the victory of the advocate mainly depended on his ability to mentally captivate the adhesion of the listener. After more than two thousand years, the end purpose of advocacy remains the same — persuading the listener — but the techniques have progressed... or perhaps regressed. It is quite hard to assert that it has maintained the fascinating components of the « artistic » or « rhetorical » mission described by Aristotle and Cicero. One should modestly recognize that now it is a profession much closer to crafts than to art. To win the case, the modern advocate must count more on a huge amount of disciplined training on how to build up the case defences, and much less on his instinctive inspiration or artistic inclination. Advocacy has become a « learned » profession: the ancient tools of persuasion have been replaced by techniques which are meant to identify the most apt « process » assisting a panel in find- (3 ) De Oratore, Book III, §§ from VII to XI and §§ XXXI to XXXV. 41 © Copyright - Giuffrè Editore ing the truth in a given case. This requires less spectacular speeches and more humble preparatory work at the counsel desk. An advocate does now recognise that the process of persuasion involves concrete means of communication, requiring long and burdensome preparation, such as written submissions, witness statements, documentary evidence, direct and cross-examinations, demonstrative electronic devices, oral arguments, in brief very pedestrian tools. I would therefore be tempted to summarize these introductory notes by offering the following realistic proposition: initiated as an « art », century by century advocacy has become a « technique ». This does not downgrade our profession, in that a « science » element is still inevitably involved. However, science is here represented by the underlying legal know-how, which however cannot itself alone amount to advocacy. An additional technique is needed, so as to make legal know-how a tool for persuasion. The scientific or cultural support strengthening the advocate’s argument will thus give to it a « logic » which is not purely « rhetorical », but objective. 2. As well known, the common law tradition is typically featured through a mix of oral advocacy and adversarial process. This is why one party has an almost unlimited right to obtain documents from the other; why documents assume full evidential weight when exhibited and discussed via a witness at the hearing; particularly, why antagonistic cross-examinations of witnesses are admitted and normally practiced; and why the principal (final) hearing constitutes the most crucial and decisive phase of the entire proceedings, capable of determining its outcome. Differently from the rigorous civil law tradition, there is no restriction to the admissibility of a witness who is an employee of the party. Moreover, experts are normally appointed by the parties and their reports become part of the appointing party’s evidence. Hearings are not numerous, but quite extensive and mainly devoted to the understanding of the factual evidence through witness examination. The examination of witness is conducted by the parties rather than the judge (or arbitrator), through adversarial and somehow aggressive confrontation. In cross-examination, a party has virtually no restriction to the liberty to raise questions to the adverse witness, especially when it needs to discredit his credibility. Briefly, 42 © Copyright - Giuffrè Editore the principal hearing coincides with the « court trial » in domestic litigations. Finally, the last word is not the strict prerogative of the respondent only. The procedural scenario is quite different in civil law tradition, where largely written advocacy and an inquisitorial process are employed. Accordingly, the admitted documents are those produced and commented by counsel in his written submissions. A party may have access to the documents of the other only in exceptional circumstances and generally must count on its own documents. In rigorous terms, witnesses are third persons, who have personal independent knowledge of the relevant facts. Experts are appointed by the court (or tribunal) and their reports are an auxiliary help which is meant to assist the court (or tribunal) in understanding technical issues involved in the evidence already received from the parties. They do not substitute for the parties’ evidence, which must have been provided by themselves autonomously, not through the experts. This rule is applied to the extent that if a party has failed to discharge properly its burden of proof, it has no right to obtain from the judge the appointment of an expert: absent the party’s proof, the expert has nothing to evaluate or check. Hearings are numerous, short and may be devoted to either specific procedural or merit issues, or both. Witnesses appear in the proceedings only to the extent they are summoned or admitted by the judge, and are exclusively examined by the judge himself, the party having a limited power to request the judge to put them a given question. Cross-examinations of adverse witnesses are rarely admitted and still conducted by the judge himself, on petition by the party concerned. Submissions of advance written statements are normally prohibited: they are viewed as an inadmissible opportunity for incorrect parties and counsel to exert influence upon the witness during his pre-hearing preparation. Generally, the last word solely belongs to respondent. In one respect, both traditions are almost coinciding. This concerns the burden of proof, in that each party shall have the burden of proving the facts relied on to support his claim or defence. The similarity does not impede some slight differences: the civil law system gives, indeed, a more rigorous application to this rule than the common law system, which tolerates some degree of departures from the general maxim (see infra). 43 © Copyright - Giuffrè Editore 3. International arbitration has borrowed its own procedural rules from both traditions, although it has, of course, created its own autonomous system in addition to the rules inherited from common or civil law. The civil law system has undoubtedly influenced the presently prevailing international arbitration practice whereby higher reliance is put on written rather than oral procedure. Documents and written pleadings are thus submitted by the parties in view of preparing the future oral hearing and the hearing is focused on debating the most intricate and relevant aspects and clarifying factual divergences which remain unresolved after the closing of the written exchanges. By contrast, the common law tradition played its cultural influence in transposing into international arbitration the practice of prehearing witness statements, the modalities for examination and, particularly, cross-examination of witnesses and experts, and the disclosure of documents on one party’s application (4). Seen from a civil lawyer’s perspective, common law has also transplanted into international arbitration arena its peculiar sensitiveness for the primary importance of facts upon law, and for the decisive relevance of the way factual evidence is presented. Continental lawyers are inclined to prematurely rush towards the elaboration of law theories and conclusions, whereas their Anglo-American colleagues are — if I may say so — less anxious to immediately find the proper law solution. They give priority to an exhaustive factfinding permitting full and precise acquaintance with the facts; law is presented after completion of this due diligence. The need to conclude in law is common to both, but in one case it risks to be unsupported on or contradicted by the facts, in the other the possible disadvantage is given by the longer and harder preparatory work (according to some colleagues, this is inter alia the reason why AngloAmerican counsel are the most costly). The above Anglo-American approach has become the state of the profession in the presentation of evidence in international arbitration. In my view, considering the obvious relevance of the facts determination (not only in arbitration, but in any type of judicial (4) See the comments by Karl Heinz BÖCKSTIEGEL, Presenting Evidence in International Arbitration, in ICSID Review-Foreign Investment Law Journal, vol. 16, No. 1, Spring 2001, 2. 44 © Copyright - Giuffrè Editore proceedings), the transposal of this method from common law enriches and improves international arbitration advocacy. That the burden of proving a claim or a defence belongs to the claimant or respondent respectively, is an obvious proposition also in international arbitration, which however has progressively derived from common law certain flexible variants of the above classic maxim. I refer, for instance, to the practice of postponing the exhaustion of the burden of proof towards the end of the proceedings. This would depart from a mandatory civil law tradition which requires to discharge this burden either immediately or never again. In arbitration, the pre-hearing written pleadings have fundamentally the purpose of providing the arbitrators with a large spectrum of facts and arguments. The arbitrators remain, at least temporarily, relatively indifferent as to what party first supplies the relevant proof in the course of the proceedings. Some facts are often not disputed and no evidence will be needed in their respect; for the rest, any evidentiary lacuna is progressively cured by either the claimant or the respondent before or, at the latest, in the hearing. Where a lacuna remains unfilled, the arbitrators will make the appropriate procedural directions. What at the end counts, is that the evidence is produced, no matter by whom. In abstract terms, this system departs from the formalistic application of the time-bar rules in the submission of evidence, but is normally tolerated. From a fair justice perspective, what is more important: making available to the arbitrators an exhaustive file before the deliberation stage no matter who was the first in exhibiting a proof, or applying the strict rule which rewards the most diligent party and sanctions a belated submission discarding some pieces of evidence? It seems clear that the first approach is preferable. Sometimes, it is also the inescapable solution, in consideration of the different cultural origins and traditions of the players (lawyers and arbitrators). 4. Before standing domestic courts, advocacy is exercised pursuant to a body of pre-existing rules, established in procedural codes or regulations. The court « imposes » its own rules and little room is left to the advocate’s freedom to frame or propose procedural rules different from those which are known from the outset. 45 © Copyright - Giuffrè Editore In similar proceedings, advocacy is substantially confined to arguing on the merits. It is within this precise ambit, not in matter of procedure, that the advocate has ample freedom to present the case and advocacy may display its almost unlimited facets (5). The same procedural regime applies before international standing courts (PCA; ICJ) or ad hoc tribunals in State-to-State disputes, where the procedural rules are pre-established. In general, the scheme is repetitive: first, one or two substantial rounds of written pleadings with documentary appendices, followed by oral development of the arguments of the parties. No new evidence is admitted after the close of written pleadings. Therefore, oral development means « recapitulation » or « interchange of argument », depending inter alia on how interactive the court or tribunal is, but cannot include integration of evidence through new proofs (6). In international arbitration, what — on the contrary — prevails is the rule that favours procedural flexibility. No fixed rules exist and, whenever possible, a mixed system is derived from common or civil law traditions, thus achieving a variable degree of harmonisation of the two judicial cultures. Decisive influence is frequently spent by the personal inclination and legal education of arbitrators and counsel. Domestic laws on arbitration and institutional regulations provide for the parties’ and arbitrators’ right to agree or fix the applicable procedural rules. This liberty gives the parties (and counsel) a wide range of options, so that procedural rules are normally « tailored » to fit the specific needs of the single case. « Procedural liberty » is now common to arbitration conducted in all European countries, and applies to method and timing for: (i) submission of written briefs; (ii) acquiring evidence through documents; (iii) acquiring evidence through witnesses; (iv) acquiring « auxiliary » evidence through experts. (5) For a comparative analysis of the regional systems, see the contributions by Peter LEAVER and Henry FORBES SMITH (the British perspective), Teresa GIOVANNINI (the continental European perspective), R. Doak BISHOP and James H. CARTER (the United-States perspective), Christopher LAU (the Asian perspective) in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010. (6) See James CRAWFORD, Advocacy before international tribunals in State-to-State cases, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 303 ff. 46 © Copyright - Giuffrè Editore Parties may agree on conducting lengthy witness hearings (pursuant to the Anglo-American style), if they so wish, or no witness hearing at all, if it is commonly accepted that the documentary evidence presented in the written exchanges is sufficient. They may proceed through extensive discovery, or no discovery at all. They may exchange written pleadings only, or — in the alternative — limit the proceedings to oral arguments. Finally, they may opt for mixing written and oral procedures, which is the most frequent practice. The key issue is that the parties must agree on the procedural rules. Failing their agreement, the arbitral tribunal has the authority to conduct the proceedings as it considers fit, provided that (i) due process and (ii) equality of the parties are preserved. The parties’ autonomy includes their right to opt for either the procedural rules of a given arbitral institution, or for those of a given national law, or even for a-national rules of procedure (for instance the UNCITRAL Rules or, in matter of evidence, the IBA Rules on the Taking of Evidence). A good example — which combines the parties’ autonomy with the tribunal’s supervision over the compliance with due process and equality — is given by Article 15 of the 1998 ICC Rules of Arbitration, which reads as follows: « 15.1 — The proceedings before the Arbitral Tribunal shall be governed by these Rules and, where these Rules are silent, by any rules which the parties or, failing them, the Arbitral Tribunal may settle on, whether or not reference is thereby made to the rules of procedure of a national law to be applied to the arbitration. 15.2 — In all cases, the Arbitral Tribunal shall act fairly and impartially and ensure that each party has a reasonable opportunity to present its case ». A prudent tribunal will give reasons for its final choice. In particular, it will be careful to assure that the adopted procedural rules confer to the parties the same — and ample — opportunity to present their case, without discriminations or unreasonable restrictions. Most of the generally applied arbitration rules contain provisions on the taking of evidence, which are commonly framed by primarily referring to the parties’ autonomy and, subsidiarly conferring discretion to the arbitrators. Similar provisions may be found in Articles 20 and 21 of the ICC Rules, Articles 33 to 37 of the ICSID 47 © Copyright - Giuffrè Editore Rules, Articles 19 to 22 LCIA Arbitration Rules and Articles 24 and 25 of the UNCITRAL Rules. 5. The trend of the last decades shows that in international arbitration advocacy is mostly carried by written pleadings during the (long) first phase. Oral pleadings (including Anglo-American style cross-examinations) are reserved to the (shorter) closing phase, but are not per se indispensable. Thus, written advocacy is inevitable, whereas oral advocacy is an (important) « additive ». In other words, in international arbitration the art of advocacy is the art of drafting written submissions. The advocate must persuade at distance the members of the tribunal by means of written arguments and evidence. He should not wait until the hearing for persuading them by oral eloquence: unfortunately to him, this could be too late. The advocate must consider that diligent arbitrators (we have to assume that all arbitrators are by definition diligent) come to the hearings after careful analysis of the briefs and documents. Prior to the hearing, they have inevitably made up their mind on the case and reached a feeling about its probable outcome. For sure, they will approach the hearing with an open mind, ready to receive further clarifications which could dispel the original « sentiment » on the chances of one or the other party. However, a diligent advocate will avoid to submit confusing, deficient or misguiding written arguments which create in the reader the conviction that the case is unsupported or otherwise wrong. And he will not forget that persuading in writing is not confined to the briefs as such: he has many other opportunities to send written messages to the tribunal through the regular correspondence exchanged between the parties and the tribunal out of the scheduled briefs. Moreover, the advocate has the burden to persuade all or at least the majority of the tribunal’s members and must consider that, when reading his written submissions, they are not sitting together: one could be sitting in New York, one in Zurich, one in Singapore. They will normally start exchanging views on the case on the eve of or during the hearing. Efficient advocacy does therefore require that the best efforts be endeavoured, at this stage, to convince the arbitrators one by one, when he is still working in isolation from his copanellists, as if he would be the one who decides the case by himself alone. 48 © Copyright - Giuffrè Editore By « art of writing », I do not mean the art exhibited by novelists or journalists. I more humbly refer to the professional techniques and expertise needed to file an exhaustive and convincing written defence. The present audience does not need an academic lecture, nor do I have the ambition to impose on it an exhaustive lesson, but I wish to recommend a number of rules which, in my view, make the « art of writing » more effective. (i) One should avoid inundating or submerging the arbitrator’s office by excessive production of written materials, something that is sometimes called the « Anglo-Saxonization » of the arbitration proceedings. When large documentation of thousands of pages and a large number of witnesses and experts are objectively needed, the logistics in the presentation become essential to avoid that the arbitrators lose track of the facts and evidence. Arbitrators must be helped: it is surprising to see how many colleagues fail to realize the importance of the most obvious logistic methods, such as separate tables of contents, chronological lists, pagination, numbering of the exhibits, proper separators between different tabs and the like. (ii) Do not « unload » into the hands of the arbitrators a massive and disordered collection of documents, not accompanied by specific references and guidance. Facts must be narrated and proved orderly and clearly one by one: avoid generic references such as « see exhibits R-74 to R-83 » and insert in your submission univocal references to each document together with clear explanation of its content, the fact or facts that the document is meant to prove and its evidentiary weight. In brief, give support to each fact by referral to the corresponding document. (iii) An international litigator should be aware that the merits of most of the disputes referred to an arbitral tribunal will be disposed of more on facts than on law. Law is what it is and frequently clear in itself. In any case, law is easier to explain than an intricate factual background, especially when the dispute arises from long term contracts and a long history of past events. Therefore, deploy your « art of writing » to provide the arbitrators with a precise factual understanding. In order to establish the facts, chronological summaries are extremely useful and continuous linkages between the pleading as such and the attached supporting documents is strongly recommended. (iv) Concerning presentation of law, every legal ground and re49 © Copyright - Giuffrè Editore lief sought should be addressed specifically one by one. Even more important, quote the relevant law or contract provisions entirely in your written submissions and link your defences to the quoted text, as commented or underlined. Do not overvalue the extent of the legal culture of the arbitrators: while in domestic litigation the mere reference to the number of a given article (of a law, or of a contract) may suffice under the principle iura novit curia, in international arbitration full quotation and interpretation of the governing law is a burden for the counsel. Arbitrators cannot be familiar with any type of applicable law. (v) Exhaustive guidance by counsel in matters of law will inter alia help arbitrators in avoiding extra petita. It is common knowledge that imprudent arbitrators do sometimes also refer to legal authorities or precedents on which none of the parties had relied on or pleaded. This risk is removed if, through an exhaustive discussion of the law and presentation of legal authorities, you assist them to remain within the boundaries of what relied on and pleaded by the parties during the proceedings. (vi) The onus probandi also applies to legal arguments, at least whenever the proceedings are governed by a law requiring that the law applicable to the merits must be proven by the parties and cannot be determined by the tribunal itself. The maxim iura novit curia is indeed of a limited and uncertain application in international arbitration. (vii) In all cases, keep in mind that arbitrators have the tendency to expect the party’s own efforts in order to be persuaded; they expect to be « guided » in the understanding of facts and law and, rightly, presume that who best knows the file is the counsel. If the counsel omits an argument or a reference, do not give for granted that the arbitrator will fill your gap on his own. Arbitration is a « party-driven » process and the arbitrator is not supposed to be more active or pro-active than the parties’ counsel, who is responsible for the mastery of the case. (viii) Do not forget that the burden of proof applies to whatever factual assertion: no such assertion may self-stand without reference to the supporting documentary evidence. When it is so, the arbitrator cannot give it any probative relevance. (ix) Is there any standard style to be recommended for a written brief? Should it be argumentative or succinct? I would say exhaustive, but ordered. Order makes lengthy presentation intelligible 50 © Copyright - Giuffrè Editore and prevails over quantity. Frequent use of headings and sub-headings may be helpful. Moreover, specific complex topics might be conveniently addressed in separate attachments and briefly referred to in the general submission. (x) Argue by reference to case-law, whenever this is available. International arbitrators are in continuous search for precedents, satisfy their appetite in order to strength en your case. Whenever you quote a previous judgment or award, describe also the underlying facts, so as to establish the pertinence and relevance of the quotation. (xi) Be specific and clear in requesting the relief sought: this is also part of the party’s burden. (xii) When drafting the closing or post-hearing submissions, try to use them for « framing the award » that you claim or expect from the tribunal. If you are the probable winner, the arbitrators will be tempted to make an award symmetrical to your frame. 6. At the hearing, oral advocacy is exercised for the opening statements, the examination of witnesses and experts and the closing pleadings (oral argument). I find it extremely important for a tribunal to organize a « prehearing conference » (or meeting) where parties’ counsel and arbitrators discuss and tend to agree on the format of the scheduled hearing — i.e. timing, sequence, duration, admissibility of electronic devices, admissibility or inadmissibility of witnesses and experts in the hearing room, ecc. — and achieve an understanding on procedural solutions which is then incorporated in a procedural order issued by the chairman of the tribunal. The conference is conducted under the guidance of the chairman, a circumstance which permits to achieve a result that will objectively benefit the efficiency of the hearing. It is in this conference that a number of matters are definitely cleared: whether there will be or not opening statements, how many witnesses and experts need to be heard and in what order, whether there will be or not a direct examination before a cross-examination, whether cross-examination will be followed by re-direct examination, how long each such step will presumably last, how long each counsel estimates its oral argument will last so as to apportion equally the available time for the closing statements, whether or not there will be post-hearing briefs, this being also a question the solution of which the counsel should know in advance in order to frame his final oral defences accordingly. 51 © Copyright - Giuffrè Editore Holding such a pre-hearing conference has become common practice, unless it is replaced by correspondence between tribunal and parties with the purpose of defining the same preparatory issues and thus avoid deadlocks or surprises at the hearing. Looking at the practice, the oral openings (or opening statements) are frequently waived by agreement between parties and tribunal. However, this optional phase has in my view an undeniable importance, being a remarkable opportunity for briefing the tribunal in succinct terms on what the hearing is intended to establish. It should be exploited as a message on how the case should be disposed of by the tribunal, and why. Being the first oral « approach » between counsel and tribunal, advocates should keep in mind the usual saying whereby « there is only one chance to make a good first impression ». Of course, the openings must not be used for anticipating the presentation of the merits as such. This must be reserved to the last oral argument, in order to avoid repetitions and, more important, not prematurely disclose to the opposite party the core of the advocate’s strategy. When, however, the openings cannot but merely anticipate part of the final argument and the hearing time-frame is limited, this first presentation may be renounced with no irreparable harm to the proceedings (7). Much more important is the examination of witnesses. It usually starts by the « direct » examination or « examination-in-chief », whereby a party questions its own witness. It is frequently excluded, first for saving time, second because the parties prefer to question their own witness in the « re-direct » examination. This occurs when direct examination has a purely formalistic or ritualistic purpose, such as having the witness introducing himself and confirming that the witness statement in front of all persons in the room is indeed his own statement, the signature appended to it on a certain date is his own signature and the statement stands as presented. (7) Toby LANDAU and R. Doak BISHOP, Opening statements, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 359 ff, who conclude admitting that: « If there is one point above all others that should be born in mind with respect to opening statements, it is that there exists no single, correct form for such a presentation. Procedural flexibility remains at the heart of international arbitration... », 385. 52 © Copyright - Giuffrè Editore However, in other cases direct examination may become more substantial. It is advisable to use it, for instance, for giving the witness an opportunity to correct some errors in his written statement, if he so wishes, or to respond to new matters raised in the other party’s last written pleadings or witness statements, which were unknown to the witness when he delivered his own statement, or to update his testimony to any new fact subsequently occurred. In the case of complex expert’s depositions, arbitrators tend to use this phase to allow the expert to make a brief introductory presentation of the crucial issues involved in the expertise and the method followed in the preparation of the expert report. It is my understanding that a limited direct examination is beneficial to the process: the tribunal can obtain an initial impression about the witness when he is still relaxed, prior to oblige him to assume a defensive posture as soon as cross-examination begins. Once direct examination is over, the floor is given to the opposite party, which will cross-examine the same witness. Much has been written on what counsel should not do when cross-examining an adverse witness (8). For sure, any question on contract interpretation or on damage evaluation, or other « forensic » questions, not only are inadmissible, but patently pointless and not helpful to the questioning party’s case. They waste time unnecessarily and, especially, risk to annoy the tribunal. What the advocate should ask an adverse witness is to explain certain assertions in his witness statement or in a document made by him and being part of the file, with the intent of establishing a contradiction, or an incorrect or insincere assertion, or a wavering behaviour, in brief with the intent to discredit his reliability (9). There are questions that must be absolutely avoided because of the high probability to provoke a response which is harmful to the questioning party. What tribunals like are specific and non-leading questions that go directly to the point in dispute, be it technical, factual or behavioural. In general, the advocate should use the witnesses’ examinations as a means to go through the documents, and thus help the arbitra(8) Michael HWANG, Ten questions not to ask in cross-examination in international arbitration, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 431 ff. (9) Guido Santiago TAWIL, Attacking the credibility of witnesses and experts, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 451 ff. 53 © Copyright - Giuffrè Editore tors in grasping the relevance of the principal documents which are decisive for disposing of the matter (10). In addition, the advocate should keep in mind that the target is not the adverse witness himself and that insisting on humiliating him is pointless. He must entertain the dialogue between him and the witness remembering that the real and more important « dialogue » is between him and the arbitrators. Examination must be seen as an opportunity for sending messages to the arbitrators in order to either reinforce their apparent understanding of the matter, or correct the same when it appears that they are misunderstanding it. Re-direct examination is the last chance for the advocate to redress a poor testimony by a witness, although the only questions admissible in re-direct are those which fall within the ambit of the cross-examination. As a general tendency, I would recommend to reserve re-direct examination only in case of emergency or real necessity. Do not abuse of it for a pure ceremonial need. Arbitrators have the tendency to see it, especially when it is lengthily protracted, as a sign of weakness. It should be exploited only when you need to minimize the risk of a misunderstanding concerning certain documentary evidence on which your witness was obscure or failed to give the most convincing explanation, whilst you have good reasons to assume that he knows the precise answer: give him the opportunity to rectify. Of course, the same techniques are advisable for the direct, cross and re-direct examinations of experts. Common law lawyers are certainly better equipped for the above exercise, whereas civil law lawyers should improve their training and skills in direct, cross and re-direct examinations and oral advocacy in general. It is not here a question of legal culture as such, in my experience, but rather a question of specific education and training. It is rare for continental European or Latin-American law firms to make the necessary investment for the training of their young associates in the examination techniques. The legal culture in itself does not play a fundamental role, because the above techniques are capable to work efficiently, when the advocate is in full command of them, regardless of his legal background. (10) Stephen JAGUSCH, Organization and presentation of documents to the tribunal, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 281 ff. 54 © Copyright - Giuffrè Editore Few suggestions will be sufficient for the closings: make it succinct and schematic and make use of skeleton and power-point or similar presentations. Do not be repetitive and do not abuse of your time: save time for the arbitrators’ questioning (11). 7. It is not infrequent to read comments according to which — in international arbitration — the encounter between different legal cultures « raises suspicion on both sides » or causes « mutual incomprehension, confusion and cultural confrontation » up to the extent of giving rise to « a melting pot of cultures... similar to a courtship between two legal systems that seek a marriage of convenience » (12). The cultural differences that affect international arbitration are emphasised as follows: « In its fullest sense, culture provides us with a sense of security about who we are, where we belong, how we should act and what we should do. When we are confronted by someone who does not share or understand these “assurances”, that is to say, someone who does not respond to the same cultural signals and codes of conduct, a sense of exile and insecurity is created » (13) and: « International commercial arbitration gives rise to procedural asperities, which, even though on the surface they appear to be technical disputes, at bottom represent cultural values in conflict » (14). I find these expressions exaggerated and unjustified. As a civil lawyer, I never felt « a sense of exile » when pleading in London or Bangkok against American colleagues, nor did I ever see them « insecure » because — for instance — the governing law was the law of a European continental country or the majority of the tribunal was (11) Richard C. WAITES and James E. LAWRENCE, Psychological dynamics in international arbitration advocacy and Audley SHEPPARD, Closing arguments, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 69 ff. and 465 ff., respectively. (12) Ignacio GÓMEZ-PALACIO, International commercial arbitration: two cultures in a state of courtship and potential marriage of convenience, in The American Review of International Arbitration, vol. 20, No. 2, 2009, 235 to 239. According to the author, « In the air is a sense that “I want to get to know you” along with doubt, pride, alternating cloudy and blue skies, attraction and reluctance. The sweethearts, already mature, at once desire and distrust the marriage that both know to be inevitable », ibidem 239. (13) Ibidem 248. (14) Ibidem 249. 55 © Copyright - Giuffrè Editore made of non-American arbitrators. I have no recollection, after so many years of profession, of any mutual « courtship » in the search for a « marriage of convenience » or other similarly sad relationships. There are obvious over-statements in the above caricatures. Some of the depicted difficulties were partly in existence until approximately twenty years ago. Subsequently, practice has been allowed to produce solutions little by little and, at present, the solutions that have been found in the concrete life of international arbitration prove to be amply suitable. The above quoted opinions are principally based on the alleged insuperable obstacles that would exist in reconciling an arbitration procedure partly conducted under the civil law tradition with two Anglo-American predominant procedural features, namely the pretrial discovery and the cross examination (15). Undoubtedly, if pre-trial discovery means obtaining verbal information (depositions) and written information (document productions, interrogatories and deposition on written questions) with the purpose of preparing an arbitration hearing, this is something that is seldom seen in international arbitration, if ever. This is rather the common practice in Anglo-American courts, where the object of the pre-trial discovery is to obtain information that shall be used at the trial against the opposite party before the court. They are often used for discovering weaknesses in the testimony of the opponent’s witnesses or experts. They are certainly in contrast with the civil law tradition, where the proof is offered at the time of the demand or legal submission, and a party is not admitted to wait until the hearing for exhibiting his proofs. However, none of these two procedures apply in modern international arbitration, which has found its own way for resolving the issue in question. The way consists in allowing one party to request the other to produce additional documents or disclose unknown documents the existence of which may be reasonably assumed. This practice has become very common. The typical procedure is framed as follows. First, the parties are required to exhibit all documents and witness statements at the (15) Ibidem, 251 ff. 56 © Copyright - Giuffrè Editore same time on which they file a brief referring to facts that should be proved by means of the said documents or testimonies. Second, the tribunal has a permanent power to order the parties to exhibit documents within a given deadline. Third, a party has the right to request the other party to produce certain other documents or, failing spontaneous disclosure, to request the tribunal to order their exhibition, being however obliged to describe and identify the document or the narrow and specific category of documents requested, to give the reason why the documents are relevant to the case and to specify that the documents in question are not in its possession. Fourth, the party to whom the request is addressed may either spontaneously comply or object to the disclosure of some or all of the documents requested, specifying the relevant reasons. Fifth, the arbitral tribunal determines whether the requested evidence is admissible in terms of relevance, materiality and weight of evidence. Sixth, the party so directed complies with the tribunal’s order, frequently using the so-called « Redfern Schedule » (16). This is a procedure which is unreservedly accepted by counsel and arbitrators from all regions of the world, irrespective of their native legal background. The « melting pot of cultures » has caused no mutual « suspicion », « incomprehension » or « confrontation ». Quite on the contrary, all legal cultures participating in the arbitration arena have contributed to create a common playing level where the best has been pitched up from each contributor. Definitely, this obstacle has been successfully overcome and, by the way, the arbitration hearing is far from resembling an AngloAmerican « court trial ». The same is true for cross examination, which has become a commonly adopted method for acquiring oral evidence in international arbitration. I see no abuse in it, nor cultural obstacles which would impede its acceptance by non-Anglo-American counsel or arbitrators. As a player coming from a civil law country, I have no difficulty in recognizing that this system fits well with the purpose of obtaining, at the end, a truth — or at least the most likely or plausible truth — from oral testimony. All that I regret, as I said before, is that civil lawyers are less trained in making proper use of it. (16) The above described procedure substantially corresponds to what inter alia provided in Articles 3 and 9 of the IBA Rules on the Taking of Evidence. 57 © Copyright - Giuffrè Editore Cross examination is generally criticised because it is too aggressive and hostile. In my view, first this is not necessarily true in all cases because it depends on the character of the players, not on the objective needs of the process; second, cross examination is conducted under the supervision of the tribunal, which tends to intervene whenever impermissible excesses must be either prevented or discontinued. Although cross examination as such is not unknown in the countries of civil law, including the many jurisdictions inspired to it (see the Spanish « contra-interrogación oral », or the Italian « controinterrogatorio », or the French « contre-interrogatoire »), one must recognize that it is unable to convey to the tribunal the same precise appraisal of the facts. The civil law cross examination is made by the judge himself and little or no room is given to the party-to-witness confrontation. One must recognize that it is the « adversarial » confrontation allowed under the common law system that helps the tribunal in better distinguishing sincere and correct from false or incorrect testimonies. To close on this point, international arbitration does not deserve the above mentioned criticism. 8. Advocacy in international arbitration has reached a level playing field and has found its own fundamental common features. This was made possible by the players’ availability to accept variations and adaptations to their own national traditions and by their readiness to enter into new worlds and new cultures. The players have accepted to cross the borders, be taken away from their native environment and play the game in another field. The journey is not bad at all. You might frequently discover that the « other » field is sometimes more advantageous for it drives your case to a more favourable conclusion, or give you more freedom in selecting the most suitable technique. Sometimes, you might discover that both fields, the old and the new, are equally efficient or generous in terms of procedural flexibility and that, at the end, all systems tend to be guided by nothing else than « common sense ». The position of advocates practicing in both fields is comparable to that of travellers having acquired two nationalities and two passports. In my experience, I have only received benefits: I now 58 © Copyright - Giuffrè Editore feel a bit civil law lawyer, a bit common law lawyer and I play in a cultural world where a sense of being on a familiar ground is permanently preserved, irrespective of where I am actually playing. I tried to learn from both traditions and this has certainly enriched my professional life. In conclusion, what is true from all litigations is also true for international arbitration: « advocate » is the person who pleads, intercedes or speaks for another person or for a certain cause. « Advocacy » is still the « art of persuasion » on behalf of a person or cause in Aristotle’s terms, but has developed its own techniques (17). The only distinctive feature is that the tools which are at present available derive from distinct historical and cultural traditions, but this is what makes international arbitration attractive for those who practice advocacy. Secondo l’autore, la difesa negli arbitrati internazionali ha perduto i caratteri della retorica e dell’eloquenza, cosı̀ come intese dai classici. La funzione rimane pur sempre quella di persuadere — in questo caso un collegio internazionale di arbitri — ma non più mediante l’« arte della elocuzione », bensı̀ fruendo al meglio delle tecniche e procedure consolidatesi nella più recente prassi dell’arbitrato internazionale. Essa ha attinto dalla tradizione di common law e da quella di civil law in pressoché egual misura. Dalla prima ha soprattutto mutuato le tecniche di escussione delle prove orali e il diritto di una parte di chiedere all’altra l’esibizione di documenti rilevanti, ma posseduti unicamente dall’altra (una forma tenue del ben più incisivo pre-trial discovery innanzi alle corti angloamericane). Dalla seconda ha invece mutuato il carattere scritto delle prospettazioni delle parti. In tal modo, la difesa in arbitrati internazionali è divenuta l’arte del convincere per iscritto, a distanza, ciascuno dei membri del collegio in una fase nella quale egli esamina gli atti in solitudine, prima di riunirsi e discutere il caso coi restanti arbitri. L’udienza servirà a chiarire aspetti rimasti irrisolti dopo lo scambio di memorie scritte, mentre in common law essa costituisce il momento nevralgico di tutte le difese, prevalentemente orali. Tuttavia, l’arbitrato internazionale non si è limitato ad assorbire quanto preesisteva nell’una o nell’altra delle più note culture giuridiche. Esso ha pure elaborato autonome regole procedurali. Svolgere in simile contesto un effıcace patrocinio implica pertanto da un lato la necessità di concordare sulle regole più acconce al caso concreto, dall’altro quella di trarre il massimo beneficio dalle modalità prescelte. (17) David J. A. CAIRNS, Advocacy and the functions of lawyers in international arbitration, in Liber Amicorum Bernardo Cremades, Madrid, La Ley, 2010, 291 ff. 59 © Copyright - Giuffrè Editore Vengono, quindi, sottolineati gli accorgimenti usualmente consigliati per permettere agli arbitri di assimilare con precisione e nel più breve tempo possibile le questioni che formano l’oggetto della controversia deferita alla loro decisione: per esempio, come organizzare la produzione di documenti, come dare la dovuta rilevanza ai fatti e come farli comprendere, come presentare le questioni di diritto, come presentare e commentare la pertinente giurisprudenza, e cosı̀ via. Infine, l’autore esclude che l’arbitrato internazionale possa raffıgurarsi come un’arena in cui diverse culture giuridiche si scontrano o si fraintendono, per contrastare un’opinione che qua e là ancora riaffıora secondo la quale l’una o l’altra parte soffrirebbe di un senso di inquietudine per vedersi chiamata a « giocare in un terreno che non è il proprio ». La prassi ha gradualmente elaborato soluzioni comunemente condivise: giuristi di una data cultura nazionale hanno di buon grado fatto proprie le tecniche dell’altra, e viceversa. 60 © Copyright - Giuffrè Editore Clausola compromissoria e tutela monitoria LAURA BERGAMINI (*) 1. Introduzione. — 2. La ricostruzione prevalente: concessione del decreto ingiuntivo e revoca in sede di opposizione. — 3. L’esistenza di una clausola compromissoria preclude la concessione del decreto ingiuntivo. — 4. Un’efficace riserva della tutela monitoria nell’accordo compromissorio? 1. Il procedimento regolato dagli artt. 633 c.p.c. ss. consente un’incisiva tutela di diritti prima facie provati e potenzialmente non contestati, permettendo la rapida formazione di un provvedimento esecutivo potenzialmente decisorio della controversia. Si pensi al caso dell’agente che non riceva il concordato rimborso mensile delle spese sopportate in esecuzione del contratto. Il pregiudizio causato da tale inadempimento, pur se potenzialmente modesto rispetto al valore del contratto, è spesso soggettivamente importante. In questo caso, i tempi ed i costi ridotti del procedimento ex art. 633 c.p.c. ss. consentono all’agente di ottenere una tutela più efficace — perché più rapida e meno costosa — di quella offerta da un giudizio a cognizione piena (arbitrale o statale). Gli esempi concreti potrebbero moltiplicarsi. Quid juris se il contratto contiene una clausola compromissoria? Il creditore può agire ex art. 633 c.p.c., o, essendosi impegnato alla soluzione arbitrale delle liti, è costretto ad instaurare un (costoso) procedimento arbitrale per la tutela di ogni credito nascente dal contratto? Questo articolo esamina le soluzioni affermatesi in dottrina e giurisprudenza (§ 2), per poi proporre che: i) l’esistenza di una clausola compromissoria, prima facie valida e comprensiva della controversia, osta alla concessione di un decreto ingiuntivo (§ 3); e ii) tale (* ) Dottore di ricerca nella Università LUISS Guido Carli di Roma. 61 © Copyright - Giuffrè Editore effetto non è, de jure condito, facilmente risolubile attraverso un’attenta formulazione della clausola compromissoria (§ 4). 2. Secondo giurisprudenza pressoché unanime (1), l’esistenza di una clausola compromissoria non preclude al creditore di agire ex art. 633 c.p.c. a tutela del proprio credito, dato che i) l’accordo compromissorio non è rilevabile d’ufficio (2); ii) non esiste, in fase monitoria, una controversia deferibile ad arbitri (3); e iii) gli arbitri non possono concedere provvedimenti summatim e inaudita altera parte (4). È inoltre pacifico che il decreto ingiuntivo debba essere revocato con effetto ex tunc (5), se il giudice dell’opposizione accerti la validità dell’accordo compromissorio, tempestivamente eccepito dall’ingiunto, la sua efficacia e idoneità a ricomprendere la lite. In questo caso, infatti, si accerterebbe l’esistenza di un elemento ab origine ostatativo all’adozione del provvedimento — i.e. incompetenza del giudice adito, in caso di clausola per arbitrato rituale, improponibilità della domanda, in caso di clausola per arbitrato irrituale (6). Re- (1) Ex pluribus, Cass., 4 marzo 2011, n. 5265, www.leggiditalia.it (arbitrato irrituale); App. Napoli, 27 gennaio 2010, ivi; Trib. Lodi, 11 marzo 2011, ivi; v. anche Cass., 29 ottobre 1986, n. 6339, in Riv. dir. int. priv. proc., 1988, 121 (secondo cui « il ricorso al procedimento monitorio stante la specialità dello stesso non priva gli arbitri stranieri della giurisdizione sul merito »); v. giurisprudenza citata alle note 2-8. Diversamente, v. Trib. Reggio Emilia, 14 febbraio 2002, www.leggiditalia.it, secondo cui « in presenza di una clausola compromissoria che devolva ad arbitri una controversia insorta fra due parti, è improponibile di fronte al Giudice ordinario il ricorso per decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 633 c.p.c. e il decreto, ove emesso, deve essere revocato. » (2) Cass., 4 marzo 2011, n. 5265, cit.; Trib. Monza, 20 marzo 2007, ivi (rilevando che la disciplina dell’arbitrato non contempla la concessione di provvedimenti inaudita altera parte); v. Cass., 9 luglio 1989, n. 3246 (arbitrato irrituale). (3) Trib. Anzio, 24 novembre 2009, in Corr. mer., 2010, 832, con nota di PERIN, Il procedimento di ingiunzione e l’eccezione di clausola compromissoria, ivi; contra Trib. Milano, 12 ottobre 1998, in Giur. it., 1999, 980 con nota di DALMOTTO. (4) Ex pluribus, Cass., 28 luglio 1999, n. 8166, www.leggiditalia.it; Trib. Trieste, 9 marzo 2011, ivi; App. Napoli, 27 gennaio 2010, cit.; Trib. Chieti, 8 aprile 2009, ivi; Trib. Pavia, 26 gennaio 2009, ivi; Trib. Torino, 21 gennaio 2009, ivi; Trib. Modena, 22 febbraio 2008, ivi. (5) Ex multis, Cass., 28 luglio 1999, n. 8166, cit.; Cass., 28 ottobre 1991, n. 11460, ivi; Trib. Lodi, 11 marzo 2011, ivi; App. Napoli, 27 gennaio 2010, cit.; Trib. Anzio, 24 novembre 2009, cit.; Trib. Pavia, 26 gennaio 2009, cit.; Trib. Monza, 16 giugno 2005, ivi (rigetto dell’opposizione); Trib. Monza, 7 marzo 2005, ivi; cfr. Trib. Messina, 5 ottobre 1982, in Giust. civ., 1983, I, 1634, con nota di NICOTINA (che esclude la revoca del decreto in caso di clausola compromissoria per arbitrato irrituale). (6) Trib. Modena, 22 febbraio 2008, cit.; si veda anche Trib. Trieste, 9 marzo 2011, 62 © Copyright - Giuffrè Editore vocato il decreto, la controversia dovrebbe essere rimessa ad arbitri (7). Si ritiene, inoltre, che il giudizio di opposizione debba giungere ad una decisione di merito quando l’ingiunto non eccepisca l’esistenza dell’accordo compromissorio. La condotta processuale delle parti (introduzione della domanda e mancata eccezione dell’accordo compromissorio) dimostrerebbe, infatti, l’intenzione di non perseguire la via arbitrale rispetto alla controversia e di attribuire al giudice la decisione della domanda (e delle domande riconvenzionali proposte in sede di opposizione) (8). La dottrina maggioritaria raggiunge analoghe conclusioni, per lo più asserendo il divieto per gli arbitri di concedere provvedimenti a seguito di cognizione sommaria (9). Giurisprudenza e dottrina tendono, quindi, ad applicare all’eccezione di accordo compromissorio un regime analogo a quello applicato all’incompetenza territoriale derogabile prima dell’intervento della sentenza della Corte cost. n. 410 del 3 novembre 2005 (10). cit. (che dispone la revoca del decreto ingiuntivo in ragione dell’« improponibilità della domanda » proposta in presenza di una clausola contrattuale che deferiva la soluzione delle controversie sorte « nell’esecuzione e nell’interpretazione » del contratto a un collegio di tre arbitri « amichevoli compositori »). (7) Trib. Modena, 22 febbraio 2008, cit.; Trib. Gallarate, 8 aprile 2005, www.leggiditalia.it (fissando un temine per la riassunzione della causa ex art. 50 c.p.c. dinnanzi al collegio arbitrale). (8) Cass., 29 gennaio 1993, n. 1142, in Corr. giur., 1993, 440, nota di MARICONDA (arbitrato irrituale); si veda anche Cass., 11 novembre 2011, n. 23651, in dejure.it. Cfr. art. 819-ter c.p.c. (v. LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 787, secondo cui, la mancata eccezione determina un impedimento al procedimento arbitrale destinato a venir meno in caso di chiusura in rito del processo statale; diversamente G.F. RICCI, Sub art. 819-ter, in Arbitrato a cura di CARPI, Bologna, 2007, 508). (9) V. Autori citati infra nota 12. Un’autorevole, pur se minoritaria dottrina, sostiene, invece, che la stipulazione di un accordo arbitrale sottragga al giudice la cognizione piena della lite, non anche il procedimento ingiuntivo in senso stretto (PUNZI, Disegno Sistematico dell’arbitrato, Milano, 2000, 227 e, nella edizione 2012 dell’opera, si veda anche p. 404 e s., nt. 259). Il creditore potrebbe, quindi, ottenere dal giudice il provvedimento ingiuntivo, ma l’eventuale giudizio di opposizione teso all’accertamento del credito dovrebbe essere instaurato di fronte agli arbitri (il giudice dell’opposizione mantenendo competenza soltanto sulle vicende del decreto ingiuntivo e la sua esecutività, PUNZI, ibidem). (10) Corte cost. 3 novembre 2005, n. 410, in Giur. it., 2006, 1213 con nota di CONTE, Valenza costituzionale dei criteri della competenza e procedimento monitorio, e di TOTA, La (supposta) irrilevabilità d’uffıcio dell’incompetenza territoriale « semplice » nel rito monitorio ancora al vaglio della Consulta; e Riv. dir. proc., 2007, 1473, con nota di E. RICCI, I poteri del giudice adito con ricorso per decreto ingiuntivo secondo la Corte costituzionale, ivi, 1476. V. anche USUELLI, Prime applicazioni dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza 410/2005 in materia di rilevabilità d’uffıcio dell’incompetenza territoriale de- 63 © Copyright - Giuffrè Editore Per quanto pacifica, questa ricostruzione sembra condurre a risultati contraddittori e insoddisfacenti. Essa, infatti, riserva alla tutela monitoria una provvisorietà che, di fatto, la priva di reale efficacia, onera l’intimato dell’inizio di un processo a cognizione piena al solo scopo di far rilevare l’assenza di poteri nel giudice, ed impone un costo inutile al sistema giudiziario caricato di cause destinate a terminare nel nulla. Non persuadono, inoltre, le motivazioni che dovrebbero imporne l’adozione. In primo luogo, l’asserita non rilevabilità d’ufficio del patto compromissorio (11) non dimostra — ma postula — il principio che si intende dimostrare: vale a dire, che la clausola compromissoria preclude l’accesso alla tutela ex art. 633 ss. c.p.c. In secondo luogo, consentire l’adozione del decreto ingiuntivo perché non esiste, al momento della proposizione del ricorso, una controversia giuridica, presuppone una definizione di « controversia », legata alla contestazione in giudizio della pretesa, smentita dalla dottrina e dalla constatazione che una controversia mancherebbe anche all’atto dell’introduzione di un giudizio ordinario. Infine, nessuna ragione logico-sistematica, norma inderogabile o principio di ordine pubblico sembra imporre agli arbitri un obbligo rogabile nel procedimento monitorio, nota a Trib. Milano, 16 novembre 2006, in Giur. it., 2007, 2007. Secondo la Corte, una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 640 c.p.c. (alla luce degli artt. 25 e 111 Cost.) consente la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza territoriale semplice nel procedimento ingiuntivo in senso stretto. Secondo la Corte, infatti, il parallelismo tra rito monitorio e ordinario è « improponibile », poiché, mentre il convenuto contumace nel rito ordinario si vede « preclusa soltanto l’eccezione di incompetenza ma non subisce alcuna automatica conseguenza pregiudizievole quanto al merito — equivalendo la contumacia ad integrale contestazione dei fatti costitutivi del diritto azionato dall’attore —, l’ingiunto che non proponga tempestiva opposizione è irreparabilmente pregiudicato nel merito dalla irretrattabilità dell’effıcacia esecutiva [...] del decreto ingiuntivo ». Quindi, « l’“inconveniente fattuale”, che subisce il convenuto con il rito ordinario, è di ben altro rilievo per l’ingiunto, il quale è costretto — se vuole evitare la definitiva soccombenza nel merito — a proporre opposizione davanti al giudice funzionalmente competente, arbitrariamente scelto dall’attore in monitorio. Da ciò discende che la situazione dell’ingiunto è assimilabile, più che a quella del convenuto nel rito ordinario, a quella del convenuto straniero davanti al giudice italiano che sia privo di giurisdizione: situazione, quest’ultima, disciplinata [...] nel senso che, in caso di contumacia, il difetto di giurisdizione è rilevabile d’uffıcio ». Di conseguenza, nel caso dell’ingiunto e del convenuto straniero « sussiste la medesima esigenza (della rilevabilità ex officio, al fine) di non imporre un’onerosa costituzione in giudizio solo per far valere la violazione di norme attinenti all’individuazione del giudice (atteso il pregiudizio che, altrimenti, ne deriverebbe) ». (11) V. infra § 3. 64 © Copyright - Giuffrè Editore di plena cognitio (12) o precludere loro, se autorizzati dalle parti, di svolgere un procedimento in forma monitoria o, più in generale, adottare decisioni a cognizione sommaria (13). Tale divieto non sembra, in primo luogo, ricavabile dalla lettera o la ratio dell’art. 818 c.p.c. (14). Da una parte, infatti, la formulazione specifica della norma rende difficile estenderne la portata oltre i confini dei « sequestri » e degli altri provvedimenti « cautelari », in essa espressamente contemplati. Dall’altra, l’esistenza di un divieto specifico consente di desumere l’esistenza di un divieto generale solo se sia dimostrato che il divieto specifico non ha altra ragione d’essere se non l’appartenenza della species al genus. E tale dimostrazione non sembra possibile nel caso di provvedimenti cautelari poiché il divieto ex art. 818 c.p.c. può giustificarsi per una peculiarità diversa dal tipo di cognizione cui conseguono: l’effetto che con essi si intende produrre. Adottando un provvedimento cautelare, infatti, gli arbitri dettano una (12) Cosı̀, invece, ex pluribus, AULETTA, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in Diritto dell’arbitrato rituale a cura di VERDE, Torino, 2005, 505; G.F. RICCI, Sub art. 818, in Arbitrato a cura di CARPI, Bologna, 2007, 483-484; CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 1991, 21 ss. e ID., La disciplina del processo arbitrale, in questa Rivista, 1995, 231 s. Autorevole dottrina ha affermato che l’« alternativa arbitrato-giurisdizione si pone soltanto in relazione al processo ordinario. Se la legge prevede procedimenti speciali o sommari, questi ultimi sono utilizzabili soltanto con il ricorso al giudice ordinario » (VERDE, La convenzione di arbitrato, in Diritto dell’arbitrato, Torino, 2005, 101; in questa prospettiva, dottrina e giurisprudenza negavano l’arbitrabilità delle controversie possessorie, in dottrina, per tutti, DELLA PIETRA, Il procedimento possessorio — Contributo allo studio della tutela del possesso, Torino, 2003, 345; in giurisprudenza, inter alia, Cass., Sez. un., 7 agosto 1992, n. 9381, in Riv. dir. int. priv. proc., 1993, 719 Cass., 18 agosto 1990, n. 8399; contra, Cass., 2 ottobre 1992, n. 10839, in Rep. Foro it., 1992, Possesso [5060], n. 43; contra, recentemente, DELLA PIETRA, La compromettibilità delle liti possessorie, in Sull’arbitrato studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 343 ss.). (13) Ovvero ordinanze a contenuto decisorio, DELLA PIETRA, La compromettibilità delle liti possessorie, cit., 354, citando PUNZI, Il processo civile, III, Torino, 2010, 188. Sull’ammissibilità di ordinanze anticipatorie di condanna, CAVALLINI, Condanne speciali e arbitrato rituale, in questa Rivista, 1996, 681; IDEM, Ancora sull’inammissibilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nel processo arbitrale, in questa Rivista, 2001, 771; contra, GHIRGA, Sub art. 816-bis, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova, 2010, 213. Ammette la condanna al pagamento di somme non contestate con lodo parziale, Coll. Arb. 8 luglio 2009, in questa Rivista, 2009, 731, con nota di NELA, Un caso di somme non contestate innanzi agli arbitri, ivi, 732. (14) Cosı̀, invece, la dottrina prevalente, v. per tutti, RICCI, Sub art. 818, in Arbitrato, cit. (« indipendentemente dalle giustificazioni adottate (mancanza di auctoritas, insuffıcienza di garanzie, ...) agli arbitri è in genere vietato ogni provvedimento direttamente incisivo sulla realtà materiale, che non sia fondato su un accertamento pieno »); di diverso avviso, MARENGO, Sub art. 818, in BRIGUGLIO, FAZZALARI MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 136. 65 © Copyright - Giuffrè Editore regola di condotta sostanziale per le parti senza decidere della lite. Questo potere sembra diverso dal, e non implicitamente compreso nel, potere che il mandato ex art. 806 c.p.c. conferisce loro, i.e. jus dicere (regolare la realtà sostanziale decidendo della controversia sotto il controllo dei meccanismi di impugnazione del lodo) (15). Regolando autonomamente il potere cautelare, l’art. 818 c.p.c. potrebbe, quindi, essere interpretato come norma che dà atto dell’eterogeneità dei due poteri e stabilisce che gli arbitri non possono incidere sulla realtà sostanziale se non quando decidono della lite. Su questa premessa, non sembra possibile ricavare dal divieto posto dall’art. 818 c.p.c. il divieto di cognizione sommaria. Ciò, quanto meno, nei casi in cui attraverso la cognizione sommaria si eserciti il mandato ex art. 806 c.p.c., vale a dire si decida (con provvedimento controllabile) della lite. In secondo luogo, il divieto di cognizione sommaria non sembra derivare da limiti intrinseci al mandato arbitrale. Da una parte, infatti, agli arbitri non è affidato il compito, inderogabile, di decidere la controversia secondo verità, vale a dire un mandato che escluderebbe di per sé la possibilità di cognizione sommaria e parziale, che, per definizione, non assicura la verifica piena dei fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi della situazione giuridica da tutelare. Che gli arbitri non siano tenuti a garantire la veridicità della realtà accertata è dimostrato, del resto, dalla possibilità che il lodo sia pronunciato nei confronti di un convenuto « contumace » (i.e., senza la piena cognizione di fatti estintivi, modificativi e impeditivi) e dalla non impugnabilità della decisione arbitrale per errori di fatto. Dall’altra, il divieto di cognizione sommaria non sembra implicato neppure dalla struttura processuale (16) dell’arbitrato, dalla funzione di accertamento ad esso riconosciuta, o dall’efficacia di sentenza attribuita al lodo ex art. 824-bis c.p.c. (17). Anche ammettendo, (15) BESSON, Arbitrage international et mesures provisoires, Zurich, 2000, 81-82. (16) Per l’arbitrato come processo, FAZZALARI, I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, RDP, 1968, 464. (17) La dottrina ha dimostrato che la decisione conseguente a cognizione sommaria può dar vita a una decisione con la stessa efficacia della decisione pronunciata a cognizione piena, enfatizzando il significato della previsione di meccanismi volti a trasformare la cognizione sommaria in cognizione piena (inter alia, CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., 220; LANFRANCHI, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in RTPC, 1987, 88 spec. 131 ss.). 66 © Copyright - Giuffrè Editore infatti, che tali caratteristiche pongano delle condizioni implicite per la « ritrazione » della giurisdizione statale (ex art. 24 Cost.), fra queste non potrebbe essere l’obbligo di cognizione piena (o secondo il modello ordinario), ma eventualmente l’obbligo di condurre l’accertamento arbitrale in forme equivalenti a quelle ordinarie. E fra queste forme rientrano modelli sommari tipizzati da legislatore come il procedimento monitorio. In terzo luogo, il divieto di cognizione sommaria non sembra imposto da norme inderogabili o principi di ordine pubblico applicabili al processo arbitrale, quali il principio del contraddittorio e uguaglianza delle parti, o il diritto di difesa di cui all’art. 816 c.p.c. È, infatti, ormai pacifico che il procedimento ex artt. 633 ss. c.p.c. non viola i principi del contraddittorio e di difesa, ma semplicemente li attua secondo un modello diverso da quello ordinario (18). In particolare, la struttura monitoria attua il contraddittorio perché l’ingiunto, pur se « escluso » dalla fase inaudita altera parte, i) è informato della pronuncia del decreto, ii) può difendersi contro di esso nello stesso grado di giudizio suscitando un contraddittorio « posticipato » (ed « eventuale ») (19), e, soprattutto, iii) non subisce gli effetti definitivi del provvedimento fino alla scadenza del termine per l’opposizione. Attua, inoltre, l’uguaglianza delle parti perché i) per contestare la decisione, non è richiesto al debitore più di ciò che è richiesto al ricorrente per ottenere la pronuncia del decreto, e ii) l’opposizione rimuove gli effetti e gli atti formatisi nella fase inaudita altera parte (20). È difficile comprendere perché in arbitrato, un procedimento deformalizzato, il contraddittorio dovrebbe strutturarsi più rigidamente che nel giudizio statale secondo una sola ed unica forma (21). (18) Inter alia, Corte cost., 19 gennaio 1988, n. 37. (19) GARBAGNATI, I procedimenti di ingiunzione e sfratto, cit., 35 s.; ALLORIO, Diritto alla difesa e diritto al gravame, in Riv. dir. proc., 1975, 665; v. anche COLESANTI, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in RDP, 1975, 577 spec. 589. Recentemente RONCO, Procedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali a cura di CHIARLONI e CONSOLO, vol. I, Torino, 2005, 47 ss. (20) V. però, CONSOLO, Del vaglio alla stregua dell’art. 111 Cost. « potenziato » dei non troppo « equi » artt. 649 e 655 c.p.c. ed in genere del procedimento monitorio, in CG, 2001, 815 spec. 817. (21) Diversamente, BARBARESCHI, Gli arbitri, Milano, 1937, 57 s.; VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, spec. 226-227, testo e n. 88 (secondo cui l’assenza del contraddittorio nella fase antecedente alla formazione del convincimento degli arbitri sul provvedimento sommario contrasterebbe con esigenze di ordine pubblico). Del re- 67 © Copyright - Giuffrè Editore Non si vede, quindi, perché non dovrebbe essere consentito alle parti di attuare i principi di cui all’art. 816 c.p.c. creando un modello a contraddittorio eventuale e posticipato, una struttura bifasica che faccia seguire ad una prima fase inaudita altera parte una seconda fase a cognizione piena, instaurata su istanza della parte « esclusa » (22). 3. Il motivo per il quale la stipulazione di una clausola compromissoria preclude la concessione di un decreto ingiuntivo deve, a mio avviso, essere ricercato nella funzione attribuita dal legislatore al procedimento ex artt. 633 c.p.c. ss. Se, infatti, questo strumento (oltre che costituire rapidamente un titolo esecutivo) realizza un accertamento del diritto in forme più snelle di quelle ordinarie in casi di prevedibile non contestazione della pretesa (23), se, in altri termini, si ritiene, con la dottrina e giurisprudenza maggioritarie (24), che nel procedimento monitorio si sto l’ammissibilità di provvedimenti arbitrali ex parte è consacrata, pur se con riferimento a procedimenti cautelari, da alcune legislazioni straniere (v. ad es. art. 17 della Legge Modello UNCITRAL, adottato, inter alia, dall’Irlanda, la Nuova Zelanda e la Slovenia) e regolamenti arbitrali (si ricordino meccanismi simili all’ICC pre-arbitral référé). Sul tema delle misure cautelari ex parte concesse da tribunali arbitrali internazionali, ex multis, v. COPPO, Provvedimenti cautelari e arbitrato internazionale: le misure ex parte nei lavori di revisione dell’art. 17 della legge modello UNCITRAL, in RTDPC, 2007, 931; DERAINS, L’arbitre et l’octroi de mesures provisoires ex parte, in Gazz. pal., 2003, 14; KAUFFMAN KOHLER, Mesures ex parte et injonctions préliminaires (dans le cas de la loi-modèle de la CNUDCI), in Les mesures provisoires dans l’arbitrage commercial international, Paris, 2007, 91 ss.; VAN HOUTTE, Ten Reasons Against a Proposal for Ex Parte Interim Measures of Protection in Arbitration, 20(1) Arb. Int. 85. (22) Le maggiori difficoltà sarebbero non tanto nella costituzione del tribunale arbitrale (che potrebbe avvenire con gli ordinari meccanismi di nomina dato che le finalità della procedura monitoria non impongono di non avvertire del suo inizio la controparte), ma nel dubbio di parzialità (pre-giudizio) che potrebbe investire il tribunale arbitrale che, avendo definito la fase sommaria, fosse anche incaricato della decisione della fase a cognizione piena (cfr. art. 815, n. 6, c.p.c.). (23) A favore della piena equivalenza degli effetti del provvedimento monitorio e della sentenza, ex multis, CALAMANDREI, Il processo monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1927, 5-6; CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1980 (ristampa), 196 ss. spec. 216 s.; CRISTOFOLINI, Processo di ingiunzione, Padova, 1939, 117; GARBAGNATI, I procedimenti di ingiunzione e sfratto, Milano, 1949, 19 e 26 ss.; contra, ex pluribus, REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, 1949, II, 189, spec. 203-204, e IV, 26 s.; GIUDICEANDREA, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 1956, 71; PROTO PISANI, Diritto processuale civile3, Napoli, 1999, 598. (24) Per il giudizio monitorio come strumento alternativo al giudizio ordinario, perché teso alla formazione di un accertamento definitivo su una situazione giuridica soggettiva, si veda per tutti FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1994, 117; LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 99. Inter alia, Cass., 7 luglio 1993, n. 7448. 68 © Copyright - Giuffrè Editore esercita (anche) un’azione di condanna, la richiesta di tutela monitoria appare incompatibile con la volontà espressa dalle parti nell’accordo arbitrale. Attraverso tale accordo, infatti, le parti scelgono di devolvere ad arbitri le controversie scaturenti, collegate, o relative al contratto, sottraendole alla « decisione » del giudice. Questo significa che le parti escludono la possibilità di ottenere ogni provvedimento cui l’ordinamento riconosce l’effetto di « accertamento », indipendentemente dal fatto che esso consegua ad una cognizione piena, come la sentenza, o sommaria, come il decreto ingiuntivo (25). La conseguenza è che, in presenza di una generica clausola compromissoria (26), il giudice investito di un ricorso ex art. 633 c.p.c. non può concedere la misura. Conclusione radicalmente diversa si dovrebbe raggiungere se si dovesse ricostruire il procedimento monitorio come i) procedimento di giurisdizione volontaria, ii) procedimento di natura esecutiva (27), iii) un’azione speciale a contenuto processuale, iv) tertium genus intermedio tra cognizione ed esecuzione forzata (teso alla composizione di una pretesa insoddisfatta attraverso la formazione di un titolo esecutivo) (28), v) strumento di « normativa senza giudizio » (cui la mancata opposizione dell’ingiunto attribuisce efficacia di accertamento) (29), vi) meccanismo per la rapida formazione di un titolo esecutivo teso ad un accertamento giurisdizionale provvisorio (30). In (25) Né si potrebbe ritenere che, stipulando un accordo arbitrale generico, le parti abbiano inteso rinunciare soltanto ai giudizi ordinari, non alle procedure sommarie. Questa interpretazione trascurerebbe, infatti, di ricercare la volontà effettiva delle parti creando una sorta volontà fittizia opposta a quella potenzialmente ricavabile dalla scelta di una definizione « onnicomprensiva » dell’oggetto del mandato arbitrale (« ogni controversia », « tutte le controversie », « le controversie »). (26) Tale conclusione sembra confermata dal fatto che la rinuncia al modello monitorio non implica la perdita di particolari « poteri e la riduzione di garanzie in vista dei quali il sistema ha congeniato quel rito » (per un’applicazione del principio per ammettere la compromettibilità delle liti possessorie, DELLA PIETRA, La compromettibilità delle liti possessorie, cit., 343 ss.). (27) CRISTOFOLINI, Processo di ingiunzione, Padova, 1939, 89. (28) CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, IV ed., Roma, 1951, I, 43 ss. (29) RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, cit., 54 ss. (30) « Accertamento con prevalente funzione esecutiva » nell’accezione data da CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale2, Napoli, 1935, I, 215 ss.; sembra PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, III, Torino, 2010, 11 ss.; usa l’espressione in un’accezione diversa MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, Torino, 2011, 10, nota 5, che indivi- 69 © Copyright - Giuffrè Editore questi casi, infatti, la clausola compromissoria non potrebbe precludere l’accesso alla tutela ex art. 633 c.p.c. perché nel procedimento ingiuntivo non si deciderebbe di una controversia su diritti disponibili, cioè, non si effettuerebbe un’attività ricompresa nell’ambito del mandato ex art. 806 c.p.c. e coperta dall’effetto « negativo » del principio di compétence-compétence (31). La questione diviene, quindi, se l’eccezione di accordo compromissorio sia rilevabile d’ufficio nel procedimento ingiuntivo in senso stretto o se debba essere eccepita dall’ingiunto in sede di opposizione, secondo la soluzione dominante (32). La rilevabilità d’ufficio della clausola deve essere esclusa se si ritiene l’art. 819-ter c.p.c. (33) applicabile anche a procedimenti inaudita altera parte. Contro tale soluzione muovono, però, alcune considerazioni. In primo luogo, nonostante il suo tenore generico, la norma sembra chiaramente pensata per giudizi a contraddittorio pieno e anticipato, vale a dire procedimenti in cui il convenuto può — e, dunque, deve, se vuole — far valere l’eccezione (34). Essa non sembra dua nel procedimento monitorio una speciale forma di esercizio dell’azione di condanna che conduce ad un accertamento pieno capace di acquisire l’incontrovertibilità del giudicato. (31) In questo caso, quindi, il giudice investito di un ricorso ex art. 633 c.p.c. dovrebbe concedere il provvedimento ingiuntivo nonostante la sussistenza di un accordo compromissorio, ed il provvedimento non dovrebbe essere revocato se, in sede di opposizione, si accertasse l’esistenza della clausola. Si tratterebbe, piuttosto, di verificare il possibile coordinamento della clausola compromissoria e la cognizione piena aperta dall’opposizione. Se, infatti, questa fosse giudizio di cognizione per l’accertamento del credito, non potrebbe essere svolta di fronte al giudice senza violare l’impegno assunto con l’accordo compromissorio (v. infra § 4). (32) V. supra § 2. (33) Secondo opinione dominante, la norma ha consacrato l’eccezione di accordo arbitrale come eccezione in senso stretto, ex pluribus, v. RUFFINI, Sub art. 819-ter, in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 374; LUISO, Il rapporto fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 123. Prima dell’intervento della riforma del 2006, affermavano la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di patto compromissorio, BOVE, Il patto compromissorio rituale, in Riv. dir. civ., 2002, 432 (applicando analogicamente la disciplina dettata dagli artt. 4, comma 1, e 11, Legge n. 218/1995); CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Milano, 171 (sul presupposto della normale rilevabilità d’ufficio delle eccezioni di merito non riservate dalla legge al monopolio delle parti); MARENGO, Conseguenze della omissione dell’exceptio compromissi, in questa Rivista, 1994, 347 (applicando il regime dell’eccezione di difetto di giurisdizione). (34) Un’analoga considerazione sembra essere la premessa necessaria del ragionamento che ha condotto la Corte costituzionale ad escludere l’incostituzionalità dell’art. 39 c.p.c. (v. supra nota 10). Ritiene che la decisione della Corte giustifichi la rilevabilità d’ufficio di tutte le eccezioni di rito rilevabili ex parte nel giudizio a contraddittorio anticipato, 70 © Copyright - Giuffrè Editore compatibile invece con la funzione del procedimento monitorio, un procedimento in cui la partecipazione del « convenuto » è inizialmente esclusa. Applicare, infatti, al procedimento monitorio i « limiti alla rilevazione d’uffıcio delle questioni di rito e di merito propri del processo a cognizione piena » — fra cui l’esistenza di una clausola compromissoria — significherebbe « concedere il decreto ingiuntivo con la consapevolezza che l’istante ha torto in rito o in merito, e costringere quindi l’ingiunto a proporre un’opposizione che sarebbe fondata » e, dunque, vanificare la funzione del procedimento, vale a dire « evitare un processo a cognizione piena, quando esso non sia necessario » (35). L’inapplicabilità dell’art. 819-ter c.p.c. (36) al procedimento monitorio sembra, in secondo luogo, trovare conferma nella decisione della Corte cost. n. 410 del 3 novembre 2005. Un primo elemento è di tipo temporale: l’introduzione dell’art. E. RICCI, I poteri del giudice adito con ricorso per decreto ingiuntivo secondo la Corte costituzionale, in Riv. dir. proc., 2006, 1473; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 19, nota 32. A favore della rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di clausola compromissoria nel procedimento ingiuntivo in senso stretto, RICCI, I poteri del giudice adito con ricorso per decreto ingiuntivo secondo la Corte costituzionale, cit., 1477; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 18, nota 28; CAPPONI, Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria secondo il nuovo art. 819-ter c.p.c.; in questo senso sembra anche LUISO, Il rapporto fra arbitro e giudice, cit.; contra, ex pluribus, PERIN, Il procedimento di ingiunzione, cit. (secondo cui la ratio sottesa alla decisione — evitare che la scelta del ricorrente di rivolgersi ad un giudice territorialmente incompetente si ripercuota negativamente sulla possibilità di difesa per l’ingiunto, costretto a scegliere tra il non opporsi e opporsi in una sede disagevole — non ne giustifica l’applicazione in caso di incompetenza derivante da convenzione di arbitrato « salvo che il rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria — anziché all’arbitro — non integri anche una deroga alla competenza territoriale c.d. semplice »). (35) LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 129. Con altra motivazione, sulla rilevabilità dell’eccezione di incompetenza territoriale derogabile, inter alia, TOTA Sulla rilevabilità ex officio dell’incompetenza territoriale nel rito monitorio, nota a Trib. Campobasso, 31 ottobre 2001, in Giust. civ., 2002, I, 2948. (36) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 18 nota 28. La norma assimila il regime di rilevazione dell’eccezione e di impugnazione che su di essa decide, ma non permette di inquadrare i rapporti tra arbitro e giudice nello schema della competenza, come dimostra, secondo la dottrina, i) l’inapplicabilità degli articoli 44, 45, 48, 50 e 295 c.p.c. (VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 20 s.; CAPPONI, Sub art. 819-ter, in Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2009, III/2, 879 ss.); ii) la forma del provvedimento che definisce le questioni di competenza e di patto compromissorio (sentenza e non la forma prevista dal nuovo art. 38, comma 4, c.p.c., LUISO, Diritto processuale civile, V, cit., 161); iii) la prevista ammissibilità di un’autonoma domanda volta a accertare la validità della convenzione di arbitrato (non essendo invece ammissibile un’azione per l’accertamento del giudice potenzialmente competente, RUFFINI, Sub art. 819-ter, cit., 373). 71 © Copyright - Giuffrè Editore 819-ter, comma 1, c.p.c. è successiva all’intervento della Corte costituzionale. Si potrebbe, dunque, ragionevolmente, pensare che il legislatore abbia inteso assimilare il regime dell’eccezione di accordo compromissorio al regime dell’eccezione di incompetenza territoriale derogabile come delineato dalla sent. n. 410/2005. Un secondo elemento è di tipo sostanziale: le stesse esigenze di tutela che hanno portato la Corte ad affermare la necessità di consentire la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza territoriale derogabile sussistono anche in relazione alla clausola compromissoria. Se, infatti, l’eccezione di patto compromissorio non fosse rilevabile d’ufficio, l’ingiunto che non presentasse opposizione (sopportandone le spese ed i tempi) per far valere l’esistenza dell’accordo compromissorio (ed il proprio diritto di non essere convenuto in giudizio), sarebbe « irrimediabilmente pregiudicato » nei propri diritti. Egli non solo soccomberebbe nel merito, ma, data la giurisprudenza che estende l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto anche all’esistenza e validità del rapporto da cui deriva il diritto (37), rinuncerebbe anche alla competenza arbitrale su tali profili dall’attore rimessi alla decisione del giudice (38). 4. Poiché, de jure condito, la stipulazione di una clausola compromissoria generica sembra precludere l’accesso alla tutela monitoria del credito, diviene interessante verificare se le parti possano riservarsi l’accesso a tale forma di tutela nell’accordo compromissorio, ad esempio, prevedendo la possibilità di: i) chiedere un provvedimento ingiuntivo al giudice statale, riservando agli arbitri il giudizio di opposizione (39); o ii) agire ex artt. 633 c.p.c. ss. per la tutela (37) V. inter alia, Cass., 12 maggio 2003, 7272; Cass., 11 giugno 1998, n. 5801, in Giust. civ., 1999, I, 189; Cass., 20 aprile 1996, n. 3757, FI, 1998, I, 1980, con nota di CARIGLIA, Note sull’effıcacia del decreto ingiuntivo non opposto. Sull’estensione degli effetti di regiudicata sul rapporto obbligatorio complesso in caso di pregiudizialità logica, ex pluribus, MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 87 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 136 e ss.; contra, ex pluribus, RONCO, Procedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali a cura di CHIARLONI e CONSOLO, vol. I, Torino, 2005, 528 ss. (38) V. supra nota 37. (39) Riproponendo convenzionalmente in relazione al procedimento ingiuntivo, la soluzione che la giurisprudenza adotta in materia di convalida di licenza e sfratto, v. Cass., 31 luglio 2006, n. 17424, www.leggiditalia.it, nella motivazione, Cass., 23 giugno 1995, n. 7172, ivi; Cass., 16 gennaio 1991, n. 387, ivi; nella giurisprudenza di merito, recentemente, Trib. Modena 19 marzo 2007, in Giur. mer., 2007, 2823, con nota di DI MARZIO, Arbitrato e 72 © Copyright - Giuffrè Editore di taluni crediti (40); o ancora iii) chiedere una tutela monitoria agli arbitri. Nessuna di queste soluzioni sembra in grado, de jure condito, di mitigare integralmente gli effetti esaminati nel precedente paragrafo. In particolare, la clausola che prevedesse un giudizio di opposizione arbitrale sub i), potrebbe avere l’effetto di deferire agli arbitri la cognizione piena della controversia, ma non potrebbe escludere la necessità per le parti (l’ingiunto, ma anche il creditore che volesse vedere attribuita efficacia esecutiva al decreto) di instaurare un giudizio di opposizione di fronte al giudice per gli aspetti relativi all’esecutività del provvedimento ingiuntivo. Gli arbitri, infatti, sono privi dei poteri autoritativi necessari ad incidere sull’esecutività del provvedimento (ex artt. 648 e 649 c.p.c.) ed il loro mandato è limitato alla « decisione di una controversia » su diritti disponibili (ex art. 806 c.p.c.). Inoltre tale clausola rischia di essere inefficace a causa dell’effetto che essa esplica indirettamente sul giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. (41), i.e. trasformarlo da giudizio di accertamento del diritto — come delineato dal legislatore — a giudizio su questioni processuali. Tale accordo sembra, infatti, confliggere con il divieto di accordi processuali atipici e con il principio della tipicità dei giudizi con oggetto diverso dalla tutela di una situazione giuridica sostanziale (42). Attraverso le clausole sub ii), invece, le parti selezionerebbero e individuerebbero, sulla base della loro esperienza e relazione contrattuale, i crediti nascenti dal contratto per la cui tutela preferiscono procedimento di convalida: una relazione diffıcile, ivi; Trib. Verona, 15 gennaio 2004, www.leggiditalia.it; Coll. Arb. 7 settembre 1999, in questa Rivista, 2000, 549, con nota di FRATINI, ivi, 552. (40) Cfr. AULETTA, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in Diritto dell’arbitrato, cit., 505. (41) La sottrazione della lite alla competenza funzionale inderogabile posta dall’art. 645 c.p.c., non sembrerebbe, invece problematica, l’inderogabilità di tale competenza operando solo nei rapporti fra giudici dello stato, ex pluribus, DI MARZIO, Arbitrato e procedimento di convalida: una relazione diffıcile, cit. (42) Tale difficoltà potrebbe essere superata, de jure condendo, ad esempio, consentendo il trasferimento di fronte agli arbitri del giudizio di opposizione proposto di fronte al giudice (relativamente alla decisione sul diritto sostanziale). Una soluzione questa, che però richiederebbe di rivalutare il ruolo dell’arbitrato e del suo rapporto con la giurisdizione statale, come delineati dal legislatore della riforma. V. supra nota 36. 73 © Copyright - Giuffrè Editore ricorrere al procedimento ex art. 633 c.p.c. ss. (ad esempio, le controversie al di sotto di un certo valore ovvero relative a certi tipi di prestazioni). Per queste controversie esse potrebbero prevedere a) l’obbligo o b) la facoltà di ricorrere al procedimento ex art. 633 c.p.c., in quest’ultimo caso rimettendo al futuro creditore la scelta fra soluzione arbitrale e giurisdizionale della lite. Attraverso queste clausole le parti eserciterebbero, quindi, la loro autonomia negoziale, definendo l’ambito delle controversie deferibili ad arbitri e, cosı̀, modellando la soluzione delle liti in funzione della controversia (43). Il rischio, però, che queste clausole non riescano ad assicurare alle parti la tutela a cui esse auspicavano è elevato. In primo luogo, clausole che prevedessero espressamente l’obbligo o la facoltà di agire ex art. 633 c.p.c., non potrebbero limitare l’intervento della giustizia ordinaria al modello sommario. Esse, infatti, consacrando una scelta delle parti sul modello di trattazione della causa, rientrerebbero tra gli accordi processuali atipici, la cui efficacia processuale è, de jure condito, dubbia (44). Le parti, quindi, prevedendo il ricorso alla tutela monitoria, di fatto accetterebbero che la giurisdizione statale possa o debba (con consequenziale sottrazione alla potestas arbitrale) essere investita della decisione di certe azioni di condanna, sia a cognizione piena che a cognizione sommaria. In secondo luogo, data l’efficacia (generalmente) riconosciuta al decreto ingiuntivo, la formulazione sub a e b) implicherebbe la possibilità che il giudice decida anche dell’esistenza e validità del rapporto giuridico da cui deriva il diritto azionato in sede monitoria (45). Ciò, nonostante le parti avessero inteso riservare agli arbitri (43) Diffusa nelle esperienze straniere, v. BORN, International Arbitration and Forum Selection Agreements: Drafting and Enforcing, Kluwer Law International, 2010, 27, secondo cui « [...] save in special circumstances and where great care is taken in drafting, such exclusions are usually ill-advised ». Sulla pratica delle clauses combinées, v. ZUNARELLI e ZOURNATZI, Arbitrato nelle controversie marittime internazionali, in Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre adr, a cura di BUONFRATE e GIOVANNUCCI ORLANDI, 429. (44) Pur facendo salva la possibilità di un’eventuale responsabilità risarcitoria, da ultimo, GIUSSANI, Autonomia Privata e presupposti processuali: note per un inventario, in RTPC, 2010, 240 (con riferimento al patto di conciliazione). Contra, auspicando un maggiore rilievo degli accordi processuali, CAPONI, Autonomia privata e processo civile: gli accordi processuali, in RTPC, Spec. Accordi di parte e processo, 2008, 110. (45) V. supra nota 37. Inoltre, nel caso in cui l’accesso alla giurisdizione sia ancorato al valore della controversia, il rischio evidente è quello del « frazionamento » del credito da parte dell’attore che voglia sottrarsi all’arbitrato. 74 © Copyright - Giuffrè Editore ogni controversia non espressamente riservata alla giurisdizione (fra cui anche la decisione sul rapporto giuridico). In questa prospettiva, allora, non resta che una forzatura. O si esclude che il decreto possa avere efficacia di giudicato sulla questione dell’esistenza e la validità del rapporto coperta dall’accordo compromissorio (con tutte le indesiderate conseguenze che portano giurisprudenza e dottrina maggioritaria ad affermare l’estensione del giudicato al rapporto). O si deve ipotizzare che, attraverso clausole del tipo sub ii), le parti saranno ritenute aver implicitamente accettato la possibilità che sia sottratta alla potestas arbitrale anche la decisione sull’esistenza e validità del rapporto (con l’effetto, però, di presumere, de jure, la volontà delle parti e, soprattutto, di frazionare l’ambito di ricorribilità al rimedio arbitrale e la sua efficacia). Infine, la formulazione sub b) (46) consentirebbe sı̀ alle parti di realizzare un’efficace soluzione delle liti (permettendo di valutare in concreto la sede più opportuna per la soluzione della controversia), ma rischierebbe di: i) non essere ritenuta un efficace accordo compromissorio (i.e., un impegno attuale e concreto a compromettere la lite) ma solo convenzione preliminare di accordo (47); o ii) essere ritenuta nulla ex art. 1355 c.c. perché sottoposta a condizione meramente potestativa (i.e., la via arbitrale essendo soggetta alla scelta arbitraria dell’attore). (46) Clausole arbitrali « sole-option » (cosı̀ definite perché la facoltà di scegliere fra arbitrato e giurisdizione è riservata « at its sole option » ad una parte contrattuale), « asymmetric », « unilateral », « optional » attraverso cui le parti conferiscono ad una di esse l’opzione fra giustizia statale o arbitrale sono diffuse nella prassi commerciale, e ammesse in ordinamenti stranieri. Esempi di clausole sono riportati da MOSKIN, Commercial Contracts: Strategies for Drafting and Negotiating, vol. 1, 2009 Suppl., Wolters Kluwer, § 5-64 ss. Per la validità di clausole sole option nell’ordinamento USA, v. Oblix Inc. v. Winiecki, 374 F.3d 488, 490-491; HAMILTON, CAPIEL, Madrid update: Sole-Option Arbitration Clauses Under Spanish Law, 25(8) Mealey’s International Arbitration report 1 (Agosto 2010). (47) Ritiene patologiche le clausole combinate o miste perché « indice di uno strapotere di una parte sull’altra non fosse altro perché con questo mezzo una parte può comunque paralizzare qualsiasi legittima (ex ante) iniziativa dell’altra », FRIGNANI, Libertà delle parti e clausole patologiche nell’arbitrato internazionale, in Arbitraje: Revista de Arbitraje Comercial y de Inversiones, 2008, 772. Sulla riconoscibilità di un lodo pronunciato in virtù di una clausola compromissoria che deferiva le controversie ad un arbitrato amministrato da istituzioni con sede a Stoccolma o a Pechino, da scegliere a seconda della parte che avrebbe proposto la domanda, App. Milano 2 luglio 1999, in questa Rivista, 2000, 753, con nota di MURONI, Il conflitto pratico fra lodi e la Convenzione di New York, ivi, 755; e Cass., 7 febbraio 2001, n. 1732, CG, 2002, 107, con nota di CONSOLO, Lodi incompatibili e di diversa nazionalità: profili di riconoscimento in un paese terzo, ivi, 111. 75 © Copyright - Giuffrè Editore In questa prospettiva diventerebbe essenziale l’attenta formulazione della clausola, che dovrebbe essere chiara nel consentire all’attore di percorrere la via arbitrale senza necessità di un ulteriore accordo con il convenuto (48), e nel collegare l’impegno della parte alla scelta del meccanismo di soluzione delle liti a fattori oggettivi (49). Si potrebbe in questo senso addirittura immaginare l’efficacia di una clausola che autorizzasse la parte a scegliere, in ragione della specifica natura e delle caratteristiche della controversia insorta, se chiedere tutela del proprio diritto dinnanzi agli arbitri o con procedimento ex art. 633 c.p.c. Da una parte, infatti, il riferimento all’articolo 633 c.p.c. avrebbe una funzione individualizzante del tipo di controversie e delle condizioni in presenza delle quali l’accesso alla tutela giurisdizionale è rimesso alle parti. Dall’altra, la clausola non porrebbe alcuna delle parti in posizione di vantaggio, quanto meno in contratti rispetto ai quali entrambe le parti possono assumere la posizione di creditore e debitore. Infine, con la clausola sub iii), le parti potrebbero prevedere che la tutela monitoria sia concessa dagli arbitri (50). Anche tale soluzione, che richiederebbe alle parti di regolare il procedimento monitorio (eventualmente per rinvio ad un regolamento), non sembra, de jure condito, offrire alle parti una tutela effettiva. Se, infatti, uno degli scopi perseguiti con la tutela sommaria è la rapida formazione di un titolo esecutivo, la misura ingiuntiva arbitrale potrebbe essere concessa soltanto nell’ambito di un arbitrale rituale e dovrebbe essere concessa nella forma di lodo (51) (dato che le ordinanze arbitrali non possono essere oggetto di exequatur ex art. 825 c.p.c.). (48) Ha qualificato una clausola compromissoria « unilateralmente facoltativa » (o « obbligatoria per una soltanto delle parti ») come opzione ex art. 1331 c.c., ritenendola valida, Cass., 19 ottobre 1960, n. 2387, in Giust. civ., 1960, I, 1897 (la clausola recitava « in caso di controversie che attengano all’interpretazione ed all’esecuzione del presente contratto, sarà facoltà della parte committente anche in relazione alla specifica natura del dissenso, di affıdarne la risoluzione ad un arbitro amichevole »). V. a contrario Cass., 8 aprile 2004, n. 6947, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2005, 107, 109; e Cass., 18 giugno 1991, n. 6857, Rep. Foro it., 1992, Delibazione [2080], n. 38. (rifiutando di qualificare come clausola arbitrale l’accordo con cui le parti abbiano condizionato il ricorso all’arbitrato ad un loro successivo accordo). (49) Cass., 21 maggio 2007, n. 11774. (50) Per la cui validità, v. supra, § 2. (51) Eventualmente da assumere nella forma di lodo « non definitivo » — per evitarne l’immediata impugnabilità ex art. 827, comma 2, c.p.c. — da « recepirsi » in un lodo definitivo in caso di mancata opposizione. 76 © Copyright - Giuffrè Editore Tale forma, pur coerente con la potenziale definitività dell’accertamento in esso contenuto, porrebbe però serie difficoltà di coordinamento con la disciplina generale. Il provvedimento monitorio, infatti, pur essendo definito lodo, mancherebbe del tratto caratteristico di tale provvedimento (i.e. il provocare l’esaurimento del potere arbitrale sulla questione risolta) poiché la parte, proponendo opposizione, potrebbe suscitare una cognizione piena sulla domanda decisa sommariamente. Al di là della dubbia legittimità di tale figura, il presidente del tribunale investito ex art. 825 c.p.c. potrebbe, quindi, rifiutare di dichiarare esecutivo il provvedimento ritenendo che esso non sia « lodo » (52). Inoltre, anche se il lodo « monitorio » fosse dichiarato esecutivo, la sua esecutività sarebbe regolata dai meccanismi dell’art. 825 c.p.c., non adatti rispetto alla fattispecie in questione. Da una parte, infatti, l’esecutività sarebbe slegata dai presupposti previsti dall’art. 642 c.p.c. ed unicamente soggetta a un controllo di regolarità formale ex art. 825 c.p.c. Dall’altra, l’« amministrazione » dell’efficacia esecutiva dovrebbe avvenire attraverso il reclamo ex art. 825 c.p.c. (entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto ex art. 825, comma 3, c.p.c.) o ex art. 830, comma 3, c.p.c., vale a dire attraverso meccanismi del tutto inadeguati, per presupposti e ambito di attivabilità, a surrogare lo strumento dell’art. 649 c.p.c. (che consente di ottenere la sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto, in ogni momento, quando ricorrano gravi motivi). Tali difficoltà sembrano poter essere superate soltanto de jure condendo attraverso l’introduzione di una specifica disciplina, che permetta di attribuire efficacia esecutiva anche a taluni provvedimenti arbitrali non definitivi e di incidere sull’efficacia esecutiva del provvedimento concesso, pendente giudizio a cognizione piena. This Article examines whether, under Italian law, a state court may grant a payment order (decreto ingiuntivo) to enforce rights arising out of a contract which includes an arbitration clause. After having illustrated Italian case law and scholars’ opinions on the matter and after having examined the potential weaknesses of those scenarios, the Article comes to the conclusion that if a contract contains an arbitration clause, then (52) Possono, per analogia, ricordarsi le difficoltà a ottenere il riconoscimento ex art. 839 c.p.c. di « lodi » non definitivi contenenti provvedimenti cautelari, si veda, se si vuole BERGAMINI, L’arbitrato estero, in Arbitrato a cura di CECCHELLA, Torino, 2005, 339. 77 © Copyright - Giuffrè Editore this in itself can prevent a state court from granting a payment order. Furthermore, the existence of the arbitration clause must be raised ex officio by the court handling the application for an order. The Article also examines whether, and to what extent, the parties, by carefully drafting the arbitration clause, can reserve their right to seek a payment order from a state court. 78 © Copyright - Giuffrè Editore GIURISPRUDENZA ORDINARIA I) ITALIANA Sentenze annotate CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II civ.; sentenza 20 giugno 2011, n. 13531; SCHETTINO Pres.; FALASCHI Est.; RUSSO P.M. (concl. conf.); N. (avv. Giampà) c. L. Arbitrato - Compromesso e clausola compromissoria - Interpretazione - Criteri - Riferimento a tutte le controversie su pretese aventi causa nel contratto - Necessità - Conseguenze - Controversia di interpretazione o di applicazione del contratto - Inclusione della controversia in materia di inadempimento e di risoluzione - Sussistenza. Quando con una clausola compromissoria le parti deferiscono a un collegio arbitrale le controversie relative all’applicazione o interpretazione del contratto preliminare, cui la clausola accede, tale patto va interpretato in senso lato, se non c’è una volontà contraria, fino a ricomprendere ogni controversia relativa al contratto, anche in merito all’esecuzione o all’inadempimento. CENNI DI FATTO. — N. evocava, dinanzi al Tribunale di Rovereto, L. esponendo di avere stipulato contratto preliminare di compravendita immobiliare con il convenuto e chiedendo la pronuncia di una sentenza che tenesse luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. Avverso la sentenza di accoglimento del Tribunale propone appello L., con il quale ribadisce l’incompetenza del Tribunale adito stante la clausola arbitrale contenuta nel preliminare di vendita [...]. La Corte d’appello evidenzia che l’interpretazione restrittiva della clausola compromissoria contenuta nel contratto preliminare, offerta dal giudice di prime cure, non è da condividere in quanto trattandosi di arbitrato irrituale, l’arbitro da nominare avrebbe assunto la veste di mandatario ed avrebbe potuto avvalersi di tutti i mezzi giuridici idonei alfa definizione del rapporto, avendo le parti con la clausola implicitamente rinunciato ad avvalersi della tutela giurisdizionale in relazione a qualsiasi diritto scaturente dal contratto in contestazione. MOTIVI DELLA DECISIONE. — [...] N. critica l’impugnata sentenza, sostenendo che la Corte di merito ha male interpretato il contenuto della clausola compromissoria, 79 © Copyright - Giuffrè Editore di cui al preliminare di vendita, siccome con essa le parti avevano inteso devolvere ad arbitri amichevoli — compositori non ogni controversia, ma solo le liti che fossero insorte in ordine all’applicazione ovvero all’interpretazione del contratto. La presente controversia esulando da detto ambito, per essere la domanda introdotta attorea volta ad ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c.. In altre parole, il tema introdotto dall’attore atterrebbe alla esecuzione del contratto e non già alla sua interpretazione, per cui andrebbe discusso in sede contenziosa, mentre la contrapposta eccezione di merito relativa alla risoluzione del contratto, proprio perché sollevata dal convenuto direttamente al giudice ordinario, senza avanzare alcuna richiesta di deferirne la decisione a collegio arbitrale, costituirebbe ipotesi di implicita rinuncia alla medesima clausola. La corte territoriale sarebbe pertanto incorsa in errore avendo ritenuto di competenza del collegio arbitrale anche la pronuncia di sentenza in luogo di contratto [...]. Quanto al secondo profilo si osserva che la corte di merito ha risolto la questione controversa esponendo le ragioni del suo approdo con motivazione chiara, esaustiva ed immune da vizi logici, conclusivamente affermando che la pretesa azionata dall’attore, attuale ricorrente, contro il L., è improponibile rientrando nella previsione della clausola contenuta nel contratto preliminare di vendita, ove testualmente si legge: « qualunque contestazione o vertenza sull’interpretazione del presente preliminare, dovrà essere risolta con giudizio arbitrale ». Il ricorrente confuta tale decisione deducendo argomentazioni che non possono però essere riesaminate in questa sede di legittimità, con le quali smentisce siffatta interpretazione del contenuto della clausola proponendo la propria esegesi, in tesi corretta, senza neppure prospettare se e quali canoni di ermeneutica contrattuale sarebbero stati violati dal giudice d’appello. In sostanza, sollecita la rilettura del testo della clausola, chiedendo che ne venga ricostruito il tenore alla luce delle sue argomentazioni, La sua critica si concreta pertanto in una quaestio voluntatis, con cui si lamenta che la corte di merito non ha colto il senso della clausola arbitrale. Di converso, l’interpretazione del giudice del gravame è sindacabile in cassazione solo se inficiata da difetto di motivazione o da vizi logici o errori di diritto, riconducibili ad errata applicazione dei criteri sanciti dagli artt. 1362 ss. c.c., che, come si è rilevato, nella specie neppure sono stati enunciati. È indubbio, infatti, che spetta al solo giudice del merito interpretare il contenuto del suddetto patto e di delineare in conseguenza l’ambito della cognizione degli arbitri, dal momento che il percorso che deve essere condotto al fine di accertare il significato, sia grammaticale che logico delle espressioni usate. Si fonda sulla ricostruzione della loro comune volontà, e se risulta rispettosa delle regole di ermeneutica citate e sia correttamente motivata, tale indagine non e sindacabile in sede di legittimità (per tutte Cass., 14 aprile 1994 n. 3504; nn. 5549/2004 18917/ 2004, 14557/2004). Nella specie, come si è rilevato, la conclusione della corte territoriale scaturisce da una duplice ermeneusi che è stata condotta. correttamente e neppure censurata nella prospettiva che ne avrebbe consentito il controllo in questa sede, sia sulla natura dell’azione introdotta con la domanda, che è stata interpretata, anche alla stregua della causa petendi illustrata nell’atto introduttivo del giudizio, come inerente all’applicazione del contratto cui la clausola accedeva, sia sul tenore della nozione giuridica del concetto di « applicazione » del contratto per la quale operava la rinuncia alla giurisdizione. 80 © Copyright - Giuffrè Editore Il ricorrente critica soprattutto questa interpretazione, censurandola sul rilievo che l’azione da lui esercitata, siccome tesa alla pronuncia di sentenza in luogo del contratto (definitivo), non rientrava nell’ambito applicativo della clausola, vale a dire fra le liti inerenti l’« interpretazione » del contratto. Nondimeno la sua censura resta infondata anche in questa prospettiva, dal momento che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, il collegio arbitrale, al quale con una clausola siano state deferite le controversie in materia di interpretazione o di applicazione del contratto, e competente a decidere anche in materia di inadempimento o di risoluzione del contratto stesso poiché detto patto, in assenza di espressa volontà contraria, deve essere interpretato in senso lato, con riferimento a tutte le controversie relative a pretese aventi causa nel contratto (cfr per tutte Cass., Sez. I, 22 dicembre 2005, n. 28485; Cass., Sez. I, 2 febbraio 2001 n. 1496; Cass., Sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1559). In altri termini, il giudice del gravame ha coerentemente ritenuto che, per la latitudine della clausola, e segnatamente per la carenza di una espressa volontà in contrario, all’ambito oggettivo della stessa appartenesse ogni questione controversa che al contratto si ricollegasse [...]. Favor arbitrati e art. 808-quater c.p.c. 1. Nel caso in esame, la controversia ha preso avvio da un contratto preliminare di compravendita d’immobile recante al suo interno una clausola per arbitrato irrituale, in base alla quale qualunque contestazione o vertenza sull’interpretazione del contratto avrebbe dovuto essere risolta con giudizio arbitrale; il promissario acquirente aveva agito dinnanzi al Tribunale proponendo domanda di esecuzione in forma specifica del contratto, ai sensi dell’art. 2932 c.c. Formulata l’eccezione compromissoria, si è posta la questione se l’azione proposta dall’attore — attinente per sua natura all’esecuzione del contratto preliminare — dovesse o meno ritenersi compresa nei confini della clausola, che espressamente deferiva in arbitrato soltanto le controversie relative all’interpretazione del contratto. La Corte d’appello, riformando sul punto la decisione del Tribunale, ha accolto un’interpretazione estensiva della clausola, sostenendo che le parti avessero in realtà inteso implicitamente rinunciare ad avvalersi della tutela giurisdizionale statale « per ottenere l’osservanza di qualsiasi diritto scaturente dal contratto in contestazione ». La Corte suprema, pur ribadendo il principio generale secondo il quale l’interpretazione della portata della clausola compromissoria rappresenta una quaestio voluntatis insindacabile in cassazione ove non affetta da difetto di motivazione, vizi logici o errori di diritto, come spesso accade è entrata nel merito della questione, condividendo la decisione della Corte territoriale e affermando il principio per cui, in assenza di una espressa volontà contraria, appartiene all’ambito oggettivo della clausola compromissoria ogni controversia che si ricolleghi al contratto. 81 © Copyright - Giuffrè Editore Nella sostanza, la Corte suprema — relativamente ad un giudizio ante riforma — ha esteso all’arbitrato irrituale gli stessi principi che, non senza difficoltà, si sono progressivamente imposti in materia di arbitrato rituale, ove — pur essendo molto diffusa la tesi restrittiva che limitava la deroga alla giurisdizione statale ai soli casi di volontà espressa (1) — si è formato un orientamento estensivo preoccupato di non frammentare, in assenza di una precisa volontà contraria, le controversie nascenti dal medesimo contratto, distribuendole tra arbitri e giudici (2). 2. La Corte suprema, dunque, ancora una volta si è occupata del classico problema dell’interpretazione della convenzione d’arbitrato. Nel caso concreto, è stato possibile superare il dubbio attraverso l’impiego dei tradizionali strumenti ermeneutici a disposizione del giudice: infatti, se è certo possibile distinguere logicamente tra esecuzione e interpretazione del contratto, nondimeno s’interpreta il contratto per eseguirlo, dunque ogni controversia sull’esecuzione involge un problema di interpretazione del contratto e viceversa. Il problema dell’interpretazione della clausola comunque, in termini generali, rimane: che dire se l’attore, invece dell’esecuzione del contratto, ne avesse chiesto la risoluzione o l’annullamento, o ancora avesse chiesto il risarcimento del danno da ritardo nell’adempimento o l’arricchimento senza giusta causa? (3). Tali azioni avrebbero potuto rientrare nel perimetro di una clausola compromissoria avente espressamente ad oggetto le sole controversie e vertenze sull’interpretazione del contratto? Oggi, il problema è risolto una volta per tutte dall’art. 808-quater c.p.c., il quale espressamente prevede che, nel dubbio, la convenzione di arbitrato s’interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce. (1) Cass., 27 luglio 1957, n. 3167, in Foro it., 1957, I, 1618, secondo cui l’indicazione delle sole liti attinenti all’interpretazione del contratto escluderebbe la competenza arbitrale quanto ad azioni diverse da quelle di mero accertamento; Cass., 24 gennaio 2005, n. 1398; Cass., 23 luglio 2004, n. 13380; Cass., 4 giugno 2003, n. 8910; Cass., 25 agosto 1998, n. 8410; Cass., 2 febbraio 1991, n. 2132; contra la dottrina, v. LUISO, Clausola compromissoria e clausola di deroga alla competenza territoriale, in questa Rivista, 2003, 75. (2) Cass., Sez. I, 22 dicembre 2005, n. 28485, in Rep. Foro it., 2005, voce Arbitrato, n. 107; Cass., Sez. I, 2 gennaio 2001, n. 1496, in Rep. Foro it., 2001, voce Arbitrato, n. 129; Cass., Sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1559; Cass., 14 aprile 1994, n. 3504, in Giur. it., 1994, I, 1, 1264; in tema, v. RUFFINI, In tema di interpretazione della clausola compromissoria: i dubbi della Suprema Corte e l’art. 1367 c.c., in questa Rivista, 1999, 53 ss.; ID., Commento all’art. 808-quater, in CONSOLO - LUISO (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2007, 1678 ss. (3) Sul tema, v. MOTTO, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comportamento delle parti, in questa Rivista, 2006, 82 ss. 82 © Copyright - Giuffrè Editore Tale disposizione introduce un nuovo criterio metodologico nell’interpretazione delle clausole compromissorie (e delle convenzioni d’arbitrato in generale) ispirato al favor arbitrati, che sostanzialmente impone al giudice — sulla stessa linea dell’indirizzo giurisprudenziale di cui è rappresentante anche la decisione in commento — di ritenere comprese, nel perimetro della clausola, tutte le controversie che derivano dal contratto, salvo espressa volontà delle parti. Nella sostanza, l’art. 808-quater c.p.c. ha rovesciato l’ermeneutica della convenzione d’arbitrato: non bisogna più stabilire se le parti abbiano inteso ricomprendere questa o quella controversia nella clausola, ma se l’abbiano voluta escludere; in altre parole, attraverso i tradizionali criteri d’interpretazione del contratto (artt. 1362 ss. c.c.), il giudice è chiamato a verificare se le parti abbiano inteso escludere alcune delle controversie nascenti dal contratto dal perimetro della devoluzione agli arbitri; in assenza di questa volontà contraria, l’ordinamento impone al giudice di interpretare estensivamente la portata oggettiva della clausola, sino a ricomprendere qualsiasi controversia derivante dal negozio cui accede (ovvero ogni controversia più in generale derivante dal rapporto cui si riferisce la convenzione d’arbitrato) (4). Il criterio introdotto dall’art. 808-quater può essere applicato anche all’arbitrato irrituale? Il quesito si cala nell’alveo della più generale questione se le disposizioni dettate per l’arbitrato rituale possano essere, almeno in parte, applicate anche all’arbitrato libero; questione sulla quale, come è noto, si fronteggiano un atteggiamento rigidamente negativo (5) ed uno più possibilista, che consiglia di distinguere tra le disposizioni incompatibili con la natura dell’arbitrato irrituale e quelle che, non essendo incompatibili, possono essergli applicate senza violazione dei principi (6). (4) In questo senso, l’art. 808-quater, a dispetto della lettera della disposizione, non pare enunciare un criterio in grado di operare soltanto in caso di dubbio interpretativo insuperabile attraverso i consueti criteri di interpretazione del contratto, ma un criterio nuovo e generale, in grado di operare immediatamente, imponendo al giudice di andare subito alla ricerca di una specifica volontà negativa di escludere una determinata controversia dall’ambito di operatività della clausola, o più in generale della convenzione d’arbitrato; in questo senso, i criteri ermeneutici dettati dal codice civile mantengono intatto il proprio ruolo, come strumenti a disposizione del giudice per individuare, nell’accordo delle parti, detta voluntas excludendi; sull’applicabilità dei criteri di cui agli artt. 1362 ss. per l’interpretazione della convenzione d’arbitrato, in generale, v. OCCHIPINTI, La cognizione degli arbitri sui presupposti dell’arbitrato, Torino, 2011, 123 ss. (5) BOVE, Commento all’art. 808-ter, in MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 73. (6) LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2007, 366; TOTA, Commento all’art. 808-ter, in BRIGUGLIO - CAPPONI (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, Padova, 2009, 545 ss. 83 © Copyright - Giuffrè Editore A nostro avviso, l’art. 808-quater rientra tranquillamente tra le disposizioni che possono senz’altro essere applicate anche all’arbitrato libero; ciò non soltanto per il fatto che — come dimostra la decisione in commento — l’art. 808-quater sostanzialmente riproduce un orientamento già presente nella giurisprudenza, quanto soprattutto per le ragioni che stanno a fondamento della previsione introdotta dal legislatore del 2006 (7). Alla base del criterio di cui all’art. 808-quater, infatti, stanno senz’altro l’esigenza di rispettare e valorizzare la scelta delle parti di sottoporre agli arbitri la tutela dei diritti nascenti dal contratto (o da un determinato rapporto) e l’esigenza, altrettanto sentita, di evitare che i rapporti e le controversie derivanti da un medesimo contratto possano essere attribuite a giudici diversi, con connessa perdita di contestualità degli accertamenti (particolarmente importante, quando sia necessario garantire la conservazione dei nessi e gli equilibri di diritto sostanziale esistenti tra i diversi effetti promananti da un’unica vicenda contrattuale), quando ciò non corrisponda ad una precisa ed insindacabile volontà delle parti. Ebbene, se questa è la ratio dell’art. 808-quater, non sembrano esistere serie ragioni per escludere che essa possa e debba valere anche con riferimento all’arbitrato libero, ove l’esigenza di rispettare la volontà delle parti e di evitare, ove non espressamente previsto, la frammentazione delle vie di tutela si pone allo stesso modo che nell’arbitrato rituale. È vero che — con l’art. 808-ter, attraverso l’introduzione del principio in dubio pro arbitrato rituale — l’ordinamento ha espresso un favore per l’arbitrato rituale, in ragione della minore rinuncia alla giurisdizione statale che esso comporta, ma questo non impone di adottare criteri di interpretazione restrittiva delle convenzioni di arbitrato libero, quando sia in questione l’alternativa tra giudizio privato e giudizio statale; l’art. 808-quater infatti sembra essere espressione di un favor arbitrati generale, in grado di superare i confini dell’arbitrato rituale (fermo che, se le parti non lo escludono espressamente, la forma di arbitrato prescelta sarà, per volontà di legge, quella rituale). MICHELE COMASTRI (7) Sul tema, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento all’art. 808-quater, in MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina, cit., 102 ss.; ATTERITANO, Commento all’art. 808-quater, in BRIGUGLIO - CAPPONI (a cura di), Commentario, cit., 568 ss. 84 © Copyright - Giuffrè Editore TRIBUNALE DI MODENA, Sez. II civ.; ordinanza 5 maggio 2011; MASONI Est. Procedimento civile - Controversia rientrante tra quelle assoggettate a mediazione obbligatoria - Mancato previo esperimento del procedimento di mediazione - Conseguenze. La domanda di rilascio dell’immobile occupato sine titulo ex art. 447-bis c.p.c. nel caso di specie trae spunto da un rapporto analogo ad una locazione e, pertanto, deve essere attivata la preventiva e obbligatoria procedura di mediazione, in materia prevista dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010. FATTO. — Rilevato che l’istante con ricorso ex art. 447-bis c.p.c. depositato in data 6 aprile u.s. ha chiesto di ordinare al resistente il rilascio dell’immobile occupato senza titolo dal resistente, con condanna al versamento della conseguente indennità di occupazione dal 21 dicembre 2010; che la domanda trae evidentemente titolo dal rapporto lato sensu locativo che deve scontare la preventiva ed obbligatoria procedura di mediazione, in materia prevista dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010; che l’improcedibilità è rilevabile d’ufficio non oltre la prima udienza; che l’unico effetto processuale derivante dal mancato esperimento della mediazione consiste nell’assegnazione alle parti del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, P.Q.M. — assegna alle parti termine di quindici giorni per presentare la domanda di mediazione, rimettendo le parti avanti a sé per la discussione all’udienza del 26 gennaio 2012 h. 9,00. Mediazione obbligatoria e rilascio di immobile detenuto sine titulo. 1. L’entrata in vigore della mediazione delle liti civili e commerciali disciplinata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ed in particolare la differita vigenza dell’art. 5, comma 1, del medesimo decreto che ha introdotto recentemente una estesa obbligatorietà del tentativo di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ha avviato la progressiva emersione di pronunce dei giudici chiamati a definire importanti aspetti ermeneutici di quelle disposizioni, che proprio in ragione della norma citata, hanno introdotto uno snodo (critico) di necessario incontro tra processo e mediazione (1). (1) In base all’art. 5, comma 1, « Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finan- 85 © Copyright - Giuffrè Editore Tra le decisioni più recenti, particolare interesse ha suscitato l’ordinanza del Tribunale di Modena in commento, che per vero non si distingue per puntualità espositiva, non consentendo una piena comprensione della situazione di fatto utile a coglierne tutte le implicazioni. La stessa tuttavia appare utile per svolgere talune riflessioni circa i confini della sottesa previsione normativa. 2. Ed allora, se dal punto di vista sostanziale le materie indicate nell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 devono essere oggetto di interpretazione rigorosa in quanto con il meccanismo della condizione di procedibilità si ritarda l’accesso alla tutela giudiziale (diritto fondamentale tutelato dall’art. 24 Cost.), dall’altro sul piano processuale occorrerà verificarne l’emersione nell’oggetto della domanda. In relazione alla condizione di procedibilità è noto che la Consulta ha più volte ormai ribadito la legittimità costituzionale della istituzione di « filtri » all’accesso alla giurisdizione, precisando che gli stessi tendono a realizzare un interesse generale non contrastante con precetti costituzionali; le garanzie apprestate poi dal legislatore per le parti e la ragionevolezza dei termini fissati per l’esperimento del tentativo ha condotto negli anni a consolidare un percorso della giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto le diverse norme immuni da dubbi di legittimità (2). 3. Il provvedimento in esame viene reso in un procedimento avviato ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c. e dalla breve descrizione del fatto emerge soltanto che il ricorrente ha richiesto di ordinare al resistente « il rilascio ziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto... L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ». Il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 è entrato in vigore il 20 marzo 2010 fatta eccezione per l’art. 5, comma 1, la cui vigenza era stata inizialmente differita di dodici mesi (art. 24, comma 1). Tuttavia, per le materie del condominio e del risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti è stata approvata una proroga che ne ha fatto slittare l’entrata in vigore al 20 marzo 2012 (v. art. 2, comma 16-decies, D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 febbraio 2011, n. 10). (2) La prima pronuncia significativa sulla compatibilità del tentativo di conciliazione con i princı̀pi costituzionali è Corte cost., 4 marzo 1992, n. 82, in Foro it., 1992, 1023 ss. (v. successivamente: Corte cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Giur. it., 2011, 1094; Corte cost., 5 ottobre 2011, n. 333, in Giur. cost., 2001, 5; Corte cost., 30 novembre 2007, n. 403, in Giur. it., 2008, 1099 ss., Corte cost., 26 ottobre 2007, n. 355, in Sito uff. Corte cost., 2007; Corte cost., 18 febbraio 2009, n. 51, in Sito uff. Corte cost., 2009). 86 © Copyright - Giuffrè Editore dell’immobile occupato senza titolo dal resistente, con condanna al versamento della conseguente indennità di occupazione ». Il giudice rilevato quindi che la domanda « trae evidentemente titolo da rapporto lato sensu locativo » in applicazione dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (che prevede tra le materie assoggettate alla condizione di procedibilità la locazione e il comodato) ha assegnato termine di quindici giorni alle parti per la presentazione della domanda di mediazione fissando la successiva udienza decorso il termine di cui al successivo art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010 (3). Dall’esame della breve ordinanza invero non è dato comprendere quale sia il titolo che aveva dato origine al rapporto, venuto meno il quale (ab origine ovvero successivamente) colui che permanga nella disponibilità del bene è stato chiamato in giudizio per la restituzione del medesimo. La scarna ricostruzione dei fatti non consente nemmeno di verificare se la domanda proposta dal ricorrente abbia ad oggetto anche l’accertamento (ad esempio della nullità del titolo) ovvero la pronuncia costitutiva (ad esempio l’annullabilità del titolo) in ordine al rapporto giuridico fondamentale, caducato il quale (con efficacia ex tunc, o con efficacia ex nunc) il ricorrente (e questo è l’unico dato certo) possa richiedere tutela mediante un’azione personale di restituzione. 4. Appare evidente che qualora il ricorrente, nel caso di specie, abbia proposto una domanda di accertamento volta alla declaratoria di nullità dell’originario contratto di locazione ed alla conseguente richiesta di condanna al rilascio dell’immobile (a quel punto) detenuto senza titolo, non v’è dubbio che la soluzione adottata dal giudicante sia da ritenersi ineccepibile. Diversamente sarebbe accaduto qualora invece la declaratoria di nullità avesse riguardato un contratto di compravendita, in base al quale sarebbe stata inizialmente effettuata la consegna del bene. La richiesta di restituzione, che di per sé è neutra, deve integrarsi con la verifica del titolo che costituisce l’oggetto della domanda giudiziale. In realtà la c.d. occupazione senza titolo è fattispecie generica che può trovare tutela mediante diverse azioni e, quindi, non è la mera proposizione di un’azione di restituzione di un immobile a rendere operativa la condizione di procedibilità ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, bensı̀ il titolo in base al quale il detentore dell’immobile è entrato nella disponibilità del medesimo. (3) In questo caso il termine previsto dalla norma pari a quattro mesi decorre dalla scadenza del termine di quindici giorni assegnato dal giudice (art. 6, comma 2, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28). 87 © Copyright - Giuffrè Editore 5. Si può dunque ipotizzare che qualora si proponga un’azione finalizzata ad ottenere soltanto l’accertamento del diritto (ad esempio, la nullità del contratto di locazione o di comodato, che sconterà l’obbligo di procedibilità in questione) e la relativa sentenza di accoglimento passi in giudicato, l’eventuale (susseguente) azione di restituzione, avendo quale solo presupposto della stessa un contratto (di locazione o di comodato) dichiarato nullo, non dovrà essere assoggettato al tentativo obbligatorio di mediazione. Diversamente opinando, non soltanto si duplicherebbe tale obbligo, ma si introdurrebbe surrettiziamente lo stesso in un procedimento nel quale l’azione viene istaurata soltanto per la condanna al rilascio dell’immobile del quale è già stata accertata (con sentenza passata in cosa giudicata) la nullità, essendo peraltro già stati esauriti gli spazi della mediazione che ne giustificano una obbligatorietà ex lege. MARCO MARINARO 88 © Copyright - Giuffrè Editore TRIBUNALE DI PALERMO, Sezione distaccata di Bagheria; ordinanza 13 luglio 2011; RUVOLO Est. Giudizio ordinario di cognizione - Rilievo d’ufficio dell’improcedibilità della domanda giudiziale - Omesso espletamento del tentativo di mediazione Provvedimenti ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010. Il giudice, rilevata d’uffıcio l’improcedibilità della domanda giudiziale a causa dell’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissava in favore delle parti il termine di giorni quindici per il deposito della pertinente istanza dinanzi ad un organismo accreditato e rinviava il giudizio ad altra e diversa udienza. CENNI DI FATTO. — Il Tribunale di Palermo ritiene che, in difetto dell’eccezione di parte convenuta, il giudice sia comunque obbligato a rilevare d’ufficio l’improcedibilità della domanda giudiziale a fronte dell’omesso espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione e quindi ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010. MOTIVI DELLA DECISIONE. — Il Giudice, vista la regolarità della notificazione della citazione a X e la costituzione in giudizio di Y e del tutore di Z; visto l’esito negativo della notificazione a X e la necessità di disporre la rinnovazione della notificazione in questione; visto che la citazione introduttiva del presente giudizio (con la quale è stato chiesto lo scioglimento di una comunione ereditaria) è stata notificata ai convenuti dopo il 21 marzo 2011, ossia dopo l’entrata in vigore delle norme sulla mediazione obbligatoria; rilevato che l’atto di citazione è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione il 18 marzo 2011, e quindi prima dell’entrata in vigore delle dette norme; considerato che occorre verificare se vada richiesta la condizione di procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione nel caso in cui l’attore abbia consegnato la citazione all’ufficiale giudiziario entro il 21 marzo 2011, ma la notifica si sia perfezionata nei confronti del convenuto a partire dal 21 marzo 2011; considerato che se è vero che l’art. 149, comma 3, c.p.c. prevede, per la notifica a mezzo posta, che la notificazione si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e se è anche vero che tale principio ha carattere generale e vale per tutti i tipi di notifica, tuttavia non può trascurarsi che il principio in questione comporta soltanto che il notificante non incorre in decadenze o prescrizioni maturate dopo la detta consegna (v. per tutte Corte cost. n. 477/2002; 28/2004 e ord. n. 97/2004). Resta il fatto che agli altri fini la notifica si considera perfezionata nel momento in cui il destinatario ne ha legale conoscenza; ritenuto che, poiché l’art. 24 del D.Lgs. n. 28/2010 prevede che le disposizioni sulla condizione di procedibilità di cui al comma 1 dell’art. 5 si applicano ai processi « iniziati » a partire dal 21 marzo 2011 (ossia dopo la data di entrata in vigore del decreto, che era domenica 20 marzo 2011) e considerato che la pendenza del giudizio ed il suo « inizio » si hanno dalla notificazione della cita89 © Copyright - Giuffrè Editore zione, allora devono ritenersi allo stato improcedibili le domande contenute in citazioni (relative a materie soggette a mediazione obbligatoria, come quella di cui al presente giudizio) notificate al destinatario a partire dal 21 marzo 2011; rilevato, quindi, che le parti vanno mandate in mediazione e che la causa va rinviata ad oltre quattro mesi (e 15 giorni per il deposito della domanda); considerato che tale soluzione pare poi fornire alle parti maggiore tutela al fine di dotare di sicura procedibilità la domanda (non da parte di tutti, infatti, si ritiene che la questione della procedibilità o meno della domanda non sia più discutibile dopo la prima udienza del giudizio di primo grado; nel senso, invece, che qualora l’improcedibilità dell’azione non venga rilevata dal giudice entro la prima udienza, la questione non possa comunque più essere riproposta nei successivi gradi di giudizio v. invece Cass., Sez. lav., 21797/2009; 7871/2008 e 15956/2004); visto che gli avvocati delle parti costituite hanno chiesto di evitare la procedura di mediazione; considerato però, che, letteralmente, il comma 1 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 prevede che « l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre la prima udienza »; ritenuto, quindi, che la rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale; rilevato che la rinnovazione della notificazione nei confronti di X va disposta assegnando contestualmente alle parti il termine per la proposizione del procedimento di mediazione nei confronti di tutti i litisconsorti. (Omissis). Il rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale conseguente all’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. 1. Il provvedimento in commento, dopo aver ritenuto applicabile, ratione temporis, alla domanda giudiziale proposta dall’attore X la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010, ha ricondotto in capo al giudice, in difetto dell’eccezione del convenuto, la sussistenza dell’« obbligo » di rilevare d’ufficio, entro la prima udienza, l’improcedibilità conseguente all’omesso esperimento del tentativo di mediazione. Il Tribunale adito, statuendo expressis verbis che « la rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale », ha quindi ritenuto di dover fissare in favore delle parti il termine di giorni quindici per il deposito dell’istanza di mediazione dinanzi ad un organismo all’uopo accreditato e di rinviare il giudizio ad altra e diversa udienza. 2. La condizione di procedibilità introdotta dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 rappresenta, da un punto di vista squisitamente processual-civilistico, un c.d. « presupposto processuale » (1), la cui violazione è (1) Sulla condizione di procedibilità della domanda giudiziale quale « presupposto processuale », si veda LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2007, vol. I, 28-29 e 53-59. 90 © Copyright - Giuffrè Editore suscettibile di essere sanata nel corso del giudizio (2) con efficacia ex tunc (3). In particolare, il compimento delle attività funzionali alla descritta sanatoria deve essere sollecitato dal convenuto, tenuto a sollevare l’eccezione d’improcedibilità, a pena di decadenza, entro e non oltre la prima udienza (4), o disposto d’ufficio dal giudice nel medesimo termine (5). La dizione letterale dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 suscita però qualche dubbio interpretativo, in quanto la locuzione « rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre la prima udienza » sembrerebbe retta dal verbo « deve essere », con la conseguenza che l’organo giudicante sarebbe titolare non della facoltà (potere), bensı̀ dell’obbligo (dovere) di rilevare l’improcedibilità di cui si discute. Opinando in tal senso, il provvedimento con cui l’ufficio, in difetto della pertinente eccezione di parte, rinvia il processo per la trattazione anziché fissare in favore delle parti il termine di quindici giorni per il deposito dell’istanza di mediazione, sarebbe affetto da nullità. Nella specie, si tratterebbe di una c.d. « nullità extraformale » (6) con- (2) L’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 recita: « il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ». (3) Gli effetti sostanziali della domanda si producono infatti sin dall’instaurarsi della litispendenza. Al riguardo si veda TISCINI, Il procedimento di mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, in questa Rivista, 2010, 585 ss.; IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione: forma, contenuto ed effetti, in www.judicium.it. (4) In senso critico sulla nuova figura di giurisdizione condizionata, si veda: CAPONI, La mediazione obbligatoria a pagamento: profili di incostituzionalità, in www.judicium.it; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in www.judicium.it; SANTANGELI, La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www. judicium.it; FABIANI, LEO, Prime riflessioni sulla « mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali » di cui al D.Lgs. 28/2010, in www.judicium.it; FABIANI, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in www.judicium.it; DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it; SCARSELLI, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d. leg. 28/10, in Foro it., 2001, V, 54 ss.; ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costituzionali, in www.judicium.it; SOLDATI, Al vaglio l’obbligo del « previo esperimento », in Guida al diritto, 17, 2011, 32 ss.; IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione cit.; TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit., 585 ss. (5) Il tenore letterale della disposizione citata nel testo cosı̀ recita: « l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre la prima udienza ». (6) Sulla tipologia delle nullità extraformali, si veda: AULETTA, Nullità e « inesistenza » degli atti processuali civili, Padova, 1999, passim; ORIANI, Nullità degli atti processuali, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990, passim; ORIANI, Nullità degli atti processuali civili, in Il diritto, Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, X, Milano, 2007, 120 ss. 91 © Copyright - Giuffrè Editore seguente all’errore del giudice di aver ritenuto sussistenti le condizioni per decidere il merito in difetto di uno dei presupposti processuali (7). A parere della migliore dottrina (8), la descritta tipologia di nullità, non mutuando il proprio regime giuridico dalle norme previste per le c.d. « nullità formali » (artt. 156 ss. c.p.c.) (9) e demandando la soluzione dei problemi pratici alle fattispecie disciplinanti i singoli presupposti processuali (10), è rilevabile d’ufficio nel corso del processo (11). Poste queste premesse ne deriva, ai fini che qui interessano, che il giudice, fino all’emanazione della sentenza, ben potrebbe — « re melius perpensa » (12) — dichiarare d’ufficio la nullità dell’ordinanza con cui aveva, in precedenza, omesso di sollecitare la sanatoria del vizio derivante dal mancato espletamento del tentativo di mediazione (13) e applicare quindi, durante tutto il giudizio di primo grado, il meccanismo previsto dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 (14). Nel caso contrario, la predetta nullità si ripercuoterebbe, ai sensi dell’art. 161, comma 1, c.p.c., sul dictum giudiziale finale (15), aprendo quindi la strada al successivo gravame. Le parti, dal canto loro, potrebbero dolersi del vizio che inficerebbe l’atto compiuto dall’ufficio, non trovando applicazione, nell’ipotesi in esame, il c.d. « principio di autoresponsabilità » (16), che priva colui che ha dato causa alla nullità della legittimazione a farla valere. Muovendo, infatti, dalla tesi secondo cui il giudice sarebbe obbligato a rilevare d’ufficio l’improcedibilità della domanda giudiziale, è evidente che l’eventuale omissione sarebbe imputabile all’organo giudicante e non invece alle parti. Ad ogni buon conto, in sede d’appello, la Corte potrebbe adottare — sul presupposto che il tenore letterale dell’art. 354 c.p.c. non contempla, tra le ipotesi di rinvio al giudice di prime cure, la violazione dell’art. 5, comma (7) VERDE, Profili del Processo civile, Vol. 1 Parte generale, Napoli, 2008, 287-288; LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 123-129 e 414. (8) VERDE, Profili del processo civile, cit., 287-288; LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 123-129 e 414. (9) Contra MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Il processo di cognizione, vol. I, Torino, 2007, 447 ss. (10) Cosı̀ VERDE, Profili del processo civile, cit., 287-288; LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 123-129 e 414. Contra MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 451 ss. (11) Cosı̀ LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 123-139 e 414. (12) L’espressione nel testo è di LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. IV, 18. (13) Con riferimento al processo del lavoro ante novella di cui alla Legge n. 183/ 2010, si veda LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. IV, 13-14. (14) Con riferimento al processo del lavoro ante novella di cui alla Legge n. 183/ 2010, si veda LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 13-14. (15) La trasformazione dei vizi della sentenza in motivi di impugnazione rappresenta un principio di ordine generale, applicabile a tutte le tipologie di nullità. (16) LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 77-78. 92 © Copyright - Giuffrè Editore 1, del D.Lgs. n. 28/2010 — i provvedimenti necessari per favorire illic et immediate lo svolgimento del tentativo di mediazione (17). Alternativamente, il Collegio potrebbe optare per la regressione del processo alla fase in cui si è verificata la nullità, conferendo rilievo all’asserto secondo cui in tema di violazione dei presupposti processuali nessuna sanatoria può trovare ingresso nel giudizio di secondo grado (18). 3. L’impostazione appena descritta, pur aderendo al tenore letterale dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010, sembra tuttavia discostarsi dalla ratio legis sottesa all’impianto complessivo della riforma. Pertanto, al fine di verificare se la predetta disposizione normativa sia suscettibile di altra e diversa interpretazione, occorre muovere dalla relazione illustrativa del D.Lgs. n. 28/2010, la quale recita testualmente: « la parte che intende agire in giudizio ha l’onere di tentare la mediazione e il giudice, qualora rilevi — su eccezione di parte nella prima difesa o d’ufficio entro la prima udienza — che la mediazione non è stata tentata [...], fissa una nuova udienza [...], onde consentirne lo svolgimento ». In tale ottica, si potrebbe quindi argomentare che il giudice sia titolare della « facoltà » (e non dell’obbligo) di rilevare, entro la prima udienza, l’improcedibilità della domanda giudiziale conseguente all’omesso espletamento del tentativo di conciliazione. In un altro e diverso passaggio, la citata relazione illustrativa esplicita come il D.Lgs. n. 28/2010 abbia inteso assurgere a paradigma « lo schema già sperimentato nelle controversie di lavoro (19) [di cui] agli articoli 410 ss. del codice di procedura civile [...] ». Orbene, l’art. 412-bis c.p.c., in vigore fino all’emanazione della Legge n. 183 del 4 novembre 2010 (20), cosı̀ statuiva: « l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’art. 416 e può essere rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre l’udienza di cui all’art. (17) Cosı̀ SANTANGELI, La mediazione obbligatoria cit.; DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit. (18) Cosı̀ LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 54, seppure in riferimento ai presupposti processuali in generale. (19) Come noto, gli artt. 410 ss. c.p.c. prevedevano, prima della recente novella attuata tramite la Legge n. 183/2010, l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto questioni di diritto del lavoro. (20) La Legge n. 183/2010, ponendosi in antitesi rispetto all’attuale trend legislativo, ha eliminato l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione dinanzi l’ispettorato provinciale del lavoro. Amplius, Il collegato al lavoro, con commento di TRICOMI, In 50 articoli tante novità dalla conciliazione ai termini di impugnazione dei licenziamenti, in Guida al Diritto, 2010, Dossier n. 8, 95 ss. Spunti in BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del collegato al lavoro, in www.judicium.it. Spunti in AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel « Collegato lavoro » (Legge 4 novembre 2010, n. 183), in questa Rivista, 2010, 563 ss. 93 © Copyright - Giuffrè Editore 420. Ove il giudice rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione [...] ». Ai sensi di tale ultima norma, la giurisprudenza di legittimità (21) riteneva che l’omesso rilievo dell’improcedibilità da parte del giudice entro l’udienza ex art. 420 c.p.c. precludesse la riproposizione della questione nei successivi gradi di giudizio. D’altra parte, l’ordinamento giuridico perviene alla medesima conclusione con riferimento al rilievo d’ufficio, ex art. 38, comma 3, c.p.c., dell’incompetenza dell’organo giudicante per materia, per valore e per territorio inderogabile (22). Anche alla luce delle superiori considerazioni, si può con un certo grado di ragionevolezza ritenere che, eccezion fatta per quei presupposti processuali la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo (es. giurisdizione, litispendenza, ecc.), il giudice sia — di norma — titolare della facoltà e non dell’obbligo di rilevarne la violazione, entro i termini di decadenza eventualmente previsti. Applicando tale conclusione alla mediazione obbligatoria, se ne ricava che ove l’omesso espletamento del tentativo stragiudiziale non venga eccepito dal convenuto o rilevato d’ufficio dal giudice entro la prima udienza, la relativa questione non potrà essere nuovamente esaminata nei successivi gradi di giudizio. La problematica sin qui tratteggiata non deve però essere confusa con l’altra e diversa ipotesi in cui il convenuto abbia tempestivamente eccepito l’improcedibilità della domanda giudiziale per violazione dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 ed il giudice abbia erroneamente respinto l’eccezione. In tale ultimo caso, infatti, non v’è dubbio che la nullità del provvedimento possa essere rilevata, anche d’ufficio dall’organo giudicante, durante l’intero processo di primo grado e fatta valere dalle parti in sede di giudizio d’appello, secondo le modalità descritte nel precedente paragrafo. Ragioni di completezza inducono, infine, a chiedersi quale siano le sorti del processo qualora le parti, adeguatamente invitate dal giudice ad esperire il tentativo obbligatorio di mediazione, non provvedano a depositare, nel termine di quindici giorni concesso in loro favore, la pertinente istanza dinanzi ad uno degli organismi accreditati. Attesa la natura ordinatoria del predetto termine, nulla vieterebbe al (21) L’argomento è peraltro evidenziato nel testo dell’ordinanza in commento che richiama le seguenti pronunce: Cass. civ., Sez. lav., n. 21797/2009; Cass. civ., Sez. lav., n. 7871/2008 e Cass. civ., Sez. lav. n. 15956/2004. (22) Cass. civ., Sez. I, 22 agosto 2006 n. 18240, MGI, 2006, in VACCARELLA, GIORGETTI, Codice di procedura civile annotato con la giurisprudenza, Milano, 2007, 179-180. 94 © Copyright - Giuffrè Editore giudice di rinviare la causa e fissare una nuova udienza per l’espletamento dei medesimi incombenti (23). Appare tuttavia preferibile ritenere che l’ufficio, preso atto dell’omessa sanatoria del vizio che inficia uno dei presupposti processuali (condizione di procedibilità dell’azione) e quindi del difetto delle condizioni per poter decidere il merito della controversia, provveda a dichiarare l’estinzione del giudizio (24). 4. Dalla lettura dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 si ricavano due diverse e distinte interpretazioni — delle quali si è cercato sin qui di dar conto — che pervengono a conclusioni antitetiche. Ove, infatti, il giudice fosse « obbligato » a rilevare d’ufficio l’improcedibilità della domanda giudiziale a fronte dell’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, l’eventuale omissione non precluderebbe la riproposizione della relativa questione nei successivi gradi di giudizio. Opinando in senso contrario, la prima udienza rappresenterebbe l’ultimo momento utile, sia per le parti, sia per l’organo giudicante, per sollecitare lo svolgimento del procedimento stragiudiziale di nuova fattura. Nonostante la maggiore aderenza al tenore letterale della citata ultima norma, la prima soluzione — sposata dalla pronuncia in commento — sembra però porsi in aperto contrasto con la ratio legis sottesa alla recente riforma, in quanto, ove accolta, favorirebbe, nella migliore delle ipotesi, la dilatazione dei tempi processuali e, nella peggiore, la regressione del giudizio alla fase in cui si è verificata la nullità. L’obiettivo del D.Lgs. n. 28/2010, cosı̀ come ispirato dalla Direttiva n. 2008/52/UE, è invece quello di favorire la composizione bonaria delle controversie, ridurre il contenzioso e, per tal via, di migliore l’efficienza del sistema giudiziario italiano. CHRISTIAN CORBI (23) Contra SANTANGELI, op. cit. (24) In tal senso, CALIFANO, Dalla conciliazione societaria alla « mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali », in www.judicium.it; LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 24; SANTANGELI, La mediazione obbligatoria cit.; DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit. 95 © Copyright - Giuffrè Editore © Copyright - Giuffrè Editore II) STRANIERA Sentenze annotate OLANDA — Gerechtshof di Amsterdam; sentenza 28 aprile 2009; Yukos Capital s.a.r.l. v. OAO Rosneft. Lodi resi in Russia - Annullamento dei lodi in Russia - Richiesta di riconoscimento e di esecuzione dei lodi nei Paesi Bassi - Non indipendenza e parzialità dei giudici che hanno pronunciato l’annullamento - Contrarietà del riconoscimento della sentenza di annullamento all’ordine pubblico del foro - Riconoscibilità ed eseguibilità dei lodi. La Convenzione di New York disciplina il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri e non, invece, il riconoscimento delle sentenze straniere di annullamento degli stessi. Un lodo annullato nello Stato della sede può eccezionalmente essere oggetto di exequatur in un altro Stato qualora la sentenza di annullamento non possa essere riconosciuta in quest’ultimo, sulla base delle disposizioni di diritto internazionale privato e processuale del foro. CENNI DI FATTO. — Nel mese di dicembre del 2005, la società lussemburghese Yukos Capital inizia, presso la Corte di Arbitrato Commerciale Internazionale (ICAC) della Camera del Commercio e dell’Industria della Federazione Russa, quattro procedimenti arbitrali, sulla base delle clausole compromissorie contenute in altrettanti contratti di mutuo conclusi nell’estate del 2004 con la società russa Yuganskneftegaz. I lodi, resi a Mosca, il 19 settembre 2006, condannano quest’ultima al pagamento di una somma di denaro a favore della parte attrice. La Arbitrazh Court di Mosca, il 18 e 23 maggio 2007, annulla i lodi su richiesta della Rosneft (società controllante la Yuganskneftegaz, con cui quest’ultima si è fusa, cessando formalmente di esistere, il 1o ottobre 2006), con una sentenza, poi confermata sia in grado di appello che in ultimo grado, secondo cui (i) durante il procedimento arbitrale, erano stati violati i principi del giusto processo e alcune delle regole procedurali poste dal Regolamento di arbitrato della ICAC e (ii) il tribunale arbitrale non era stato costituito in conformità all’accordo delle parti. La Yukos Capital chiede, nonostante l’intervenuto annullamento, l’exequatur dei lodi nei Paesi Bassi. Il Presidente del Tribunale di primo grado di Amsterdam, il 28 febbraio 2008, afferma che, in linea di principio, deve essere rispettata la sentenza di annullamento delle corti russe, ma che, in presenza di eccezionali circo97 © Copyright - Giuffrè Editore stanze, attinenti al procedimento giudiziale che si è concluso con la pronuncia di annullamento dei lodi, potrebbe invece accogliersi la richiesta di riconoscimento e di esecuzione dei lodi annullati. A tal riguardo, il Presidente enumera, a titolo esemplificativo, (i) la violazione dei principi del giusto processo, (ii) la mancanza di imparzialità e di indipendenza dei giudici e (iii) l’assenza di una motivazione adeguata a sostegno della decisione. Nel caso in esame, tuttavia, poiché la Yukos Capital non ha provato il verificarsi di alcuna di queste circostanze, la richiesta di exequatur dei lodi è rigettata. La Corte di Appello di Amsterdam, adita dalla Yukos Capital, annulla la decisione del Presidente del Tribunale ed accoglie la richiesta di riconoscimento e di esecuzione dei lodi nei Paesi Bassi. MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis). — 3.3. (Omissis). I motivi di appello pongono alla Corte il seguente quesito: se l’annullamento dei lodi arbitrali da parte delle corti civili russe impedisca o meno il riconoscimento e l’esecuzione di tali lodi nei Paesi Bassi. 3.4. Nel rispondere, la Corte di Appello muove dalla considerazione secondo cui la Convenzione di New York del 1958 disciplina il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali ma non, invece, il riconoscimento internazionale delle decisioni dei giudici ordinari che hanno annullato i lodi arbitrali. L’articolo V della Convenzione di New York del 1958 dispone, nel testo inglese, e per quanto qui ora rileva: « 1. Recognition and enforcement of the award may be refused, at the request of the party against whom it is envoked, only if that party furnishes to the competent authority where the recognition and enforcement is sought, proof that: (...) (e) The award has (...) been set aside (...) by a competent authority of the country in which (...) that award was made ». Nonostante il fatto che tale disposizione implichi che, nei termini del presente caso, il giudice civile russo è l’autorità competente a ricevere una richiesta di annullamento dei lodi arbitrali, né tale disposizione, né ulteriori previsioni della Convenzione di New York del 1958, né alcuna altra convenzione impongono, alle corti competenti dei Paesi Bassi, di riconoscere incondizionatamente la decisione della corte civile russa. La riconoscibilità o meno di quest’ultima nei Paesi Bassi è una questione che deve essere risolta sulla base delle regole generali di diritto internazionale privato e processuale. 3.5. Questo significa che, qualunque sia il grado di libertà accordato dalla Convenzione di New York del 1958, per autorizzare l’esecuzione di un lodo arbitrale annullato dall’autorità competente nello Stato di origine, i giudici dei Paesi Bassi non sono in alcun modo tenuti a non concedere l’autorizzazione ad eseguire il lodo arbitrale annullato, se la decisione straniera di annullamento non può essere riconosciuta nel foro. Ciò è vero, in particolare, se le modalità con cui tale decisione è stata resa sono contrarie ai principi del giusto processo e, per tale motivo, il riconoscimento della decisione si porrebbe in contrasto con l’ordine pubblico interno. Se le decisioni dei giudici russi di annullamento dei lodi arbitrali non possono essere riconosciute nei Paesi Bassi, esse non dovranno nemmeno essere prese in considerazione nel momento in cui si dovrà decidere sulla richiesta di esecuzione dei lodi arbitrali. 98 © Copyright - Giuffrè Editore 3.6. Pertanto, la Corte di Appello applicherà in primo luogo il diritto comune per determinare se la decisione della corte russa di annullare i lodi del 19 settembre 2006 possa essere riconosciuta nei Paesi Bassi. La regola generale applicata è quella secondo cui una decisione straniera, a prescindere dalla sua natura e dallo scopo perseguito, può essere riconosciuta se sono soddisfatti alcuni requisiti minimi, tra i quali la circostanza che la decisione straniera è stata resa a seguito di un giusto processo e cioè, inter alia, da un giudice imparziale e indipendente. 3.7. La Yukos Capital ha allegato che il sistema giurisdizionale russo è parziale e non indipendente e che, in particolare nelle decisioni politicamente sensibili e strategiche, esso è guidato dal perseguimento degli interessi della Federazione Russa, obbedendo al potere esecutivo. Più precisamente, secondo la Yukos Capital, l’annullamento dei lodi arbitrali è una di quelle misure che la Federazione Russa ha preso, a partire dall’estate del 2003, con l’obiettivo di (a) estinguere il gruppo Yukos, (b) assicurarsi il controllo sui beni del gruppo medesimo e (c) eliminare i propri oppositori politici. Secondo la Yukos Capital, la Federazione Russa utilizza il potere giudiziario quale strumento per il perseguimento proprio di tali scopi. 3.8. Tra le prove depositate dalla Yukos Capital a sostegno delle allegazioni sopra riportate, vengono in rilievo, inter alia, le seguenti: (Omissis). 3.9. Alla luce di tali fatti e di tali circostanze, la Corte di Appello deve stabilire se la decisione della corte russa di annullare i lodi arbitrali possa essere riconosciuta nei Paesi Bassi ovvero, più precisamente, se tali pronunce siano state rese da un’autorità giudiziaria imparziale e indipendente. A questo proposito la Corte di Appello motiva come segue. (Omissis). 3.9.3. La Rosneft non ha fornito elementi sufficienti ad impedire che il potere giudiziario russo, nei casi che attengono al(l’ex) gruppo Yukos (o a sue società) e che riguardano degli interessi che la Federazione Russa considera propri, possa essere ritenuto parziale, dipendente ed influenzato dal potere esecutivo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Rosneft, la Yukos Capital ha allegato, a sostegno della propria posizione, non solamente vicende apparse sulle pagine dei quotidiani, ma anche i sopra ricordati rapporti e decisioni delle corti, da ritenersi esaustivi. D’altro canto, né la parte convenuta ha menzionato alcun fatto concreto o ha allegato alcun documento, né le circostanze hanno altrimenti fatto trasparire una verità diversa con riguardo all’influenza, nel presente caso, del potere esecutivo russo su quello giudiziario. 3.9.4. In tali circostanze, quanto sostenuto dalla Rosneft, circa la mancanza di una prova evidente della parzialità e della non indipendenza dei singoli giudici che hanno deciso sulla richiesta di annullamento dei lodi, non è sufficientemente rilevante, anche perché fenomeni di parzialità e di dipendenza avvengono, per loro stessa natura, dietro le quinte. 3.10. Sulla base di quanto precede, la Corte di Appello conclude che è possibile che le decisioni dei giudici russi che hanno annullato i lodi arbitrali siano state il frutto di un processo parziale e non indipendente, e che tali decisioni non possono essere riconosciute nei Paesi Bassi. Questo significa che, nel decidere sulla richiesta di esecuzione dei lodi arbitrali avanzata dalla Yukos Capital, l’intervenuto annullamento di tali lodi non deve essere preso in considerazione. 99 © Copyright - Giuffrè Editore 3.11. Quanto sopra comporta che i motivi di appello presentati dalla Yukos Capital sono accolti, per quanto fin’ora visto, e che la Corte di Appello, dopo avere esaminato le altre eccezioni presentate dalla Rosneft, sarà di nuovo chiamata a valutare se l’exequatur possa essere concesso. 3.12.1. La Rosneft ha eccepito che autorizzare l’esecuzione dei lodi sarebbe in contrasto con l’articolo V(2)(b) della Convenzione di New York del 1958, il quale dispone: « 2. Recognition and enforcement of the award may also be refused if the competent authority in the country where recognition and enforcement is sought finds that: (...) (b) The recognition or enforcement of the award would be contrary to the public policy of that country ». 3.12.2. Secondo la Rosneft, i contratti di mutuo erano parte di una costruzione fiscale illecita, operata dal gruppo Yukos, che, in breve, comportava la vendita a basso prezzo, da parte della Yuganskneftegaz, del petrolio estratto, a società appartenenti al gruppo Yukos, aventi sede in regioni a bassa imposizione fiscale, e ciò al fine di sottrarre i guadagni, ottenuti dalla vendita del petrolio a prezzi di mercato elevati, alla tassazione della Federazione Russa. Attraverso la società Yukos Capital, i profitti in tal modo realizzati erano, ai sensi degli accordi in questione, ceduti alla Yuganskneftegaz per il finanziamento delle proprie operazioni. 3.12.3. La Corte di Appello rigetta tale eccezione. Anche se la descritta costruzione fiscale è illecita ai sensi del diritto tributario russo, l’esecuzione nei Paesi Bassi dei lodi arbitrali che condannano la Rosneft a restituire alla Yukos il denaro da essa ricevuto, in connessione con tale sistema fiscale, non è in contrasto con l’ordine pubblico del foro. 3.12.4. La Rosneft ha inoltre eccepito che autorizzare l’esecuzione dei lodi sarebbe in contrasto con l’articolo V(1)(b) della Convenzione di New York del 1958, che dispone: 1. Recognition and enforcement of the award may be refused, at the request of the party against whom it is envoked, only if that party furnishes to the competent authority where the recognition and enforcement is sought, proof that: (...) (b) The party against whom the award is invoked was not given proper notice of the appointment of the arbitrator or of the arbitration proceedings or was otherwise unable to present his case; 3.12.5. In riferimento a tale disposizione, la Rosneft ha ulteriormente allegato che alla Yuganskneftegaz, ingiustamente, non era stata concessa la possibilità, durante i procedimenti arbitrali, di motivare più approfonditamente la propria difesa, in base alla quale i contratti di mutuo erano illeciti e dunque nulli, e di fornire elementi di prova al riguardo. 3.12.6. La Corte di appello rigetta tale eccezione perché non è stato né affermato né dimostrato che alla Yuganskneftegaz sia stato in alcun modo impedito di presentare le proprie difese, tanto nella memoria difensiva del 5 maggio 2006, quanto nella ulteriore memoria integrativa del 20 giugno 2006. Deve ritenersi, sulla base dei fatti noti a questa corte, che anche la ricordata eccezione della Yuganskneftegaz riguarda gli interessi scaduti fatti valere dalla Yukos Capital con la domanda introduttiva del 27 dicembre 2005 e che non vi è dunque alcun valido motivo per cui la Yuganskneftegaz si sia avvalsa di tale eccezione per la prima volta 100 © Copyright - Giuffrè Editore solo nella comparsa di risposta integrativa del 20 giugno 2006, successiva alla domanda integrativa del 9 maggio 2006 con cui la Yukos Capital ha modificato l’ammontare della somma richiesta. In questo contesto, la Corte di Appello ritiene che la mancata concessione, da parte degli arbitri, alla Yuganskneftegaz, di un ulteriore termine, dopo il 20 giugno 2006, per motivare la propria difesa, non abbia reso impossibile alla Yuganskneftegaz stessa di dare fondamento alla propria posizione ai sensi dell’articolo V(1)(b). 3.12.7. In primo grado la Rosneft aveva anche eccepito che l’autorizzazione all’esecuzione doveva essere negata sulla base dell’articolo V(1)(a) della Convenzione di New York del 1958, perché la clausola compromissoria era invalida ai sensi del diritto russo. Poiché questa corte deduce, dalle affermazioni contenute nella comparsa di risposta della Rosneft in grado di appello, che a suo avviso i contratti contengono una clausola compromissoria valida, deve ritenersi che la parte abbia abbandonato tale linea difensiva. 4. Conclusioni 4.1. La decisione impugnata sarà annullata e la Corte di Appello, statuendo nuovamente sulla domanda, accorderà alla Yukos Capital l’autorizzazione ad eseguire i lodi arbitrali nei Paesi Bassi. (Omissis). 5. Decisione La Corte di Appello: annulla la decisione del Presidente del Tribunale di primo grado del 28 febbraio 2008, numero 365094 / KG RK 07-750, resa tra la Yukos Capital, parte attrice, e la Rosneft, parte convenuta; statuendo nuovamente sulla domanda: autorizza l’esecuzione nei Paesi Bassi dei lodi arbitrali della Corte di Arbitrato Commerciale Internazionale della Camera del Commercio e dell’Industria della Federazione Russa, resi il 19 settembre 2006, numeri: 143/2005, 144/2005, 145/ 2005 e 146/2005, tra la Yukos Capital, parte attrice, e la Yuganskneftegaz, parte convenuta; (Omissis). stabilisce la provvisoria esecutività della presente sentenza. (Omissis). Il riconoscimento di lodi annullati nel Paese d’origine: l’approccio dei Paesi Bassi. 1. Il riconoscimento, da parte di corti statali, di lodi di arbitrati commerciali internazionali annullati nel Paese d’origine è tematica piuttosto datata ma non per questo cristallizzata nel suo manifestarsi, né priva di sviluppi inediti. A molti verrà in mente, a questo proposito, la copiosa giurisprudenza della Cour de Cassation francese e l’altrettanto copiosa dottrina che la ha an- 101 © Copyright - Giuffrè Editore ticipata (1) (forse anche ispirata?) (2) o — più spesso — commentata (3). Si (1) Si vedano, ad esempio, FOUCHARD, L’arbitrage international en France après le décret du 12 mai 1981, in JDI, 1982, 374; GOLDMAN, Une bataille judiciaire autour de la lex mercatoria, L’affaire Norsolor, in Rev. arb., 1983, 379 ss.; PAULSSON, The Extent of Independence of International Arbitration from the Law of the Situs, in LEW (ed.), Contemporary Problems in International Arbitration, 1986, 142; PAULSSON, Delocalisation of International Commercial Arbitration: When and Why it matters?, in International and Comparative Law Quarterly, 1983, 59 s.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention: Further Reflections on Chromalloy, in 12-4 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 12 (1997). (2) Cosı̀ Jean-Pierre ANCEL, nel Rapport che precede la sentenza della Cour de Cassation del 29 giugno 2007, relativa al caso Putrabali, in Rev. arb., 2007, 510, riferendosi alla pronuncia della stessa Cour de Cassation del 1994, relativa al caso Hilmarton. Si vedano anche HASCHER, L’influence de la doctrine sur la jurisprudence française en matière d’arbitrage, in Rev. arb., 2005, 392 e DEGOS, La consécration de l’arbitrage en tant que justice internationale autonome (à propos des arrêts « Putrabali » du 29 juin 2007), in Recueil Dalloz, 2008, 1429. (3) Inter alia, GOLDMAN, Une bataille judiciaire, cit.; MAYER P., L’insertion de la sentence dans l’ordre juridique français, in DERAINS, Droit et pratique de l’arbitrage international en France, Paris, 1984, 100; GOLDMAN, nota a Cour de Cassation, 9 ottobre 1984, Société Pabalk Ticaret Sirketi v. Société Norsolor, in Rev. arb., 1985, 433 ss.; THOMPSON, nota a Cour de Cassation, 3 ottobre 1984, Société Pabalk Ticaret Sirketi v. Société Norsolor, in Journal of International Arbitration, 1985, n. 2, 67 ss.; GIARDINA, Norme imperative contro le intermediazioni nei contratti ed arbitrato internazionale, in questa Rivista, 1992, 784 ss.; HASCHER, nota a Cour de Cassation, 10 marzo 1993, Polish Ocean line v. société Jolasry e a Cour d’appel, 12 febbraio 1993, Société Unichips Finanziaria v. Gesnouin, in Rev. arb., 1993, 276 ss.; JARROSSON, nota a Cour de Cassation, 23 marzo 1994, Hilmarton v. OTV, in Rev. arb., 1994, 329 ss.; CRAIG, Some Trends and Developments in the Laws and Practice of International Commercial Arbitration, in Texas International Law Journal, 1995, 2 ss.; JARROSSON, nota a Cour d’appel de Versailles, 29 giugno 1995, (2 decisioni), OTV v. Hilmarton, in Rev. arb., 1995, 651 ss.; LEURENT, Reflections on the International Effectiveness of Arbitration Awards, in Arbitration International, 1996, 270; FOUCHARD, La portée internationale de l’annulation de la sentence arbitrale dans son pays d’origine, in Rev. arb., 1997, 329 ss.; FOUCHARD, nota a Cour de Casssation, 10 giugno 1997, OTV v. Hilmarton, in Rev. arb., 1997, 379; FOUCHARD, nota a Cour d’appel de Paris, 14 gennaio 1997, Republique Arabe d’Egypte v. Société Chromalloy Aero Services, in Rev. arb., 1997, 399 ss.; GHARAVI, Chromalloy: Another View, in 12-1 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 16 (1997); GIARDINA, Riconoscimento in Francia di lodi esteri annullati nel Paese d’origine, in questa Rivista, 1997, 394 ss.; GIARDINA, Armonia interna e disarmonia internazionale delle decisioni, in questa Rivista., 1997, 796 ss.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; SCHWARTZ, A Comment on Chromalloy — Hilmarton à l’américaine, in Journal of International Arbitration, 1997, n. 2, 125 ss.; POUDRET, Quelle solution pour en finir avec l’affaire Hilmarton? - Réponse à Philippe Fouchard, in Rev. arb., 1998, 7 ss.; VAN DEN BERG, Enforcement of annulled awards?, in ICC International Court of Arbitration Bulletin, 1998, n. 2, 15 ss.; GAILLARD, Enforcement of Awards set Aside in the Country of Origin: The French Experience, in VAN DEN BERG (ed.), Improving the Effıciency of Arbitration and Awards: 40 Years of Application of the New York Convention (ICCA Congress Series 1998), Paris, Kluwer Law International, 1999, 505 ss.; GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 265 ss.; MAYER P., Revisiting Hilmarton and Chromalloy, in VAN DEN BERG (ed.), International Arbitration and National Courts: The Never Ending Story (ICCA Congress Series 2000), New Delhi, Kluwer Law International, 2001, 165 102 © Copyright - Giuffrè Editore tratta dei famosi casi Norsolor (4), Hilmarton (5), Chromalloy (6), Bechtel (7) e ss.; CRESPI REGHIZZI, Una recente pronuncia della corte d’appello di Parigi in tema di exequatur di un lodo arbitrale annullato nel Paese d’origine, nota a Cour d’Appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in questa Rivista, 2006, 374 ss.; GAILLARD, Constance et bienfondé de la jurisprudence française sur la reconossaince des sentences annulées au siège, nota a Cour d’appel de Paris, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et autre, 31 marzo 2005, in Rev. arb., 2006, 666 ss.; MUIR WATT, La sentence annulée dans son pays d’origine: voyage au bout de la finction, nota a Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC,, in Rev. arb., 2006, 700 ss.; SZEKELY, nota a Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in Rev. crit. droit int. privé, 2006, 392 ss.; CLAY, Nota a Cour de Cassation, 29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia Est Epices, in JDI, 2007, 1240 ss.; GAILLARD, Approfondissement de la jurisprudence Hilmarton et consecration de l’existence d’un ordre juridique arbitral, nota a Cour de Cassation, 29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia Est Epices, in Rev. arb., 2007, 517 ss.; GAILLARD Souveraineté et autonomie. Réflexions sur les representations de l’arbitrage international, in JDI, 2007, 1163 ss.; HARAVON, Enforcement of Annulled Foreign Arbitral Awards: the French Supreme Court Confirms the Hilmarton Trend, in 22-9 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 19 (2007), 32 ss.; PINSOLLE, L’ordre juridique arbitral et la qualification de la sentence arbitrale de décision de justice internationale. À propos de l’arrêt Putrabali du 29 juin 2007, in Gazette du Palais, 21, 22 novembre 2007 no 325-326, 14 ss.; ATTERITANO, Il lodo annullato nello Stato sede dell’arbitrato non può essere eseguito o riconosciuto all’estero, perché è un lodo che non esiste, (nota a U.S. Court of Appeals for the District of Columbia, 25 maggio 2007, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al.), in questa Rivista, 2008, 107; DEGOS, op. cit., 1429 ss.; MOURRE, À propos des articles V et VII de la Convention de New York, et de la reconnaissance des sentences annulées dans leur pays d’origine: où va-t-on après les arrest Termo Rio et Putrabali?, in Rev. arb., 2008, 263 ss.; PINSOLLE, The Status of Vacated Awards in France: the Cour de Cassation Decision in Putrabali, in Arbitration international, 2008, 277 ss. (4) Cour de Cassation, 9 ottobre 1984, Société Pabalk Ticaret Sirketi v. Société Norsolor, in Rev. arb., 1985, 431 ss. (5) Cour de Justice du canton de Genève, 17 novembre 1989, Hilmarton v. OTV, in Rev. arb., 1993, 342; Tribunale federale svizzero, 17 aprile 1990, Hilmarton v. OTV, in Rev. arb., 1993, 342; Cour de Cassation, 10 giugno 1997, OTV v. Hilmarton, in Rev. arb., 1997, 376; High Court of Justice, Queen’s Bench Division, 24 maggio 1999, OTV v. Hilmarton, in ASA Bulletin, 1999, 368 ss.; Cour d’appel de Paris, 19 dicembre 1991, Hilmarton v. OTV, in Rev. arb., 1993, 300 s.; Cour de Cassation, 23 marzo 1994, Hilmarton v. OTV, in Rev. arb., 1994, 327 s.; Cour d’appel de Versailles, 29 giugno 1995, (2 decisioni), OTV v. Hilmarton, in Rev. arb. 1995, 648. (6) Cour d’appel de Paris, 14 gennaio 1997, Republique Arabe d’Egypte v. Société Chromalloy Aero Services, in Rev. arb., 1997, 397. (7) Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in Rev. crit. DIP, 2006, 387 ss.; U.S. District Court for the District of Columbia, 5 febbraio 2004, International Bechtel Company Limited v. Department Of Civil Aviation of The Government of Dubai, 300 F.Supp.2d 112; U.S. District Court for the District of Columbia, 8 marzo 2005, International Bechtel Company Limited v. Department Of Civil Aviation of The Government of Dubai, 360 F.Supp.2d 136. 103 © Copyright - Giuffrè Editore Putrabali (8). Si ricorderà inoltre la sentenza della U.S. District Court for the District of Columbia, anch’essa relativa al caso Chromalloy (9). Meno note, (8) Cour d’appel de Paris, 31 marzo 2005, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et autre, in Rev. arb., 2006, 665 s.; Cour de Cassation, 29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia Est Epices, 1a decisione, in Rev. arb., 2007, 514. (9) U.S. District Court for the District of Columbia, 31 luglio 1996, Chromalloy Aeroservices v. The Arab Republic of Egypt, in 11-8 Mealey’s Intl. Arb. Rep. (1996), 54 ss., 939 F.Supp. 907. Bisogna segnalare che questa è però l’unica sentenza statunitense che, ad oggi, ha eseguito un lodo annullato nel Paese d’origine. Infatti, le pronunce successive (Baker Marine (U.S. Court of Appeals for the Second Circuit, 12 agosto 1999, Baker Marine Ltd. v. Chevron Ltd and Chveron Corp. and Baker Marine Ltd. v. Danos and Curole Marine Contractors, 191 F.3d 194), Martin Spier (U.S. District Court for the Southern District of New York, 29 giugno 1987, I. Martin Spier v. Calzaturificio Tecnica s.p.a., 663 F.Supp. 871; U.S. District Court for the Southern District of New York, 22 ottobre 1999, Martin Spier v. Calzaturificio Tecnica s.p.a., 71 F.Supp.2d 279) e TermoRio (U.S. District Court for the District of Columbia, 17 marzo 2006, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., 421 F.Supp.2d 87; U.S. Court of Appeals for the District of Columbia, 25 maggio 2007, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., 487 F.3d 928)) hanno, con vari reasoning, escluso la possibilità di accordare il riconosciemnto e l’esecuzione di un lodo annullato nel Paese d’origine. Per alcuni commenti della giurisprudenza statunitense si vedano, inter alia, SAMPLINER, Enforcement of Foreign Arbitral Awards after Annulment in their Country of Origin, in 11-9 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 17 (1996); GHARAVI, Chromalloy: Another View, cit.; GHARAVI, The Legal Inconsistencies of Chromalloy, in 12-5 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 13 (1997); PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; SCHWARTZ, A Comment on Chromalloy, cit.; HULBERT, Further Observations on Chromalloy: A Contract Misconstrued, a Law Misapplied, and an Opportunity Foregone, in ICSID Review, 1998, n. 1, 124 ss.; PAULSSON, Enforcing arbitral awards notwithstanding a local standard annulment (LSA), in ICC International Court of Arbitration Bulletin, 1998, n. 1, 14 ss.; RIVKIN, The Enforcement of Awards Nullified in the Country of Origin: The American Experience, in VAN DEN BERG (ed.), Improving the Effıciency of Arbitration and Awards: 40 Years of Application of the New York Convention, (ICCA Congress Series 1998), Paris, Kluwer Law International, 1999, 528 ss.; FREYER, United States Recognition and Enforcement of Annulled Foreign Arbitral Awards - The Aftermath of the Chromalloy Case, in Journal of International Arbitration, 2000, n. 2, 1 ss.; GAILLARD, Nota a U.S. Court of Appeals for the Second Circuit, 12 agosto 1999, Baker Marine Ltd. v. Chevron Ltd and Chveron Corp. and Baker Marine Ltd. v. Danos and Curole Marine Contractors, in Rev. arb., 2000, 138 ss.; GAILLARD - EDELSTEIN, Baker Marine and Spier strike a blow to the enforceability in the United States of awards set aside at the seat, in International Arbitration Law Review, 2000, 37 ss.; GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 265 ss.; GAILLARD, Anti-suit injunctions et reconnaissance des sentences annulées au siège: une évolution remarquable de la jurisprudence américaine, in JDI, 2003, 1114; PAULSSON, Chromalloy redux, nota a U.S. District Court for the District of Columbia, 17 marzo 2006, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., in Rev. arb., 2006, 796 ss.; HARAVON, Enforcement of Annulled Foreign Arbitral Awards, cit., 34; PAULSSON, Nota a U.S. Court of Appeals for the District of Columbia, 25 maggio 2007, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., in Rev. arb., 2007, 559 ss.; GAILLARD, Approfondissement de la jurisprudence Hilmarton, cit.; ATTERITANO, op. cit., 100 ss.; GAILLARD, Aspects philosophiques du droit de l’arbitrage international, in Recueil des Cours, 2008, 191; MAN- 104 © Copyright - Giuffrè Editore ma non prive di un qualche interesse per chi si è occupato di tali questioni, la pronuncia belga, relativa al caso Sonatrach v. Ford, Bacon and Davis (10) e quella austriaca relativa al caso Radenska v. Kajo (11). Sul tema è tornata, nel 2009, la Corte di Appello di Amsterdam (Gerechtshof) (12) con la sentenza in esame, peraltro recentemente confermata dalla Corte Suprema (la Hoge Raad) (13), che ha accolto una richiesta di esecuzione nei Paesi Bassi di un lodo, relativo al caso Yukos Capital v. Rosneft, reso a Mosca ed annullato dalla Corte Suprema russa. I giudici dei Paesi Bassi hanno attenuato le rigidità di un approccio strettamente territorialista (14), dando nuova linfa ad un fenomeno che sembrava oramai essere TILLA-SERRANO, Case note: Termorı́o S.A. E.S.P. et al. v. Electranta S.P. et al., in Journal of International Arbitration, 2008, 397 ss.; MOURRE, op. cit.; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, in Journal of International Arbitration, 2010, n. 2, 182. (10) Tribunal de première instance de Bruxelles, 6 dicembre 1988, Sonatrach v. Ford, Bacon & Davis, in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook Commercial Arbitration, Kluwer Law International, 1990, 370 ss.; Cour d’appel de Bruxelles, 9 gennaio 1990, Sonatrach v. Ford, Bacon & Davis, non pubblicata. (11) Oberster Gerichtshof, 20 ottobre 1993, Kajo-Erzeugnisse Essenzen GmbH v. DO Zdravilisce Radenska, in Rev. arb., 1998, 421 ss.; Oberster Gerichtshof, 23 febbraio 1998, DO Zdravilisce Radenska v. Kajo-Erzeugnisse Essenzen GmbH, in Rev. arb., 1999, 385 s. Per un commento, si veda LASTENOUSE - SENKOVIC, Nota a Corte Suprema Austriaca, 20 ottobre 1993, Radenska v. Kajo, in Rev. arb., 1998, 421 ss. (12) Gerechtshof, Amsterdam, 28 aprile 2009, Yukos Capital s.a.r.l. v. OAO Rosneft, tradotta e riportata in inglese in Stockholm International Arbitration Review, 2009, 219 ss. e, in parte, anche in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook of Commercial Arbitration, Kluwer Law International, 2009, 703 ss. Alcuni estratti della sentenza, tradotti in francese, sono pubblicati in Rev. arb., 2009, 557 ss. (13) Hoge Raad, 25 giugno 2010, OAO Rosneft v. Yukos Capital s.a.r.l., caso numero: 09/02566. Disponibile in olandese a: http://zoeken.rechtspraak.nl/default.aspx LJN: BM1679 (visitato il 16 agosto 2010); riportata, in parte, in inglese in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook of Commercial Arbitration, Kluwer Law International, 2010, 423 ss. (14) Cosı̀, ad es., DARWAZEH, Article V(1)(e), in KRONKE - NACIMIENTO et al. (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 301 ss. La dottrina è divisa su un problema teorico che ha immediate ricadute da un punto di vista pratico proprio, inter alia, per quanto riguarda il riconoscimento di lodi annullati nello Stato di origine. Non vi è unanimità nell’identificare la base legale dell’arbitrato commerciale internazionale. Premettendo che qualsiasi tentativo di raggruppare i diversi contributi dottrinali in categorie predefinite rischia sempre di essere fonte di errori, avendo ogni contributo delle caratteristiche proprie, diverse da quelle degli altri, possono comunque identificarsi tre scuole di pensiero. C’è chi — territorialista appunto — ritiene che il fenomeno vada ricondotto necessariamente ad un ordinamento statale (spesso quello della sede dell’arbitrato): MANN, Lex Facit Arbitrum, in International Arbitration. Liber Amicorum for Martin Domke, 1967, 157 ss.; VAN DEN BERG, When Is an Arbitral Award Nondomestic Under the New York Convention of 1958?, in Pace Law Review, 1985-1986, 25 ss.; SMIT, A-national arbitration, in Tulane Law Review, 1989, 629 ss.; CRAIG, op. cit.; BRIGUGLIO, Mito e realtà nella denazionalizzazione dell’arbitrato privato, in questa Rivista, 1998, 453 ss.; GIARDINA, Ancora sull’exequatur di un lodo arbitrale annullato nel paese d’origine, in questa Rivista, 1998, 747 s.; BRIGUGLIO, L’arbitrato estero. Il sistema 105 © Copyright - Giuffrè Editore stato definito nei suoi tratti essenziali. La Corte di Appello, pur considerando, ai sensi della Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, competenti ad annullare un lodo i giudici dello Stato sede dell’arbitrato, ha specificato che la sentenza di annullamento, resa da questi ultimi, potrà avere efficacia extraterritoriale solo qualora il procedimento con essa conclusosi si sia svolto nel rispetto di determinati principi di indipendenza e di imparzialità. Quanto precede dimostra una particolare inclinazione dei giudici dei Paesi Bassi a proporre, in riferimento al tema della delocalizzazione dell’arbitrato commerciale internazionale, soluzioni innovative, tra le quali deve perlomeno ricordarsi la pronuncia della Corte Suprema, del 1973, relativa al caso SEEE v. Iugoslavia. La validità di un lodo, reso a Losanna da due soli arbitri (15), era stata contestata dalla parte soccombente davanti al Tribunale cantonale del Canton Vaud, il quale ritenne di non trovarsi nemmeno in presenza di un vero e proprio lodo, a causa della violazione di una disposizione della legge cantonale che prevedeva la necessaria presenza di un numero di arbitri dispari. Il Tribunale tuttavia si preoccupò di specificare che con tale decisione non si intendeva « point préjuger de la validité et de la force obligatoire delle convenzioni internazionali, 1999, 17 ss.; SANDERS, Quo vadis arbitration? Sixty years of arbitration practice: a comparative study, Kluwer Law International, 1999; GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER - BREDOW (a cura di), Law of International Business and Dispute Settlement in the 21st Century - Liber Amicorum Karl-Heinz Böckstiegel, Köln, 2001, 210 ss.; REDFERN - HUNTER, Law and Practice of International Commercial Arbitration, Sweet & Maxwell, 2004, 88 ss. Chi ritiene invece che esso vada ricondotto all’autonomia delle parti, considerata in quanto tale, come fenomeno indipendente da un qualsiasi ordinamento che gli attribuisca degli effetti: GOLDMAN, Les conflits des lois dans l’arbitrage international de droit privé, in Recueil des Cours, II, 1963, 351 ss.; LALIVE, Les règles de Conflit de Lois Appliquées au Fond du Litige par l’arbitre International siègeant en Suisse, in Rev. arb., 1976, 155 ss. La visione da ultimo ricordata assomiglia, per lo meno per alcuni degli effetti, a quella categoria, che a volte è stata identificata dalla dottrina in aggiunta alle tre qui in esame, che riconduce l’arbitrato ad una pluralità di ordinamenti statali con i quali il lodo viene in contatto (cfr. soprattutto GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 81 ss.). In entrambi i casi, infatti, la valutazione del lodo operata dai giudici dell’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato non prevarrà in alcun modo su quella operata dai giudici di un qualsiasi altro Stato con cui il lodo può venire in contatto. Chi, infine, lo riconduce ad un ordinamento non statale che è, a seconda dei casi, o l’ordinamento internazionale: FRAGISTAS, Arbitrage étranger et arbitrage international en droit privé, in Rev. crit. droit int. privé, 1960, 1 ss.; FOUCHARD, L’arbitrage commercial international, Paris, 1965, o un ordinamento terzo: RIGAUX, Souverainetè des Etats et arbitrage transnational, in Etudes offertes à B. Goldman, Paris, 1982, 261 ss.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; LEW, Achieving the dream: Autonomous Arbitration, in Arbitration international, 2006, 179 ss.; GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 53 ss. (15) SEEE v. Iugoslavia, 2 luglio 1956, in JDI, 1959, 1074 ss. Si tratta del famoso lodo Ripert-Panchaud, dal nome dei due arbitri, Georges Ripert e André Panchaud, che lo hanno reso. 106 © Copyright - Giuffrè Editore du jugement arbitral au regard de la volonté des parties ou de tel droit qui lui serait applicable » (16). In seguito a tale pronuncia, il lodo fu oggetto di una richiesta di riconoscimento e di esecuzione, oltreché in Francia (17), anche nei Paesi Bassi, dove la Corte Suprema, in un primo momento, nel 1973, si pronunciò nel senso della irrilevanza, ai fini di una decisione su tale richiesta, della valutazione che del lodo stesso era stata operata dai giudici dello Stato sede dell’arbitrato (18), cosı̀ considerando la sentenza arbitrale quale fenomeno dotato di un’esistenza propria, indipendente da qualsiasi ordinamento statale. Tuttavia, nel 1975, la stessa Corte, in relazione al medesimo caso, ritornò su posizioni più tradizionali, radicando il lodo nell’ordinamento dello Stato di origine, e rigettò, infine, la richiesta di riconoscimento e di esecuzione, ritenendo che la pronuncia del Tribunale cantonale fosse da equiparare, negli effetti, ad una sentenza di annullamento del lodo (19). 2. Nella decisione sopra riportata, relativa al caso Yukos, i giudici di appello hanno ricordato, in primo luogo, che la Convenzione di New York disciplina il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri e non, invece, il riconoscimento delle sentenze straniere di annullamento di tali lodi. Hanno riconosciuto, inoltre, che l’art. V(1)(e) della medesima Convenzione attribuisce la competenza ad annullare il lodo alle corti dello Stato sede dell’arbitrato ma hanno sottolineato che né tale previsione, né alcun’altra, tanto nella Convenzione di New York che in altra convenzione, impongono loro in alcun modo di tenere necessariamente in conto la sentenza di annullamento dei colleghi russi. Se quest’ultima debba o meno essere riconosciuta nei Paesi Bassi è da determinarsi, secondo i giudici di appello, facendo applicazione delle norme di diritto internazionale privato e processuale del foro. Dunque, prosegue la sentenza, prescindendo dalla questione dell’ampiezza della libertà accordata dalla Convenzione di New York di eseguire un lodo annullato nel Paese d’origine, nel caso la sentenza di annullamento non possa essere riconosciuta nei Paesi Bassi sulla base delle disposizioni di diritto internazionale privato e processuale del foro, ecco che niente impedirebbe che sia invece accolta la richiesta di ricono(16) Tribunal cantonal du canton de Vaud, 12 febbraio 1957, Iugoslavia v. SEEE, in Rev. crit. droit int. privé, 1958, 364. (17) Richiesta decisa da Cour d’appel de Rouen, 13 novembre 1984, Société Européenne d’Etudes et d’Entreprises (SEEE) v. République de Yougoslavie, in JDI, 1985, 473 ss., che accoglie, mettendo fine ad una serie di passaggi tra Corti di Appello e Cour de Cassation, la richiesta di esecuzione. (18) Hoge Raad, 26 ottobre 1973, Société Européenne d’Etudes et d’Entreprises (SEEE) v. République de Yougoslavie, in Rev. arb., 1974, 311 ss. (19) Hoge Raad, 7 novembre 1975, Société Européenne d’Etudes et d’Entreprises (SEEE) v. Federal Republic of Yugoslavia, in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook of Commercial Arbitration, 1976, 195 ss. 107 © Copyright - Giuffrè Editore scimento e di esecuzione, in tale Paese, dei quattro lodi. Secondo i giudici, ostacoli al riconoscimento della sentenza di annullamento sussistono, in particolare, come aveva anticipato il Presidente del Tribunale, nel caso in cui, durante il procedimento giudiziale conclusosi con detta sentenza, non siano stati rispettati i principi del giusto processo e, soprattutto, nel caso in cui l’organo giudicante abbia deciso in modo non indipendente né imparziale: in questo caso, infatti, il riconoscimento della sentenza sarebbe in contrasto con l’ordine pubblico del foro. La Corte di Appello di Amsterdam, di conseguenza, ha esaminato una pluralità di documenti prodotti dalla Yukos Capital a sostegno della propria allegazione di corruzione dei giudici russi, tra cui comparivano articoli della stampa internazionale, rapporti di organismi internazionali e decisioni di diversi organi giudiziari di alcuni Paesi europei. Sulla base di tali documenti, del fatto che la Rosneft non aveva allegato alcuna prova contraria e della considerazione che i fenomeni di corruzione non avvengono, per loro stessa natura, alla luce del sole, la Corte ha concluso nel senso che verosimilmente la sentenza di annullamento dei lodi era stata resa da un giudice né indipendente né imparziale, e che quindi ne era precluso il riconoscimento nei Paesi Bassi. Infine, la Corte ha rigettato le due eccezioni sollevate dalla Rosneft, basate rispettivamente sulle disposizioni degli artt. V(2)(b) e V(1)(b) della Convenzione di New York. L’art. V(2)(b) prevede che il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo possono essere rifiutati se l’autorità competente dello Stato in cui il riconoscimento e l’esecuzione sono richiesti ritiene che tali provvedimenti siano contrari all’ordine pubblico di quello Stato (20). A tal fine, la Rosneft aveva allegato che, poiché i contratti di mutuo erano stati conclusi all’interno di un più ampio disegno di evasione fiscale, una dichiarazione di esecutività dei lodi di condanna ad adempiere delle obbligazioni derivanti da essi sarebbe stata contraria all’ordine pubblico del foro. L’art. V(1)(b) prevede, invece, che il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo possono essere rifiutati se la parte contro la quale il riconoscimento e l’esecuzione sono richiesti fornisce all’autorità competente la prova di non essere stata adeguatamente informata della nomina dell’arbitro o del procedimento arbitrale o di non essere stata altrimenti in grado di fare va- (20) Sull’art. V(2)(b) si vedano, ad es., VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958: Towards a Uniform Judicial Interpretation, Kluwer Law International, 1981, 376 ss.; TAMPIERI, Il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, in BENEDETTELLI - CONSOLO - RADICATI DI BROZOLO, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale ed internazionale, Padova, 2010, 1052 ss. e OTTO - ELWAN, Article V(2), in KRONKE NACIMIENTO - OTTO - PORT (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 365 ss. 108 © Copyright - Giuffrè Editore lere le proprie ragioni (21). La Rosneft aveva eccepito che, durante il procedimento arbitrale, la Yuganskneftegaz non era stata messa nelle condizioni di produrre prove adeguate a sostegno della propria allegazione di nullità dei contratti di mutuo. Rigettate, come già ricordato, tali eccezioni, la Corte di Appello ha annullato la decisione del Presidente del Tribunale di prima istanza di Amsterdam ed ha ordinato l’exequatur, nei Paesi Bassi, dei lodi arbitrali annullati nella Federazione Russa. La Hoge Raad, davanti a cui la Rosneft ha impugnato la decisione della Corte di Appello, il 25 giugno 2010, ha dichiarato il ricorso non ricevibile, cosı̀ confermando in via definitiva l’exequatur dei lodi accordato dalla Corte di Appello. La Corte Suprema ha infatti accolto l’eccezione sollevata dalla Yukos Capital, secondo cui il ricorso della Rosneft avrebbe dovuto essere rigettato, a pena di incorrere nella violazione dell’art. III della Convenzione di New York (22). Tale disposizione rende applicabili al procedimento di riconoscimento e di esecuzione di un lodo rientrante nell’ambito di applicazione della Convenzione delle norme di diritto interno del foro che eventualmente regolino, più favorevolmente rispetto al testo convenzionale, l’omologo procedimento previsto per i lodi meramente interni. Nel caso di specie, venivano in rilievo gli articoli 1062, 1063 e 1064(1) del Codice di Procedura Civile dei Paesi Bassi (23), che, da un lato, escludono che possa validamente formarsi un ricorso (in secondo o in terzo grado) avverso una sentenza che accorda il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo arbitrale pronunciato nei Paesi Bassi, e che, dall’altro, ammettono il ricorso, tanto in seconda che in ultima istanza, avverso una sentenza che invece ne neghi il riconoscimento e l’esecuzione. (21) Sull’art. V(1)(b), si vedano, ad es., VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit., 296 ss.; TAMPIERI, op. cit., 1043 ss.; JANA - ARMER - KLEIN KRANENBERG, Article V(1)(b), in KRONKE - NACIMIENTO - OTTO - PORT (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 365 ss. (22) L’art. III della Convenzione di New York, nella parte che ora rileva, cosı̀ dispone: « There shall not be imposed substantially more onerous conditions or higher fees or charges on the recognition or enforcement of arbitral awards to which this Convention applies than are imposed on the recognition or enforcement of domestic arbitral awards ». Sull’art. III si vedano, ad es., VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit., 234 ss.; TAMPIERI, op. cit., 1019 e BÖRNER, Article III, in KRONKE - NACIMIENTO - OTTO - PORT (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 115 ss. e i riferimenti ivi contenuti. (23) Wetboek van Burgerlijke Rechtsvordering. Gli articoli cui si è fatto riferimento, possono essere letti, nella traduzione inglese, al seguente indirizzo: http://www.jus.uio.no/lm/ netherlands.arbitration.act.1986/ (visitato il 5 aprile 2011). Tali disposizioni sono contenute nel Titolo I del libro IV del Codice di procedura civile, intitolato « Arbitration in the Netherlands », seguito dal Titolo II: « Arbitration Outside The Netherlands ». 109 © Copyright - Giuffrè Editore Senza affrontare nei dettagli la decisione della Hoge Raad, che si basa su previsioni di diritto interno del foro, è opportuno soffermarsi sulla pronuncia della Corte di Appello, interessante sotto molteplici aspetti (24). 3. Sia la Federazione Russa che i Paesi Bassi sono Stati parti della Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione di lodi arbitrali stranieri. Quando il giudice di uno Stato membro della Convenzione di New York è richiesto di eseguire un lodo, che è stato però annullato nel Paese d’origine, dovrebbe, in primis, vagliare tale richiesta alla luce di quanto previsto dall’art. V(1)(e) della Convenzione medesima (25). Sennonché, come è stato dimostrato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, in più di cinquant’anni di applicazione della Convenzione, tale disposizione è ambigua e probabilmente incompleta, tanto che, di essa, sono possibili molteplici interpretazioni, ciascuna, a proprio modo, corretta. Innanzi tutto, essa può essere interpretata a) sia nel senso che il giudice richiesto dell’esecuzione di un lodo ha una mera facoltà di rifiutarla nel caso di previo annullamento di questo nello Stato d’origine, b) sia nel senso che egli ha invece un obbligo del medesimo tenore (26). Un giudice (24) Per altri commenti delle decisioni della Corte di Appello e della Hoge Raad, si vedano: BOLLÉE, Note - 28 avril 2009, Cour d’appel d’Amsterdam, in Rev. arb., 2009, 561 ss.; SCHWARTZ, Zombie awards: annulled but not dead, in Stockholm International Arbitration Review, 2009, 235 ss.; LEIJTEN - SCHELLAARS, The Yukos awards: Enforcement of Awards Annulled at the Place of Arbitration, in Les Cahiers de l’Arbitrage — The Paris Journal of International Arbitration, 2010, 1155 ss.; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 179 ss. (25) « Recognition and enforcement of the award may be refused, at the request of the party against whom it is invoked, only if that party furnishes to the competent authority where the recognition and enforcement is sought, proof that: (e) [t]he award has not yet become binding on the parties, or has been set aside or suspended by a competent authority of the country in which, or under the law of which, that award was made ». (26) A sostegno tanto dell’una che dell’altra soluzione è stato scritto molto in dottrina. Tra coloro che sostengono una lettura nel senso di dovere: SANDERS, New York Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards, in Netherlands Int’l L. Rev., 1959, 43, 55, citato da VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 187; MIGLIAZZA, Natura ed effıcacia dell’arbitrato internazionale, in Riv. dir. int. priv. proc., 1973, 746; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit., 355; VAN DEN BERG, When Is an Arbitral Award Nondomestic, cit., 42; HULBERT, op. cit., 143 s.; SANDERS, Quo vadis arbitration?, cit., 77 s.; GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 273; REISMAN - IRAVANI, The changing relation of national courts and international commercial arbitration, in The American Review of International Arbitration, 2010, 12; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 179 ss. Tra coloro, più numerosi, che sostengono una lettura nel senso di potere: THOMPSON, nota a Cour de Cassation, 3 ottobre 1984, cit.; SMIT, op. cit.; SAMPLINER, op. cit.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; PAULSSON, Enforcing arbitral awards notwithstanding a local standard annulment (LSA), cit., 17; PAULSSON, May or Must Under The New York Convention: An Exercise 110 © Copyright - Giuffrè Editore richiesto di riconoscere ed eseguire un lodo annullato nell’ordinamento della sede, qualora ritenga che l’art. V(1)(e) vada interpretato nel senso indicato sub b), potrà poi comunque dichiararlo efficace facendo applicazione, attraverso l’art. VII della Convenzione di New York (27), di disposizioni di diritto interno più favorevoli, ammesso che esistano (28). La seconda lacuna dell’art. V(1)(e) è dovuta al fatto che esso non indica i criteri in base ai quali il giudice dovrà decidere se accordare o meno l’exequatur di un lodo annullato, nel caso egli ritenga che tale disposizione vada interpretata nel senso indicato sub a). Tali norme sono state interpretate ed applicate, secondo modalità ogni volta diverse, oltre che dai giudici dei Paesi Bassi, anche da quelli francesi e statunitensi (29), nelle sentenze già ricordate, e sono state oggetto di una nota proposta interpretativa di una parte della dottrina. Il Presidente del Tribunale di primo grado di Amsterdam e la Corte di Appello, richiesti di riconoscere ed eseguire dei lodi annullati nella Federazione Russa, come abbiamo visto, ritennero che, ai sensi dell’art. V(1)(e) della Convenzione di New York, in linea di principio, un lodo reso ed annullato nello Stato A non può essere riconosciuto ed eseguito nello Stato B, a meno che non sussistano particolari circostanze, date dalla contrarietà del riconoscimento della sentenza straniera di annullamento all’ordine pubblico del foro. La giurisprudenza francese cui si è fatto cenno basò le proprie pronunce sull’art. VII della Convenzione di New York e sulle disposizioni di in Syntax and Linguistics, in Arbitration International, 1998, 227 ss.; LASTENOUSE, Why Setting Aside an Arbitral Award is not Enough to Remove it from the International Scene, in Journal of International Arbitration, Kluwer Law International, 1999, n. 2, 29; RIVKIN, op. cit., 532; REDFERN - HUNTER, op. cit., 88 ss.; GAILLARD, The Representations of International Arbitration, in New York Law Journal, 2007, 3 ss.; SMIT, Annulment and enforcement of international arbitral awards: a practical perspective, in American Review of International Arbitration, 2007, 297 ss.; MOURRE, op. cit.; BORN, International Commercial Arbitration, Kluwer Law International, 2009, 2677, 2691; RADICATI DI BROZOLO, The control system of arbitral awards. A pro-arbitration critique of Michael Reisman’s « Normative architecture of international commercial arbitration », destinato ad essere pubblicato nel volume (2011) ICCA Congress Series. (27) Nella parte che ora rileva, l’art. VII della Convenzione di New York cosı̀ dispone: « The provisions of the present Convention shall not... deprive any interested party of any right he may have to avail himself of an arbitral award in the manner and to the extent allowed by the law or the treaties of the country where such award is sought to be relied upon ». (28) Ad esempio, nei Paesi Bassi, una disposizione più favorevole manca e, anzi, l’art. 1076(1)(A)(e) del Codice di procedura civile dei Paesi Bassi riproduce alla lettera l’art. V(1)(e) della Convenzione di New York. (29) Né al caso belga, né a quello austriaco era invece applicabile la Convenzione di New York. 111 © Copyright - Giuffrè Editore diritto interno (30), le quali non prevedono, tra i motivi per cui possono essere rifiutati il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo reso all’estero, l’annullamento del lodo stesso nel Paese d’origine. Una parte della dottrina aveva ipotizzato che, pur mancando espliciti riferimenti in tal senso, i giudici d’oltralpe, nell’accogliere la richiesta di esecuzione di lodi annullati nello Stato di origine, fossero stati guidati, in linea con quella proposta interpretativa di cui si dirà a breve (31), anche dalla considerazione che l’annullamento era stato pronunciato sulla base di motivi meramente locali (32). La giurisprudenza statunitense, diversamente, nella prima pronuncia, relativa al caso Chromalloy (33), applicò sia l’art. VII che l’art. V(1)(e), interpretato nel senso sub a), da un lato ritenendo il lodo valido secondo disposizioni di diritto interno e dall’altro escludendo che la decisione di annullamento straniera potesse essere riconosciuta negli Stati Uniti, ritenendola contraria alla public policy interna in favore di lodi final and binding, perché le parti avevano escluso, nella clausola compromissoria, la possibilità di proporre un qualsiasi tipo di ricorso contro il lodo. Le pronunce successive (Baker Marine, Martin Spier e TermoRio) (34), negarono che si potesse fare applicazione, attraverso l’art. VII della Convenzione, di disposizioni di diritto statunitense, in assenza di un riferimento delle parti, nel contratto, a tale diritto e, di conseguenza, si basarono esclusivamente sull’art. V(1)(e), sempre interpretato nel senso sub a). Peraltro, in questi ultimi tre casi, come già ricordato (35), le richieste di riconoscimento e di esecuzione dei lodi annullati non furono accolte, avendo i giudici ritenuto che la parte risultata vincitrice nel procedimento arbitrale non aveva addotto elementi sufficienti ad impedire il riconoscimento negli Stati Uniti delle sentenze straniere di annullamento. In base ad un diverso approccio proposto dalla dottrina, in particolare da Paulsson (36), la decisione se accordare o meno l’exequatur ai sensi dell’art. V(1)(e), letto nel senso sub a), dovrebbe essere presa valutando se l’annullamento del lodo nello Stato di origine sia stato pronunciato sulla base di un local o di un international standard. In particolare, se il lodo è stato annullato nello Stato della sede per un motivo riconosciuto esclusiva- (30) In particolare sull’allora art. 1502 ncpc, corrispondente all’attuale combinato disposto degli artt. 1525 u.c. e 1520 ncpc, a seguito della modifica intervenuta ad opera del Décret no 2011-48 del 13 gennaio 2011. (31) V. infra in questo stesso paragrafo. (32) CRESPI REGHIZZI, op. cit., 382 s.; ATTERITANO, op. cit. (33) V. supra nota 9. (34) V. supra nota 9. (35) V. supra nota 9. (36) PAULSSON, Enforcing arbitral awards, cit. Tale proposta è stata cirticata in particolare da van den Berg (VAN DEN BERG, Enforcement of annulled awards?, cit.) e da Sanders (SANDERS, Quo vadis arbitration?, cit.). 112 © Copyright - Giuffrè Editore mente da quello Stato o da pochi altri, ad esempio a causa della violazione di una norma che prescrive che tutti gli arbitri siano di sesso maschile o che appartengano ad una particolare confessione religiosa, i giudici richiesti potranno concedere l’esecuzione del lodo nonostante l’intervenuto annullamento. Viceversa, in caso di annullamento per un motivo universalmente riconosciuto, cioè per uno dei motivi indicati dalle prime quattro lettere dell’art. V(1) della Convenzione di New York e dell’art. 36(1)(a) della Legge Modello UNICTRAL, la richiesta dovrà essere rigettata, essendo i giudici tenuti a rispettare la sentenza di annullamento pronunciata nello Stato della sede (37). Deve segnalarsi che un’interpretazione dell’art. V(1)(e) nel senso proposto non avrebbe impedito il riconoscimento nei Paesi Bassi della sentenza russa di annullamento dei lodi, a causa di una difficoltà applicativa, messa in luce da una parte della dottrina, che si presenta nel caso in cui degli international standard siano utilizzati come meri motivi di facciata, da parte di giudici corrotti o imparziali (38): in effetti, la sentenza di annullamento nel caso Yukos è basata su international standard, riconducibili alle lettere (b) e (d) dell’art. V(1) della Convenzione di New York. 4. La soluzione adottata dai giudici dei Paesi Bassi, che presenta tratti comuni a quella affermatasi negli Stati Uniti, potrebbe essere chiamata « soluzione della territorialità attenuata o temperata ». Infatti, pur partendo dalle stesse premesse della tesi territorialista, cioè concependo l’arbitrato ed il lodo come fenomeni integrati nell’ordinamento dello Stato in cui il procedimento arbitrale si è svolto, cosı̀ che una sentenza di annullamento di un lodo, resa dai giudici di tale Stato, avrà in principio effetti extraterritoriali, la decisione compie un passo ulteriore, attenuandone i rigori, introducendo cioè una possibile eccezione al principio dell’efficacia automatica della sentenza di annullamento al di fuori dei confini dello Stato di origine. Tale eccezione è data dalla presenza di particolari circostanze, attinenti al procedimento che ha condotto all’annullamento del lodo, che possano giustificare il rifiuto, da parte di uno o più ordinamenti, di riconoscere al proprio interno la sentenza di annullamento straniera. Una soluzione simile, nel senso di considerare la sentenza straniera di annullamento del lodo come fenomeno a sé stante, suscettibile o meno di essere riconosciuta nell’ordinamento richiesto dell’esecuzione del lodo, sulla base delle norme interne di diritto internazionale privato e proces- (37) Tale modalità di procedere è peraltro obbligatoria per i giudici di quegli Stati che siano parti, oltre che della Convenzione di New York, anche della Convenzione di Ginevra del 1961, secondo quanto previsto dall’art. IX(2) di quest’ultima. (38) HULBERT, op. cit., 145. 113 © Copyright - Giuffrè Editore suale, era stata proposta, in dottrina, da Pierre Mayer (39) e, ancora prima, pur se esclusivamente a livello europeo, da Poudret (40). Anche Giardina (41) e Muir Watt (42) hanno ammesso la possibilità di bloccare gli effetti extraterritoriali che una sentenza di annullamento di un lodo, in principio, secondo tali Autori avrebbe, con specifico riguardo proprio al caso di contrarietà di tale sentenza ai principi di equità processuale e all’ordine pubblico dello Stato del foro. 5. Considerare la sentenza di annullamento del lodo, emanata dai giudici stranieri, per valutare, alla luce del diritto internazionale privato e processuale del foro, se possa essere riconosciuta all’interno di questo, non è una soluzione in contrasto con alcuna esplicita disposizione della Convenzione di New York. Infatti, sostenere, come ha fatto alcuna dottrina di stampo territorialista (43), che la Convenzione di New York impone di rigettare la richiesta di riconoscimento e di esecuzione del lodo reso in un altro Stato ogniqualvolta quest’ultimo sia stato ivi annullato e che, di conseguenza, non vi sarebbero possibilità, per il giudice richiesto dell’esecuzione, di operare una valutazione della sentenza straniera di annullamento, alla luce del proprio diritto internazionale privato e processuale, equivarrebbe ad affermare che la Convenzione di New York, oltre che disciplinare il riconoscimento e l’esecuzione di lodi arbitrali stranieri, crea anche, per gli Stati che ne sono parte, un meccanismo automatico di riconoscimento delle sentenze straniere (44). Si badi, però: solo di quelle sentenze straniere che hanno annullato un lodo arbitrale in materia commerciale. Due considerazioni inducono ad escludere un’interpretazione nel senso appena delineato (45). Il diritto internazionale privato e processuale conosce certamente meccanismi di riconoscimento automatico di sentenze straniere. Un esempio a noi noto è quello dei Regolamenti dell’Unione europea in materia civile e (39) MAYER P., nota a Cour de Cassation, 17 ottobre 2000, Asecna v. N’Doye, in Rev. arb., 2000, 655. (40) POUDRET, op. cit. (41) GIARDINA, Ancora sull’exequatur, cit., 748; GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER - BREDOW, op. cit., 216. (42) MUIR WATT, op. cit., 708. (43) Tra i tanti, ATTERITANO, op. cit., 100 ss.; SCHWARTZ, A Comment on Chromalloy, cit., 131; SZEKELY, op. cit., 398 s.; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit., 355; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 182. (44) In questo senso, ad es., BOLLÉE, Note - 28 avril 2009, cit., 170. Ma si v. anche GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER - BREDOW, op. cit., 215. (45) Si veda anche RADICATI DI BROZOLO, op. cit. 114 © Copyright - Giuffrè Editore commerciale (46), matrimoniale e di responsabilità genitoriale (47). Tali Regolamenti, che pur si pongono all’interno di un sistema altamente integrato, quale è, appunto, quello dell’Unione europea, ispirato ad « una reciproca (piena) fiducia tra gli ordinamenti e i giudici dei diversi Stati membri » (48), prevedono alcune eccezioni al principio del riconoscimento automatico delle decisioni straniere. Una di queste eccezioni è rappresentata proprio dalla manifesta contrarietà del riconoscimento all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto (49) e « la nozione di ordine pubblico sembra oggi da intendere come idonea a ricomprendere — almeno... in alcune ipotesi — anche il c.d. ordine pubblico processuale » (50). Tra tali ipotesi vi è quella della non imparzialità del giudice che ha pronunciato la sentenza del cui riconoscimento si tratta (51). Sembra lecito, dunque, quantomeno dubitare che, a partire dal 1958, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di New York abbiano, inter alia, accettato di riconoscere, in via automatica e senza eccezioni, qualsiasi sentenza straniera di annullamento di un lodo arbitrale in materia commerciale, emanata, potenzialmente, in un qualsiasi Stato del mondo. Non pare verosimile che la Convenzione di New York avrebbe avuto un cosı̀ alto numero di ratifiche se avesse contenuto una disposizione esplicita in questo senso. Inoltre, parrebbe davvero singolare che gli Stati si fossero riservati, attraverso l’art. V(2)(b) della Convenzione, la facoltà di negare il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo reso in uno Stato straniero, in caso di contrarietà del riconoscimento e dell’esecuzione stessi all’ordine pubblico del foro, escludendo invece che questo medesimo limite potesse operare per impedire l’ingresso nel foro di una sentenza straniera di annullamento del lodo. Infine, rimarrebbe senza spiegazione il perché del limitare la fiducia che gli Stati parte della Convenzione avrebbero nei rispettivi sistemi giudiziari alle sole ipotesi di sentenze che hanno annullato un lodo arbitrale in materia commerciale. La seconda considerazione che porta ad escludere che la Convenzione di New York abbia istituito un meccanismo automatico di riconoscimento delle sentenze straniere di annullamento dei lodi dipende dal fatto che si tratterebbe di una soluzione in contrasto con lo spirito dell’arbitrato commerciale. Una soluzione, cioè, che non considera che le parti, in origine, attraverso la clausola compromissoria o il compromesso, hanno operato una scelta non soltanto di matrice positiva, affidando la soluzione della propria (46) Reg. (CE) n. 44/2001. (47) Reg. (CE) n. 2201/2003. (48) MOSCONI - CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e obbligazioni, V ed., Torino, 2010, 278. (49) Cfr. l’art. 34(1) Reg. (CE) n. 44/2001, e gli artt. 22(a) e 23(a) Reg. (CE) n. 2201/2003. (50) MOSCONI - CAMPIGLIO, op. cit., 297. (51) IDEM, 298. 115 © Copyright - Giuffrè Editore controversia ad arbitri, ma anche di matrice negativa, escludendo che di quella controversia potessero occuparsi quei giudici statali che sarebbero stati altrimenti competenti. In questo modo, invece, si attribuisce efficacia universale ad una sentenza che non solo annulla il lodo, unico vero prodotto in principio voluto da entrambe le parti, ma che potrebbe addirittura provenire proprio da quel giudice la cui competenza le parti avevano voluto escludere in relazione a quella specifica controversia. 6. La Convenzione di New York non impedisce di operare nel modo in cui hanno operato i giudici dei Paesi Bassi, cioè considerando la sentenza straniera di annullamento del lodo alla luce di canoni di diritto interno e separatamente dal lodo, non solo perché non è uno strumento di riconoscimento automatico delle sentenze straniere di annullamento, ma anche perché non è nemmeno uno strumento attraverso cui gli Stati che ne sono parte hanno identificato, attraverso l’art. V(1)(e), quale ordinamento competente a disciplinare l’intera situazione nascente dalla controversia originariamente oggetto della decisione arbitrale, l’ordinamento dello Stato in cui l’arbitrato ha avuto sede (52). Il rinvio all’ordinamento competente è un meccanismo (53), talvolta usato nelle leggi di diritto internazionale privato e processuale di alcuni Stati, attraverso cui il legislatore fa riferimento, per la valutazione di determinate fattispecie, ad un dato ordinamento straniero considerato nel suo complesso, con cui queste presentano un particolare legame, di modo che, come una situazione, ad esse relativa, prende forma, si sviluppa e si modifica in detto ordinamento, cosı̀ sarà anche recepita ed avrà effetto nello Stato del foro (54). Quest’ultimo si rimette dunque, per quanto riguarda il controllo della validità di tali situazioni, alle sole valutazioni compiute dall’ordinamento giuridico straniero e, di conseguenza, al punto di vista di questo. Si è ritenuto che tale metodo di coordinamento, anche se per lo più (52) Sul rinvio all’ordinamento competente si veda PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente » nel diritto internazionale privato, in Riv. dir. int. priv. proc., 1981, 309 ss.; PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, Padova, 1986; PICONE, Les méthodes de coordination entre ordres juridiques en droit international privé: Cours général de droit international privé, in Recueil des Cours 276, 1999, 119 ss.; PICONE, L’art. 65 della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato e il riconoscimento delle sentenze straniere di divorzio, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 380 ss. (53) Il rinvio all’ordinamento competente può avvenire attraverso tecniche internazionalprivatistiche diverse: o attraverso le norme di conflitto del foro, o attraverso tali norme ed i procedimenti di riconoscimento di sentenze straniere o, infine, direttamente attraverso questi ultimi: PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 103. (54) La situazione può avere origine nello Stato straniero considerato competente dall’ordinamento del foro oppure può essere solamente ivi riconosciuta o riconoscibile. 116 © Copyright - Giuffrè Editore utilizzato per la « valutazione di questioni relative a status familiari » (55) o a diritti reali (56), possa essere impiegato, senza particolari problemi, per regolare tutte le categorie di fattispecie, anche diverse da quelle per le quali è tradizionalmente usato (57), ad esempio rapporti giuridici. In particolare, e per quanto qui ci interessa, il rinvio, da parte dell’ordinamento in cui è richiesto l’exequatur del lodo, all’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato quale ordinamento competente, dovrebbe comportare che non sia una particolare sentenza (non solo una sentenza di annullamento ma anche, ad esempio, una sentenza con cui si accerta la validità del lodo o lo si dichiara esecutivo) ad essere riconosciuta nello Stato del foro, secondo i meccanismi tradizionali di riconoscimento delle sentenze straniere, ma la situazione in sé, come esistente nello Stato sede dell’arbitrato, costituita da una molteplicità di « elementi normativi, materiali o formali » (58), ad essere recepita in quanto tale, cosı̀ che, come essa è nell’ordinamento competente, tale sarà anche nell’ordinamento che opera il rinvio. La differenza rispetto all’ipotesi esaminata nel precedente paragrafo risiede nel fatto che, nel caso ora in esame, si dovrà tenere conto non solo di una eventuale sentenza di annullamento del lodo pronunciata nello Stato di origine, ma anche di una sentenza con cui si rigetta una richiesta di annullamento del lodo o di una sentenza che dichiara il lodo esecutivo, con la conseguenza che se quel lodo potrà essere eseguito nello Stato di origine, allora potrà esserlo anche nello Stato che opera il rinvio, il quale dovrà mettere a disposizione, a questo fine, la propria forza pubblica, senza avere prima effettuato alcun controllo del lodo alla luce dei propri canoni. Deve ritenersi che l’art. V(1)(e) della Convenzione di New York non opera un rinvio all’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato considerandolo quale ordinamento competente. Tale affermazione si impone, in primo luogo, se si tiene a mente il contenuto della Convenzione di New York e se si considera tale Convenzione quale momento di progresso rispetto a quella di Ginevra del 1927. Nonostante non sia stata accolta, nel testo finale, per l’opposizione di alcuni Stati membri e dell’ECOSOC, la versione proposta dalla Commissione sull’Arbitrato Commerciale Internazionale dell’ICC, la quale era significativamente intitolata al riconoscimento e all’esecuzione di lodi arbitrali internazionali, si deve comunque ritenere che il lodo è in primo luogo considerato dalla Convenzione di New York in sé e per sé come fenomeno sociale, che (55) PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 361. (56) PICONE, Les méthodes de coordination, cit., 139. (57) PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 364 s.; PICONE, Les méthodes de coordination, cit., 137. (58) PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 57. 117 © Copyright - Giuffrè Editore trae la propria origine dalla volontà delle parti (59), e non come « prodotto » collegabile in qualsiasi modo alla sovranità di uno Stato (60). Infatti, mentre la Convenzione ginevrina richiedeva, ai fini della circolazione del lodo, che esso avesse acquisito una certa stabilità processuale, cioè che fosse divenuto « definitivo » (« final »), nello Stato in cui era stato pronunciato (art. I(2)(d)), la Convenzione di New York, su proposta del professor Pieter Sanders, delegato dei Paesi Bassi alla Conferenza di New York (61), sostituisce il requisito del doppio exequatur, con uno di tipo privatistico-negoziale: il lodo deve essere divenuto « obbligatorio » (« binding ») per le parti (art. V(1)(e)). Inoltre, il riferimento che la Convenzione di New York opera, ad esempio nell’art. V, a certi diritti statali, non è mai un riferimento ad un solo sistema statale a titolo di inquadramento o integrale assorbimento del lodo nell’ambito dello Stato stesso, ma vale come « rinvio per la valutazione di singoli aspetti del complesso procedimento arbitrale, in assenza di regole convenzionali direttamente poste » (62). Deve escludersi che si possa leggere nell’art. V(1)(e) un richiamo all’ordinamento competente anche perché, in base alla Convenzione di New York, la parte soccombente nel procedimento arbitrale può fare valere per la prima volta proprio nel giudizio in cui si decide sulla richiesta di riconoscimento e di esecuzione del lodo, in uno Stato diverso da quello della sede, i motivi previsti dall’art. V, non avendo, invece, l’obbligo di farli valere in un autonomo e precedente giudizio di annullamento, da lei stessa promosso, nello Stato di origine. Da ciò si ricava che la Convenzione di New York non attribuisce una posizione privilegiata all’ordinamento di quest’ultimo Stato per la valutazione del lodo, ammettendo che essa possa (59) LUZZATTO, International commercial arbitration and the municipal law of States, in Recueil des Cours, IV, 1977, 21 ss. (60) Contra GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 274: « the New York Convention is founded on the basic principle that an arbitral award is thought to belong to, have the nationality of, or be subject to the laws of the country in which it was made ». (61) Tale proposta è stata spesso indicata come « the Dutch proposal ». Cosı̀ SANDERS, nella relazione tenuta a New York il 10 giugno 1998 durante il « New York Convention Day », giornata celebrativa del quarantesimo anniversario della Convenzione di New York, riprodotta in United Nations Publication, Enforcing Arbitration Awards under the New York Convention. Experience and Prospects, New York, 1999, disponibile a: http://www.uncitral.org/pdf/english/texts/arbitration/NY-conv/NYCDay-e.pdf (visitato il 7 agosto 2010). Si veda anche l’intervista al professor Sanders del novembre 2007, a cura dell’International Bar Association, disponibile a: http://www.arbitration-icca.org/offıcers-and-members/honorary-presidents/Pieter_Sanders.html (visitato il 7 agosto 2010). (62) LUZZATTO, Arbitrato commerciale internazionale, in Digesto Commerciale, 1987, I, 196. 118 © Copyright - Giuffrè Editore avvenire, per la prima volta, anche ad opera di giudici di uno Stato diverso (63). Vi sarebbe poi un problema di coordinamento tra ordinamenti qualora, dopo che i giudici dello Stato straniero avessero dichiarato l’esecutività del lodo reso nell’ordinamento competente, in quest’ultimo si procedesse ad annullarlo. Infatti, da un lato, l’art. VI della Convenzione, pone in capo al giudice richiesto dell’esecuzione una mera facoltà di sospendere il giudizio nel caso in cui il lodo sia stato oggetto di una richiesta di annullamento nello Stato in cui o ai sensi della legge del quale è stato reso e, dall’altro, « l’esigenza di coordinamento del foro con un ordinamento straniero si afferma e si mantiene costante durante tutta la vita di una determinata situazione giuridica, e non in relazione a singole fasi di esistenza della stessa » (64): « una norma di rinvio all’ordinamento competente [...] non può che operare durante l’intera fase di durata di una situazione giuridica, e “disciplinare” quindi anche l’ipotesi in cui tale situazione sia eventualmente destinata a venir meno » (65), cosı̀ che si dovrebbero eliminare, nello Stato del foro, gli effetti prodotti dall’esecuzione forzata. Da ultimo, deve segnalarsi che proprio quella dottrina che ha maggiormente studiato, in Italia, il metodo del rinvio all’ordinamento competente, ha riconosciuto che la « clausola di ordine pubblico internazionale del foro » può operare come limite al riconoscimento di situazioni straniere esistenti nell’ordinamento competente richiamato dall’ordinamento del foro (66). Ci si può allora chiedere quali effetti tale limite avrebbe prodotto sulla situazione relativa al caso Yukos, qualora i giudici dei Paesi Bassi avessero considerato lo Stato sede del procedimento arbitrale quale ordinamento competente. Per determinare se l’operare di tale limite avrebbe o meno comportato un risultato diverso da quello che effettivamente si ebbe, si dovrebbe stabilire, in via preliminare, se esso avrebbe impedito, ai giudici dei Paesi Bassi, il riconoscimento di quel solo componente della situazione che ne determinava il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, cioè della sola sentenza russa di annullamento del lodo, oppure dell’intera situazione, costituita, inter alia, da quell’elemento viziato, tenendo comunque presente che, in entrambi i casi, la situazione non avrebbe potuto essere riconosciuta, nello Stato del foro, cosı̀ come essa era ed esisteva nell’ordinamento competente. 7. Uno degli argomenti spesso trattati dalla dottrina che si è occupata del fenomeno della delocalizzazione dell’arbitrato commerciale inter- (63) (64) (65) (66) In questo senso, si veda RADICATI DI BROZOLO, op. cit. PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 345. PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., nota 66. PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 107. 119 © Copyright - Giuffrè Editore nazionale e del riconoscimento di lodi annullati nel Paese d’origine, è quello della maggiore o minore idoneità, di una soluzione piuttosto che di un’altra, a raggiungere un’uniformità di risultati a livello internazionale (67). Sotto questo profilo deve riconoscersi che la tesi della territorialità attenuata, consentendo al giudice richiesto dell’esecuzione di un lodo annullato di negare, in alcuni casi eccezionali, il riconoscimento, nel proprio ordinamento, della sentenza straniera di annullamento, non garantisce necessariamente il raggiungimento di tale risultato. Tuttavia si tratta di un rischio insito anche nella tesi della volontà delle parti o in quella c.d. « multilocalisatrice » (68), cosı̀ come in quella territorialista. La tesi che identifica la base giuridica dell’arbitrato nell’autonomia e nella volontà delle parti e la tesi che la identifica nella pluralità di ordinamenti statali con cui il lodo può venire in contatto sono accomunate dall’escludere che le sentenze rese, in riferimento al lodo, dai giudici dell’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato, ed in particolare quelle di annullamento, possano avere effetti extraterritoriali, rendendo cosı̀ possibile che una stessa sentenza arbitrale sia valutata diversamente da Stato a Stato. In entrambi i casi dunque, l’unico effetto che una sentenza di annullamento del lodo, pronunciata, nella maggior parte dei casi, dal giudice dello Stato della sede, avrebbe, sarebbe quello di impedirne l’esecuzione all’interno di quel medesimo Stato, non diversamente dall’effetto che avrebbe una sentenza, pronunciata da un giudice di uno Stato qualsiasi, che si limitasse a rigettare una richiesta di esecuzione, in quello Stato, del lodo medesimo. I giudici della Corte di Appello di Parigi, nel caso che vedeva opposta la Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ alla società Bechtel, avevano adottato proprio tale impostazione (69), suscitando, anche su questo specifico punto, critiche della dottrina (70). (67) Cfr., ad es., GHARAVI, Chromalloy: Another View, cit.; GIARDINA, Ancora sull’exequatur, cit., 747 s.; HASCHER, nota a Cour de Cassation, 10 marzo 1993, cit.; JARROSSON, nota a Cour de Cassation, cit., 331; LASTENOUSE, op. cit., 33; MAYER P., Revisiting Hilmarton and Chromalloy, cit.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; PAULSSON, Enforcing arbitral awards, cit., 21; PINSOLLE, The Status of Vacated Awards in France, cit., 290 ss. (68) In questo senso si veda GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER BREDOW (a cura di), op. cit., 215. Per la somiglianza della tesi della volontà delle parti alla tesi multilocalisatrice, dal punto di vista degli effetti, si veda supra nota 14. (69) Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in Rev. crit. droit int. privé, 2006, 390: « les décisions rendue à la suite d’une procédure d’annulation, à l’instar des décisions d’exequatur, ne produisent pas d’effets internationaux, car elles ne concernent qu’une souveraineté déterminée sur le territoire où elle s’exerce, aucune appréciation ne pouvant être portée sur ces décisions émises par un juge étranger à l’occasion d’un procès indirect ». (70) SZEKELY, op. cit., 398; MUIR WATT, op. cit., 706 s. 120 © Copyright - Giuffrè Editore Ad una costruzione siffatta sembra dunque preferibile, a parità di condizioni per quanto riguarda la capacità di assicurare l’armonia delle soluzioni, quella operata dai giudici del caso Yukos, che conferisce alla sentenza di annullamento, resa nello Stato della sede, efficacia extraterritoriale salvo che si verifichino particolari condizioni. Se non altro perché la seconda ha il pregio di attribuire un significato più corretto ed un valore più appropriato, rispetto alla prima, ad una sentenza di annullamento di un lodo. Nemmeno l’approccio territorialista garantisce un’uniformità di risultati: secondo i sostenitori di tale visione, è necessario che i giudici di tutti gli Stati si conformino alla soluzione data nello Stato di origine solo in caso di annullamento del lodo da parte dei giudici di questo (71). In mancanza di annullamento (o perché la domanda di annullamento non è stata proposta o perché, pur proposta, non è stata accolta), ogni Stato potrà adottare una soluzione autonoma, ad esempio ritenendo il lodo valido e dunque accogliendo la richiesta di esecuzione dello stesso, oppure ritenendo di dover rigettare tale richiesta ai sensi di uno dei motivi di cui all’art. V(1)(a)-(d) della Convenzione di New York. Di nuovo, a parità di condizioni per quanto riguarda la garanzia di soluzioni uniformi a livello internazionale, pare da preferire, alla soluzione territorialista pura, quella della territorialità attenuata, per i motivi già sostanzialmente delineati, cioè per essere quest’ultima, rispetto alla prima, maggiormente rispettosa del sistema che la Convenzione di New York ha voluto istituire (72). 8. Esistono, in teoria, almeno tre modalità per raggiungere un’uniformità di risultati a livello internazionale le quali, tuttavia, paiono, per diversi motivi, tutte impraticabili. (71) Si veda, supra, nota 43. Nel senso che, invece, dovrebbe tenersi conto della sentenza resa dai giudici dello Stato sede dell’arbitrato anche nel caso in cui essa si sia pronunciata nel senso della validità del lodo, e dunque più vicini ad una posizione che considera lo Stato della sede quale ordinamento competente, si vedano BOLLÉE, Les méthodes du droit international privé à l’épreuve des sentences arbitrales, Paris, 2004, nota 418 e GOODE, The Role of the Lex Loci Arbitri in International Commercial Arbitration, in Arbitration International, 2001, 34. Tuttavia Gaillard mette in luce che solamente all’interno di un ipotetico sistema altamente integrato uno Stato potrebbe accettare di impiegare la propria forza pubblica facendo affidamento esclusivamente su una sentenza che dichiara la validità del lodo resa in un altro Stato. Non esistendo attualmente tale tipo di integrazione, un sistema che ritiene competente, per ogni tipo di valutazione del lodo, l’ordinamento dello Stato della sede, secondo l’A., implica necessariamente un ritorno, nella sostanza, al meccanismo del doppio exequatur, poiché lo Stato dell’esecuzione non rinuncerebbe a controllare a sua volta il lodo alla luce di propri canoni: « il n’est guère concevable de lege ferenda de substituer purement et simplement un contrôle de la sentence centralisé au lieu du siège à un contrôle exercé au lieu d’exécution » GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 89. (72) V. supra para. 5. 121 © Copyright - Giuffrè Editore Innanzi tutto si potrebbe stabilire, attraverso una convenzione, che, per essere efficace, dovrebbe riscuotere il consenso del più elevato possibile numero di parti contraenti, che i giudici di tutti gli Stati debbano conformarsi, qualora si trovino a dover decidere su una richiesta di annullamento o di esecuzione di un lodo, alla decisione di quella Corte che per prima ha espresso un giudizio sul lodo medesimo (anch’essa, o perché adita dalla parte che ne voleva far dichiarare la nullità, o perché adita da quella che ne chiedeva l’esecuzione). Tale ipotesi tuttavia non sembra possa essere accettata tanto facilmente a livello internazionale, soprattutto perché, come già altri hanno notato (73), nel caso in cui il giudice adito per primo abbia deciso nel senso della validità del lodo, gli altri Stati dovrebbero mettere a disposizione la propria forza pubblica per eseguire un lodo che non fu mai sottoposto ad un controllo di validità alla luce di canoni interni propri dello Stato richiesto dell’esecuzione. Una seconda modalità, qualora si volesse invece tenere quale unico punto di riferimento lo Stato sede dell’arbitrato e, nel contempo, evitare che uno Stato diverso da quest’ultimo possa decidere autonomamente se eseguire o meno il lodo ai sensi della Convenzione di New York, eliminando cosı̀ il rischio di decisioni difformi da Stato a Stato, consisterebbe nell’operare un rinvio, sempre attraverso una convenzione che abbia le medesime caratteristiche di quella considerata nel paragrafo precedente, all’ordinamento dello Stato in cui l’arbitrato ha avuto sede, considerandolo quale ordinamento competente (74). Infatti, una delle caratteristiche legate all’uso di tale metodo di coordinamento è proprio quella di evitare, in relazione a determinate fattispecie, caratterizzate da un particolare legame con un certo ordinamento, il sorgere di situazioni « claudicanti » nei diversi Stati in cui esse possono rilevare (75). Si dovrà però avere cura di introdurre un correttivo al fine di non trovarsi nella situazione di dovere eliminare, a causa dell’intervenuto annullamento del lodo nello Stato di origine, gli effetti di una procedura esecutiva precedentemente svoltasi in un altro ordinamento. Si dovrà cioè stabilire un termine entro cui può impugnarsi il lodo o chiedersi una pronuncia di esecutività dello stesso nell’ordinamento competente, cosı̀ che il coordinamento degli altri sistemi con quest’ultimo avverrà, o in un momento anteriore a tale termine, se un giudice di quell’ordinamento ha potuto pronunciarsi sulla validità del lodo, o, in caso contrario, nel momento in cui tale termine sia scaduto, allorché il lodo potrà essere considerato valido e senz’altro eseguibile in ogni Stato, come se i giudici della sede si fossero (73) V. supra nota 71 e RADICATI DI BROZOLO, op. cit., il quale pone l’accento sulla mancanza di omogeneità degli standard di annullamento dei lodi nei diversi Stati. (74) Sul rinvio all’ordinamento competente si veda supra para. 6. (75) Si veda, ad es., PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 325 e PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 16. 122 © Copyright - Giuffrè Editore esplicitamente pronunciati nel senso della sua validità. Non si potrebbe infatti, poiché sarebbe una soluzione contraria all’economia processuale, imporre alla parte risultata vincitrice nel procedimento arbitrale di agire nello Stato della sede per fare dichiarare l’esecutività del lodo, anche quando essa non vi abbia interesse (76). Sono già state illustrate le ragioni per cui considerare l’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato quale ordinamento competente pare in contrasto con la Convenzione di New York (77). Si deve ora aggiungere, brevemente, che, subordinare la possibilità, per la parte risultata vincitrice nel procedimento arbitrale, di chiedere l’esecuzione del lodo in uno Stato diverso da quello della sede, alla condizione che sia scaduto il termine di cui si è detto, è contrario all’esigenza di tutelare in maniera sollecita i diritti dei creditori. Inoltre, pare difficile, come già si è rilevato in relazione alla prima modalità proposta (78), che uno Stato accetti di impiegare la propria forza pubblica per eseguire un lodo reso in un altro Stato, affidandosi unicamente a valutazioni operate (o non operate) da un ordinamento straniero, senza prima aver potuto egli stesso sottoporre tale lodo ad un proprio giudizio (79). Una terza modalità potrebbe consistere nel privare gli Stati, sempre attraverso una convenzione del tipo descritto, del potere di operare un qualsiasi controllo sui lodi resi sul proprio territorio, per attribuirlo, in via esclusiva, ad una corte sovranazionale, creata ad hoc, che qualcuno ha chiamato « International Court of Arbitral Awards » (80), e stabilire che qualsiasi valutazione, operata da tale organo, che garantirebbe di essere indipendente da ogni Stato e, in particolare, dagli Stati a cui le parti sono legate, avrà efficacia erga omnes. Già nel 1961, a Parigi, in occasione del Congresso Internazionale dell’Arbitrato promosso dalla Comité français de l’arbitrage, era stata proposta la creazione di una corte siffatta che potesse affiancare i tribunali arbitrali e fornire alle parti ed agli arbitri l’assistenza necessaria durante il procedimento o a conclusione di esso (81). Tuttavia, la proposta non ebbe un grande seguito, salvo alcune isolate eccezioni. Tra queste, in particolare, un contributo di Holtzmann al volume The Internationalisation of International Arbitration (82), nel quale l’Autore ritenne (76) Ad esempio perché la controparte non possiede alcun asset in tale Stato. (77) Supra para. 6. (78) V. supra in questo stesso paragrafo. (79) V. supra nota 71. (80) SCHWEBEL, The Creation and Operation of an International Court of Arbitral Awards, in HUNTER - MARRIOTT - VEEDER (eds.), The Internationalisation of International Arbitration, Graham & Trotman/Martinus Nijhoff, Dordrecht, The Netherlands, 1995, 115. (81) Congrès de Paris des 11-13 mai 1961, travaux de la troisième Commission, in Rev. arb., 1961, 99 ss. (82) HOLTZMANN, A Task for the 21st Century: Creating a New International Court 123 © Copyright - Giuffrè Editore possibile la creazione di un organo sovranazionale siffatto ed identificò, in particolare, tre vantaggi ad esso legati: i) il formarsi di una giurisprudenza uniforme in relazione ai profili di sua competenza; ii) la speditezza dei procedimenti; iii) l’indipendenza dei giudici da qualsiasi ordinamento statale (83). Coloro che hanno invece percepito delle difficoltà, hanno in particolare sottolineato il contrasto che si verrebbe a creare tra l’esistenza ed il funzionamento di tale organo da un lato e, dall’altro, tanto la presenza, nella realtà della risoluzione delle controversie fra privati, di numerosissime istituzioni arbitrali, ciascuna potenzialmente eleggibile dalle parti per l’amministrazione del procedimento, quanto il vigore con cui gli Stati tendono ad affermare la propria sovranità (84). 9. La proposta di istituire una corte sovranazionale che abbia le caratteristiche descritte nel paragrafo precedente dipende da una concezione dell’arbitrato commerciale internazionale quale fenomeno svincolato dallo Stato in cui il procedimento si è svolto. Si tratta di una visione già presente nel draft redatto dall’ICC durante i lavori preparatori della Convenzione di New York, di cui si è detto (85) e, secondo alcuni (86), confluita, forse in modo implicito, anche nella Convenzione stessa. Nel medesimo ordine di idee si è posta quell’autorevole dottrina che ha identificato la sanction legale dell’arbitrato in un ordinamento sovrastatuale, diverso dall’ordinamento internazionale in senso proprio, che qualcuno (87) ha chiamato « ordre juridique arbitral », formula divenuta celebre soprattutto attraverso la recente opera di Gaillard « Aspects philosophiques du droit de l’arbitrage international » (88). Sarebbero gli Stati, complessivamente considerati, a dare vita (come già hanno fatto per l’ordinamento internazionale che « procède de la volonté des Etats ») ad un « droit commun de l’arbitrage », nel quale risiede il fondamento del potere di giudifor Resolving Disputes on the Enforceability of Arbitral Awards, in HUNTER - MARRIOTT - VEEDER (eds.), The Internationalisation of International Arbitration, Graham & Trotman/Martinus Nijhoff, Dordrecht, The Netherlands, 1995, 109 ss. (83) La proposta di Holtzmann è stata, nel complesso, appoggiata da Schwebel nel contributo immediatamente successivo al medesimo volume. (84) FOUCHARD, La portée internationale, cit., 350. (85) V. supra para. 6. (86) Ad es., GOLDMAN, Les conflits des lois, cit., 359; FOUCHARD, nota a Cour d’appel de Paris 21 febbraio 1980, General National Maritime Transport Company v. Soc. Götaverken Arendal A.B., in JDI, 1980, 673. (87) Secondo quanto riportato da Gaillard stesso (GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 95), tale espressione è stata usata per la prima volta da Daniel Cohen nel 1993 (COHEN, Arbitrage et société, Paris, 1993, 21), in seguito Thomas Clay vi ha dedicato un capitolo della propria tesi di dottorato (CLAY, L’arbitre, Paris, 2001, 211-228) ed infine Jean-Baptiste Racine ne ha fatto uso nel 2005 (RACINE, Réflexions sur l’autonomie de l’arbitrage commercial international, in Rev. arb., 2005, 335 ss.). (88) GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 53 ss. 124 © Copyright - Giuffrè Editore care degli arbitri: « c’est la convergence des ordres juridiques étatiques qui, par l’acceptation qu’elle manifeste du phénomène arbitral, en légitime l’existence. ... [L]a communauté des Etats a conféré à l’arbitrage international une réelle autonomie » (89); l’arbitro deve essere considerato l’organo giudicante di un ordinamento autonomo. Tale visione del fenomeno arbitrale non è impedita, secondo l’Autore, dal fatto che gli Stati conservano il monopolio dell’esecuzione forzata, trattandosi semplicemente della messa a disposizione, da parte di questi, della forza pubblica, a favore di quel metodo di risoluzione delle controversie che essi stessi hanno accettato come il più adatto alla realtà del commercio internazionale. Concepire l’arbitrato commerciale internazionale come fenomeno delocalizzato ed indipendente dall’ordinamento di qualsiasi Stato risponde indubbiamente alle necessità di perseguire un’uniformità di risultati a livello internazionale e di rispettare l’originaria volontà delle parti che hanno devoluto la soluzione della propria controversia ad uno o più arbitri. Tuttavia non pare che gli Stati siano, al momento attuale, disposti ad accettare integralmente tale visione (90), forse anche per la reticenza che essi classicamente mostrano quando si tratta di cedere a terzi il controllo di attività che si svolgono sul proprio territorio. Almeno a livello giurisprudenziale, se si eccettua il caso francese in cui sono stati eseguiti dei lodi annullati nello Stato di origine affermando che « la sentence internationale, qui n’est rattachée à aucun ordre juridique étatique, est une décision de justice internationale » (91), parrebbero infatti prevalere quegli ordinamenti che continuano a preferire una visione territorialista, piena o attenuata, e che forse sono ancora mossi da quella medesima concezione che spinse i redattori della Convenzione a mantenere nel testo, contrariamente alla proposta della Commissione dell’ICC, il riferimento allo Stato nel quale, o ai sensi della legge del quale, il lodo è stato reso. Infatti, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte degli Stati, la richiesta di riconoscimento e di esecuzione di un lodo annullato nello Stato di origine è rigettata, essendo tale annullamento ritenuto preclusivo dell’accoglimento della domanda, cosı̀ che sono tuttora da considerarsi eccezionali, anche se in aumento, le pronunce orientate nel senso opposto. Deve comunque riconoscersi che, a livello legislativo, invece, incomincia a percepirsi qualche segnale maggiore nel senso della delocalizzazione dell’arbitrato commerciale internazionale, in quegli ordinamenti statali che hanno adottato delle normative che autorizzano le parti di procedi(89) IDEM, 114. (90) In questo senso si veda RADICATI DI BROZOLO, op. cit. (91) Cour de Cassation, 29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia Est Epices, 1a decisione, in Rev. arb., 2007, 514. Anche le sentenze francesi sopra ricordate precedenti a questa, a partire dalla pronuncia della Cour de Cassation del 1994 nel caso Hilmarton, contengono affermazioni similari. 125 © Copyright - Giuffrè Editore menti arbitrali che hanno sede sul proprio territorio, ad escludere, in presenza di determinate condizioni, la possibilità di ricorrere contro il lodo davanti alle corti di quello Stato. Disposizioni di questo tipo si trovano negli ordinamenti legislativi di alcuni Paesi che sono abbastanza frequentemente scelti quali sedi di arbitrati commerciali internazionali, in particolare nella Legge di Diritto Internazionale Privato svizzera (92), nella legislazione belga (93) e nell’Arbitration Act svedese (94). Devono segnalarsi, nello stesso senso, anche le previsioni del codice tunisino di arbitrato (95), della legge peruviana di arbitrato (96) e, infine, di un decreto legge panamense, il quale, addirittura, non assoggetta ad alcuna condizione la validità dell’accordo di rinuncia (97). GIULIA VALLAR (92) Legge federale svizzera sul diritto internazionale privato del 18 dicembre 1987, art. 192(1). (93) Legge 19 maggio 1998 n. 45, art. 13,003. Peraltro, tale legge interviene sulle modifiche che erano state introdotte nel 1985 dalla legge Storme (Legge 27 marzo 1985 n. 35), all’art. 1717 comma 4 del Code Judiciaire. Allora si era esclusa in ogni caso la possibilità di impugnare un lodo reso in Belgio nel caso in cui nessuna delle parti avesse il proprio domicilio in, o altro collegamento con, tale Stato. Questo sistema fu poi modificato perché, privando la parte soccombente in arbitrato di un foro competente dove proporre l’impugnazione del lodo, aveva comportato la diminuzione della frequenza con cui il Belgio veniva scelto dalle parti quale Stato sede di arbitrati internazionali. Sul punto si veda HORSMANS, Actualité et évolution du droit belge de l’arbitrage, in Rev. arb., 1992, 438. (94) The Swedish Arbitration Act (SFS 1999:116), sezione 51(1). (95) Legge n. 1993-0042 del 26 aprile 1993 (portant promulgation du Code de l’Arbitrage), art. 78(6). (96) Legge n. 26572, Ley General de Arbitraje, art. 126. (97) Decreto Legge n. 5 dell’8 luglio 1999 (Gazzetta Ufficiale 23.837 del 10 luglio 1999) « Por el cual se establece el régimen general de arbitraje de la conciliación y de la mediación », art. 36. 126 © Copyright - Giuffrè Editore GIURISPRUDENZA ARBITRALE I) ITALIANA Lodi annotati COLLEGIO ARBITRALE (Grieco Pres., Buzzelli, De Giovanni); nella controversia insorta tra la Juventus Football Club S.p.a. (avv.ti Briamonte, Chiappero e Landi) c. la Federazione Italiana Giuoco Calcio (avv.ti Medugno e Mazzarelli) e F.C. Internazionale Milano S.p.a. (avv.ti Torchia, Capellini e Raffaelli); lodo reso in Roma dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport il 15 novembre 2011. Potestas decidendi dell’A.C.G.S e del T.N.A.S. - Collocazione della disputa all’interno dell’ordinamento sportivo - Competenza del T.N.A.S. - Operatività del criterio della disponibilità della situazione giuridica soggettiva azionata nel giudizio arbitrale - Astratta proponibilità dinanzi al T.N.A.S. delle questioni sportive involgenti interessi legittimi. Venendo al merito dell’eccezione di incompetenza del T.N.A.S., il Collegio ritiene che, fermo restando che la controversia — per la parte residuata dopo la decisione presidenziale del 9 settembre 2011 — si colloca all’interno dell’ordinamento sportivo (come rettamente affermato nella stessa ordinanza) e, dunque, nel complessivo ambito delle competenze dell’Alta Corte e del T.N.A.S., l’elemento decisivo per l’attribuzione della competenza all’uno o all’altro organo sia la natura disponibile o indisponibile dei diritti oggetto del giudizio. [...] La richiamata decisione dell’Alta Corte [n.d.r.: decisione del 23 settembre 2011, n. 22], inoltre, sembra distinguere, sia pure per inciso, le « posizioni giuridiche sportive » in « ... (diritti e interessi) ». [...] Dunque, non sarebbe possibile affermare o negare la competenza del T.N.A.S. sol perché le posizioni giuridiche dedotte in arbitrato risultino sussumibili nella categoria del « diritto » (evidentemente soggettivo) o dell’interesse (evidentemente legittimo). [...] Pertanto, la valutazione circa la disponibilità o meno delle posizioni giuridiche dedotte in arbitrato va effettuata, comunque, anche ove si ritengano tali posizioni riconducibili al concetto di interesse legittimo. Resta cosı̀ superata la eccezione secondo cui, vertendosi in tema di interessi legittimi, sarebbe esclusa la competenza del T.N.A.S. CENNI DI FATTO. — Con istanza di arbitrato presentata in data 11 agosto 2011 127 © Copyright - Giuffrè Editore nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio e della F.C. Internazionale Milano S.p.a., la Juventus Football Club S.p.a., chiede al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport di revocare, con effetto ex tunc, per i vizi di legittimità dedotti nell’atto introduttivo del giudizio arbitrale: a) il provvedimento del Consiglio Federale della F.I.G.C. in data 18 luglio 2011 di reiezione dell’istanza di revoca, presentata dalla Juventus Football Club S.p.a. in pari data; b) l’atto del Commissario Straordinario della F.I.G.C., Avv. Guido Rossi, adottato in data 26 luglio 2006, con cui veniva assegnato il titolo di campione d’Italia per gli anni 2005-2006 alla F.C. Internazionale Milano S.p.a.; c) il titolo di campione d’Italia per gli anni 2005-2006 assegnato al Football Club Internazionale di Milano S.p.a.. La Juventus Football Club S.p.a., chiede inoltre al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport di dichiarare « non assegnato » il titolo di campione d’Italia per gli anni 20052006, nonché di dichiarare e quantificare, secondo un equo apprezzamento, il proprio diritto soggettivo al risarcimento dei danni patiti e patiendi, patrimoniali e non patrimoniali, causati dai provvedimenti indicati supra sub a) e b). La Federazione Italiana Giuoco Calcio e della F.C. Internazionale Milano S.p.a., di contro, eccepiscono pregiudizialmente il deficit di competenza del T.N.A.S. e ritengono nel merito infondate le domande proposte dall’istante. MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. (Omissis). 2. (Omissis). 3. (Omissis). 4. (Omissis). 5. Venendo al merito dell’eccezione di incompetenza del T.N.A.S., il Collegio ritiene che, fermo restando che la controversia — per la parte residuata dopo la decisione presidenziale del 9 settembre 2011 [n.d.r.: preventiva statuizione del Presidente del T.N.A.S. che escludeva la competenza del Collegio arbitrale istituito presso il Tribunale solo in relazione alla domanda risarcitoria] — si colloca all’interno dell’ordinamento sportivo (come rettamente affermato nella stessa ordinanza) e, dunque, nel complessivo ambito delle competenze dell’Alta Corte e del T.N.A.S., l’elemento decisivo per l’attribuzione della competenza all’uno o all’altro organo sia la natura disponibile o indisponibile dei diritti oggetto del giudizio, alla luce delle disposizioni sopra ricordate [n.d.r.: artt. 12, 12-bis e 12-ter Statuto C.O.N.I. 2008 e 2011]. Al fine di svolgere ogni necessaria valutazione al riguardo il Collegio ritiene di dover preliminarmente precisare con chiarezza l’oggetto del contendere; individuare poi quali siano i diritti o più in generale le posizioni giuridiche soggettive indisponibili; valutare, infine, se la lite sottoposta all’attenzione del T.N.A.S. riguardi, appunto, situazioni indisponibili. 6. Va segnalato che dopo la ricordata decisione del Presidente del T.N.A.S. del 9 settembre 2011 emessa in limine nel presente procedimento, è intervenuta la decisione n. 22 del 2011 dell’Alta Corte, depositata il 23 settembre 2011; in tale decisione si afferma tra l’altro che « indubbiamente la competenza dell’Alta Corte è alternativa a quella del Tribunale di arbitrato... e si basa essenzialmente sul carattere indisponibile delle posizioni giuridiche sportive (diritti e interessi) oggetto della specifica controversia sportiva... ». Come si è sopra segnalato i precedenti giurisprudenziali dell’Alta Corte assumono pregnante rilevanza, anche per il T.N.A.S., ai sensi dell’art. 12-bis dello Statuto del C.O.N.I.. Il Collegio, pertanto, ritiene di doversi attenere al principio di diritto, affermato nella predetta decisione, 128 © Copyright - Giuffrè Editore secondo cui le competenze dell’Alta Corte e del T.N.A.S. sono alternative e non concorrenti, per i motivi illustrati nella decisione medesima; in tal senso va considerata come superata la posizione di cui alla decisione presidenziale datata 9 settembre 2011 resa nel presente procedimento nella parte in cui riteneva « le sanzioni sportive affıdate, in via alternativa, all’una o all’altra dei due organismi giurisdizionali ». Poiché, dunque, la possibilità di una competenza alternativa è stata esclusa dall’Alta Corte nella citata decisione n. 22 del 2011 e poiché tale affermazione assume in quella decisione valenza generale di principio di diritto, tale da includere tra le materie di competenza esclusiva anche quella disciplinare (che pure appartiene indubbiamente in parte qua ad entrambi gli organi ai sensi dell’art. 1, comma IV, del Codice dell’Alta Corte e dell’art. 3, comma 1 del Codice T.N.A.S.), il Collegio è chiamato a valutare se la presente controversia rientri nella competenza esclusiva dell’uno o dell’altro organismo di giustizia sportiva, fermo che il provvedimento che parte istante intende ottenere dalla Federazione in sede di autotutela ha natura disciplinare ed è riconducibile nell’ambito dell’ordinamento sportivo (tranne, ovviamente, la domanda risarcitoria). La richiamata decisione dell’Alta Corte, inoltre, sembra distinguere, sia pure per inciso, le « posizioni giuridiche sportive » in « ... (diritti e interessi) ». Il Collegio — fermo restando che un approfondimento sulla natura delle posizione giuridiche soggettive nell’ambito dell’ordinamento sportivo esulerebbe dalle finalità della presente decisione — ritiene che tale distinzione non risulti decisiva ai fini della determinazione della competenza, giacché le categorie di diritto e interesse non appaiono né identificabili né sovrapponibili con quelle di posizione giuridica disponibile o indisponibile. Dunque, non sarebbe possibile affermare o negare la competenza del T.N.A.S. sol perché le posizioni giuridiche dedotte in arbitrato risultino sussumibili nella categoria del « diritto » (evidentemente soggettivo) o dell’interesse (evidentemente legittimo): colgono nel segno, in questo caso, le difese svolte al riguardo dalla Juventus (nel pieno esercizio del diritto di difesa) in sede di memoria e di discussione orale sulla questione di competenza. Pertanto, la valutazione circa la disponibilità o meno delle posizioni giuridiche dedotte in arbitrato va effettuata, comunque, anche ove si ritengano tali posizioni riconducibili al concetto di interesse legittimo. Resta cosı̀ superata la eccezione secondo cui, vertendosi in tema di interessi legittimi, sarebbe esclusa la competenza del T.N.A.S.. È, dunque, decisivo scrutinare, nei sensi esposti, se le posizioni dedotte in giudizio siano o meno disponibili per le parti. 7. (Omissis). 8. A questo punto vanno svolte talune necessarie considerazioni in merito alla distinzione tra diritti disponibili (e, perciò, compromettibili e suscettibili di essere sottoposti alla cognizione del T.N.A.S.) e indisponibili, come tali rientranti, se inerenti all’ambito dell’ordinamento sportivo, nella competenza dell’Alta Corte. Al riguardo va precisato immediatamente che il Collegio ritiene che, a fronte di una pluralità di posizioni giuridiche oggetto del giudizio, al fine di ritenere la competenza del T.N.A.S. tutte le posizioni di tutte le parti debbano essere disponibili giacché l’arbitrabilità presuppone necessariamente la possibilità di una conciliazione totale della lite che non può avvenire se tutte le parti non hanno piena disponibilità di tutte le posizioni giuridiche in gioco. Riservando un successivo focus dell’analisi giuridica sull’interesse sostanziale posto alla base dell’istanza, avuto riguardo per ora al carattere « formale » di que129 © Copyright - Giuffrè Editore sta, e vagliando il modo in cui essa è formulata e quali effetti si proponga di produrre, è possibile svolgere le seguenti considerazioni in ordine all’eccezione in esame, valutando se si verta in materia di diritti indisponibili. Va ricordato che i diritti indisponibili, per definizione, sono tali nella misura in cui coinvolgono un interesse di rango superiore, in certa misura estraneo a quello del soggetto titolare del diritto in sé considerato. Opportunamente, le parti Juventus e Internazionale hanno richiamato nei propri scritti difensivi l’art. 1966, comma 2, c.c., secondo il quale l’indisponibilità dei diritti deriva dalla loro natura e o da espressa disposizione di legge (pur facendone le due parti discendere opposte conseguenze). L’indisponibilità « per natura » della posizione giuridiche discende proprio dal carattere (almeno concorrente) di « alterità » dell’interesse sopra segnalato. Tipici esempi sono rinvenibili nel diritto di famiglia, con riguardo allo status di padre, figlio, coniuge, e al diritto agli alimenti; ovvero con riferimento ai diritti della personalità, come il diritto al nome, all’immagine, alla riservatezza; con riferimento al diritto societario si è affermato (Cass., Sez. I, sent. n. 3772/2005) che le controversie « possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci e dei terzi », giacché « l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili ». 9. Indubbiamente dalla lettura dell’istanza di arbitrato è agevole cogliere come la Juventus sia guidata dalla volontà di ottenere una pronuncia, da parte di questo Collegio, che dichiari il potere-dovere della F.I.G.C. di agire in autotutela per la rimozione del provvedimento con il quale è stato assegnato il titolo di « campione d’Italia » nei confronti dell’Internazionale per l’anno sportivo 2005-2006. Considerando la questione nell’ottica della sola parte istante, appare immediato cogliere come la possibilità di azionare la pretesa dalla Juventus rientri nella piena disponibilità della medesima, come dall’istante dedotto; tuttavia, va accertato se analoga disponibilità sia rinvenibile in capo alla F.I.G.C., cioè se la pretesa vada ad impingere su situazione indisponibile. In tale contesto va, dunque, ribadito che, se pure la Juventus può liberamente disporre della sua pretesa a ottenere la dichiarazione affermativa del potere dovere della F.I.G.C. ad agire in autotutela per l’annullamento della concessione del titolo di « campione d’Italia », possedendo la facoltà di rinunciare all’istanza o raggiungere un accordo transattivo, estintivo del contenzioso con le controparti, ciò tuttavia non è sufficiente a radicare la competenza innanzi al T.N.A.S., poiché occorre valutare se analoga disponibilità si rinvenga anche in capo alla F.I.G.C. 10. (Omissis). 11. Dunque se non vi è dubbio che l’istante abbia disponibilità della propria posizione giuridica, consistente nella facoltà di richiedere l’esercizio del potere di autotutela da parte della F.I.G.C., tuttavia il Collegio ritiene che a propria volta la Federazione non abbia, quanto meno nella propria prospettazione (che non risulta manifestamente infondata), la possibilità di provvedere: e ciò sia perché essa deduce che norme di organizzazione e di azione le impediscono quella condotta, sia perché assume di avere esercitato una funzione a valenza pubblicistica poiché riconducibile alla tutela di un interesse pubblico. In tale ottica risulta, in sostanza, decisiva la considerazione della posizione della F.I.G.C. [n.d.r.: posizione di sog130 © Copyright - Giuffrè Editore getto di diritto pubblico in ragione della attribuzione normativa di cui al D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242]. A conferma di quanto sopra si osserva, approfondendo la posizione della Federazione sopra accennata, che la F.I.G.C. ha negato di poter provvedere, e perciò ha riscontrato l’istanza della Juventus affermando, nel provvedimento luglio 2011, « che non ricorrono i presupposti per l’attivazione di un intervento in autotutela »; e ciò perché « l’attribuzione del primo posto in classifica della soc. Internazionale ha costituito... il naturale ed ineludibile effetto dello scorrimento di graduatoria conseguente alle modifiche apportate alla classifica finale dalle decisione rese dagli organi della giustizia sportiva; atteso che, in assenza di uno specifico provvedimento attributivo del titolo in via amministrativa (dal momento che l’avanzamento in graduatoria... è dipeso esclusivamente dagli esiti della vicenda disciplinare, senza comportare alcun concorso da parte dell’organo politico, che si è limitato a prendere atto, con pronuncia di carattere meramente ricognitivo, degli effetti di penalizzazioni inflitte dagli organo giustiziali) difettano in radice i presupposti per un intervento in autotutela, non essendo giuridicamente e logicamente concepibile, nella situazione descritta, l’attivazione di un procedimento destinato a sfociare in un contrarius actus »: prosegue la Federazione affermando che, pertanto, « l’eventuale revoca del titolo risulterebbe priva di un valido fondamento normativo » e in contrasto « con il principio di tipicità dei poteri amministrativi ». Dunque la F.I.G.C. nega di disporre dello stesso potere di provvedere in mancanza di fondamento normativo. Inoltre, sempre secondo la Federazione, l’eventuale revoca del titolo di campione d’Italia « si tradurrebbe nell’adozione di una misura... anche trasgressiva della regola di separazione dei poteri sancita dall’art. 3 dei principi fondamentali dettati dal CONI in materia di normazione statutaria in quanto invasiva di attribuzioni riservate agli organi di giustizia (unici depositari della funzione disciplinare) » (cfr. in particolare dall’art. 3 comma 6 dei « Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate » di cui alla deliberazione del Consiglio Nazionale C.O.N.I. del 19 maggio 2010, sulla « distinzione... degli organi federali » e sulla « separazione tra poteri di gestione sportiva e di gestione della giustizia federale »); né, sempre secondo il provvedimento del Consiglio federale, può « accreditarsi ad organi amministrativi della Federazione la titolarità di un innominato potere discrezionale che consenta di valutare l’eventuale ricorrenza di situazioni ostative all’automatico conferimento del titolo di conformità alle variazioni di classifica conseguenti all’applicazione di sanzioni disciplinari ». In sostanza, dunque, vi è, sempre secondo la F.I.G.C., un « difetto di legittimazione », cosicché, non ricorrendo i presupposti per l’attivazione del provvedimento di autotutela, la Federazione « per quanto possa occorrere, respinge la richiesta di revoca del titolo di campione d’Italia relativo alla stagione sportiva 2005/2006 ». Pertanto il Collegio è chiamato a valutare una lite in cui, nella non manifestamente infondata prospettazione di una parte, non sussisterebbe la disponibilità della posizione della stessa parte; il che impedisce la piena negoziabilità delle lite e, quindi, l’arbitrabilità della medesima. Trattasi di questioni che attengono a situazioni giuridiche non disponibili giacché se veramente la Federazione, e in particolare i suoi organi di gestione sportiva, non dispongono dei poteri il cui esercizio è richiesto dalla Juventus, non può di certo farne oggetto di disposizione e quindi di arbitrato e di eventuale accordo conciliativo. 131 © Copyright - Giuffrè Editore Dunque, a prescindere dalla valutazione sulla fondatezza delle predette posizioni espresse dalla F.I.G.C. — e fermo che esse appaiono comunque, prima facie, non manifestamente infondate — il Collegio si sarebbe dovuto pronunciare in primo luogo sulla titolarità o meno in capo agli organi amministrativi della F.I.G.C. del potere il cui esercizio è stato richiesto e solo successivamente pronunciarsi sulle modalità di esercizio del potere stesso e sulla fondatezza nel merito delle pretese di revoca del titolo di campione d’Italia. Si tratta, dunque, di materia che il Collegio ritiene non arbitrabile, proprio perché attinente alla titolarità di poteri e alla competenza del singolo organo ad esercitarla, dunque a posizioni indisponibili in relazione alla loro natura. In caso contrario si sarebbe dovuta ammettere la teorica possibilità di una conciliazione in cui, sempre in teoria, l’organo di gestione sportiva della Federazione avrebbe potuto autoattribuirsi una competenza che l’ordinamento sportivo (secondo la prospettazione della stessa F.I.G.C.) non gli attribuisce; ipotesi palesemente contraria al concetto di tipicità (e conseguente indisponibilità) dei poteri amministrativi; altrimenti detto con espressione più comprensibile a chi non sia esperto in diritto, la competenza, come il coraggio manzoniano, chi non ce l’ha non se la può dare. 12. Inoltre, sempre nell’analisi del petitum, è utile svolgere ulteriori ordini di considerazioni, al fine di meglio circoscrivere l’oggetto dell’istanza formulata dalla Juventus e, dunque, le posizioni giuridiche dedotte in arbitrato anche sotto il profilo del bene della vita preteso. Sotto il profilo prettamente sostanziale, la domanda della parte istante concerne, come già riferito, la pretesa ad ottenere la rimozione del titolo di campione d’Italia, cosı̀ come qualificato alla stregua delle disposizioni di riferimento (art. 10 comma 2, dello Statuto federale; art. 49, comma 1, lett. a) delle Norme organizzative interne della F.I.G.C.; art. 13, comma 1 del Codice di giustizia sportiva della F.I.G.C.). Va confermata, anche sotto il profilo dell’esame del petitum sostanziale, la riconducibilità della vertenza nell’ambito della giustizia sportiva. Tuttavia ciò non basterebbe, comunque, a radicare la competenza del T.N.A.S.; infatti, sempre nella prospettazione della F.I.G.C., l’attribuzione e la revoca (quale contrarius actus) del titolo di campione d’Italia non sono oggetto di un potere amministrativo, ma conseguono esclusivamente alla applicazione dei regolamenti e ai risultati del campo e l’eventuale revoca può solo scaturire da una sanzione disciplinare, che non competerebbe al Consiglio Federale ma agli organi di giustizia. Nessuna disponibilità avrebbe quindi la F.I.G.C. rispetto al bene della vita su cui si discute, cioè il titolo di campione d’Italia, se non in relazione all’esercizio di un potere sanzionatorio che esula dai poteri del Consiglio Federale. In definitiva, anche a considerare la questione sotto il profilo del petitum sostanziale, si perviene alla conclusione della non arbitrabilità della vertenza per le medesime ragioni illustrate con riferimento al petitum formale. 13. Tanto premesso per le suesposte ragioni deve dichiararsi l’incompetenza del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport poiché la controversia ha riguardo a posizioni giuridiche indisponibili. 14. (Omissis). 15. (Omissis). 132 © Copyright - Giuffrè Editore Le posizioni giuridiche di interesse legittimo possono considerarsi disponibili ai sensi dell’art. 1966 c.c. e quindi astrattamente compromettibili. 1. Il lodo in epigrafe afferma, sulla scorta di un minoritario, seppur autorevole, orientamento dottrinario e giurisprudenziale, l’astratta transigibilità e compromettibilità per arbitri di quelle peculiari posizioni giuridiche conosciute nell’ordinamento italiano come « interessi legittimi ». Questi in breve i fatti di causa: la Juventus Football Club S.p.a. adiva il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport chiedendo la revoca per vizi di legittimità del provvedimento del Commissario Straordinario della F.I.G.C. in data 26 luglio 2006, in forza del quale era stato assegnato il titolo di campione d’Italia per gli anni 2005-2006 alla F.C. Internazionale Milano S.p.a., nonché del provvedimento del Consiglio Federale della F.I.G.C., emanato a seguito della proposizione dell’esposto presentato dalla Juventus F.C. S.p.a. alla Procura Federale, con cui era stata respinta una precedente richiesta di revoca del detto atto e del titolo sportivo che con esso veniva assegnato. La Società istante chiedeva inoltre al T.N.A.S. di dichiarare e quantificare, secondo un equo apprezzamento, il proprio diritto soggettivo al risarcimento del danno causato dagli impugnati provvedimenti. Si costituiva con memoria la F.C. Internazionale Milano S.p.a., eccependo pregiudizialmente l’inammissibilità dell’istanza di arbitrato per incompetenza del T.N.A.S., per eccezione di giudicato e per difetto di legittimazione e carenza di interesse, e, nel merito, rilevando l’infondatezza dell’istanza di arbitrato. Si costituiva altresı̀ nel giudizio arbitrale la Federazione Italiana Giuoco Calcio, la quale eccepiva in via pregiudiziale l’incompetenza del T.N.A.S. ed instava affinché il Presidente dello stesso Tribunale dichiarasse, ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e disciplina degli arbitri, l’eccepito difetto di competenza sul presupposto che la res in iudicium deducta involgeva interessi legittimi come tali indisponibili e non compromettibili per arbitri; la stessa Federazione eccepiva inoltre il difetto di legittimazione attiva della società istante, il difetto di interesse a ricorrere della stessa e, nel merito, l’infondatezza delle domande. Il Presidente del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport con provvedimento del 9 settembre 2011, decidendo preliminarmente sull’eccezione sollevata dalle parti intimate, dichiarava la manifesta incompetenza del Tribunale in relazione alla sola domanda risarcitoria avanzata dalla Juventus Football Club S.p.a. e rigettava invece le istanze di declaratoria di incompetenza relativamente alle restanti domande arbitrali. Il Collegio arbitrale, in revoca del detto provvedimento presidenziale del T.N.A.S., riesaminava le eccezioni di incompetenza e si determinava ad accoglierle sul presupposto che la controversia, evidentemente appartenente 133 © Copyright - Giuffrè Editore al mondo dello sport e pertanto rientrante nella cognizione alternativa dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva e del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, involgeva una situazione giuridica soggettiva che, a prescindere dalla propria qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo, appariva formalmente e sostanzialmente indisponibile da parte della F.I.G.C. 2. Per prima cosa appare opportuno esaminare la statuizione del Presidente del T.N.A.S. (1) circa l’incompetenza del Tribunale Arbitrale in merito alla domanda risarcitoria dei danni arrecati dai provvedimenti impugnati. La decisione presidenziale, confermata pure nella parte motiva del lodo in commento, trae origine dal decisum di cui alla sent. n. 49/2011 pronunciata dalla Corte costituzionale in sede di sindacato di legittimità dell’art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2 D.L. n. 220/2003, poi convertito in Legge n. 280/2003, secondo la quale è comunque ammesso il ricorso al giudice statale per ottenere da questi piena tutela risarcitoria anche laddove si sia in presenza di provvedimenti tecnico-disciplinari sportivi, purché questi siano produttivi di effetti lesivi nei confronti di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento generale. Più correttamente la Consulta, offrendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme sottoposte a vaglio di legittimità (2), ha sancito il principio secondo cui il giudice statale (ordinario o amministrativo a seconda della natura della posizione giuridica azionata e delle previsioni delle disposizioni di legge vigenti nell’ordinamento della Repubblica) può, nonostante la riserva a favore della « giustizia sportiva », conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario del provvedimento sanzionatorio. Afferma, infatti, la Corte costituzionale che: « In tali fattispecie deve, quindi, ritenersi che la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari — posta a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo — non consente che sia altresı̀ esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridica- (1) Decisione Presidente T.N.A.S. del 9 settembre 2011, in www.coni.it. (2) Consulta, che, chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell’art. 2 del D.L. n. 220/2003 in relazione ai parametri di giudizio costituiti dalle disposizioni di cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost., ha definitivamente precisato come la norma sottoposta al vaglio di legittimità sia, in realtà, suscettibile di lettura costituzionalmente orientata: ciò, in quanto « la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari — posta a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo — non consente che sia altresı̀ esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno ». 134 © Copyright - Giuffrè Editore mente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno » (3). Al fine di valutare la correttezza del risultato cosı̀ raggiunto dai Giudici costituzionali e quindi dagli arbitri investiti della vicenda in esame, appare opportuno analizzare preliminarmente le norme vagliate dalla Consulta. Il D.L. n. 220/2003 e la successiva Legge di conversione n. 280/ 2003, le cui disposizioni hanno costituito oggetto del giudizio di legittimità de quo, hanno tentato di razionalizzare in maniera netta ed inequivoca i rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo, riconoscendo, da un lato, la tradizionale autonomia di quest’ultimo (art. 1), in ragione del carattere particolare-internazionale del fenomeno Sport che ne è alla base e tracciando, dall’altro, i confini tra « giurisdizioni » statale (giudice ordinario-giudice amministrativo) e sportiva (artt. 2 e 3) (4). A ben vedere, però, si è trattato di un tentativo non completamente riuscito: l’apparente chiarezza formale, infatti, non ha trovato corrispondenza nell’interpretazione e nell’applicazione sostanziale delle norme, le quali hanno persino realizzato una potenziale antinomia che dottrina e giurisprudenza non hanno potuto non rilevare. All’art. 1, comma 1 si legge che: « La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale »; al comma 2, invece, si precisa che: « I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo » (5). In estrema sintesi, non è detto che il fenomeno (3) Corte cost. sent. n. 49/2011, in www.cortecostituzionale.it. (4) L’intervento normativo, quanto alla classificazione delle controversie sportive ed alla loro collocazione in aree di interesse per l’ordinamento sportivo e per l’ordinamento statale, ha evidentemente tratto origine dalla cosiddetta quadripartizione delle materie sportive, operata per la prima volta in dottrina da LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975. Secondo il chiarissimo Autore, con notevole anticipo rispetto al D.L. n. 220/2003, si poteva distinguere le controversie sportive tra tecniche, disciplinari, economiche ed amministrative. Appare opportuno segnalare anche una classificazione alternativa a quella appena esposta ed operata in dottrina da COCCIA, Fenomenologia della controversia sportiva e dei suoi modi di risoluzione, in Riv. dir. sport., 1997, il quale impiega come criterio di classificazione l’appartenenza o meno all’ordinamento sportivo, in veste di tesserati o affiliati, dei soggetti coinvolti nella controversia; cosı̀ facendo, l’illustrissimo Autore individua quattro diverse situazioni: 1) quando nessuna delle parti in causa è istituzione sportiva o singolo affiliato o tesserato; 2) quando una sola delle parti è affiliata ad una istituzione sportiva; 3) quando una sola delle parti è istituzione sportiva; 4) quando tutte le parti sono istituzioni o affiliati. Circa la nozione di controversia sportiva, la Suprema Corte, intervenuta in subiecta materia, ha individuato diverse tipologie di controversie, in merito alle quali cfr. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 18. (5) GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 135 © Copyright - Giuffrè Editore sportivo si esaurisca solo entro i confini dell’ordinamento particolare di appartenenza, avendo la capacità di produrre effetti che coinvolgono aspetti ordinari della vita dell’ordinamento statale e che quest’ultimo non può aprioristicamente trascurare, pena la rinuncia ad esercitare, in relazione ad essi, le proprie prerogative di sovranità. Gli enunciati di cui agli esaminati commi, posti dal Legislatore quale introduzione alla disciplina vera e propria, danno il là alla specificazione operata dai successivi articoli 2 e 3 (6). Nella prima disposizione, in parziale riforma del testo del D.L. n. 220/2003, la legge di conversione ha delineato un elenco, da intendersi tassativo (7), delle materie in cui si esplica senza limiti l’autonomia dell’ordinamento sportivo italiano e ciò in ragione della ritenuta indifferenza o irrilevanza dell’ordinamento generale per le questioni che possono scaturire da dette materie. Indifferenza o irrilevanza che si traduce, sul piano della tutela dei singoli, nel riconoscimento di un’esclusiva competenza cognitiva ratione materiae della giustizia sportiva. Le materie per cui risulta operante tale sistema sono: « a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive ». Sulla natura della specificazione normativa appena riportata, in virtù della quale si giunge a ritenere la materia « tecnico-disciplinare » come esclusivamente appartenente al fenomeno sportivo, si è sviluppato un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale. L’oggetto della querelle è (o 2007, 8, nota 5), in cui si riportano, con scelta opportuna a parere di chi scrive, le parole della Relazione governativa al d.d.l. di conversione del D.L. n. 220/2003 (Guida al dir., 2003, 34 ss.), le quali confermano l’interpretazione delle norme in esame, contenuta in queste pagine. Secondo la Relazione governativa, infatti, « L’ordinamento sportivo — inteso quale insieme organico di regole, tecniche e disciplinari, applicabili alle discipline sportive ed ai soggetti affıliati alle Federazioni sportive — è tradizionalmente riconosciuto quale ordinamento autonomo secondo la nota teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici ». (6) L’art. 3 è stato poi sensibilmente modificato, quanto al comma 1, dall’art. 3, comma 1 D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che ha sostituito l’espressione « è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo » con l’espressione « è disciplinata dal codice del processo amministrativo », mentre, quanto ai commi 2, 3 e 4, dall’art. 3 dell’allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che ha provveduto ad abrogarli. In ogni caso va precisato, come pure chiarito in Corte cost. sent. n. 49/2011, che gli interventi normativi di successiva modifica del quadro normativo delineato dal D.L. n. 220/2003 e dalla Legge di conversione n. 280/2003 non hanno di fatto mutato la disciplina normativa sostanziale, posto che il Codice del processo amministrativo contiene disposizioni che riproducono quelle modificate ed abrogate. (7) Il requisito della tassatività è caratteristica indiscussa della norma in esame e non deve essere confuso con il concetto di riserva assoluta di cui si dirà poco più avanti e che è oggetto di querelle dottrinaria e giurisprudenziale. 136 © Copyright - Giuffrè Editore meglio, dovrebbe dirsi è stata, almeno sino a Corte cost. sent. n. 49/2011) la possibilità o meno di ravvisare nella scelta operata dal Legislatore i termini di un’assolutezza, tale da non lasciare spazio ad eccezioni di sorta, realizzandosi di fatto una riserva assoluta a favore dell’ordinamento sportivo, che esplicherebbe i propri effetti in particolar modo in ambito giudiziale, attraverso il riconoscimento di una riserva di « giurisdizione » (rectius: competenza cognitiva) a tutto vantaggio degli organi di giustizia dello Sport. Le varie argomentazioni avanzate in tale dibattito (8) sembrano do- (8) Tra gli argomenti proposti dalla dottrina favorevole (per la quale si veda, tra tutti, DE MARZO, Ordinamento statale ed ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, in Corr. giur., 2003 n. 10, 1265 ss.), vi sono: a) il dato testuale della disposizione in esame, che attribuisce, senza riserve espresse ed in toto, l’intera materia tecnica e disciplinare all’ordinamento dello Sport (principio logico-ermeneutico del « in claris non fit interpretatio »); b) la condotta tenuta dal Parlamento in sede di conversione del D.L. n. 220/ 2003, in quanto il supremo organo legislativo non ha meramente recepito la determinazione adottata al riguardo dal Governo, ma ha provveduto ad espungere dal primigenio novero delle questioni propriamente attribuite al mondo sportivo quelle concernenti « l’ammissione e l’affıliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati », nonché « l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma illimitato e l’ammissione alle stesse delle squadre ed atleti ». Ciò è evidente sintomo di una scelta consapevole e ponderata del Parlamento, il quale sembra, pertanto, aver ritenuto non configurarsi né diritti soggettivi, né interessi legittimi nelle materie di cui alle lett. a) e b) dell’art. 2, comma 1 Legge n. 280/2003, o, quanto meno, diritti soggettivi ed interessi legittimi cosı̀ tenui da non meritare considerazione agli occhi dell’ordinamento della Repubblica; c) nessun limite ad una simile giurisdizione assoluta ed esclusiva sembra potersi rinvenire nella normazione di rango ordinario e costituzionale, né aliunde, apparendo, piuttosto, attuato il principio della ragionevolezza, inteso quale corollario al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.; d) l’esistenza di una specifica competenza ed il possesso di precipue cognizioni da parte degli organi giurisdizionali interni, a dispetto di quelli statali, in caso di risoluzione di questioni connotate da un particolare grado di tecnicismo, come accade per le questioni tecnico-sportive, da un lato, e disciplinari, dall’altro. Al contrario, la corrente dottrinaria contraria all’individuazione di una riserva assoluta (per la quale è opportuno ricordare COLAGRANDE, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, in Nuove leggi. civ. comm., 2004, n. 4, 717) trova prevalentemente sostegno in una serie di considerazioni tra cui: a) la sostanziale coincidenza tra le materie cosiddette « riservate » e le attività che l’art. 23 Statuto C.O.N.I., in attuazione della « Riforma Pescante » (D.Lgs. n. 15/2004), ha individuato come attività federali a valenza pubblicistica (ALVISI, Giustizia sportiva ed arbitrato, a cura di VACCÀ, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, 26, che « ne deriva la loro normale idoneità ad incidere quantomeno su posizioni soggettive di interesse legittimo »); b) la giuridicità della normativa tecnico-disciplinare (cfr. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 86 ss.); c) l’astratta idoneità delle questioni tecniche sportive e disciplinari ad involgere situazioni soggettive di diritto soggettivo ed interesse legittimo, con particolare riferimento, quanto alle prime, alle implicazioni di carattere economico scaturenti dall’osservanza-applicazione di una regola tecnica o dall’erogazione di una sanzione disciplinare; d) l’interpretazione della disposizione di cui all’art. 2, comma 1 Legge n. 280/2003 come « previsione della pregiudiziale sportiva anche con riferimento alla materia tecnica e disciplinare, ogniqualvolta la stessa debba intendersi attratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo impinguendo in situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale » (sic, AL- 137 © Copyright - Giuffrè Editore ver far preferire la tesi favorevole alla configurabilità della riserva assoluta e ciò, soprattutto, tenendo nel dovuto conto il dato letterale. Il testo della citata norma appare sufficientemente chiaro e tale da non lasciare dubbi sul fatto che il Legislatore abbia voluto considerare le questioni tecnico-disciplinari come ontologicamente inidonee a coinvolgere situazioni giuridiche soggettive, qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi (9) o, quanto meno, a ritenere che diritti soggettivi ed interessi legittimi eventualmente configurabili in relazione all’« osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale » ed ai « comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive » siano di importanza cosı̀ tenue da poter essere trascurati senza effetti pregiudizievoli per l’ordinamento della Repubblica. Ciò non vuol dire negare che le decisioni degli organi sportivi in materia tecnico-disciplinare abbiano o possano avere conseguenze di tipo economico (ed involgere cosı̀ diritti soggettivi patrimoniali) oppure creare in capo ai destinatari dei provvedimenti tecnici o disciplinari legittime aspettative a che il potere delle Federazioni e del C.O.N.I. venga esercitato correttamente (situazione di interesse legittimo, ipotizzabile, tra l’altro, solo laddove il potere di fatto esercitato possa ricollegarsi ad un funzione pubblica — ipotesi marginali per quanto riguarda le Federazioni) (10). Vuol dire, al contrario, ritenere del VISI, « Giustizia sportiva ed arbitrato », a cura di VACCÀ, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, 27, la quale riprende la tesi esposta da COLAGRANDE, Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, in Nuove leggi. civ. comm., 2004, n. 4, 717). In giurisprudenza, in senso favorevole si veda Cass., Sez. un., ord. 1o ottobre 2003, n. 14666, secondo cui « i provvedimenti delle federazioni sportive che hanno per oggetto lo svolgimento di un campionato sportivo [...] esauriscono la loro funzione all’interno della sfera di ciascuna federazione » cosicché una deliberazione federale in tale materia esaurisce « la sua portata nell’ambito interno della Federazione ». In senso contrario, si consideri TAR Lazio, sent. 1o aprile 2004, n. 2987, per il quale « il rapporto associativo (e, quindi, la sua cessazione), in sé considerato, è certo rilevante per l’ordinamento sportivo, ma impinge altresı̀ su posizioni regolate dall’ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta a questo Giudice [n.d.r.: il Giudice Amministrativo], nella propria competenza esclusiva »; in modo analogo, Cons. Stato, ord. 23 settembre 2003, n. 3841. (9) Se esistono situazioni irrilevanti per lo Stato, questo non implica la « agiuridicità » del fenomeno sportivo complessivamente considerato. In tema, cfr.: COCCIA, SILVESTRI, FLORENZA, MUSUMARRA e SELLI, Diritto dello sport, Firenze, 2004, 123; VALORI, Il diritto nello sport, principi, soggetti, organizzazione, Torino, 2005, 124; VALORI, Il diritto nello sport, principi, soggetti, organizzazione, Padova, 2002, 460 e 485; COLANTUONI e VACALDA, La Giustizia sportiva e l’arbitrato sportivo, in Arbitrato, profili sostanziali, coordinato da G. Alpa, Torino, 1999, 1113 ss. e 1126; POLI, Ulteriori casi di giustizia esclusiva, in Il riparto di giurisdizione, in Trattato di giustizia amministrativa, a cura di CARINGELLA e GAROFOLI, Milano, 2005, 1117; FRASCAROLI, voce Sport (dir. Pubbl. e priv.), in Enc. dir., vol. XLIII, Milano, 1990, 513 ss. e 530. In senso assolutamente contrario, si veda: GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 89, nota 108). (10) Per quanto attiene allo specifico tema della riconducibilità della funzione disci- 138 © Copyright - Giuffrè Editore tutto lecitamente che simili posizioni siano da considerarsi come mere conseguenze di situazioni giuridiche rilevanti solo per il mondo dello Sport, oppure come posizioni che seppur giuridicamente rilevanti per entrambi gli ordinamenti, tuttavia appaiano come secondarie e trascurabili per quello generale a fronte della preminente importanza che la materia tecnico-disciplinare ha per il fenomeno sportivo; posizioni comunque tutelabili, al massimo e qualora dovessero verificarsi ipotesi di pregiudizi economicamente valutabili, attraverso il ricorso agli organi giurisdizionali statali solo per ottenere un giusto risarcimento e non certo per una pronuncia di accertamento sulla situazione sostanziale oggetto di disputa. A tale conclusione la Consulta è pervenuta aderendo al più recente orientamento del Consiglio di Stato (corretto, per chi scrive) (11), invocato, peraltro, anche dal rimettente TAR Lazio, ed atteso che la giustizia sportiva, al contrario dei giudici statali, non ha competenza a pronunciarsi su eventuali richieste risarcitorie, neppure se afferenti questioni tecnico-disciplinari: in tal modo è legittimo giungere alla conclusione secondo cui « tali norme [n.d.r.: artt. 1 e 2 del D.L. n. 220/2003] debbono essere interpretate, in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere ». La stessa pronuncia aggiunge, poi, che « il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della “giustizia sportiva”, delle sanzioni disciplinare, esercitata dalle Federazioni e dalle Discipline sportive, al novero delle pubbliche funzioni o delle attività di natura privatistica, pur in presenza di un contrasto dottrinario sul punto, si concorda con la posizione di chi ritiene non necessariamente inquadrabile la funzione disciplinare in senso pubblicistico; ciò, in ragione dell’autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento ai soggetti privati, che consente, tra l’altro, a questi ultimi di stabilire, applicare ed assoggettarsi a sanzioni di origine prettamente privatistica. In tal senso si vedano: LUISO, Le « pene private » nel diritto sportivo, in Le pene private, a cura di BUSNELLI e SCALFI, Milano, 1985, 171 ss., il quale equipara le sanzioni disciplinari a pene private alla stregua delle sanzioni previste dalle associazioni di diritto privato; DE SILVESTRI, Le qualificazioni giuridiche dello sport e nello sport, in Riv. dir. sport., 1992, 298; MODUGNO, Giustizia e sport: problemi generali, in Riv. dir. sport., 1993, 339. Ad analoga conclusione, a fortiori, sembra doversi giungere per quanto riguarda le decisioni federali prese in ambito tecnico-sportivo. In senso opposto alla qualificazione privatistica della funzione disciplinare, cosı̀ come di tutte le funzioni delle Federazioni, si consideri, in particolar modo: GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 103 ss.; ALVISI, Giustizia sportiva ed arbitrato, a cura di VACCÀ, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, 36. (11) Cfr. Cons. Stato, sent. n. 5782/2008, in www.giustizia-amministrativa.it. 139 © Copyright - Giuffrè Editore plinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta [n.d.r.: si badi bene, solo incidentalmente ed indirettamente, poiché la vicenda sostanziale è di competenza esclusiva dei giudici domestici sportivi], al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione ». Ne consegue per la Consulta, per l’Alta Corte di Giustizia Sportiva ed in fine per il Collegio arbitrale, il cui lodo in queste pagine si esamina, che qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto « diritto vivente » del giudice amministrativo potrà essere riconosciuta la sola tutela risarcitoria, da richiedersi necessariamente ed esclusivamente presso gli organi giudiziali dello Stato. In estrema sintesi, agli occhi dei giudici costituzionali e, da ultimi, a quelli degli arbitri investiti della questione in commento, il « diritto vivente » ha correttamente creduto che il Legislatore abbia operato un non irragionevole bilanciamento che lo abbia indotto, per i motivi già evidenziati, ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo, garantendo dunque l’esistenza di una riserva assoluta sul piano sostanziale. Vi è da aggiungere, inoltre, che, almeno a parere di chi scrive, in ciò confortato dall’appena citata pronuncia giurisprudenziale, ritenere stabilita l’esistenza di una riserva assoluta nei termini sopra esposti non contrasti con alcun parametro costituzionale, men che meno con quello di cui all’art. 24 Cost.. Posto che nulla sembra escludere un ricorso agli organi giudiziali dello Stato per far valere le posizioni giuridiche de quibus, anche nella veste di meri effetti di provvedimenti tecnici o sanzionatori, qualora volesse ammettersi la possibilità che le questioni tecnico-disciplinari sconfinino nel campo dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, nessuna violazione al diritto di difesa discenderebbe dal considerare questi ultimi non sostanzialmente azionabili (12) dinanzi al giudice statale, atteso che dalla loro non azionabilità dinanzi ai Tribunali della Repubblica non potrebbe in alcun modo ricavarsi un pericoloso vuoto di tutela dei singoli, quand’anche essi fossero affiliati, associati o tesserati di Federazioni sportive. L’esistenza di una riserva assoluta di giurisdizione si tradurrebbe, in simili eventuali casi, in una delega dello Stato alla giustizia del microcosmo dello Sport a che questa risolva tutte quelle questioni che, a prescindere dalla qualificazione della singola situazione giuridica soggettiva emergente, appartengano alla materia (propriamente sportiva per volontà di legge) della tecnica e della disciplina. Ma vi è di più: laddove volesse negarsi l’esistenza di una riserva assoluta in relazione alle cosiddette « materie riservate », si incorrerebbe nel rischio di operare una lettura abrogans dell’art. 2, comma 1, lett. a) e (12) Vale a dire non direttamente azionabili davanti all’A.G.O. o all’A.G.A. in relazione al merito della vicenda. 140 © Copyright - Giuffrè Editore b), svuotando di significato la scelta operata dal Legislatore e finendo inevitabilmente per mettere in discussione l’autonomia stessa del fenomeno sportivo, con conseguente contraddizione della ratio del duplice intervento normativo (l’autonomia dell’ordinamento dello Sport, appunto) e violazione delle norme costituzionali che la supportano (artt. 2 e 18 Cost.) (13). Occorre, poi, trarre da un’altra non secondaria circostanza un ulteriore argomento a sostegno della riserva assoluta: dal novero delle materie con rilevanza prettamente interna la legge di conversione ha escluso altre due categorie originariamente previste nel D.L. n. 220/2003, alle lettere c) e d), ovvero « l’ammissione e l’affıliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati », nonché « l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma illimitato e l’ammissione alle stesse delle squadre ed atleti ». Parte prevalente della dottrina ha dedotto da questa modifica del testo normativo una ratio legis orientata nel senso di restringere l’ambito di autonomia dell’ordinamento dello Sport, in favore di un più presente controllo dello Stato nelle questioni afferenti la comunità sportiva, e ciò nonostante l’enunciazione del principio di cui all’art. 1, comma 1 sembri andare nella direzione opposta. Sembrerebbe, tuttavia, più corretto ritenere che la causa prevalente (se non unica) dell’esclusione, operata dal Legislatore in sede di conversione, sia stata quella di considerare le due categorie soppresse come materie sicuramente produttive di effetti (certamente rilevanti) nell’ordinamento generale e per ciò solo sottratte all’ambito di autonomia dell’ordinamento particolare; in quanto involgenti, per loro natura, situazioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi, esse sarebbero niente affatto indifferenti agli occhi dello Stato (in tali termini si è pure espressa copiosa giurisprudenza amministrativa di primo e di secondo grado, da ultimo confermata tra le righe dalla pronuncia della Corte cost. n. 49/2011) (14). Solo in tale ottica, infatti, si potrebbe operare una lettura idonea a scongiurare una possibile antinomia e salvifica della coerenza sistematica del testo normativo, individuando (seppur nei tradizionali termini generali ed astratti della legge), quali settori di rilevanza esclusiva(13) Quella proposta, pertanto, appare essere, a chi scrive, la giusta lettura da dare alla norma, in quanto interpretazione secundum constitutionem. Come è noto, principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice delle leggi (ex plurimis: Corte cost., sent. n. 356/1996) è che dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima di dubitare della legittimità costituzionale della norma stessa (situazione che, si ritiene, dovrebbe verificarsi ove si operasse una lettura contrapposta a quella sopra offerta), occorre verificare la possibilità di darne un’interpretazione salvifica alla luce delle disposizioni della Carta costituzionale. (14) Cfr., in giurisprudenza: Cons. Stato, sent. n. 5782/2008, in www.giustizia-amministrativa.it. Si vedano anche: TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 2472/2008; TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 7331/2006; TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 2801/2005; TAR Lazio, Sez. IIIter, sent. n. 13616/2005, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. 141 © Copyright - Giuffrè Editore mente interna, le sole ipotesi di questioni cosiddette « tecnico-sportive » e « disciplinari » (lett. a) e b) art. 2 D.L. n. 220/2003). In estrema sintesi, l’assenza di potestas decidendi in capo al T.N.A.S. (rectius: in capo agli organi lato sensu giudiziali del C.O.N.I.) è diretta conseguenza del fatto che il riconoscimento e la quantificazione del diritto al risarcimento dei danni provocati da un provvedimento federale non costituiscono questione sportiva riconducibile all’ambito descritto dall’art. 2 D.L. n. 220/2003 e non risultano essere, pertanto, posizioni giuridiche indifferenti per l’ordinamento giuridico statale. 3. Competenza alternativa e non concorrente tra A.C.G.S. e T.N.A.S.: il discrimen è l’idoneità o meno della posizione giuridica dedotta nel giudizio arbitrale ad essere oggetto di disposizione ex art. 1966 c.c. Lo Statuto C.O.N.I. (15) del 2008, poi confermato quanto alle norme in esame dalla più recente versione del 2011, ha prodotto un effetto innovativo di particolare interesse e di evidente rilevanza sul sistema di tutela proprio dell’ordinamento sportivo; effetto innovativo rappresentato dalla creazione di due nuovi organi, l’Alta Corte di Giustizia Sportiva (art. 12bis) ed il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (art. 12-ter) (16), il (15) Il vigente Statuto C.O.N.I. è stato adottato dal Consiglio Nazionale del Comitato Olimpico Nazionale Italiano in data 30 settembre 2011, ma gli artt. 12-bis e 12-ter risultavano avere identica formulazione già nella versione adottata dal Consiglio Nazionale C.O.N.I. in data 26 febbraio 2008. Quest’ultima versione, al contrario, ha innovato profondamente l’asseto degli organi giudiziali intesi in senso lato rispetto alla versione adottata in data 23 marzo 2004. (16) FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010. Appare opportuno riportare in nota il testo integrale delle disposizioni statutarie C.O.N.I. come da ultimo riformulate: a) recita l’art. 12-bis: « 1. L’Alta Corte di giustizia sportiva costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie sportive di cui al presente articolo, aventi ad oggetto diritti indisponibili o per le quali le parti non abbiano pattuito la competenza arbitrale. 2. Sono ammesse a giudizio soltanto le controversie valutate dall’Alta Corte di notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale, in ragione delle questioni di fatto e diritto coinvolte. Il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva. 3. L’Alta Corte provvede altresı̀ all’emissione di pareri non vincolanti su richiesta presentata dal Coni o da una Federazione sportiva, tramite il Coni. 4. Al fine di salvaguardare l’indipendenza e l’autonomia del Tribunale di cui all’art. 12-ter e dei diritti delle parti, l’Alta Corte emana il Codice per la risoluzione delle controversie sportive e adotta il Regolamento disciplinare degli arbitri. 5. L’Alta Corte è composta da cinque giuristi di chiara fama, nominati, con una maggioranza qualificata non inferiore ai tre quarti dei componenti del Consiglio Nazionale del CONI con diritto di voto, su proposta della Giunta Nazionale del CONI, tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori universitari di prima fascia, anche a riposo, e gli avvocati dello Stato, con almeno quindici anni di anzianità. I componenti dell’Alta Corte eleggono al loro interno il Presidente, nonché il componente che svolgerà anche le funzioni di Presidente del Tribunale. I membri dell’Alta Corte sono nominati con un 142 © Copyright - Giuffrè Editore secondo dei quali è destinato a svolgere, seppur con differenze fondamentali dal punto di vista normativo, le funzioni precedentemente assolte dalla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (17). mandato di sei anni, rinnovabile una sola volta. All’atto della nomina, i componenti dell’Alta Corte sottoscrivono una dichiarazione con cui si impegnano ad esercitare il mandato con obiettività e indipendenza, senza conflitti di interesse e con l’obbligo della riservatezza. 6. Per lo svolgimento delle sue funzioni, l’Alta Corte può avvalersi di uffıci e di personale messi a disposizione dal CONI »; b) recita l’art. 12-ter: « 1. Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, ove previsto dagli Statuti o dai regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, in conformità agli accordi degli associati, ha competenza arbitrale sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affıliati, tesserati o licenziati, a condizione che siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale, con esclusione delle controversie che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a centoventi giorni, a 10.000 euro di multa o ammenda, e delle controversie in materia di doping. 2. Al Tribunale può, inoltre, essere devoluta mediante clausola compromissoria o altro espresso accordo delle parti qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti non affıliati, tesserati o licenziati. 3. Nella prima udienza arbitrale è esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione. Avverso il lodo, ove la controversia sia rilevante per l’ordinamento giuridico dello Stato, è sempre ammesso, anche in deroga alle clausole di giustizia eventualmente contenute negli Statuti federali, il ricorso per nullità ai sensi dell’art. 828 del codice di procedura civile. 4. Il Tribunale provvede alla soluzione delle controversie sportive attraverso lodi arbitrali emessi da un arbitro unico o da un collegio arbitrale di tre membri. 5. Gli arbitri unici o membri del Collegio arbitrale sono scelti in una apposita lista di esperti, composta da un numero compreso tra trenta e cinquanta membri, scelti dall’Alta Corte di giustizia sportiva, anche sulla base di candidature proposte dagli interessati, tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni ordinaria e amministrative, i professori universitari di ruolo o a riposo e i ricercatori universitari di ruolo, gli avvocati dello Stato e gli avvocati del libero foro patrocinanti avanti le supreme corti, e, in numero non superiore a tre, alte personalità del mondo sportivo, che abbiano specifiche e comprovate competenze ed esperienze nel campo del diritto sportivo, come risultanti da curriculum pubblicato nel sito internet del Tribunale. I componenti del Tribunale sono nominati con un mandato rinnovabile di quattro anni. All’atto della nomina, i componenti del Tribunale sottoscrivono una dichiarazione con cui si impegnano ad esercitare il mandato con obiettività e indipendenza, senza conflitti di interesse e con l’obbligo della riservatezza, in conformità a quanto previsto dal Codice e dal Regolamento disciplinare di cui al comma 4 dell’art. 12-bis. 6. Il Tribunale provvede alla costituzione dei collegi arbitrali e assicura il corretto e celere svolgimento delle procedure arbitrali, mettendo a disposizione delle parti i necessari servizi e infrastrutture. Il Segretario generale del Tribunale è nominato dall’Alta Corte di giustizia sportiva nei cui confronti ha l’obbligo di rendiconto finanziario. 7. L’Alta Corte di giustizia sportiva è competente a decidere, con ordinanza, sulle istanze di ricusazione degli arbitri e ad esercitare, ogni altro compito idoneo a garantire i diritti delle parti, a salvaguardare l’indipendenza degli arbitri, nonché a facilitare la soluzione delle controversie sportive anche attraverso l’esemplificazione dei tipi di controversie che possono essere devolute alla cognizione arbitrale ». (17) VIGORITI, La giustizia sportiva nel sistema CONI, in questa Rivista, n. 3/2009, 408; FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010, il quale precisa che la modifica dello Statuto C.O.N.I. (e, quindi, la creazione del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport) è avvenuta « in armonia con quanto stabilito dall’ordinamento sportivo internazionale [n.d.r.: in analogia a quanto previsto per il Tribu- 143 © Copyright - Giuffrè Editore È necessario, pertanto, sgomberare il campo da un primo possibile equivoco: il T.N.A.S., a dispetto del nome, non è affatto un organo di giustizia sportiva, ciò almeno nel senso che l’attività che esso esercita non è quella dei tribunali che presiedono all’applicazione delle norme dell’ordinamento dello Sport in sede giudiziale, poiché solo l’Alta Corte è espressamente qualificata come grado della giustizia domestica e, più precisamente, come l’ultimo grado della giustizia sportiva (18). In realtà, poi, il T.N.A.S. non è neppure un organo arbitrale in senso stretto (19), poiché è nale Arbitrale dello Sport di Losanna] e dagli orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza amministrativa ». Al di là delle stringenti istanze dell’ordinamento sportivo internazionale, questa volta il casus belli è stato il cosiddetto « Caso Lorbek » (dal nome del giocatore di basket di serie A1 italiana tesserato della Pallacanestro Treviso S.p.a.), in cui quest’ultima società era contrapposta alla F.I.P. nel corso di un arbitrato instaurato dinanzi alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport. (18) MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di impugnazione del lodo reso negli arbitrati presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in www.judicium.it, 2010, il quale, pur ritenendo che la possibile valorizzazione della dichiarata alternatività del T.N.A.S. rispetto all’A.C.G.S. possa consentire di giungere alla conclusione che il primo organo, almeno nelle materie concorrenti, possa manifestarsi quale ultimo grado della giustizia domestica (esofederale), conclude che l’unico organo di giustizia sportiva, tra i due ora in esame, è solo l’Alta Corte, « come dimostrano i vari momenti in cui emerge la sua posizione di primazia ». In senso parzialmente contrario, si veda: LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it, 2010, per il quale la pronuncia T.N.A.S. costituisce ultimo grado di giudizio interno alla giustizia sportiva, in quanto alternativa a quella dell’A.C.G.S.; ben al di là di quest’ultima considerazione è andato il lodo arbitrale C.O.N.I. 3 settembre 2009, secondo cui, in aperto contrasto con il dato letterale, il T.N.A.S. sarebbe « organo di giustizia superfederale di 3o grado ». Completamente differente l’impostazione espressa nel successivo lodo arbitrale C.O.N.I. 15 dicembre 2009: infatti, l’esistenza oggi di due distinte istituzioni, l’Alta Corte di Giustizia Sportiva ed il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, l’espressa qualificazione soltanto dell’Alta Corte come « l’ultimo grado della giustizia sportiva » (art. 1, comma 2, Codice A.C.G.S.), l’affermazione che il T.N.A.S. « amministra gli arbitrati » (art. 1, comma 1, Codice T.N.A.S.), lasciano supporre che l’alternatività della « competenza arbitrale » del Tribunale rispetto a quella dell’Alta Corte (art. 3, comma 3, Codice T.N.A.S.) indichi, nei limiti in cui le loro competenze coincidano, l’alternatività delle due strade: quella arbitrale presso il T.N.A.S. e quella della giustizia sportiva presso l’Alta Corte. Si tratta, quindi, di due organi entrambi collocati nel sistema della giustizia sportiva ma alternativi nel loro ruolo di vertice. Si tratta, in sostanza, di un’alternatività delle due forme di tutela dei diritti, l’una o l’altra, quella della giustizia sportiva o quella arbitrale, secondo l’alternativa indicata nella rubrica dell’art. 12 dello Statuto C.O.N.I., che significativamente parla di sistema di « giustizia » e di « arbitrato » per lo sport. Le parti possono scegliere, nei limiti della competenza arbitrale, di avvalersi dell’arbitrato amministrato dal T.N.A.S.; se non ricorre una tale scelta, la controversia spetta all’Alta Corte, quale organo di giustizia sportiva (esofederale). In tal modo, va riconosciuta in capo all’arbitrato amministrato dal T.N.A.S. l’idoneità funzionale a essere un vero arbitrato secondo l’ordinamento statale, in grado di derogare alla giurisdizione statale sulle controversie sportive ex art. 3, comma 1, D.L. n. 220/2003; il cui lodo è sindacabile, per fini di nullità, ai sensi dell’art. 828 c.p.c.. In tal senso si veda più puntualmente: FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010. (19) LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it, 144 © Copyright - Giuffrè Editore solo indirettamente coinvolto negli arbitrati veri e propri, limitandosi ad organizzare questi ultimi, senza mai pervenire in prima persona alla risoluzione delle controversie deferite agli arbitri, unici veri soggetti cui è riconducibile il merito della soluzione del caso concreto (20); i compiti del T.N.A.S., infatti, appaiono quelli tipici delle istituzioni che amministrano arbitrati. In specie, basti riflettere che è compito del Presidente del Tribunale arbitrale la nomina degli arbitri nei casi previsti dagli artt. 7, comma 1 (« Se la controversia proposta comporta, per il suo carattere inscindibile, l’instaurazione di un litisconsorzio necessario e tutti i soggetti coinvolti risultano sottoposti alla disciplina arbitrale, spetta al Presidente del Tribunale la composizione del collegio e l’individuazione del suo presidente ») e 17 (rubricato proprio « Nomina degli arbitri da parte del Presidente del Tribunale in caso di omissione delle parti ») del relativo regolamento (la ricusazione, al contrario, spetta all’Alta Corte ex art. 12-ter, comma 7, Statuto C.O.N.I. ed art. 18 del Regolamento T.N.A.S.). Ulteriore caratteristica che esprime il carattere amministrato della procedura arbitrale del T.N.A.S. è la modalità di scelta dei giudici privati: questi ultimi (art. 2, comma 2 Regolamento T.N.A.S.) debbono necessariamente essere individuati (sia dalle parti della disputa che dal Tribunale, allorquando tale organismo proceda eccezionalmente alla nomina degli arbitri) in un elenco composto da un numero di membri compreso fra trenta e cinquanta, tutti nominati dall’Alta Corte. Quanto al profilo della competenza, che ai fini del presente commento interessa maggiormente, al Tribunale sono devolute le dispute proprie del fenomeno sportivo (non solo disciplinari!), che non coinvolgano posizioni giuridiche indisponibili, indipendentemente dal fatto che le controversie vertano in materie rilevanti anche per l’ordinamento statale (21): unico limite, oltre l’indisponibilità della situazione giuridica soggettiva azionata (22), è dato dalla modesta entità delle questioni disciplinari, che, se concernenti sanzioni inferiori ad € 10.000 o sospensioni inferiori a 120 giorni (ex art. 3, comma 1, Codice T.N.A.S.) (23), sono sottratte alla competenza 2010, in cui si legge: « Ed a questo proposito, è bene subito chiarire che il TNAS non decide controversie, ma amministra arbitrati »; FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010; VIGORITI, La giustizia sportiva nel sistema CONI, in questa Rivista, n. 3/2009, 409. (20) Sussistono evidenti parallelismi con il previgente Statuto C.O.N.I. ed il Regolamento C.C.A.S. (21) FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010; LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it, 2010. (22) Nel senso di escludere ancora una volta gli interessi legittimi, sul criticabile convincimento che si tratti sempre e comunque di posizioni giuridiche indisponibili, sembra essersi espresso il Lodo T.N.A.S. 9 ottobre 2009. (23) Cfr. sul punto il Lodo T.N.A.S. 18 giugno 2009, nonché, in particolar modo, i 145 © Copyright - Giuffrè Editore cognitiva e decisionale del nuovo organo di amministrazione delle procedure arbitrali esofederali (24), cosı̀ come pure le controversie in materia di doping che vengono esclusivamente attribuite ratione materiae al Tribunale Nazionale Antidoping (ex art. 13 Statuto C.O.N.I.). Perché si possa ricorrere al Tribunale arbitrale, però, è necessario che la facoltà di adire tale organo sia esplicitamente prevista dagli Statuti e dai Regolamenti delle varie Federazioni e Discipline (25). Chiarito pertanto che l’elemento distintivo delle potestas decidendi dei due organi C.O.N.I. è espressamente stabilito dalle norme esofederali ex ante e senza possibilità di equivoco, è evidente come il lodo in esame non faccia altro che confermare il discrimen tra competenza dell’Alta Corte e del Tribunale Arbitrale, individuandolo rispettivamente nella indisponibilità o meno della situazione giuridica coinvolta nella querelle sportiva; indisponibilità che dovrà essere valutata necessariamente ai sensi degli artt. 1966 ss. c.c., in ciò accogliendosi le argomentazioni proposte dalla difesa della Juventus Football Club S.p.a.. Per disponibilità di una posizione giuridica ai fini della competenza del Tribunale Arbitrale (ma appare logico, più in generale, ai fini di qualsiasi procedura arbitrale ex artt. 806 ss. c.p.c.), deve intendersi pertanto la idoneità della situazione giuridica a divenire oggetto di atti dispositivi da parte del relativo titolare ossia a divenire oggetto di transazione, trasferimento, rinuncia, alienazione, ecc.; idoneità che verrà meno, quindi, tutte quelle volte in cui l’attribuzione della titolarità della situazione giuridica effettuata dall’ordinamento in favore del singolo benefi- due Lodi T.N.A.S. 29 settembre 2009 (Soloni vs. F.I.G.C. e Bonometti vs. F.I.G.C.), in www.coni.it, in cui si legge: « Rileva sul punto l’Arbitro Unico che la deferibilità di controversie ad arbitrato presso il TNAS è stata effettivamente limitata in ragione del tipo e della misura della sanzione inflitta, intorno alla quale è insorta controversia. Come è stato osservato negli atti di causa, l’art. 3 comma 1 del Codice TNAS (attuando quanto previsto dall’art. 12-ter comma 1 dello Statuto CONI) introduce, infatti, alcune deroghe alla competenza dei collegi arbitrali incaricati di risolvere controversie in base ad esso, prevedendo che “non possono conseguire definizione in sede arbitrale le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili e quelle concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o sospensioni di durata inferiore a centoventi giorni continuativi” » ed ancora « Alla luce di ciò pare dunque all’Arbitro Unico che, ancorché congiuntamente irrogate, l’ammenda e l’inibizione costituiscano due distinte sanzioni, che gli organi disciplinari della FIGC hanno inteso di dover infliggere al sig. Bonometti considerando natura e gravità dei fatti a lui ascritti. Con la conseguenza, come già rilevato nel sistema della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport nel lodo dell’8 novembre 2006, Carraro c. FIGC, che l’ammissibilità della domanda dovrà essere valutata con riferimento a ciascuna di esse ». (24) LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it, 2010; MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di impugnazione del lodo reso negli arbitrati presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in www.judicium.it, 2010. (25) LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it, 2010; FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010. 146 © Copyright - Giuffrè Editore ciario risponda a ragioni sovraindividuali dirette a soddisfare esigenze dell’intera collettività. Ma vi è di più, poiché, sulla scorta di A.C.G.S. n. 22/2011, cui il Collegio arbitrale aderisce per dovere e per convinzione, l’attributo della disponibilità deve essere riferito non solo al diritto soggettivo, ma anche all’interesse legittimo, vale dire a tutte quelle situazioni giuridiche soggettive che nell’ordinamento generale italiano trovano diritto di cittadinanza. A dispetto dell’espressione letterale impiegata dagli artt. 12-bis e 12-ter Statuto C.O.N.I., pertanto, la disponibilità dovrà essere valutata in relazione a ciascuna delle due categorie dogmatiche di posizioni giuridiche rilevanti per l’ordinamento della Repubblica, senza aprioristiche esclusioni basate sulla natura delle stesse o delle questioni che le involgono. Quanto al merito della qualificazione operata nel caso di specie dagli arbitri, questi, nonostante la evidente riconducibilità della vertenza de qua nell’ambito della giustizia sportiva, hanno ritenuto, sotto il profilo del petitum formale e del petitum sostanziale, la propria incompetenza argomentando che « nella prospettazione della F.I.G.C., l’attribuzione e la revoca (quale contrarius actus) del titolo di campione d’Italia non sono oggetto di un potere amministrativo, ma conseguono esclusivamente alla applicazione dei regolamenti e ai risultati del campo e l’eventuale revoca può solo scaturire da una sanzione disciplinare, che non competerebbe al Consiglio Federale ma agli organi di giustizia ». In tali termini nessuna disponibilità avrebbe quindi la Federazione sportiva convenuta in arbitrato rispetto al bene della vita su cui si discute, cioè il titolo di campione d’Italia, se non in relazione all’esercizio di un potere sanzionatorio che esula dai poteri del proprio Consiglio Federale. A ben vedere, però, sebbene il principio di diritto affermato ed applicato dal Collegio arbitrale risulti in sé e per sé convincente, l’attività di accertamento della disponibilità della posizione giuridica involta nella cosiddetta « vicenda Juventus », quanto meno sotto il profilo del petitum formale, appare meritevole di censura in quanto evidentemente acritica, essendosi limitati gli arbitri, per loro stessa ammissione, ad una sorta di verifica di non manifesta fondatezza degli assunti della F.I.G.C. e non avendo appurato direttamente la capacità della Federazione di disporre del diritto lato sensu vantato (rectius: del bene della vita reclamato) dalla parte istante. Tornando al più generico ed astratto principio di diritto esposto dapprima da Decisione A.C.G.S. n. 22/2011 e ribadito dal lodo in commento, si deve concludere che il preliminare vaglio di competenza operato dall’Alta Corte o dal Tribunale Arbitrale, a seconda di quale dei due organi sia stato adito per primo, non dovrà mai avere ad oggetto la qualificazione delle posizioni giuridiche coinvolte nelle dispute ad essi deferite (a meno che ciò non sia necessario ai fini della risoluzione nel merito della controversia), bensı̀ la disponibilità delle stesse, vale dire la possibilità da parte dei soggetti titolari del diritto o dell’interesse legittimo a poterne fare og147 © Copyright - Giuffrè Editore getto di transazione e rinuncia. Appare cosı̀ evidente l’infondatezza in parte qua delle argomentazioni proposte dalla F.I.G.C. con riguardo al presunto deficit di competenza del T.N.A.S. per una soltanto asserita ontologica indisponibilità degli interessi legittimi. I motivi dell’ammissione della astratta idoneità di queste ultime situazioni giuridiche soggettive a divenire oggetto di disposizione ai sensi degli artt. 1966 ss. c.c. e, quindi, pienamente arbitrabili ex artt. 806 ss. c.p.c., saranno compiutamente ed autonomamente precisati qui di seguito. 4. Riconoscimento della astratta disponibilità e compromettibilità per arbitri degli interessi legittimi. Il lodo T.N.A.S. del 15 novembre 2011 si è incidentalmente pronunciato su di una questione (quella della disponibilità degli interessi legittimi) che risulta sempre più attuale, a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), ed in relazione alla quale ancora oggi non è stata trovata una soluzione definitiva universalmente condivisa. Appare, dunque, necessario ai fini della comprensione della esatta portata della esaminata pronuncia del T.N.A.S., ricordare cosa si intenda per interesse legittimo e come questa posizione giuridica sia stata intesa, nell’ottica della disponibilità-compromettibilità, dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane. Come universalmente noto, per interesse legittimo si intende quella particolare posizione giuridica costituzionalmente tutelata ed azionabile in giudizio (in dottrina suggestivamente qualificata, pure, come « rifrazione di un fantasma » (26) o « personificazione di un’ombra ») (27), in cui, secondo la definizione data dalla teoria definita « dell’interesse strumentale alla legalità dell’azione amministrativa » (28), viene a trovarsi un soggetto privato destinatario diretto o indiretto di un pubblico potere, e consistente nell’aspettativa che tale potere venga esercitato in modo legittimo (29) ovvero nel rispetto delle norme di volta in volta applicabili al caso concreto, nonché delle prescrizioni legali che reggono l’azione della P.A. (criteri della economicità, della efficacia e della pubblicità ex art. 1 Legge n. 241/1990, nonché criteri della imparzialità e del buon andamento ex art. 97 Cost.). Frutto delle riflessioni della dottrina e della giurisprudenza italiane a far (26) LEDDA, Agonia e morte ingloriosa dell’interesse legittimo, in Foro amm., 1999, II. (27) CORDERO, Procedura penale, VIII ed., Milano, 2006. (28) Teoria il cui massimo rappresentante può rinvenirsi in Virga. (29) Sussistono, tuttavia, altre teorie definite: a) « dell’interesse occasionalmente protetto », per cui vi sarebbe coincidenza tra interesse pubblico ed interesse legittimo; b) « processualista », secondo la quale l’interesse legittimo coinciderebbe con l’interesse a ricorrere (cfr. Guicciardi); c) « normativa », la quale ricostruisce l’interesse legittimo, differenziato e qualificato rispetto a quello di fatto, come elemento costitutivo, insieme all’interesse pubblico, della norma attributiva del potere (cfr. Nigro). 148 © Copyright - Giuffrè Editore data dal 1889 (Legge n. 5992/1889), anno a partire dal quale ha iniziato ad operare la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, si è tuttora soliti distinguerla tra interesse legittimo pretensivo ed interesse legittimo oppositivo, a seconda che il privato miri, rispettivamente, a conservare (oppositivo) oppure ad ottenere (pretensivo) dalla Pubblica Amministrazione un’utilità o un bene della vita; parte della dottrina (30) e della giurisprudenza amministrativa hanno elaborato anche la distinzione tra interessi procedimentali (posizione di chi ha interesse ad intervenire nel procedimento, senza avere una pregressa situazione sostanziale da far valere) ed interessi sostanziali (posizione giuridica non meramente confinata all’intervento nel procedimento, ma riguardante immediatamente un’utilità o un bene della vita). Ciò detto, si ricorda come prima degli interventi del Legislatore nel 2000, nel 2006 (31) e, infine, nel 2010 (32), la questione in argomento fosse segnata dal principio secondo cui tali posizioni non potevano formare oggetto di patto compromissorio, in quanto atavicamente « indisponibili » ai sensi dell’art. 806 c.p.c. (vecchia formulazione: « Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte tranne quelle [...] che non possono formare oggetto di transazione »); nella veste di situazioni giuridiche che affioravano solo in caso di esercizio di un pubblico potere e, quindi, non rientranti nella sfera giuridica esclusiva dei singoli soggetti privati, tradizionalmente se ne escludeva l’arbitrabilità, intesa come corollario della ritenuta intransigibilità-indisponibilità, desunta dal combinato disposto degli artt. 806 c.p.c. e 1966 c.c.. Su simili presupposti, la quasi universalmente asserita incompromettibilità de qua veniva coerentemente estesa anche ai diritti soggettivi coinvolti da questioni rientranti nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (33). La prevalente dottrina, in particolare, individuava dei limiti specifici alla compromettibilità delle controversie pubblicistiche che, senza voler essere eccessivamente pedanti sul punto, possono cosı̀ schematicamente e genericamente riassumersi: a) di- (30) GIANNINI, Il rapporto giuridico di imposta, Milano, 1937. (31) Il riferimento è tanto alla Legge n. 205/2000, che ha, come si vedrà, sensibilmente ridimensionato le teorie più estremiste che volevano la questioni rientranti nella giurisdizione esclusiva del G.A. assolutamente impermeabili alle istanze arbitrali, quanto al D.Lgs. n. 40/2006, il quale, in generale, ha interamente riformato la disciplina codicistica dell’arbitrato e, in particolare, ridisegnato il novero delle materie arbitrabili ex art. 806 c.p.c., cosı̀ come meglio si spiegherà tra breve. (32) D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, anche conosciuto come codice del processo amministrativo. (33) In giurisprudenza si vedano: Cass., 3 dicembre 1991, n. 12966, in questa Rivista, 1992, 447, con nota contraria di Selvaggi; Cass., 10 dicembre 1993, n. 12166, in Foro it., 1994, I, 2472. Ancor più risalente: Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 1938, in Foro it., 1938, III, 57, con nota di FORTI, ma in senso diametralmente opposto su medesima questione di diritto, Cass., 20 maggio 1936, in Foro it., 1936, I, 997, entrambe le pronunce ricordate in LUISO, Arbitrato ex art. 6 l. 205/2000 e giurisdizione, in www.judicium.it. 149 © Copyright - Giuffrè Editore sponibilità unilaterale (da parte della P.A.) degli interessi legittimi, in quanto solo la Pubblica Amministrazione avrebbe fatto sorgere le posizioni in argomento e ne avrebbe stabilito l’entità; b) « doverosità-irrinunciabilità » e « funzionalizzazione al pubblico interesse » dell’esercizio del potere dell’Amministrazione, nonché intrasferibilità-indelegabilità di quest’ultimo; c) esistenza di un termine breve e perentorio per il rimedio impugnatorio dell’atto amministrativo viziato; d) mancanza di una espressa previsione normativa che attribuisse il potere di annullamento dei provvedimenti della P.A. in capo agli arbitri; e) necessaria impugnabilità, in caso di pronuncia arbitrale su posizioni di interesse legittimo, del lodo dinanzi alla Corte d’Appello, con conseguente ritenuta distrazione dal giudice naturale precostituito per legge, il giudice amministrativo. Da segnalare anche posizioni intermedie, quali quella del Guicciardini (34), che, pur giungendo ad ammettere la transigibilità delle particolari situazioni giuridiche de quibus, tuttavia conduceva la propria tesi al medesimo risultato della inarbitrabilità degli interessi legittimi (35), sulla scorta del convincimento che, mentre la transazione consentiva e consente per sua stessa natura una sorta di dominio dell’Amministrazione sull’interesse pubblico (vera e propria signoria esercitata in ragione di una insopprimibile garanzia in favore della collettività), l’arbitrato, essendone rimessa la decisione a « terzi », avrebbe sempre ed incondizionatamente esposto la pubblica Autorità a rischi concreti di compressione, svilimento o riduzione dell’interesse pubblico, contro i quali nulla avrebbe potuto, per averne perso l’originario controllo al momento dell’inizio della procedura arbitrale (36) (ciò, ovviamente, in relazione al solo arbitrato rituale). Ancor prima della modifica del quadro normativo di riferimento, non mancavano, tuttavia, autorevoli voci contrarie (37), secondo le quali la situazione di supremazia riconosciuta all’ente pubblico all’interno dei rap(34) GUICCIARDINI, Le transazioni degli enti pubblici, Padova, 1936, 88 ss., nonché p. 103, nota 2). (35) Per i motivi che meglio si esporranno nel seguito della trattazione, pur rispettosamente, non sembra potersi attribuire fondamento, anche dopo la riforma del testo dell’art. 806 c.p.c., ad una scissione tra il concetto di compromettibilità e quello di transigibilità. Pertanto, l’autore ritiene di concludere nel senso che se una questione (rectius: una situazione giuridica soggettiva) è suscettibile di transazione, allora questa è necessariamente deferibile ad arbitri; cosı̀, pure: VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 59 ss.; GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 252 ss. (36) La conclusione cui giunge l’illustre studioso sembra poggiare su ragioni più pragmatiche, che dogmatiche; prescindendo per il momento dalla fondatezza o meno del rilievo fatto dal Guicciardini, si può sin d’ora affermare che in simili termini appare difficile individuare uno stringente argomento di logica giuridica che consenta di dividere il binomio « transigibilità-disponibilità », binomio tuttora esistente e rafforzato dalla nuova formulazione dell’art. 806 c.p.c. (letto in chiave non estremistica). (37) Per un accurato riepilogo delle voci dottrinarie, si veda: GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 233, nota 2). 150 © Copyright - Giuffrè Editore porti tra Pubblica Amministrazione e cittadini, non era in alcun modo idonea a giustificare una generalizzata ed apodittica impossibilità di comporre le controversie mediante il ricorso ad una procedura arbitrale. Al contrario, la prevalente giurisprudenza amministrativa (ma non solo) preferiva seguire in gran parte l’orientamento negativo, credendo fondati i sopra riportati limiti e, in alcuni casi, persino mostrando di adagiarsi acriticamente sulle argomentazioni della maggioritaria dottrina. Una posizione oltre modo estrema veniva assunta anche da certa giurisprudenza della Suprema Corte, la quale giungeva sino a ritenere di dover escludere l’ammissibilità dell’arbitrato (e, in generale, la disponibilità) in tali circostanze, non solo per la natura della posizione giuridica fatta valere, ma anche a causa della natura del giudice cui la controversia era attribuita (38): si immaginava un’incondizionata coincidenza tra la competenza cognitiva (rectius: la giurisdizione) del giudice amministrativo e l’incompromettibilità (melius: indisponibilità) delle situazioni azionabili in quella sede. È intuitiva la conseguenza che se ne traeva nei casi di giurisdizione esclusiva amministrativa, ovvero quando il giudice della P.A. era chiamato a conoscere tutte le posizioni giuridiche dinanzi ad esso prospettabili: esclusione persino dei diritti soggettivi (anche quelli astrattamente disponibili) dal novero delle situazioni arbitrabili. Il sistema che, complessivamente, ne usciva fuori poteva analiticamente riassumersi in tre punti: a) piena possibilità di devolvere ad arbitri le controversie relative a rapporti di « diritto civile » (in relazione alle quali la P.A. avesse agito iure privatorum), in quanto rientranti nella giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria, nella misura in cui avessero avuto ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, come tali disponibili; b) assoluta impossibilità di devolvere ad arbitri le controversie relative a rapporti di « diritto amministrativo », involgenti posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo e connesse pubbliche potestà, in considerazione della loro (presunta) « ontologica » indisponibilità; c) medesima impossibilità (quasi universalmente affermata dalla giurisprudenza, ma contestata da parte della dottrina) di devolvere ad arbitri le controversie relative a rapporti di « diritto amministrativo », concernenti posizioni giuridiche di diritto soggettivo devolute alla esclusiva giurisdizione amministrativa, prescindendo dalla loro natura di diritto disponibile o meno. In senso diametralmente opposto alle conclusioni raggiunte dalle riportate pronunce, altra giurisprudenza di legittimità, questa volta a Sezioni Unite, aveva già da tempo ripetutamente ravvisato la piena transigibilità dell’interesse legittimo, sul presupposto che « nessuna disposizione vieta che si possa disporre di detto interesse personale, e che quindi lo stesso (38) In tali termini si è espressa la giurisprudenza di legittimità con Cass., sent. n. 7643/1995, in www.cortedicassazione.it. 151 © Copyright - Giuffrè Editore possa essere oggetto di transazione, qualificandosi o come aliquid datum o aliquid retentum » (39), leggendo cosı̀ in chiave essenzialmente liberale il preesistente deficit legislativo al riguardo. Solo successivamente, con l’entrata in vigore della Legge n. 205/ 2000, il Legislatore ha provato a chiarire la portata del tradizionale principio dell’indisponibilità e superato l’orientamento eccessivamente restrittivo seguito dalla più estremista giurisprudenza, prevedendo all’art. 6, comma 2 che « le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto », per poi ribadire, come anticipato, la propria scelta nel recentissimo art. 12 D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Quindi, il Legislatore, da un lato, ha ammesso in modo innovativo la possibilità di deferire ad arbitri la risoluzione di questioni riguardanti diritti soggettivi (da individuarsi, sempre e comunque, alla luce del disposto di cui all’art. 806 c.p.c.) e, dall’altro, si è prevalentemente ritenuto che abbia definitivamente reso norma il « dogma » della incompromettibilità degli interessi legittimi: ammettere, infatti, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il ricorso all’arbitrato (rectius: arbitrato rituale di diritto) per i soli diritti soggettivi, sarebbe equivalso ad escluderlo per le altre situazioni giuridiche soggettive azionabili in tale ambito, ovvero proprio per gli interessi legittimi. È da segnalare, tuttavia, come persino in giurisprudenza amministrativa, seppur con particolare riferimento alle controversie proprie dell’ordinamento sportivo (art. 3 Legge n. 280/2003), ma con efficacia argomentativa diffusa, si sia levata, al riguardo, anche qualche voce di dissenso; ad esempio, TAR Lazio, Sez. III-Ter, sent. n. 4362/2005 ha contestato in radice l’esposta convinzione (40), traendo argomenti dall’art. 11 Legge n. 241/1990 ss. modificazioni, nonché dal ruolo che la P.A. deve (rectius: dovrebbe) assumere e svolgere in un ordinamento moderno come il nostro. Il G.A. di primo grado, in questa non isolata pronuncia, ha negato l’assunto secondo cui non sarebbe compromettibile per arbitri la tutela degli interessi legittimi, e ciò poiché « è assodato in base ai dati testuali che, pure fuori dalla materia sportiva, l’ordinamento generale non solo non esclude, ma anzi incoraggia accordi che coinvolgono siffatte situazioni soggettive [n.d.r.: interessi legittimi], sostituendo la volizione unilaterale della P.A. con assetti negoziati che, pur se rivolti a soddisfare interessi privati, mirano comunque alla massimizzazione di quello pubblico con risultati di pari dignità ed effıcacia dell’azione amministrativa di livello pari a quanto si potrebbe ottenere con un provvedimento. Anzi, tali procedure negoziate, già assai comuni in materia concessoria o urbanistica, trovano la loro massima utilizzabilità pro- (39) Cosı̀, Cass., Sez. un., 22 gennaio 1982, n. 427, in Riv. giur. ed., 1982, I, 611 ss. (40) In realtà, TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 4362/2005 ha contestato in genere il convincimento dell’inarbitrabilità degli interessi legittimi. 152 © Copyright - Giuffrè Editore prio in vicende contenziose, ove la qualità degli interessi coinvolti, la vasta diffusione delle questioni e la necessità di componimenti ante causam o di risoluzione anche in via equitativa delle stesse impongono formule deflative e/o alternative alla giurisdizione, indipendentemente dal tipo di posizioni soggettive fatte valere in via di tutela. Inoltre, dal canto suo l’art. 3, comma 1, II per. del D.L. n. 220/ 2003, nella misura in cui fa salve tutte le clausole compromissorie, ha irrevocabilmente sancito la compromettibilità per arbitri di tutte le questioni [...] ancorché coinvolgenti interessi legittimi » (41). Anche in dottrina non è mancato chi ha sostenuto le argomentazioni della tesi appena riportata, le quali, in coerenza con il parametro normativo citato nella sopra ricordata pronuncia e, sembra necessario ritenere, con l’intero sistema di diritto del nostro ordinamento giuridico, hanno sostanzialmente poggiato sul rilievo che la norma in argomento presupponga la normale negoziabilità del potere amministrativo, rimuovendo in tal modo tutti i limiti che traevano origine dalle presunte « doverosità-irrinunciabilità », « funzionalizzazione al pubblico interesse » dell’esercizio del potere ed « intrasferibilità-indelegabilità » di quest’ultimo. Ci si è pure chiesti in dottrina ed in giurisprudenza se la norma di cui all’art. 6, comma 2 Legge n. 205/2000 e di cui, ora, al nuovo art. 12 codice del processo amministrativo, fosse o meno l’unico punto di riferimento normativo in materia (42); in altri termini, se le ragioni della disponibilità o della indisponibilità dovessero essere colte solo in relazione a tale disposizione o andassero cercate anche aliunde. Sul punto la giurisprudenza amministrativa si è marcatamente divisa. Nel primo senso si è espressa, seppur indirettamente TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 4284/2005, mentre in senso diametralmente opposto, si è posta Consiglio di Stato, sent. n. 527/ 2006, che, ricordando « la nota incompromettibilità in arbitri di tali posizioni giuridiche soggettive [n.d.r.: interessi legittimi] (su cui cfr art. 6 della Legge n. 205/2000) », giustifica la stessa in considerazione del fatto che le situazioni giuridiche in argomento « a causa del loro collegamento con un interesse pubblico, e in forza dei principi sanciti dall’art. 113 Cost. sono insuscettibili di formare oggetto di una rinunzia — preventiva, generale e temporalmente illimitata — alla tutela giurisdizionale », con la conseguenza di non essere disponibili ai sensi degli artt. 806 c.p.c. e 1966 c.c., quindi, tali da non essere né deferibili ad arbitri, né idonei a costituire oggetto di negoziazione sostanziale (transazione). Evidentemente i due contrapposti orientamenti sopra ricordati intendevano e ricostruivano il divieto di arbitrabilità-transigibilità degli interessi legittimi in maniera dissimile: il (41) TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 4362/2005, in www.giustizia-amministrativa.it. (42) Sebbene gli articoli di legge siano due, può parlarsi di unica norma, stante l’assoluta identità di contenuti. 153 © Copyright - Giuffrè Editore primo faceva riferimento alla sola disposizione di cui all’art. 6 Legge n. 205/2000 (si legga ora: art. 12 D.Lgs. n. 104/2010), di cui si dava una lettura liberale, mentre la seconda considerava quest’ultima disposizione come mera « conferma » normativa di un pre-esistente principio giuridico di cui sarebbe stata traccia nell’art. 113 Cost. Conclusa l’analisi storica degli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali espressi in tema di disponibilità-compromettibilità degli interessi legittimi, occorre ora rintracciare le ragioni che, sulla scia della Decisione A.C.G.S. 22/2011, hanno indotto il Collegio arbitrale a ritenere astrattamente compromettibili simili situazioni giuridiche. A ben vedere, trattandosi di una questione risolta dagli arbitri solo incidentalmente e peraltro per relationem con rinvio a quanto argomentato dall’ultimo grado della giustizia sportiva, il Collegio non ha esplicitato chiaramente il ragionamento logico-giuridico posto a fondamento della propria decisione: tuttavia, la scelta di radicare la competenza del T.N.A.S. sul presupposto della disponibilità delle posizioni giuridiche azionate dinanzi all’organo esofederale amministratore di procedure arbitrali sportive, indipendentemente dalla qualificazione di queste ultime, consente di comprendere come la soluzione in commento sia stata adottata, quanto meno, rimuovendo i tradizionali limiti (43) posti dalle prevalenti dottrina e giurisprudenza ovvero parificando quoad substantiam diritti soggettivi ed interessi legittimi. A questo punto è opportuno indagare le ragioni della decisione data incidenter tantum dal Collegio Arbitrale, avanzando ipotesi ricostruttive della ratio della soluzione offerta in punto di arbitrabilità degli interessi legittimi. Un significativo primo passo nella direzione opposta a quella seguita da prevalenti dottrina e giurisprudenza, infatti, potrebbe muoversi contestando la natura necessariamente pubblicistica di tutte le attività svolte dalla P.A. ovvero anche da C.O.N.I. e Federazioni sportive laddove svolgano funzioni dichiaratamente pubbliche, cosı̀ da escludere che le posizioni giuridiche rinvenibili nell’esercizio di esse debbano sempre dar vita ad interessi legittimi. Traendo argomenti indirettamente da TAR Lazio, Sez. IIIter, sent. n. 4362/2005 e richiamando, in un certo senso, sforzi ed osserva- (43) Ovvero, come si ricorda, per: a) disponibilità unilaterale (da parte della P.A.) degli interessi legittimi, in quanto solo la Pubblica Amministrazione avrebbe fatto sorgere le posizioni in argomento e ne avrebbe stabilito l’entità; b) « doverosità-irrinunciabilità » e « funzionalizzazione al pubblico interesse » dell’esercizio del potere dell’Amministrazione, nonché intrasferibilità-indelegabilità di quest’ultimo; c) esistenza di un termine breve e perentorio per il rimedio impugnatorio dell’atto amministrativo viziato; d) mancanza di una espressa previsione normativa che attribuisse il potere di annullamento dei provvedimenti della P.A. in capo agli arbitri; e) necessaria impugnabilità, in caso di pronuncia arbitrale su posizioni di interesse legittimo, del lodo dinanzi alla Corte d’Appello, con conseguente ritenuta distrazione dal giudice naturale precostituito per legge, il giudice amministrativo. 154 © Copyright - Giuffrè Editore zioni fatti dalla dottrina degli anni ’90 (44), una possibile soluzione nel senso poco sopra chiarito, potrebbe essere stata offerta dal Legislatore con la Legge n. 15/2005, la quale ha operato una rilevante modificazione di alcune norme della legge sul procedimento amministrativo; il riferimento è all’introduzione del comma 1-bis, art. 1 Legge n. 241/1990, per mezzo del quale è stato sovvertito il tradizionale dogma della natura generalmente e tendenzialmente pubblica dell’attività della P.A. e, quindi, dell’azione amministrativa come attività retta, salve deroghe espresse ex lege, dal diritto pubblico (45). Quanto appena riportato, volendo ammettere, senza concessione alcuna, che sia fondata la tesi dell’impossibilità di ritenere compromettibili per arbitri gli interessi legittimi, consentirebbe comunque di operare una sensibile restrizione delle posizioni giuridiche qualificabili come « incompromettibili per arbitri » nei casi di intervento della Pubblica Amministrazione o dei suoi enti. Il tema della arbitrabilità dell’interesse legittimo, o meglio delle questioni che involgano un interesse legittimo, potrebbe poi essere radicalmente risolto in senso positivo alla disponibilità-compromettibilità per arbitri, qualora si rivelasse fondato l’insegnamento di quella parte della dottrina (minoritaria) e della giurisprudenza delle Sezioni Unite che non vede ostacoli insuperabili alla attribuzione del requisito della disponibilità e, dunque, della transigibilità-compromettibilità per arbitri. A sostegno di una simile tesi devono rinvenirsi importanti argomentazioni, la cui origine è prettamente normativa. Atteso che la formulazione dell’art. 806 c.p.c., post riforma 2006, si presta ad una lettura ambivalente, nel senso, ovvero, di consentire una lettura tanto favorevole alla arbitrabilità dei soli « diritti », quanto orientata a favore della compromettibilità di tute le situazioni giuridiche in sé e per sé « disponibili », assolutamente dirimente appare l’individuazione della ratio della norma in questione. Quest’ultima non può che essere colta in relazione al dettato della legge delega, alla cui luce deve essere interpretato il precetto del Legislatore delegato; si legge, infatti, nel testo della delega (cfr. art. 1, comma 3, lett. d) Legge n. 80/2005): « riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato, prevedendo la (44) VENEZIANO, intervento al Convegno Studi I servizi pubblici nella legge 21 luglio 2000 n. 205 del 25-27 maggio 2001. (45) V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l.n. 241/ 90, su http://www.giustamm.it/index0/newsletter/2005/2005_2_21.htm, in data 21 febbraio 2005, secondo cui: « Questo principio, peraltro, da ritenere superato sia nella prassi applicativa delle pubbliche Amministrazioni, sia nelle impostazioni dottrinali e giurisprudenziali, viene ribaltato dalla norma in esame. Secondo essa infatti l’agire secondo il diritto pubblico deve essere oggetto di espressa previsione normativa; ché altrimenti le pubbliche Amministrazioni agiscono secondo il diritto privato, sulla base cioè delle capacità giuridica ad esse senz’altro riconosciuta. Restano fuori, secondo la norma, dalla possibilità di applicazione del diritto privato i casi di esercizio di poteri autoritativi ». 155 © Copyright - Giuffrè Editore disponibilità dell’oggetto, come unico e suffıciente presupposto dell’arbitrato, salva diversa disposizione di legge ». Come opportunamente rilevato da illuminata dottrina, una simile disposizione, in combinato disposto con il testo della riformata norma, fa comprendere come, l’intenzione del delegante fosse quella di individuare quale unico elemento di discriminazione tra controversie arbitrabili e non arbitrabili, la loro disponibilità sostanziale, o meglio ancora, « la predicabilità di un oggetto della controversia che » fosse « passibile di atti di disposizione, attraverso l’esercizio di facoltà ricollegabili alla titolarità, in capo a chi sottoscrive la clausola arbitrale o il compromesso, di determinate posizioni giuridiche soggettive di diritto sostanziale » (46). Ora, se ciò è vero (ed appare difficile dubitarlo), all’esclusivo richiamo dell’art. 806 c.p.c. ai diritti soggettivi indisponibili, deve assegnarsi un valore meramente esemplificativo di classi di controversie certamente non arbitrabili. L’individuazione delle altre controversie astrattamente deferibili ad arbitri appare, invece, lasciata all’interprete, secondo il criterio della disponibilità dell’oggetto della controversia, come enunciato in legge delega. In tal senso appare essersi evidentemente mosso, dunque, il Collegio arbitrale che ha pronunciato il lodo in commento, avendo attribuito esclusiva rilevanza alla questione della idoneità o meno della situazione giuridica dedotta in giudizio a divenire oggetto di atti dispositivi, anziché a quella della corretta qualificazione della stessa. Il risultato conseguito dagli arbitri de quibus è giunto previa assunzione del termine « diritti » come espressione generica, tale da includere tanto i diritti soggettivi, quanto gli interessi legittimi, ritenendo a giusta ragione che la volontà del legislatore sportivo fosse quella di non operare distinzioni tra le posizioni giuridiche deferibili agli organi lato sensu giudiziali del C.O.N.I. se non sulla base del parametro della disponibilità. Una simile lettura degli artt. 12-bis e 12-ter Statuto C.O.N.I. incoraggia un’analoga ermeneutica dell’art. 806 c.p.c. e dell’art. 6, comma 2 Legge n. 205/2000 (si legga sempre: art. 12 D.Lgs. n. 104/2010), purché ovviamente la volontà di deferire ad arbitri questioni involgenti interessi legittimi si traduca nel ricorso ad una procedura arbitrale rituale e di diritto, proprio come quella prevista dal Regolamento T.N.A.S. 5. Conclusione. In sintesi, il Lodo T.N.A.S. in data 15 novembre 2011 esprime il proprio favore per quell’orientamento che, seppur ancora minoritario, a parere di chi scrive, appare preferibile, abdicando a visioni preconcette ed aprioristiche circa la natura disponibile di quelle posizioni giuridiche che vengono in rilievo a fronte dell’esercizio di un pubblico potere e di una pubblica funzione. Il pregio della decisione in commento, (46) GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 253 ss. 156 © Copyright - Giuffrè Editore quindi, consta nel ritenere astrattamente suscettibili di deferimento ad arbitri oltre che i diritti soggettivi (disponibili, ovviamente) anche gli interessi legittimi, purché ad un’attenta ed approfondita analisi risultino rientranti nel potere dispositivo del relativo titolare. Tutto ciò, con la sensibile differenza rispetto ai diritti soggettivi che il preventivo vaglio di disponibilitàindisponibilità dovrà essere condotto con riferimento tanto alla posizione del destinatario dell’atto o della condotta in rapporto al quale sorge l’interesse legittimo, quanto del titolare del pubblico potere o della pubblica funzione. L’ammissione della teorica compromettibilità delle situazioni giuridiche de quibus, inoltre, conduce al non secondario risultato di considerare sempre e comunque il giudizio instauratosi dinanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport come un giudizio necessariamente arbitrale e mai, come pure accaduto in passato, l’ultima fase di un più complesso procedimento amministrativo realizzato dal C.O.N.I.: l’atto decisionale del T.N.A.S. dovrà quindi sempre considerarsi come un lodo a tutti gli effetti e come tale soggetto alla disciplina per esso prevista dall’ordinamento processualcivilistico italiano. GIANLUCA LUDOVICI 157 © Copyright - Giuffrè Editore © Copyright - Giuffrè Editore II) INTERNAZIONALE E STRANIERA Lodi annotati INTERNATIONAL CENTRE FOR SETTLEMENT OF INVESTMENT DISPUTES (Pierre Tercier, Pres., Albert Jan van den Berg, Georges Abi-Saab), decisione sulla giurisdizione e sulla ammissibilità 4 agosto 2011, Abaclat e altri c. Argentina (già Beccara e altri c. Argentina), caso n. ARB/07/5. Convenzione ICSID e BIT Italia-Argentina - Questioni di giuridizione - Questioni di ammissibilità delle domande di arbitrato - Distinzione. Rapporto tra art. 25 Convenzione ICSID e art. 8 BIT - Requisiti di nazionalità delle parti. Convenzione ICSID, BIT e azione collettiva - Posizione delle parti - Qualificazioni alternative delle questioni relative all’azione collettiva. Giurisdizione ICSID ratione personarum - Requisiti in base agli art. 1(2) BIT, art. 1 Procollo addizionale e art. 25 Convenzione ICSID - Persone fisiche - Persone giuridiche. Prestazione da parte degli attori del consenso al ricorso in arbitrato - Validità del pacchetto “mandato” dell’Associazione per la Tutela degli Investitori in Titoli Argentini (cosidetta Task Force Argentina, TFA) - Ruolo della Task Force Argentina - Consenso ai sensi dell’art. 25 Convenzione ICSID e art. 8 BIT - Validità della Procura alle liti (art. 18 Regolamento arbitrale ICSID) - Validità del consenso prestato dagli attori. Prestazione del consenso al ricorso in arbitrato da parte dell’Argentina - Validità del consenso rispetto ad azioni collettive in materia di ristrutturazione del debito estero. Art. 8(1) e (2) BIT - Previo esperimento da parte dell’attore di consultazioni amichevoli e ricorso davanti ai giudici nazionali dello Stato ospite per un periodo di 18 mesi - Precondizione del consenso dell’Argentina al ricorso in arbitrato ICSID - Esclusione - Presenza di clausole di scelta del foro nei bonds - Irrilevanza ai fini della giurisdizione ICSID. Ammissibilità - Azioni collettive - Compatibilità con il sistema arbitrale ICSID - Art. 44 Convenzione ICSID e art. 19 Reg. arb. ICSID. 159 © Copyright - Giuffrè Editore Art. 8 BIT - Previo esperimento da parte degli attori del ricorso davanti ai giudici nazionali dello Stato ospite per un periodo di 18 mesi - Assenza dell’esperimento del ricorso - Irrilevanza ai fini della giurisdizione ICSID. Abuso di diritto - Applicabilità nell’ambito di procedure ICSID - Ruolo della TFA - Esclusione dell’abuso di diritto. Sebbene la Convenzione ICSID non definisca il concetto di giurisdizione, tale concetto può includere anche questioni relative all’ammissibilità delle domande di arbitrato. Sebbene difetto di giurisdizione e difetto attinente all’ammissibilità della domanda portino al medesimo risultato del rifiuto del tribunale di decidere il caso, il rifiuto in un caso o nell’altro ha natura fondamentalmente diversa e quindi comporta conseguenze differenti. Mentre nel caso di difetto di giurisdizione la domanda non può essere portata avanti all’organo chiamato a decidere, nel caso di difetto relativo all’ammissibilità, la domanda non è pronta o matura per essere decisa. La decisione di rifiutare un caso in base ad un difetto di giurisdizione è soggetta normalmente ad un controllo da parte di un altro organo. La decisione di rifiutare un caso in base ad un difetto attinente all’ammissibilità della domanda non può essere sottoposta generalmente al controllo di un altro organo. Mentre il rigetto definitivo basato sul difetto di giurisdizione impedisce alle parti di sottoporre ancora la medesima domanda al medesimo organo, il rifiuto basato sul difetto di ammissibilità non impedisce, in principio, all’attore di riproporre la domanda nel caso in cui il difetto sia sanato. Alla luce delle molte obiezioni sollevate rispetto ai diversi aspetti della giurisdizione e della procedura ICSID, il Tribunale ritiene non solo appropriato ma anche necessario distinguere le questioni attinenti alla giurisdizione ICSID strictu senso e le questioni relative all’ammissibilità (par. 244-250). L’art. 8(5) BIT prevede che in caso di arbitrato internazionale iniziato in base all’art. 8(3) la controversia sia deferita, a scelta dell’investitore, in arbitrato ICSID o arbitrato ad hoc secondo il Reg. Arb. UNCITRAL. Con l’espressa indicazione dell’arbitrato ICSID, Italia ed Argentina, entrambe parti della Convenzione ICSID, esprimono il consenso richiesto dall’art. 25 Convenzione ICSID a sottoporre ad arbitrato ICSID specifiche controversie con i nazionali l’una dell’altra (par. 274275). Relativamente alle parti, l’art. 25 Convenzione ICSID richiede che esista una controversia tra uno Stato ospite dell’investimento che abbia ratificato la Convenzione e un investore di un altro Stato contraente. In questo senso l’arbitrato ICSID iniziato in base all’art. 8 BIT può svolgersi solo tra lo Stato ospite (Argentina o Italia) e un investitore nazionale dell’altro Stato parte (art. 8(1) BIT). Quindi, l’art. 8(1) BIT riflette i requisiti oggettivi dell’art. 25 Convenzione ICSID secondo cui l’investitore sia nazionale di uno stato contraente diverso dallo stato ospite (par. 280).Con riguardo alla nazionalità dell’investitore, l’art. 25 Convenzione ICSID non prevede alcuna specificazione rispetto al momento in cui l’investitore debba essere considerato nazionale di un particolare Stato. I criteri secondo cui determinare se tali requisiti oggettivi siano soddisfatti non sono stabiliti dalla Convenzione ICSID e possono quindi essere stabiliti in via ulteriore dalle parti contraenti della Convenzione ICSID nel BIT (art. 1(2) BIT e par. 1 Protocollo addizionale) (par. 281). In conclusione, secondo il BIT un investitore deve non solo essere nazionale dell’altro Stato contraente ma anche soddisfare il requisito del domicilio del par. 1 160 © Copyright - Giuffrè Editore del Protocollo addizionale (par. 287). Relativamente alla procedura da seguire, mentre l’art. 25 Convenzione ICSID stabilisce i requisiti per la giurisdizione del Centro e il Reg. arb. ICSID stabilisce le specifiche regole da seguire per iniziare una procedura arbitrale ICSID, la Convenzione tace sulla questione se queste procedure arbitrali possano essere condizionate al rispetto di requisiti ulteriori e, in caso affermativo, quali siano gli effetti di questi requisiti ulteriori rispetto alla giurisdizione ICSID (par. 288-299). In considerazione del numero degli attori (inizialmente 180.000 poi ridotti a circa 60.000) la presente procedura è qualificabile come procedura relativa ad azione collettiva. È innegabile che il numero degli attori renda impossibile il trattamento e l’esame di ciascuna domanda e generalizzazioni e esami per gruppo siano inevitabili. Né la Convenzione ICSID né il BIT affrontano la questione delle procedure arbitrali collettive. Mentre lo Stato convenuto sostiene che tali procedure, tenuto conto delle loro caratteristiche, sono contrarie al sistema convenzionale arbitrale ICSID e non coperte dal consenso dello Stato convenuto, gli attori al contrario sostengono che la natura collettiva della domanda è un semplice aspetto di natura procedurale che non solleva nessun problema di consenso o giurisdizione (par. 294-297). Ne consegue che la questione dell’azione collettiva verrà analizzata prima nel contesto del consenso delle parti al ricorso in arbitrato — par. 480 e successivi — e poi nel contesto dell’ammissibilità dell’azione — par. 506 e successivi — (par. 298). Sebbene sia vero che ai fini di stabilire la competenza giurisdizionale ratione personarum del Tribunale, le condizioni previste dall’art. 1(2) BIT, art. 1 del Protocollo addizionale al BIT e art. 25 Convenzione ICSID — nazionalità italiana alla data della prestazione del consenso al ricorso in arbitrato e alla data di registrazione della domanda, assenza di nazionalità argentina nelle stesse date, non essere stati domiciliati in Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento — devono essere soddisfatte da ciascun attore, la presente decisione non ha l’obiettivo di statuire sul punto con riguardo a ciascun attore. Essa ha unicamente l’obiettivo di stabilire le condizioni generali della competenza del Tribunale sugli attori. In questa fase non è necessario determinare se le informazioni presentate dagli attori dimostrino suffıcientemente il rispetto di queste condizioni (par. 409). In conseguenza, a questo stadio della procedura e con riferimento alle persone fisiche, è suffıciente stabilire che, in base alle norme rilevanti, il Tribunale ha competenza giurisdizionale ratione personarum su ogni attore persona fisica (i) con cittadinanza italiana al 14 settembre 2006 e 7 febbraio 2007, (ii) che non sia anche cittadino argentino nelle stesse date, (iii) non abbia avuto domicilio in Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento e (iv) abbia effettuato un investimento ai sensi del BIT, grazie al quale gli attori avendo acquisito una delle obbligazioni relative alle emissioni di debito dell’Argentina debbano essere considerati « investitori » (par. 412, 422). Con riguardo alla capacità di enti di beneficiare della protezione del BIT e di essere parti della presente procedura arbitrale, il Tribunale è dell’opinione che né l’art. 1(2)(b) BIT né l’art. 25 Convenzione ICSID richiedano la piena personalità giuridica. Essi ricomprendono anche enti senza personalità giuridica nella misura in cui gli stessi abbiano la capacità di effettuare un investimento ai sensi del BIT e di stare in giudizio (par. 416). Non è necessario che tali enti abbiano piena personalità giuridica secondo la legge italiana (par. 418). In conseguenza, a questo stadio della procedura, è suffıciente sta161 © Copyright - Giuffrè Editore bilire che, in base alle norme rilevanti, il Tribunale ha competenza giurisdizionale ratione personarum su ogni attore persona giuridica con nazionalità italiana al 14 settembre 2006, con ciò intendendosi ogni ente che sia costituito conformemente alla legislazione italiana, con sede sociale in Italia, e riconosciuto dalla legge italiana nel senso che abbia capacità di effettuare un investimento e sia dotato di capacità processuale (par. 421, 422). Le questioni relative alla validità (formale e sostanziale) del consenso al ricorso in arbitrato ICSID ai sensi dell’art. 25 Convenzione ICSID sono regolate dai principi del diritto internazionale e non sono sottoposte a nessuna legge nazionale. In particolare tali questioni non sono regolate dalle legge applicabile per decidere il merito della controversia (art. 8(7) BIT e art. 42 Convenzione ICSID) (par. 430). Tenuto conto del ruolo del consenso nell’ambito dell’arbitrato ICSID basato su BIT, il Tribunale ha l’obbligo non solo di verificare il soddisfacimento del requisito della forma scritta (art. 25(1) Convenzione ICSID) ma anche di valutare se il consenso degli attori al ricorso in arbitrato sia effettivo (par. 436). In proposito si applica il diritto internazionale e in particolare i principi generali del diritto in base ai quali il consenso è genuino e effettivo se prestato libero da coercizione, frode e errore essenziale (par. 436-437). In conseguenza, il Tribunale valuterà non solo l’esistenza della manifestazione del consenso in forma scritta ma anche la validità sostanziale del consenso, rispetto alla quale il solo requisito rilevante è che il consenso sia stato prestato in maniera informata e libera. Ogni altro requisito sostanziale richiesto dalle leggi nazionali è irrilevante e non sarà considerato dal Tribunale (par. 440). L’annullamento di un contratto per coercizione, frode e errore è in linea di principio riservata alla parte pregiudicata dal vizio e non può essere invocato dall’altra parte (par. 442). Tenuto conto delle circostanze particolari del caso concreto — la lamentata frode e/o l’errore causata da una terza parte (TFA), la rilevanza del ruolo della TFA nel presente arbitrato, l’assenza di qualunque collegamento o controllo dell’Argentina sulla TFA — non è preclusa all’Argentina la possibilità di invocare l’assenza di un consenso effettivo degli attori rispetto al ruolo e alla condotta della TFA (par. 443-445). Nell’esaminare questa questione il Tribunale darà adeguata considerazione alla circostanza che gli attori stessi non hanno invocato un vizio del consenso; tale circostanza può richiedere l’applicazione di un onere della prova più elevato che nell’ipotesi in cui l’errore o la frode sia invocata dalla stessa parte pregiudicata (par. 445). Nel contesto di un arbitrato basato su BIT è largamente ammesso che il consenso dell’investitore (che costituisce accettazione dell’offerta da parte degli Stati ospiti di ricorso in arbitrato) sia prestato nella domanda di arbitrato. Tale domanda è generalmente depositata per conto dell’attore da un legale a ciò autorizzato tramite procura (par. 446). In questo caso la procura in base alla quale l’avvocato è incaricato ad iniziare l’arbitrato per conto dell’investitore e la domanda di arbitrato cosı̀ introdotta contengono e insieme costituiscono la manifestazione del consenso da parte dell’investitore (par. 447). Occorre distinguere la questione della validità della procura all’avvocato che è una questione di procedura regolata dall’art. 18 Reg. arb. ICSID e in linea di principio non ha effetto sulla validità del consenso prestato dall’investitore (par. 448) e la questione della validità del consenso prestato dall’investitore che è una questione attinente alla giurisdizione e regolata dal diritto internazionale (par. 447). Tenuto conto del contenuto e delle caratteristiche del pacchetto “Mandato” della TFA (costituito dalla lettera di istruzioni della TFA, la procura alle liti, il 162 © Copyright - Giuffrè Editore mandato alla TFA, e la documentazione supplementare allegata, quali questionari e istruzioni aggiuntive), a questo stadio della procedura, non ci sono indicazioni del fatto che il consenso degli attori sia viziato da frode, coercizione, o errore essenziale. La questione se una tale frode, coercizione o errore possa esistere con rispetto a singoli attori sulla base delle circostanze specifiche di ogni caso individuale rimane aperta e sarà decisa insieme alle questioni relative agli attori presi individualmente (par. 465 e 466(i) e (ii)). Le questioni relative al ruolo e della TFA nella procedura e quelle relative al conflitto di interesse sono questioni relative all’ammissibilità della procedura e non alla validità del consenso prestato dagli attori (par. 466 (iii)). L’argomento dell’Argentina secondo cui l’arbitrato ICSID debba essere escluso rispetto a controversie originate da ristrutturazione del debito è infondato (par. 473-478 e par. 500(i)). Con riguardo alle azioni collettive, il tribunale ritiene che il carattere collettivo della presente procedura arbitrale riguardi le modalità e l’attuazione della procedura ICSID e non la questione se lo Stato convenuto abbia validamente espresso il consenso all’arbitrato ICSID (par. 491-492 e par. 500(ii)). Quindi il carattere collettivo dell’azione riguarda una questione di ammissibilità e non una questione di giurisdizione (par. 492, par. 500(ii) e par. 515 e successivi). Il previo espletamento da parte dell’attore di consultazioni amichevoli e di un ricorso avanti ai giudici argentini per un periodo di 18 mesi riguarda le condizioni di attuazione del consenso dell’Argentina rispetto a giurisdizione e arbitrato ICSID e non la questione se l’Argentina abbia prestato il proprio consenso a giurisdizione e arbitrato ICSID (par. 494-496). Quindi, il mancato rispetto di queste condizioni non conduce ad un difetto di giurisdizione ICSID ma potrebbe comportare l’inammissibilità dell’azione (par. 496, par. 500(iii) e par. 567). La presenza di clausole di scelta del foro nei bonds è irrilevante tenuto conto della distinzione tra azioni fondate sul BIT (treaty claims) e azioni fondate sul contratto (contractual claims) (par. 498). Tali clausole si applicano solo rispetto ad azioni fondate sul contratto e sono irrilevanti rispetto all’accertamento dell’esistenza e/o validità del consenso prestato dall’Argentina (par. 498-499 e par. 500(iv)). Il silenzio della Convenzione ICSID rispetto alle procedure collettive deve essere interpretato come una lacuna e non come un silenzio qualificato tale da rendere l’azione collettiva incompatibile con l’arbitrato ICSID (par. 518-520). In caso di lacuna si applica l’art. 44 Convenzione ICSID, unitamente all’art. 19 Reg. arb. ICSID. In base all’art. 44 Convenzione ICSID, il Tribunale decide e risolve ogni questione procedurale non prevista dalla Convenzione o dal regolamento arbitrale o da quasiasi regola concordata dalle parti. L’art. 19 Reg. arb. ICSID prevede che il Tribunale emetta le ordinanze necessarie per la conduzione della procedura (par. 521-523). Il Tribunale può e deve operare gli adattamenti alla procedura ICSID standard che sono necessari per decidere la presente azione collettiva (par. 525528). Questi adattamenti riguarderebbero non tanto l’oggetto dell’esame condotto dal Tribunale quanto piuttosto il modo in cui il Tribunale conduce questo esame e il modo con il quale gli attori sono rappresentati (par. 530 e 533). È innegabile che il Tribunale non sarà nella posizione di esaminare tutti gli elementi e i relativi documenti del caso come nell’ipotesi in cui ci fosse un piccolo gruppo di attori (par. 531). Il Tribunale avrà necessità di applicare dei meccanismi che consentano una verifica semplificata del materiale di prova (par. 531). Tuttavia tali adattamenti alla procedura ICSID standard, sebbene comprimano i diritti procedurali delle 163 © Copyright - Giuffrè Editore parti, sono necessari e si giustificano tenuto conto del diniego di giustizia che si verificherebbe in caso di inamissibilità delle domande degli attori — particolarmente scioccante considerato che l’investimento in oggetto è protetto dal BIT — (par. 537) e dell’identità o del carattere suffıcientemente omogeneo delle domande degli attori (par. 540-544).Gli argomenti di carattere politico dell’Argentina relativi all’idoneità del ricorso alla procedura ICSID nel contesto della ristrutturazione del debito sovrano sono irrilevanti rispetto alla decisione di ammissibilità dell’azione (par. 548-550). L’art. 8 BIT prevede diversi meccanismi di risoluzione delle controversie in successione (consultazioni amichevoli, ricorso al giudice nazionale, e arbitrato internazionale). Il fallimento di ciascun meccanismo comporta la possibilità del ricorso al successivo (par. 577-578). Tuttavia il testo dell’art. 8 BIT non consente di trarre specifiche conclusioni rispetto alle conseguenze della mancata osservanza da parte dell’attore dell’ordine, stabilito dall’art. 8, tra i meccanismi di risoluzione (par. 579-580). La questione se il mancato espletamento di un giudizio avanti ai giudici argentini per un periodo di 18 mesi prima dell’attivazione dell’arbitrato ICSID precluda agli attori il ricorso in arbitrato ICSID richiede il bilanciamento di interessi contrapposti: l’interesse dell’Argentina ad avere la possibilità di risovere la controversia nell’ambito del proprio sistema giudiziario e l’interesse degli investitori al ricorso ad un mezzo di risoluzione delle controversie effıcace (par. 581-582). Tenuto conto delle circostanze concrete del caso (par. 583-584) e delle azioni e rimedi concretamente esperibili dagli attori in Argentina rispetto alla legge di emergenza e le altre leggi e decreti rilevanti (par. 585-589), il mancato esperimento dell’azione avanti ai giudici argentini per un periodo di 18 mesi prima dell’attivazione dell’arbitrato internazionale non preclude agli attori il ricorso in arbitrato ICSID (par. 590). La teoria dell’abuso di diritto è espressione del più generale principio della buona fede. Il principio della buona fede è un fondamentale principio del diritto internazionale e del diritto sugli investimenti. Esso è, dunque, applicabile alle procedure arbitrali ICSID ed è stato applicato da diversi tribunali ICSID e non-ICSID in casi relativi a investimenti (par. 646-655). Gli argomenti difensivi dell’Argentina basati sull’abuso di diritto riguardano il ruolo nella procedura della TFA che perseguirebbe interessi propri in conflitto con gli interessi degli attori ed estranei agli interessi protetti dal BIT e dalla Convenzione ICSID (par. 657). Poiché l’abuso di diritto non riguarda i diritti degli investitori protetti dal BIT e il presunto abuso riguarderebbe gli interessi della TFA originati dal ricorso degli attori in arbitrato ICSID, il Tribunale ritiene che il ruolo della TFA non integri un abuso di diritto che giustifichi il rigetto dell’azione degli attori perché inammissibile (par. 657658). CENNI DI FATTO. — Il caso Abaclat ed altri è uno dei tre casi ICSID, attualmente pendenti, azionati contro l’Argentina da investitori titolari di strumenti di debito che hanno rifiutato di partecipare ai processi di ristrutturazione del debito estero del paese latinoamericano (cosiddetti “holdout creditors”). Tutti i casi sono originati dall’insolvenza sovrana, determinata della crisi economica del 2001-2002, e dalla conseguente ristrutturazione unilaterale del debito estero dell’Argentina. Con tale decisione il tribunale arbitrale ICSID a maggioranza ha deciso di ammettere l’azione collettiva dei circa 60,000 bondholders italiani (rappresentati dalla 164 © Copyright - Giuffrè Editore TFA, associazione non riconosciuta formata da un gruppo di banche italiane) in arbitrato ICSID sulla base del BIT tra Italia e Argentina sulla protezione degli investimenti stranieri. Gli attori invocano la violazione da parte dell’Argentina degli standard sostanziali di tutela previsti dal BIT per il mancato pagamento del capitale e degli interessi alla scadenza delle obbligazioni e la ristrutturazione unilaterale del debito estero. Il Tribunale decide, oltre alle questioni che qui si riportano, due altre questioni principali. In primo luogo, le domande degli attori sono basate sul BIT (treaty claims) e sono, dunque, ricomprese nell’ambito della competenza ratione materiae del Tribunale. In secondo luogo i bonds e in particolare le obbligazioni relative ai bonds di cui gli attori sono titolari si qualificano come investimenti ai sensi dell’art. 1(1) BIT effettuati nel territorio dell’Argentina nel rispetto delle leggi e normative argentine. MOTIVI (4) DELLA DECISIONE. — (Omissis). Structure of the Present Decision 244. As mentioned above (see §§ 225 et seq. above), the present decision deals with general questions of jurisdiction, as well as admissibility. 245. The Convention does not define the concept of « jurisdiction » of the Centre or of « competence » of the Tribunal contemplated in Articles 25 and 41 ICSID Convention (see § 225 above). Nevertheless, in their Report, the Executive Directors have interpreted the concept of « jurisdiction of the Centre » as a « convenient expression to mean the limits within which the provisions of the Convention will apply and the facilities of the Centre will be available for conciliation and arbitration proceedings ». In other words, the concept of jurisdiction under the Convention also covers issues which may usually be regarded as issues of « admissibility ». It is thus not surprising that some tribunals have questioned the usefulness of the term in the framework of ICSID. 246. Within the context of the present dispute and its particularities, it is useful and important to distinguish issues of jurisdiction from issues of admissibility for the following reasons. 247. Although a lack of jurisdiction or admissibility may both lead to the same result of a tribunal having to refuse to hear the case, such refusal is of a fundamentally different nature and therefore carries different consequences: (i) While a lack of jurisdiction stricto sensu means that the claim cannot at all be brought in front of the body called upon, a lack of admissibility means that the claim was neither fit nor mature for judicial treatment; (ii) Whereby a decision refusing a case based on a lack of arbitral jurisdiction is usually subject to review by another body, a decision refusing a case based on a lack of admissibility can usually not be subject to review by another body; (iii) Whereby a final refusal based on a lack of jurisdiction will prevent the parties from successfully re-submitting the same claim to the same body, a refusal based on admissibility will, in principle, not prevent the claimant from resubmitting its claim, provided it cures the previous flaw causing the inadmissibility. 248. Therefore, and in the light of the many objections raised in the present proceedings with regard to various aspects of ICSID’s jurisdiction and proceedings, 165 © Copyright - Giuffrè Editore the Tribunal has deemed it not only appropriate but also necessary to distinguish issues relating to ICSID’s jurisdiction stricto sensu and admissibility issues. 249. In this respect, the guiding thought of the Tribunal for distinguishing issues of jurisdiction from issues of admissibility has been the following cornerstone consideration: If there was only one Claimant, what would be the requirements for ICSID’s jurisdiction over its claim? If the issue raised relates to such requirements, it is a matter of jurisdiction. If the issue raised relates to another aspect of the proceedings, which would not apply if there was just one Claimant, then it must be considered a matter of admissibility and not of jurisdiction. 250. This thought will be further developed along the Tribunal’s analysis which is structured as follows: (i) The Tribunal will start with a short presentation of the fundaments and scope of the Tribunal’s competence as deriving from the relevant legal provisions of the BIT and the Convention (see section B below); (ii) Based on this presentation, the Tribunal will then set forth the requirements for its jurisdiction as set forth by the relevant legal provisions and examine to what extent these requirements can be considered fulfilled without entering into issues specifically touching upon individual Claimants (see section C below); (iii) To the extent these requirements can be considered fulfilled, the Tribunal will address relevant issues relating to the admissibility of the claims (see section D below); and (iv) Finally, to the extent that the Tribunal comes to the conclusion that it has, in principle, jurisdiction and that the claims are, in principle, admissible, it will address other procedural issues relevant for the conduct of the present proceedings (see section E below). B. LEGAL BASIS FOR THE TRIBUNAL’S JURISDICTION 251. It is not contested between the Parties that the Tribunal’s jurisdiction must be based on the relevant provisions of the Argentina-Italy BIT as well as Article 25 ICSID Convention. What is, however, disputed is the scope of jurisdiction as deriving from these instruments and provisions. [omissis] (3) Relationship between Article 25 ICSID Convention and Article 8 BIT (a) In General 274. As mentioned above, Article 8(5) BIT provides that in case of an international arbitration initiated under Article 8(3) BIT, the dispute would be subject, upon the choice of the investor, to either ICSID or ad hoc arbitration under the UNCITRAL Arbitration Rules. 275. In other words, through the express designation of ICSID arbitration in Article 8 BIT, Italy and Argentina, which are both Contracting Parties to the ICSID Convention, express their consent required under Article 25 ICSID Convention to 166 © Copyright - Giuffrè Editore submit specific disputes with nationals of each other to ICSID arbitration. The scope of this consent is therefore defined by and must be determined according to the relevant provisions of the BIT, and in particular by Article 8. 276. In this respect, the Parties disagree on the actual and admissible scope of this consent. They disagree on how these two provisions — Article 25 ICSID Convention and Article 8 BIT — interact, and in particular on whether Article 25 ICSID Convention sets forth the outer limits of the consent given under Article 8 BIT and, if so, whether the Parties’ consent as expressed in Article 8 goes beyond these outer limits. [omissis] (c) With regard to the Parties 280. As mentioned above (§257), Article 25 ICSID Convention requires that the dispute at stake exists between a Host State having ratified the Convention and an investor of another Contracting State. To this extent, ICSID arbitration initiated under Article 8 BIT may only take place between the Host State, i.e., Argentina or Italy, and an investor of the other State’s nationality. This is duly reflected in Article 8(1) BIT, which applies only to disputes between « a Contracting Party and an investor of the other Contracting Party ». As such, Article 8(1) BIT reflects the objective requirements of Article 25 ICSID Convention that the investor be of the nationality of a Contracting State other than the Host State. 281. With regard to the nationality of the investor, Article 25 ICSID does not provide for any specification as to when an investor is deemed to be of the nationality of a particular State. Thus, while the requirement that the investor be of the nationality of a Contracting State other than the Host State is an objective requirement, the criteria to determine whether such requirement is fulfilled are not set forth by the ICSID Convention and may therefore be further determined by the Contracting Parties to the Convention. 282. In this respect, the BIT contains the following provision with regard to the nationality of an investor: — Article 1(2) BIT provides as follows: « 2. “Investor” shall mean any individual or corporation of one Contracting Party that has made, makes or undertakes to make investments in the territory of the other Contracting Party. a) “individual” shall mean, for each Contracting Party, an individual who is a citizen of such Contracting Party, in compliance with the laws thereof; b) “corporation” shall mean, in relation to each Contracting Party, any entity incorporated in compliance with the legislation of a Contracting Party, having its office in the territory of such Party and being recognized thereby, such as public entities that conduct economic activities, partnerships and corporations, foundations and associations, independent of whether liability is limited or not”. — Par. 1 of the Additional Protocol provides as follows: “1. With reference to Article 1: a) Individuals of each Contracting Party who, when making an investment, maintained their domicile for more than two years in the Contracting Party in the territory of which the investment was made, cannot benefit of this Agreement. If an individual of one Contracting Party maintains at the same time its registered residence in its State and domicile in the other State for more than two years, he/she will be considered equivalent, for the purposes of this Agreement, to 167 © Copyright - Giuffrè Editore individuals of the Contracting Party in the territory of which they made investments. b) The domicile of an investor will be determined in compliance with laws, regulations and provisions of the Contracting Party in the territory of which the investment was made”. 283. While Article 1(2) BIT focuses on the definition of the term of « investor », the Additional Protocol sets forth further eligibility criteria for an investor to benefit from the protection offered by the BIT. As such, these provisions aim to define the general scope of application ratione personae of the BIT, including but not limited to issues of nationality. 284. Within this context, Article 1(2) BIT requires that the investor be (i) with regard to physical persons, an individual having citizenship of the other Contracting Party, according to the latter’s laws, and (ii) with regard to corporations, a corporation being incorporated in the other Contracting Party’s territory in accordance with its legislation. 285. Thus, the BIT provides that the question of whether an investor is an « investor of the other Contracting Party » in the sense of Article 8(1) BIT is subject to the law of the Contracting State of which nationality is claimed. This can be said to reflect Article 25 ICSID Convention, which does not impose any criteria with regard to the determination of the nationality. 286. In addition thereto, the Additional Protocol to the BIT sets forth further criteria of eligibility for an investor to benefit from the protection offered under the BIT, in particular domiciliation requirements, which are to be examined under the laws of the Host State, i.e., Argentina. 287. In summary, under the BIT, an investor must not only be of the nationality of the other Contracting Party, but it must further fulfil the domiciliation requirements of Par. 1 of the Additional Protocol. (d) With regard to the Procedure to Be Followed 288. As mentioned above (§ 271), Article 8 BIT provides for three different types of dispute settlement mechanisms and the Parties disagree on the scope and nature of the disputes subject to these mechanisms, as well as on the interaction of these three mechanisms. In particular, it is disputed between the Parties whether these three mechanisms are to be considered as mere alternatives or whether they provide for a sequential dispute resolution system implementing a mandatory three-steps mechanism, in which arbitration constitutes the ultimate step to be initiated only after completion of the first two steps. 289. Whilst Article 25 ICSID Convention sets forth the requirements for the Centre’s jurisdiction, and the ICSID Arbitration Rules further set forth the specific rules to be followed in order to initiate arbitration proceedings falling under ICSID’s jurisdiction, the ICSID framework is silent with regard to the question of whether such arbitration proceedings can be rendered conditional upon the fulfilment of further requirements, and if so, what are the effects of such additional requirements on ICSID’s jurisdiction for handling of the case. 290. Whether or not Article 8 BIT provided for additional requirements and whether these requirements should be deemed of such nature and importance to be an inseparable part of the Parties’ consent will be addressed below when examining the existence and scope of the Parties’ consent to ICSID jurisdiction (see §§ 423 et seq. and §§ 467 et seq. below). 168 © Copyright - Giuffrè Editore (4) Other Relevant Legal Provisions and Principles 291. The Tribunal takes guidance from the Vienna Convention on the Law of Treaties (« Vienna Convention ») in particular Article 31 (« General rule of interpretation ») and 32 (« Supplementary means of interpretation »). 292. As already mentioned in the Tribunal’s Procedural Order No. 3 of 27 January 2010, this Tribunal shares the generally accepted view that the decisions of ICSID tribunals, like those of other investment dispute settlement mechanisms, are not legally binding precedents. Consequently, the Tribunal does not consider itself bound by previous decisions of other international tribunals. 293. However, the Tribunal is also of the opinion that, subject to the specific provisions of a treaty in question and of the circumstances of the actual case, it should pay due consideration to earlier decisions of international tribunals, where it believes that such consideration is appropriate in the light of the specific factual and legal context of the case and the persuasiveness of the legal reasoning of these earlier decisions. (5) ICSID, BIT and Mass Claims 294. The present proceedings are particular insofar as they gathered as of the date of their initiation, on Claimants’ side, over 180,000 individuals and corporations. In the light of this figure, the present proceedings can be qualified as « mass claims » proceedings. The same remains true despite the recent withdrawal of several thousands of Claimants, thereby reducing the number of remaining Claimants to approximately 60,000 (see § 216 above), subject to the Tribunal’s decision on whether such « withdrawal » is admissible. 295. While it has happened in the past that multiple claimants initiated ICSID arbitration proceedings, this appears to be the first case in ICSID’s history that « mass claims » are brought before it. 296. It is undeniable that the large number of Claimants raises a series of questions and challenges. In particular, the large number of Claimants makes it impossible to treat and examine each of the 180,000 claims (or 60,000 claims for that matter) as if it were a single claim, and certain generalisations and/or group examinations will be unavoidable. The question thus arises whether these or any other relevant characteristics of the present « mass claims » which will be addressed further below, may constitute a hurdle to ICSID’s jurisdiction and/or to the admissibility of the claims (see §§ 480 and §§ 515 et seq.). 297. Neither the ICSID framework nor the BIT addresses the issue of such mass proceedings and therefore fail to provide a clear answer to this question. Also, the Parties disagree on how this silence should be interpreted and what it means with regard to the present mass proceedings. While Respondent argues that, in the light of their characteristics, mass proceedings are contrary to the system of ICSID arbitration and were not covered by Respondent’s consent, Claimants, in contrast, hold the view that the « mass » aspect of the claim is a mere procedural aspect, which does not raise any issues of consent or jurisdiction, and which can thus be duly addressed by the arbitrators under their usual power to rule upon the procedure of the arbitration. 169 © Copyright - Giuffrè Editore 298. Consequently, the issue of the « mass claims » will have to be addressed under a two-fold approach: first, within the context of the Parties’ consent (see §§ 480 et seq. below), and secondly, within the context of admissibility of the present proceedings (see §§ 506, 515 et seq. below). C. THE ARBITRAL TRIBUNAL’S JURISDICTION (1) Introductory Remarks 299. As mentioned above (see § 250(ii) above), this section will deal with the question of the Tribunal’s jurisdiction over the claims. In particular, it will focus on examining whether the four basic conditions for jurisdiction are given. If so, the Tribunal will deal with issues of admissibility in the next section. 300. Thus, after dealing with the nature of the dispute and examining whether it arises out of the BIT ((2)) and relates to an « investment » (jurisdiction ratione materiae) ((3)), the Tribunal will address relevant issues of nationality, capacity and characteristics of the Parties involved (jurisdiction ratione personae) ((4)), before examining the existence and scope of Claimants’ and then Argentina’s consent ((5) &(6)). [Omissis] (4) Between Argentina and Italian Investors - Issues 10 & 11 (a) Issues and Relevant Legal Provisions 388. It is uncontested that Argentina has the necessary capacity to be a party to the present arbitration. Therefore, the present section will focus on determining relevant issues concerning Claimants. These issues appear to be threefold: (i) the issue of nationality, whereby it is contested whether Claimants qualify as « Italian » in the sense of the BIT; (ii) the issue of legal capacity, whereby it is disputed whether those Claimants which are corporations have the necessary capacity to be a party to the BIT and can be protected thereunder; and (iii) the issue relating to the « investor » status of Claimants, whereby it is disputed whether Claimants, who have purchased their security entitlements through various layers of intermediaries, can still be classified as the « investor, » i.e., the party having made the investment. 389. In this regard, it should be recalled that according to the First Session of 10 April 2008 and the Tribunal’s letter of 21 May 2009, the present analysis is limited to general issues and shall not include « issues touching specifically upon each individual claimant, » except where the presentation of the general issue (of jurisdiction or admissibility) cannot be done without reference to a particular situation. 390. Consequently, the present decision will not decide on whether Claimants have the Italian nationality or necessary capacity, but it will merely confirm which are the conditions which Claimants must fulfil so as to qualify as a party under the BIT. With regard to the issue relating to the investor status of Claimants, the present decision will not address the individual investor status of each Claimant. Rather, it will be limited to address from a general perspective whether a party 170 © Copyright - Giuffrè Editore purchasing a security entitlement in the way Claimants allege they purchased their security entitlements would qualify as investor in the sense of the BIT. 391. Thus, the issues to be determined by the Tribunal here are the following: — What are the conditions under which physical persons may benefit from the protection of the BIT, and thereby be a party to the present arbitration? (see Issue No. 10 of the List of 11 Issues of 9 May 2008) — What are the conditions under which juridical entities may benefit from the protection of the BIT, and thereby be a party to the present arbitration? (see Issue No. 11 of the List of 11 Issues of 9 May 2008), and in particular, do corporations established under Italian law and which do not have « legal personality » benefit from such protection and capacity? — Does a party which acquires a security entitlement in a bond through similar mechanisms as used in the present case for the purchase by Claimants of their security entitlements still qualify as the party making the investment, i.e., as the investor? 392. The key legal provisions and documents in dealing with the above issues are the following: Article 1 BIT, Article 1 of the Additional Protocol to the BIT, Article 25(2) ICSID Convention, and Articles 36, 75, 78 Italian Civil Procedure Code. 393. Articles 1(2) and (3) BIT in the unofficial English translation submitted by Claimants provides: « 2. “Investor” shall mean any individual or corporation of one Contracting Party that has made, makes or undertakes to make investments in the territory of the other Contracting Party. (a) “individual” shall mean, for each Contracting Party, any individual who is a citizen of such Contracting Party, in compliance with the laws thereof. (b) “corporation” shall mean, in relation to each Contracting Party, any entity incorporated in compliance with the legislation of a Contracting Party, having its office in the territory of such Party and being recognized thereby, such as public entities that conduct economic activities, partnerships and corporations, foundations and associations, independent of whether their liability is limited or not. 3. For the purposes of this Agreement, legal deeds and capacity of corporations in the territory of the Contracting Party receiving the investment will be governed by the legislation of that Contracting Party. » 394. In comparison thereto, the relevant parts of Article 1(2) BIT as published in the Boletı́n Oficial de la República Argentina No. 27.480 of 25 September 1992 provide as follows: « 2. El término “inversor” comprende toda persona fı́sica o jurı́dica de una Parte Contratante que haya realizado, realice o haya asumido la obligación de realizar inversiones en el territorio de la otra Parte Contratante. — Por “persona fı́sica” se entiende, con relación a cada una de las Partes Contratantes, toda persona fı́sica que tenga la ciudadanı́a de ese Estado, de acuerdo a sus leyes. — Por “persona jurı́dica” se entiende, con relación a cada una de las Partes Contratantes, cualquier entidad constituido de conformidad con la legislación de una Parte Contratante, con sede en el territorio de esa Parte y por esta ultima reconocida, tales como entidades públicas que realizan actividades económicas, 171 © Copyright - Giuffrè Editore sociedades de personas o de capitales, fundaciones y asociaciones, independientemente de que su responsabilidad sea limitada o no. — A los efectos del presente Acuerdo, los actos jurı́dicos y la capacidad de cada persona jurı́dica en el territorio de la Parte Contratante donde se efectúa la inversión serán regulados por la legislación de esta última. » 395. As to the official Italian version of Article 1(2) and 3 of the Italian text of the Argentina-Italy BIT, it provides as follows: « 2. Per “investitore” si intende ogni persona fisica o giuridica di una Parte Contraente che abbia effettuato, effettui o abbia assunto obbligazione di effettuare investimenti nel territorio dell’altra Parte Contraente. a. Per “persona fisica”si intende, per ciascuna Parte Contraente, una persona fisica che abbia la cittadinanza di tale parte, in conformità a le sue leggi. b. Per “persona giuridica”si intende, con riferimento a ciascuna Parte Contraente, qualsiasi entità costituita conformemente alla normativa di una parte Contraente, con sede nel territorio di tale Parte e da quest’ultima riconosciuta, come Enti pubblici che esercitino attività econonmiche, società di persone o di capitali, fondazioni, associazione e, questo, indipendentemente dal fatto che la loro responsabilità sia limitata o meno. 3. Agli effetti del presente Accordo, gli atti giuridici e la capacità di ciascuna persona giuridica nel territorio della Parte Contraente destinataria di un investimento, saranno regolati dalla legislazione di quest’ultima. » 396. In addition, Article 1 Additional Protocol to the BIT provides as follows in the various languages: (i) In the unofficial English version: « 1. With reference to Article 1: a) Individuals of each Contracting Party who, when making an investment, maintained their domicile for more than two years in the Contracting Party in the territory of which the investment was made, cannot benefit of this Agreement. If an individual of one Contracting Party maintains at the same time its registered residence in its State and domicile in the other State for more than two years, he/she will be considered equivalent, for the purposes of this Agreement, to individuals of the Contracting Party in the territory of which they made investments. b) The domicile of an investor will be determined in compliance with laws, regulations and provisions of the Contracting Party in the territory of which the investment was made. » (ii) In the official Spanish version: « Con referencia al Articulo 1: a) No podrán prevalerse del Acuerdo las personas fisicas de cada Parte Contratante que, al momento de efectuar la inversión, hubieran tenido su domicilio por más de dos anós en el territorio de la Parte Contratante donde la inversión se realizó. En caso que una persona fı́sica de una Parte Contratante tuviera simultaneamente residencia registrada en su paı́s y domicilio por más de dos años en el de la otra Parte Contratante se equiparará, a los fines del presente Acuerdo, a las personas fı́sicas nacionales de la Parte Contratante en cuyo territorio se realizó la inversión. b) El domicilio de un inversor será determinado de conformidad con las leyes, 172 © Copyright - Giuffrè Editore reglamentos y disposiciones de la Parte Contrante en cuyo territorio se realizó la inversión. » (iii) In the Italian official version: « 1. Con riferimento all’Articolo 1: a) Non potranno beneficiare dell’Accordo le persone fisiche di ciascuna Parte Contraente le quali, al momento di effettuare un investimento, abbiano mantenuto il loro domicilio per più di due anni nella Parte Contraente nel cui territorio l’investimento sia stato realizzato. Qualora una persona fisica di una Parte Contraente mantenga contemporaneamente la residenza anagrafica nel proprio Paese ed il domicilio per più di due anni nell’altro, essa verrà equiparata, ai fini del presente Accordo, alle persone fisiche della Parte Contraente nel cui territorio abbia realizzato investimenti. b) Il domicilio di un investitore sarà determinato in conformità alle leggi, regolamenti e disposizioni della Parte Contraente nel territorio della quale l’investimento sia stato realizzato. » 397. Article 36 Italian Civil Code in its original Italian version provides as follows: « Art. 36. Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione (c.p.c. 75, 78). » 398. Partly based on the translation provided by Prof. Picardi, which the Tribunal considers to be a fair reflection of the Italian version, Article 36 can be translated as follows: « Art. 36. Organisation and administration of non-recognized associations The internal organization and administration of associations not recognized asjuridical persons are regulated according to the association agreement. Said associations may stand in court through the person who, in accordance with such agreement, holds the office of president or director (Civil Procedure Code 75, 78). » 399. Article 75 and 78 Italian Civil Procedure Code in their original Italian version provide as follows: « Art. 75. (Capacità processuale) Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere. Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità. Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto. Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 e seguenti del codice civile. [...] » Art. 78. (Curatore speciale) Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, e vi sono ragioni di urgenza, può essere nominato all’incapace, alla persona giuridica o 173 © Copyright - Giuffrè Editore all’associazione non riconosciuta un curatore speciale che li rappresenti o assista finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza. Si procede altresı̀ alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto d’interessi col rappresentante. » 400. These provisions can be translated as follows: « Art. 75. (Capacity to stand in a legal proceeding) Those who can freely exercise rights as object of a claim can stand in a corresponding legal proceeding. Those who cannot freely exercise rights cannot stand in a corresponding legal proceeding if they are not represented, assisted or authorized according to the rules governing their legal capacity. Legal entities stand in a proceeding through the person that legally represents them according to the law or their article of association. Associations and committees, who are not a legal entity, stand in a legal proceeding through the individuals indicated by Articles 36 et seq. of the Civil Code. [...] Art. 78. (Guardian ad litem) As long as the person entitled to the representation or assistance is and remains absent and there are grounds for urgency, a guardian ad litem can be appointed to represent individuals who are lacking legal capacity, legal entities or non-recognized associations. The guardian ad litem will leave its office upon intervention of the person entitled to the representation or assistance. A guardian ad litem is also appointed in case of conflict of interests between the legal representative and the individual or entity which is represented in the proceeding. » (b) Parties’ Positions 401. Respondent submits that the Tribunal lacks jurisdiction ratione personae with regard to Claimants who are natural persons. Respondent’s main arguments are as follows: (i) Claimants are not investors within the meaning of Article 1(2) BIT because (i) Claimants did not make an investment in the territory of the Argentine Republic, and (ii) Claimants lack standing because in their capacity as holders of security entitlements acquired through multiple intermediaries they are only remotely connected with the underwriters and the underlying bonds; (ii) Claimants have failed to provide any evidence whatsoever of compliance with the nationality requirements of Article 25 ICSID Convention and the nationality and domicile requirements of the BIT and its Additional Protocol. Referring to arbitral tribunals, Respondent contends that the nationality requirement of a claim before an ICSID tribunal has in each case to be satisfied before an ICSID proceeding can be initiated or even registered. With regard to natural persons, Respondent has serious doubts that the individual Claimants listed in Annexes A and B meet the nationality and domicile requirements and submit that there is a high likelihood of the existence of thousands of cases of dual nationality. With regard to juridical persons, Respondent contends that to qualify as a « juridical person » under Article 1(2) BIT the concerned entity must have legal personality, which is not the case of apprpoximately 40% of the Claimants listed in Annex C such as « associazione non-riconosciuta, » ecclesiastical associations, local branches of national associations, trade unions, political parties, ecc. 402. In contrast, Claimants contend that the Tribunal has jurisdiction ratione personae pursuant to Article 25 ICSID Convention and Article 1(2) BIT and its 174 © Copyright - Giuffrè Editore Protocol over each and every Claimant who (i) is a natural person and who was an Italian national on 14 September 2006 and 7 February 2007, was not an Argentine national at either of those dates, and was not domiciled in the Argentine Republic for more than two years prior to making his or her investment; and (ii) is a juridical entity that on 14 September 2006 was duly organized under Italian law with its principal place of business in Italy and that did not have Argentine nationality on that date. 403. With regard to Respondent’s objections, Claimants requests the Tribunal to reject them based on the following main arguments: (i) Respondent does not contest the principle that the Tribunal has jurisdiction over the Claimants fulfilling the above mentioned requirements, but raises objections based on the standing of individual Claimants and lack of specific evidence; (ii) These objections are improper at this stage of the proceedings. Respondent is trying to arbitrate the factual issues pertaining to each Claimant’s standing contesting the prima facie evidence of nationality. The task of establishing nationality is a task that the Tribunal expressly postponed until after it has made a determination that it has jurisdiction over the claim; (iii) Claimants contend that they will submit adequate evidence of nationaliy in due time, such information being already available in Claimants’ database; (iv) With regard to juridical persons, Respondent’s objection regarding the alleged lack of legal personality is inapposite. Claimants contend that legal personality is not a prerequisite to qualify as juridical person under Article 1(2) BIT. Since the definition of « juridical person » of Article 1(2) lit. b BIT expressly includes foundations and associations, independent of whether their liability is limited or not, Claimants contend that the term « juridical person » does not solely refer to entities with legal personality. According to Claimants, the relevant element to determine whether a Claimant is a juridical person under Article 1(2) lit. b BIT is whether it has the right to litigate. All entities involved have such right. (c) Tribunal’s Findings (i) Jurisdiction Rationae Personae — In General 404. As already set forth above (see §§ 280-287 and 392-396), the Tribunal’s jurisdiction ratione personae derives from, Article 1(2) BIT and Article 1 Additional Protocol to the BIT, Article 25 ICSID Convention and has to be established based on the requirements set forth therein. 405. In other words, as called to decide on a dispute arising out of the BIT, the Tribunal has jurisdiction ratione personae over any person, who is entitled to claim protection under this BIT and who has the capacity to conduct arbitration thereunder. 406. The question thus is under what conditions Claimants can be considered to be entitled to claim protection under the BIT and have capacity to be a party to the present arbitration. (ii) With regard to Natural Persons 407. Based on the relevant legal provisions and as described above (see §§ 280-287 and 392-396), in order to benefit from the protection of the BIT and be a party to the present ICSID arbitration conducted thereunder, a physical person must: (i) Have the Italian nationality on the relevant date, such date being the date 175 © Copyright - Giuffrè Editore on which the Parties consented to arbitration (in case the date of filing of the Request for Arbitration, see § 49 above), i.e., 14 September 2006, as well as the date of registration of such Request, i.e., 7 February 2007. The question of whether a person has on such date the Italian nationality is subject to Italian law; (ii) Not have the Argentinean nationality on neither of the relevant dates. The question of whether a person has Argentinean nationality is subject to Argentinean law; (iii) Not have been domiciled in the Argentine Republic for more than two years prior to making the investment. The question of whether a person has been domiciled in Argentina is subject to Argentinean law; (iv) Have made an investment, which falls within the scope of the BIT. 408. It appears that these conditions are actually not contested by Respondent, whose objections relate to whether these conditions are fulfilled. 409. Whilst it is true that in order to establish the Tribunal’s jurisdiction ratione personae these conditions need to be fulfilled with regard to each Claimant, the present decision does not aim at making a determination with respect to any individual Claimant and only aims to determine the general conditions for its jurisdiction over such Claimants. Insofar, it is not necessary at this stage to determine whether the information submitted by Claimants so far sufficiently evidences the fulfilment of these conditions. 410. Thus, Respondent’s doubts as to the nationality or domicile of certain Claimants are irrelevant at this stage. 411. With regard to Respondent’s objection as to the quality of investors of Claimants, it is based on the allegedly remote connection between the security entitlements and the original underwriters and underlying bonds. This objection has to be rejected for the Tribunal has come to the conclusion, in the preceding section (see § 358 above), that not only the bonds themselves, but also any security entitlement held in those bonds and distributed by the Participants and other Intermediaries to Claimants constitute an investment in the sense of Article 1 BIT and Article 25 ICSID Convention. Thus, to the extent that Claimants are holders of such security entitlements, they are to be considered « investors » under the terms of the BIT and subject to the Tribunal’s jurisdiction ratione personae. 412. Consequently, at this stage of the proceedings, it is sufficient to establish that pursuant to the relevant legal provisions, the Tribunal has jurisdiction ratione personae over each and any Claimant being a natural person (i) with Italian nationality on 14 September 2006 and 7 February 2007, (ii) who on either date was not also a National of the Argentine Republic, (iii) who was not domiciled in the Argentine Republic for more than two years prior to making the investment, and (iv) has made an investment falling under the scope of the BIT, whereby Claimants having purchased a security entitlement in one of the concerned bonds issued by Argentina are to be considered « investors. » (iii) With regard to Juridical Persons 413. Based on the relevant legal provisions and as described above (see §§ 280-287 and 392-396), in order to benefit from the protection of the BIT and be a party to the present ICSID arbitration conducted thereunder, a juridical person must: (i) Have the Italian nationality on the relevant date, such date being the date on which the Parties consented to arbitration (in casu, the date of filing of the 176 © Copyright - Giuffrè Editore Request for Arbitration, see § 91 above), i.e., 14 September 2006. The question of whether a person has on such date the Italian nationality is subject to Italian law. As transposed into the BIT, this requirement of « nationality » means that the concerned juridical person must be an Italian « corporation » in the sense of Article 1(2)(b) BIT, i.e., an entity incorporated in compliance with the legislation of Italy, having its office in the territory of Italy and being recognized thereby. (ii) Have made an investment, which falls within the scope of the BIT. 414. Respondent’s objections are manifold. Insofar as they do not relate to the basic principles, but rather to whether the above-mentioned conditions have been fulfilled, they will be disregarded at this stage of the proceedings. Respondent however also contends that the concept of corporation set forth in Article 1(2)(b) BIT applies only to corporations possessing legal personality under Italian law, and further reiterates its objection as to the quality of investors of Claimants due to the allegedly remote connection between the security entitlements and the bonds. 415. With regard to the latter objection, it has to be rejected for the same reasons as mentioned above (see § 411). 416. With regard to the nature of the capacity necessary for corporations to benefit from the protection of the BIT and be a party to the present arbitration, the Tribunal is of the opinion that neither Article 1(2)(b) BIT nor Article 25 ICSID Convention limits the scope of eligible entities to those having full legal capacity, and also encompasses entities which enjoy limited civil capacity to the extent that such entities have the capacity to make an investment under the BIT and further to sue and to be sued. 417. The reasons are the following: (i) Based on the wording of Article 1(2)(b) BIT and the situation under Italian law, it has to be concluded that not only entities with full legal capacity qualify as « juridical persons » under Article 1(2)(b) BIT. Under Article 36 Italian Civil Code (quoted at § 397 above), associations not recognized as legal entities (hereinafter « non-recognized associations ») have the procedural capacity to stand in court and to be represented by their president or director. In other words, whilst non-recognized associations may not have legal personality, they possess certain attributes of legal personality and in particular the right to sue and to be sued. To the extent that the relevant Claimants had the capacity to make the relevant investment, and that they also have the statutory right to litigate in their own names, and that their constituents all have the requisite nationality, the « juridical person » requirement of Article 25(2)(b) ICSID Convention must be considered satisfied. (ii) The ICSID Convention does not define the concept of juridical person, and does in particular not expressly require a non-natural investor to have specific legal personality. Thus, although this question is controversial, the Tribunal finds that the ICSID Convention does not provide for a clear « yes or no » answer and that the specific requirements regarding the legal personality of a non-natural investor therefore eventually depends on the scope ratione personae of the relevant BIT and the legal capacity required for a non-natural investor to acquire an investment protected by the BIT under the law applicable to such investor and to sue or be sued in its own name with regard to such investment. (iii) Where a non-natural investor falls within the definition of juridical persons provided for in the BIT, and where such investor has under the law 177 © Copyright - Giuffrè Editore applicable to it the legal capacity to acquire an investment protected under the BIT and to sue and to be sued, it would be contrary to the purpose of the BIT and the ICSID Convention to deny such investor the capacity to initiate ICSID arbitration. Indeed, it would make no sense to allow on one hand an investor to make an investment protected under the BIT, and deny on the other hand such investor the right to invoke protection under the BIT for violation of the rights attached to such investment. 418. Having regard to these considerations, the Tribunal finds that in order to qualify as « juridical person » under Article 1(2)(b) BIT it is sufficient that Italian law affords those Claimants who constitute entities or other forms of organizations with the capacity to make the investment and the right to litigate in their own name. It is not necessary that they be granted full legal personality under Italian law. 419. In the light of the limited scope of the present decision, it is not necessary at this stage to determine which of the Claimants constitute entities in the sense of Article 1(2)(b) BIT. 420. In addition, in order to benefit from the protection of the BIT and be a party to the present arbitration, these entities must fulfil the criteria of « Italian nationality. » According to general international law, applied to corporate entities and other forms of organizations, the nationality requirement means that such entities and organizations must be duly constituted and organized under Italian law and/or have their “siège social” in Italy. These requirements do not really seem to be disputed between the Parties, Respondent’s objections focusing solely on whether they have been met. This question is however premature at this stage and will be examined when dealing with questions relating to individual Claimants (see § 227 above). 421. Consequently, at this stage of the proceedings, it is sufficient to establish that pursuant to the relevant legal provisions the Tribunal has jurisdiction ratione personae over each and any Claimant being a juridical person with Italian nationality on 14 September 2006, meaning that it was on such date constituted in compliance with the legislation of Italy, had its siège social in the territory of Italy, and was recognized by Italian law in the sense that it had the civil capacity to make such investment and to litigate in its own name. (d) Conclusion 422. In conclusion, and in response to Issues Nos. 10 and 11, the Tribunal finds that without making a determination with respect to any individual Claimant, it has jurisdiction ratione personae pursuant to Article 1(2) BIT, and its Additional Protocol, and Article 25 ICSID Convention, over each Claimant: (i) who is a natural person and who ultimately is found: — to have had Italian nationality on 14 September 2006 and 7 February 2007; — not to also have had Argentinean nationality on either of such dates; — not to have been domiciled in the Argentine Republic for more than two years prior to making the investment; — to have been an investor as of the date of the alleged breach by Argentina of its treaty obligations. (ii) who is a juridical person and who ultimately is found to have had the Italian nationality on 14 September 2006, meaning that it: — was on such date constituted in compliance with the legislation of Italy; — had its siège social in the territory of Italy; and 178 © Copyright - Giuffrè Editore — was recognized by Italian law in the sense that it had the civil capacity to make an investment under the BIT and to litigate in its own name, without necessarily having full legal personality. (5) Subject to the Claimants’ Written Consent — Issue 2 (a) Issues and Relevant Legal Provisions 423. It is contested between the Parties whether Claimants validly consented to submit the present dispute to ICSID jurisdiction. In particular, Respondent challenges the validity of the TFA Mandate Package and contends that the mandate given by Claimants in this TFA Mandate Package is not fit to constitute a consent in the sense of Article 25(1) ICSID Convention. Claimants, on the other hand, contest Argentina’s entitlement to challenge the validity of Claimants’ consent. 424. Again, in accordante with the limits of the jurisdictional phase, the present decision will not decide whether each Claimant has validly consented to the present arbitration. The Tribunal will limit its analysis to the question whether Claimants’ consent, as expressed in the relevant documents of the TFA Mandate Package, is fit to constitute a valid consent to the present ICSID arbitration taking into account the representation mechanism implemented by the TFA Mandate Package. 425. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal here are the following: — What is the law applicable to the question of the validity of the Parties’ consent? — How far need the Tribunal go when examining the existence of consent to ICSID arbitration? In particular: (i) Is the Tribunal’s scope of examination limited to the mere existence of a consent, or does it further extend to the validity of such consent? (ii) If extending the Tribunal’s scope of review also to the validity of such consent, what are the relevant validity requirements? In this respect, does the multiplicity of Claimants impose certain additional requirements as to the form and content of Claimants’ consent to arbitration? (iii) What is the relevance and consequence of the argument that Argentina lacks standing to challenge the validity of Claimants’ consent? — To the extent specific requirements apply to the validity of the consent, are these requirements fulfilled (see Issues 2(a) & 2(b) of the List of 11 Issues of 9 May 2008)? In particular: (i) What is the role and effect of the TFA Mandate Package, other thereto related documents and the Request for Arbitration with regard to Claimants’ consent? (ii) What is the role and impact on Claimants’ consent of the alleged conflict of interest allegedly affecting TFA? (iii) Can the consent provided for in the TFA Mandate Package be considered « irrevocable » in the sense of Article 25(1) ICSID Convention. 426. The key legal provisions and other documents in dealing with the above issues are the following: Article 8 BIT, Article 25(1) ICSID Convention, the TFA Mandate Package, and Rule 18 ICSID Arbitration Rules. 179 © Copyright - Giuffrè Editore 427. As to the specific content and wording of the TFA Mandate Package, it is set forth above in §§ 86-89. (b) Parties’ Positions 428. Respondent contends that Claimants have not validly consented to the present ICSID arbitration, based mainly on the following arguments: (i) Claimants’ consent does not fulfill the applicable substantive requirements: First, Respondent contends that Claimants’ consent is vitiated by TFA’s conflict of interests (which aims to protect the Italian banks from their liability towards Claimants), and was obtained through TFA’s misrepresentations and non-disclosure of relevant information. As such, it was given in violation of the good faith principle and has been fraudulently obtained. TFA’s improper conduct is evidenced by the existence of counterfeited signatures on the relevant documents of the TFA Mandate Package. Second, the terms of the TFA Mandate Package provide TFA with full control over the arbitration and deprives Claimants’ of basic procedural rights, which is inadmissible. Claimants can therefore not be considered to be legitimately represented by TFA and White & Case in these proceedings and may therefore not be deemed to have validly consented to the present arbitration. Third, Claimants have not agreed to the « irrevocability » of the purported consent represented in the TFA Mandate, and can therefore not perfect an ICSID arbitration agreement. (ii) Claimants’ consent does not fulfill the applicable form requirements: Respondent contends that according to Italian law, the Powers of Attorney issued to TFA and White & Case should have been executed in front of a notary. This has not been done. In addition thereto, there exist strong doubts about the authenticity of the Claimants’ signature on the relevant documents of the TFA Mandate Package, including the Power of Attorneys. Thus, the relevant Powers of Attorney are invalid and Claimants can therefore not be considered to have validly consented to the present ICSID arbitration. 429. In contrast, Claimants contend that they have validly consented to submit a dispute like the present one to ICSID arbitration. Claimants submit that their consent is fully valid, based on the following main arguments: (i) Claimants validly consented in writing to arbitrate this dispute (through the signature of the Power of Attorney), which is all that is required as a matter of international law. The documentation Claimants submitted is more than sufficient to demonstrate Claimants’ consent and there is no ground for the Tribunal to second-guess Claimants’ consent; (ii) The role of TFA is irrelevant in determining whether Claimants consented to arbitrate; (iii) In any event, TFA’s role is entirely proper. Argentina’s allegation of fraud is wrong and based on the speculative assertion that Claimants have a claim against the Italian banks. Further, there is no conflict of interest; on the contrary, TFA and Claimants have a convergent interest to win these proceedings; (iv) Formal requirements of Italian law are not applicable to the Powers of Attorneys, which are subject to the law of the District of Columbia; (v) Respondent’s policy argument as to the impact of an ICSID arbitration on sovereign debt restructuring are irrelevant and inaccurate. (c) Tribunal’s Findings (i) Law Applicable to the Question of Consent 180 © Copyright - Giuffrè Editore 430. As mentioned above (see § 274), Article 8 and in particular Article 8(3) contemplate the Parties’ consent required under Article 25(1) ICSID Convention. It is widely acknowledged that the question of the existence and validity of consent in the sense of Article 25(1) ICSID Convention is not subject to the law applicable to the merits designated in Article 42 ICSID Convention, but rather to Article 25 ICSID Convention itself and the instruments expressing such consent. This is also the view of the present Tribunal, which considers that questions of consent under Article 25 ICSID Convention are subject to principles of international law, and not pursuant to any particular national law. This applies not only with regard to the material content of the consent, i.e., to its substantive validity, but also with regard to its form, i.e., to its formal validity. In this respect, Article 8(7) BIT, which refers to the law applicable to the merits of the dispute in the sense of Article 42 ICSID Convention, is irrelevant for the determination of the existence of consent. (ii) Scope of Examination of the Tribunal 431. It is undisputed that the Tribunal must verify the existence of a consent, as an objective condition to its jurisdiction (see § 258 above). However, the question of the scope of such examination arises: How far does the examination of the Tribunal need to go in order to verify the existence of consent? And, in particular, is such examination limited to the existence of consent, or should it extend also to the formal and substantive validity of such consent? What, if any, are the documents or other evidence that may be required from Claimants to verify the existence and/or validity of such consent? 432. With regard to the formal requirements, Article 8 BIT does not appear to impose any specific form requirement, whilst Article 25(1) ICSID Convention only requires the consent to be in « written » form. No notarization or supplementary other procedure is requested. 433. With regard to the substantive requirements, both Article 8 BIT and Article 25(1) ICSID Convention are silent and there are no internationally recognized specific rules regarding such requirements. In addition, Article 25(1) ICSID Convention does not require the submission of any particular document or evidence. This question is therefore to be assessed by the Tribunal. 434. As such, one could argue that a tribunal’s role is limited to the examination of the existence of a written document, incorporating the parties’ consent to submit the dispute to ICSID arbitration, without further examination regarding other aspects of such consent. 435. However, the Tribunal’s view is that such an approach may — depending on the circumstances — not give sufficient regard to the crucial role of consent, which constitutes the cornerstone of ICSID and BIT arbitration. Under the particular circumstances of the present case and the nature and scope of Respondent’s objections, the Tribunal considers that it not only has the duty to examine the existence of a written document incorporating a consent to submit the present dispute to ICSID arbitration, but it should also ask itself whether such consent reflected Claimants’ sincere intention. (iii) Relevant Substantive Validity Requirements 436. As mentioned above (see § 435), the Tribunal believes that in the present case its examination regarding consent should go beyond the mere formal existence of the consent. In this respect, the Tribunal finds that reference should be made to international law and in particular the general principles of law requiring that 181 © Copyright - Giuffrè Editore anyconsent be genuine and intended, i.e., free from coercion, fraud and/or from any essential mistake. 437. Thus, consent that was not freely given, i.e., given under threats or coercion, was in fraudulently induced, or was based on an essential mistake may not constitute a valid consent under general principles of law. It is generally admitted that under such circumstances the party, who is victim of coercion, fraud or mistake may avoid the contract. The Tribunal holds that the same principle should apply to the concept of consent under Article 8(3) and Article 25(1) ICSID Convention. 438. At this point, a distinction should be drawn between the genuine character of the consent and the motivations lying behind this consent. The reasons why a person decides to give its consent to a specific commitment are in principle irrelevant for it to be valid, provided they are based on a correct understanding of the underlying facts and law. In other words, an investor who consents to ICSID arbitration must understand and want to initiate ICSID arbitration as a dispute resolution means for the dispute at stake. The reasons why such investor opts for ICSID arbitration, the question whether or not the decision to give its consent is a « good » decision, e.g., whether it is the best way to get the sought redress or whether there may be further more suitable options, is in contrast irrelevant for the validity of the consent, provided such consent was free and informed. 439. With regard to the « irrevocability » of the consent, this irrevocability is not a prerequisite of a valid consent but rather a consequence of the existence of a valid consent: If a party has validly consented to ICSID arbitration, such consent is irrevocable. Thus, although irrevocability and validity go hand in hand, irrevocability does not constitute a separate validity requirement. Thus, whilst it is necessary, it is also sufficient that the party giving its consent be aware of and agrees with such irrevocable nature. 440. Consequently, the Tribunal shall examine not only the existence of a written document incorporating consent, but also the validity of such consent, whereby the only relevant validity requirement is that such consent be given in a free and informed manner. Other validity requirements which may apply under national laws to specific kinds of contracts or actions are however irrelevant and will not be taken into account by the Tribunal. (iv) Argentina’s Standing to Challenge Claimants’ Consent 441. Claimants contend that Argentina does not have standing to challenge Claimants’ consent and that such challenge could only be raised by Claimants themselves. 442. Indeed, the avoidance of a contract based on a coercion, fraud or mistake is in principle reserved to the party whose consent is affected by such flaw. It can in principle not be invoked by the other party, who has validly consented to the contract. 443. However, the particularity of the case is that the alleged fraud and/or mistake is alleged to have been caused by a third party, TFA. The question therefore arises whether the party, validly bound by its own consent, can invoke the other party’s flawed consent to challenge the validity of the contract. 444. Considering (i) the crucial role of consent in ICSID and BIT arbitration, (ii) the relevant third party, i.e., TFA’s role in the present dispute, and (iii) the fact that Argentina had no link with or control over TFA, the Tribunal considers that 182 © Copyright - Giuffrè Editore Argentina is not precluded from invoking a lack of consent from Claimants in relation to TFA’s role and behaviour. 445. However, this does not mean that all of Respondent’s arguments are admissible or otherwise fit to establish a lack of consent. The Tribunal shall stick to the scope of examination and the validity requirements described above (§§ 431-440) and address only those arguments which fall within the scope of such examination. In addition, when proceeding to such examination, the Tribunal shall give due regard to the fact that Claimants themselves do not invoke such lack of consent, which may impose a higher standard of proof than if the mistake or fraud is invoked by the affected party itself. (v) Existence and Validity of Claimants’ Consent 446. As mentioned above (§ 258), within the context of BIT based arbitration, it is widely admitted that consent is given through the initiation of ICSID proceedings, which constitutes the acceptance by an investor of the Host State’s offer to arbitrate. Thus, it is the Request for Arbitration that embodies the consent of the investor, unless the investor has otherwise previously expressed its consent, e.g. in a notice of dispute. Where such Request is filed by a lawyer, that lawyer must be duly authorized to do so, based on an appropriate power of attorney. In other words, in such a circumstance, it is the power of attorney instructing the lawyer to launch the arbitration proceedings on behalf of the investor and the request thereby filed by the empowered attorney which contain and simultaneously constitute the consent of the investor. 447. As mentioned before (see § 430 above), the validity of such power of attorney as embodiment and expression of an investor’s consent is thus subject to general principles of international law. Indeed, one must distinguish the validity of the power of attorney itself and the validity of the consent embodied therein. While the former is a matter of procedure (and thereby of admissibility) and is regulated in Rule 18 ICSID Arbitration Rules, the latter is a matter of jurisdiction and subject to the law applicable to the consent itself, i.e., international law. 448. Therefore, objections regarding the formal invalidity of a power of attorney would — if at all — be relevant under Rule 18 ICSID Arbitration Rules. In this respect, it should be stressed that the filing of ICSID arbitration is not an action reserved to lawyers admitted to practice in a specific jurisdiction or bar. It is open to any investor, irrespective of its legal qualifications and such investor is not required to resort to the assistance of a lawyer, although such assistance may in practice be highly recommended. Consequently, even if lawyers are asked to intervene by preparing and participating to the ICSID proceedings on the investor’s behalf, there is no reason to impose on such lawyers and their principal specific limitations or restrictions existing in their home jurisdiction and applicable to domestic court or arbitration proceedings. This is so irrespective of whether or not lawyers are, under the locally applicable professional rules, prevented from representing or limited in the way of representing such an investor in ICSID arbitration, and may engage their liability towards their client and/or relevant authorities in their home jurisdiction. It may, under certain circumstances, further raise questions with regard to the admissibility of the arbitration proceedings initiated by such lawyers (see §§ 506 et seq. below). It may however in principle not affect the validity of Claimants’ consent to ICSID arbitration, unless the circumstances at hand simultaneously constitute a fraud, a coercion or a mistake in 183 © Copyright - Giuffrè Editore the sense described above (see §§ 436-440) and being the basis for the investor’s consent. 449. Thus, the core question in order to determine the validity of Claimants’ consent is the following: In view of the content and specificities of the TFA Mandate Package, the alleged circumstances surrounding its signature and the representation mechanism implemented by such Package, can Claimants’ consent to ICSID arbitration still be considered a free and informed consent? 450. The TFA Mandate Package is composed of (i) the TFA Instruction Letter, (ii) the Power of Attorney, (iii) the TFA Mandate, and (iv) additional questionnaires and instructions, as further described above (see §§ 85-89). 451. The TFA Instruction Letter provides in section 8 thereof some « basic rules that the conduct of the ICSID arbitration on behalf of numerous Italian Investors makes it necessary to impose on all of [the bondholders]. » These rules focus mainly on two issues: (i) the eligibility of a person to participate in the ICSID arbitration, and (ii) rules concerning the conduct of such arbitration: — With regard to the eligibility requirements, the TFA Instruction Letter requires that a person wishing to participate in the ICSID arbitration must be an « investor, » i.e., hold a security entitlement in the relevant Argentine bonds. In addition thereto, the TFA Instruction Letter sets forth that anyone who intends to initiate ICSID arbitration may not bring — as long as the arbitration proceedings are ongoing — any legal action in Italy against any credit institution, i.e., bank, that sold the bonds to them. The TFA Instruction Letter justifies this restraint by an alleged risk that legal proceedings against the banks may lead to the annulment of the purchase of the bonds, which in turn would annihilate the status of « investor » of the concerned person. Nevertheless, the TFA Instruction Letter also provides that it is possible for the « investors » to change their mind and revoke the mandates related to the ICSID arbitration, whereby a revocation of these mandates in principle triggers the investor’s withdrawal from the ICSID proceeding. It is further mentioned that the running of the statute of limitations for claims against the banks will not be tolled by the participation to the ICSID proceeding. — With regard to the rules concerning the conduct of the arbitration, the TFA Instruction Letter introduces and explains the role of TFA and the appointed lawyers White & Case, further described in the TFA Mandate. Based on these two documents, TFA is given all powers to take any action necessary to conduct the arbitration and/or settle the dispute, without direct consultation with Claimants, who are deprived of the right to give instructions either to TFA or to White & Case. The TFA Instruction Letter and the TFA Mandate justify this restraint as necessary for reasons of coherence and uniformity of representation of all Italian bondholders, and base it on the principle that TFA’s role is to act in the collective interest of all bondholders. 452. Based on the TFA Instruction Letter and the TFA Mandate, as well as the supplementary documentation included in the TFA Mandate Package, each Claimant then had to sign a Power of Attorney, in which it (i) declared being a holder of relevant Argentine bonds, (ii) declared giving its irrevocable consent to submit to ICSID arbitration and to accept Argentina’s offer to arbitrate contained in Article 8 BIT, and (iii) conferred to White & Case the power to initiate and 184 © Copyright - Giuffrè Editore conduct on its behalf the ICSID arbitration and other actions necessary to manage the Claimant’s rights as deriving from its status as bondholder. (vi) Existence of a Clear Consent to ICSID Arbitration 453. The Tribunal holds that the Power of Attorney constitutes a written power of attorney and contains a clear and unambiguous expression of irrevocable consent by the relevant Claimant to initiate ICSID arbitration against Argentina in relation to its non-payment of amounts due under the relevant bonds, and to entrust White & Case with the conduct of such arbitration. Based thereon, this Power of Attorney constitutes a written consent in the sense of Article 25(1) ICSID Convention. 454. Further, the Tribunal finds that: — Whether or not this Power of Attorney also complies with Italian law or law of the District of Columbia is irrelevant for the purpose of assessing its validity under Article 8 BIT and Article 25(1) ICSID Convention. This conclusion is based on the assumption that the Powers of Attorney were signed by the relevant Claimants. The argument of a possible falsification of certain signatures is irrelevant at this stage, and will — if necessary — be examined when dealing with issues relating to individual Claimants. — Further, objections relating to the validity of the Power of Attorney itself fall under Rule 18 ICSID Arbitration Rules and are not of a nature to challenge the validity of the consent embodied therein (see § 448 above). — In addition, Claimants’ intention to participate to the ICSID proceedings is further confirmed by the series of further documents, such as copies of identification documents and documents establishing the holding of the security entitlement, which each Claimant had to submit together with the TFA Mandate Package. (vii) Validity of Claimants’ Consent to ICSID Arbitration 455. Thus, the question now is whether the consent of the Claimants, who signed this Power of Attorney, may have been truncated by coercion, fraud or an essential mistake caused by TFA and/or White & Case. Respondent alleges that the restraints set forth in the TFA Mandate Package preventing Claimants from freely pursuing the banks is fraudulent, to the extent that it is based on a misrepresentation of key facts and legal issues aiming at unduly protecting the banks from law suits and with the effect of depriving Claimants of a redress against such banks. In other words, Respondent’s argument suggests that these documents concealed TFA’s real purpose, i.e., protecting its banks, and that had Claimants known such real purpose, they would not have given their consent to the TFA Mandate Package and thereby to ICSID arbitration. 456. The system put in place by the TFA Mandate Package provides for certain restrictions, such as the waiver of Claimants to sue the Italian banks for the duration of the ICSID proceedings, limitations related thereto imposed on the revocation of the TFA Mandate Package, and the principle that Claimants are passive participants to the arbitration, all relevant decisions being made by TFA and White & Case on behalf of these Claimants. With regard to these restrictions and limitations the Tribunal finds as follows: 457. (i) With regard to Claimants’ inability to give instructions and make decisions regarding the conduct of proceedings, the Tribunal holds that this restriction was clearly set forth in the TFA Mandate Package. In this respect, 185 © Copyright - Giuffrè Editore Claimants were aware that by accepting the TFA Mandate Package, they would be unable to exercise themselves certain procedural rights individually, and in particular they would not be in a position to instruct the lawyers and direct the proceedings individually. In addition, it is also understandable that proceedings involving several thousand claimants cannot be conducted in the same manner as proceedings with a handful of claimants, and that the coordination and management of such proceedings may therefore affect the scope of power and freedom of the parties to decide on how to conduct the proceedings. The question may arise whether this cutting into Claimants’ rights may have gone too far. This question is however not a question of consent: Claimants knew what they were doing. It is a question of admissibility: Is it admissible for Claimants to entrust a third party with rights as extensive as those of TFA? This question will thus be addressed together with other issues of admissibility (see §§ 536 et seq. below). 458. (ii) With regard to Claimants’ inability to sue the banks whilst ICSID arbitration is ongoing, the Tribunal finds that this restriction (rightfully or wrongfully) indeed benefits the banks. Under the TFA Mandate Package scheme, banks are protected from being sued by Claimants as long as the ICSID arbitration is ongoing and Claimants participate thereto. Based thereon, Respondent alleges that TFA, whose membership is composed of such banks, is affected by a conflict of interest which truncates Claimants’ consent. The Tribunal holds that the restriction imposed on Claimants with regard to the temporary limitation to sue the banks is neither fraudulent, nor does it attach Claimants’ consent with any essential mistake. The reasons are the following: — Whilst the representation mechanism implemented by the TFA Mandate Package does impose certain restrictions on Claimants, it should not be forgotten that it also actually entitles Claimants to conduct ICSID arbitration, at the cost and expense of the TFA’s member banks. Indeed, it is very unlikely that many of the Claimants would individually be in a position to initiate and conduct ICSID arbitration, if they had to finance the arbitration themselves. — It is further true that the TFA member banks may indirectly benefit from this scheme, since there is a likelihood of reducing the risks that they get sued by Claimants. However, there is no certainty regarding the existence of scope of any claims against the TFA member banks and these banks are actually paying a certain price for this « risk reduction, » since they are financing the ICSID proceedings. In other words, from TFA’s perspective, the TFA Mandate Package is a sort of a risk insurance, for which they pay a premium (the cost of the ICSID arbitration), in return for which they are protected to a certain extent against a risk (lawsuits from Claimants). 459. This scheme may appear uncommon and it raises questions relating to TFA’s role in the proceedings, such as issues of conflict of interests between TFA and Claimants. However, these are more considerations of admissibility of the proceedings, rather than of consent of Claimants (see §§ 529 et seq. below). The key factor with regard to Claimants’ consent is not related to the motivations of TFA, but rather to the question whether through the TFA Mandate Package Claimants’ were fraudulently induced in doing something they did not want to do, or whether they unconsciously waived a right or lost an option, which — if conscious thereof — they would not have been willing to concede at the price of being able to conduct ICSID arbitration. 186 © Copyright - Giuffrè Editore 460. Respondent argues that Claimants would not have agreed to ICSID arbitration had they been better aware of the risks related to such ICSID arbitration, in particular the alleged risk of losing their potential claims against the TFA member banks. The Tribunal finds that Respondent has failed to bring sufficient evidence supporting such contention. 461. The Tribunal holds that the TFA Mandate Package contains sufficient information to allow Claimants to make an informed consent. It clearly sets forth that during the ICSID arbitration Claimants cannot simultaneously initiate legal claims against the TFA member banks and that the statute of limitation for such claims is not tolled. Further, it is also comprehensive with regard to the way the proceedings will be conducted, restricting Claimants from exercising themselves a number of decisional and procedural rights. Of course, one could argue that some information of the TFA Mandate Package could have been better explained or should have been more comprehensive. However, one should also take into account that the present dispute is not a consumer dispute, although a number of the Claimants may have a consumer like profile. It is a dispute surrounding multi faceted financial investments. Thus, the degree and nature of the information provided did not need be of the same extent and nature than in the context of pure consumer transactions, and TFA was entitled to assume a certain level of sophistication and knowledge of the investors. 462. Thus, based on the information contained in the TFA Mandate Package the Tribunal finds that it allowed Claimants to make an informed choice between (i) ICSID arbitration at the cost of TFA and at the temporary detriment of Claimants’ potential claims against TFA’s member banks, or (ii) civil litigation against the banks, at Claimants’ own expense and without the option of simultaneous ICSID arbitration against Argentina. 463. In addition, even if the TFA Mandate Package did not contain sufficient information or did to some extent misrepresent certain information, such a flaw would have been cured by the subsequent events. Indeed, various associations started to assist Italian purchasers of Argentinean bonds by disseminating information on available legal means and even by supporting them in the revocation of the TFA Mandate Package, the tolling of the prescription period and/or the filing of legal claims against the banks. Thus, even if at the time of signature of the TFA Mandate Package, some of the Claimants did not have a full picture of what they were doing, they were able to get such a full picture afterwards through the various actions of associations, legal proceedings and news reports on the ongoing ICSID arbitration. Given that Claimants themselves do not invoke a lack of consent, it is sufficient that they were in a position to appreciate the scope of their commitment to ICSID arbitration, and it is irrelevant whether or not they eventually really understood such commitment. 464. Thus, whilst the Tribunal does not take a position on TFA’s representation scheme resembling a « seduction operation, » there is no indication that such operation was systematically fraudulent, coercive or otherwise caused Claimants to agree to ICSID arbitration based on an essential mistake. 465. Consequently, the Tribunal considers that there is at this stage no indication that Claimants’ consent to ICSID arbitration through the TFA Mandate Package and the initiation of the present proceedings by White & Case in accordance with such package would be invalid. 187 © Copyright - Giuffrè Editore (d) Conclusion 466. In conclusion and in response to Issue No. 2, the Tribunal holds that the way in which Claimants consented to the ICSID arbitration through the relevant documents contained in the TFA Mandate Package is — as a matter of principle — valid. In particular: (i) Based on the circumstances leading to the execution of the documents embodying Claimants’ consents, in particular, the Declaration of Consent and the Power of Attorney, there is at this stage no indication that such execution would have been achieved based on systematical fraud, coercion or essential mistake vitiating Claimants’ consent; (ii) Whether or not such fraud, coercion or mistake may exist with regard to individual Claimants based on the specific circumstances of the individual case remains open and will be addressed, to the extent necessary and appropriate, when dealing with issues concerning individual Claimants; (iii) Questions regarding TFA’s specific role and relevance, as well as issues relating to conflict of interests or breach of professional obligations by White & Case are issues relating to the admissibility of the proceedings, and not to the validity of Claimants’ consent. They will be addressed, to the extent necessary and appropriate, when dealing with the issue of admissibility (see § 642 et seq. below). (6) Subject to Argentina’s Written Consent — Issues 1(a), 4 & 8 (a) Issues and Relevant Legal Provisions 467. It is uncontested that through Article 8(3) BIT, Argentina, in principle, consented to ICSID arbitration with regard to a dispute falling within the scope of the BIT and according to the terms and conditions set forth therein. Whilst the principle is not contested, the scope and the modalities of this consent are disputed. In particular, it is disputed between the Parties whether Respondent’s consent, as expressed in the BIT, covers « mass claims » within the context of sovereign debt restructuring. 468. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal here are the following: — What is the scope of Argentina’s consent under Article 8, and in particular: (i) Does the fact that the dispute relates to sovereign debt restructuring somehow exclude Argentina’s consent to ICSID arbitration? (ii) Which are the elements of the dispute that must be covered by Argentina’s consent, and in particular: — Is the multiplicity of Claimants an element that must be covered by Argentina’s consent or is it only a procedural modality? (see Issue 1(a) of the List of 11 Issues of 9 May 2008) — Is the previous negotiation and litigation requirement an element which draws the limits of the consent, or is it a modality of the consent? (see Issue 4 of the List of 11 Issues of 9 May 2008) (iii) Based thereon, can Argentina be considered to have consented to the present proceedings? (see Issue 1(a) of the List of 11 Issues of 9 May 2008) — What are, if any, the effects of the contractual forum selection clauses in 188 © Copyright - Giuffrè Editore the relevant bond documents on Argentina’s consent? (see Issue 8 of the List of 11 Issues of 9 May 2008) 469. The key legal provisions and other documents in dealing with the above issues are the following: Articles 1 and 8 BIT in connection with Article 25(1) ICSID Convention, (see §§ 336 and 268 et seq. above), as well as the forum selection clauses contained in the relevant bond documents. (b) Parties’ Positions 470. With regard to Argentina’s consent, Respondent contends that it has not and cannot be considered to have consented in any of the relevant instruments to ICSID arbitration over a dispute relating to sovereign debt restructuring and taking the form of an unprecedented mass action. 471. Respondent bases its position on the following main arguments: (i) The ICSID framework is silent concerning the possibility of collective proceedings; (ii) At the time of the conclusion of ICSID Convention and BIT, collective claims were allowed neither in Italy nor in Argentina, and could therefore not have been envisaged by Argentina; (iii) The present proceeding is an unprecedented proceeding, neither Party could have expected; (iv) The present proceeding would change the nature of ICSID claims as it was envisioned, from one focused on studied analysis of the grievances brought by an individual investor for a singular, precise harm, to one focused on mass or class claims in which the circumstances of each Claimants can no longer be realistically examined and the peculiarities of each investment are ignored in favor of the lowest common denominator; (v) The opening of ICSID arbitration with regard to sovereign debt restructuring would be counterproductive and go against current efforts to modernize foreign debt restructuring process; (vi) The forum selection clauses contained in the bond documents clearly show that Argentina did not consent to submit the disputes arising from the bonds to ICSID arbitration; (vii) Argentina’s consent to ICSID arbitration is, in any event, conditional upon the compliance with the preliminary negotiation and litigation requirement set forth in Articles 8(1) and (2). 472. In contrast, Claimants contend that Argentina validly consented to submit a dispute like this one to ICSID arbitration: (i) Claimants contend that Respondent gave its express consent to ICSID arbitration in the BIT and its consent contains no limitation on the number of Claimants who may submit such dispute. This is evidenced by the use of the plural in Article 8 BIT, as well as by the nature of some of the types of investment listed in Article 8(1) BIT, which necessarily implies a plurality of investors; (ii) Claimants further submit that the existence of forum selection clause contained in the contractual documents may not influence the validity of the consent given by Argentina with regard to treaty claims; (iii) Claimants finally contend that Article 8 sets forth three alternative dispute resolution mechanisms, none of them being a pre-condition to the others. Consequently, the non-compliance with the negotiation or litigation mechamism 189 © Copyright - Giuffrè Editore provided in Article 8(1) and Article 8(2) has no bearing on Respondent’s consent to arbitration. (c) Tribunal’s Findings (i) In General 473. As mentioned above (§ 258), within the context of BIT based arbitration, it is widely admitted that consent of the Host State is given through the provision in the relevant BIT of a dispute resolution clause providing for ICSID arbitration. This is the case of Article 8, in particular Articles 8(3) and 8(5) BIT, in which Argentina consented to submit « disputes relating to investments » and « in relation to the issues governed by this Agreement » to ICSID arbitration, if so chosen by the investor. 474. As arises from sections (2) and (3) above, the present dispute is a dispute arising out of the BIT and relating to an investment. So far, it is a dispute falling within the scope of Argentina’s consent as expressed in Article 8 BIT. 475. In view of the specificities of the present arbitration, the question arises whether Respondent’s consent covers all relevant elements of the present dispute. (ii) Regarding Foreign Debt Restructuring 476. With regard to Respondent’s argument that ICSID arbitration should be excluded concerning disputes arising from foreign debt restructuring, the Tribunal finds that this argument is without merit. 477. It is to be recalled that a State has the possibility under Article 25(4) ICSID Convention to notify the Centre of the class or classes of disputes from that it would not consider submitting to the jurisdiction of the Centre. No such notification has been made by Argentina. 478. In the absence of such notification, the core question with regard to ICSID’s jurisdiction is whether the investment at stake is protected under the concerned BIT providing for ICSID arbitration in case of breach of such protection. If this is the case, then the State’s consent must be considered to extend to such investment and the dispute falls within the scope of ICSID’s jurisdiction. 479. To the extent that the Tribunal has accepted that actions of Argentina relating to its foreign debt restructuring may, in principle and under certain circumstances, affect Claimants’ rights and are therefore susceptible of constituting a violation of provisions of the BIT (see §§ 311-330, 331 above), there is no reason to exempt foreign debt restructuring situations from the scope of application of the BIT. (iii) Regarding« Mass Claims » 480. It should be stressed that there is no uniform terminology concerning the various kinds of proceedings involving a high number of parties, and that various jurisdictions, courts and authors refer to different terms and meanings. For the sake of simplicity and clarity, the Tribunal will refer to « mass proceedings » as a qualification for the present proceedings, whereby this term should be understood as referring simply to the high number of Claimants appearing together as one mass, and without any prejudgment on the procedural classification of the present proceedings as a specific kind of « collective proceedings » recognized under any specific legal order. 481. Respondent contends that its consent does not extend to disputes taking the form of « mass proceedings, » mainly because the « mass » aspect of the proceedings is not possible within the normal ICSID framework and implies 190 © Copyright - Giuffrè Editore adaptations to such framework, which cannot be done by the Tribunal itself and are of such importance that they must be specifically covered by Respondent’s consent. 482. In order to determine whether the « mass » aspect of the present arbitration should be subject to the express consent of Respondent, it is first necessary to examine more in detail the nature and characteristics of such proceedings, which fall under the more general concept of « collective proceedings. » 483. (i) Types of Collective Proceedings and their Key Features. It is impossible to list all the various types of collective proceedings existing worldwide within the context of court litigation or arbitration. A certain categorization into two main types of collective proceedings is, however, possible: — Representative proceedings: Some jurisdictions address collective injuries by creating mechanisms allowing claims to be brought for representative relief. Whilst forms of representative relief vary greatly, they have in common that a high number of claims arise as one single action. The mechanism in which these claims are brought together vary and can be categorized by reference to their approach to three different issues: (i) the nature of the claim, with regard to which representative relief can take the form of a purely procedural device available regardless of the type of substantive law at issue, or be limited to certain fields of law (e.g., consumer law, antitrust, ecc.); (ii) the nature of the representative, who can be a private named individual on behalf of a large group of unnamed others or an approved intermediary entity on behalf of all injured individuals; (iii) the nature of the relief, which can take the form of individual damages or representative relief (e.g., declaratory or injuctive relief). — Aggregate proceedings: Some jurisdictions address collective injuries through judicial aggregation of claims, such as, for example, the English Group Litigation Order (GLO), which results in the creation of a judicial registry of individual claims that arise out of the same fact pattern, and then are assigned to the same judge for management purposes. Whilst this sort ofcollective proceeding is relatively uncontroversial in the context of court proceedings, where courts can simply apply pre-existing rules of procedure regarding joinder, intervention or consolidation to create the necessary procedure, the situation is more delicate in the context of arbitration. Although certain principles and mechanisms have developed through the concept of « multiparty and multicontract arbitrations, » typically involving a handful of parties, many issues remain where the number of parties reaches the « mass » level. 484. The Tribunal will refrain from trying to identify and give a name to further sub-categories in order to avoid endless discussions over the correct terminologies. Suffice is to say that although various legal systems have developed certain types of collective proceedings, their scope, modalities and effects remain different from one jurisdiction to another, and that there is, as of today, no harmonized approach towards such collective proceedings. Nevertheless, it appears that all these various forms of collective proceedings share a common « raison d’être »: Collective proceedings emerged where they constituted the only way to ensure an effective remedy in protection of a substantive right provided by contract or law; in other words, collective proceedings were seen as necessary, where the absence of such mechanism would de facto have resulted in depriving the claimants of their substantive rights due to the lack of appropriate mechanism. 191 © Copyright - Giuffrè Editore 485. The issues raised by the development of collective proceedings are manifold and depend on the type of collective proceedings. In the context of arbitration, these issues arise in slightly different terms and focus mainly around the following problems: Representative proceedings raise issues relating to consent, especially for those who subscribe to a view of arbitration that requires the parties’ explicit consent not only to arbitration of the dispute but also to the procedure to be used in the arbitration. In contrast, aggregate proceedings raise issues of a more technical nature, in particular the question whether ordering the parties to proceed collectively is within the scope of the Tribunal’s discretion and authority. 486. Looking at the way the present arbitration was initiated, the present proceedings appear to be aggregate proceedings, in which each individual Claimant is aware of and consented to the ICSID arbitration. As such, the present proceedings cannot be compared to US class-actions, in which a representative initiates a proceeding in the name of a class composed of an undetermined number of unidentified claimants. In the present arbitration, the number of Claimants is established and so is their identity. 487. However, one cannot ignore that some features of the present proceedings, in particular the way it is conducted, resemble representative actions: Although Claimants made the individual and conscious choice of participating to the arbitration, their participation is thereafter limited to a passive participation in the sense that a third party, TFA, represents their interests and makes on their behalf all the decisions relating to the conduct of the proceedings. The high number of Claimants further makes it impossible for the representative to take into account individual interests of individual Claimants, and rather limits the proceedings to the defense of interests common to the entire group of Claimants. 488. In summary, the present proceedings seem to be a sort of a hybrid kind of collective proceedings, in the sense that it starts as aggregate proceedings, but then continues with features similar to representative proceedings due to the high number of Claimants involved. 489. (ii) « Mass » Aspect and Consent. As mentioned above (see §§ 453-455 and § 474), both Parties have consented to ICSID arbitration as dispute resolution method for disputes arising out of the BIT. The only remaining question is whether a specific consent regarding the specific conditions in which the present arbitration would be conducted is required, i.e., regarding the form of collective proceedings. 490. This question led the Tribunal to the conclusion that the answer should be in the negative, mainly for the following reasons: — Assuming that the Tribunal has jurisdiction over the claims of several individual Claimants, it is difficult to conceive why and how the Tribunal could loose such jurisdiction where the number of Claimants outgrows a certain threshold. First of all, what is the relevant threshold? And second, can the Tribunal really “loose” a jurisdiction it has when looking at Claimants individually? — In addition, the collective nature of the present proceeding derives primarily from the nature of the investment made. The ICSID Convention aims at promoting and protecting investments, without however further defining the concept of investment and leaving this task to the parties through relevant instruments such as BITs (see §§ 257 and 362 et seq. above). Thus, where the BIT covers investments, such as bonds, which are susceptible of involving in the context of the same investment a high number of investors, and where such 192 © Copyright - Giuffrè Editore investments require a collective relief in order to provide effective protection to such investment, it would be contrary to the purpose of the BIT and to the spirit of ICSID, to require in addition to the consent to ICSID arbitration in general, a supplementary express consent to the form of such arbitration. In such cases, consent to ICSID arbitration must be considered to cover the form of arbitration necessary to give efficient protection and remedy to the investors and their investments, including arbitration in the form of collective proceedings. 491. Thus, with regard to the « mass » aspect of the present proceedings, the Tribunal considers that the relevant question is not « has Argentina consented to the mass proceedings? », but rather « can an ICSID arbitration be conducted in the form of “mass proceedings” considering that this would require an adaptation and/or modification by the Tribunal of certain procedural rules provided for under the current ICSID framework? ». If the answer is in the affirmative, then Argentina’s consent to ICSID arbitration includes such mass aspect. If the answer is in the negative, then ICSID arbitration is not possible, not because Argentina did not consent thereto but because mass claims as the ones at stake are not possible under the current ICSID framework. 492. Consequently, the Tribunal is of the opinion that the « mass » aspect of the present proceedings relates to the modalities and implementation of the ICSID proceedings and not to the question whether Respondent consented to ICSID arbitration. Therefore, it relates to the question of admissibility and not to the question of jurisdiction. It will thus be addressed below when dealing with admissibility issues (see §§ 515 et seq. below). (iv) Regarding the Negotiation and 18 Months Litigation Requirement 493. Respondent argues that the requirement of negotiation and litigation set forth in Articles 8(1) and 8(2) are of such a nature and importance that they constitute an essential part of and motive for Respondent’s consent to ICSID arbitration. In other words, Respondent contends that it would not have consented to ICSID arbitration if such arbitration had not been made conditional upon the implementation of a prior mechanism of negotiation and 18 months litigation. 494. The present issue comes down to the following question: What is conditional? Respondent’s consent to ICSID jurisdiction or the implementation of such consent in a case as the present one? Indeed, there is a difference between conditioning its consent to ICSID jurisdiction to the fulfilment of a pre-condition, and conditioning the effective implementation of such consent, i.e., the possibility to resort to ICSID arbitration, to the fulfilment of such a pre-condition. 495. In the case at hand, the question is not as much « has Argentina consented to ICSID jurisdiction? ». This would make little sense in the light of Argentina’s adherence to the Washington Convention and its acceptance of ICSID arbitration under Article 8 BIT for the present type of dispute (see § 474 above). The question is rather « under what circumstances will ICSID arbitration be possible under the terms of Argentina’s consent? ». 496. The Tribunal is of the opinion that the negotiation and 18 months litigation requirements relate to the conditions for implementation of Argentina’s consent to ICSID jurisdiction and arbitration, and not the fundamental question of whether Argentina consented to ICSID jurisdiction and arbitration. Thus, any non-compliance with such requirements may not lead to a lack of ICSID jurisdiction, and only — if at all — to a lack of admissibility of the claim, and will 193 © Copyright - Giuffrè Editore thus be addressed when dealing with issues of admissibility (see §§ 567 et seq. below). (v) Regarding the Forum Selection Clauses 497. Respondent further argues that the introduction of forum selection clauses in the relevant bond documents is to be interpreted as an exclusion of consent to ICSID arbitration for disputes deriving from such bonds. 498. The Tribunal cannot follow Respondent in this respect as it conflates contract claims and treaty claims. As explained above (see §§ 316 et seq.), even though Claimants claims relate to the bonds, they are based on alleged breaches by Argentina of the BIT and not on contractual rights provided to Claimants under the bond documents. The forum selection clauses apply only to claims based on contractual rights, and may not affect treaty claims, which the bond documents did neither anticipate nor deal with. 499. Consequently, the presence of forum selection clauses in the contractual bond documents is irrelevant for the assessment of the existence and/or validity of Argentina’s consent to ICSID arbitration. (d) Conclusion 500. In conclusion and in (partial) response to Issues Nos. 1(a), 4 and 8, the Tribunal finds that Argentina validly consented to submit the present dispute to ICSID jurisdiction and arbitration. In particular: (i) The fact that the present dispute relates to foreign debt restructuring is per se irrelevant to the determination of Argentina’s consent to ICSID arbitration; (ii) Argentina’s consent to ICSID jurisdiction includes claims presented by multiple Claimants to the extent that such claims are admissible under the ICSID framework; (iii) The negotiation and litigation requirement provided in Articles 8(1) and (2) of the BIT does not condition Argentina’s consent to ICSID jurisdiction and arbitration, and merely relates to the circumstances under which such consent is to be given full effect and be implemented; (iv) The presence of forum selection clauses in the contractual bond documents are irrelevant to the determination of Argentina’s consent to ICSID arbitration. (7) Conclusion on Jurisdiction [omissis] D. ADMISSIBILITY (1) Introductory Remarks OF THE CLAIM 504. In section C above, the Tribunal has established that it has — as a matter of principle and without making a determination with respect to any individual Claimants — jurisdiction over the present dispute. However, in order for the Tribunal to hear the present case, it is further necessary that the claims raised by Claimants be admissible. 194 © Copyright - Giuffrè Editore 505. As mentioned above (see §§ 245 et seq.), the difference between jurisdictional and admissibility issues is not always clear. Consequently, some of the issues addressed in this section may have been invoked by the Parties within the context of the Tribunal’s jurisdiction. However, the Tribunal considers that these issues are not matters of jurisdiction but of admissibility. Where this applies, any argument raised by the Parties with regard to these issues and aiming to establish a lack of jurisdiction is addressed below as an argument of lack of admissibility. (2) Mass Action — Issue 1(b) (a) Issues and Relevant Legal Provisions 506. Although the Tribunal considers that the « mass » aspect is not a hurdle to its jurisdiction, it must further examine whether this « mass » aspect is — as it is a point of dispute between the Parties — admissible under the current ICSID framework. 507. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal here are the following: — Is a « mass action » like the present one compatible with the current ICSID framework and spirit, also giving due regard to the existing framework for sovereign debt restructuring? — If so, what are the procedural adaptations that the Tribunal would need to implement in order to make such a « mass action » workable in an ICSID arbitration. In particular: (i) With regard to admissibility requirements, should the Tribunal refer to principles applicable to « class actions » and other aggregate litigations as known under certain legal regimes? (ii) With regard to modalities of the procedure, may the Tribunal limit procedural rights of one Party where such limitation is necessary to ensure the other Party’s procedural rights? — Are such adaptations covered by the Tribunal’s power to decide on procedural issues? 508. The key legal provisions in dealing with the above issues are the following: Article 44 ICSID Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules. 509. Article 44 ICSID Convention provides as follows: « Any arbitration proceeding shall be conducted in accordance with the provisions of this Section and, except as the parties otherwise agree, in accordance with the Arbitration Rules in effect on the date on which the parties consented to arbitration. If any question of procedure arises which is not covered by this Section or the Arbitration Rules or any rules agreed by the parties, the Tribunal shall decide the question. » 510. Article 19 ICSID Arbitration Rules provides as follows: « The Tribunal shall make the orders required for the conduct of the proceeding. » (b) Parties’ Positions 511. Respondent contends that mass proceedings as the present one are not 195 © Copyright - Giuffrè Editore admissible under the current ICSID framework. To support its position, Respondent brings forward the following main arguments: (i) The ICSID framework does not provide and does not allow mass claims. Article 44 ICSID Convention simply permits the Tribunal to decide procedural questions with respect to matters over which it already has jurisdiction. It does not provide a basis for the Tribunal to exercise jurisdiction over proceedings that are not authorized by the ICSID Convention and to which the parties did not consent in the relevant BIT; (ii) The present mass action cannot be compared to a multi-party arbitration, and resembles more a type of class action. Even if such mass claim was considered allowed under the current ICSID framework, the way this arbitration was initiated and conducted is not in compliance with generally recognized principles applicable to class actions and similar collective proceedings (e.g., regarding the role and position of the representative); (iii) Such mass claim proceedings are unmanageable because individualized facts and circumstances are relevant not only for the merits but also for the jurisdiction (e.g., whether the specific investment was made in accordance with applicable laws, whether the Claimants’ signature are all authentic, ecc.) and could not be duly ascertained. 512. In addition, Respondent contends that the opening of ICSID arbitration with regard to sovereign debt restructuring would be counter-productive in so far as it would encourage hold outs. As such, it would go against current efforts to modernize foreign debt restructuring processes. Consequently, in order to preserve the efficiency of foreign debt restructuring mechanisms, the Tribunal should deem the present claims inadmissible. 513. In contrast, Claimants contend that the present mass proceedings are within the jurisdictional limits of ICSID, the question of its management being a question of mere procedure covered by Article 44 ICSID Convention and thereby within the power of the Tribunal. Claimants’ main arguments are as follows: (i) This proceeding is not different from any other multi-party arbitration, the only particularity being the unusually high number of Claimants. Multi-party proceedings are widely admitted under current ICSID arbitration practice, and since the ICSID framework contains no limitation on the number of possible parties, there is no reason to treat this claim differently from any other multi-party arbitration; (ii) Collective proceedings are further consistent with the purpose and object of the BIT, since the high number of Claimants is inherent to the nature of the investments protected by the BIT (see § 490 above); (iii) The present claims are proper and manageable: (a) Claimants are from a single jurisdiction, they have identical claims arising out of the same State measures under the same BIT and stand in an identical posture vis-á-vis Respondent; (b) the individual facts and issues detailed by Respondent (i.e., the individual circumstances of the purchase of the bonds) are not material to the Tribunal’s core task of determining whether a specific set of actions taken by Argentina constituted a violation of the BIT; (c) Argentina’s due process rights would not be infringed; and (d) the Tribunal is well-equipped to adopt procedures to handle the claims under Article 44 ICSID Convention. Consequently, it is only just and efficient to hear these cases jointly. 196 © Copyright - Giuffrè Editore 514. With regard to the policy argument raised by Respondent, Claimants contend that Respondent’s view is outdated and irrelevant. The major threat to the efficiency of foreign debt restructuring would be rogue debtors, such as Argentina. Consequently, opening the door to ICSID arbitration would create a supplementary leverage against such rogue debtors and therefore be beneficial to the efficiency of foreign debt restructuring. (c) Tribunal’s Findings 515. As mentioned above (see §§ 489-492), the Tribunal finds that the issue of whether or not the present mass proceedings could be conducted in the form of collective proceedings is an issue of admissibility and not of consent. 516. To recall, Respondent contends that arbitration in the form of collective proceedings is not provided for by ICSID, that this silence is a « qualified silence » that should be interpreted to mean that collective arbitration is not possible and not admissible under the current ICSID framework, and in particular that the Tribunal cannot rely on Article 44 ICSID Convention or Rule 19 ICSID Arbitration Rules to create its own solution to the problems raised by the high number of Claimants. 517. It is undisputed that the ICSID framework contains no reference to collective proceedings as a possible form of arbitration. The key question here is how to interpret this silence. In particular, the Tribunal is tasked with the assessment of whether this silence should be considered a « qualified silence, » meaning an intended silence indicating that it does not allow for something that is not provided, or whether it is to be considered a « gap, » which was unintended and which the Tribunal has the power to fill. In the latter case, the Tribunal shall further determine whether the adaptations which would be needed to fill this gap, i.e., to manage the present proceedings, fall within the scope of its powers as deriving from Article 44 ICSID Convention and/or Rule 19 ICSID Arbitration Rules. (i) Interpretation of the Silence of the ICSID Framework 518. As mentioned above (see §§ 489-492), the Tribunal finds that, in the light of the absence of a definition of investment in the ICSID Convention, where the BIT covers investments which are susceptible of involving a high number of investors, and where such investments require a collective relief in order to provide effective protection to such investment, it would be contrary to the purpose of the BIT, and to the spirit of ICSID, to require in addition to the consent to ICSID arbitration in general, a supplementary express consent to the form of such arbitration. 519. For these same reasons and as further developed below, the Tribunal finds that it would be contrary to the purpose of the BIT and to the spirit of ICSID to interpret this silence as a « qualified silence » categorically prohibiting collective proceedings, just because it was not mentioned in the ICSID Convention: — First, at the time of conclusion of the ICSID Convention, collective proceedings were quasi inexistant, and although some discussions seem to have taken place with regard to multi-party arbitrations, these dicussions were not conclusive on the intention to either accept or refuse multi-party arbitrations, and even less so with regard to the admissibility of collective proceedings; — ICSID sets forth a standard arbitration mechanism. Insofar as investments can be of a varying nature and scope, it is possible that the current ICSID procedure may not be fully adapted to resolve a dispute arising out of any kind of investment. Indeed, where an investment, protected under a BIT providing for 197 © Copyright - Giuffrè Editore ICSID arbitration, shows certain particular characteristics, these characteristics may influence the way of conducting the arbitration, and lead the Tribunal to make certain adaptations to the standard procedure in order to give effect to the choice of ICSID arbitration. The need for certain adaptations to the standard ICSID arbitration procedure merley derives from the impossibility to anticipate all kinds of possible investments and disputes, and is certainly not a sufficient motive to simply close the door of ICSID arbitration to investors who are not « standard investors » having made « standard investments. » However, it is understood that adaptations made to the standard procedure must be done in consideration of the general principle of due process and must seek a balance between procedural rights and interests of each party. 520. Thus, the silence of the ICSID framework regarding collective proceedings is to be interpreted as a « gap » and not as a « qualified silence. » Consequently, the Tribunal has, in principle, the power under Article 44 ICSID Convention to fill this gap. However, this does not mean that the scope of this power is unlimited. Rather, the Tribunal is bound by the limits set forth by Article 44 ICSID Convention. (ii) Powers of the Arbitral Tribunal under Article 44 ICSID Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules 521. As mentioned above (see § 509), Article 44 ICSID Convention provides that where the ICSID framework is silent on a procedural question, which is also not subject to the parties’ agreement, the Tribunal shall decide the question. Within the context of arbitration proceedings, this rule is further complemented by Rule 19 ICSID Arbitration Rules, according to which « the Tribunal shall make the orders requie for the proceeding. » These provisions are the mere expression of the inherent power of any tribunal to resolve procedural questions in the event of lacunae. 522. As a matter of principle, the power of a tribunal is limited to the filling of gaps left by the ICSID Convention and the Arbitration Rules. In contrast, a modification of existing rules can only be effected subject to the parties’ agreement, in accordance with minimum standards of fair procedure and to the extent that the rules to be modified are not mandatory (in the sense that they restate mandatory provisions of the Convention). 523. A tribunal’s power is further limited to the filling of gaps left by the ICSID framework in the specific proceedings at hand, and a tribunal’s role is not to complete or improve the ICSID framework in general. As such, a tribunal’s power to fill gaps will usually be limited to the design of specific rules to deal with specific problems arising in the proceedings at hand. 524. Considering the above, the Tribunal cannot: — modify the current arbitration rules without the Parties’ consent. A revision of the ICSID Arbitration Rules can only be done by the Administrative Council, which is the body competent to adopt the Arbitration Rules under Article 6(1)(c) ICSID Convention; or — adopt a full set of rules of procedure unless the Parties have agreed that the Arbitration Rules adopted by the Administrative Council should not apply without substituting their own rules. 525. The Tribunal, however, can and ought to fill gaps left where the application of existing rules are not adapted to the specific dispute submitted to 198 © Copyright - Giuffrè Editore ICSID arbitration. In such a case, the filling of the gap does not consist of an amendment of the written rule itself, but rather of an adaptation of its application in a specific case. 526. As mentioned above (see §§ 518-520), the Tribunal finds that the silence of the ICSID Convention concerning collective proceedings is to be seen as a « gap ». As such, the Tribunal has, in principle, the power to fill this gap. The key question at hand thus, is the following: Can the Tribunal fill the gap created by the collective aspect of the claim on an ad hoc basis and through the design of specific rules, or would this require the creation and/or modification of general rules which are under the competence of the Administrative Council? 527. This question cannot (and should not) be answered in the abstract. Not only would this imply creating general principles thereby relying on a terminology, which is as diverse and varied as the currently existing forms and modalities of collective proceedings, but it would also go beyond the powers of the Tribunal to fill a specific gap regarding the conduct of specific proceedings. What the Tribunal however can (and should) do is to analyse this question in a concrete manner, i.e., asking itself (i) what are the specific rules that would be necessary in order to be able to conduct the present proceedings under the ICSID framework, and (ii) can these specific rules, in the light of their nature and scope, be considered to fall within the power of the Tribunal as deriving from Article 44 ICSID Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules. 528. When answering these questions, the Tribunal shall, in accordance with the principles of interpretation of treaties, not only ask itself whether, from a technical perspective, it can make such adaptations, but also whether, based on the object and purpose of the ICSID Convention, it should do so. (iii) Nature of the Necessary Adaptations to the ICSID Standard Procedure 529. Notwithstanding the high number of Claimants involved, the Tribunal must examine not only the elements necessary to determine its jurisdiction (i.e., the nationality of the Claimants, their status of investor and the existence of their investment, ecc.), but also those necessary to establish Claimants’ claims and relating to the merits of the case (i.e., the existence of a breach by Argentina of its obligations under the BIT, the effect of such breach on Claimants’ investment, ecc.). Thus, the high number of Claimants may not serve as an excuse not to examine such elements and adaptations to the procedure may therefore not affect the object of the Tribunal’s examination. 530. However, it appears that adaptations to hear the present case collectively would concern not that much the object of the examination, but rather (i) the way the Tribunal will conduct such examination, and/or (ii) the way Claimants are represented. 531. With regard to the examination, it is undeniable that the Tribunal will not be in a position to examine all elements and related documents in the same way as if there were only a handful of Claimants. In this respect, the Tribunal would need to implement mechanisms allowing a simplified verification of evidentiary material, while this simplification can concern either the depth of examination of a document (e.g. accepting a scanned copy of an ID document instead of an original), or the number of evidentiary documents to be examined, and if so their selection process (i.e. random selection of samples instead of a serial examination of each document) 199 © Copyright - Giuffrè Editore (see §§ 668 et seq. below). However, such a simplification of the examination process is to be distinguished from the failure to proceed with such examination. 532. With regard to the mechanism of representation, it is true that TFA has been provided with powers which may go beyond the power granted to a normal agent under Rule 18 ICSID Arbitration Rules (see §§ 455 et seq. above). Admitting thepresent collective proceedings would thus also mean accepting TFA’s role as due representative of Claimants. 533. In conclusion, the procedure necessary to deal with the collective aspect of the present proceedings concerns the method of the Tribunal’s examination, as well as the manner of representation of Claimants. However, it does not affect the object of such examination. Further, the Tribunal remains obliged to examine all relevant aspects of the claims relating to Claimants’ rights under the BIT as well as to Respondent’s obligations thereunder subject to the Parties’ submissions. Thus, it is the manner in which the Tribunal will conduct such examination which may diverge from usual ICSID proceedings. (iv) Admissibility of the Necessary Adaptations 534. Considering the above (§§ 529-533), the adaptations required to deal with the collective aspect of the claims are issues which relate strictly to the manner of conducting the present proceedings, and in particular, how to collect and weigh evidence. In other words, the nature of these measures and their scope do not exceed the powers of the Tribunal as deriving from Article 44 ICSID Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules. 535. The Tribunal is entitled to proceed with such adaptations under the relevant provisions of the ICSID framework. As mentioned above (see § 528), the Tribunal is, however, of the opinion that it should not only examine whether it can do so but also whether it should do so based on the aim and purpose of the ICSID Convention and in particular, with regard to the equilibrium established by the Convention with regard to the Parties’ respective rights. 536. For this purpose, the Tribunal will firstly examine the implications of the intended adaptations. These implications are twofold: (i) It will not be possible to treat each Claimant as if he/she was alone and certain issues, such as the existence of an expropriation, will have to be examined collectively, i.e., as a group; and (ii) theimplications will likely limit certain of Claimants’ and Argentina’s procedural rights to the extent that Claimants have to waive individual interests in favor of common interests of the entire group of Claimants, while Argentina will not be able to bring arguments in full length and detail concerning the individual situation of each of the Claimants. 537. The Tribunal finds it appropriate to compare the consequences of these implications to the consequences of rejecting the claims for lack of admissibility and requesting each Claimant to file an individual ICSID claim. In this regard, the Tribunal finds that not only would it be cost prohibitive for many Claimants to file individual claims but it would also be practically impossible for ICSID to deal separately with 60,000 individual arbitrations. Thus, the rejection of the admissibility of the present claims may equal a denial of justice. This would be shocking given that the investment at stake is protected under the BIT, which expressly provides for ICSID jurisdiction and arbitration. 538. Thus, the question arises whether in the light of the present circumstances it would be justified to set strict boundaries to certain of the Parties’ 200 © Copyright - Giuffrè Editore procedural rights, while adapting a method of examination so as to give actual effective protection to the investment. The challenge lies in finding the right balance. 539. In the search for the right balance, the Tribunal considers the following issues to be relevant: (i) under what conditions is it acceptable to change the method of examination from individual to group treatment; (ii) to what extent are Argentina’s defense rights affected in comparison to 60,000 separate proceedings; and (iii) is it admissible to deprive Claimants of certain procedural rights, such as provided for under the TFA Mandate Package? 540. (i) Pre-conditions for group treatment: The Tribunal is of the opinion that group examination of claims is acceptable where claims raised by a multitude of claimants are to be considered identical or at least sufficiently homogeneous. Thequestion is thus whether Claimants’ claims are to be considered identical or sufficiently homogeneous. 541. In this respect, it is important to recall that the present proceedings concern only potential treaty claims and do not deal with any contractual claims Claimants may have against Argentina and/or the banks (see §§ 316-332 above). Thus, the identity or homogeneity requirement applies to the investment and the rights and obligations deriving therefrom based on the BIT and not to any potential contractual claims. In other words, in the present case, it is irrelevant whether Claimants have or do not have homogeneous contractual rights to repayment by Argentina of the amount paid for the purchase of the security entitlements. The only relevant question is whether Claimants have homogeneous rights of compensation for a homogeneous damage caused to them by potential homogeneous breaches by Argentina of homogeneous obligations provided for in the BIT. 542. Therefore, the specific circumstances surrounding individual purchases by Claimants of security entitlements are irrelevant. If Italian or other banks have breached any obligations they had towards Claimants or Argentina, such a breach is to be addressed in a recourse action against the relevant banks (see §§ 327-330 above) and is foreign and external to the present arbitration which concerns solely Argentina’s behavior with regard to Claimants’ investment. 543. With regard to the nature of the claims deriving from the BIT, it appears to be homogeneous: — The rights deriving from Claimants’ investment and Argentina’s obligations to protect these rights are the same with regard to all Claimants to the extent that they derive from the same BIT and the same provisions. Indeed, first, the provisions of the BIT invoked by Claimants are identical for all Claimants; second, the rights allegedly affected all derive from Claimants’ purchase inItaly of security entitlements in Argentinean bonds; third, all these security entitlements were subject to the Exchange Offer 2005 (see § 312 above); — The events leading to the alleged disregard of such rights and obligations, i.e. to the breach by Argentina of the relevant provisions, are the same towards all Claimants. They all relate to the acts of Argentina preceding and following its public default in December 2001, and in particular the way it consulted with its creditors, the way it reached a decision on how to deal with its foreign debt, as well as the way it implemented such decision, namely through its Exchange Offer 2005 and the legislation and regulations relating thereto. In doing so Argentina treated 201 © Copyright - Giuffrè Editore all Claimants in the same manner and did not differentiate between different kinds of Claimants (see § 313 above). — The legislation and regulations promulgated and implemented by Argengina, together with the implementation of its Exchange Offer 2005, affected all Claimants in the same way. Thus, the potential damage caused to Claimants is, by nature the same for all Claimants although the scope of such damage will of course depend on the scope of their individual investment. 544. Consequently, Claimants’ claims are to be considered sufficiently homogeneous to justify a simplification of the examination method and procedure. 545. (ii) Effects on Argentina’s defense rights: It appears that the effect of such examination method and procedure on Argentina’s defense rights is limited and relative. Whilst it is true that Argentina may not be able to enter into full length and detail into the individual circumstances of each Claimant, it is not certain that such approach is at all necessary to protect Argentina’s procedural rights in the light of the homogeneity of Claimants’ claims. In addition, the only alternative would be to conduct 60,000 separate proceedings. The measures that Argentina would need to take to face 60,000 proceedings would be a much bigger challenge to Argentina’s effective defense rights than a mere limitation of its right to individual treatment of homogeneous claims in the present proceedings. 546. (iii) Deprivation of Claimants’ procedural rights: It is undeniable that the TFA Mandate Package has the effect to depriving Claimants of a substantial part of their procedural rights, such as the decision on how to conduct the proceedings, the right to instruct the lawyers, ecc. However, as mentioned above (see §§ 457-465), the setting of strict boundaries in relation to Claimants’ procedural rights has been consciously accepted by Claimants in order to benefit from the collective treatment of their claims before an ICSID tribunal. In addition, the Tribunal did not find that such agreement was affected by any vice which would render it invalid. Consequently, the Tribunal sees no reason to disregard — as a matter of principle — Claimants’ conscious choice. 547. In conclusion, under the present circumstances, the procedure necessary to deal with Claimants’ claims in a collective way is admissible and acceptable under Article 44 ICSID Convention, Rule 19 ICSID Arbitration Rules, as well as under the more general spirit, object and aim of the ICSID Convention. (v) Policy Considerations 548. To recall (see § 476 above), the Tribunal found that Respondent’s arguments regarding the appropriateness of ICSID proceedings in the context of sovereign debt restructuring are not an impediment to the Respondent’s consent to ICSID arbitration. 549. Similarly, the Tribunal finds that those policy arguments are also not an impediment to the admissibility of Claimants’ claims. In the Tribunal’s view, such policy arguments are inapposite. As mentioned above (§ 478), the real question is whether the investment at stake is protected under a BIT providing for ICSID arbitration in case of breach of such protection. If this is the case, then ICSID has jurisdiction, and it would be wrong to hinder the effective exercise of such jurisdiction through the rejection of the admissibility of the claims based merely on policy considerations. This is all the more the case here as the present policy considerations are controversial and based on Respondent’s assumption that the 202 © Copyright - Giuffrè Editore biggest threat to the stability and fairness of sovereign debt restructuring are holdout creditors. 550. Policy reasons are for States to take into account when negotiating BITs and consenting to ICSID jurisdiction in general, not for the Tribunal to take into account in order to repair an inappropriately negotiated or drafted BIT. The present BIT is clear, it includes bonds and security entitlements (see §§ 352-361 above). Whether or not ICSID is the best way to deal with a dispute relating to these bonds and security entitlements in the context of foreign debt restructuring is irrelevant. The Parties chose ICSID arbitration for this kind of dispute. They, as well as the Tribunal, are bound by such choice and cannot evade it based on controversial policy reasons. (d) Conclusion 551. In conclusion and in (partial) response to Issue No. 1(b), the Tribunal holds that the mass aspect of Claimants’ claims does not constitute an impediment to their admissibility. In particular: (i) The silence of the ICSID framework regarding collective proceedings is to be interpreted as a « gap » and not as a « qualified silence; » (ii) The Tribunal has, in principle, the power under Article 44 ICSID Convention to fill this gap to the extent permitted under Article 44 ICSID Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules; (iii) The procedure necessary to deal with the collective aspect of the present proceedings concern the method of the Tribunal’s examination, as well as the manner of representation of Claimants. However, it does not affect the object of such examination. Thus, the Tribunal remains obliged to examine allrelevant aspects of the claims relating to Claimants’ rights under the BIT as well as to Respondent’s obligations thereunder subject to the Parties’ submissions; (iv) Such procedure is admissible and acceptable under Article 44 ICSID Convention, Rule 19 ICSID Arbitration Rules, as well as under the more general spirit, object and aim of the ICSID Convention; (v) Respondent’s policy arguments regarding the appropriateness of ICSID proceedings in the context of sovereign debt restructuring are irrelevant for the determination of the admissibility of the claims. [omissis] (4) 18 Months Litigation Requirement — Issues 4 & 5 (a) Issues and Relevant Legal Provisions 567. To recall, Article 8(2) BIT provides for a requirement to resort to local courts for a duration of 18 months in case the previously-conducted consultations have failed.The Parties hold diverging views as to the nature of this litigation requirement and the consequence of a non-compliance therewith on the admissibility of the present claims. 568. On the basis of the Parties’ submissions, the specific issues to be determined by the Tribunal in this regard are the following: — Is the 18 months litigation requirement a mandatory prior prerequisite for the conduct of arbitration proceedings, the non-fulfillment of which constitutes a 203 © Copyright - Giuffrè Editore hurdle to the admissibility of a claim? (see Issue 4 of the List of 11 Issues of 9 May 2008) — If so, can Claimants be considered to have been released from the 18 months litigation requirement, either • based on the futility rule or • based on the MFN clause of Article 3(1) BIT in connection with the « more favorable » arbitration clause contained in the Argentina-Chile BIT? (see Issues 4 and 5 of the List of 11 Issues of 9 May 2008). 569. The key legal provisions and other documents in dealing with the above issues are the following: Articles 3(1) and 8(2)-(4) BIT and Article 10 Argentina-Chile BIT. 570. The wording and content of Articles 3(1) and 8(1) to (4) BIT is reproduced above at §§ 305 and §§ 267 et seq. 571. Article 10 Argentina-Chile BIT provides as follows in its Spanish authentic version: « (1) Toda controversia relativa a las inversiones en el sentido del presente Tratado, entre una Parte Contratante y un nacional o sociedad de la otra Parte Contratante será, en la medida de lo posible, solucionada por consultas amistosas entre las dos partes en la controversia. » (2) Si la controversia no hubiera podido ser solucionada en el término de seis meses a partir del momento en que hubiera sido planteada por una u otra de las partes, será sometida, a pedido del nacional o sociedad. — o bien a jurisdicciones nacionales de la Parte Contratante implicada en la controversia; — o bien al arbitraje internacional en las condiciones descriptas en el párrafo 3. Una vez que un nacional o sociedad haya sometido la controversia a las jurisdicciones de la Parte Contratante implicada o al arbitraje internacional, la elección de uno u otro de esos procedimientos será definitiva. (3) En caso de recurso al arbitraje internacional la controversia podrá ser llevada ante uno de los órganos de arbitraje designados a continuación a elección del nacional o sociedad; Al Centro Internacional de Arreglo de Diferencias Relativas a inversiones (CIADI), creado por el “Convenio sobre Arreglo de Diferencias Relativas a las Inversiones sobre Estados y Nacionales de otros Estados”, abierto a la firma en Washington el 18 de marzo de 1965, cuando cada Estado parte en el presente Convenio haya adherido a aquél. Mientras esta condición no se cumpla, cada Parte Contratante da su consentimiento para que la controversia sea sometida al arbitraje conforme con el Reglamento del Mecanismo Complementario del CIADI; A un tribunal de arbitraje ad hoc establecido de acuerdo con las reglas de arbitraje de la Comisión de las Naciones Unidas para el Derecho Mercantil Internacional (CNUDMI). » (b) Parties’ Positions 572. As mentioned above (see §§ 555 et seq.), Respondent contends that Article 8 BIT articulates a multi-layered, sequential dispute resolution system setting forth a three-step mandatory process which Claimants have not complied with and therefore, constitutes a jurisdictional bar. Accordingly to Respondent, this is in particular true with regard to the 18 months litigation requirement, which Claimants have not fulfilled. 204 © Copyright - Giuffrè Editore 573. Respondent further contends that the arguments invoked by Claimants in order to circumvent the 18 months litigation requirement are not convincing: (i) The mere argument that resort to domestic courts would involve time or money may not render such litigation « futile. » (ii) The Emergency Law does not prevent Claimants from submitting a dispute before the Argentinean courts under the BIT. (iii) Claimants may not invoke the MFN clause to circumvent the mandatory consultation requirement for the following reasons: (a) the MFN clause applies only to investments, not to dispute resolution mechanisms; (b) the MFN clause concerns only treatment « in the territory » of Argentina whereas arbitration is to be conducted abroad; (c) it cannot be stated that the resort to Argentinean courts is necessarily a « less favorable » treatment; and (d) even if the MFN clause operates to incorporate the dispute resolution clause under the Argentina-Chile BIT, Claimants have still failed to conduct adequate consultations so that the necessary requirements for arbitration under the Argentina-Chile BIT are not met either. 574. In contrast and as mentioned above (see § 558 above), Claimants contend that Article 8 BIT aims to provide the Parties with different options of dispute resolution and does not institute a compulsory multi-layered, sequential dispute resolution system. In other words, the 18 months litigation requirement is not a mandatory prior prerequisite for the initiation of arbitration proceedings and its non-compliance is therefore irrelevant. 575. Even if considered a mandatory preliminary requirement, Claimants submit that they should be relieved from having to comply with such requirement for the following two main reasons: (i) because conducting litigation before the Argentine courts would have been futile and would have defeated the very object and purpose of the BIT, and (ii) even if not considered futile, Claimants would be exempted from any potential obligation to go before local courts based on the broad wording of the MFN clause of Article 3(1) BIT, which entitles Claimants to invoke the more favorable dispute resolution clause contained in the Argentina-Chile BIT and which does not require prior court litigation.191 (c) Tribunal’s Findings 576. It is undisputed that Claimants did not submit their dispute to the Argentine courts before initiating the present arbitration. Thus, the first question is whether Claimants should have done so. (i) The System Put in Place by Article 8 BIT 577. Article 8 BIT provides for three different types of dispute resolution means: amicable consultations (Article 8(1)), proceedings before the ordinary or administrative courts of the concerned State (Article 8(2)), and international arbitration (Article 8(3)). As to the relationship between these three mechanisms, the Tribunal finds that both the structure of Article 8 BIT as well as its wording indicate a certain order among these three means: — Article 8(1) establishes the core principle of amicable consultations as the first and foremost means of dispute settlement; — Article 8(2) then introduces the second means, i.e., the submission of the dispute to the ordinary or administrative courts, applicable under the following circumstance: « if the dispute has not been settled in such consultations. » Thereby, the recourse to courts is linked to some extent to the absence or failure of amicable consultations; 205 © Copyright - Giuffrè Editore — Article 8(3) then introduces the method of international arbitration whereby it is introduced within a specific context: « [i]f, after 18 months from the notification of commencement of an action before the national courts indicated above in paragraph 2, the dispute between the Contracting Party and the investors still continues to exist [...] »; — Article 8(4) then provides that in case of commencement of arbitration proceedings, each disputing party shall take any appropriate measures to desist from the judicial action in course. 578. Thus, the order, structure and wording of Article 8 clearly indicate that these three dispute resolution means were, to some extent, interconnected, with the underlying idea that it is the failure of one of them that would trigger the next one. In other words, Article 8 did not provide for a mere « pick and choose » solution, leaving the disputing parties free to pick any of the means at any time. Article 8 provided for an integrated system, built upon a certain hierarchy or order of the three interconnected means of dispute resolution. (ii) General Consequences of a Disregard of the System 579. At the same time, the wording of Article 8 BIT itself does not suffice to draw specific conclusions with regard to the consequence of non-compliance with the order established by Article 8. In this respect, regard should be given to the context, as well as to the purpose and aim of Article 8. The system put in place by Article 8 is a system aimed at providing the disputing parties with a fair and efficient dispute settlement mechanism. As such, the idea of fairness and efficiency must be takeninto account when interpreting and determining how the system is supposed to work and what happens if one part of the system fails or is otherwise disregarded by one party. 580. Thus, the Tribunal is of the opinion that Claimants’ disregard of the 18 months litigation requirement is in itself not yet sufficient to preclude Claimants from resorting to arbitration. The real question is whether this disregard, based on its circumstances, can be considered compatible with the object and purpose of the system put in place by Article 8, or whether it goes against it. 581. Answering this question requires to examine more in detail the object and purpose as well as the meaning of the 18 months litigation requirement and the interests at stake. According to Respondent, the 18 months litigation requirement was put in place to give the Host State the opportunity to address the allegedly wrongful act within the framework of its own domestic legal system and to provide a chance to resolve the dispute in a potentially shorter period than international arbitration. In this respect, it would be irrelevant whether the 18 months time frame is a realistic time frame for the reaching of a final decision, the purpose of this paragraph being merely to provide the Host State with an opportunity to address the issue before resorting to international arbitration. Thus, the relevant question is not « could the dispute have been efficiently settled before the Argentine courts? », but « was Argentina deprived of a fair opportunity to address the dispute within the framework of its own domestic legal system because of Claimants’ disregard of the 18 months litigation requirement? ». 582. This question in turn requires a weighting of the interests of the Parties, i.e., of Argentina in being given the opportunity to address the dispute through theframework of its domestic legal system, and of Claimants in being provided with an efficient dispute resolution mechanism. Thus, the Tribunal is of the view 206 © Copyright - Giuffrè Editore that the disregard of the 18 months litigation requirement can only be considered incompatible with the system of Article 8 where it unduly deprived the Host State of a fair opportunity to address the issue through its domestic legal system. In this respect, the Tribunal considers that this opportunity must not only be a theoretical opportunity, but there must be a real chance in practice that the Host State, through its courts, would address the issue in a way that could lead to an effective resolution of the dispute. 583. Where, based on the overall circumstances of the case, it appears that such opportunity was only theoretical and/or could not have led to an effective resolution of the dispute within the 18 months time frame, it would be unfair to deprive the investor of its right to resort to arbitration based on the mere disregard of the 18 months litigation requirement. The reason is that such disregard would not have caused any real harm to the Host State, whilst in contrast, the deprivation of the investor’s right to resort to arbitration would, in effect, deprive him of an important and efficient dispute settlement mean. 584. This conclusion derives more from a weighting of the specific interests at stake rather than from the application of the general principle of futility: It is not about whether the 18 months litigation requirement may be considered futile; it is about determining whether Argentina’s interest in being able to address the specific claims through its domestic legal system would justify depriving Claimants of their interests of being able to submit it to arbitration. (iii) Consequences of Claimants’ Disregard of the 18 Months Litigation Requirement 585. By not resorting to the Argentine courts, Claimants disregarded the 18 months litigation requirement. It is further established that Claimants had the possibility to bring claims before the Argentine courts. However, looking at the nature of theclaims that were available to Claimants, the Tribunal finds that none of them would have been suited to address the present claims in such a way as to effectively resolve the dispute: — Claims for compensation: Claims for compensation for the damage caused to Claimants by Argentina’s actions surrounding its default were deemed to fail in view of the Emergency Law and other relating decrees and budget laws, which prohibited the Argentine government from entering into any juridical, extra-juridical or private transaction. Thus, even in the case that Claimants would have won the case before the courts, the government would still have been under the impossibility to pay out the compensation. — Claims for unconstitutionality of the Emergency Law: Claimants could have initiated proceedings aiming at declaring the Emergency Law unconstitutional for breach of the BIT. However, claims for compensation could only be filed once the Emergency Law would have been considered unconstitutional, which is highly unlikely to have been possible within the 18 months time frame. 586. In addition, the Tribunal finds that in the light of the uproar created by Argentina’s Emergency Law, the Argentinean Government could have arranged for an examination of the constitutionality of the Emergency Law. Such examination could have brought clarity on the effectiveness of claims before the Argentinean courts against the Argentinean Government. However, Argentina did apparently not see the need to proceed with such examination. 587. In addition, it should be noted that Argentina’s legal system does 207 © Copyright - Giuffrè Editore generally not provide for mass claims mechanisms, and that Claimants would therefore have needed to initiate separate claims. This would have been incredibly burdensome for them and for the courts, and would very likely have caused substantial delay in the handling of the cases by the courts. 588. In the light of the Emergency Law and other relevant laws and decrees, which prohibited any kind of payment of compensation to Claimants, the Tribunal finds that Argentina was not in a position to adequately address the present dispute within the framework of its domestic legal system. As such, Argentina’s interest in pursuing this local remedy does not justify depriving Claimants of their right to resort to arbitration for the sole reason that they decided not to previously submit their dispute to the Argentinean courts. 589. Under these circumstances, the Tribunal considers that it is not necessary anymore to examine Issue No. 5, i.e., whether the MFN clause contained in Article 3(1) BIT may have entitled Claimants to rely on the allegedly more favorable dispute resolution clause contained in Article 10(1) Argentina-Chile BIT. (d) Conclusion 590. In conclusion and in (partial) response to Issues Nos. 4 and 5, the Tribunal holds that the disregard by Claimants of the 18 months litigation requirement does not preclude them from resorting to ICSID arbitration. In particular, the Tribunal finds that: (i) Article 8 provides for an integrated dispute resolution mechanism built upon a certain hierarchy or order of three interconnected means whereby the wording of Article 8 itself does not suffice to draw specific conclusions with regard to the consequences of non-compliance with the order established by Article 8. (ii) The question whether Claimants’ disregard of the 18 months litigation requirement justifies precluding them from resorting to arbitration requires a weighting of interests between Argentina’s interest to be given the opportunity to address the dispute through the framework of its domestic legal system and Claimants’ interest in being provided with an efficient dispute resolution means. (iii) Based on the circumstances of the present case and in particular the Emergency Law and other relevant laws and decrees, Argentina’s interest in pursuing the 18 months litigation requirement does not justify depriving Claimants of their right to resort to arbitration for the sole reason that they decided not to previously submit their dispute to the Argentinean courts. 591. In view of the above conclusions, the question whether Claimants could have relied on the MFN clause of Article 3(1) BIT in connection to Article 10(1) Argentina-Chile BIT in order to evade the 18 months litigation requirement (Issue No. 5 of the List of 11 Issues of 9 May 2008) is moot. [omissis] (6) Abuse of Rights — Issue 2(b) (a) Issues 642. It is disputed between the Parties whether the Tribunal should refuse to hear the case based on the argument that the initiation of the present proceedings would constitute an abuse of rights by TFA which should not be entertained by the Tribunal. 208 © Copyright - Giuffrè Editore 643. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal are the following: — As a matter of principle, can the alleged abuse of rights by TFA constitute an impediment to hearing the case? — If so, has there been an abuse of rights by TFA in the present case? (b) Parties’ Positions 644. Respondent contends that the Tribunal should refuse jurisdiction on the grounds of abuse of process. In Respondent’s view, the initiation of this proceeding constitutes an abuse of rights by TFA which is pursuing hidden interests, foreign to Claimants’ interest in the present arbitration. The Tribunal should not exercise its powers for purposes other than those established by the consent of the Contracting Parties to the ICSID Convention. 645. Opposing Respondent’s submissions in this regards, Claimants contend that the abuse of rights theory is not applicable in international proceedings. Further, according to Claimants, even if applicable, there is no relevant abuse of rights in the present case because the alleged abuse of rights would be committed by TFAand not by Claimants. Such abuse of rights is not imputable to Claimants and would therefore be irrelevant. (c) Tribunal’s Findings 646. The theory of abuse of rights is anex pression of the more general principle of good faith. The principle of good faith is a fundamental principle of international law, as well as investment law. As such, the Tribunal holds that the theory of abuse of rights is, in principle, applicable to ICSID proceedings and has, in fact, been previously applied by several ICSID and non-ICSID tribunals in investment cases. The question is thus whether the conditions of an abuse of rights are met, and — if so — what the consequences of such abuse may be. (i) Good Faith in the Context of Treaty Claims 647. Within the context of treaty claims, a breach of the good faith principle can be invoked with regard to two main aspects of the claim: (i) With regard to the context and the way in which the investment was made, and for which the investor seeks protection (« material good faith »); and (ii) With regard to the context and the way in which a party, usually the investor, initiates its treaty claim seeking protection for its investment (« procedural good faith »). 648. With regard to breaches of material good faith, different tribunals have followed two different approaches. Either they have dealt with the question of material good faith within the context of the examination of the Tribunal’s jurisdiction or within the context of the examination of the legality of the investment: (i) It can be seen as an issue of consent and thus of jurisdiction, where the consent of the Host State cannot be considered to extend to investments done under circumstances breaching the principle of good faith; (ii) It can be seen as an issue relating to the merits, where the key question is whether the circumstances in which the relevant investment was made are meant to be protected by the relevant BIT. 649. With regard to breaches of procedural good faith, there are also two approaches possible. Either one addresses the issue within the context of jurisdiction or within the context of admissibility: 209 © Copyright - Giuffrè Editore (i) It can be seen as an issue of consent and thus of jurisdiction, where one party considers procedural aspects to be key components of the consent of the Host State; or (ii) It can be seen as an issue of admissibility, where the key question is whether the way in which the investor initiated the proceedings, although inaccordance with the applicable provisions, aim to obtain a protection, which he is — under the principle of good faith — not entitled to claim. 650. The difference between these various approaches carries important practical consequences and ought to be carefully examined. There are certainly good reasons in support for each of these approaches, and the choice of the appropriate approach will eventually depend on the circumstances of the case at stake. (ii) Qualification of the Alleged Abuse of Rights 651. At present, Respondent’s contentions with regard to abuse of rights are mainly threefold: (i) Respondent contends that Claimants did not acquire the investment in accordance with the principle of good faith due to the Italian banks’ alleged behavior consisting in the breach of various selling restrictions and other related obligations; (ii) Respondent contends that the way these proceedings were initiated and are conducted amount to an abuse of rights by TFA, who is pursuing its own interests to the detriment of Claimants’ real interests; (iii) Respondent has never consented to ICSID proceedings being conducted under such circumstances. 652. With regard to Respondent’s first contention referred to in § 651 above, the Tribunal considers it to relate to the merits of the case. The Tribunal has already set forth above (see §§ 381-386) that for the purposes of jurisdiction, the Claimants’ investment were to be considered made in accordance with the applicable law and that any misconduct of the Italian banks could not be imputed to Claimants. 653. The only remaining question is whether the circumstances invoked by Respondent could lead to the conclusion that Claimants’ investments do not deserve the protection of the BIT. The Tribunal finds that this issue requires to be addressed in relation to the merits of Claimants’ claim for the following reasons: — Based on the principle of severability of the arbitration clause: Even if the investment was considered to be invalid, it would not per se invalidate the jurisdiction of the Tribunal to decide on its validity; — The circumstances invoked require a more detailed factual analysis than what is usually conducted at the stage of jurisdiction (see § 303 above), which justifies dealing with these issues together with the relevant allegations of breaches of the BIT by Respondent. 654. With regard to the second and third contentions referred to in § 651 above, the Tribunal has already found above (see §§ 489 et seq.) that Respondent’s consent covered the mass aspect of the proceedings and that TFA’s role therein was not of such a nature as to vitiate Claimants’ consent (see §§ 455 et seq.). Consequently, a potential abuse of rights allegedly committed by TFA would not relate to the jurisdiction of the present Tribunal and could only — if at all — relate to its admissibility. 210 © Copyright - Giuffrè Editore 655. Consequently, the Tribunal will limit its analysis to the question whether Respondent’s allegation that TFA abused the ICSID process to pursue hidden interests, foreign to the interests of Claimants with regard to their investment, may render the present proceedings inadmissible. (iii) Lack of Relevant Abuse of Rights 656. Respondent’s allegations of abuse of rights and abuse of process are directed against TFA. Respondent submits that the Tribunal should not allow the present proceedings because TFA is pursuing its own interests, which conflict withClaimants’ interests, and which are foreign to the interests that the BIT and the ICSID Convention aim to protect. 657. The Tribunal finds that, even if TFA was pursuing interests which conflict with Claimants’ interests, this would not lead to the inadmissibility of Claimants’ claims for the following reasons: — For ICSID proceedings to be dismissed based on an abuse of rights, it would be necessary that the abuse concerns the very rights that ICSID proceedings aim to protect, i.e., the investors’ rights under the relevant BIT. — In the present arbitration, the alleged abuse of rights does not concern Claimants’ rights as arising out of the BIT but TFA’s interests as arising out of Claimants’ pursuit of ICSID proceedings. — Respondent has not alleged that Claimants themselves were in any way abusing their right to resort to ICSID arbitration in order to protect their investment. — Dismissing Claimants’ claims would mean depriving them of a remedy they are entitled to invoke, because of the alleged behaviour of a third party on which Claimants have no influence. 658. In conclusion, the fact that a third party, such as TFA, may allegedly have taken a certain advantage from the conduct by Claimants of the present ICSID arbitration may be morally condemnable, but it cannot lead to the inadmissibility of Claimants’ claims to the extent that the rights Claimants intend to seek protection for are rights protected under the BIT, which are not claimed in an abusive manner by Claimants. (d) Conclusion 659. In conclusion and in (partial) response to Issue No. 2(b), the Tribunal finds that TFA’s role in the proceedings does not amount to an abuse of rights which would justify dismissing Claimants’ claims for lack of admissibility. L’arbitrato ICSID e l’azione collettiva: alcune osservazioni a margine del caso Abaclat. Il caso Abaclat ed altri è uno dei tre casi ICSID attualmente pendenti azionati contro l’Argentina da investitori titolari di strumenti di debito pubblico che hanno rifiutato di partecipare ai processi di ristrutturazione del debito estero del paese latinoamericano (cosiddetti “holdout creditors”). I 211 © Copyright - Giuffrè Editore tre casi (1) sono originati dall’insolvenza dell’Argentina, determinata della crisi economica del 2001-2002, e dalla conseguente ristrutturazione unilaterale del debito estero operata da tale ultimo paese. Con la decisione, pubblicata qui in estratto, il tribunale arbitrale ICSID a maggioranza ha deciso di ammettere l’azione collettiva in arbitrato ICSID dei circa 60,000 bondholders italiani rappresentati dall’Associazione per la Tutela degli Investitori in Titoli Argentini, detta anche Task Force Argentina (TFA), associazione non riconosciuta formata da un gruppo di banche italiane. L’azione collettiva in arbitrato ICSID è basata sull’Accordo tra Italia e Argentina sulla promozione e protezione degli investimenti stranieri del 1990 (di seguito BIT Italia-Argentina) ed è volta ad ottenere il pagamento da parte dell’Argentina del capitale e degli interessi connessi alle obbligazioni di debito scadute sulle quali l’Argentina è in default. La decisione in oggetto è stata sofferta ed è accompagnata da un’opinione fortemente dissenziente del Prof. Abi Saab, peraltro non notificata alle parti contestualmente alla decisione di maggioranza. La decisione, emessa dopo tre anni dalla registrazione del caso all’ICSID, è arrivata al termine di una fase di “giurisdizione” fortemente combattuta dalle parti. Come sopra già ricordato, essa, notificata alle parti senza l’opinione dissenziente del Prof. Abi Saab, ha già provocato le dimissioni dell’arbitro dissenziente e una richiesta di ricusazione da parte dell’Argentina dei due arbitri di maggioranza per mancanza di indipendenza e supposta parzialità (2). La richiesta di ricusazione è stata respinta e il tribunale è stato ricostituito nel gennaio 2012 con un nuovo arbitro in sostituzione dell’arbitro dimissionario. La decisione merita di essere qui commentata tenuto conto della novità rappresentata dall’ammissione di un’azione collettiva in arbitrato ICSID attivato sulla base di un BIT e del potenziale impatto che questa decisione può avere sugli altri due casi ICSID attualmente pendenti. Per ragioni di spazio si ripercorreranno e si commenteranno solo i punti essenziali della decisione (3). (1) Oltre al caso Abaclat ed altri c. Argentina, caso n. ARB/07/5, la cui decisione sulla giurisdizione e ammissibilità è oggetto della presente nota, si tratta di Giovanni Alemanni ed altri c. Argentina, caso ICSID n. ARB/07/8; Giordano Alpi ed altri c. Argentina, caso ICSID n. ARB/08/9. Essa è reperibile in versione integrale alla pagina http://italaw.com/ documents/AbaclatDecisiononJurisdiction.pdf. (2) Request for Disqualification of President Pierre Tercier and Arbitrator Jan van den Berg, 15 September 2011 reperibile alla pagina http://italaw.com/documents/ Abaclat_v_Argentina_Request_for_Disqualification_15Sep2011_En.pdf. (3) Si è scelto di non pubblicare per ragioni di spazio la decisione nella parte in cui il tribunale riconosce che le obbligazioni nelle emissioni di debito argentino costituiscono investimenti nel territorio di una delle Parti ai sensi del BIT. Questo aspetto è fortemente discusso e criticato dal Prof. Abi Saab nella sua opinione dissenziente, par. 34-118. L’opinione dissenziente è reperibile sul sito http://italaw.com/alphabetical_list.htm. La decisione è repe- 212 © Copyright - Giuffrè Editore Per comprendere il risultato raggiunto con la decisione, occorre descrivere il metodo e il ragionamento seguito dal tribunale. Il tribunale chiarisce oggetto e obiettivi della decisione, come segue. Innanzitutto, secondo il tribunale oggetto e obiettivo della decisione è stabilire la “jurisdiction” del Centro e la “competence” giurisdizionale del tribunale e, nella misura in cui sussistano entrambe, determinare l’ammissibilità delle domande degli attori (4). In proposito il tribunale specifica che per convenienza userà i termini “jurisdiction” e “competence” in maniera interscambiabile, pur non ignorando le differenze tra i due concetti rinviando il ragionamento sul punto al successivo paragrafo 245. In tale paragrafo il tribunale sviluppa, però, il diverso argomento secondo cui il termine “jurisdiction” ai sensi della Convenzione includerebbe anche il distinto concetto di ammissibilità delle domande. La distinzione tra questioni di ammissibilità delle domande e questioni di “jurisdiction” e l’inclusione di questioni relative all’ammissibilità nel concetto di “jurisdiction” consente al tribunale di riqualificare questioni di “jurisdiction” in senso proprio sia ai sensi della Convenzione ICSID che ai sensi del BIT come questioni di ammissibilità delle domande di arbitrato, la cui decisione può essere rinviata ad una fase della procedura successiva a quella propriamente dedicata alla “jurisdiction”. In secondo luogo, il tribunale chiarisce la portata della fase della procedura arbitrale dedicata alla giurisdizione e della decisione che la conclude. La fase della procedura arbitrale relativa alla giurisdizione è dedicata all’analisi di questioni generali e non “issues touching specifically upon each individual claimant” (5). La decisione non è, dunque, volta a stabilire se il tribunale abbia competenza giurisdizionale con riferimento a ciascun attore specificamente. Le “jurisdictional issues touching specifically upon individual Claimants” saranno affrontate, nelle parole del tribunale, in una fase della procedurale successiva, una volta stabilito che sussistono i requisiti generali necessari ai fini della competenza giurisdizionale del tribunale e dell’ammissibilità delle domande (6). Esse rimarrebbero quindi impregiudicate. Dopo aver svolto tale premessa metodologica, il tribunale procede alla ricognizione delle condizioni generali della competenza giurisdizionale di un tribunale arbitrale ai sensi della Convenzione ICSID. Tali condizioni generali della giurisdizione ICSID sono contenute nell’art. 25 della Convenzione ICSID (7). Oltre al consenso scritto delle parti al ricorso in arbitrato, si tratta dei requisiti dell’esistenza: 1) di una controversia giuridica, ribile in versione integrale alla pagina http://italaw.com/documents/AbaclatDecisiononJurisdiction.pdf. (4) Si veda la decisione, par. 225. (5) Si veda la decisione, par. 226. (6) Ibidem. (7) Decisione, par. 253-258. 213 © Copyright - Giuffrè Editore 2) in relazione diretta con un investimento, 3) tra uno Stato contraente e un nazionale di un altro Stato contraente (art. 25(1) Convenzione ICSID). Inoltre, l’art. 25(2) contiene una definizione di nazionale di altro Stato contraente ai fini della Convenzione ICSID. Per nazionale di altro Stato contraente deve intendersi: 1) ogni persona fisica che possieda la nazionalità di uno Stato contraente diverso dallo Stato parte della controversia e non possieda contestualmente anche la nazionalità dello Stato parte della controversia alle date della manifestazione del consenso delle parti al ricorso in arbitrato e della registrazione della domanda da parte del Centro (art. 25(2)(a) Convenzione ICSID), 2) ogni persona giuridica che abbia la nazionalità di uno Stato contraente diverso dallo Stato parte della controversia alle data della manifestazione del consenso delle parti al ricorso in arbitrato e ogni persona giuridica che abbia la nazionalità dello Stato contraente parte della controversia alla stessa data e che le parti abbiano convenuto di considerare avente la nazionalità di un altro Stato contraente a causa del controllo esercitato su di essa da interessi stranieri (art. 25(2)(b) Convenzione ICSID). Come specificato anche dal tribunale, i requisiti di nazionalità previsti per l’accesso all’ICSID di persone fisiche (nazionalità di Stato contraente diverso dallo Stato contraente parte della controversia e simultanea assenza di doppia nazionalità alle date rilevanti) costituiscono “an objective condition” all’applicazione della Convenzione, non superabili neanche con il consenso reciproco delle parti (8). Tuttavia, nel ragionamento sviluppato successivamente dal tribunale, le condizioni generali della “jurisdiction” ICSID di cui all’art. 25 della Convezione, pure pedissequamente elencate nella decisione, sono ridotte sostanzialmente ad una sola condizione. Secondo il tribunale, l’art. 25 Convenzione ICSID si limita a richiedere che esista una controversia tra uno Stato ospite dell’investimento che abbia ratificato la Convenzione e un investitore di un altro Stato contraente. Con l’espressa indicazione dell’arbitrato ICSID, Italia ed Argentina, entrambe parti della Convenzione ICSID, esprimono il consenso richiesto dall’art. 25 Convenzione ICSID a sottoporre ad arbitrato ICSID specifiche controversie con i nazionali l’una dell’altra (9). Dunque, i requisiti di cui all’art. 25 Convenzione non acquisiscono una rilevanza autonoma per il tribunale. Al contrario, secondo il tribunale, l’art. 8(1) BIT riflette i requisiti oggettivi dell’art. 25 Convenzione ICSID, secondo cui l’investitore sia nazionale di uno stato contraente diverso dallo stato ospite (10). Con riguardo alla nazionalità dell’investitore, è opinione del tribunale che l’art. 25 Convenzione ICSID non preveda alcuna specificazione rispetto al momento in cui l’investitore debba essere consi- (8) Decisione, par. 257. (9) Decisione, par. 274-275. (10) Decisione, par. 280. 214 © Copyright - Giuffrè Editore derato nazionale di un particolare Stato. È questa un’affermazione in palese contraddizione con il testo dell’art. 25 Convenzione ICSID e con la ricognizione del tribunale dei requisiti previsti dall’art. 25 di cui è detto sopra. Inoltre, secondo il tribunale, l’art. 25 Convenzione ICSID stabilisce i requisiti per la giurisdizione del Centro, come sopra intesi dal tribunale, e il Reg. arb. ICSID si limita a stabilire le specifiche regole da seguire per iniziare una procedura arbitrale ICSID. Al contrario, la Convenzione tace sulla questione se procedure arbitrali ICSID possano essere condizionate al rispetto di requisiti ulteriori e, in caso affermativo, quali siano gli effetti di questi requisiti ulteriori rispetto alla giurisdizione ICSID (11). Sulla base dell’assunto che il termine “jurisdiction” ICSID includa anche il diverso concetto di ammissibilità della domanda, i requisiti soggettivi posti dalla Convenzione ICSID (i requisiti di nazionalità e la personalità giuridica per gli attori enti collettivi, che sono limiti assoluti non superabili neanche con l’accordo delle parti) nel ragionamento del tribunale si confondono con i requisiti soggettivi ulteriori e diversi posti dal BIT. Si tratta per le persone fisiche dei requisiti (ulteriori rispetto ai requisiti di nazionalità previsti dalla Convenzione) a) di non essere stati domiciliati in Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento e b) di non aver mantenuto contestualmente residenza anagrafica in Italia e domicilio in Argentina (dove si è effettuato l’investimento) per più di due anni (12). Per gli enti si tratta della diversa (e meno restrittiva) definizione di persona giuridica del BIT (che include anche gli enti privi di personalità giuridica) rispetto a quella più restrittiva della Convenzione (che si riferisce esclusivamente a “juridical person”) (13). Da una parte, come ammesso dallo stesso tribunale, i requisiti previsti sia dal BIT (art. 1(2) BIT, art. 1 del Protocollo addizionale) che dall’art. 25 Convenzione ICSID devono essere soddisfatti da ciascun attore ai fini della competenza giurisdizionale ratione personarum del tribunale. Tale controllo implica logicamente la verifica delle informazioni presentate dagli attori rispetto ai requisiti di nazionalità ICSID e a quelli ulteriori del BIT. A tale ultimo proposito si tratta, nell’opinione del tribunale del solo requisito per le persone fisiche, di cui l’art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale, di non aver avuto domicilio in Argentina nei due anni precedenti al- (11) Decisione, par. 288-299. (12) Si veda il testo degli articoli 1(2) e (3) del BIT al par. 393 della decisione e il testo dell’art. 1 del Protocollo addizionale al BIT al par. 396 della decisione. (13) Sulla necessità che l’investitore ente collettivo abbia personalità giuridica ai fini della giurisdizione ICSID si veda SCHREUER, MALINTOPPI, REINISH, SINCLAIR, The ICSID Convention, Oxford/New York, 2010, par. 689-693, 277-278 e i precedenti ivi citati. Per alcuni riferimenti di dottrina e prassi ci sia consentito rinviare anche a DE LUCA, L’arbitrato internazionale treaty-based sugli investimenti esteri, in Comunicazioni e Studi, 2007, 979 ss., nota 71, 1006. 215 © Copyright - Giuffrè Editore l’effettuazione dell’investimento (sulla possibile autonoma rilevanza dell’art. 1, par. 2 del Protocollo si veda infra). Dall’altra, in base al metodo e impostazione scelti, il tribunale ribadisce che la fase della giurisdizione e la decisione che la conclude non hanno l’obiettivo di statuire sul punto con riguardo a ciascun attore (14). Ai fini della Convenzione ICSID e del BIT, il tribunale ritiene sufficiente determinare che esso è astrattamente competente ratione personarum: 1) su ogni attore persona fisica (i) con cittadinanza italiana al 14 settembre 2006 e 7 febbraio 2007, (ii) che non sia anche cittadino argentino nelle stesse date, (iii) non abbia avuto domicilio in Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento e (iv) abbia effettuato un investimento ai sensi del BIT, 2) su ogni attore persona giuridica con nazionalità italiana al 14 settembre 2006, con ciò intendendosi ogni ente che sia costituito conformemente alla legislazione italiana, con sede sociale in Italia, e riconosciuto dalla legge italiana nel senso che abbia capacità di effettuare un investimento e sia dotato di capacità processuale, indipendente dal possesso di piena personalità giuridica (15). Tuttavia, tale determinazione da parte del tribunale della propria competenza ratione personarum corrisponde al mero elenco e alla somma dei requisiti richiesti dalla Convenzione ICSID e dal BIT Italia-Argentina (peraltro sotto tale profilo incompleto come si vedrà) agli investitori nazionali dei due Stati contraenti ai fini dell’accesso ad un arbitrato ICSID treaty-based. Tale affermazione di “jurisdiction” in astratto costituisce null’altro che l’affermazione che un qualunque tribunale ICSID istituito sulla base del BIT Italia-Argentina ha competenza giurisdizionale su investitori (persone fisiche e enti) che rispondano ai requisiti richiesti in astratto dalla Convenzione e dal BIT. Non si tratta dunque di una reale determinazione della competenza giurisdizionale del tribunale specificamente rispetto agli attori, determinazione imposta sia dalla Convenzione ICSID, come ammesso dallo stesso tribunale, sia dal BIT. Inoltre, il concreto controllo del possesso dei requisiti di cui si è detto da parte di ciascuno degli attori, richiesto per ammissione dello stesso tribunale dalla Convenzione e dal BIT, apparentemente rinviato solo ad una fase successiva della procedura nella descrizione iniziale di oggetto e scopo della decisione, appare invece fortemente limitato nel proseguo della trattazione del caso, con palese compressione del diritto di difesa dell’Argentina. Da una parte, secondo il tribunale, “... the large number of Claimants makes it impossible to treat and examine each of the 180,000 claims (or 60,000 claims for that matter) as if it were a single claim, and certain ge- (14) Decisione, par. 409. (15) Decisione, par. 421, 422. Tuttavia sulla circostanza che la piena personalità giuridica degli enti costituisca un limite assoluto alla giurisdizione del centro si veda supra nota 13. 216 © Copyright - Giuffrè Editore neralisations and/or group examinations will be unavoidable” (16); dall’altra il carattere collettivo dell’azione non pone una questione di giurisdizione ma solo di ammissibilità dell’azione. Sulla base della convinzione che l’azione collettiva sia compatibile con la Convenzione ICSID, il tribunale chiarisce di non essere nella posizione di esaminare tutti gli elementi e i relativi documenti del caso come nell’ipotesi in cui ci fosse un piccolo gruppo di attori (17). Il tribunale avrà necessità di applicare dei meccanismi che consentano una verifica semplificata del materiale di prova (18). Dunque, la verifica oggettiva delle condizioni di “eligibility” di ciascun singolo attore all’arbitrato ICSID sulla base del BIT non avverrà mai, nonostante l’affermazione della necessità ai sensi del Convenzione di tale verifica. Ugualmente “the specific circumstances surrounding individual purchases by Claimants of security entitlements are irrelevant”, (19) in base all’argomento dell’omogeneità delle domande degli attori (20). L’azione collettiva è ammessa dal tribunale sulla base di una serie di argomenti, principalmente di policy e teleologici (cioè fondati sull’obiettivo e lo scopo della Convenzione ICSID e del BIT). Un primo argomento è basato sulla “raison d’être” dell’azione collettiva, come individuata dal tribunale, nonostante l’assenza di un approccio uniforme negli ordinamenti nazionali su tale istituto. Come noto, l’istituto dell’azione collettiva non costituisce patrimonio giuridico comune (21) e alcuni ordinamenti nazionali non solo non prevedono l’azione collettiva in arbitrato (22) ma anche l’azione collettiva tout court. Secondo il tribunale, “Collective proceedings emerged where they constituted the only way to ensure an effective remedy in protection of a substantive right provided by contract or law; in other (16) Decisione, par. 296. (17) Decisione, par. 531. (18) Ibidem. (19) Decisione, par. 542. (20) Decisione, par. 545. (21) Dall’altra parte, come è stato osservato in dottrina, “Mass legal disputes combine difficult questions of public policy and state regulation with jurisdictionally specific determinations about the fundamental nature of individual rights”. in tal senso STRONG, Class and Collective Relief in the Cross-Border Context: A Possible Role for the Permanent Court of Arbitration, in LAVRANOS, KOK et AL., Hague Yearbook of International Law, 2010, 113 ss., a 116. (22) Si rilevi che anche nell’ordinamento statunitense, dove l’azione collettiva in arbitrato è un istituto conosciuto e applicato da diverso tempo, esso è circondato da una certa cautela tenuto conto che “class-action arbitration changes the nature of arbitration to such a degree that it cannot be presumed the parties consented to it by simply agreeing to submit their disputes to an arbitrator” (Stati Uniti d’America, Supreme Court, sentenza 27 aprile 2010, Stolt Nielsen S.A. ad altri c. Animalfeeds International Corp., in questa Rivista, 2011, 115, a 116, con nota di CASONI, Recenti sviluppi sulla class action arbitration negli Stati Uniti, 118). 217 © Copyright - Giuffrè Editore words, collective proceedings were seen as necessary, where the absence of such mechanism would de facto have resulted in depriving the claimants of their substantive rights due to the lack of appropriate mechanism” (23). Un secondo argomento è basato sullo scopo della Convenzione ICSID (che sarebbe la protezione e promozione degli investimenti). Secondo il tribunale, da una parte, la natura collettiva dell’azione dipende dalla natura dell’investimento effettuato (le obbligazioni argentine); dall’altra la Convenzione è volta alla promozione e protezione dell’investimento straniero, la cui definizione è lasciata parzialmente alla determinazione delle parti con strumenti quali i BITs. Poiché il BIT in questione protegge obbligazioni relative ad emissioni di debito e la protezione effettiva di un tale investimento può coinvolgere un numero elevato di investitori, ne consegue che sarebbe contrario allo scopo e allo spirito della Convenzione richiedere, oltre al consenso al ricorso in arbitrato ICSID in generale, una manifestazione specifica e aggiuntiva del consenso rispetto al ricorso in arbitrato in forma collettiva (24). Dunque, interpretare il silenzio della Convenzione ICSID sulla possibilità di attivazione di procedure arbitrali collettive come impedimento all’ammissibilità di procedure arbitrali collettive sarebbe contrario allo scopo del BIT e allo spirito della Convenzione (25). Nell’opinione del tribunale, il silenzio della Convenzione ICSID rispetto alle procedure collettive deve essere interpretato come una semplice lacuna e non come un silenzio qualificato tale da rendere l’azione collettiva incompatibile con l’arbitrato ICSID (26). Tale lacuna può essere colmata dal tribunale con l’esercizio del proprio potere di regolare ogni aspetto della procedura non regolato dalla Convenzione o dal regolamento arbitrale o da qualsiasi altra regola concordata dalle parti (art. 44 Convenzione ICSID e art. 19 Reg. arb. ICSID) (27). Il tribunale opererà, dunque, gli adattamenti alla procedura ICSID standard necessari per decidere la presente azione collettiva, di cui si è già detto sopra (28). In proposito, esso precisa, che “[h]owever, it is understood that adaptations made to the standard procedure must be done in consideration of the general principle of due process and must seek a balance between procedural rights and interests of each party” (29). Tuttavia, tale affermazione appare un’affermazione di stile, priva di qualunque implicazione pratica. Da una parte, il tribunale appare, infatti, consapevole della compressione del diritto di difesa delle parti e dell’Argentina causata dall’ammissione dell’azione collettiva degli attori e dagli adattamenti alla pro(23) (24) (25) (26) (27) (28) (29) Decisione, Decisione, Decisione, Decisione, Decisione, Decisione, Decisione, par. par. par. par. par. par. par. 484. 490, par. 518. 519. 518-520. 521-523. 525-528. 519. 218 © Copyright - Giuffrè Editore cedura ICSID standard operati dal tribunale. Come sopra già detto, tali adattamenti si traducono nell’impossibilità della verifica dei requisiti soggettivi richiesti a ciascun attore sia dalla Convenzione che dal BIT cosı̀ come nell’impossibilità dell’Argentina di sviluppare argomenti di difesa basati sulle condizioni e situazioni specifiche di ciascun attore. Dall’altra, il tribunale giustifica la compressione dei diritti procedurali delle parti richiamando gli argomenti di policy e di carattere teleologico, in parte già sopra riportati. Secondo il tribunale, l’inammissibilità delle domande degli attori costituirebbe un diniego di giustizia particolarmente scioccante, considerato che l’investimento in oggetto è protetto dal BIT (30), e le domande degli attori sono identiche o hanno carattere sufficientemente omogeneo (31). Dopo aver descritto i punti principali della decisione del tribunale, si svolgono qui di seguito alcuni commenti critici. In primo luogo, si tratta della rilevanza della distinzione tra “jurisdiction” e “competence” rispetto alla controversia davanti al tribunale e della correttezza dell’assimilazione tra questioni di “jurisdiction” e questioni di ammissibilità delle domande. La distinzione tra “jurisdiction” e “competence” è connessa alla definizione di “jurisdiction of the Centre” contenuta nella relazione dei direttori esecutivi della Banca che accompagna la Convenzione ICSID e alle caratteristiche uniche del sistema arbitrale ICSID rispetto ad altre forme di arbitrati amministrati. Sotto il primo profilo, come chiarito nella relazione dei Direttori esecutivi, “The term “jurisdiction of the Centre” is used in the Convention as a convenient expression to mean the limits within which the provisions of the Convention will apply and the facilities of the Centre will be available for conciliation and arbitration”. Sotto il secondo profilo, il Centro, al contrario di altri organismi che amministrano arbitrati, svolge una funzione di screening delle domande di arbitrato al momento della registrazione. Ai sensi dell’art. 36(3) Convenzione ICSID il Centro (nella persona del suo Segretario generale) rifiuta la domanda di arbitrato, qualora in base alle informazioni ivi contenute sull’oggetto della controversia, l’identità delle parti e il loro consenso a sottoporsi all’arbitrato, essa sia “manifestly outside the jurisdiction of the Centre”. La ratio dell’attribuzione al Centro di tale potere di screening delle domande di arbitrato consiste nell’evitare “the embarrassment to a party (particularly a State) which might result from the institution of proceedings against it in a dispute which it had not consented to submit to the Centre, as well as the possibility that the machinery of the Centre would be set in motion in cases which for other reasons were obviously outside the jurisdiction of the Centre e.g., because either the applicant or the other party was not eligible to be a party (30) (31) Decisione, par. 537. Decisione, par. 540-544. 219 © Copyright - Giuffrè Editore in proceedings under the Convention” (32). Il controllo operato dal Centro nel momento della registrazione è un mero controllo prima facie della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi posti dall’art. 25 Convenzione ICSID. La Convenzione assegna al Centro solo funzioni di carattere amministrativo e il Centro non svolge alcuna funzione giurisdizionale nell’esercizio di tale potere. Dunque, da una parte, il rifiuto di registrazione della domanda da parte del Centro non è impugnabile o ricorribile e non ha forma di lodo (appunto ricorribile in annullamento ai sensi della Convenzione); come chiarito nella relazione dei Direttori esecutivi, la registrazione della domanda non pregiudica in alcun modo la competenza giurisdizionale dei tribunali arbitrali e non preclude il tribunale “from finding that the dispute is outside the jurisdiction of the Centre” (33). D’altra parte ai sensi dell’art. 41(2) della Convenzione il tribunale deve esaminare l’obiezioni di parte secondo cui la “dispute is not within the jurisdiction of the Centre, or for other reason is not within the competence of the Tribunal”, decidendo se trattare l’obiezione come questione pregiudiziale o unitamente alle questioni di merito. Tenuto conto del fatto che il termine “jurisdiction” è utilizzato dalla Convenzione anche con riferimento al potere di “screening” ai fini della registrazione delle domande di arbitrato del Centro e che questo non svolge funzioni giurisdizionali, alcuni tribunali ICSID hanno distinto tra i termini “jurisdiction of the Centre” e “competence” in linea con il testo in inglese e spagnolo della Convenzione. Altri tribunali hanno consapevolmente utilizzato i termini in maniera fungibile (34). Mentre il termine “jurisdiction” “refers to the requiriments set out in Art. 25, which are conditional for the power of a conciliation commission or arbitral tribunal”, il termine “competence” si riferisce a questioni più limitate specificamente relative ad ciascun tribunale, quali la costituzione dello stesso conformemente alla previsioni della Convenzione o questioni di litispendenza (35). Ciò detto, rimane il fatto che nell’ambito del sistema arbitrale ICSID ciascun tribunale deve avere “jurisdiction” ed essere “competent” nel senso previsto dalla Convenzione. Inoltre il rispetto dei “jurisdictional requirements” oggettivi e soggettivi di cui all’art. 25 Convenzione ICSID (inserito nel capitolo II, Jurisdiction of the Centre), è sottoposto prima ad un limitato controllo prima facie da parte del Centro ai fini della registrazione (32) Report of the Executive Directors of the International Bank for Reconstruction and Development on the Convention on the Settlement of Investment Disputes between States and Nationals of Other States, par. 20 reperibile alla pagina http://icsid.worldbank.org/ ICSID/FrontServlet?requestType=ICSIDDocRH&actionVal=RulesMain. (33) Report of the Executive Directors, op. cit., par. 38. (34) In proposito si vedano SCHREUER, MALINTOPPI, REINISH, SINCLAIR, The ICSID Convention, p. cit., par. 17 e nota 8, 86. (35) Si veda SCHREUER, MALINTOPPI, REINISH, SINCLAIR, The ICSID Convention, p. cit., par. 56, p. 531. 220 © Copyright - Giuffrè Editore della domanda di arbitrato (art. 36(3) Convenzione ICSID) e poi al controllo del tribunale ICSID (art. 41(2)). Tale è l’importanza del rispetto dei “jurisdictional requirement” ai sensi della Convenzione che alcuni autori ne hanno riconosciuto la “constitutional nature” (36) e la mancata considerazione di questioni relative alla “jurisdiction” da parte del tribunale espone il lodo ad annullamento ai sensi dell’art. 52 Convenzione ICSID. In tal senso depongono anche il sopra citato articolo 41(2) Convenzione ICSID e l’art. 41(2) Reg. arbitrale ICSID secondo cui l’assenza dei “jurisdictional requirements” può essere rilevata dal tribunale anche motu proprio in qualunque stadio della procedura. Rimane dunque difficile comprendere come, partendo dalla distinzione tra “jurisdiction” e “competence”, il tribunale sia potuto arrivare ad includere nel concetto di “jurisdiction” il diverso concetto di ammissibilità della domanda (37) (che peraltro la Convenzione non contiene) e, in tal modo, riqualificare requisiti giurisdizionali ai sensi della Convenzione come requisiti attinenti all’ammissibilità. In secondo luogo, la nozione di ammissibilità della domanda, che non è accolta uniformemente nella prassi arbitrale treaty-based ICSID e non ICSID (38), è stata ricondotta a questioni diverse dal soddisfacimento dei requisiti dell’art. 25 Convenzione ICSID e dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dai BIT ai fini del valido perfezionamento del consenso dell’investitore e dello Stato contraente al ricorso all’arbitrato treaty-based (si tratta della definizione di investitore e della definizione di investimento). Senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, alcuni tribunali arbitrali hanno qualificato come questioni di ammissibilità obiezioni degli stati convenuti basate sulla circostanza che i fatti allegati dall’attore non fossero suscettibili di integrare una violazione dell’accordo (39) oppure obiezioni alla giurisdizione su “contractual claims” sulla base di una “umbrella clause” fondate sulla presenza nel contratto di una clausola di scelta del foro domestico (40). Inoltre, la qualifica di una questione come attinente all’ammis- (36) Si veda WILLIAMS Q.C., Jurisdiction and Admissibility, in MUCHLINSKI, ORTINO, SCHREUER, The Oxford Handbook of International Investment Law, Oxford/New York, 869 ss., a 871. (37) Decisione, par. 245. (38) Sull’ammissibilità e sulla prassi arbitrale sul tema si veda WILLIAMS Q.C., Jurisdiction and Admissibility, cit., 919-927. (39) Tribunale arbitrale UNCITRAL, Lodo parziale sulla giurisdizione, Methanex c. USA, 7 agosto 2002, par. 123-124, ove il tribunale qualifica tali questioni come relative all’ammissibilità e non alla giurisdizione, escludendo tuttavia di poter trattare tali questioni come questioni preliminari ai sensi del Regolamento arbitrale UNCITRAL e del Capitolo 11 del NAFTA, la cui violazione veniva invocata. (40) Tribunale ICSID, decisione sulla giurisdizione 29 gennaio 2004, SGS c. Filippine, caso ICSID n. ARB/02/6, par. 154 ove il tribunale si riconosce astrattamente competente su domande fondate sul contratto per la presentazione di un “umbrella clause”, qualificando gli effetti di una clausola contrattuale di scelta del foro domestico come questione at- 221 © Copyright - Giuffrè Editore sibilità ovvero alla giurisdizione può dipendere delle regole procedurali applicabili avanti al tribunale investito della controversia. Nell’ambito dell’azione di uno Stato in protezione diplomatica dei propri cittadini, la Corte internazionale di giustizia qualifica le obiezioni dello Stato convenuto fondate su difetti nel possesso da parte delle persone fisiche e giuridiche della nazionalità dello Stato che agisce in protezione diplomatica come questioni attinenti all’ammissibilità dell’azione (41) da decidere come questioni pregiudiziali. Al contrario, come correttamente è stato osservato, “in the realm of investment treaty arbitration, objections based on the nationality of a claimant are, pursuant to Article 25 of the ICSID Convention, framed as jurisdictional objections as opposed to objections based on admissibility” (42). Rispetto alla distinzione tra giurisdizione e ammissibilità e ai diversi effetti di difetti attinenti all’una o all’altra enfatizzati dal tribunale si osserva quanto segue: una domanda di arbitrato ICSID introdotta sulla base di un BIT da un doppio nazionale di uno Stato contraente della Convenzione ICSID e del diverso Stato contraente parte delle controversia alle date considerate rilevanti dalla Convenzione dovrà essere respinta da un tribunale ICSID su BIT per difetto di giurisdizione ICSID come previsto dall’art. 25. La domanda potrebbe, tuttavia, essere riproposta davanti ad un tribunale arbitrale non ICSID nell’ipotesi in cui il BIT non escluda i doppi nazionali dalla protezione convenzionale e preveda fori arbitrali alternativi (43). Dunque, contrariamente alla schematica distinzione giurisdizione/ ammissibilità operata dal tribunale, il rigetto di una tale domanda per difetto di giurisdizione da parte di un tribunale ICSID, sarebbe soggetta a controllo in annullamento e, in ogni caso, eventualmente riproponibile avanti ad un altro tribunale arbitrale treaty-based non-ICSID. In terzo luogo, non convince il trattamento di questioni relative al perfezionamento del consenso reciproco delle parti al ricorso all’arbitrato tramite il BIT come questioni meramente procedurali. Sono due gli elementi principali della disciplina degli accordi di protezione degli investi- tinente all’ammissibilità e sospendendo in ultima analisi la procedura. Per un’analisi più estesa della decisione ci sia consentito rinviare a DE LUCA, L’arbitrato internazionale treatybased sugli investimenti esteri, cit., 1031-1037. (41) Si veda ad esempio Corte internazionale di giustizia, sentenza 24 maggio 2007, Ahmadou Sadio Diallo (Republic of Guinea v. Democratic Republic of the Congo), par. 77 ss.. Le questioni legate a nazionalità della persona protetta ed esaurimento dei ricorsi interni sono qualificate come questioni di ammissibilità e trattate dalla Corte come questioni pregiudiziali. (42) Si veda WILLIAMS Q.C., Jurisdiction and Admissibility, op. cit., 920. (43) Sul limite assoluto alla giurisdizione ICSID costituito da possesso dei requisiti di nazionalità previsti dalla Convenzione con riferimento alle persone fisiche ci sia consentito di rinviare a DE LUCA, I requisiti di nazionalità degli investitori persone fisiche ai fini della giurisdizione ICSID, in questa Rivista, 2009, 807. 222 © Copyright - Giuffrè Editore menti, bilaterali (detti anche BITs) o multilaterali (come ad esempio l’Energy Charter Treaty). Si tratta innanzitutto, sotto il profilo della tutela sostanziale, delle obbligazioni convenzionali che impongono agli Stati contraenti standard di trattamento e protezione (quali ad esempio il trattamento giusto ed equo, la clausola del trattamento della nazione più favorita e del trattamento nazionale) su base di reciprocità. In secondo luogo, sotto il profilo della tutela procedurale, si tratta della previsione di norme relative alla soluzione delle controversie tra Stato e investitore nazionale dell’altro Stato contraente in relazione alle operazioni di investimento, solitamente definite dal trattato stesso con l’utilizzazione di una nozione aperta. Tali clausole esprimono il consenso anticipato degli Stati contraenti al ricorso all’arbitrato internazionale rispetto a controversie con gli investitori nazionali dell’altra Parte (come definiti nel BIT) relative agli investimenti protetti. Dunque tali ultime norme garantiscono agli investitori nazionali di ciascuna delle Parti (tramite l’accettazione, con l’introduzione della domanda di arbitrato, dell’offerta di arbitrato dello Stato contenuta nella clausola) il diritto di ricorrere ad un arbitrato internazionale nei confronti dell’altro Stato, ospite dell’investimento, al fine di assicurarsi effettivamente l’applicazione degli standard di tutela sostanziali sopra indicati. Il consenso al ricorso all’arbitrato treaty-based è prestato dalle parti in maniera disgiunta e si perfeziona nel momento dell’accettazione da parte dell’investitore dell’offerta di arbitrato degli Stati contenuta nella clausola del BIT. Tuttavia il consenso può validamente perfezionarsi solo nei limiti ratione personarum, ratione temporis, ratione loci e ratione materiae stabiliti da ciascun accordo. Dunque, nel caso del BIT Italia-Argentina una persona fisica di nazionalità italiana, che sia stata domiciliata in Argentina nei due anni precedenti al momento di effettuare l’investimento (art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale) oppure abbia mantenuto residenza anagrafica in Italia e contestualmente domicilio per due anni in Argentina, dove l’investimento è stato realizzato, (art. 1, par. 2 del Protocollo addizionale) non potrà avere accesso all’arbitrato. Il consenso delle parti al ricorso in arbitrato treaty-based non può validamente perfezionarsi in tali casi. Infatti, le persone fisiche con i requisiti di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale “non potranno beneficiare dell’Accordo” (art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale) né sotto il profilo procedurale (il ricorso all’arbitrato internazionale) né sotto il profilo sostanziale (gli standard di trattamento e protezione). In quarto luogo, sotto il profilo dell’interpretazione e dell’applicazione del BIT, merita di essere rilevato che il tribunale include astrattamente nell’elenco dei requisiti richiesti dalla Convenzione ICSID e del BIT ai fini della propria giurisdizione ratione personarum solo i requisiti richiesti dall’art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale. Il tribunale non compie nessuna valutazione autonoma dell’art. 1, par. 2 del Protocollo addizionale, come avrebbero suggerito una corretta applicazione e interpretazione del BIT. In 223 © Copyright - Giuffrè Editore base all’art. 1, par. 2 Protocollo addizionale, “[q]ualora una persona fisica di una Parte Contraente mantenga contemporaneamente la residenza anagrafica nel proprio Paese ed il domicilio per più di due anni nell’altro, essa verrà equiparata, ai fini del presente Accordo, alle persone fisiche della Parte Contraente nel cui territorio abbia realizzato investimenti”. Se dunque il par. 1 pone il limite del domicilio nei due anni precedenti “al momento di effettuare un investimento”, il par. 2 sembra porre il limite del domicilio di due anni nel paese ospite dell’investimento (contestuale al mantenimento della residenza anagrafica nello Stato di cittadinanza) con riferimento ad un momento successivo a quello dell’effettuazione dell’investimento, quando l’investimento è già stato realizzato. In tale caso il cittadino italiano è equiparato al cittadino argentino, dunque escluso dalla protezione dell’Accordo, con riferimento sia alla protezione procedurale che alla protezione sostanziale. In proposito, nonostante il richiamo alle regole di interpretazione dei trattati della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati (in particolare gli articoli 31 e 32) (44) il tribunale non sembra compiere nessuna delle operazioni che l’applicazione dei criteri di interpretazione dei trattati codificati nella Convenzione di Vienna avrebbe richiesto. Si tratta in particolare della regola secondo cui “Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo” (art. 31, par. 1 Convenzione di Vienna) (45). In quinto luogo, sotto il profilo dell’applicazione dei criteri di interpretazione dei trattati (in particolare la regola di cui all’art. 31, par. 1 Convenzione di Vienna), gli argomenti teleologici utilizzati dal tribunale appaiono deboli in base ad una semplice lettura dei testi degli accordi. Sotto un primo profilo e con riferimento alla Convenzione ICSID si rileva che il tribunale attribuisce alla Convenzione ICSID lo scopo della protezione degli investimenti. Tuttavia la semplice lettura del Preambolo della Convenzione ICSID smentisce tale assunto. Scopo della Convenzione è, infatti, offrire un foro arbitrale neutrale per la soluzione di controversie sugli investimenti tra Stati contraenti e privati nazionali di altri Stati, “considering the need for international cooperation for economic development, and the role of private international investment” (Preambolo, primo capoverso). Con riferimento al BIT, i limiti all’ambito di applicazione soggettivo del BIT di cui art. 1 del Protocollo addizionale non appaiono superabili con l’argomento di carattere teleologico secondo cui il BIT avrebbe l’obiettivo della protezione degli investimenti stranieri. Al contrario, le Parti contraenti del BIT sembrano aver consapevolmente escluso dalla categoria dei bene- (44) Decisione, par. 291. (45) Si veda la traduzione in italiano della Convenzione in LUZZATTO, POCAR, Codice di diritto internazionale pubblico, Torino, 2003, 33 ss. 224 © Copyright - Giuffrè Editore ficiari dell’Accordo non solo le persone fisiche che posseggano doppia nazionalità ma anche coloro che nazionali di una delle Parti abbiano, pur tuttavia, un legame stretto con la comunità territoriale dell’altra Parte contraente (segnalato appunto dal mantenimento anche per soli due anni del domicilio in questa ultima). In altri termini, sembrerebbe che, in ragione delle tradizionali e strette relazioni di amicizia, Italia e Argentina abbiano scelto di limitare la protezione internazionale degli investitori persone fisiche. Al contrario, i BIT generalmente proteggono in maniera molto ampia gli investitori persone fisiche, generalmente piccoli e medi investitori. Infatti, la protezione internazionale è generalmente estesa ai doppi nazionali, purché la nazionalità predominante non sia quella dello Stato ospite dell’investimento, sia in applicazione di un espressa previsione dell’accordo che nel silenzio dello stesso (46) e, in alcuni casi, anche ai cittadini di Paesi terzi residenti di lungo soggiorno nel territorio degli Stati parti dell’accordo (47). Non sono generalmente previste limitazioni alla protezione di investitori cittadini di una delle parti che siano basate sul domicilio nell’altro Stato parte ove si è effettuato l’investimento. Dall’altra parte la previsione di tali limitazioni basate sul domicilio limita fortemente l’obiettivo convenzionale della protezione effettiva dell’investimento straniero e degli investitori piccoli e medi, generalmente appunto persone fisiche. Come osservato a contrario dal Tribunale NAFTA nel caso Feldman Karpa c. Messico (48), l’obiettivo delle Parti della promozione delle opportunità di investimento nel territorio delle Parti e della protezione effettiva garantita da ciascuna delle Parti agli investitori dell’altra si oppone, in via di principio ed in assenza di una previsione contraria dell’accordo, all’esclusione dei residenti permanenti nello Stato ospite dalla protezione sostanziale e procedurale del trattato. Dunque la lettera e i termini delle norme convenzionali, interpretati in buona fede secondo il loro senso ordinario, non possono essere superati da generici richiami allo scopo del BIT (la protezione degli investimenti) e il tribunale non può sostituire all’assetto di interessi raggiunto dalla Parti con la conclusione del BIT le proprie autonome valutazioni di policy, sia pure fondate sulla necessità di garantire ad un’ampia categoria di piccoli e medi investitori una protezione effettiva di cui di fatto sarebbero altrimenti privati. Al contrario di quanto sostenuto dal tribunale, gli adattamenti richiesti dall’ammissione dell’azione collettiva in arbitrato ICSID sulla base del BIT Italia-Argentina non riguardano semplicemente (46) Sul punto si veda DE LUCA, I requisiti di nazionalità degli investitori persone fisiche ai fini della giurisdizione ICSID, cit., 812. (47) Per esempio art. 1(7) Energy Charter Treaty e l’art. 1(c) BIT Australia-Argentina. Per altri esempi si veda DE LUCA, I requisiti di nazionalità degli investitori persone fisiche ai fini della giurisdizione ICSID, cit., 819. (48) Decisione sulla giurisdizione 6 dicembre 2000, caso ICSID n. ARB(AF)/99/1, par. 35. 225 © Copyright - Giuffrè Editore l’attuazione della procedura ICSID. Essi hanno esattamente l’effetto di limitare l’oggetto dell’esame condotto dal tribunale (49). Si tratta del controllo per gruppi e l’esame sommario degli elementi di prova rispetto, tra gli altri, ai requisiti richiesti agli investitori per l’eligibility all’arbitrato ICSID treaty-based. Tale limitato esame appare contrario a quanto richiesto dalla Convenzione ICSID in relazione al controllo dei “jurisdictional requirements” di cui all’art. 25 e dal BIT in relazione ai requisiti di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale, il cui solo rispetto consente il valido perfezionamento del consenso delle parti al ricorso in arbitrato. In base ai rilievi sopra svolti, la circostanza che l’azione collettiva e gli adattamenti alla procedura arbitrale ICSID che essa richiede (con conseguente compressione del diritto di difesa dell’Argentina come sopra già evidenziati) pongano problemi attinenti al controllo della giurisdizione (al contrario di quanto affermato dal tribunale) avrebbe dovuto forse suggerire al tribunale una soluzione opposta. Si tratta dell’impossibilità di ammettere l’azione collettiva nell’impossibilità di garantire il rispetto dell’art. 25 Convenzione ICSID e delle sopra citate previsioni del BIT, nel rispetto dell’assetto di interessi voluto delle Parti dello stesso. Tuttavia, non si esclude che azioni collettive possano essere ammesse in arbitrato internazionale treaty-based nell’ipotesi in cui un tribunale possa garantire il controllo dei requisiti di eligibility di ciascun attore, eventualmente con l’assistenza dell’organismo che amministra la procedura. A tal fine appare, tuttavia, necessario che la fase della raccolta delle informazioni relative agli attori e la preparazione e gestione del relativo database sia curata da un soggetto terzo rispetto alle parti, al fine di garantire il principio del due process. Tali operazioni non possono essere lasciate esclusivamente ad un soggetto che rappresenta gli interessi degli attori, quali è la TFA nel caso che qui si discute. Infine, anche l’argomento utilizzato dal tribunale secondo cui occorrerebbe ammettere l’azione collettiva al fine di garantire una protezione effettiva ai bondholders appare debole nel caso all’esame. Al contrario di quanto sostenuto dal tribunale, il mancato accesso degli attori all’ICSID non avrebbe privato gli stessi di una protezione effettiva. Per i bondholders sarebbero rimasti possibili ricorsi avanti a più fori nazionali. Si tratta del ricorso al foro domestico pattuito nei regolamenti dei bonds e dell’azione di responsabilità contro le banche italiane avanti ai giudici italiani. Anzi proprio quest’ultima azione avanti ai giudici italiani appare il rimedio più efficace sotto il profilo di una protezione effettiva dei bondholders. Merita di essere ricordato che l’esecuzione di sentenze straniere e lodi (ICSID e non-ICSID) contro Stati incontra il limite classico costituito dalla regola internazionale dell’immunità statale dalla giurisdizione esecutiva. ANNA DE LUCA (49) Si veda la decisione par. 491-492, par. 530 e 533. 226 © Copyright - Giuffrè Editore RASSEGNE E COMMENTI Contrasti tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza togata GIORGIO DE NOVA 1. La questione. Nel 2005 un collegio arbitrale milanese pronunciava un lodo in materia di vendita di partecipazioni sociali, e respingeva l’eccezione di prescrizione della domanda del Buyer volta ad ottenere l’indemnity per la violazione di alcune business warranties, eccezione che il Seller aveva sollevato ex art. 1490, 1495 e 1497 c.c.. La respingeva argomentando, secondo l’orientamento della giurisprudenza arbitrale (1), che il Sale and Purchase Agreement prevedeva uno specifico rimedio convenzionale, l’indemnity, per il caso di violazione delle garanzie, con una pattuizione accessoria non inquadrabile nella promessa di qualità di cui all’art. 1497 c.c., sicché non si applicava la prescrizione annuale di cui all’art. 1495 c.c. Nel 2008, con sentenza 21 novembre n. 3138, la Corte d’Appello di Milano dichiarava la nullità del lodo, richiamando la giurisprudenza togata (che definiva « ormai prevalente ») « secondo la quale la garanzia prestata dal venditore di partecipazioni societarie circa la consistenza o la composizione del patrimonio sociale comporta l’applicazione della disciplina stabilita dall’art. 1497 c.c. per mancanza di qualità della cosa venduta dal che deriva l’assoggettamento dei conseguenti diritti del compratore alla decadenza e alla prescrizione stabilite nell’art. 1495 c.c. » (2). (1) Hanno escluso l’applicabilità dell’art. 1495 al diritto all’indemnity cinque lodi citati da BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, in Dir. comm. int., 2007, 318, nota 43, e cioè un lodo Scalfi, Galgano, Pedersoli, un lodo Alpa, Rescigno, Francario, un lodo Coriat, Perret e Pistorelli, un lodo del 2005 Tarzia, Marsaglia e Santarelli, un lodo dell’agosto 2007 Perret, Santa Maria, Luzzatto; posso aggiungere, per parte mia, che lo stesso hanno fatto un lodo Nobili, De Nova, Mazzoni del giugno 2000, un lodo Tavormina, Disertori, De Nova del 2002, un lodo Luzzatto, Schlesinger, De Nova in data 14 novembre 2008. (2) La sentenza cita, tra le più recenti, Cass., 20 febbraio 2004, n. 3370 e Cass., 9 settembre 2004, n. 18181. 227 © Copyright - Giuffrè Editore Difficile pensare ad un esempio che identifichi in modo più chiaro la questione e ne metta meglio in evidenza l’importanza. Qui non rileva stabilire se sia fondata la giurisprudenza arbitrale o la giurisprudenza togata (3), qui importa porsi la questione dei contrasti tra le due giurisprudenze. 2. Casi di contrasto e ragioni. L’unico che, a quanto mi risulta, abbia affrontato in modo espresso la questione è un illustre arbitro internazionale, François Perret. In un primo scritto (4) egli si chiede se si possa parlare di precedente arbitrale, e, considerando proprio la questione da cui siamo partiti, quella della prescrizione del diritto all’indennità per violazione delle Representations and Warranties, sottolinea come si sia formata, in casi in cui era applicabile il diritto italiano, una giurisprudenza arbitrale che a suo parere crea un precedente, che gli arbitri è bene seguano, trascurando il diverso orientamento dei giudici togati italiani. In un secondo scritto (5) egli si chiede direttamente se l’arbitro sia vincolato dalle soluzioni consacrate dalla giurisprudenza dei tribunali statali, e risponde negativamente; porta due esempi in cui è stato e sarà opportuno che gli arbitri non seguano la giurisprudenza togata: il primo è quello, già riferito, della prescrizione del diritto all’indemnity in caso di violazione delle Representations and Warranties, il secondo riguarda il diritto svizzero. L’art. 404 c.c. svizzero dispone che il mandato possa essere revocato in qualsiasi momento, e la giurisprudenza togata ne ha tratto il corollario della invalidità di un mandato a tempo determinato: Perret cita due lodi arbitrali che hanno deciso diversamente, e li approva, esortando l’arbitro a non scimmiottare il diritto applicabile, seguendo la giurisprudenza togata anche quando non risponde ai bisogni del commercio internazionale. Perret argomenta nell’ottica dell’arbitrato internazionale, e quindi il rapporto arbitro/giurisprudenza togata si pone dopo la considerazione che se il contratto è completo l’arbitro può decidere senza fare riferimento alla legge applicabile, e dopo la considerazione che la legge applicabile è in- (3) Le ragioni a favore della soluzione adottata dalla giurisprudenza arbitrale si possono leggere in BONELLI, op. cit., 319 ss. e in DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2010, 171 ss. (4) PERRET, Is There a Need for Consistency in International Commercial Arbitration?, in IAI, Precedent in International Arbitration, Juris Publishing, 2008, 25 ss. (5) PERRET, Quelques réflexions au sujet de l’application par l’arbitre international du droit matériel choisi par les parties, in Liber Amicorum en l’honneur de Serge Lazareff, Paris, 2011, 491 ss. 228 © Copyright - Giuffrè Editore nanzitutto, almeno per i paesi di civil law, appunto la legge scritta (6). Ma la questione si pone anche per l’arbitrato domestico, e, per quel che qui interessa, per l’arbitrato interno di diritto italiano. Anche in questo ambito alcuni casi di contrasto possono essere ricordati, e questo scritto vuole appunto stimolare una riflessione, e se possibile indurre a raccogliere una ulteriore casistica. Un caso molto noto, in cui la maggioranza del collegio arbitrale si ritiene abbia deciso discostandosi dalla giurisprudenza togata allora dominante, è quello del c.d. Lodo Mondadori, in cui furono dichiarati validi patti parasociali di voto (7). Che gli arbitri considerino valido il contratto cui accede la convenzione di arbitrato da cui ripetono il potere di decidere non appare sorprendente. È stato sottolineato da Pierre Mayer (8) che la situazione psicologica dell’arbitro è diversa da quella del giudice, perché l’arbitro è orientato a far prevalere il rispetto del contratto, e vede con sfavore la parte che, dopo aver sottoscritto il contratto con piena conoscenza di causa, ne deduce la nullità per sottrarsi alle obbligazioni assunte. Un caso ulteriore di contrasto, che ho avuto occasione di riscontrare, si è posto ancora in tema di patti parasociali. La questione è se l’art. 2949 c.c., secondo cui « si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese » si applichi anche ai diritti derivanti da un patto parasociale. La Corte Suprema, con sentenza 27 luglio 2004, n. 1443, ha statuito che « i diritti che derivano dai patti parasociali, che intervengano fra i soci, non sono soggetti alla prescrizione quinquennale ma a quella ordinaria decennale ». Ma un lodo del 2007 (9) ha operato un distinguo: l’orientamento della Cassazione può essere condiviso nei casi normali, ma non nei casi in cui la società abbia una struttura personalistica, sicché il profilo dei rapporti tra i soci è strettamente intrecciato ai rapporti con la società. In questo caso è forse eccessivo parlare di contrasto tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza togata: ma certo gli arbitri hanno mostrato di non sentirsi vincolati ai precedenti della giurisprudenza togata. 3. Considerazioni conclusive. Il tema merita, a mio avviso, di essere approfondito, perché se in (6) PERRET, Quelques réflexions, cit.,492. (7) Lodo Pratis, Rescigno, Irti 20 giugno 1990, in Giur. it., 1990, I, 2, 529, con nota di Cottino, che svolge considerazioni sul rapporto tra lodo e giurisprudenza del tempo. (8) MAYER, Le juge étatique, l’arbitre et les lois de police, in SIDI, I rapporti economici internazionali e l’evoluzione del loro regime giuridico, Napoli, 2008, 312. (9) Lodo 29 marzo 2007, Portale, Benatti, Sacchi, in Riv. soc., 2007, 171 ss. 229 © Copyright - Giuffrè Editore astratto non si vede ragione perché vi siano contrasti tra le due giurisprudenze, sta di fatto che contrasti vi sono. La questione è particolarmente delicata nei casi in cui un lodo sia impugnato per violazione delle regole di diritto, perché se vi è un contrasto tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza togata un lodo conforme alla giurisprudenza arbitrale può venire annullato in applicazione della giurisprudenza togata, come abbiamo visto essersi verificato nel caso da cui abbiamo preso le mosse. È vero che la riforma del 2006 ha reso possibile l’impugnazione per violazione di regole di diritto soltanto in caso di espressa previsione in tal senso della convenzione di arbitrato, ma ciò non toglie rilevanza pratica alla questione, perché non è infrequente che le parti prevedano che il lodo sia impugnabile per violazione delle regole di diritto, e perché rimane in ogni caso aperta la possibilità che il lodo sia nullo per contrarietà all’ordine pubblico. La rilevanza del tema è per altro verso resa palese dal sempre più frequente ricorso all’impugnazione dei lodi. 230 © Copyright - Giuffrè Editore La trasparenza negli arbitrati sugli investimenti: le proposte Uncitral VINCENZO VIGORITI 1. Premessa. Già nel 2008, durante l’attività di revisione delle regole sull’arbitrato del commercio internazionale, la Commissione Uncitral (United Nations Commission International Trade Law) aveva avvertito l’importanza di fissare regole in materia di trasparenza degli arbitrati sugli investimenti, ma aveva deciso di posticipare l’analisi e l’elaborazione ad un momento successivo al completamento dell’opera di revisione generale a cui stava attendendo. Subito, appena pubblicate le nuove rules nel 2010, la Commissione ha deciso di impegnare lo stesso Gruppo di Lavoro (Working Group II) che aveva proceduto a quella revisione nella preparazione di regole specifiche in punto di trasparenza. L’attività si è svolta a partire dallo stesso 2010 in più sessioni annuali (New York e Vienna), con le modalità abituali per quel consesso, e quindi considerando i contributi delle delegazioni statali, affiancate da esperti di varia estrazione, e procedendo all’approvazione (non ai voti) di un articolato da sottoporre alla Commissione. Dopo qualche esitazione, si è deciso di non limitarsi a consigli (guidelines) e di impartire veri e propri comandi (rules), vincolanti per tutti. Allo stato, il lavoro è pressoché completato: esiste un testo composto da nove articoli, quasi tutti discussi in dettaglio che sarà oggetto di altri controlli nel corso del 2012, ma che verosimilmente verrà sottoposto all’Uncitral senza stravolgimenti. Queste le scansioni: l’art. 1 ha carattere generale, e contiene le opzioni di fondo; gli artt. 2-7 trattano di problemi connessi all’attuazione concreta del principio di trasparenza; l’art. 8 riguarda le eccezioni a detto principio (e quindi delle situazioni in cui la riservatezza prevale); l’art. 9 si occupa degli organi destinati ad assicurare la diffusione delle informazioni. Questi articoli saranno parte integrante delle Uncitral Arbitration Rules per cui, nel caso di rinvio a dette regole, quel rinvio, per quanto generico, includerà la disciplina particolare sulla trasparenza. 2. Le scelte di fondo. L’art. 1: opt-out e opt-in. Il Working Group ha discusso ampiamente dei valori che le nuove ru231 © Copyright - Giuffrè Editore les intendono tutelare e dei possibili conflitti con altri valori di pari dignità, e riflettuto se darne atto del dibattito in una sorta di preambolo. L’orientamento maggioritario è risultato in questa fase contrario, ma sul punto la decisione finale è riservata. In sintesi. Gli investimenti all’estero, specie nei Paesi in via di sviluppo, sono operazioni economiche complicate, vantaggiose per gli Stati e per gli investitori, ma che facilmente generano situazioni di conflitto. Interno agli Stati, i cui governi vengono spesso accusati di aver indebitamente consentito allo sfruttamento delle risorse naturali (acqua, petrolio) ed ancor più spesso fra Stati e investitori, per atti di autorità dei primi in danno dei secondi, o per la tendenza di questi a sottrarsi agli impegni assunti. In linea di massima, è generalmente condiviso l’assunto che il valore centrale da affermare e difendere dall’inizio alla fine del contenzioso arbitrale sia quello della trasparenza, ritenuto dominante per la delicatezza delle situazioni di conflitto. Affermato il valore ecco i distinguo: ci sono Stati riluttanti a garantire piena e totale trasparenza degli accordi stipulati e dell’attività successivamente svolta, nel timore di conseguenze politiche negative; altri temono che “eccessi di trasparenza” scoraggino gli investitori stranieri, altri ancora, interessati a proporsi come sede privilegiata dei contenziosi, risultano assai cauti nelle aperture. C’è insomma una varietà di posizioni di cui non è facile percepire le motivazioni effettive. Il consenso è dunque per affermazioni di carattere generale riassumibili nell’assunto che le nuove rules si applicano negli arbitrati fondati sui trattati Stato-investitore ed aspirano a contemperare l’interesse pubblico a conoscere di un contenzioso indubbiamente rilevante per la comunità e l’interesse delle parti ad una definizione “corretta ed efficiente” della controversia che le oppone (fair and effıcient resolution of the dispute). Difficile che si riesca ad andare oltre questo, nel timore di proposizioni di lata formulazione, magari suscettibili di interpretazioni al momento impensabili. L’art. 1, al comma 1, tratta dell’ambito di applicabilità delle nuove rules, problema sentito come assai importante. Secondo una prima soluzione, le rules si applicano automaticamente in qualunque arbitrato disciplinato dalle regole Uncitral legittimato da patti compromissori contenuti nei trattati Stato-investitore, salvo esplicita previsione delle parti in senso contrario contenuta nel testo convenzionale (soluzione c.d. opt-out). Secondo un’altra proposta le nuove rules si applicheranno agli arbitrati soggetti alle regole Uncitral, a condizione che gli Stati e gli investitori esplicitamente consentano all’applicazione della disciplina sulla trasparenza (soluzione c.d. opt-in). In quest’ottica, non rileva se il trattato di riferimento è precedente o posteriore all’entrata in vigore delle rules, essendo decisiva la scelta dei soggetti interessati. Questa più cauta soluzione è stata quella preferita, con l’ulteriore precisazione che se le parti lo desiderano, le regole Uncitral sulla trasparenza 232 © Copyright - Giuffrè Editore si applicano anche se l’arbitrato è diversamente disciplinato, come ad esempio dalle regole Icsid, o da quelle dell’Istituto per l’arbitrato di Stoccolma, o dall’ICC. Se la trasparenza è stata già convenuta nel trattato sull’investimento, non sono ammesse deroghe neppure consensuali. Durante il dibattito la preferenza per l’opt-in era largamente maggioritaria, ma il Working Group ha dichiarato di voler comunque ulteriormente riflettere sul punto, rimandando al 2012 la decisione definitiva. 3. Artt. 2-4: pubblicità degli atti introduttivi, di quelli successivi, dei documenti, dei lodi. Gli artt. 2-7 regolano l’attuazione concreta del principio di trasparenza. L’art. 2 riguarda l’informazione concernente l’inizio del procedimento arbitrale. È fondamentale che l’informazione sul contenzioso venga diffusa col sorgere dello stesso. Se questo deve avvenire dando piena ed immediata pubblicità alla domanda di arbitrato, si corre il rischio di anticipare eventi che possono non occorrere (nessun arbitrato dopo la domanda), oppure di pubblicizzare le pretese di una sola parte, visto che quella resistente non si è ancora costituita, col pericolo di favorire il perseguimento di fini non percepiti, e altro. La soluzione preferita è stata quella di limitare la notizia alla menzione che una domanda è stata proposta, senza indicarne i contenuti, che essa proviene da Tizio contro Caio, e che riguarda un dato settore economico e un dato trattato d’investimento. Senza dettagli, come praticato dall’Icsid. È stato altresı̀ disposto che deve essere pubblicizzato, in modo ugualmente sintetico, il contenuto della risposta della parte resistente (30 giorni dalla ricezione della domanda). Le notizie possono essere diffuse solo dopo la costituzione del Tribunale arbitrale, che secondo le regole Uncitral avviene dopo la proposizione della domanda (notice of arbitration: art. 3) e la risposta a detta domanda (response: art. 4). Tutte le informazioni andranno fornite all’ente che si assumerà l’incarico di riceverle, gestirle, fornendole a chi di diritto, ed archiviarle. Ancora non è stata individuata l’istituzione che dovrebbe assicurare il servizio (infra, art. 9). L’art. 3 riguarda la pubblicità degli atti del procedimento e dei documenti prodotti. Ci sono preoccupazioni di carattere classificatorio, superate dall’intesa che i materiali saranno ordinati in quattro gruppi: 1) domanda di arbitrato e risposta; 2) memorie difensive; 3) deposizioni testimoniali e consulenza tecniche; 4) accertamenti di fatto. Come accade nei documenti internazionali, specie in quelli che si formano con il linguaggio di common law; la terminologia non è facile, e il WG si è impegnato a garantire chiarezza e precisione. In punto di diffusione, si sono confrontate posizioni radicali che da un 233 © Copyright - Giuffrè Editore lato volevano trasparenza per tutti i documenti di causa senza eccezioni, e dall’altro invece preferivano assicurare alle parti, a ciascuna di loro, il diritto di veto. Alla fine, è prevalsa la tesi che attribuiva al Tribunale arbitrale la decisione finale sulla pubblicazione, con potere discrezionale, da esercitare dopo aver sentito le parti. L’art. 4 concerne la pubblicità dei lodi, assicurata senza obiezioni per tutte le decisioni, anche parziali e non definitive, com’era naturale date le premesse. Questa norma modifica la regola generale Uncitral secondo cui i lodi sono resi pubblici solo col consenso delle parti. 4. Artt. 5-7: il contributo dei terzi; la pubblicità delle udienze. Gli artt. 5 e 6 regolano l’ipotesi, assai importante anche sul piano operativo, di scritti difensivi provenienti da soggetti diversi dalle parti. Con queste specificazioni: l’art. 5 concerne i contributi di soggetti terzi, estranei al procedimento e non vincolati dal trattato da cui sorge la controversia, abitualmente definiti “amici curiae”. Il terzo che desidera sottoporre un suo scritto può chiedere al Tribunale il permesso di produrlo, specificando le ragioni soggettive ed oggettive dell’iniziativa, che gli arbitri poi eventualmente autorizzeranno, sentite le parti, prendendo in considerazione quale sia l’interesse del terzo, la misura in cui lo scritto può giovare al Tribunale ai fini della decisione, in punto di fatto e di diritto, e soprattutto quale sia l’importanza del contributo (particular knowledge or insight), rispetto a quelli direttamente provenienti dalle parti. Lo scritto del terzo deve essere sintetico e non superare il numero delle pagine indicato dal Tribunale. Le parti potranno contro dedurre. L’art. 6 riguarda invece i contributi di soggetti estranei all’arbitrato, ma comunque legati al trattato e quindi potenzialmente portatori di un interesse qualificato ad una decisione, piuttosto che ad un’altra. Qui è ancora controverso se il Tribunale debba, o più semplicemente possa, accettare il contributo del terzo, sentite le parti, o magari addirittura agire d’ufficio ed invitarlo a presentare un suo scritto. Il rifiuto non ha implicazioni negative. Il parere deve rispondere agli stessi requisiti precisati nell’art. 5. L’art. 7 riguarda la pubblicità delle udienze e la diffusione dei relativi verbali. In generale, si afferma una c.d. rule of openess, e quindi di totale trasparenza, soggetta ad eccezioni limitate, oggetto di interpretazione restrittiva. È previsto che le udienze siano sempre e comunque aperte al pubblico salvo ovvi motivi di ordine pubblico o di riservatezza, esclusa ogni possibilità di interloquire, che è scelta opposta a quella generale Uncitral che è per la segretezza, salvo diversa intesa fra le parti (art. 28 delle rules). Alcuni hanno ritenuto eccessiva tale apertura, ma non si vede a cosa serva escludere il pubblico, quando si consente la diffusione incondizionata di atti e documenti. Si vuole la presenza di radio e televisione, come nei processi 234 © Copyright - Giuffrè Editore penali, con limiti alla possibilità di trasmissione in diretta. Ma poi si parla di disponibilità dei transcripts (trascrizione verbatim), per tutti senza particolari restrizioni. 5. Artt. 8-9: le eccezioni. L’art. 8 si compone di ben 11 commi che trattano delle situazioni in cui l’impegno per la trasparenza deve cedere ad altre esigenze. La deroga al principio dominante è prevista solo in due ipotesi, una delle quali è peraltro assai ampia: 1) quando l’informazione è riservata (confidential) o sensibile (commi 1-9); 2) quando essa è tale da mettere in pericolo “l’integrità” del procedimento arbitrale (commi 10 e 11). Molti hanno messo in evidenza come la terminologia usata rifletta categorie conosciute in common law, ma meno facilmente percepibili in altri ordinamenti, ed hanno sollecitato precisazioni peraltro difficili da fornire. Sono da ritenere riservate le informazioni commerciali, quelle la cui diffusione è vietata dal trattato Stato-investitore, oppure proibita dalla legge di una delle parti (ad esempio, dalla legge dell’investitore), o da qualunque altra legge in base alla quale il Tribunale debba decidere sulla pubblicazione dell’informazione (1). Non sarà facile accertare quali sono e cosa dispongono le leggi che vietano la pubblicazione. Il procedimento attraverso cui la parte segnala la riservatezza dell’informazione e chiede al Tribunale di non diffonderla è previsto in dettaglio dai commi successivi. Gli arbitri, sentite le parti, possono disporre che il documento che contiene le informazioni protette venga del tutto o in parte segretato, e venga eventualmente diffuso in forma rieditata (redacted version). Chi oppone la riservatezza non può poi giovarsi dell’informazione non diffusa. La seconda ipotesi, di minor rilievo, si realizza quando il Tribunale, d’ufficio, ritiene opportuno vietare, o anche solo ritardare, la pubblicazione di certe informazioni, situazioni in cui la norma dispone che debbano essere sentite le parti prima di provvedere in qualunque senso. L’art. 9 non è ancora venuto alla luce. Esso riguarderà il problema della tenuta dei registri (repository) destinati a ricevere le informazioni da rendere pubbliche e dell’archivio dove conservarle. Trattasi di questione (1) Comma 2: “(Confidential or sensitive) (Protected) information consists of: a) Confidential business information; b) Information which is protected against being made available to the public under the treaty; c) Information which is protected against being made available to the public under the law of a disputing party or any other law or rules determined to be applicable to the disclosure of such information by the arbitral tribunal”. 235 © Copyright - Giuffrè Editore pratica importante, dovendosi unire efficienza informatica e neutralità nella gestione. Si è detto che l’organo più adatto ad assolvere il compito dovrebbe essere il servizio di segreteria delle Nazioni Unite, e nel caso di sua impossibilità (mancanza di risorse, altro), potrebbe occuparsene la PCA (Permanent Court of Arbitration), con sede in Olanda, che è organo a cui sono già affidate importanti funzioni di supporto per molti enti in ambito internazionale. Per l’Uncitral, fra l’altro, essa svolge la funzione di appointing authority degli arbitri, ed ha potere di controllo sui costi del procedimento e sugli onorari di quanti operano sotto quell’egida. La PCA si è dichiarata disponibile ad organizzare il servizio. Altre istituzioni arbitrali come l’ICSID, l’ICC, la LCIA (London Court of International Arbitration), la SCC (Arbitration Institute of the Stockholm Chamber of Commerce), la CRCICA (Cairo Regional Centre for International Commercial Arbitration), si sono quindi dette anch’esse disponibili, in via esclusiva o in concorso fra loro, e il WG ha quindi preparato un questionario chiedendo a ciascuno di precisare le condizioni del servizio e un preventivo dei costi. Deciderà la Commissione. 236 © Copyright - Giuffrè Editore La riconoscibilità extra moenia ai sensi della Convenzione di New York del 1958 del lodo irrituale del lavoro previsto dalla Legge n. 183/2010 ELENA GRANATA 1. Il lodo arbitrale nel settore giuslavoristico all’indomani della l. 183/ 2010: brevi cenni di inquadramento. Con la Legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro) il legislatore interviene in tema di contenzioso laburistico segnando la definitiva svolta a favore dell’utilizzo dello strumento arbitrale anche in tale settore (1). Dopo un atteggiamento tradizionalmente restrittivo che aveva portato il legislatore del 1940 a negare la possibilità di utilizzare lo strumento arbitrale per le controversie del lavoro (2) e le progressive aperture (prima nel 1973 in occasione della riforma del processo del lavoro (3) e, più ancora, (1) Di « scelta di campo totale e irreversibile » a favore dello strumento arbitrale parla SOCCI, L’arbitrato e la conciliazione nel lavoro pubblico e privato, Milano, 2011, 88. Per una ricostruzione storica del tema dell’arbitrato in materia di lavoro, si veda CECCHELLA, L’arbitrato nelle controversie del lavoro, Milano, 1990, 17 ss.; GRANDI, voce Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Enc. dir., Agg., I, Milano, 1997, 99 ss.; PERONE, Arbitrato in materia di lavoro, in Nov.ss.mo dig. it., I, Torino, 1980, 371 ss. (2) Sulla spinta del sistema corporativo, che tendeva a limitare o escludere l’arbitrato in materia di lavoro, il codice di procedura civile del 1940-1942 dichiarava espressamente la inarbitrabilità delle controversie individuali del lavoro (art. 806 come da originaria formulazione) nonché il divieto di includere clausole compromissorie negli strumenti di contrattazione collettiva (art. 808, comma 2). Sulle ragioni della tendenziale diffidenza che ha storicamente caratterizzato l’atteggiamento del legislatore italiano nei confronti dell’utilizzo dello strumento arbitrale nell’ambito delle controversie lavorative, CORSINI, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Diritto del lavoro, Comm. Carinci, vol. VI, Il processo del lavoro, a cura di BORGHESI, Torino, 2005, 127; SOCCI, op. cit., 84 ss. (3) Per la verità, i primi riconoscimenti al possibile utilizzo dello strumento arbitrale (irrituale) in campo lavorativo sono avvenuti in epoca precedente, attraverso una serie di interventi settoriali (art. 7, ult. comma Legge n. 604/1966 in tema di licenziamenti individuali; art. 7, Legge n. 300/1970 in materia di sanzioni disciplinari), ma è con l’art. 5 della Legge n. 533/1973 che la via arbitrale riceve un riconoscimento di portata generale. Per una lucida ricostruzione del progressivo ingresso dello strumento arbitrale nell’ambito del contenzioso in materia di lavoro, BORGHESI, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Arbitrati speciali, a 237 © Copyright - Giuffrè Editore nel 1998 con la codificazione dell’arbitrato (irrituale) del lavoro) (4), oggi il legislatore mostra di « scommettere » sullo strumento arbitrale per contrastare le problematiche di sovraccarico dei tribunali del lavoro e cosı̀ auspicare ad una giustizia più efficiente e rapida (5). Per la verità il legislatore del 2010 non si è limitato ad aprire alla via dell’arbitrato ma, in un probabile eccesso di zelo (6), ha introdotto nell’ordinamento diverse tipologie di possibili arbitrati in campo laburistico (7), cura di CARPI, Bologna, 2008, 4 ss.; PUNZI, L’arbitrato nelle controversie del lavoro, in questa Rivista, 2001, 389 ss. Va comunque sin d’ora sottolineato come l’intervento legislativo in esame, subordinando la legittimità del ricorso all’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro alla previsione ad opera della contrattazione collettiva o della legge e disciplinando il regime del lodo finale in termini di instabilità (consentendone l’impugnazione ai sensi dell’art. 2113, comma 2 e 3 c.c.), avesse in realtà dato vita ad uno strumento alquanto poco appetibile da parte dei contendenti e di limitata utilità concreta, ragioni che per altro ne giustificarono il sostanziale insuccesso nella pratica (a riguardo PERA, La nuova disciplina dell’arbitrato nelle controversie del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, 363, parla di « scelta mortificatrice »). (4) Il riferimento è ai D.Lgs. n. 80 e n. 387/1998, che hanno introdotto nel corpo del codice di procedura civile gli articoli 412-ter e quater espressamente dedicati all’arbitrato (irrituale) nelle controversie del lavoro, per il quale hanno dettato una precisa disciplina, caratterizzante rispetto a quella dell’arbitrato di diritto comune. Tali articoli sono oggi stati sostituiti per effetto dell’art. 31, Legge n. 183/2010, che ha innovato la materia, conservando però determinate caratteristiche dell’arbitrato del lavoro cosı̀ come disciplinato nel 1998 (v. infra nota 19). (5) Nel senso che l’obiettivo della riforma sia quello di incidere sull’inefficienza della giustizia del lavoro, lasciando intatto il modello processuale delineato dalla Legge n. 533/1073 e valorizzando l’arbitrato in chiave di alternativa alla giurisdizione statale, DE ANGELIS, Collegato lavoro e diritto processuale: considerazioni di primo momento, WP C.S.D.L.E. « Massimo D’Antona ».it, 111/2010, 3 ss.; nello stesso senso anche AMATO - MATTONE, Il « collegato lavoro »: ancora una legge per la riduzione dei diritti, in La controriforma della giustizia del lavoro, Quaderni di Questione Giustizia, Milano 2011, 5 ss., i quali sottolineano, per altro, come la suddetta finalità sia frustrata ab origine dall’avere il legislatore mantenuto il divieto di arbitrato per i procedimenti in materia previdenziale (art. 147 disp. att. c.p.c.), costituendo questi i due terzi del carico normalmente incidente sui tribunali del lavoro (dati emergenti dalla Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2009 del Primo Presidente della Corte di Cassazione, letta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2010). (6) Di « paradosso tipico delle riforme nostrane, che seguono l’andamento a pendolo da un estremo a quello opposto » con conseguente « esito sovrabbondante », parla DE CRISTOFARO, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Lav. nella giur., 2011, 61; nel senso che dalla lettura dell’art. 31, Legge n. 183/2010 si ha l’impressione che il legislatore « immemore della scarsa fortuna che finora ha accompagnato l’arbitrato [nel settore laburistico], abbia ritenuto che una moltiplicazione delle sue modalità di attuazione possa miracolisticamente segnarne il successo », RIVERSO, La certificazione dei contratti e l’arbitrato: vecchi arnesi e nuove ambiguità, in La controriforma della giustizia del lavoro, cit., 54. (7) Segnatamente l’art. 31, Legge n. 183/2010 prevede quattro diverse tipologie di arbitrato: l’arbitrato che si inserisce in un tentativo di conciliazione (divenuto, quest’ultimo, facoltativo) presso la Direzione provinciale del lavoro, ex nuovo art. 412 c.p.c. (art. 31, 238 © Copyright - Giuffrè Editore che per quanto caratterizzati da alcuni tratti comuni, fra cui primeggia la natura irrituale (8), sono in realtà difficilmente riconducibili ad unità (9). Questo moltiplicarsi dei possibili meccanismi risolutori e la qualità non eccelsa del testo normativo (10) hanno condotto con sé una serie di problemi interpretativi di non poco momento (11). 2. Il problema della circolazione extra moenia delle pronunce arbitrali: profili dell’indagine. Fra tutte le prospettive possibili, il presente studio si propone di indagare la problematica, per il vero apparentemente limitrofa ma, si ritiene, non priva di concreti rilievi pratici, della circolabilità o meno del lodo che conclude un arbitrato di lavoro al di fuori dei confini dello Stato ai sensi della Convenzione di New York del 1958. La questione, che come detto potrebbe apparire di secondaria importanza, può infatti rivelarsi non priva di implicazioni pratiche, in un sistema in cui sempre più spesso la realtà lavorativa si confronta con aziende delocalizzate in differenti Stati « e se si riflette sull’ipotesi che il lodo veda coinvolta una branch italiana di una società estera (sovente priva in Italia comma 5, Legge n. 183/2010); quello ad hoc, previsto dall’art. 412-quater (art. 31, comma 8); quello possibile davanti alle commissioni di certificazione, cui rimanda l’art. 31, comma 13, Legge n. 183/2010, nonché quello emergente dalla contrattazione collettiva, di cui all’art. 412-ter (art. 31, comma 6). (8) Di « sbilanciamento » verso il modello irrituale delle fattispecie in esame, parla DE CRISTOFARO, op. loc. cit.; nello stesso senso, fra gli altri, DONZELLI, La risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, in CINELLI - FERRARO (a cura di), Il contenzioso del lavoro nella Legge n. 4 novembre 2010, n. 183, Torino, 2011, 109. (9) Nel senso che, alla luce del collegato lavoro, sia più opportuno « discorrere di arbitrati, più che di arbitrato », per tutti, DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro, in www.judicium.it. Nota DONZELLI, op. cit., 110, come il quadro generale che deriva dall’intervento legislativo « è all’insegna dell’incertezza e determina una ulteriore frammentazione dell’istituto arbitrale »; in senso analogo, MURONI, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Corr. giur., 2011, 269 ss. (10) Nel senso che il dettato normativo è disseminato di inesattezze, che, benché isolatamente analizzate non rappresentino « certo una tragedia », complessivamente considerate rendono « più faticoso un percorso già di per sé accidentato », BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del « collegato lavoro », § 11, in www.judicium.it. (11) Per una prima e generale valutazione del collegato lavoro e per l’individuazione dei principali profili problematici da questo aperti, si vedano, oltre agli autori citati alle note precedenti, DE ANGELIS, Il tentativo di conciliazione e l’arbitrato irrituale lungo un accidentato percorso di certezza dei rapporti e deflazione giudiziaria, in WP C.S.D.L.E. « Massimo D’Antona ».it., 121/2011; TOSI, L’arbitrato nel collegato lavoro alla legge finanziaria 2010, in Lav. nella giur., 2010, 1171 ss., BOVE, ADR nel c.d. collegato lavoro (Prime riflessioni sull’art. 31 della legge 4 novembre 2010, n. 183), in www.judicium.it; BERTOLDI, L’arbitrato nelle controversie di lavoro dalla duplice riforma del 1998 alla l. 4 novembre 2010, n. 183, in Riv. dir. proc., 834 ss. 239 © Copyright - Giuffrè Editore di un patrimonio effettivamente aggredibile), il problema può divenire di assoluto rilievo » (12). Inoltre, la scomparsa del monopolio sindacale per gli arbitrati di lavoro (13) e l’apertura alla possibilità di un arbitrato ad hoc con collegio scelto dalle parti (ai sensi del nuovo art. 412-quater c.p.c.) (14), spinge a valutare attentamente non solo le garanzie di libertà che alla parte devono essere fornite in sede di scelta o meno della via arbitrale (15), ma anche quelle informative circa il reale valore e la concreta spendibilità, anche internazionale, del provvedimento che conclude la controversia che la vede parte in causa. Per affrontare il tema in esame è opportuna una premessa sistematica: come già rilevato, la riforma legislativa ha introdotto nel sistema una pluralità di possibili arbitrati, dotati per un verso di caratteri comuni, ma per altro verso di sostanziali differenze. Stante la conseguente multiformità del panorama di riferimento, il presente studio si limiterà a valutare la problematica circa la circolabilità del lodo del lavoro prospettato dall’art. 412 c.p.c. (arbitrato inserito in un precedente tentativo di conciliazione) nonché, in ragione della sostanziale coincidenza di discipline che li caratterizza, di quello che conclude l’arbitrato ad hoc oggi previsto al nuovo art. 412-quater c.p.c. (16). Esula quindi dall’analisi in atto la dinamica del lodo rituale del lavoro (dove consentito) (17), di quello originato all’interno degli arbitrati gestiti (12) Cosı̀ CANALE, Arbitrato e « collegato lavoro » in Riv. dir. proc., 2011, 587 ss. È a queste parole che si deve la suggestione che ha dato vita al presente contributo. (13) In questo senso VALLEBONA, L’arbitrato irrituale nel sistema del diritto del lavoro dopo la Legge n. 183/2010, in Lavoro e spirito, Torino, 2011, 459; di « superamento del monopolio legale-sindacale della disponibilità dei diritti del lavoratore », parla PESSI, Le novità in tema di arbitrato e di conciliazione in materia di lavoro, in Giur. it. 2011, 13. (14) Sui pericoli insiti in tale modello, stanti gli ampi spazi in esso lasciati all’autonomia individuale delle parti, in particolare, STOLFA, L’arbitrato si fa in quattro. Problemi (tanti) e prospettive (poche) dopo la legge n. 183/2010, in Riv. giur. lav. e prev. soc., 2011, 831. (15) È noto come, sin dall’inizio del percorso legislativo che ha condotto al collegato lavoro 2010 (in tema, CAZZOLA, Collegato lavoro, una storia lunga ventisette mesi, in ADL, 2011, 249 e ss.), uno degli aspetti maggiormente problematici e discussi, tanto da divenire oggetto preminente del messaggio motivato che il 31 marzo 2010 il Presidente della Repubblica ha inviato alle Camere rifiutando la promulgazione del testo come originariamente approvato e invitando ad una nuova deliberazione (il testo del messaggio è consultabile in Foro it., 2010, V, 107 e ss.), abbia riguardato possibilità, ampiezza e modalità dell’utilizzo della clausola compromissoria nei contratti individuali del lavoratore: sul tema, fra gli altri, oltre ai contributi già citati, CESTER, La clausola compromissoria nel Collegato lavoro 2010, in Lav. nella giur., 2011, 23 ss. (16) Di « perfetta parificazione tra le due figure di arbitrato previste dall’art. 412 e 412-quater », parla DONZELLI, op. cit., 116. (17) Sul punto si veda LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, IV ed., Milano 2011, 332 ss. Nel senso, invece, per cui la disciplina introdotta dal legislatore 2010 par- 240 © Copyright - Giuffrè Editore dagli organismi abilitati alla certificazione, nonché di quello « sindacale » di cui all’attuale art. 412-ter. La scelta è dettata in parte da ragioni pratiche (essendo quelle che ci si appresta ad analizzare le uniche forme di arbitrato, fra quelle possibili, puntualmente disciplinate, in maniera tendenzialmente esaustiva, nel codice e mancando, ad oggi, un numero sufficientemente rappresentativo di arbitrati sindacali sorti in epoca successiva alla riforma) (18), ma soprattutto dalla considerazione che il lodo descritto dalle norme richiamate conserva le indubbie particolarità che già caratterizzavano l’arbitrato irrituale cosı̀ come previsto dagli (oggi abrogati) artt. 412-ter e quater introdotti dalla riforma del 1998 (19). Tali peculiarità ne impediscono la piana riconducibilità alle figure tradizionali di arbitrato tipiche della nostra cultura giuridica, segnatamente l’arbitrato rituale e quello irrituale (20), e rebbe « precludere qualunque spazio per l’arbitrato rituale in materia di lavoro », DE CRISTOFARO, op. cit., 69. (18) A circa 15 mesi dall’entrata in vigore del collegato lavoro, residuali sono gli esempi di accordi collettivi che abbiano recepito la possibilità di devoluzione ad arbitri delle controversie lavorative prevista all’art. 413-ter c.p.c.; in tema, ARRIGONI, Gli arbitrati delineati dal « collegato lavoro » e prime attuazioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, p. 885 e ss.; SQUEGLIA, Riflessioni sul recente accordo di rinnovo del contratto collettivo del settore terziario, in Lav. nella giur., 2011, 890 e ss. (19) Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità per il lodo di essere dichiarato esecutivo dall’autorità giudiziaria e al peculiare regime di impugnazione che assiste il lodo stesso. Tali caratteristiche, su cui si avrà modo di tornare nel corso della trattazione stante la loro diretta rilevanza con riguardo al tema specifico che si sta qui trattando, avevano già condotto la principale dottrina, all’indomani della riforma del 1998, a parlare dell’arbitrato del lavoro in generale, e del suo prodotto conclusivo in particolare, come di una figura ibrida (in questo senso, fra gli altri, CAPPONI, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme del 1998, in Diritto dell’arbitrato, a cura di VERDE, Torino, 2005, 581; CORSINI, op. cit., 145; CARPI, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, in AA.VV., Studi in onore di Carmine Punzi, vol. II, Torino, 2008, 397; MONTELEONE, L’arbitrato nelle controversie di lavoro — ovvero — esiste ancora l’arbitrato irrituale?, in questa Rivista, 2001, 60). Gran parte di queste valutazioni conservano ancora oggi la loro attualità, essendo le particolarità suddette state ribadite dal legislatore del 2010. (20) Un fecondo dibattito circa la natura da riconoscersi al fenomeno arbitrale in generale e alla perdurante possibilità di differenziare la tipologia rituale da quella irrituale, caratterizza oramai da tempo il panorama giuridico nostrano. In via di estrema sintesi, e con i limiti impliciti in questa, le differenti tesi proposte possono ricondursi a due posizioni principali. Da un lato la posizione negozialista (o unitaria), secondo la quale l’arbitrato è un fenomeno interamente riconducibile all’area del diritto privato, con la conseguenza che il lodo (di qualsiasi tipologia) ha sempre natura negoziale e l’omologazione (e connessa esecutività) conseguente all’exequatur di cui all’art. 825 c.p.c. si atteggerebbe come apposizione di un comando statuale ad un atto fra privati (in questo senso, per tutti, PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, vol. I, spec. 63 ss.; sul tema v. FAZZALARI, L’arbitrato, Torino, 1997, 22 ss. e 123 ss.). Contrapposta a questa ricostruzione, si è fatta strada la tesi giurisdizionalista che, affermando la naturale attrazione dell’arbitrato verso la giurisdizione statale in forza della natura equivalente delle funzioni svolte, pur riconoscendo matrice privatistica alla fase genetica dell’arbitrato, attribuisce al lodo rituale natura di omologo della sentenza; da ciò dipende, da un lato, che la natura esecutiva si atteggia come effetto naturale della sen- 241 © Copyright - Giuffrè Editore conseguentemente spingono a porre particolare attenzione all’istituto in parola (21). tenza arbitrale rituale, e, dall’altro, che si registra una differenza sostanziale fra questo lodo e quello irrituale, avendo quest’ultimo efficacia di mero contratto (in questo senso, fra gli altri, E.F. RICCI, L’« effıcacia vincolante » del lodo rituale dopo la Legge n. 25 del 1994, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 809 ss.; TARZIA, Nullità e annullamento del lodo arbitrale irrituale, in Riv. dir. proc., 1991, 430 ss.). Per altro, il dibattito non pare essersi sedato neppure all’indomani della riforma del 2006 che ha tipizzato la figura dell’arbitrato irrituale inserendo nel corpo del codice di rito l’art. 808-ter, essendosi date della stessa, a dispetto di una lettera per il vero piuttosto chiara, interpretazioni sensibilmente differenti (per una sintesi delle diverse letture proposte, si veda BERTOLDI, Osservazioni a margine del nuovo art. 808-ter c.p.c., in Studi in onore di Carmine Punzi, vol. II, cit., 289 ss. e riferimenti ivi contenuti, in part. nota 13). Il tema è troppo complesso e intriso di risvolti problematici per poter essere svolto in questa sede, creando, la netta differenza di presupposti, il « prodursi di un autentico fossato nelle rispettive discipline » (BIAVATI, Arbitrato irrituale, in CARPI (a cura di), Arbitrato, II ed., Bologna, 2007, 163). Quello che preme però evidenziare è che, ai fini della presente trattazione, indipendentemente dalla tesi che si voglia sposare, ciò che rileva è la innegabile differenza che (tutt’ora e soprattutto dopo la riforma del 2006) corre fra i prodotti finali delle due tipologie di arbitrato considerate: un lodo che ha « dalla data della sua ultima sottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria » per quello rituale (art. 824-bis c.p.c.); una definizione che ha valore di « determinazione contrattuale », per quello irrituale (art. 808-ter c.p.c.). (21) Non è questa la sede per affrontare la complessa problematica delle peculiarità che caratterizzano le altre forme di arbitrato introdotte dal collegato lavoro. A titolo puramente esemplificativo si evidenzia però una certa disparità di vedute, in dottrina, in merito alla natura che potrebbero avere gli arbitrati di origine sindacale e quelli svolgentesi all’interno degli organismi di certificazione. In particolare, con riguardo all’arbitrato da contrattazione collettiva, secondo una prima ricostruzione, l’ampio respiro dell’odierno testo dell’art. 412-ter comporta la possibilità, in capo alle formazioni sindacali, di scegliere qualsivoglia tipologia di arbitrato (nel senso che la formulazione generale della norma in esame potrebbe essere riferita tanto all’arbitrato irrituale, quanto a quello rituale, DONZELLI, op. cit., 112; SOCCI, op. cit., 169; AULETTA, Le impugnazioni del lodo del « collegato lavoro » (l. 4 nov. 2010, n. 183), in questa Rivista, 2011, 12; TOSI, op. cit., 194), finanche un arbitrato irrituale che « sfoci in un lodo che abbia la disciplina di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 412 » (in questo senso BOVE, op. cit., 16; MURONI, op. cit., 274), mentre una differente lettura, valorizzando il richiamo all’art. 412-ter c.p.c. inserito dalla Legge n. 183/2010 nel corpo dell’art. 2113, comma 4, c.c., ritiene che, a dispetto della lettera della norma, quello sindacale possa essere esclusivamente inteso come un arbitrato irrituale (BORGHESI, op. cit, § 3; DE CRISTOFARO, op. cit., 69: gli AA. richiamati sottolineano, per altro, come tale arbitrato, mancando ogni richiamo alla normativa di cui agli art. 412 e 412-quater c.p.c., non possa che concludersi con un lodo « puramente » contrattuale, come tale integralmente disciplinato dalla norma generale di cui all’art. 808-ter c.p.c.). Minori perplessità vi sono in ordine alla natura da riconoscersi all’arbitrato svolto presso gli organi di certificazione, per il quale l’espresso richiamo ai commi 3 e 4 dell’art. 412 c.p.c. in quanto compatibili, consente di parlare di un lodo irrituale che può eccezionalmente acquisire efficacia esecutiva (DONZELLI, op. cit., 113-114). Nota però DELLA PIETRA, op. cit., § 4, come la suddetta clausola di salvezza sia in realtà di difficile comprensione, poiché « non si comprende a quale disciplina va rapportata la compatibilità »; infatti « se il termine di raffronto è lo stampo classico dell’arbitrato irrituale, è chiaro che con esso ben poco a che fare hanno l’omologazione e l’efficacia di titolo esecu- 242 © Copyright - Giuffrè Editore Prima di provare a rispondere al quesito principe propostoci, se cioè l’arbitrato che conclude le controversie laburistiche sia o meno ascrivibile all’area di applicazione della Convenzione di New York, si ritiene opportuna una ricostruzione della problematica della circolazione del lodo extra moenia in termini generali, solo successivamente passando ad analizzare come il lodo del lavoro si cali in questo panorama. 3. La Convenzione di New York per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere: caratteri fondamentali. La Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, siglata a New York il 10 giugno 1958 sotto l’egida della Organizzazione delle Nazioni Unite, nacque con il dichiarato scopo di favorire la circolazione dei lodi arbitrali, ossia il loro riconoscimento in Paesi diversi da quello di origine, ponendosi come base per lo sviluppo di una disciplina uniforme che consentisse di superare le diversità che caratterizzavano all’epoca le legislazioni statali sul tema (22). tivo. Ma se l’applicazione dell’uno o dell’altra dovessero essere esclusi proprio in forza del vaglio di compatibilità, il richiamo all’art. 412 terzo e quarto comma, non avrebbe senso ». (22) La Convenzione di New York è entrata in vigore sul piano internazionale il 7 giugno 1959, con lo scopo (espressamente dichiarato all’art. VII, 2o comma) di sostituire la previgente complessa disciplina convenzionale dell’arbitrato estero che trovava le sue fonti nel Protocollo di Ginevra del 24 settembre 1923 relativo alle clausole arbitrali e nella Convenzione di Ginevra del 26 settembre 1927 per l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere. In Italia è stata resa esecutiva con la Legge 19 maggio 1968, n. 62 ed è in vigore dal 1o maggio 1969. La Convenzione è stata oggetto di copiosissima letteratura giuridica. Nell’impossibilità di provvedere ad una indicazione esaustiva di tutte le opere significative sul tema, si rammentano per il loro carattere fondamentale e a solo titolo esemplificativo: GAJA (a cura di), International Commercial arbitration - New York Convention, Dobbs Ferry, New York, 1979-80; GIANNINI, La Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione di sentenze arbitrali, in Riv. dir. comm., 1958, 954 ss.; GIARDINA, L’applicazione in Italia della Convenzione di New York sull’arbitrato, in Riv. dir. inter. priv. e proc., 1971, 268 ss.; MIGLIAZZA - LUZZATTO, Le convenzioni internazionali in materia di arbitrato ed il diritto italiano, in Arch. giur., 1974, 10 ss.; MINOLI, The New York Convention on the recognition and Enforcement of Foreign Awards, in Unification of Law — Unidroit Yearbook 1958, Roma, 1959, 157 ss.; ROBERT, La Convention de New York du 10 juin 1958 pour la reconnaissance et l’exécution des sentences arbitrales étrangères, in Reveu de l’arbitrage, 1958, 70 ss.; SANDERS, The New York Convention in International Commercial arbitration, II, The Haugue, 239 ss.; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958. Towards a Uniform Judicial Interpretation, Deventer-Antwerp-Boston-London-Frankfurt, 1981; BRIGUGLIO, L’arbitrato estero. Il sistema delle Convenzioni, Padova, 1999; GAILLARD - DI PIETRO, Enforcement of arbitration agreements and international arbitral award, London, 2009. Per una prospettiva riformistica della Convenzione, The New York Convention 1958, a cura di BLESSING, Association Suisse de L’Arbitrage-Special series n. 9, Zurich, 1996, che raccoglie gli atti del convegno organizzato dall’Associazione svizzera per l’arbitrato in occasione del quarantennale dall’entrata in vigore della Convenzione. Va inoltre ricordato che la giurisprudenza dei 243 © Copyright - Giuffrè Editore In ragione della sua aspirazione a raggiungere la maggior diffusione possibile, la Convenzione ha una struttura piuttosto scarna: non provvede a disciplinare tutti i singoli aspetti del fenomeno, preoccupandosi piuttosto di fissare una serie di linee direttrici, vincolanti per gli Stati aderenti, in tema di obbligo di riconoscimento e motivi legittimamente opponibili a questo, lasciando per il resto ai singoli legislatori nazionali il compito di regolare autonomamente l’aspetto propriamente procedurale di tale riconoscimento (art. III). Per quel che specificatamente interessa ai fini della trattazione in atto, la Convenzione, dopo aver preventivamente delimitato il proprio ambito applicativo alle « sentenze arbitrali » (arbitral award, sentence arbitrales) rese in uno Stato diverso da quello in cui è chiesto il riconoscimento (art. I), dispone per gli Stati contraenti l’obbligo di garantirne il riconoscimento e l’esecuzione con modalità non sensibilmente più gravose di quelle previste per il riconoscimento dei propri lodi interni (art. III), per poi dettare un elenco tassativo (23) dei motivi legittimamente opponibili a tale riconoscimento, fra cui particolare rilievo riveste l’ipotesi che la pronuncia in questione non sia vincolante (binding, obbligatoire) fra le parti (24), per non esserla ancora divenuta o per essere stata annullata nel paese di origine (art. V, lett. e)). Benché il testo della normativa appaia sufficientemente chiaro, il concreto problema applicativo che la Convenzione reca con sé è dato dalla mancanza in essa di un apparato definitorio dei termini utilizzati: in particolare, il testo convenzionale non contiene una definizione precisa e vincolante di cosa debba intendersi per « sentenza arbitrale » (25), cosı̀ come non definisce precisamente a cosa voglia riferirsi parlando di « vincolatività » della pronuncia fra le parti, con il conseguente rischio che ogni singolo ordinamento tratti il tema con approccio autoreferenziale, a tutto detrimento singoli Stati relativa all’applicazione della Convenzione è raccolta ogni anno nello Yearbook of Commercial Arbitration, fondamentale strumento di controllo e monitoraggio delle principali tendenze interpretative del testo convenzionale emerse a livello internazionale. (23) Sulla natura pacificamente tassativa dell’elencazione dei grounds of refusal contenuta all’art. V della Convenzione, per tutti, ATTERRITANO, voce Arbitrato estero, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg. IV, Torino, 2007, 83. (24) Superando cosı̀ il sistema delineato dalla Convenzione di Ginevra del 1927 che subordinava la riconoscibilità del lodo straniero al fatto che lo stesso fosse definitivo e formalmente riconosciuto come tale dall’autorità giurisdizionale del paese di provenienza (sistema del c.d. doppio exequatur); in tema vedi PETTINATO, Sulla « obbligatorietà » del lodo straniero ai fini del riconoscimento e della esecuzione secondo la Convenzione di New York del 1958, in questa Rivista, 1998, 312 ss. (25) Sulle vicende che hanno portato i conditores internazionali ad optare per la mancata scelta di una definizione unica e vincolante di « sentenza arbitrale », DI PIETRO, What constitues an arbitral award under the New York Convention?, in GAILLARD - DI PIETRO, op. cit., 139 ss.; BERNARDINI, Sentenze arbitrali e Convenzione di New York, in Riv. dir. proc., 2006, 91. 244 © Copyright - Giuffrè Editore dell’uniformità di applicazione che dovrebbe caratterizzare una disciplina di respiro internazionale (26). Per scongiurare tale pericolo, la tendenza interpretativa, specie a livello dottrinario, è allora nel senso di ritenere che, pur nell’assenza di una definizione puntuale, sia comunque possibile enucleare dal testo Convenzionale, per via interpretativa, un concetto autonomo di arbitral award capace di imporsi ai giudici degli Stati aderenti in sede di procedimento per il riconoscimento dei lodi stranieri (27). E la via per fare ciò altra non può essere che quella di prendere a riferimento le esperienze delle culture giuridiche che alla nascita della Convenzione hanno partecipato (28). In tal senso, è stato allora autorevolmente affermato che, a prescindere dalle differenze che caratterizzano gli ordinamenti statali, questi condividono il fatto che « arbitration is understood as a resolution of a dispute between two o more parties by a third person (arbitrator) who derives his power from an agreement (arbitration agreement) of the parties and whose decision is final upon them » (29). (26) Nota RAVIDÀ, La circolazione internazionale del « nuovo » lodo irrituale italiano nel sistema della Convenzione di New York del 1958, in Studi in onore di Carmine Punzi, vol. II, cit., 586 ss., che « se l’assenza di un complesso di definizioni dei termini utilizzati nella Convenzione ha certamente favorito l’adesione di numerosi Stati appartenenti a matrici culturali e giuridiche anche estremamente distanti fra loro, oggi questa caratteristica sta rivelandosi come un limite all’uniforme applicazione delle norme convenzionali ». (27) In questo senso, BERNARDINI, op. cit., 89 ss., che ritiene questa l’unica soluzione realmente rispettosa del principio dell’uniformità di interpretazione di un trattato internazionale all’interno degli Stati a questo aderenti. Fedele a tale premessa, l’A. (in ciò richiamando la tesi di GOLDSTEIN, Interpreting the New York Convention. When should an interlocutory arbitral « order » be treated as an award?, in ASA Bulletin 2000, 833) individua nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 22 maggio 1969 lo strumento più adeguato per indagare l’ordinary meaning del concetto di arbitral award cosı̀ come emergente dalla Convenzione di New York. (28) In tal senso, per tutti, GAJA (a cura di), International Commercial arbitration New York Convention, cit., I, A3. È infatti opportuno precisare che quando si afferma che la Convenzione detta, per quanto implicitamente, un concetto autonomo di arbitral award, non si intende dire che tale concetto sia innovativo rispetto a quello generalmente diffuso nelle esperienze nazionali, che sia da esse totalmente avulso; piuttosto, tale autonomia va intesa nel senso che la Convenzione sposa un concetto elastico di sentenza arbitrale, insuscettibile di risentire delle singole peculiarità nazionali da un lato e capace di racchiudere i caratteri comuni riscontrabili in queste dall’altro; una sorta di summa delle esperienze nazionali particolari, capace di offrirsi come referente comune a tutti gli Stati. (29) VAN DEN BERG, op. cit., 44. È però opportuno notare, per completezza del riferimento, che l’A., nel prosieguo della sua trattazione, conclude per la possibilità di individuare la qualità di sentenza arbitrale di un provvedimento ai fini della Convenzione di New York utilizzando come referente il Paese di origine dello stesso (per cui un provvedimento ben potrebbe considerarsi una sentenza arbitrale ai fini della Convenzione se emerga che lo stesso, nel Paese di provenienza, « is considered as a genuine award », 50); in ciò implicitamente sembrando negare l’assunto di partenza per cui la qualità dal singolo provvedimento dovrebbe piuttosto ricostruirsi riguardando alla nozione comune di arbitral award delineata 245 © Copyright - Giuffrè Editore Un’altra considerazione può essere fatta sul punto: se da un lato è vero che la Convenzione non detta una norma definitoria in cui chiarifichi il concetto di sentenza arbitrale, è però anche evidente che i caratteri della stessa, cosı̀ come intesa dai conditores, sono ricavabili a contrario dalle norme dettate in tema di condizioni per il riconoscimento (30). In particolare, laddove la Convenzione prevede che la mancanza di determinate caratteristiche nel provvedimento di cui si chiede il riconoscimento legittimi il rifiuto del riconoscimento stesso, implicitamente mostra di considerare tali caratteristiche come irrinunciabili qualità del lodo arbitrale. Partendo dunque dall’analisi del testo della Convenzione si può concludere che, per questa, elementi imprescindibili perché un provvedimento possa qualificarsi come arbitral award sono: in prima istanza, il fatto che lo stesso possa essere collegato ad un accordo iniziale fra le parti che, a sua volta, si atteggi come atto di autonomia di queste e fondi il potere degli arbitri stessi di decidere la controversia (poiché in caso contrario non si spiegherebbe né la scelta della Convenzione di dedicare una norma espressamente all’accordo compromissorio (cfr. art. II), né il fatto che le ipotesi di esorbitanza del lodo dall’accordo siano indicate fra i grounds of refusal — cfr. art. V, 1o co., lett. c)); è inoltre necessario verificare che il provvedimento finale promani da un procedimento improntato al principio del contraddittorio, per quanto embrionale esso possa essere stato nel suo concreto sviluppo (elemento che emerge chiaramente dalla valorizzazione sia del doveroso rispetto del diritto di difesa delle parti durante il procedimento arbitrale (cfr. art. V. 1o co., lett. b)), sia dal fatto che il mancato rispetto delle regole procedurali, cosı̀ come delineate dalle stesse, costituisce motivo ostativo al riconoscimento — cfr. art. V, 1o co., lett. d)); e, infine, che tale provvedimento abbia deciso (31) la controversia con effetti vincolanti per le parti che a quell’arbitrato hanno dato vita. Più in particolare, si è inteso che il lodo arbitrale, cosı̀ come delineato dal sistema della Convenzione, debba essere caratterizzato da un lato dagli dalla Convenzione. Un possibile punto di contatto fra le due visioni ora sintetizzate è proposto da DI PIETRO, op. cit., 142, laddove ritiene che, ferma la necessità di interpretare la Convenzione in sintonia con il suo carattere « internazionale », le singole leggi statali, ed in particolare le disposizioni di queste tese a qualificare la natura delle proprie sentenze arbitrali, debbano essere valutate come « fatti » e come tali « would obviously provide a strong indication as to the actual nature of the means of dispute resolution under analysis. However, they should bear no binding force nor a definitive answer to the problem ». (30) In questo senso, BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 79. (31) L’essenzialità del carattere decisorio del provvedimento emerge dagli stessi lavori preparatori della Convenzione (richiamati da GOLDSTEIN, op. cit., 833), laddove, parlando di circolazione del lodo all’estero come della possibilità che lo stesso trovi attuazione in diversi Paesi, si parla espressamente di « an award settling a dispute arising in connection with an agreement » mostrando chiaramente di riferirsi ad un provvedimento definitorio di una lite, decisivo della stessa. 246 © Copyright - Giuffrè Editore elementi della decisorietà e della definitività e, dall’altro, da quello dell’alternatività rispetto alla decisione giudiziaria (32). 4. L’ordinamento italiano al cospetto del sistema convenzionale: sulla discussa riconoscibilità del lodo irrituale. Calando la realtà italiana in questo panorama (per la verità non particolarmente stabile, come si avrà modo di vedere più avanti), se storicamente non si sono presentati particolari problemi a riconoscere la riconducibilità nell’alveo della Convenzione di New York del lodo rituale (33), maggiori dubbi si sono sempre avuti in ordine all’assoggettabilità al testo convenzionale di quello irrituale. Le problematiche maggiori venivano (e vengono) dalla riconosciuta natura ed efficacia schiettamente negoziale del lodo irrituale, che come tale non integrerebbe il requisito di « vincolatività » richiesto dalla Convenzione, facendo dell’arbitrato irrituale un fenomeno ontologicamente escluso dall’area di applicazione della stessa (34). Da questa prospettiva, anche la tipizzazione del fenomeno ad opera della riforma 2006, se da un lato ha (32) DI PIETRO Riconoscimento ed esecuzione dei lodi stranieri, in Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre ADR, a cura di BUONFRATE - ORLANDI, Torino, 2006, 23 ss.; secondo l’A. per risolvere positivamente la questione della qualificabilità o meno di un dato provvedimento come sentenza arbitrale, è necessario che lo stesso superi due step valutativi: il c.d. test di alternatività, che ha riguardo al procedimento da cui tale provvedimento emana e mira a stabilire se lo stesso si atteggi realmente come alternativo al ricorso all’autorità giurisdizionale, e il c.d. test di definitività, per accertare che la pronuncia in parola sia effettivamente conclusiva della controversia fra le parti e fra queste vincolante. (33) Va anzi sottolineato come la riforma operata dal legislatore con gli interventi del 1983 e del 1994, eliminando il requisito del necessario deposito del lodo ai fini della sua validità e conservandolo solo a fini esecutivi (disponeva infatti l’art. 823 c.p.c. come modificato nel 1983 che « il lodo ha efficacia vincolante fra le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione ». La disposizione in questione è oggi stata abrogata), mirava proprio a favorire la circolazione del lodo italiano all’estero e ad adeguarsi ai dettami della Convenzione di New York (in questo senso BRIGUGLIO, La riforma dell’arbitrato del 1983: soluzioni giurisprudenziali ed indicazioni sistematiche, in questa Rivista, 1991, 185 ss.). Il sistema tracciato dal codice di rito del 1940, infatti, subordinando l’efficacia del lodo (sia fra le parti che all’esterno) al riconoscimento da parte dell’autorità giudiziaria, reintroduceva di fatto il requisito del doppio exequatur che la Convenzione newyorkese aveva volutamente eliminato. Oggi, dopo la riforma del 2006, malgrado i possibili effetti distorsivi sul punto che potrebbero derivare dalla svolta privatistica della Suprema Corte in materia di arbitrato (su cui v. infra nota 41), la piana riconducibilità del lodo rituale all’area di applicazione della Convenzione di New York non pare dubitabile in virtù del disposto di cui all’art. 824-bis c.p.c. in forza del quale « salvo quanto disposto dall’art. 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria ». (34) In questo senso già CUTRERA, Gli arbitrati irrituali e la Convenzione di New York, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1962, 1109 ss., e, più recentemente, MARINELLI, La natura dell’arbitrato irrituale. Profili comparatistici e processuali, Torino, 2002, 139 ss. 247 © Copyright - Giuffrè Editore superato la tradizionale riserva ad applicare la Convenzione ad un fenomeno avulso dal sistema positivo dello Stato (35), non avrebbe comportato reali modifiche alla situazione, ribadendo l’efficacia squisitamente contrattuale del lodo che conclude un arbitrato irrituale (36). Contro questa tesi si staglia però la critica di chi, nell’ottica di favorire una più ampia applicazione dello strumento internazionale, sottolinea come la obbligatorietà richiesta dalla Convenzione di New York ai fini del riconoscimento non abbia in realtà altre specificazioni qualificanti: la Convenzione non impone che la pronuncia arbitrale di cui si chiede il riconoscimento sia equivalente alla sentenza giudiziale (37), ma solo che sia vincolante fra le parti (38); ed il lodo irrituale possiede tale carattere, se è vero che i contratti hanno fra le parti forza di legge (art. 1372 c.c.) (39). L’opi- (35) In questo senso RAVIDÀ, op. cit., 603, riprendendo sul punto le notazioni di WALTER, L’arbitrato irrituale: osservazioni di uno straniero, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 157. (36) In questo senso SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, in questa Rivista, 2007, 26, secondo il quale la natura « irrimediabilmente » privata dell’accertamento che caratterizza l’arbitrato irrituale ex art. 808-ter, porta ad escludere l’applicabilità della Convenzione di New York, mancando di quella « autorità di sentenza arbitrale » che funge da presupposto dell’obbligo di accordare il riconoscimento nel territorio dello Stato richiesto. (37) Sottolinea la natura « non processuale » del requisito della vincolatività in parola, LUZZATTO, Arbitrato irrituale italiano e Convenzione di New York, in Rass. Arb., 1981, 107. (38) Più specificatamente, la dottrina in esame, valorizzando lo spirito della Convenzione e la dichiarata finalità di questa a favorire la circolazione del lodo riducendo il più possibile i vincoli che alla stessa possano derivare dall’ordinamento di appartenenza e dalle sue peculiarità, ritiene che il concetto di « lodo vincolante » sposato dalla Convenzione sia un concetto autonomo, capace di ricomprendere tanto i lodi con efficacia contrattuale che quelli con efficacia parificabile a quella di sentenza; in questo senso GAJA, Natura dell’arbitrato rituale e Convenzione di New York, in questa Rivista, 2004, 411 ss.; BOVE, Il riconoscimento del lodo straniero tra Convenzione di New York e codice di procedura civile, in questa Rivista, 2006, 35. (39) A favore della riconducibilità dell’arbitrato irrituale italiano al sistema della Convenzione di New York, in epoca risalente, MINOLI, The New York Convention on the Recognition and enforcement of Foreign Arbitral awards, in Unification of Law — Unidroit Yearbook, 1958, 157 ss.; CANSACCHI, Considerazioni sulla Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e sull’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, in Rass. arb., 1969, 92 ss.; FAZZALARI, De l’arbitrage « marchand » à l’arbitrage « de droit commune », in Arbitrage commercial, in Essais in memoriam Eugenio Minoli, Torino, 1974, 163 ss. In epoca più recente, la posizione da ultimo esposta è stata sostenuta da RAVIDÀ, op. cit., 579 ss., che con un’articolata analisi che prende le mosse dalla giurisprudenza americana, partendo dall’idea che l’arbitrato sia internazionalmente percepito come un fenomeno prettamente privatistico in ogni sua espressione, con connesso limite di intromissione da parte dell’autorità giudiziaria, sostiene la riconducibilità del lodo irrituale allo schema della Convenzione di New York, ritenendola anzi rinforzata dall’art. 808-ter c.p.c. Giunge alle medesime conclusioni, ma per la verità percorrendo una via quasi antitetica che valorizza la formalizzazione e la procedimentalizzazione dell’arbitrato libero realizzata dall’art. 808-ter (di cui subito a seguire nel testo), BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 700. 248 © Copyright - Giuffrè Editore nione da ultimo riportata è fatta propria anche dalla Suprema Corte di Cassazione che, da sempre propensa a riconoscere la riconducibilità del lodo irrituale nell’area applicativa della Convenzione di New York (40), ha anche recentemente ribadito la propria posizione, affermando la totale irrilevanza della natura rituale o meno del lodo ai fini dell’applicazione della disciplina convenzionale (41). (40) Cass., 18 settembre 1978, n. 4167, in Foro it., 1978, I, c. 2422; Cass., 6 luglio 1982, n. 4039 in Rass. arb., 1982, 328; Cass., 15 dicembre 1982, n. 6915, in Foro it., 1983, I, 1, c. 2200, laddove la S.C. chiarisce per altro che il termine « sentenze arbitrali » contenuto nella traduzione italiana del testo convenzionale, non autorizza ad interpretare lo stesso come un richiamo a provvedimenti di carattere spiccatamente giurisdizionale. (41) Cass., Sez. un., ord. 15 giugno 2002, n. 2981, in Foro it., 2002, I, c. 2299 ss.: la S.C. nota infatti come, « secondo anche l’interpretazione della dottrina internazionalistica assolutamente prevalente, è del tutto indifferente la qualificazione del lodo in termini negoziali o giurisdizionali ». Va però sottolineato che tale pronuncia si inscrive nel solco della « svolta privatistica » operata dalla Suprema Corte a partire dall’ormai storica sentenza 527/ 2000 che ha portato la stessa ad affermare che l’intero fenomeno arbitrale, rituale come irrituale, è da ascriversi all’area del diritto privato, con la conseguenza che il lodo, quand’anche rituale, resta sempre un atto privato il cui valore non potrà mai essere parametrato su quello della sentenza, configurandosi il procedimento arbitrale, in quanto fondato sulla « rinuncia all’azione giudiziaria », come « antitetico a quello giurisdizionale », di cui piuttosto « costituisce la negazione » (Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, in questa Rivista, 200, 699 ss. Sulla svolta « monistica » della Suprema Corte, fra gli altri, CONSOLO - MARINELLI, La Cassazione e il « duplice volto » dell’arbitrato in Italia: l’exequatur come unico discrimine fra i due tipi di arbitrato?, in Corr. giur., 2003, 678 ss.; CAVALLINI, Sulla « natura » del lodo rituale, in Riv. dir. proc., 2002, 942 ss.; RUFFINI - MARINELLI, Le sezioni unite fanno davvero chiarezza sui rapporti fra arbitro e giurisdizione?, in Corr. giur., 2001, 51 ss. Giova per altro ribadire che, anche successivamente all’intervento del legislatore del 2006, la Suprema Corte ha più volte riaffermato la concezione squisitamente negoziale dell’arbitrato complessivamente inteso, fra le altre, Cass., Sez. un., 5 gennaio 2007, n. 35, in Foro it., 2007, 7-8, 1, c. 2173; Cass., 9 gennaio 2008, n. 178, in Riv. dir. proc., 2008, 221 ss.). Al di là delle critiche avanzabili a tale posizione [per altro (almeno apparentemente) disconosciuta dalla Corte costituzionale, che con la sentenza 28 novembre 2001, n. 376, riconoscendo in capo agli arbitri la facoltà di sollevare questione di legittimità costituzionale, sottolinea la fungibilità (e quindi l’equivalenza), fra l’attività degli arbitri e quella dei giudici (sul punto E.F. RICCI, La « funzione giudicante » degli arbitri e l’effıcacia del lodo (Un grand arret della Corte costituzionale), in Riv. dir. proc., 2002, 351 ss.; DANOVI, Gli arbitri rituali come giudici di fronte alla sospetta incostituzionalità della legge, in Gius. civ., 2002, II, 471 ss.)] o della concreta tenuta di questa ricostruzione al cospetto dell’odierno 824-bis c.p.c., quello che preme qui sottolineare è che, nell’ottica dell’applicazione della Convenzione di New York, la conclusione della Suprema Corte riportata in testo appare a chi scrive quantomeno obbligata, salvo non voler negare l’applicabilità della stessa a qualsiasi arbitrato italiano in ragione della natura squisitamente privatistica a questo riconosciuta (sottolinea tale rischio E.F. RICCI, La natura dell’arbitrato rituale e del relativo lodo. Parlano le Sezioni Unite, in Riv. dir. proc., 2001, 272 ss., laddove ritiene che ridurre il lodo rituale italiano ad un atto puramente negoziale, con in più solo la possibilità di ottenere l’esecutività, potrebbe comportare il rischio per lo stesso di non essere recepito, negli ordinamenti stranieri, come « decisione arbitrale » e, in conseguenza, di non potere ivi ottenere riconoscimento ed esecuzione in forza della Convenzione newyorkese). 249 © Copyright - Giuffrè Editore Con riguardo a quest’ultima interpretazione però, anche a non voler accedere alla tesi, per il vero piuttosto diffusa, che ritiene che comunque la Convenzione, parlando di vincolatività, intenda riferirsi a qualcosa di più e di diverso dall’obbligatorietà puramente contrattuale, e segnatamente rimandi al vincolo che tipicamente origina dai provvedimenti giurisdizionali (42), si può comunque obiettare come dall’analisi della Convenzione emerga che una pronuncia, per essere considerata quale arbitral award ai fini della stessa, debba presentare una molteplicità di caratteri, di cui l’obbligatorietà è uno solo e non necessariamente il più significativo (43). Si tratta allora di valutare se l’arbitrato irrituale, e segnatamente quello ora disciplinato dall’art. 808-ter c.p.c., presenti anche quelle caratteristiche di decisorietà e alternatività che, insieme alla vincolatività, abbiamo visto costituire il corredo qualificante della « sentenza arbitrale » nel sistema della Convenzione di New York. Con riferimento alla natura decisoria dell’arbitrato irrituale, a sommesso parere di chi scrive, si ritiene di poter considerare superate le tesi che, ancora nel silenzio del legislatore (ma per la verità anche dopo l’intervento riformatore del 2006), riconducevano il fenomeno allo schema della transazione per relationem o a quello del negozio di accertamento (44), a favore dell’interpretazione che valorizza il carattere comunque decisorio della « determinazione » rimessa agli arbitri irrituali (45). Questa tesi trova un addentellato normativo nella positivizzazione della regola del contrad- (42) In questo senso, E.F. RICCI, La neverending story della natura negoziale del lodo: ora la Cassazione risponde alle critiche, in Riv. dir. proc., 2003, 557; MARINELLI, op. cit., 141; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., Torino, 2006, 14, secondo il quale « la Convenzione di New York parla sı̀ genericamente di efficacia obbligatoria, ma collega tale efficacia alla sentenza arbitrale (e non a qualsiasi atto negoziale) ». In tema va per altro rilevato, in chiave comparativa, come molti ordinamenti esteri parifichino pacificamente il lodo alla sentenza, attribuendo al primo il valore di cosa giudicata: in questo senso, fra gli altri, il sistema francese (art. 1476 n.c.p.c.), quello tedesco (§ 1055 ZPO), quello austriaco (§ 594 ZPO), quello belga (art. 1703 Code judiciaire). (43) Nel senso che il riferimento al requisito della vincolatività richiesto dalla Convenzione è di per sé privo di valore dirimente, poiché il problema di sapere se un atto sia o meno « binding » ai sensi della Convenzione di New York si pone solo dopo aver previamente qualificato questo come « arbitral award » ai sensi di quella, E.F. RICCI, Il lodo arbitrale irrituale di fronte alla Convenzione di New York, in Riv. dir. proc., 2001, 599 ss. (44) In questo senso, per tutti, MARINELLI, op. cit., 190 ss. La tesi è stata riproposta, anche successivamente alla riforma legislativa da BOVE, L’arbitrato irrituale dopo la riforma, in www.judicium.it, § 1, nonché da LA CHINA, op. cit., 242 ss., secondo il quale, anche alla luce dell’intervento riformatore, « l’arbitrato irrituale è ancora e solamente quel che era prima, un modo di negoziare una transazione ». (45) Nel senso che nell’arbitrato irrituale « sussiste una vera controversia » che viene « risolta d’autorità » dagli arbitri, come ben emerge dalla scelta lessicale del legislatore della riforma », BIAVATI, op. cit., 166. 250 © Copyright - Giuffrè Editore dittorio (46), nonché nella procedimentalizzazione dell’arbitrato irrituale tutto (47), che da un lato sottolineano la natura processuale dell’istituto (48) e, dall’altro, illuminano sulla provenienza squisitamente eteronoma della decisione finale (49). Diversamente, con riferimento al requisito dell’alternatività, chi scrive ritiene che lo stesso non possa ritenersi soddisfatto dall’arbitrato irrituale cosı̀ come previsto dal codice di rito. L’argomento principale a sostegno di tale posizione si focalizza sul regime « impugnatorio » previsto per il lodo irrituale, che pur fortemente discusso nelle sue pieghe applicative puntuali (50), presenta però un elemento certo ed indiscutibile che appare incompatibile con la possibilità di ritenere l’istituto genuinamente alternativo alla giurisdizione statale. Ai sensi dell’art. 808-ter, alla ricorrenza di una delle circostanze espressamente elencate, il lodo irrituale « è annullabile dal giudice competente, secondo le disposizioni del libro I ». La differenza con l’arbitrato rituale è di palese evidenza (e non potrebbe essere diversa- (46) La cui violazione costituisce uno dei motivi di annullabilità del lodo (art. 808ter, comma 3, n. 5); in questo senso, BERTOLDI, op. cit., 292. (47) A riguardo, per tutti, CONSOLO, Deleghe processuali e partecipazione alla riforma della Cassazione e dell’arbitrato, in Corr. giur., 2005, 1189; l’A. Sottolinea, per altro, come tale scelta legislativa finisca per fare dell’arbitrato irrituale non un aliud bensı̀ un minus rispetto alla fattispecie rituale. (48) Sulla natura di « processo » del meccanismo che porta all’arbitrato irrituale, SASSANI, op. cit., 25 ss.; TOTA, Appunti sul nuovo arbitrato irrituale, in questa Rivista, 2007, 555 ss.; G.F. RICCI, Diritto processuale civile, III, Torino, II ed., 2009, 518, che sottolinea come l’arbitrato irrituale « è un negozio per ciò che riguarda il risultato, ma per il resto è anch’esso un giudizio ». (49) In questo senso, VERDE, Arbitrato irrituale, in questa Rivista, 2005, 671. Tale carattere, per altro, si ritiene differenzi l’istituto in parola dalle altre forme di composizione delle controversie che, per quanto prevedano l’intervento fattivo di un terzo, non si risolvono nell’affidamento a questo del potere di decidere della lite con un dictum vincolante per le parti, e che, come tali, non sono oggi in alcun modo riconducibili alla figura dell’arbitrato irrituale come disciplinato dal legislatore del 2006; sul punto, per tutti SASSANI, voce Arbitrato irrituale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg. I, Torino, 2007, 114. Per una lettura diametralmente opposta del tema si veda però, LA CHINA, op. cit., 15-16. (50) Principale campo di disputa è da sempre quello legato all’individuazione dei motivi che legittimano l’impugnazione del lodo irrituale (per una ricostruzione del tema nel regime previgente, per tutti ZUCCONI GALLI FONSECA, in CARPI, Arbitrato (a cura di), Bologna, 2001, 564 ss.). La problematica non può dirsi pacificamente risolta nemmeno a seguito dell’intervento riformatore del 2006, essendo a tutt’oggi fortemente discussa la natura tassativa o meno dell’elencazione dei motivi di impugnazione contenuta all’art. 808-ter (sul tema, fra gli altri, BIAVATI, op. cit., 171 ss.; BOVE, op. cit., § 5; PUNZI, Luci e ombre nella riforma dell’arbitrato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 405 ss.; SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 27). Pur nella varietà delle ricostruzioni offerte, l’opinione maggioritaria mi pare nel senso che, se l’elencazione contenuta nella norma codicistica può intendersi esaustiva delle censure di annullabilità proponibili avverso il lodo irrituale, la stessa non preclude per la parte la possibilità di esercitare le diverse azioni di tutela contrattuale previste dal codice civile, e segnatamente quelle tese a fare valere la nullità della determinazione degli arbitri. 251 © Copyright - Giuffrè Editore mente): il lodo irrituale non soggiage all’onere di impugnazione come previsto invece per quello rituale dall’art. 827 ss. c.p.c. (51), ma, in perfetta assonanza con la sua natura di determinazione contrattuale, è annullabile alla ricorrenza di determinate condizioni (52); e il relativo vizio non si deduce davanti alla Corte d’appello come accade per le impugnazioni di nullità del lodo rituale, ma davanti al giudice di primo grado, attivando da principio un procedimento giurisdizionale, potenzialmente idoneo a svolgersi in tre gradi di giudizio, come proprio di tutte le impugnazioni negoziali. Queste basilari considerazioni paiono bastevoli per affermare che il lodo irrituale italiano manca di quelle caratteristiche di alternatività e definitività richieste per attrarre un provvedimento nell’area applicativa della Convenzione (53); la risoluzione della controversia data dagli arbitri irrituali, per quanto eteronoma e scaturente da un procedimento di tipo processuale, resta sempre un contratto, come tale vincolante e definitivo, ma solo sino a quando una delle parti non ritenga di rimetterlo in discussione davanti all’autorità giudiziaria (54). 5. Il lodo irrituale del lavoro come previsto dagli odierni art. 412 e 412quater c.p.c. in rapporto alla Convenzione di New York. Si tratta ora di vedere se il lodo che conclude un arbitrato del lavoro cosı̀ come delineato dalla riforma 2010, presenti quelle caratteristiche tipiche che consentono di ascrivere una pronuncia nel novero delle « sentenze arbitrali » ai sensi della Convenzione di New York. La difficoltà nasce soprattutto dal fatto che, da un lato, il legislatore qualifica l’arbitrato in que(51) Nel senso che il legislatore fissa per il lodo irrituale un regime impugnatorio incompatibile con quello previsto per i lodi rituali, BERTOLDI, op. cit., 297. (52) Conseguentemente, manca nella norma l’indicazione di un termine per proporre le censure suddette, termine che deve essere piuttosto desunto dall’art. 1442, comma 1, c.c., con l’ulteriore precipitato per cui, quantomeno se si accede alla tesi che vuole i motivi previsti all’art. 808-ter attenere solo all’annullabilità e non alla nullità in senso stretto, l’inerzia delle parti protratta per il quinquennio sana gli eventuali vizi della deliberazione; in questo senso BIAVATI, op. cit., 175. (53) A tal riguardo si ricorda come dai lavori preparatori della Convenzione, emerga con chiarezza come i conditores abbiano considerato essenziale caratteristica dell’arbitral award il fatto che lo stesso si prestasse a risolvere nel merito la controversia considerata con « definitività »; in questo senso, chiaramente, DI PIETRO, What constitues an arbitral award under the New York Convention?, cit., 143, laddove si legge che « if the process as a whole does not provide the individual in charge of the process with the power finally to settle the dispute through the delivery of binding and enforceable decision characteristic by the same status as a court judgment, then the Convention should not be applied ». (54) In questo senso, lapidarie le parole di E.F. RICCI, Il lodo arbitrale irrituale di fronte alla Convenzione di New York, cit., 609, laddove rileva che « a nessuno potrebbe venire in mente di presentare come « lodo » un contratto direttamente stipulato tra le parti, anche se binding nello stesso modo in cui lo è la determinazione dell’arbitrato irrituale ». 252 © Copyright - Giuffrè Editore stione come un arbitrato irrituale (« implicitamente » all’art. 412 c.p.c., affermando che « il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato [...] produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile », nonché richiamando l’art. 808-ter con riguardo al regime di impugnazione; « espressamente » all’art. 412-quater, prevedendo la facoltà di ciascuna delle parti di proporre le controversie di cui all’art. 409 c.p.c., « innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale », costituito secondo quanto previsto nella norma stessa) (55), ma poi detta specifiche norme che finiscono con l’allontanare nettamente l’arbitrato in questione dal paradigma di quello irrituale (56). La prima evidentissima differenza è rilevabile in termini di esecutività. A differenza di quanto previsto dell’art. 808-ter per l’arbitrato irrituale in generale, il cui prodotto finale non può mai acquisire efficacia esecutiva attraverso l’intervento dell’autorità giudiziaria essendo espressamente esclusa l’applicabilità dell’art. 825 c.p.c., la disciplina di cui agli artt. 412 e 412-quater prevede la possibilità che il lodo sia « depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto » (57). (55) Nota AULETTA, op. cit., 12, come, a dispetto della rubrica (« Altre modalità di conciliazione e arbitrato »), la disposizione dell’art. 412-quater sia chiara nel riferirsi esclusivamente ad un’ipotesi di arbitrato irrituale. (56) La notazione per cui la disciplina legislativa finisce per delineare una figura ibrida di arbitrato, non pacificamente qualificabile come irrituale, malgrado la lettera legislativa, è generalmente condivisa in letteratura: fra gli altri DELLA PIETRA, op. cit., § 6, che ritiene trattarsi di un arbitrato « solo nominalmente definito irrituale », ma sostanzialmente costituente una procedura mista; AULETTA, op. cit., 5, che parla di « ibridazione dei modelli »; SOCCI, op. cit., che, partendo dalla considerazione che le ipotesi di arbitrato in esame « non possono ritenersi semplicemente irrituali », ritiene che « qualsiasi ricostruzione volta a considerare irrituale l’arbitrato di lavoro e ad applicare ad esso tutte le norme e la giurisprudenza sull’arbitrato irrituale è da ritenersi fallace »; G.F. RICCI, Diritto processuale civile, Appendice di aggiornamento (con il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 e il d.m. 18 ottobre 2010, n. 180, sulla mediazione e con l’art. 31, Legge n. 4 novembre 2010, n. 183, sul collegato lavoro), Torino, 2011, 43, che parla di un « probabile tertium genus di arbitrato » (negli stessi termini, anche, CAPPONI, Le fonti degli arbitrati in materia di lavoro, in Giusto proc. civ., 2010, 364). Per una dettagliata analisi degli elementi che militano a favore del riconoscimento di una natura rispettivamente rituale o irrituale all’arbitrato del lavoro, DONZELLI, op. cit., 114 ss. (57) Nella versione dell’art. 412 c.p.c. approvata dal Parlamento in quarta lettura il 3 marzo 2010, si prevedeva espressamente che il lodo (irrituale) laburistico potesse assumere efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 825 c.p.c.; tale riferimento è stato eliminato nella versione definitiva, facendo rivivere quanto già disposto dal vecchio art. 412-quater come introdotto dalla riforma del 1998. Sottolinea l’opportunità di tale modifica DE CRISTOFARO, op. cit., 65, costituendo il richiamo all’art. 825 c.p.c. « davvero una contraddizione in termini all’interno di una norma che, per quanto riguarda la disciplina di efficacia e impugnativa del lodo, faceva richiamo all’art. 808-ter [...] di cui il comma 2 testualmente certifica l’incompatibilità del lodo contrattuale con il medesimo art. 825 ». Da considerare però come tale modifica, se 253 © Copyright - Giuffrè Editore Questa caratteristica permetterebbe, nell’ottica della presente indagine, di superare la tradizionale posizione che voleva l’arbitrato irrituale non riconoscibile all’estero in quanto avrebbe avuto altrove maggior rilievo di quello attribuitogli in Italia (58). Ma si tratta, in realtà, di un profilo parzialmente limitato, non pacificamente dirimente per decidere della riconducibilità del lodo irrituale nell’area della Convenzione (59). Molto più rilevante mi pare risultare, invece, l’indagine circa l’altro aspetto differenziale fra arbitrato irrituale del lavoro e arbitrato irrituale tout court, dato dal regime delle impugnazioni, teatro che ben si presta come paradigma per indagare la reale alternatività fra la decisione arbitrale e quella giurisdizionale che abbiamo visto essere carattere qualificante di un arbitral award. da un lato si dimostra maggiormente rispettosa di un canone di coerenza logica del dettato normativo, dall’altro crea rilevanti problemi di rilievo pratico, rendendo dubbia la possibilità o meno di applicare per analogia la disciplina dettata per l’exequatur del lodo rituale (in particolare in tema di reclamabilità dell’eventuale provvedimento che neghi il riconoscimento: sul tema, pur nel vigore del precedente art. 412-quater, CORSINI, op. cit., 154). Per altro la norma in esame prevede un’altra rilevante differenza rispetto al meccanismo di cui all’art. 825 c.p.c., subordinando la possibilità del deposito per ottenere il riconoscimento della esecutività alla intangibilità della pronuncia (per decorrenza dei termini d’impugnativa, per acquiescenza o per essere stata rigettata l’impugnazione da parte dell’autorità giudiziaria) e cosı̀ rovesciando la regola dell’immediata esecutività tipica del settore delle controversie del lavoro. (58) Nel senso, si intende, che il lodo irrituale, acquisendo per effetto del riconoscimento in uno Stato estero, il valore dei lodi propri di questo, sarebbe stato presumibilmente dotato di forza esecutiva all’estero, pur essendone privo in Italia. È questo l’argomento dirimente alla base della storica e notissima pronuncia della Corte federale tedesca che ha negato il riconoscimento in Germania di un lodo irrituale italiano alla stregua della Convenzione di New York (BGH, 8 ottobre 1981, Comitas c. S.O.V.A.G., in versione italiana in Rass. arb. 1981, 116), sovente richiamata, ancora oggi, come paradigma dello sfavore straniero a riconoscere l’assoggettabilità dell’arbitrato irrituale alla Convenzione di New York (la posizione è stata ribadita più di recente dalla Suprema Corte di Baviera, 22 nov. 2002, n. 4 Z Sc 13/02, in Yearbook Comm. Arbitration, 2005, Kluver Law International, 755). Svaluta il valore della pronuncia in esame RAVIDÀ, op. cit., 590 ss. che, nel più generale intento di dimostrare la circolabilità del lodo irrituale attraverso il sistema convenzionale, riporta due pronunce statunitensi (una della Corte Distrettuale del Southern District of New York del 1987, e l’altra della Corte Federale del secondo circuito del 1988) che hanno sostanzialmente negato il valore della ricostruzione effettuata dalla Corte federale tedesca. (59) Va infatti rilevato come, nell’ottica della Convenzione di New York, l’aspetto del riconoscimento e quello della esecutorità siano in realtà due fenomeni distinti, per cui, da un lato, ben la parte potrebbe chiedere il solo riconoscimento e non l’esecuzione dell’eventuale lodo condannatorio, e, dall’altro, anche le pronunce arbitrali ad esclusivo contenuto accertativo potrebbero essere oggetto di riconoscimento (sul punto v. AULETTA, L’effıcacia in Italia dei lodi stranieri, in VERDE (a cura di), Diritto dell’arbitrato rituale, Torino, 2005, 543). Sulla base di questa notazione, parte della dottrina già da tempo sostiene che il lodo irrituale possa essere assoggettato alla Convenzione per ciò che attiene il solo riconoscimento, restando escluso l’aspetto della esecutività: in questo senso BRIGUGLIO, A volte ritornano: arbitrato irrituale e Convenzione di New York, in questa Rivista, 1996, 598; SCHLOSSER, Das Recht der internationalem privaten Schiedsgerichtsbarkeit, Tubingen, 1989, 560. 254 © Copyright - Giuffrè Editore Secondo la dizione degli artt. 412 e 412-quater « Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo ». Tralasciando qui il complesso problema delle censure concretamente proponibili (60), quello che appare di lampante evidenza è la differenza che corre con il regime di cui all’art. 808-ter: qui si parla di « impugnazione » e là di « annullamento »; qui è fissato un termine perentorio per la presentazione delle censure, pena l’acquisto dei connotati della stabilità in capo alla pronuncia (61), là manca qualsiasi riferimento ad un termine di decadenza per la proposizione delle censure; qui la competenza è del Tribunale in funzione del giudice del lavoro che decide in unico grado, con la conseguenza che la relativa pronuncia non sarà mai appellabile ma solo ricorribile in Cassazione, là le censure vengono proposte davanti al giudice competente in primo grado, la cui pronuncia sarà normalmente impugnabile in grado di appello. Da quanto detto, parrebbe allora di poter dire che qui, contrariamente a quanto avviene nell’arbitrato irrituale tout court, la pronuncia arbitrale è soggetta ad un vero e proprio regime di gravame, che lo avvicina sensibilmente all’arbitrato rituale (62). Il che, letto in sinergia con l’evidente qualità processuale del procedimento e l’altrettanto certa natura decisoria dell’istituto in esame (63), porterebbe a concludere per una sua riconducibilità nell’alveo della Convenzione newyorkese (64). Ma ad onor del vero, nemmeno quest’ultima ricostruzione può essere (60) Il tema è, oggi come prima della recente modifica legislativa, oggetto di vivaci dispute. Per una ricostruzione della tematica nel sistema previgente, BORGHESI, Arbitrato nelle controversie del lavoro, cit., 26 ss. Per un’indagine sulla problematica alla luce dell’ultimo intervento riformatore, AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel « collegato lavoro », cit., 1 ss. VALLEBONA, L’impugnazione del lodo arbitrale irrituale in materia di lavoro, in Lavoro e spirito, cit., 443 ss. (61) Nel senso che qui si applica il principio dell’onere di impugnazione, tipico del lodo rituale piuttosto che del lodo irrituale, BOVE, ADR nel c.d. collegato lavoro, cit., 18. (62) Parla di regime di gravame « ispirato più al giudizio di nullità del lodo rituale che all’azione di annullamento » DELLA PIETRA, op. cit., § 2, e, in termini ancora più netti, SOCCI, op. cit., 170 e 243-244, secondo il quale il giudizio rimesso al tribunale si deve configurare « come un gravame di una decisione arbitrale », sottolineando come, a conferma di ciò, il richiamo all’art. 808-ter sia solo parziale e relativo ai motivi di impugnazione, non già alle modalità della stessa (per inciso, si rileva come la stessa ricostruzione interpretativa sia paventata anche da BOVE, op. ult. cit., 19, che ritiene però di non sposarla, optando per riconoscere preponderante natura irrituale all’arbitrato del lavoro). (63) Sottolinea tali caratteri, fra gli altri, DONZELLI, op. cit., 123. (64) Per altro, l’attitudine della pronuncia in questione a divenire irretrattabile, integrerebbe quel requisito di definitività della risoluzione della controversia richiesto dalla Convenzione. 255 © Copyright - Giuffrè Editore pacificamente sposata. Seppur nel vigore dell’arbitrato disciplinato dal legislatore del 1998 (che però, sul punto del regime impugnatorio del lodo del lavoro, era analogo a quello vigente, quantomeno dalla prospettiva dell’autorità competente), la dottrina maggioritaria ha ritenuto infatti che, malgrado la natura fortemente ritualizzata dell’arbitrato del lavoro previsto dai previgenti artt. 412-ter e quater, quest’ultimo non potesse essere considerato un vero e proprio grado di giudizio (65). In questo senso, anche la scelta di devolvere la cognizione al tribunale anziché della Corte d’appello (66) sarebbe stata da ritenersi sintomatica della volontà del legislatore di riconfermare la natura squisitamente irrituale dell’arbitrato, prestandosi come argomento sufficiente per sostenere la non alternatività del lodo irrituale del lavoro al giudizio di primo grado. Ugualmente, seguendo quest’ultima ricostruzione, al giudice adito in unico grado non poteva essere riconosciuto alcun potere decisionale in fase rescissoria, nell’idea che il processo in questione, funzionale a conoscere del lodo (in quanto atto contrattuale viziato), non potesse utilizzarsi anche per decidere circa il merito, che doveva piuttosto essere assoggettato al processo ordinario « cui non può essere sottratto un grado di giudizio se non è la legge a prevederlo » (67). Se si considera che la normativa su cui si è costruita l’interpretazione da ultimo riportata è rimasta sostanzialmente invariata anche a seguito della riforma 2010, quanto detto dovrebbe a tutt’oggi conservare attualità. Se a tutto ciò si aggiunge la intervenuta positivizzazione dell’arbitrato irrituale e della sua indubitabile natura contrattuale, che lo pone fuori dall’area della Convenzione di New York, e il richiamo che alla relativa disciplina fanno i nuovi artt. 412 e 412-quater qui in esame, si dovrebbe concludere, a stretto rigor di logica, che anche quello del lavoro, in quanto generalmente ascrivibile alla categoria degli arbitrati irrituali, sia da considerarsi provvedimento inidoneo a circolare extra moenia attraverso lo strumento conven- (65) In questo senso, per tutti, BORGHESI, op. ult. cit., 29-30; CORSINI, op. cit., 151. (66) Si ricorda, infatti, che a norma del D.Lgs. n. 80/1998, competente a conoscere degli eventuali vizi del lodo irrituale giuslavoristico era la Corte d’appello. La subitanea modifica di tale disposizione da parte del D.Lgs. n. 387/1998 è stata letta da gran parte della dottrina come la riaffermazione della differenza intercorrente fra l’arbitrato rituale (impugnato per nullità davanti alla Corte d’appello) e quello irrituale (rispetto al quale la competenza è rimessa al giudice di primo grado); sul punto, per tutti, PUNZI, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., 396. Mostra di svalutare questa circostanza SOCCI, op. cit., 170, ritenendo piuttosto che la scelta sia da attribuirsi a dinamiche di organizzazione del sistema giudiziario. (67) BORGHESI, op. ult. cit., 30. Diversa lettura era offerta da MURONI, La nuova disciplina dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Gius. civ., 1998, 13, ritenendo che il giudice, in caso di annullamento, potesse decidere del merito in funzione di giudice del lavoro in unico grado. Le problematiche connesse ai poteri del giudice in fase rescissoria sono destinate a riproporsi anche oggi, non essendo la riforma intervenuta sul punto e perdurando in dottrina ricostruzioni divergenti del tema. 256 © Copyright - Giuffrè Editore zionale. Il che, a onor del vero, confrontato con la realtà normativa dell’istituto in esame, pare, a sommesso parere di chi scrive, un risultato esorbitante. Rischia infatti di essere fuorviante l’idea che la semplice qualificazione legislativa in termini di irritualità o il (parziale) richiamo alla disciplina di cui all’art. 808-ter siano di per sé sufficienti a superare la concreta considerazione per cui, nell’ipotesi in esame, ci si confronta con una pronuncia sicuramente eteronoma, certamente risolutiva di una controversia, soggetta all’onere impugnatorio e quindi tendenzialmente idonea a raggiungere i crismi della definitività e suscettibile di acquisire efficacia esecutiva; una pronuncia, cioè, che parrebbe integrare appieno il paradigma di « sentenza arbitrale » che emerge dal sistema convenzionale. 6. Brevi notazioni conclusive. La situazione che emerge all’indomani dell’entrata in vigore del collegato lavoro non pare facilmente intellegibile: il proliferare dei possibili meccanismi arbitrali messi a disposizione delle parti interessate porta con sé il concreto rischio di frustrare l’intento deflattivo del legislatore, ponendo una serie di problematiche interpretative di non facile e pronta soluzione (68). Anche con riferimento all’arbitrato regolato dal codice, l’opera interpretativa non è di semplice realizzazione, le aporie della disciplina essendo aggravate dall’impossibilità di ricondurre pacificamente l’istituto in esame ad una delle figure generali previste nel codice di rito, con conseguente limite al richiamo delle stesse in una prospettiva analogica. Davanti alle tante criticità che la normativa mostra, emerge soprattutto l’interrogativo circa la ragione che ha condotto il legislatore a definire (ostinatamente) l’arbitrato in questione come « irrituale », dotandolo poi di una disciplina per certi aspetti totalmente incompatibile con la presunta natura attribuita allo stesso. (69) La sostanziale commistione di modelli in cui si sostanzia la disciplina dettata dai nuovi artt. 412 e 412-quater, ponendo di fatto in ombra la scelta qualificatoria operata dal legislatore del 2010 e conseguentemente privandola di utilità concreta, rende oltremodo com- (68) Sul punto, per tutti, MURONI, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., 273. (69) Nel senso che, anche alla luce dell’esperienza che aveva visto sostanzialmente fallire la disciplina introdotta nel 1998, meglio sarebbe stato che il legislatore del 2010 optasse per operare un definitivo « riconoscimento dell’arbitrato rituale come forma privilegiata di soluzione stragiudiziale delle controversie giuslavoristiche », DONZELLI, op. cit., 109, per altro riprendendo sul punto quanto già auspicato da CARPI, op. cit., 399. Nello stesso senso BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del « collegato lavoro », cit., § 11, il quale rileva come, superate le contingenze socio-politiche che avevano portato allo sviluppo dell’arbitrato irrituale nel settore lavorativo, sarebbe stato più pratico ricorrere all’arbitrato rituale. 257 © Copyright - Giuffrè Editore plesso individuare risposte sicure alle problematiche pratiche che possano presentarsi. Meglio sarebbe stato, forse, evitare etichette fallaci e una normazione fatta di rimandi incrociati, che rendono ancora più difficoltoso il lavoro di ricostruzione della concreta disciplina applicabile. 258 © Copyright - Giuffrè Editore DOCUMENTI E NOTIZIE Il Convegno celebrativo del Ventennale della Rivista Il 2 dicembre 2011, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, si è tenuto il Convegno celebrativo per il Ventennale della Rivista dell’Arbitrato, dal titolo « L’Arbitrato e i terzi ». Al Convegno hanno preso parte studiosi provenienti da diverse aree geografiche e specializzati in diversi ambiti del diritto, a sottolineare da un lato la vocazione internazionale della Rivista, e dall’altro come lo sviluppo della cultura arbitrale — che è lo scopo per cui la Rivista è stata creata — ha richiesto, e continua a richiedere, il contributo di giuristi di varia estrazione, dal diritto processuale civile al diritto civile, dal diritto internazionale, pubblico e privato, al diritto privato comparato. La giornata di studi organizzata per il Ventennale, nonché nel ricordo di Elio Fazzalari, oltre a costituire un forum di discussione sul rapporto tra arbitrato e terzi — che ha toccato temi quali gli effetti dell’accordo arbitrale per i terzi, la loro partecipazione al procedimento arbitrale o ai giudizi statali di impugnazione e di esecuzione del lodo — ha inteso riflettere la dimensione interdisciplinare e transnazionale dell’arbitrato. Dimensione che la Rivista ha voluto mantenere nel corso degli anni, sulla base dell’impegno assunto dal Professor Elio Fazzalari — che della Rivista è stato (con Giuseppe Guarino e Mauro Ferrante) ideatore ed indimenticato direttore — con l’articolo « La cultura dell’Arbitrato » apparso sul primo numero. L’impegno del Professor Fazzalari è oggi puntualmente rinnovato dall’attuale direzione, che può significativamente contare sul contributo di un processualcivilista, Antonio Briguglio, di un internazionalista, Andrea Giardina, e di un civilista, Giorgio De Nova. Il Convegno ha visto anche la partecipazione di operatori del settore, a volere sottolineare il contributo che la Rivista, come già la Rassegna dell’arbitrato che la ha preceduta, ha inteso offrire ed ha offerto ai fruitori dell’arbitrato. Come ricordato nella relazione introduttiva di Nicola Picardi, Rivista e Rassegna hanno costituito un importante punto di riferimento per le riforme dell’arbitrato succedutesi negli anni in Italia, dovendosi poi accreditare soprattutto alla Rivista la notevolissima evoluzione quantitativa e qualitativa degli studi sull’arbitrato in Italia negli ultimi anni. Le tre sessioni della giornata sono state presiedute da Pietro Rescigno, Natalino Irti e Giorgio Santacroce e si sono giovate delle relazioni di Nicola Picardi, Giorgio De Nova, Pierre Mayer, Claudio Consolo, Michele Paolo Patocchi, Francesco Paolo Luiso, François Perret, Stefano Azzali, Massimo Benedettelli, Diego Corapi, Francesca Mazza, Laura Salvaneschi, con conclusioni di Andrea Giardina. 259 © Copyright - Giuffrè Editore Sintetizzare il contenuto delle relazioni e dei numerosi interventi che si sono succeduti, anche in vivace forma dialogica, nel corso del Convegno e che, come si diceva, hanno affrontato la tematica della tutela degli interessi del terzo nelle varie fasi in cui l’arbitrato si snoda — includendo anche la fase post arbitrale che si svolge davanti al giudice statale —, non sarebbe qui possibile. In considerazione dell’interesse del tema, diversamente affrontato nelle giurisdizioni nazionali e non regolamentato a livello internazionale, l’AIA sta curando la pubblicazione degli atti del convegno. [ANDREA ATTERITANO] 260 © Copyright - Giuffrè Editore In ricordo di Giovanni Maria Ughi Il mondo dell’arbitrato deve molto a Giovanni Maria Ughi, recentemente scomparso all’età di 87 anni. Egli è stato tra i primi italiani ad affacciarsi sullo scenario degli arbitrati internazionali, grazie anche alla perfetta conoscenza della lingua inglese, sia come arbitro che come legale in importanti procedure arbitrali. Ma il suo apporto più significativo resta quello di Presidente del Gruppo di lavoro (« Working Party ») dell’International Bar Association (« IBA »), incaricato di predisporre una regolamentazione relativa all’acquisizione dei mezzi di prova nell’arbitrato commerciale internazionale. L’obiettivo dell’IBA era quello di dotare le parti e gli arbitri di uno strumento che permettesse loro di gestire il procedimento arbitrale nel modo più efficiente ed economico con riguardo al delicato tema dei mezzi di prova. Avvalendosi della collaborazione dei maggiori esperti in materia di arbitrato internazionale quali componenti del Working Party, Ughi ha profuso le Sue grandi doti di giurista esperto anche dei sistemi di common law (è del 1953 il Master of Laws all’Harvard Law School) per realizzare quello che, ancora oggi, è unanimemente riconosciuto come un utilissimo strumento di lavoro, le IBA Rules on the Taking of Evidence in International Commercial Arbitration, adottate dal Consiglio dell’IBA l’1 giugno 1999. Largamente applicate per scelta delle parti nelle procedure di arbitrato commerciale internazionale come pure in quelle relative alla materia degli investimenti nei rapporti tra Stati e privati, le IBA Rules devono il loro successo alla sapiente combinazione di principi propri della civil law e di quelli della common law. Nel corso della mia lunga esperienza nel campo dell’arbitrato internazionale e negli incontri avuti con i più diversi cultori di questa materia ho avuto modo di constatare di quanta considerazione fosse circondata la persona e l’opera di Giovanni Maria Ughi: la persona, per il suo tratto signorile e distaccato; l’opera, per l’accuratezza delle sue analisi, cui dava alimento la lunga e profonda esperienza professionale. [PIERO BERNARDINI] 261 © Copyright - Giuffrè Editore