introduzione - Informazione Sostenibile

Tesi di l.s. in Sistemi e Progetti di Comunicazione: Educazione alle Demopratiche
Cifaldi Giulia
INTRODUZIONE
L‟etimo educazione deriva dal latino ēdŭcātĭo, dal verbo latino ēdūco, ēdūcĕre,
composto dalla particella ē e dūco, dūcĕre, che significa “condurre fuori, trarre da”;
educare assumeva così il significato di «aiutare con opportuna disciplina a mettere in
atto, a svolgere le buone indicazioni dell‟animo e le potenze della mente, e a combattere
le inclinazioni non buone: condur fuori l‟uomo dai difetti originali della rozza natura,
instillando abiti di moralità e di buona creanza»1. Istruire, invece, deriva etimologicamente da in-strŭo, in-struĕre che significa “fornire, provvedere di, equipaggiare,
costruire, plasmare”; istruire rimanda allora alla metafora della mente del bambino
come tabula rasa, cui vengono fornite conoscenze e materiale con cui costruire la sua
istruzione, mentre educare significa saper tirare fuori da ciascuno le proprie potenzialità,
promuovendo lo sviluppo completo e armonioso della personalità.
Per quanto concerne il termine democrazia, iniziamo riportando la definizione di
Luciano Gallino nel suo Dizionario di Sociologia:
forma di governo di una collettività, che può essere vasta quanto una società, oppure limitata
quanto una comunità locale, un‟associazione politica, una unità produttiva, in base alla quale la
totalità dei membri ha il diritto e la possibilità oggettiva di intervenire nelle decisioni di maggior
rilevanza collettiva, o direttamente, esprimendo di presenza la propria volontà, o indirettamente,
attraverso rappresentanti liberamente eletti col voto di tutti; dove non esistono distinzioni e
privilegi sociali di carattere giuridico, e tutti sono soggetti alle stesse norme che hanno contribuito
a creare. Con lo stesso nome viene designata la dottrina o l‟ideologia che elabora i valori e gli
argomenti per legittimare sul piano etico e pratico tale forma di governo. 2
Sempre secondo Gallino, la definizione di democrazia può essere spiegata attraverso
due sviluppi paralleli: la valutazione altamente positiva che il termine democrazia ha
assunto e l‟affermarsi della distinzione fra democrazia formale e sostanziale. Su
quest‟ultima distinzione torneremo in seguito, mentre per quanto concerne la
valutazione positiva, il sociologo ricorda che «nei rapporti correnti tra le persone, in
campo politico, la peggiore delle accuse è di essere antidemocratici; e, per contro, il
miglior apprezzamento che si possa esprimere su di sé o su altri è l‟attributo di
democratico». Come sagacemente scrive Zagrebelsky nella sua lectio magistralis tenuta
in occasione della Biennale della Democrazia di Torino del 2009, «ci si può […]
domandare per quale motivo oggi chi esercita funzioni politiche tenga tanto a
qualificarsi democratico, a costo di simili violenze lessicali e concettuali. La
democrazia, fin dall‟inizio della riflessione sulle forme del vivere insieme, è stata
associata all‟idea della massificazione, della mediocrità, dell‟edonismo, del
materialismo, dell‟arbitrio e della violenza del numero senza qualità, dunque a una
costellazione di valori negativi. Per quali motivi, allora, è diventata oggi una parola
magica, lo shibboleth, il passaporto senza il quale non si è ammessi al consesso dei
popoli, dei governanti e degli Stati civili?»3. Lasciamo per ora la risposta in sospeso.
Interessanti infine sono anche quelli che Gallino definisce «i fattori che in funzione
delle modalità che assumono sono considerati atti a favorire o ad ostacolare lo sviluppo
di forme di governo democratico di tipo liberale a livello di società» e che rientrano in
tre classi: fattori strutturali, fattori psicosociali, e fattori culturali.
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2
3
Dal Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani (edizione online).
Gallino L. (2004), p. 205
Napolitano G.- Zagrebelsky G. (2010), p.25.
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Cifaldi Giulia
Data la vastità del significato di democrazia, è utile riportare anche le definizioni
date dal manuale Cotta-Della Porta-Morlino. Una prima definizione è quella sul significato di liberal-democrazie di massa ossia: «regimi contraddistinti dalla garanzia reale di
partecipazione politica della popolazione adulta maschile e femminile e dalla possibilità
di dissenso, opposizione e anche competizione politica»4. Vi è anche una definizione
minima di democrazia che indica una soglia al di sopra della quale un regime può essere
considerato democratico, mettendo in risalto l‟essenzialità della garanzia reale di diritti
civili e politici che sono assicurati da: «a) suffragio universale, maschile e femminile;
b) elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette; c) più di un partito; d) diverse e
alternative fonti di informazione»5. I teorici democratici, da Schumpeter a Kelsen,
hanno parlato di democrazia formale, mentre altri, come Norberto Bobbio, di
democrazia procedurale, sottolineando quindi che sarebbero le forme a garantire che
certe decisioni siano prese (sostanze) secondo le modalità previste.
Queste riflessioni permettono anche di dare una definizione empirica di democrazia,
che ai fini di questo lavoro, è sicuramente pregna di ulteriori riflessioni: «quell‟insieme
di norme e procedure che risultano da un accordo-compromesso per la risoluzione
pacifica dei conflitti tra gli attori sociali, politicamente rilevanti, e gli altri attori
istituzionali presenti nell‟arena politica»6.
È utile anche soffermarci sulle definizioni normative di democrazia ideale, necessaria
quando si passa alla seconda fase democratica, quella fase in cui all‟instaurazione
succede il miglioramento. Secondo alcuni autori, tra cui May e Dahl, la democrazia è un
regime caratterizzato dalla corrispondenza (responsiveness) fra gli atti di governo e i
desideri e le preferenze espresse dai governati.
Quindi democrazia come potere dal popolo, del popolo, per il popolo e, come
vedremo, al popolo7, attraverso metodologie dialogico-inclusive per promuovere la
partecipazione e la deliberazione pubblica, alcune delle quali sono: il bilancio partecipativo, la giuria dei cittadini, il dibattito pubblico e i dispositivi basati sul sorteggio.
È possibile individuare anche alcune condizioni non politiche favorevoli alle
istituzioni democratiche, tra cui alcuni valori che rendono la cultura di un paese
maggiormente adatta al regime democratico, come credenza nella libertà, atteggiamenti
come disponibilità a partecipare, apertura alla negoziazione, al compromesso, alla
tolleranza, al rispetto delle leggi, credenza nella legittimità delle istituzioni; disponibilità a cooperare, senza escludere la possibilità di competere, la disponibilità all‟accordo,
al compromesso.
Secondo lo studio del 1963 di Almond e Verba condotto negli Stati Uniti, Gran
Bretagna, Germania, Messico e Italia, la cultura che meglio rafforza il sistema
democratico è la cultura civica, intesa come cultura caratterizzata «da partecipazione,
da un‟attività politica vivace (che però non mette in dubbio l‟autorità politica), da un
impegno civile moderato, dall‟assenza di dissensi profondi, da fiducia nel proprio
ambiente sociale, da rispetto per l‟autorità, ma anche da senso di indipendenza, e
atteggiamenti favorevoli verso le strutture politiche»8.
Questa serie di definizioni e riflessioni ci aiuta a mettere a fuoco la connessione tra
democrazia, habitus democratico (condizioni non politiche necessarie), partecipazione
politica, gestione dei conflitti, responsiveness, cultura civica: tutte questioni che fanno
da retroterra all‟educazione alle demopratiche ossia alle pratiche della democrazia.
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5
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8
Cotta M.- Della Porta D.- Morlino L. (2004), p.41.
Ivi, p. 42. Cfr. anche Bobbio N. (1991).
Cotta M.- Della Porta D.- Morlino L. (2004), p. 43.
Sintomer Y. (2009).
Cotta M.- Della Porta D.- Morlino L. (2004),
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Perché focalizzarsi sull‟educazione alla democrazia? Il legame tra educazione e
politica è particolarmente evidente «per il carattere sociale delle pratiche educative»9:
sociale in quanto vi sono persone coinvolte in un rapporto relazionale tra loro e tra le
istituzioni di uno stato. Più studiosi sottolineano il duplice compito di cui è investita la
scuola: trasmettere la cultura e formare i giovani in conformità di un determinato
modello ideologico-politico, in quanto la scuola è funzionale rispetto ai fini della
società, e «non esiste una realizzazione politica di scuola che sia in contraddizione con i
principi ispiratori di uno Stato di cui essa stessa è emanazione […]. Principalmente la
durata di tali modelli [filosofici sulla educazione] si deve attribuire al permanere di
specifiche condizioni socio-culturali che ne hanno determinato i caratteri: una società
democratica tende a perpetuare un modello democratico così come una società
autoritaria tende a perpetuare un modello educativo di tipo autoritario»10. Ma questo
non è necessariamente stabilito, in quanto la scuola può essere anche un agente di
cambiamento di una società.
Il primo passo da compiere per affrontare questa tematica è farsi un‟idea di chi,
quando, dove, in che contesto socio-culturale ha inaugurato la stagione “dell‟educazione
alla democrazia”. Scontato quindi partire dall‟analisi di Dewey e dei suoi allievi Childs
e Kilpatrick (Capitolo Uno), passando per Bruner e Gardner per arrivare a Gutmann.
Necessario è però anche accennare alle diversità fra il contesto economico, sociale e
politico americano e italiano, che ha visto il diffondersi di un interesse alle tematiche
deweyane solo a partire dal dopoguerra. Il secondo capitolo sarà in parte dedicato anche
alla tradizione dell‟educazione attiva in Italia, in particolare agli autori Ciari e Frabboni;
infine si riporterà uno sviluppo cronologico di alcuni principali programmi scolastici,
per seguire il cambiamento, a livello di direttive ministeriali, riguardo alle concezioni e
finalità dell‟educazione democratica o civica o civile o alla convivenza democratica.
Oggi le decisioni che riguardano da vicino la nostra vita, che riguardano le politiche
ambientali o le „semplici‟ riqualificazioni di un‟area, dalla creazione di infrastrutture ai
piani urbanistici, ci appaiono come prese in luoghi sempre più lontani e la democrazia
sembra sempre più affetta da formalismi. «La partecipazione dei cittadini è scarsa,
poiché non viene alimentato il gusto della cosa pubblica, ma anzi viene rafforzata la
loro apatia politica, in maniera che le decisioni possano essere prese dai professionisti
della politica […]. Dobbiamo rassegnarci e restare spettatori passivi degli orrori che
dominano il mondo? Non è il caso, forse, di scommettere sulla speranza di potere
realizzare una società più giusta e un‟effettiva democrazia, non solo politica, ma anche
economica, che coniughi libertà ed uguaglianza, diritti civili e diritti sociali?»11.
I modi per ridare potere ai cittadini sono quelli di sviluppare percorsi di democrazia
partecipativa e deliberativa, cercando quindi degli antidoti all‟apatia e alla sfiducia che i
rappresentanti godono presso i loro rappresentati. Il Capitolo Tre si occuperà di mettere
in luce i concetti di democrazia partecipativa e deliberativa, analizzando anche tre
famiglie di strumenti dialogico-deliberativi, secondo la classificazione di Luigi
Bobbio12.
Nell‟antichità «la volontà di ciascuno aveva una reale influenza: l‟esercizio di tale
volontà era un piacere vivo e ripetuto. Di conseguenza, gli antichi erano disposti a fare
molti sacrifici per conservare i loro diritti politici e la parte che avevano nell‟amministrazione dello Stato»; nella modernità, invece «perso nella moltitudine, l‟individuo non
avverte quasi mai l‟influenza che esercita. Mai la sua volontà s‟imprime sull‟insieme;
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10
11
12
Gatti R.- Gherardi V. (1998) p. 119.
Ivi, pp. 119-120.
Di Giorgi P. (2009), p. 36.
Bobbio L. (2009).
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niente prova ai suoi propri occhi la sua cooperazione»13. Come contrastare questa
moderna apatia, il kilpatrickiano “fatalismo delle moltitudini”?
Per partecipare non occorrono solo strumenti, metodologie, setting strutturati,
opportunità, ma anche dei pre-requisiti al dialogo e alla discussione pubblica. Questi,
similmente alle condizioni non politiche favorevoli al mantenimento della democrazia,
possono essere imparati da parte dei cittadini, dai bambini agli anziani, ad opera delle
principali agenzie formative, come la scuola e la famiglia, ma non solo, anche grazie
all‟associazionismo e agli Enti locali.
La deliberazione pubblica, secondo Pellizzoni, presuppone una triplice virtù: civica,
di governo e cognitiva. Nei Capitoli Quattro e Cinque identificheremo alcuni contenuti
dell‟educazione alle demopratiche, ossia alla partecipazione ai processi partecipativi e
deliberativi: apertura cognitiva, abito alla cooperazione, lavoro di gruppo, capacità
deliberativa, consapevolezza delle cornici di cui si fa parte e capacità di uscirne,
gestione dell‟incertezza, delle emozioni (self efficacy) e del conflitto, consapevolezza
dei processi di formazione degli stereotipi, degli schemi mentali, dei meccanismi
ingroup/ outgroup, prospettive multiple, capacità di ascolto attivo, sviluppo del pensiero
narrativo, creazione di visioni condivise. Tutte queste capacità possono essere legate
assieme e sviluppate grazie al pensiero sistemico che, come ha messo in luce von
Bertalanffy, permette di pensare l‟essere umano vivente come un sistema aperto che si
conserva mediante un flusso continuo di scambi di energia e di informazione con
l‟esterno.
Infine individueremo alcune prassi virtuose realizzate sul territorio toscano, in grado
di innestare meccanismi simili a quelli delle “organizzazioni che apprendono” studiate
da Senge, ma all‟interno del quadrilatero del sistema formativo integrato14: scuola,
famiglia, enti locali, associazionismo, affinché siano poste le basi di una comunità
locale educante, le cui chiavi sono date in mano ai bambini15.
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14
15
Constant B. (2001), p.16.
Frabboni F.- Pinto Minerva F. (1994).
Tonucci F. (2005).
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