Ethan Frome

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LA RELATIVITÀ
LA RELATIVITÀ NELLA FISICA CLASSICA
La relatività nasce da osservazioni fatte molto
tempo prima di Einstein. Il primo ad intuire il
principio di relatività fu infatti Galileo Galilei agli
inizi del Seicento. “Se Copernico ha ragione, e se la
Terra ruota a grande velocità, come mai non ce ne accorgiamo?” Una obiezione non da poco, che fu appunto risolta da Galilei con il principio di relatività: “Non ci accorgiamo del moto della Terra perché ci
muoviamo insieme con lei assieme agli oggetti che ci
circondano; non esiste una velocità assoluta”.
Ma se la relatività era già in germe nel Seicento, perché si dovettero aspettare tanti anni prima di
formalizzarla completamente? La vera difficoltà
era concettuale e psicologica: si trattava di abbandonare un’idea profondamente radicata nella mente dei fisici da Newton in poi, quella cioè che il
tempo fosse una grandezza assoluta, che scorre
egualmente in ogni punto dell’universo.
Newton, lo scienziato che scrisse le pagine più
importanti della fisica classica, pensava che la relatività di Galileo fosse un dato di fatto, ma che lo
spazio e il tempo fossero entità immutabili ed indipendenti dall’osservatore, non relative. Per Newton spazio e tempo sono come una cornice universale dei fenomeni naturali. Dunque, anche se nella
vita quotidiana sembrava che Galileo avesse ragione, doveva esistere una velocità assoluta: la velocità vera dell’oggetto, quella che si sarebbe ottenuta
misurando il tempo assoluto e lo spazio assoluto.
Nello spazio e nel tempo i moti dei corpi sono relativi fino a quando non vengono riferiti a quel particolare riferimento in quiete assoluta.
Galilei affermò che le leggi che descrivono il
moto dei corpi restano sempre le stesse, sia che il
sistema di riferimento sia in quiete, sia che si muova di moto uniforme, cioè a velocità costante. Se ne
deduce che non è possibile, facendo un esperimento, stabilire se ci si trova in un sistema fisso o mobile: ha senso parlare di moto relativo tra i due sistemi. Questo serviva a Galilei per dimostrare che se
la Terra si muove ciò non influenza l’esito degli
esperimenti. Gli avversari di Galileo ribatterono:
“Se la Terra si muovesse, facendo cadere una pietra da
una torre la pietra non cadrebbe lungo la verticale perché nel frattempo la Terra sotto la pietra dovrebbe essersi spostata”. Galileo però dimostrò che il moto di un
corpo all’interno di un sistema che si muove è
uguale a quello di un corpo in un sistema in quiete.
Osservando una palla lasciata cadere verticalmente
all’interno di una barca non si può sapere se la barca si muove oppure no. Se invece da una barca si
osserva una palla che viene fatta cadere da una
persona che si trova sulla riva di un fiume, la si vedrà percorrere una parabola. La stessa cosa succede quando una persona sulla riva di un fiume osserva una palla lasciata cadere in una barca che si
muove. In entrambi i casi non si può stabilire quale
dei due sistemi sia fisso e quale in movimento, ma
solo che sono in moto relativo tra loro: nessuno degli osservatori è in una posizione privilegiata rispetto all’altro.
Einstein ebbe il coraggio intellettuale di mettere in discussione tali dogmi pubblicando nel 1905
la teoria della relatività ristretta; così come scardinò l’idea, sostenuta da Newton, che la gravità fosse
il risultato di una azione a distanza, elaborando nel
1916 la teoria della relatività generale.
Il problema della relatività e della velocità assoluta si ripropose nel 1864 quando Maxwell pubblicò la teoria del campo elettromagnetico che dimostrava come la luce fosse un’onda elettromagnetica e assegnava alla velocità della luce il ruolo
di costante universale. Nel 1887, inoltre, Michelson
e Morley dimostrarono che la velocità della luce è
sempre costante e uguale a c = 300.000 Km al secondo, anche se il raggio parte da un sistema in
movimento rispetto ad un altro. Al contrario la velocità con cui noi vediamo muoversi un oggetto dipende dalla velocità con cui noi ci muoviamo.
Einstein ha preso questa idea e l’ha estesa a
tutti i fenomeni della natura, anche a chi si muove
a velocità altissima, vicina a quella della luce. Dire
che qualcosa si muove è sempre una affermazione
relativa. La velocità di un oggetto non è una sua
proprietà assoluta, dipende dal punto di vista di
chi osserva i movimenti e dai riferimenti usati
per misurare la velocità.
Einstein si chiedeva che cosa sarebbe successo
se avesse potuto viaggiare su un fascio di luce:
avrebbe visto la luce ferma? Secondo Galileo e
Newton doveva essere così, ma secondo la teoria
di Maxwell tutte le onde elettromagnetiche dovevano viaggiare alla stessa velocità. C’erano inoltre
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altri aspetti della fisica di fine Ottocento che lasciavano Einstein perplesso, primo tra tutti l’ipotetico
etere, inventato dagli scienziati come mezzo di so-
stegno alla propagazione delle onde elettromagnetiche, in analogia alle onde sonore, e come mezzo
di trasmissione dell’attrazione gravitazionale.
LA RELATIVITÀ DI EINSTEIN RISOLVE PROBLEMI AI QUALI LA FISICA
CLASSICA NON HA SAPUTO TROVARE SOLUZIONE
I PRINCIPI DI RELATIVITÀ DI EINSTEIN
Einstein preferì un approccio nuovo, radicale, e decise di affidarsi a due postulati, cioè a due ipotesi di
lavoro che gli sembravano ragionevoli e che prendeva per buone anche se non era in grado di dimostrarle.
I postulati dicono:
1. la velocità della luce nel vuoto è sempre la stessa indipendentemente dal moto della sorgente o dell’osservatore (la luce non è come gli altri oggetti la cui velocità dipende da chi li osserva);
2. le leggi della natura che regolano tutti i fenomeni fisici (meccanici, elettrici, magnetici) sono le stesse
per qualsiasi osservatore, indipendentemente dal suo stato di moto (sia esso fermo o si muova a velocità
costante).
Egli abbandonava la vecchia idea di Newton dell’esistenza di un punto di vista privilegiato: quello di chi
è fermo rispetto allo spazio assoluto, convinto che la Natura tratta tutti gli osservatori allo stesso modo. La
teoria di Einstein, oltre a rivoluzionare il concetto di spazio, scardina anche le più radicate idee sulla natura
del tempo e tutto questo in conseguenza all’ipotesi che la velocità della luce sia costante. Estendendo il principio di relatività di Galileo anche ad osservatori che si muovono a velocità prossime a quelle della luce si
scoprono effetti apparentemente incredibili eppure veri.
NON ESISTONO SISTEMI DI RIFERIMENTO PRIVILEGIATI
LA SIMULTANEITÀ
Dire che la velocità della luce è costante ha
conseguenze straordinarie. Anzitutto fa crollare
un’idea che tutti diamo per scontata: l’idea della simultaneità di due eventi. Siamo abituati a considerare simultanei, cioè contemporanei, due eventi
che avvengono nello stesso istante di tempo. In
realtà se una persona percepisce due eventi come
simultanei, un’altra che si trova a distanza può
percepirli come accaduti in tempi diversi. Se ci
trovassimo all’interno di una nuvola quando scocca un fulmine, percepiremmo il lampo e il tuono
nello stesso momento, mentre trovandoci a terra,
percepiremmo il lampo prima del tuono poiché la
luce viaggia a velocità maggiore del suono.
due eventi A e B tra loro distanti e vediamo cosa
vede un osservatore in moto rispetto al primo con
velocità costante v. Sia O l’osservatore posto su un
sistema K solidale col suolo, mentre l’osservatore
O’ sia situato in un riferimento K’ rappresentato da
un vagone ferroviario in moto con velocità v rispetto a K. Supponiamo inoltre che O’ si trovi esattamente nel punto medio del vagone. Nell’istante
in cui O e O’ sono allineati O vede due fulmini colpire simultaneamente le estremità opposte del vagone (i due eventi sono simultanei poiché O = O’
che è nel punto medio del vagone). L’osservatore
O’, invece, si muove incontro al segnale proveniente da B mentre si allontana dal segnale emesso da
A. Quindi per O’ l’evento B precede l’evento A. La
percezione di cosa sia la simultaneità è diversa per
i due osservatori.
Supponiamo che un osservatore posto in un
determinato sistema inerziale giudichi simultanei
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Ecco la prima stranezza della teoria della relatività: per sapere se due eventi sono simultanei bisogna specificare per chi devono esserlo.
Se due avvenimenti sono simultanei per un
osservatore fermo non lo saranno per uno in movimento e viceversa.
IL CONCETTO DI SIMULTANEITÀ È RELATIVO
Per Einstein il tempo può essere definito da
una contemporaneità di due fatti in uno stesso
posto. Per mettere invece in relazione due fatti che
avvengono in posti diversi, bisogna sincronizzare
due orologi collocati in questi luoghi. Il problema è
semplice quando i due osservatori sono a breve distanza, e uno vede l’orologio dell’altro. Diventa
più complicato quando sono a grande distanza. Ci
si può servire, per esempio, di schermi televisivi:
mentre l’osservatore 1 regola il suo orologio sulle
12:00, l’osservatore 2 vede sul suo video l’orologio
dell’osservatore 1 segnare le 12:00. Poiché la luce
viaggia ad una velocità altissima, ma comunque limitata, per regolare il suo orologio occorre tenere
conto della distanza percorsa dall’informazione
(onda elettromagnetica) a velocità c e quindi calcolare il ritardo.
Proprio perchè la luce viaggia a velocità costante, due fatti che appaiono contemporanei ad
uno osservatore non appaiono contemporanei ad
un secondo in moto rispetto al primo. Se la luce
viaggiasse a velocità infinita si potrebbero sincronizzare senza problemi orologi posti ovunque nell’universo e quindi dare valore oggettivo all’affermazione che due eventi sono simultanei.
Sembra tanto strana l’idea che sia impossibile
dire se due avvenimenti sono simultanei perché
noi, come tutti fino ad Einstein, siamo abituati a
pensare al tempo come qualcosa di assoluto, che
scorre per conto suo nell’universo, indipendentemente da quello che facciamo e da come ci muoviamo. Secondo Einstein non è così: il concetto di
tempo assoluto non esiste ed anche il concetto di
simultaneità è relativo: dipende da chi osserva gli
eventi.
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DILATAZIONE DEI TEMPI
Ecco un’altra stranezza evidenziata dalla teoria
di Einstein, grazie alla quale però funzionano le telecomunicazioni via satellite. Per capirla consideriamo questo esperimento.
Ci sono due cronometri a terra e un terzo li
sorvola appeso ad un aeroplano. Se due cronometri sono fermi è possibile sincronizzarli, ma se uno
si muove che cosa succede?
Supponiamo che si muova l’orologio dell’aeroplano e che venga confrontato con gli orologi fermi
a terra. Si vedrà che il cronometro dell’aeroplano,
per chi lo guarda da terra, è rimasto indietro. Secondo Einstein infatti esso ritarda rispetto ai cronometri fermi a terra. Per vedere che cosa succede dal
punto di vista dell’aeroplano si devono usare due
cronometri sincronizzati sull’aeroplano e confrontarli con un cronometro a terra. Quando si è in
volo è il terreno a spostarsi, dal punto di vista di
chi è in movimento. Guardando dall’aeroplano è il
cronometro a terra che è rimasto indietro.
E’ strano ma la teoria di Einstein dice proprio
che qualsiasi cronometro in volo ritarda rispetto a
cronometri che non si muovono.
Un orologio che non si sposta batte il tempo
più velocemente di qualsiasi orologio che si muove
rispetto ad esso.
OROLOGI IN MOTO RITARDANO
E’ bene chiarire che la dilatazione dei tempi
non è un effetto apparente o un miraggio dovuto
alla peculiarità dei sistemi di misura del tempo,
bensì un effetto reale ed osservabile. In un sistema di riferimento che si muove rispetto a noi, il
tempo scorre realmente a rilento; per chi sta in
quel sistema, naturalmente, tutto sembra procedere a ritmo normale, poiché anche gli “orologi interni” dei sistemi biologici battono in ritardo. La dila-
tazione dei tempi è tanto maggiore quanto maggiore la velocità del sistema di riferimento considerato. Per un oggetto che si muovesse alla velocità della luce, eventualità peraltro esclusa dalla teoria di Einstein, il tempo non scorrerebbe affatto.
Il ritardo degli orologi sui satelliti artificiali dovuto alla dilatazione dei tempi previsto dalla relatività speciale è misurabile. Ma anche la teoria della relatività generale prevede un’alterazione dello
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scorrere del tempo dovuta alla differenza nell’intensità del campo gravitazionale in cui si muove il
satellite rispetto a quello cui è sottoposto chi sta a
terra. Le correzioni che permettono alle telecomunicazioni di funzionare tengono conto di entrambi
gli effetti.
CONTRAZIONE DELLE LUNGHEZZE
Allo strano effetto della relatività che accompagna la nostra percezione del tempo se ne accompagna un altro che riguarda la percezione dello
spazio. Considerando ancora un aeroplano relativistico si misura il tempo impiegato a percorrere
una distanza tra due bandierine a terra. Stando fermi a terra si misura un tempo T, moltiplicando il
tempo T per la velocità V dell’aeroplano si trova la
distanza tra le due bandierine: D=VT.
Ma poiché il cronometro a bordo dell’aeroplano ritarda, chi si trova sull’aeroplano e vede muoversi le bandierine con velocità V misura un tempo
più breve. Ma se il tempo misurato sull’aeroplano
è minore vuol dire che per chi sta sull’aeroplano la
distanza è minore.
Cambiando punto di vista si considerano le
due bandierine agli estremi dell’aeroplano. Per chi
si trova sull’aeroplano è il cronometro a terra che
ritarda, ma ciò significa che chi sta a terra ha l’impressione che la distanza tra le bandierine sia ridotta. Dall’aeroplano D appare ridotta, da terra appare ridotta la distanza tra le bandierine sull’aeroplano, cioè la lunghezza dell’aeroplano.
QUALSIASI LUNGHEZZA IN MOVIMENTO APPARE CONTRATTA
Secondo Einstein non esiste una vera lunghezza; semplicemente, per convenzione, si definisce lunghezza di un oggetto quella misurata
quando l’oggetto è fermo.
Tutti gli osservatori per i quali l’oggetto è fermo, misurandolo, trovano la stessa lunghezza; per
chi lo vede muoversi, invece, è più corto, cioè contratto nella direzione in cui si muove. Su di un’astronave capace di viaggiare a velocità relativistica
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non soltanto il tempo scorrerebbe più lentamente,
ma anche le distanze da percorrere apparirebbero
ridotte. Nel caso limite di un oggetto che potesse
viaggiare alla velocità della luce, il tempo non scorrerebbe affatto e la distanza da percorrere si ridur-
rebbe a zero: per l’equipaggio partenza ed arrivo
sarebbero simultanei. L’equipaggio stesso, peraltro, sarebbe contratto in misura infinita nella direzione del moto.
SPAZIO-TEMPO
Tutti noi siamo abituati a considerare spazio e
tempo come entità distinte. Einstein ha tolto questo
carattere di indipendenza e ha visto queste grandezze come intercambiabili. Come si è visto la distanza spaziale di due eventi in un sistema è legata
alla distanza temporale degli stessi eventi rispetto
ad un altro sistema. Questa analogia tra intervalli
spaziali e temporali ha suggerito l’idea di considerare il tempo come una quarta coordinata, complementare alle tre coordinate spaziali. Si passa così
dal riferimento (x, y, z) a (x, y, z, t). Per Einstein
quindi la nostra vita si svolge in una cornice universale: “lo spazio-tempo”.
SPAZIO E TEMPO NON SONO CONCETTI DISTINTI
LA FORMULA
E = m c2
Procedendo nello studio della relatività ci si
trova continuamente di fronte a situazioni strane
ed inaspettate. Affrontando il problema dell’energia le “stranezze” non sono finite: Einstein dimostra l’equivalenza tra massa ed energia, che è alla
base dei processi di generazione dell’energia nucleare, ma anche delle bombe atomiche.
sa tende all’infinito e ogni ulteriore accelerazione
dovrebbe essere causata da una forza infinita.
Quindi mentre la costanza assoluta della velocità
della luce è un postulato, la sua insuperabilità è un
risultato della teoria della relatività.
Attraverso l’espressione della massa relativistica e un opportuno procedimento matematico
Einstein è giunto alla famosissima legge sull’energia. Essa afferma che massa inerziale ed energia,
pur rivelandosi in “forme fisiche” apparentemente
così diverse tra loro, sono grandezze equivalenti e
come tali convertibili da una forma all’altra. La costante c rappresenta solo un fattore di proporzionalità ma di enorme valore. Ciò implica che anche
una massa molto piccola, se trasformata in energia, liberi una energia enorme. Infatti la bomba
nucleare più potente mai fatta esplodere aveva una
potenza di 60 megatoni eppure era stata trasformata in energia una massa di appena 2,5 Kg. Viceversa occorre un’energia molto grande per far materializzare la più piccola delle particelle.
Nella teoria di Einstein la massa di un corpo è
una delle grandezze fisiche relative: appare cioè
diversa ai diversi osservatori inerziali e non è
quindi una costante universale. Per qualsiasi oggetto esiste una massa minima irriducibile: la massa a riposo, che è quella misurata in un sistema di
riferimento in cui l’oggetto è fermo. Per tutti gli altri osservatori la massa dell’oggetto è maggiore,
tanto maggiore quanto è maggiore la velocità dell’oggetto. Questo aumento della massa, e quindi
dell’inerzia, con l’aumentare della velocità spiega
perché sia impossibile accelerare un corpo fino a
superare la velocità della luce: quando la velocità
tende ad avvicinarsi alla velocità della luce la mas-
LA MASSA SI TRASFORMA IN ENERGIA E VICEVERSA
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IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
La teoria della relatività ristretta ha avuto però
dei limiti. Tra le due forze della natura allora conosciute, elettromagnetismo e gravitazione, è riuscita
a conciliarsi con l’elettromagnetismo, ma non con
la forza di gravità, scoperta da Newton. Per risolvere questo problema Einstein cercò di introdurre
anche la forza di gravità nella trattazione della relatività, formulando, nel 1916 una nuova teoria, la
teoria della relatività generale.
La relatività ristretta era basata su sistemi di riferimento inerziali, perché riferiti a corpi in quiete
o dotati di moto uniforme, quindi non sottoposti
ad una forza esterna. Introducendo la forza di gravità, invece, i corpi sono sottoposti ad una forza
esterna che imprime ad essi una accelerazione,
quindi un progressivo aumento di velocità. Cambiano quindi le condizioni di base. Einstein rielaborò quanto era già noto dai tempi di Newton e ne
diede una spiegazione.
La forza che agisce sui corpi è proporzionale
alla massa dei corpi (F = ma); questa massa viene
chiamata inerziale. Anche l’entità della forza gravitazionale che agisce sugli oggetti è proporzionale
alla loro massa (P = mg); in questo caso la massa
viene detta gravitazionale. Nessuno aveva saputo
spiegare perché queste due masse, con funzioni
così diverse, sono uguali. Ma Einstein ebbe una
intuizione: “Se sono in un ascensore e la corda si
rompe, durante la caduta libera non sentirò più il
mio peso”. Ciò significa che quando un ascensore
senza finestre cade liberamente per forza di gravità, quindi con accelerazione costante, non presenta
nessuna differenza per il suo sfortunato occupante
rispetto ad un ascensore che si muovesse per lo
spazio cosmico di moto uniforme, in assenza di
forze gravitazionali: è come se per la persona all’interno dell’ascensore non fosse attivata alcuna
forza esterna, al pari di quanto si avrebbe se si trovasse in un sistema inerziale. In questo senso Einstein stabilì che i fenomeni che si osservano in un
sistema dotato di accelerazione costante non differiscono da quelli dello stesso tipo che si verificano
in un sistema inerziale.
Da una idea così semplice è nata la teoria dell’universo: la relatività generale.
LA GRAVITÀ PUÒ ESSERE SIMULATA DA UN’ACCELERAZIONE;
UN’ACCELERAZIONE PUÒ ESSERE INTERPRETATA COME UNA GRAVITÀ
LA CURVATURA DELLO SPAZIO
La teoria della relatività generale di Einstein
riesce a spiegare anche che cos’è la forza di gravità
e quindi permette di dare una descrizione nuova
dell’universo. Per Newton e per tutti gli scienziati
venuti dopo di lui il meccanismo dell’attrazione
gravitazionale era rimasto un mistero. Si supponeva fosse un’azione a distanza e che i suoi effetti si
sentissero istantaneamente in tutto lo spazio.
Non era una spiegazione accettabile, ma le leggi
funzionavano lo stesso anche senza spiegazioni.
Poi Einstein si rese conto che in un ascensore in caduta libera è come se il peso non esistesse più. Partendo dal principio di equivalenza tra accelerazione e gravità egli dedusse che la materia ha un effetto sullo spazio: lo distorce incurvandolo.
Egli chiamò gravità la curvatura dello spazio
che noi percepiamo. I campi gravitazionali sono,
secondo Einstein, una manifestazione della curvatura dello spazio: le masse non “attirano” altre
masse, piuttosto, distorcono lo spazio intorno a
sé. Nello spazio distorto le traiettorie dei corpi diventano curve ed i corpi subiscono delle accelerazioni che noi interpretiamo come il risultato dell’esistenza di una forza. Per visualizzare l’intuizione
di Einstein si può paragonare lo spazio ad un lenzuolo: se non c’è materia esso è perfettamente piatto, se mettiamo una sfera sul lenzuolo si forma un
avvallamento. Di conseguenza una pallina che si
troverà nelle vicinanze tenderà a cadere sulla sfera.
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Una massa attrae l’altra perché lo spazio si è
incurvato: ecco come funziona la gravità secondo
Einstein. In un campo in assenza di masse la luce
viaggia in linea retta, ma quando passa nelle vicinanze di un corpo dotato di grande massa gravita-
zionale, ad esempio una stella, il suo percorso segue la direzione dello spazio curvo. L’avvallamento sull’ipotetico lenzuolo sarà tanto più profondo
quanto più sarà piccola e densa la massa che lo forma.
LE MASSE CURVANO LO SPAZIO
IL BUCO NERO
Quando la densità della materia che causa la
deformazione supera un certo limite l’avvallamento può raggiungere profondità infinita. L’attrazione gravitazionale è tale che qualsiasi oggetto che si
avvicini viene inghiottito in modo definitivo. Neppure le radiazioni, inclusa la luce, una volta entrate, sono più in grado di scappare. E’ un buco nero.
Per questo un buco nero non si riesce a vedere dall’esterno: appare come un buco invisibile che si è
aperto nello spazio e nel tempo dell’universo.
riducendone la frequenza. Se potessimo osservare
a distanza un oggetto catturato da un buco nero
vedremmo non finire mai la sua caduta: il tempo
sembrerebbe fermarsi, la sua immagine diventare
sempre più rossa e i suoni da esso trasmessi diventare sempre più bassi.
La gravità del buco nero riesce a curvare la
luce e mentre la inghiotte tenta di accelerarla: non
riuscendoci ne aumenta la frequenza. Se potessimo
essere solidali all’oggetto inghiottito dal buco nero
ci troveremmo in una caduta vertiginosa durante
la quale il tempo per noi scorrerebbe normalmente,
vedremmo le stelle sopra di noi ridotte ad un oblò
cambiare colore e sentiremmo acutissime le voci
che arrivano dall’esterno.
Il buco nero rappresenta il caso estremo degli
strani effetti della relatività: tutti questi effetti sono
conseguenza della sua enorme attrazione gravitazionale. Essa cerca di rallentare le onde elettromagnetiche che si allontanano, ma non ci riesce perché la velocità della luce è costante, così le “stira”,
IL BUCO NERO TRATTIENE TUTTO, ANCHE LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
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