Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno III numero 3 - luglio 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Terapia antibiotica nelle infezioni respiratorie Maria Teresa Garozzo, Maria Papale, Valentina Costanzo Salvatore Leonardi e Mario La Rosa Dipartimento di Pediatria UO Broncopneumologia, Allergologia e Fibrosi Cistica, Università degli Studi di Catania Introduzione Gli antibiotici sono i farmaci più comunemente prescritti in età pediatrica (1). Essi vengono frequentemente impiegati nel trattamento delle infezioni respiratorie, molto comuni nei bambini (2). In genere l’approccio terapeutico è su base empirica, in relazione all’anamnesi del paziente, alla localizzazione dell’infezione e all’esistenza di fattori di rischio, oltre che alle caratteristiche del farmaco. Recentemente è emersa la preoccupazione per l’eccessivo impiego di antibiotici nel mondo che induce, oltre ad uno spreco di risorse, alla selezione, alla crescita e alla diffusione di ceppi resistenti. Inoltre si è registrata negli ultimi anni una riduzione nella prescrizione di penicilline, poco costose e a spettro limitato, contro un incremento nella prescrizione di macrolidi e antibiotici a largo spettro, quali le cefalosporine, più costosi e responsabili dello sviluppo di nuove resistenze (1). I “nuovi ceppi” hanno colonizzato le vie aeree, rendendo le infezioni respiratorie più difficili da trattare. È dunque necessario che il clinico conosca le principali linee guida e raccomandazioni sul trattamento delle infezioni respiratorie, in modo da evitare l’utilizzo inappropriato di antibiotici, senza esporre il bambino alle complicanze della malattia (2). Inoltre la conoscenza di alcuni dati relativi al farmaco (caratteristiche farmacocinetiche, farmacodinamiche e tipo d’azione) e all’agente patogeno (profilo di resistenza locale) aiuta il clinico nella scelta e nella gestione del trattamento (3). In questo capitolo tratteremo le principali indicazioni terapeutiche nelle infezioni delle vie aeree superiori ed inferiori, le principali caratteristiche farmacologiche degli antibiotici usati e il profilo di resistenza dei patogeni sospetti. Le infezioni respiratorie Le infezioni respiratorie costituiscono un’importante causa di morbilità in tutte le fasce d’età, specialmente in età pediatrica (4). Dai dati nazionali risulta inoltre che le infezioni delle vie respiratorie siano responsabili dei 2/3 circa delle prescrizioni farmaceutiche (5). Da un punto di vista topografico le infezioni delle vie respiratorie vengono distinte in infezioni delle alte vie aeree e infezioni delle basse vie aeree. Infezioni delle alte vie aeree • Otite media acuta L’otite media acuta (OMA) ha un gravoso impatto epidemiologico: si stima che il 75% dei bambini con età inferiore ai tre anni vada incontro ad almeno un episodio (6) e che in Italia l’incidenza nei primi 5 anni di età sia di oltre 1 milione di casi annui (7). Purtroppo non c’è consenso tra le opinioni scientifiche circa la condotta da adottare in caso di otiti medie acute nel bambino (8) ed il numero di studi condotti è esiguo, se confrontato con l’elevata incidenza della patologia (9). Inoltre non disponiamo di linee giuda nazionali e, tra le regioni italiane, solo l’Emilia Romagna ha sviluppato un “Pacchetto informativo sui farmaci” in merito al trattamento dell’OMA in età pediatrica. Nonostante ciò dai dati di cui disponiamo risulta chiaro che, a meno che il bambino non abbia meno di 6 mesi di età, otorrea o patologie croniche severe, la strategia più conveniente in caso di OMA sia quella del “wait and see”, ossia della vigile attesa. Una revisione sistematica Cochrane, che confrontava l’efficacia del trattamento antibiotico rispetto al placebo, ha infatti dimostrato che l’antibiotico non accelera la scomparsa del dolore (nel 65% dei bambini sia del gruppo placebo che del gruppo controllo l’otalgia scompariva 24 h dopo il suo esordio) e che l’insorgenza di complicanze (perforazione, mastoidite, otite media ricorrente o con effusione) non è aumentata nei soggetti non trattati. Inoltre l’astensione dall’impiego immediato di antibiotici riduce il rischio di vomito, rash cutaneo e diarrea del 6%. Andrebbe quindi procrastinata la decisione di somministrare una terapia antibiotica fino a 48-72 h, al termine delle quali, in caso di peggioramento o persistenza dei sintomi, andrebbe somministrato l’antibiotico (10). Nelle 48-72 h di attesa il pediatra deve prescrivere una terapia analgesica con paracetamolo o ibuprofene, informando adeguatamente i genitori sulla patologia e sulle ragioni di una strategia d’attesa (11). Non vi è alcuna indicazione all’impiego di decongestionanti, antistaminici o mucolitici. È indubbio che una terapia antibiotica precoce accorci il decorso della malattia e prevenga l’insorgenza di complicanze, ma gli agenti eziologici più comuni delle OMA, ossia Haemophilus influenzae, Moraxella Catarralis, Streptococcus pneumoniae, hanno un discreto tasso di eradicazione spontanea (guarigione in assenza di trattamento) (fig. 1). Inoltre, sebbene il 70% delle OMA sia ad eziopatogenesi batterica, nel 30% dei casi l’agente microbico è di natura virale e quindi non responsivo ad antibiotici. Nel caso in cui la sintomatologia persista dopo il periodo di vigile attesa, l’antibiotico scelto empiricamente deve essere attivo su tutti i batteri che causano OMA, ma in particolar modo su Streptococcus pneumoniae, il batterio con il minore tasso di eradicazione spontanea tra i tre (10%) e che più frequentemente causa complicanze gravi (12). Le linee guida statunitense (13), scozzese (8) e spagnola (14) concordano nel raccomandare, come farmaco di prima scelta, l’amoxicillina con acido clavulanico, da somministrare ad intervalli di 8 h (frazionamento in 3 dosi giornaliere). Il cotrimossazolo, il trimethoprim e l’eritromicina sono ugualmente efficaci, ma generalmente non vengono impiegati perché meno sicuri dell’amoxicillina (15). Le linee guida non concordano tuttavia sulla dose di amoxicillina da impiegare, se elevata (90 mg/kg/die) o standard (40-45 mg/kg/die). Un recente studio randomizzato controllato in doppio cieco ha evidenziato che non esistono differenze significative in termini di efficacia e tollerabilità fra i due dosaggi di amoxicillina (8, 13, 14). Relativamente alla durata del trattamento, “l’evidenza” suggerisce che 5-7 giorni siano sufficienti per trattare l’OMA in bambini altrimenti sani . Questi dati sono stati confermati da una recente revisione sistematica Cochrane che ha valutato l’efficacia della terapia antibiotica di breve durata (5-7 giorni) rispetto a quella tradizionale (10-15 giorni) su 3500 pazienti di età inferiore ai 18 anni con diagnosi di OMA: la frequenza dei fallimenti terapeutici dopo 20 giorni e dopo un mese dall’inizio della terapia non differiva fra i due gruppi; emergeva inoltre una minore incidenza di effetti collaterali nel primo gruppo. La terapia antibiotica tradizionale esponeva ad un minore rischio di fallimento terapeutico solo negli 8-19 giorni successivi all’inizio della terapia, ma probabilmente si tratta di tempi troppo brevi per una corretta valutazione delle ricorrenze (16). Per alcuni autori una valida alternativa all’amoxicillina, se non una migliore scelta terapeutica, è il ceftibuten, una cefalosporina di 3° generazione che grazie ad un’elevata biodisponibilità (95% versus 80-90% di amocillina-ac.clavulanico) si distribuisce rapidamente ai liquidi interstiziali, tra cui quelli dell’orecchio medio, e agisce quindi più efficacemente su Haemophilus influenzae, Moraxella Catarralis e Streptococcus pneumoniae, ivi concentrati (17). Il ceftibuten è inoltre provvisto della capacità di inibire l’adesione dei batteri alle cellule epiteliali delle prime vie aeree e di contrastare la produzione di “biofilm” da parte dei suddetti patogeni; queste modalità d’azione, che si sommano all’azione battericida comune a tutti i βlattamici, conferiscono al ceftibuten un’elevata efficacia nel trattamento della OMA. Il dosaggio indicato nella scheda tecnica del farmaco per il trattamento di OMA in bambini di età superiore ai 6 mesi, è di 9 mg/kg/die fino ad un max di 400 mg/die per 5 giorni (18). Modificato da Pacchetti informativi sui farmaci n. 4- Dicembre 2006 Fig. 1 - Percentuale di eradicazione di germi isolati dall’orecchio medio in corso di OMA • Faringotonsillite acuta La faringotonsillite acuta (FTA) è la terza patologia più comune in età pediatrica e causa circa il 10% delle visite ambulatoriali annue (19). Sebbene l’eziologia più frequente di FTA sia quella virale (70% dei casi), il 37% dei casi è causato dallo Streptococcus pyogenes (37%) (20, 21). L’obiettivo del trattamento antibiotico nelle faringiti è di prevenire l’insorgenza delle complicanze suppurative (ascesso retrofaringeo o peritonsillare, STSS etc…) e non (febbre reumatica, glomerulo nefrite poststreptococcica e PANDAS) di un’infezione da piogene. Non è possibile però distinguere le faringiti da piogene basandosi solo sul quadro clinico. Ci si può al massimo avvalere di score clinici, il più usato dei quali in età pediatrica è quello di McIsaac, per individuare i soggetti a rischio d’infezione da piogene da sottoporre a test diagnostici di conferma (test rapido o esame colturale) (22). Così come per l’otite media acuta, anche per la faringotonsillite acuta non esistono linee giuda italiane. In letteratura sono disponibili 12 linee guida nazionali, di cui 6 europee, 5 statunitensi ed una canadese classificabili in due gruppi: uno che considera la conferma microbiologica di infezione da SBEGA un esame di routine atto a individuare tempestivamente i soggetti da trattare, ed un secondo che invece riserva i test microbiologici a casi selezionati (23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34). Recentemente l’Emilia Romagna ha selezionato le migliori linee guida in base ad un metodo standardizzato che ne rilevava la qualità, e le ha analizzate: da tale lavoro è emerso che la terapia antibiotica in età pediatrica va riservata ai bambini con “mal di gola” in cui il sospetto sia supportato da uno score clinico suggestivo (score di McIsaac > 2) e da un test rapido positivo e/o da un esame colturale positivo (35). I vantaggi del test rapido rispetto all’esame colturale sono numerosi: la rapidità di inquadramento diagnostico, la qualificazione dell’ambulatorio del pediatra, la riduzione dei disagi per la famiglia del paziente e il risparmio di risorse economiche. I test rapidi presentano tuttavia una sensibilità inferiore all’esame colturale (95% versus 100%). Lo score di McIsaac viene calcolato valutando i seguenti segni nel bambino in esame: febbre (T > 38 °C), assenza di tosse, tumefazione dei linfonodi cervicali anteriori, ipertrofia o essudazione delle tonsille, età < 15 anni. Per score < 2 non è consigliato alcun test di laboratorio quindi alcun trattamento antibiotico, per score ≥ 2 è sempre consigliabile il ricorso a test diagnostici (test rapido o esame colturale) prima di iniziare il trattamento antibiotico, per score ≥ 4 il ricorso ai test diagnostici è facoltativo ed il trattamento antibiotico può essere effettuato in prima istanza (22) (Fig. 2). Il fatto di procrastinare il trattamento antibiotico, in attesa della conferma microbiologica, è ragionevole in quanto: • per prevenire le complicanze dell’infezione piogena è sufficiente iniziare la terapia antibiotica entro 9 giorni dall’esordio della sintomatologia (36) ; • le faringotonsilliti streptococciche sono destinate a guarire da sole dopo 3-4 giorni dall’esordio (37) ; • la terapia antibiotica ha, sulla sintomatologia acuta, un beneficio relativo, accorciando la durata dei sintomi di sole 16 h (38). Sebbene tutte le linee guida concordino nel raccomandare la penicillina V (45 mg/kg/die in 3 somministrazioni giornaliere) come trattamento di prima scelta nelle faringiti streptococciche, recenti RCT hanno confermato la più elevata efficacia dell’amoxicillina (50 mg/kg/die in 2 somministrazioni giornaliere) sia in termini di guarigione clinica che batteriologica (39, 40). Ad oggi tutte le linee guida concordano nell’affermare che il trattamento della faringite streptococcica debba avere una durata di almeno 10 giorni per eradicare il batterio. Un recente RCT che confrontava il regime terapeutico classico (10 giorni, con penicillina V) con un regime terapeutico breve (6 giorni con amoxicillina) ha però evidenziato una equivalenza in termini di eradicazione, percentuale di ricadute ed effetti collaterali nei due trattamenti. Il trattamento breve ha inoltre una maggiore percentuale di adesione alla terapia (41). La compliance al trattamento antibiotico dipende infatti da diversi fattori: tollerabilità, durata del trattamento, numero di somministrazioni giornaliere, palatabilità e via di somministrazione (42). Nonostante i dati riportati sull’incremento dei fallimenti terapeutici con penicilline, esse rimangono il trattamento di scelta nelle faringiti streptococciche. Probabilmente una buona percentuale di fallimenti terapeutici è ascrivibile alla mancata individuazione del portatore cronico (45). Nei pazienti allergici alle penicilline è raccomandato l’uso di eritromicina (46). Secondo alcuni autori il macrolide da impiegare nel trattamento delle faringiti streptococciche è invece la claritromicina, in quanto si distribuisce più facilmente ai tessuti corporei, quindi anche alle tonsille, grazie ad un migliore profilo farmacocinetico. Da uno studio effettuato dal Gaslini di Genova e dal Dipartimento di malattie infettive di Verona è emerso però che in Italia la resistenza di S.pyogenes ai macrolidi è del 38, 5%. Dato che le alternative terapeutiche nei soggetti allergici alle penicilline sono esigue, l’uso dei macrolidi viene ancora raccomandato, se parsimonioso ed associato alla sorveglianza della eritromicino-resistenza. Può essere utile in tal senso determinare “in vitro” i fenotipi di S. pyogenes eritromicino-resistenti, specialmente nelle zone in cui i macrolidi vengono più frequentemente prescritti (47). Le cefalosporine andrebbero riservate ai casi in cui il macrolide non venga tollerato; l’eritromicina infatti può indurre in età pediatrica effetti collaterali gastrointestinali (46). L’impiego delle cefalosporine in caso di allergia alle penicilline può essere però contestabile in quanto è possibile che si verifichi una reazione crociata alle cefalosporine. Secondo alcuni autori le cefalosporine di terza generazione hanno un’efficacia maggiore rispetto ad amoxicillina ed acido clavulanico nel trattamento della faringite da SBEGA (48, 49). Inoltre, secondo tali autori, la compliance al trattamento con cefalosporine di 3° generazione è maggiore che con amoxicillina ed ac. clavulanico, in quanto le cefalosporine di 3° generazione hanno una migliore palatabilità e tollerabilità e devono essere somministrate per un periodo di tempo più breve (5-6 giorni versus 10 giorni di amoxicillina e acido clavulanico) (50, 51). Tuttavia nessuna linea guida raccomanda le cefalosporine come terapia di prima scelta della faringite da SBEGA, dato il più alto costo rispetto ad amoxicillina e penicillina ed il rischio di diffondere ceppi resistenti. Il loro uso andrebbe quindi limitato, oltre che ai casi di allergia alle penicilline (in cui rappresentano una valida alternativa ai macrolidi), anche ai casi di faringiti ricorrenti: l’efficacia delle cefalosporine in termini di eradicazione è infatti elevata. Per Hayes et al. tra le cefalosporine sono indicate solo quelle di prima generazione (cefalexina o cfadroxil in due somministrazioni giornaliere) : tali agenti antimicrobici hanno infatti uno spettro più ristretto e sono meno costosi rispetto alle cefalosporine di seconda e terza generazione (46). Fig 2 - Condotta terapeutica in base allo score clinico di McIsaac • Sinusite acuta Con sinusite si intende la flogosi purulenta di uno o più seni paranasali da sovra infezione batterica, che si instaura nel corso di un’infezione virale nasale e non si risolve con la risoluzione del processo rinitico iniziale. Si stima che la prevalenza di sinusiti nella popolazione pediatrica sia del 5-10%; probabilmente le percentuali sono anche più alte se si considera che molte sinusiti passano inosservate perché la rinite viene trattata tempestivamente con terapia antibiotica, prima che l’infezione sinusale si manifesti (52). Il principio fondamentale nel trattamento delle sinusiti acute in età pediatrica è la selezione dei pazienti che realmente necessitano di un trattamento antibiotico. Gli antibiotici vengono infatti frequentemente impiegati, senza alcuna efficacia, nelle sinusiti ad eziopatogenesi virale, che costituiscono la gran parte delle sinusiti: l’eziologia è batterica solo nello 0, 5-2% dei casi (53). Il pediatra deve sospettare che il comune “raffreddore” abbia provocato una rinosinusite tramite criteri clinici ed anamnestici: rinorrea purulenta e tosse con esacerbazione notturna da almeno 10 giorni; raffreddore che si associa a febbre, rinorrea purulenta, edema o dolore periorbitario; raffreddore in risoluzione che improvvisamente peggiora (con o senza febbre). Generalmente non vengono impiegate né le metodiche di imaging né la puntura dei seni paranasali per la diagnosi di sinusiti ad eziopatogenesi batterica, a meno che i pazienti non siano ad alto rischio di complicanze. Numerose linee guida suggeriscono che l’associazione di segni clinici sia il migliore indicatore di infezione batterica; tra queste citiamo l’European Position Paper On Rhinosinusitis and Nasal Polips 2007 (EPOS) che stabilisce come criteri diagnostici nei bambini: l’improvvisa insorgenza di due o più sintomi caratteristici, di cui uno sia la rinorrea purulenta/ostruzione nasale o l’anterior/posterior nasal drip, gli altri o il dolore frontale o la riduzione/perdita dell’olfatto (54). Conseguentemente a quanto detto, il trattamento delle sinusiti batteriche acute nella pratica clinica è empirico ed include i batteri che più frequentemente sono coinvolti: Streptococcus Pneumonniae, Hemophilus influenzae, Moraxella Catarralis. Il trattamento antibiotico delle sinusiti si avvale quindi degli stessi antibiotici impiegati nel trattamento delle otiti medie acute, data la comune eziopatogenesi delle due patologie infettive. Le più recenti raccomandazioni di American Academy of Otolaryngology Head and Neck Surgery Foundation sono di distinguere i pazienti in base alla gravità del quadro clinico: nei soggetti con forme lievi (dolore moderato e T < 38, 3 °C) va applicata la strategia del “watchful waiting”, nei soggetti con forme gravi (dolore da moderato a severo e T > 38, 3 °C) va iniziato in prima istanza il trattamento antibiotico. La strategia del “watchful waiting” consiste nel procrastinare il trattamento antibiotico di 4-5 giorni; il 60% delle sinusiti si risolvono infatti spontaneamente e solo 1 su 8 bambini trattati con antibiotico trae realmente beneficio da esso. Nel periodo d’attesa è consigliato l’impiego di farmaci sintomatici quali analgesici, decongestionanti o soluzione salina in spray nasale, che potrebbero favorire il drenaggio dei seni congesti. Nel caso in cui la sintomatologia perduri oltre il periodo di attesa andrà iniziato il trattamento antibiotico. Nelle forme gravi il trattamento antibiotico viene effettuato in prima istanza per evitare l’insorgenza di complicanze e sequele della sinusite, quali meningiti, ascesso cerebrale, cellulite e ascessi orbitari, che incorrono più frequentemente in tali forme (55). Gli antibiotici maggiormente prescritti variano nelle diverse aree geografiche, ma le linee guida concordano nel raccomandare, come farmaco di prima scelta, l’amoxicillina a dosaggio standard (40 mg/Kg/die) nei soggetti a basso rischio, e a dosaggio elevato (90/mg/kg/die) nei soggetti ad alto rischio. Si definiscono soggetti ad alto rischio i bambini che frequentano abitualmente comunità chiuse e che siano stati trattati, negli ultimi 3 mesi, con antibiotici. La durata del trattamento con amoxicillina, ad entrambi i dosaggi, è di 10 giorni e la dose viene frazionata in 2 sommistrazioni giornaliere. La scelta dell’amoxicillina è giustificata dalla sua elevata efficacia sullo Streptococcus pneumoniae, dall’azione battericida su Moraxella catarralis ed Hemophilus influenzae, gli altri agenti patogeni delle sinusiti, da una buona palatabilità e da un basso costo. In età pediatrica la riuscita del trattamento è infatti condizionata tanto dall’efficacia dell’antibiotico quanto dalla compliance del paziente. Nel caso di fallimento terapeutico con amoxicillina si ricorre all’uso dell’ amoxicillina clavulanata o di cefalosporine. Il fallimento terapeutico può essere dovuto a vari fattori: un’eziologia virale, una diagnosi inesatta, una scarsa compliance al trattamento, un dosaggio o frazionamento della dose inadeguato, la persistenza dell’infezione. Quest’ultima condizione si verifica nel caso di ceppi di H.influenzae produttori di β lattamasi sui quali l’amoxicillina è inattiva. Nei casi di fallimento terapeutico in soggetti trattati con dosi standard di amoxicillina, viene consigliata l’associazione di amoxicillina e amoxicillina clavulanata, che dà protezione sugli hemophilus produttori di β lattamasi e limita gli effetti collaterali gastrointestinali legati all’acido clavulanico. L’amoxicillina clavulanata ha tuttavia una scarsa palatabilità, se comparata con gli altri antibiotici attivi sulle sinusiti. Nei soggetti precedentemente trattati con alte dosi di amoxicillina si preferisce impiegare le cefalosporine (cefdinir, cefpodoxime e cefuroxime). Tra queste, cefpodoxime, cefalosporina di 3° generazione, ha una tollerabilità e un’efficacia equivalenti all’amoxicillina, ma una scarsa palatabilità; il suo impiego è però vantaggioso per quel che concerne il numero di somministrazioni giornaliere (1 o 2 volte al dì). Il cefdinir ha, come il cefpodoxime, una buona efficacia e una buona tollerabilità e viene somministrato due volte al dì, ma viene preferito in quanto provvisto di una buona palatabilità. Infine il cefuroxime, cefalosporina di seconda generazione, è attiva sia sui ceppi di S. peneumoniae penicillino sensibili che sugli organismi produttori di βlattamasi; ha una buona efficacia, buona tollerabilità, ma brutta palatabilità. Si tratta dell’unica cefalosporina che può essere impiegata in trattamenti di breve durata (5 giorni). Le attuali linee guida pediatriche limitano l’uso di azitromicina ai casi di allergia alle penicilline. Sebbene si tratti di farmaci largamente prescritti in virtù di una breve durata del trattamento (da 3 a 5 giorni), del numero di somministrazioni giornaliere (monosomministrazione) e di una palatabilità superiore all’amoxicillina clavulanata, non rappresentano il trattamento ottimale per le sinusiti acute, in quanto sono inattivi sia su H.influenzae che su PNSP. Antibiotico di seconda scelta nei soggetti con sinusite acuta allergici alle penicilline è il cefuroxime, purché l’allergia non sia severa (è possibile infatti che si verifichino fenomeni di allergia crociata) (56). Infine l’uso dei fluorochinoloni non è ammesso dall’American Academy of Pediatrics per il trattamento delle sinusiti; il loro uso potrebbe però essere considerato in caso di fallimento terapeutico con i farmaci suddetti, in quanto ha una buona eradicabilità (57). Infezioni delle basse vie aeree • Polmoniti Le polmoniti acquisite in comunità (PAC) rappresentano ancora oggi una delle principali cause di morte in età pediatrica, sebbene l’uso degli antibiotici ne abbia notevolmente ridotto l’incidenza. L’UNICEF e la WHO stimano che, se tutti i bambini con polmonite venissero trattati farmacologicamente, verrebbero evitati 600.000 decessi ogni anno nel mondo (58). Recenti linee-guida (59) suggeriscono che tutti i pazienti affetti da PAC dovrebbero essere sottoposti a trattamento antibiotico, anche in caso di sospetta infezione virale, poiché spesso nelle polmoniti virali è impossibile escludere la presenza di coinfezione batterica. Generalmente quando viene iniziato il trattamento antibiotico l’agente eziologico della PAC non è noto e la terapia è quindi obbligatoriamente empirica. Tuttavia fattori relativi al paziente (età, sintomatologia d’esordio e gravità) consentono al clinico di intraprendere un trattamento antibiotico mirato (3). Tra i fattori comunemente valutati nella scelta dell’antibiotico, l’età rimane il più importante. In base ad un recente studio di Mcintosh (60), la popolazione pediatrica può essere divisa in due fasce d’età: 0-5 anni e 6-15 anni. Le polmoniti in bambini appartenenti alla prima fascia d’età vanno trattate con amoxicillina e acido clavulanico perché particolarmente attivi sullo Streptococcus pneumoniae, l’agente eziologico più comune in questi pazienti; è inoltre ben tollerata e poco costosa. Se nelle prime 24-48 ore di terapia il quadro clinico non migliora, il βlattamico va sostituito con un macrolide (azitromicina o eritromicina), nel sospetto di un’infezione da Mycoplasma pneumoniae o Chlamydia pneumoniae. Una valida alternativa all’amoxicillina clavulanata nei bambini dagli 0 ai 5 anni sono le cefalosporine di 3° generazione (ceftriaxone, cefixima, cefpodoxima), equiparabili per efficacia all’amoxicillina. In alcune aree geografiche, quali l’India, l’antibiotico di prima linea nel trattamento delle PAC nei bambini di età compresa tra 0-5 anni è il cotrimossazolo (5-7 mg/kg di trimethoprim + 25-35 mg/kg/die di sulfametossazolo). I dati in letteratura sulla possibilità di utilizzo del cotrimossazolo in sostituzione dell’amoxicillina sono discordanti: alcuni autori ritengono che l’efficacia dell’amoxicillina sia superiore a quella del cotrimossazolo, un recente studio multicentrico invece considera i due farmaci equivalenti (61). Nei bambini con età superiore ai 5 anni l’antibiotico di scelta è invece il macrolide, attivo su Mycoplasma pneumoniae e Chlamydia pneumoniae, gli agenti eziologici più comuni in questo range d’età, e su Streptococcus pneumoniae, l’agente eziologico più comune in tutte le fasce d’età (60). Non vi sono differenze significative tra l’efficacia dell’azitromicina e quella dell’eritromicina (62). Secondo Berti et al. i macrolidi non andrebbero impiegati nei casi di PAC in bambini di età superiore ai 5 anni, soprattutto se all’esordio presentano febbre e/o sintomi respiratori importanti associati ad infiltrati polmonari all’Rx-torace. In questi casi la migliore scelta terapeutica è l’amoxicillina clavulanata a dosaggio elevato (100 mg/Kg/die) ; la maggior parte delle polmoniti con queste caratteristiche sono dovute allo Pneumococco, contro il quale i macrolidi hanno un’efficacia pari al 50%. Inoltre, le polmoniti da Mycoplasma nella grande maggioranza dei casi non esitano in complicanze gravi se non trattate adeguatamente. L’amoxicillina clavulanata va somministrata quindi per 24-48 h; in base alla defervescenza e al miglioramento delle condizioni cliniche l’antibiotico può in seguito essere mantenuto o sostituito con un macrolide (63, 64). Le PAC in bambini di età inferiore ai 3 mesi richiedono un trattamento differente rispetto a quello della fascia 0-5 anni: nei primi 20 giorni di vita infatti va impiegata l’associazione farmacologica di ampicillina ed aminoglicoside, attiva su Streptococcus B ed Enterobatteri penicillino-resistenti che sono gli agenti eziologici più comuni in questa fascia di età, mentre nei bambini di età compresa tra i 20 gg e i 3 mesi va usato il macrolide o la cefalosporina di 3° generazione (cefotaxime), entrambi attivi sulle infezioni da Chlamydia Trachomatis e Staphilococcus aureus tipiche di questi pazienti (60). La modalità d’esordio della PAC generalmente permette al pediatra di ipotizzare l’eziologia della polmonite e quindi iniziare un trattamento antibiotico mirato. In caso di esordio improvviso della sintomatologia con febbre e brivido, tosse produttiva, tachipnea e compromissione dello stato generale, il clinico deve sospettare una polmonite pneumococcica e prescrivere una terapia con amoxicillina (65). Il sintomo che permette di differenziare la polmonite pneumococcica da altre patologie respiratorie che esordiscono con tosse e dispnea, quali croup, bronchiolite e asma, è la tachipnea. Molti bambini con tosse e febbre non associata a tachipnea non necessitano quindi di trattamento antibiotico (61). Quando la polmonite esordisce invece in modo lento e progressivo, con conservazione dello stato generale, va sospettata una diversa eziologia. Generalmente i casi di febbre senza brivido associata a faringodinia, tosse non produttiva e dolore toracico sono causati da M. pneumoniae, mentre quelli di apiressia associata a tosse simil-pertussica e congiuntivite, da C. pneumoniae. In entrambi i casi il trattamento raccomandato è quello con macrolide. Quando la presentazione clinica della PAC è chiaramente riconducibile ad un agente eziologico la scelta dell’antibiotico è quindi facilitata (65). In base al quadro clinico e all’anamnesi per altre patologie respiratorie le PAC vengono distinte in lievi e gravi. Le prime vanno trattate a domicilio con amoxicillina clavulanata o macrolide, a seconda dell’età del bambino, da continuare per 7-10 giorni; la durata del trattamento è di 5 giorni nei casi in cui l’antibiotico utilizzato sia l’azitromicina. Secondo alcuni autori questa condotta terapeutica rischia però di essere inefficace e le forme lievi di PAC andrebbero trattate con l’associazione di β lattamico e macrolide in quanto: • i due antibiotici hanno sinergismo d’azione contro lo S. pneumoniae; • viene fornita una copertura anche contro le infezioni provocate da M. pneumaniae e C. pneumoniae; • i macrolidi riducono, tramite l’inibizione della sintesi di mediatori, lo stato infiammatorio polmonare (66). Secondo quanto riportato nelle Evidence-based care giudeline for community acquired pneumonia in children invece è sempre raccomandata la monoterapia, in attesa di giudicare la risposta all’antibiotico di 1° linea (67). Le polmoniti gravi richiedono l’ospedalizzazione del bambino ed il trattamento con l’associazione di cefalosporina di 2° o 3° generazione somministrata per via parenterale (i.m. o e.v.) e macrolide. I criteri per l’ospedalizzazione universalmente riconosciuti sono: T corporea > 38, 5 °C, tachipnea (con FC > 50 atti/min, e > 70 atti/min nei neonati), dispnea grave, “grunting”, alitamento delle pinne nasali, disidratazione e, nel neonato, inappetenza. Le linee guida consigliano l’associazione dei due antibiotici perché fornisce una migliore copertura contro i ceppi resistenti e le infezioni miste. La terapia parenterale (cefalosporina i.m. o e.v.) può essere sostituita dall’enterale (amoxicillina clavulanata per os) dopo 24-48 h se lo stato emodinamico è stabile, le condizioni cliniche sono migliorate e il bambino può ingerire il farmaco. La sospensione del trattamento antibiotico può essere effettuata dopo 10-15 giorni, dopo aver confermato radiologicamente la risoluzione dell’addensamento polmonare (65). Non vi sono differenze significative tra l’efficacia della penicillina per via parenterale e l’amoxicillina per os (63). L’esecuzione dell’esame microbiologico dell’escreato permette di identificare l’agente eziologico della PAC, iniziando una terapia mirata (vedi tab.1) da associare alla cefalosporina di 3° generazione. La modalità d’uso degli antibiotici usati nelle PAC può essere meglio compresa osservando la Tab. 2. Tab.1 - Trattamento antibiotico specifico per ciascun agente eziologico delle PAC I criteri farmacologici che sottendono all’effetto degli antimicrobici sono stati meglio compresi negli ultimi 10 anni. L’efficacia clinica di un antibiotico risulta correlata al meccanismo d’azione e chemiosensibilità (farmacodinamica), alla quota d’esposizione del paziente al farmaco (farmacocinetica) e al rapporto farmacocinetica/farmacodinamica. Farmacodinamica • Meccanismo d’azione Le due classi di antibiotici comunemente impiegate nel trattamento delle infezioni respiratorie sono i βlattamici e i macrolidi. I βlattamici, di cui fanno parte le penicilline e le cefalosporine, hanno un meccanismo d’azione battericida simile, caratterizzato dall’inibizione della sintesi del peptidoglicano della parete batterica. Tutti i β lattamici sono costituiti infatti da un anello tetratomico azetidonico (l’acido 6-aminopenicillanico nelle penicilline e 7-aminocefalosporanico nelle cefalosporine) che rappresenta un analogo strutturale del dimero destro-alaninico, substrato delle transpeptidasi batteriche (PLP: Proteine di Legame delle Penicilline). Il legame del β lattamico all’enzima transpeptidasico comporta una denaturazione dell’enzima e un arresto della sintesi del peptidoglicano e conseguentemente della crescita batterica (Fig. 3). Questo meccanismo rappresenta l’effetto batteriostatico dell’antibiotico. L’effetto battericida è secondario alla de-repressione genomica delle idrolasi mureiniche che demoliscono la mureina della parete cellulare della cellula procariota e ne determinano la lisi. I βlattamici βlattamasi sensibili, quali l’amoxicillina, vengono generalmente somministrati in associazione con gli inibitori delle βlattamasi, quali l’acido clavulanico che, pur essendo provvisti dell’anello βlattamico, mancano di attività antibatterica intrinseca. Gli inibitori delle βlattamasi si legano alle βlattamasi, enzimi responsabili dell’idrolisi del βlattamico, e le inattivano con meccanismo “suicida”. Grazie a questo meccanismo l’acido clavulanico preserva l’attività dell’amoxicillina contro Streptococcus pneumonae, le specie di Staphilococcus aureus meticillino-sensibili, Hemophilus influenza e Moraxella catarralis (68). Tra i β lattamici le cefalosporine di 3° generazione (es. ceftriaxone, cefixima, cefpodoxima), comunemente impiegate nelle infezioni respiratorie, sono dotate di uno spettro antibatterico più ampio rispetto alle penicilline, comprendente gli enterobatteri (es. Klebsiella, Serratia, Enterobacter) ed i clostridi, dovuta ad una maggiore stabilità nei confronti delle βlattamasi plasmidiche e ad una buona attività intrinseca. Questa classe di cefalosporine comprende inoltre alcuni antibiotici, quali il ceftazidime ed il cefoperazone, attivi anche sullo Pseudomonas Aeruginosa (69, 70). I macrolidi (eritromicina, azitromicina ed altri) sono antibiotici ad attività batteriostatica che talvolta possono espletare un’azione battericida; quest’ultima condizione si verifica in caso di infezione da germi molto sensibili ai macrolidi quali streptococchi e pneumococchi. Il loro meccanismo d’azione consiste nell’inibizione della sintesi proteica batterica tramite la fissazione alla sub unità ribosomiale 50s contenente la peptidiltrasferasi, enzima che catalizza la formazione del legame tra gli aminoacidi e la catena polipeptidica in formazione (Fig. 4). I macrolidi agiscono quindi solo sulle cellule in attiva moltiplicazione. Il loro spettro d’azione è medio e comprende, oltre a patogeni intracellulari quali Mycoplasma pneumoniae e Chlamydia pneumoniae, anche cocchi Gram + (stafilococchi, streptococchi, pneumococchi), bacilli Gram + (Nocardia, Listeria) e alcuni batteri Gram – (Bordetella pertussis e Bordetella catarralis) (69). Tra gli “antibiotici nuovi” sono compresi i fluorochinoloni, i Ketolidi e gli Oxazilidinonici. Mentre i βlattamici ed i macrodi vengono impiegati in tutte le infezioni respiratorie, i chinoloni vengono impiegati solo nelle PAC resistenti ad altri antibiotici. Tra i chinoloni si distinguono i derivati dell’acido nalidixico, o chinoloni di prima generazione, e i fluorochinoloni, che comprendono i chinoloni di seconda e terza generazione. I chinoloni di prima generazione (acido oxolinico, pipemico ed altri) hanno uno spettro antibatterico ristretto, orientato prevalentemente verso gli enterobatteri, ed una farmacocinetica che, per la rapida eliminazione e i tassi tissutali specifici, ne consente l’impiego solo come antisettici urinari. I fluorochinoloni di seconda generazione si caratterizzano per l’aggiunta di un atomo di fluoro al carbonio 6 che conferisce alla molecola un’attività molto rinforzata ed estesa sui Gram - ed una ridotta eliminazione urinaria (antibiotici sitemici). I fluorochinoloni di terza generazione sono stati ottenuti per aggiunta di un sostituente eterociclico in posizione 7 che ne amplia lo spettro d’azione ai Gram +. I fluorochinoloni di terza generazione (levofluoxacina, moxifluoxacina) rappresentano quindi una valida alternativa nella terapia delle PAC provocate da ceppi resistenti in quanto attivi nei confronti di agenti tipici, quali lo pneumococco, e atipici quali le clamidie ed i micoplasmi, oltre che su anaerobi e micobatteri. Si tratta di antibiotici battericidi che si legano irreversibilmente alla sub unità A della DNA-girasi (topo isomerasi II), enzima responsabile del superavvolgimento del DNA batterico, ostacolando la replicazione e la sopravvivenza del batterio. I fluorochinoloni di terza generazione si differenziano dai chinoloni di prima e seconda generazione in quanto esercitano un’azione inibitoria anche sulla topoisomerasi IV, enzima omologo della DNA-girasi con elevato potere decatenante (Fig. 5). Tale azione allargherebbe lo spettro d’azione dei chinoloni ai batteri Gram +. Intorno agli anni ’90 è stato sintetizzato il linezolid, un derivato morfolinico appartenente alla classe degli oxazolidinoni, indicato nelle infezioni sistemiche provocate da ceppi resistenti ad altri antibiotici. Il farmaco esercita un’azione batteriostatica legandosi alla sub unità ribosomiale 50s ed è disponibile sia in preparazione per uso orale che per uso sistemico (Fig. 6). Infine la telitromicina appartiene ad una nuova classe di antibiotici, i Ketolidi, derivati chimicamente dai macrolidi quindi provvisti dello stesso meccanismo d’azione (Fig. 4), ma maggiormente efficaci rispetto ad essi nei confronti dei cocchi Gram +. La nuova struttura chimica conferisce alla molecola una maggiore affinità di legame ai ribosomi dei ceppi di pneumococchi MLSb (resistenti a Macrolidi, Lincosamidi, Streptogramina B) (70). Sia il linezolid che la telitromicina vengono riservati al trattamento delle PAC complicate. Tab 2 - Modalità d’uso dei principali antibiotici nella terapia delle PAC Il farmaco • Minima concentrazione inibente (MIC) e minima concentrazione battericida (MBC) L’efficacia di un antibiotico può essere valutata tramite due parametri farmacodinamici: la Minima Concentrazione Inibente (MIC) e la Minima Concentrazione Battericida (MBC). La chemiosensibilità dei microrganismi all’antibiotico viene stimata in vitro mediante la determinazione della MIC che rappresenta la più bassa concentrazione di antibiotico capace di inibire completamente la crescita batterica dopo 18-24 ore d’incubazione a 37°C. La distinzione degli antibiotici in battericidi e batteriostatici sfrutta invece la determinazione della MBC che rappresenta la più bassa concentrazione di antibiotico capace di ridurre del 99, 9% la popolazione batterica iniziale dopo 24 ore d’incubazione a 37°C. Si parla di antibiotico battericida quando la popolazione batterica si riduce di 1.000 volte rispetto a quella dell’inoculo iniziale. Per gli antibiotici battericidi, quali i βlattamici e i fluorochinoloni, le MIC e le MBC sono sovrapponibili. Le MIC forniscono quindi una buona approssimazione dell’attività battericida della molecola. In una stessa specie batterica non tutti i ceppi hanno però la stessa sensibilità, per cui la valutazione della sensibilità di una specie batterica nei confronti di un antibiotico deve basarsi su MIC50 e MIC90 che rappresentano rispettivamente la sensibilità del 50% e del 90% della popolazione della specie batterica in esame nei confronti di quell’antibiotico. Le MIC90 sono considerate il parametro di riferimento più attendibile tra le due (71, 72). Farmacocinetica L’efficacia clinica di un antibiotico risulta correlata, oltre che al livello di chemiosensibilità del microrganismo, anche alla quota di esposizione del paziente al farmaco, determinata dalla sua concentrazione plasmatica massima (Cmax), area sotto la curva nelle 24 ore (AUC24), concentrazione plasmatica minima (Cmin), biodisponibilità ed emivita plasmatica di eliminazione, definiti parametri farmacocinetici (71). • Cmax, AUC24 e Cmin La Cmax rappresenta il picco di concentrazione raggiunto a termine dell’assorbimento del farmaco, che è in funzione della dose, della via di somministrazione e della forma galenica. La penicillina G sodica o potassica raggiunge i più elevati picchi sierici solo con perfusioni intermittenti e discontinue, le cefalosporine di 3° generazione raggiungono invece sempre elevati picchi plasmatici perché fortemente legate alle proteine plasmatiche. Per i macrolidi i picchi sierici aumentano con assunzioni ripetute, raggiungendo nella fase di equilibrio livelli anche doppi rispetto a quelli ottenuti con la prima assunzione. Dal confronto dei valori di Tmax (tempo necessario per raggiungere la Cmax) nelle cefalosporine di 3° generazione somministrate per via intramuscolare e in alcuni antibiotici orali risulta una sostanziale somiglianza; perciò la somministrazione orale è preferibile. L’AUC24 indica l’entità di esposizione sistemica al farmaco, indirettamente proporzionale alla clearance e la Cmin è la concentrazione minima raggiunta alla fine dell’intervallo di dosaggio, prima della dose successiva del farmaco (69). • Biodisponibilità La biodisponibilità indica la quota percentuale di farmaco che viene assorbito e raggiunge il circolo sistemico in forma immodificata dopo somministrazione per una via diversa rispetto a quella endovenosa. La biodisponibilità orale dei βlattamici è pressoché nulla in quanto si tratta di antibiotici fortemente idrosolubili, che non possono cioè diffondere passivamente attraverso le membrane del tubo gastroenterico, e labili nell’ambiente acido gastrico. La penicillina G viene infatti impiegata solo per via parenterale. Tra i βlattamici fa però eccezione l’amoxicillina e ac. Clavulanico in quanto, seppur fortemente idrofila, resiste all’ambiente acido gastrico e viene assorbita dal tubo gastroenterico tramite specifici trasportatori. Diversi autori hanno affermato infatti che le cinetiche di amoxicillina e acido clavulanico somministrati per via orale e parenterale sono quasi sovrapponibili. I fluorochinoloni ed il linezolid sono moderatamente lipofili ma presentano una biodisponibilità orale > 80-90%, mentre i macrolodi sono fortemente lipofili, quindi facilmente assorbibili (73). • Emivita plasmatica d’eliminazione L’emivita plasmatica di eliminazione di un farmaco equivale al tempo necessario affinchè la sua concentrazione plasmatica raggiunga il t/2 ed è pari a 4/5 del t/2 stesso. Tale parametro è indirettamente correlato alla clearance del farmaco, quindi alla sua modalità di eliminazione: gli antibiotici idrofili (βlattamici) vengono eliminati per via renale tramite filtrazione glomerulare e secrezione attiva, mentre i lipofili (fluorochinoloni e macrolidi) prevalentemente per via epatica tramite ossidoriduzione o coniugazione. Le penicilline hanno breve emivita plasmatica d’eliminazione (< 1, 5 h), le cefalosporine di terza generazione un’emivita media o lunga a seconda delle caratteristiche molecolari (il ceftriaxone ha un’emivita molto lunga >7h), i macrolidi un’emivita variabile (2-3 h per l’eritromicina e 15-20 h per l’azitromicina) (72, 73, 74). Efficacia terapeutica: Farmacocinetica/Farmacodinamica (PK/PD) L’efficacia terapeutica di un antibatterico è correlata al rapporto tra parametri farmacocinetici e parametri farmacodinamici (PK/PD). Prima di tutto gli antibiotici vanno distinti, sulla base della modalità d’azione antibatterica, in due classi: tempodipendenti e concentrazione-dipendenti. Gli antibiotici del primo gruppo, tra cui i βlattamici ed i macrolidi, hanno in vivo un’azione correlata a t>MIC, cioè al tempo durante il quale le concentrazioni si mantengono al di sopra della MIC del patogeno. Affinché venga garantita l’efficacia terapeutica del farmaco, la concentrazione plasmatica farmacologicamente attiva deve essere mantenuta per la maggior parte dell’intervallo di dosaggio (50-70%) ; l’aumento della dose ha poco effetto quindi sull’azione battericida, a condizione che la concentrazione sia già al di sopra della soglia d’efficacia. Tale condizione viene raggiunta tramite un plurifrazionamento della dose giornaliera che tenga conto anche dell’emivita plasmatica di eliminazione del farmaco. Un altro parametro che bisogna necessariamente considerare nella scelta dell’antibiotico più efficace è l’effetto post-antibiotico (PAE). Gran parte degli antibiotici tempo-dipendenti sono privi di effetto post-antibiotico (PAE), cioè l’inibizione della crescita batterica dopo la scomparsa dell’antibiotico è nulla. La somministrazione di tali antibiotici richiede più che mai un oculato frazionamento della dose. Alcuni antibiotici ad azione tempo-dipendente, quali l’azitromicina, si distinguono dagli altri per un prolungato PAE nei confronti di molte specie batteriche; per questi farmaci l’efficacia terapeutica si correla, più che al t>MIC ad AUC>MIC, al rapporto tra l’esposizione plasmatica giornaliera all’antibiotico e la MIC. Secondo alcuni autori per l’azitromicina, frequentemente impiegata nel trattamento delle polmoniti atipiche, l’AUC/MIC da mantenere deve essere di 20-30 h. Per tale ragione l’azitromicina viene utilizzata in monosomministrazione giornaliera piuttosto che in plurisomministrazioni, diversamente gli altri antibiotici tempo-dipendenti (72, 76). Per gli antibiotici concentrazione-dipendenti, tra cui i fluorochinoloni e gli aminoglicosidi, invece, l’indicatore di efficacia è la Cmax>MIC, ovvero il rapporto tra la concentrazione plasmatica massima e la MIC. All’aumentare della concentrazione plasmatica di tali antibiotici aumenta progressivamente anche l’efficacia terapeutica; la Cmax/MIC deve essere ≥10 per ottenere l’eradicazione dell’infezione e la risoluzione del quadro clinico in almeno l’80% dei casi. I farmaci appartenenti a questa classe possiedono inoltre un prolungato effetto post-antibiotico; per questa ragione, e per l’intrinseca azione concentrazione-dipendente, vengono somministrati una volta al dì. Si stima che i fluorochinoloni, impiegati come antibiotici di seconda scelta nelle PAC, debbano avere un rapporto AUC/MIC > 25-35 h nelle infezioni provocate da Gram + e > 125 h in quelle provocate dai Gram – per garantire una sicura efficacia clinica. I parametri sopraelencati hanno non solo un’elevata valenza clinica, ma anche una valenza epidemiologica, in quanto consentono di prevenire la selezione di ceppi resistenti in corso di terapia antibiotica (72, 77, 78). Agenti patogeni: resistenza locale L’uso inappropriato di antibiotici nel trattamento delle patologie delle alte vie aeree, nelle quali non è richiesto, determina lo sviluppo di ceppi batterici resistenti, oltre ad esporre inutilmente il bambino alle reazioni avverse del trattamento farmacologico e ad indurre uno spreco di risorse economiche (5). Gli agenti eziologici più comuni nelle infezioni respiratorie batteriche sono: Streptococcus pneumoniae (PAC, OMA, FTA), Hemophilus influenzae (PAC, OMA, FTA), Chlamydia pneumoniae (PAC), Mycoplasma pneumoniae (PAC), Streptococcus piogenes (FTA) e Moraxella catarralis (OMA, FTA). Batteri tipici (oma, fta, sinusiti acute, pac) • Streptococcus pneumoniae Sono stati condotti numerosi studi sulla distribuzione della resistenza dello Streptococcus pneumoniae, l’agente eziologico più comune delle PAC, agli antibiotici di più largo uso (βlattamici e macrolidi). Gli pneumococchi sono germi altamente sensibili alle penicilline, sia naturali (es. penicillina G) che semisintetiche (es. aminopenicilline quali l’amoxicillina), con una MIC rispettivamente di 0, 01 µg/ml e 0, 03 µg/ml (69). La chemio-sensibilità degli pneumococchi ai βlattamici ha subìto però nel corso degli anni un notevole cambiamento dovuto allo sviluppo di nuove resistenze locali. La penicillina venne prodotta nel 1940 e fu il primo antibiotico impiegato nelle patologie infettive, ma già nel 1970 comparvero ceppi di S. pneumoniae penicillino-resistenti: modificazioni strutturali delle PBP (penicillin binding proteins) del batterio impedivano l’inibizione da parte dell’antibiotico della sintesi del peptidoglicano batterico (79). Per il trattamento delle infezioni pneumococciche vennero quindi impiegati i macrolidi; l’uso frequente di questi farmaci comportò però la comparsa di specie di S. pneumoniae resistenti anche ai macrolidi. I più comuni meccanismi di resistenza ai macrolidi sono la metilazione ribosomiale mediata dal gene erm (B) e la sintesi di pompe di efflusso mediata dal gene mef (A). Nel PROTEKT study si stima che la penicilllino-resistenza sia oggi del 31%, l’eritromicino-resistenza del 36% e la cefaclor e cefuroxime-resistenza rispettivamente del 43% e 44%. I ceppi di S. pneumoniae penicillino resistenti possono essere distinti in ceppi a resistenza intermedia e ceppi a resistenza elevata in base alla MIC. Il CLSI (Clinical and Laboratory Standards Institute) ha definito i MIC breakpoint, cioè le concentrazioni –soglia (µg/ml) per esprimere la sensibilità e la resistenza dei microrganismi alla penicillina: valori compresi tra 0, 12 e 1 µg/ml indicano una resistenza intermedia, valori > 2 µg/ml una resistenza elevata. La distribuzione della MIC varia notevolmente nelle diverse aree geografiche: la percentuale di ceppi di S. pneumoniae a resistenza intermedia alle penicilline è del 15, 3% in Nord America, del 22, 2% in Sud America, 27, 4% in Sud Africa, 13% in Europa, 16, 2% in Asia e 19, 7% in Arabia Saudita. I ceppi a resistenza elevata sono invece il 20, 2% in Nord America, il 7, 9% in Sud America e Sud Africa, l’11, 2% in Europa, il 44, 1% in Asia ed il 19, 7% in Arabia Saudita. Dai dati riportati l’Arabia Saudita risulta quindi l’area geografica con la maggiore concentrazione di pneumococchi penicillino-resistenti nel mondo (82, 83). Nei casi di infezioni respiratorie provocate da ceppi di S. Pneumoniae penicillino-resistenti si deve somministrare amoxicillina clavulanata ad alto dosaggio (80-90 mg/kg/die) ; in questo modo si raggiungono tassi di antibiotico-sensibilità del 99% (84). I MIC breackpoint impiegati per la distinzione di ceppi di S. pneumoniae macrolideresistenti sono invece 1 µg/ml per l’azitromicina e 0, 5 µg/ml per l’eritromicina. I ceppi eritromicina- resistenti in Sud America, Europa, Sud Africa e Asia sono rispettivamente 9, 5%, 29, 4%, 13, 6% e 4, 7%; i ceppi azitromicina-resistenti invece 29, 2% in Nord America e 22, 6% in Arabia Saudita. L’Europa è quindi il continente con la maggiore resistenza pneumococcica all’eritromicina, il Nord America all’azitromicina (82, 83). Nei casi di resistenza al macrolide deve essere impiegata una cefalosporina di 3° generazione e, come seconda scelta, uno tra i “nuovi antibiotici”: fluorochinoloni (levofloxacina, moxifloxacina, etc.), Ketolidi (telithromycina) e Oxazilodonici (linezolide). La resistenza ai “nuovi antibiotici” è infatti rara (0, 12%). • Streptococcus piogenes Il meccanismo di resistenza di tale specie di streptococco alle penicilline è legato alla selezione di ceppi produttori di βlattamasi (vedi Streptococcus pneumoniae). Sebbene crescente, la resistenza di tali ceppi alle penicilline è ancora un fenomeno contenuto. La resistenza dello S. piogenes ai macrolidi è invece preoccupante: da un recente studio (nota bibliografica) è emerso che la sua incidenza in Italia sia del 38%. Dei ceppi di S.pyogenes eritromicino-resistenti il 63% ha un fenotipo M, il 26% un fenotipo RI (Resistenza inducibile) e l’11, 5% un fenotipo RC (resistenza costitutiva). I ceppi con il primo fenotipo possiedono pompe di efflusso che conferiscono loro un basso grado di resistenza ad eritromicina, mantenendo la sensibilità a clindamicina e macrolidi a 16 atomi di C (josamicina, spiramicina, etc) ; quelli con il secondo fenotipo hanno una basso grado di resistenza all’eritromicina ed una resistenza a clindamicina e macrolidi a 16 atomi di C inducibile con l’esposizione a concentrazioni sub inibitorie di eritromicina; infine i ceppi con il terzo fenotipo hanno un elevato livello di resistenza sia ai macrolidi che alla clindamicina. Il meccanismo di resistenza nei ceppi con fenotipo RI e RC è rappresentato dalla metilazione dell’rRNA batterico, sito bersaglio del farmaco. L’eritromicino- resistenza di S.pneumoniae ha reso i macrolidi farmaci di seconda scelta nel trattamento delle infezioni respiratorie con tale eziologia, ossia le faringotonsilliti acute. • Hemophilus influenzae Il trattamento antibiotico di scelta nelle infezioni da HP è rappresentato dall’associazione di amoxicillina e acido clavulanico; recentemente infatti si sono diffusi ceppi di Hemophilus produttori di βlattamasi (si stima che la hemophilusresistenza alla penicillina ed ampicillina vari dal 25 al 60%). Tale incidenza si è accresciuta negli ultimi anni a seguito dell’utilizzo del vaccino eptavalente che ha provocato una riduzione delle infezioni causate da Streptococcus pneumoniae, a scapito di un aumento di quelle indotte da Hemophilus influenzae. • Moraxella catarralis Moraxella catarralis fa parte, insieme ad Hemophilus influenzae degli antibiotici “forti produttori” di βlattamasi; è per tale ragione che la somministrazione dell’associazione di amoxicillina ed acido clavulanico va preferita alla somministrazione della sola amoxicillina. Batteri atipici (pac) • Mycoplasma pneumoniae L’antibiotico di scelta nelle polmoniti provocate da Mycoplasma pneumoniae è il macrolide; le tetracicline ed i fluorochinoloni, attivi su questa specie, non sono raccomandati infatti in età pediatrica. Nelle ultime tre decadi sono stati riportati solo casi sporadici di resistenza del Mycoplasma pneumoniae ai macrolidi, eccetto che in Giappone. Nel mondo sono stati segnalati tre casi di eritromicino-resistenza in Israele negli anni ’80, due casi negli Stati Uniti ed in Finlandia tra il 1995 ed il 1999 e due casi in Francia nel 1999. Il Giappone differisce dalle altre aree geografiche in quanto a partire dal 2000 sono stati isolati numerosi ceppi di Mycoplasma pneumoniae macrolide-resistenti e nel 2004 è stata stimata una macrolideresistenza del M. pneumoniae del 15%. Lo sviluppo di resistenza sembra dovuto ad una nuova sequenza nel gene dell’adesina P1, la più importante molecola d’adesione del Mycoplasma pneumoniae che favorisce l’azione patogena del batterio e stimola la risposta infiammatoria nell’ospite. La nuova sequenza è caratterizzata da una mutazione puntiforme nel dominio V del 23s rRNA che comporta la sostituzione dell’Alanina con la Guanina in posizione 2058 e 2059. Sebbene i ceppi di micoplasmi macrolide-resistenti non abbiano ancora trovato larga diffusione nel mondo, l’esperienza del Giappone impone un’attenta sorveglianza epidemiologica (85). • Chlamydia pneumoniae Per quel che riguarda la resistenza di Chlamydia pneumoniae ai macrolidi, fino ad oggi non si dispone di alcun dato epidemiologico. La resistenza delle clamidie agli antibiotici è in generale rara e, mentre in letteratura è stata riportato qualche caso di resistenza in vivo delle specie C. trachomatis e C. suis ai macrolidi, sulla resistenza di C. pneumoniae sono stati effettuati soltanto studi in vitro. Da questi è risultato che la C. pneumoniae non sviluppa resistenza con dosi elevate di antibiotico e risponde anche a basse dosi di macrolidi (pari ad 1/8 della MIC). Tuttavia sono state riscontrate in alcuni ceppi modificazioni geniche che potrebbero, nel tempo, determinare lo sviluppo della resistenza ai macrolidi in Chlamydia pneumoniae. Per tale ragione il trattamento prolungato con macrolidi, fattore scatenante lo sviluppo di antibiotico-resistenza, andrebbe evitato quando possibile. Bibliografia 1. Smart K, Lemay JF, Kellner JD. Antibiotic choices by paediatric residents and recently graduated paediatricians for typical infectious disease problems in children. Paediatr Child Health. 2006;11 (10) :647-53. 2. Sih TM, Bricks LF. Optimizing the management of the main acute infections in pediatric ORL: tonsillitis, sinusitis, otitis media. Braz J Otorhinolaryngol. 2008;74 (5) :755-62. 3. Cantón R, Unal S, Farrell DJ. Antibacterial resistance patterns in Streptococcus pneumoniae isolated from elderly patients: PROTEKT years 1-5 (1999-2004). Int J Antimicrob Agents. 2007; 30: 546-50. 4. Salari P. Spunti pratici in termini di antibioticoterapia delle infezioni delle vie aeree superiori. Edit-symposia. Pediatria e neonatologia 2010;2:1-10. 5. Cazzato T, Pandolfini C, Campi R et al; ACP Puglia-Basilicata Working Group. 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Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione Pediatrica di Immunologia e Genetica Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009 Direttore scientifico Carmelo Salpietro - Direttore responsabile Giuseppe Micali - Segreteria redazione Basilia Piraino - Piera Vicchio Direzione-Redazione: UOC Genetica e Immunologia Pediatrica - AOU Policlicnico Messina www.geneticapediatrica.it/rigip