Galileo e le origini della scienza moderna
L’impatto sulla Teologia
Prima di sviluppare il tema che mi è stato affidato – la ricaduta della problematica
galileiana sulla teologia – vorrei fermarmi un momento sull’episodio di Galileo e sul suo
significato. Sotto il profilo teologico, il caso è riassumibile nei termini della condanna del
S. Uffizio del 22 giugno 1633; secondo questa condanna, Galileo si sarebbe reso
«veementemente sospetto d’eresia, cioè d’haver tenuto e creduto che il Sole sia centro del
mondo et imobile e che la terra non sia centro e che si muova».1
Questa condanna riassume i complessi rapporti che il ’600 vede esplodere tra
sistema tolemaico, fisica aristotelica e concezione cristiana da una parte e visione
copernicana dall’altra. In questa polemica un posto particolare spetta a Galileo ed alle sue
vicende. Il suo cammino iniziato da Galileo nel 1604 quando Galileo nota l’apparizione di
una stella nova la cui luminosità variava nel tempo; a partire dal 1609, dal
perfezionamento del cannocchiale, Galileo si imporrà, in poco tempo, come uno dei critici
più ferrati della fisica aristotelica e di tutta la problematica che vi era connessa. Nel 1610
pubblica il Sidereus Nuncius, nel 1612 il Discorso intorno alle cose che stanno in su
l’acqua o che in quella si muouono e nel 1613 la Istoria e dimostrazioni intorno alle
macchie solari e loro accidenti; é del 1616 il decreto della Congregazione dell’Indice, da
propagare nelle chiese e nelle università, che mette all’Indice il De revolutionibus di
Copernico e alcuni scritti di due teologi Foscarini e Zuñiga con intimazione di confisca dei
1
Sul problema di Galileo la bibliografia è enorme: indico senza pretese quei testi che mi sono più familiari.
L. Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, Torino 91980; W. Brandmuller – E.J. Greipl (eds.), Copernico Galilei
e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli atti del Sant’Uffizio, Olschki, Firenze 1992; S.M. Pagano
(ed.), I documenti del processo Galileo Galilei, Pontificiae Academiae Scientiarum, Città del Vaticano 1984;
J.P. Longchamp, Il caso Galileo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1990; G. Morpurgo Tagliabue, I
processi di Galileo e l’epistemologia, Armando, Roma 1981; L. Sosio, Galileo e la cosmologia, in Dialogo
sopra i due massimi sistemi, in G. Galilei, Opere. a cura di A. Favaro, G. Barbera, Firenze 1897 (vol. VII,
Introduzione, ivi, IX-LXXXVII). Quanto alle opere di Galileo, rimane decisiva l’edizione nazionale delle sue
opere in 20 volumi: G. Galilei, Opere. 20 voll. a cura di A. Favaro, G. Barbera, Firenze 1890-1909. Negli
anni 1929-39, a cura di A. Garbasso e di G. Aletti, l’opera verrà ristampata con alcune aggiunte, presso lo
stesso editore; una nuova ristampa uscirà infine nel 1968.
1
testi nelle librerie e nelle biblioteche.2 Galileo, di per sé, non entra direttamente nel
Decreto del 1616; convocato da Bellarmino, membro dello stesso Tribunale, fu ammonito
e invitato formalmente ad abbandonare le tesi censurate ed a non difenderle «a voce o per
iscritto» che altrimenti «si procederebbe contro di lui da parte del Sant’Uffizio». Galileo si
sottometterà ed il 26 maggio Bellarmino gli rilascerà una lettera di salvaguardia che
liberava Galileo dalla calunnia di essere stato condannato ma ribadiva la condanna delle
tesi copernicane.
Prima di entrare nel merito del tema che mi è stato assegnato, vorrei riassumere
brevemente la polemica allora in atto; ritengo difficile, infatti, comprendere gli
atteggiamenti dei teologi senza ricostruire quel dibattito.
1. Galileo e la polemica sul sistema copernicano
Va detto che la concezione copernicana non era nuova, rispetto agli anni di cui parliamo; il
De revolutionibus orbium coelestium di Nicolò Copernico era del 1543 e non aveva
suscitato troppi problemi. La ragione stava nel fatto che l’opera circolava con una
prefazione di un teologo protestante, Andreas Osiander (1498-1552), aggiunta dall’editore
all’insaputa di Copernico;3 mentre la prefazione originale, dovuta a Copernico, conteneva
la dedica a Paolo III e riassumeva correttamente il lavoro, quella di Osiander sosteneva che
Copernico utilizzava un linguaggio adatto alle apparenze ma non rispondente alla realtà.
Galileo prenderà di petto l’intera questione. In un testo anonimo, ma quasi certamente suo,4
Galileo indicherà con chiarezza le posizioni contrarie al sistema copernicano: sono la
2
Il testo di P.A. Foscarini, carmelitano, messo all’Indice é la Lettera sopra l’opinione dei Pittagorici e del
Copernico della mobilità della terra e stabilità del sole e del nuovo Pittagorico sistema del mondo; stampata
a Napoli nel 1615 era indirizzata al suo superiore. Quello di Stunica, in spagnolo Diego de Zuñiga, era il suo
commento a Giobbe, edito a Toledo nel 1584. Tutti questi testi saranno tolti dall’Indice nel 1835.
3
La prefazione, dal titolo Al lettore sulle ipotesi di questa opera, non era firmata e, quindi, facilmente
attribuita a Copernico. Essa sosteneva che, se è vero che il testo conteneva ipotesi sul moto terrestre contrarie
alla opinione di molti celebrati filosofi e teologi, queste ipotesi andavano interpretate come utili per il calcolo
ma non presentare la reale, effettiva verità. «Non è infatti necessario che quelle ipotesi siano vere, anzi
neppure che siano verosimili, ma basta solo che mostrino il calcolo in armonia con i fenomeni osservati»; al
di là delle loro ipotesi, sostiene Osiander, né i filosofi né gli astronomi approderanno a «qualcosa di certo se
non gli sarà rivelato da Dio».
4
Si tratta del primo dei tre brevi scritti anonimi sul sistema copernicano che Antonio Favaro, curatore della
edizione nazionale, aggiungerà di seguito a quelle lettere di Galileo che indicherà come Lettere copernicane;
queste lettere sono di Galileo ma non erano mai state pubblicate da Lui, anche se almeno una avrà una
amplissima diffusione. Si tratta della lettera A Madama Cristina di Lorena pubblicata la prima volta a
Strasburgo nel 1636 con traduzione latina a fianco del testo italiano.
2
cosmologia aristotelica, accolta e sostenuta dalla scolastica, e la interpretazione
accomodante del copernicanesimo.
La prima ritiene «essere talmente in filosofia dimostrata la stabilità della Terra e
mobilità del Sole, che ce ne sia sicura ed indubitabile certezza; e che, all’incontro, la
contraria posizione è così immenso paradosso e manifesta stoltizia, che in verun conto non
è da dubitare che né ora né in altro tempo sia non solo per poter essere dimostrata ma che
né pure sia per trovar luogo nella mente di persona giudiziosa».5 La seconda opposizione
viene da coloro che ritengono che la tesi di Copernico vada intesa «ex suppositione ed in
quanto ella può più agevolmente satisfare all’apparenze de’ movimenti celesti ed a i calcoli
e computi astrologici, non già che i medesimi che l’hanno supposta, l’abbino creduta per
vera de facto ed in natura».6
Galileo si sbarazza alla svelta di entrambe queste opposizioni. La cosmologia
filosofica, costruita attorno ad un sistema di sfere celesti mosse da intelligenze ordinate in
una gerarchia che fa capo a Dio Primo Motore Immobile, viene bollata da Galileo come
pseudofilosofia;7 la ricerca della “vera costituzione dell’universo” non poteva avvenire che
attraverso la lettura matematica di quel grande libro della natura che Galileo considera
“inesorabile e immutabile” nelle sue leggi.8 Allo stesso modo replica a coloro che, come
Osiander,9 guardano alle leggi scientifiche come linguaggio utile per i calcoli: «se io non
5
Per l’edizione della lettera A Madama Cristina di Lorena, fa testo la ricostruzione dell’opera a cura di A.
Favaro nella edizione nazionale delle Opere di Galileo; io seguirò la comoda edizione delle lettere
copernicane edita da M. Montanari con il titolo G. Galilei, Sulla libertà della scienza e l’autorità delle
scritture, Ed. Teoria, Roma 1983, 131.
6
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 131-132.
7
Basta ricordare l’aspra battuta di replica a chi sosteneva che Galileo avesse preso da alcuni filosofi – il
Cardano e il Telesio – alcuni temi poi da lui rielaborati: «quello che abbiano scritto il Cardano e il Telesio io
non l’ho veduto» (Galileo, Il Saggiatore, in Id., Opere. VI, 236.
8
È rimasto celebre Cesare Cremonino, professore di filosofia a Padova ai tempi di Galileo, che non volle mai
accostare il suo occhio al cannocchiale perché diceva che il guardare con quello strumento gli “imbastardiva
la testa”.
9
Tra costoro vi è anche il Bellarmino (1542-1621) che scrive così al P. Foscarini: «Dico che mi pare che
V.P. et il Sig.r Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex supposizione e non assolutamente,
come io ho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire, che supposto che la Terra si
muova et il Sole stia fermo si salvano tutte l’apparenze meglio che con porre gli eccentrici e gli epicicli, è
benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al matematico: ma volere affermare che realmente
il Sole stia al centro del mondo, e solo si rivolti in se stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la
Terra stia nel 3° cielo e giri con somma velocità intorno al Sole, è cosa molto pericolosa non solo d’irritare
tutti i filosofi e theologi scolastici, ma anche di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Sacre Scritture»
(citato in L. Geymonat, Galileo Galilei, 97). Bellarmino prosegue il suo scritto citando le Scritture: Genesi,
Salmi, Ecclesiaste, Giosuè a dimostrazione che non vede nelle tesi di Galileo che una supposizione per
cogliere e salvare le apparenze.
3
prendo errore, questo discorso è fallace e diverso dalla verità, come dalle sequenti
considerazioni posso far manifesto».10 Di seguito il nostro ricorda tutta una serie di autori
«non meno antichi che moderni, i quali l’hanno tenuta e tengono; né potrà alcuno stimarla
ridicolosa»;11 richiama come la maggior parte di loro fosse prima contraria a questa
opinione ed abbia cambiato parere perché l’hanno trovata fondata «sopra potentissime ed
efficacissime ragioni»;12 ricorda l’originaria prefazione di Copernico al suo testo che, pur
partendo dalla abituali tesi di calcolo ex supposizione, giunge poi alla convinzione che «se
alle semplici apparenze si era potuto satisfare con ipotesi non vere, molto meglio ciò si
averebbe dalla vera e natural costituzion mondana».13 La conclusione di Galileo è di
conseguenza nitida: dopo “lunghe e sensate osservazioni” e dopo “incontri concordanti e
fermissime dimostrazioni”, Copernico giunse alla conclusione della verità della sua tesi.
«Non è, dunque, introdotta questa posizione per satisfare al puro astronomo ma per
satisfare alla necessità della natura».14
2. Il dibattito attorno alle Scritture
L’insieme di queste discussioni indica nelle sacre Scritture un punto di dibattito ancora
aperto. Il punto di partenza del dibattito può essere indicato nella lettera di Galileo al
benedettino B. Castelli, là dove Galileo conviene con la risposta che questi ha dato ad una
domanda della Granduchessa: «parmi che prudentissimamente fusse proposto da quella e
conceduto e stabilito dalla P.V. non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare ma essere
i suoi decreti d’assoluta ed inviolabile verità».15 Non è difficile trovare conferme a queste
posizioni: nel terzo degli scritti anonimi ma attribuiti a Galileo, probabilmente nel periodo
romano del 1615, l’autore scrive: «quanto al render false le Scritture, ciò non è né sarà mai
nell’intenzione delli astronomi cattolici, quali siamo noi; anzi nostra opinione è che le
Scritture benissimo concordino con le verità naturali dimostrate».16 La tesi di Galileo
10
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 132.
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 133.
12
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 134.
13
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 137.
14
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 138.
15
A don Benedetto Castelli, in G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 48.
16
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 153.
11
4
comprende due affermazioni basilari: che le Scritture non mentono e che concordano con il
dato scientifico.
Non vi è dubbio che il lavoro fondamentale su questo tema sia la lettera A madama
Cristina di Lorena, un vero e proprio trattato sul nostro tema, scritto meno di un anno
prima del decreto del 1616, attorno al maggio 1615. Mentre la lettera A don Benedetto
Castelli17 ha avuto un certo ruolo nel decreto del 1616, questo testo resta sconosciuto agli
estensori di quel decreto e non è chiaro nemmeno se fosse noto ai giudici del processo del
1632-33. Il lavoro è ricco di citazioni bibliche e patristiche, quasi sicuramente procurate a
Galileo – che non era un teologo – dal benedettino B. Castelli.18 La tematica, oltre alle
molte traduzioni della lettera ed ai relativi commenti, è stato studiata a fondo così che
siamo oggi in grado di affrontare il nostro tema con una certa tranquillità.19
La tesi di Galileo è, alla fin fine, semplice. Collocandosi nel solco di una continua
tradizione teologica e spirituale, considera il cosmo come un libro, un libro scritto da Dio
in modo sapiente. La Scrittura e la natura sono due libri che risalgono entrambi a Dio
«quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli
ordini di Dio»;20 la sua conclusione – espressa più volte – è che, di conseguenza, le verità
dei due libri non possono contraddirsi senza porre in contraddizione il loro unico autore.
Per questo, partendo dalla sua fede, Galileo argomenta «non poter mai la Sacra Scrittura
mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si
possa negare esser molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro
significato delle parole». Da qui la sua conclusione: «qualunque volta [alla Scrittura] gli è
17
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 45-54. La lettera di Galileo è una risposta a quella di questo
benedettino, scienziato e studioso di idraulica, che in una sua lettera del 14 dicembre 1613, riferiva di una
discussione avvenuta ad un pranzo di corte del Granduca in seguito ad alcune domande della granduchessa.
Se ne veda il testo in G. Galilei, Opere. IX, 605-606.
18
In una lettera a Galileo del 6 gennaio 1615, il benedettino Castelli informa Galileo di essere «in rapporto
con il Padre predicatore dei Barnabiti che é molto attaccato alle vostre idee e che mi ha promesso certi passi
di S. Agostino e di Altri dottori a conferma del vostro sentimento su Giosué» (G. Galilei, Opere. XIII, 126).
19
G. Morpurgo Tagliabue, I processi di Galileo e l’epistemologia; M. Vigano, Fede e scienza in Galileo, «La
Civiltà Cattolica» (1965), I, 36-47. 226-239; II, 448-455; A. Dubarle, Les principes exégetiques et
théologiques de Galilée concernano les sciences de la nature, «Revue des sciences philosophiques et
théologiques» 50(1966/1), 67-87 ; O. Loretz, Galilei und der Irrtum der Inquisition, Butron Verlag, Kevelaer
1966; F. Russo, «Galileo e la cultura teologica del suo tempo», in P. Poupard (ed.), Galileo Galilei. 350 anni
di storia (1633-1983). Studi e ricerche, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1984, 150-178; S. Fabris, Galileo
Galilei e gli orientamenti esegetici del suo tempo, Pontificiae Academiae Scientiarum, Città del Vaticano
1986.
20
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 90.
5
occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle più recondite e
difficili ad esser capite», essa è stata mossa «per il solo rispetto d’accomodarsi alla
capacità popolare; […]per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo
popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio».21
Da qui l’invito a grande prudenza. Da una parte Galileo ricorda che non bisogna
lasciarsi influenzare dalle opinioni filosofiche o scientifiche del tempo: occorre guardarsi
dal ritener per vero ciò di cui la scienza potrebbe, in futuro, mostrare la verità; dall’altra fa
presente che anche gli interpreti delle Scritture possono errare e non cogliere il vero senso
delle Scritture. Da qui il suo invito alla prudenza. Lo fa appoggiandosi a diversi autori22
ma, soprattutto, ad Agostino ed, in particolare, al suo De Genesi ad litteram.23 In pratica
Galileo ha una concezione progressiva della scienza e della sua verità che poneva problemi
alla teologia di allora e, nella sua continua innovazione, esige una epistemologia teologica
in grado di riconoscere il valore della storia.
Si può dire che, fatto salvo il problema di Gs 10,12-13, Galileo non si ferma sui
singoli passi biblici; lo muove la convinzione che le questioni astronomiche sono parte di
una più generale problematica di interpretazione delle Scritture. Al riguardo faceva testo il
concilio di Trento che, nel Decretum de libris sacris et de traditionibus recipiendis del 8
aprile 1546, stabiliva che «nessuno, fondandosi sulle proprie capacità, osi interpretare la
Sacra Scrittura negli argomenti di fede e di morale che riguardano la elaborazione della
dottrina cristiana, piegandola ai propri modi di vedere, sia contro quel senso che ha ritenuto
e ritiene la santa madre Chiesa, alla quale spetta giudicare del vero senso e
dell’interpretazione delle Sacre Scritture sia, anche, contro l’unanime consenso dei
21
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 89.
Nella lettera A madama Cristina di Lorena, Galileo cita 1 volta Tertulliano, 3 volte Gerolamo, ben 16 volte
Agostino, 2 volte Dionigi Areopagita.
23
Riporto soltanto due delle citazioni di Galileo prese da Agostino; le citazioni sono in latino, anche se qui ne
offro una libera traduzione. La prima é presa dalla Epistola CXLIII septima ad Marcellinum: «se ad una
prova certa e manifesta si oppone l’autorità delle Scritture, colui che fa questo non le comprende;
contrappone alla verità non quel senso delle Scritture che non seppe penetrare ma piuttosto la sua
interpretazione; non oppone ciò che é presente in esse ma quanto ha trovato in se stesso invece che in quelle»
(G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 94-95). La seconda la prendo invece dal De Genesi ad litteram IX:
«come può non essere contrario a coloro che attribuiscono al cielo figura sferica quel che é scritto nei nostri
libri: “Colui che stende il cielo come si stende una pelle”? Sia pure contrario, a patto che sia falso quello che
questi sostengono; vero, infatti, é ciò che insegna l’autorità di Dio e non quanto presume l’umana incapacità.
Ma se, per caso, costoro saranno in grado di provare quella teoria con una documentazione tale che non se ne
possa più dubitare, allora bisognerà dimostrare che quanto é detto nei nostri libri, intorno alla pelle, non é
contrario a quelle vere ragioni» (G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 107-108).
22
6
Padri».24 Galileo ha ben presente questo testo e lo richiama più volte; pur riconoscendo che
«ancora in quelle proposizioni che non son de Fide l’autorità delle medesime Sacre Lettere
deve essere anteposta all’autorità di tutte le scritture umane,scritte non con metodo
dimostrativo ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni»,25 la sua conclusione
é da una parte che «nelle quistioni naturali e che non son de Fide prima si deve considerar
se elle sono indubitabilmente dimostrate»26 e dall’altra che «l’intenzione dello Spirito
essere d’insegnarci come si vadia al cielo e non come vadia il cielo».27
Da qui il suo invito. «Stante questo, ed essendo, come si é detto, che due verità non
possono contrariarsi, é officio de’ saggi espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de’
luoghi sacri, che indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali
delle quali il senso manifesto o le dimostrazioni necessarie ci avessero resi certi e sicuri».28
Senza conoscere il tema dei generi letterari, Galileo spiega il fatto che «fosse necessario
attribuire al Sole il moto e la quiete alla Terra» alla necessità di «non confonder la poca
capacità del volgo e renderlo renitente e contumace nel prestar fede a gli articoli principali
e che sono assolutamente de Fide»; per questo concluderà che «non solamente il rispetto
della incapacità del volgo ma la corrente opinione di quei tempi fece sì che gli scrittori
sacri, nelle cose non necessarie alla beatitudine, più si accomodorno all’uso ricevuto che
alla essenza del fatto».29
Riassumendo si può dire che la teoria di Copernico, pubblicata nel 1543, non ha
provocato dibattiti e circolò tranquillamente; i dibattiti esplosero tra Firenze, Pisa e Roma
nel breve spazio di pochi anni tra il 1610 ed il 1616 ed ebbero il loro centro nella
controversia esegetica che però, dopo il decreto del 1616, uscì di scena. Di fatto il
problema esegetico riesploderà negli ultimi decenni dell’ottocento dopo le tesi di Darwin
sull’evoluzionismo e con i dibattiti sulla storicità dei primi capitoli della Genesi. Sotto il
profilo teologico, la questione é da ritenersi conclusa e con l’accoglienza dei “generi
24
DS 1507.
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 91.
26
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 109.
27
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 94.
28
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 95.
29
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 109. Di seguito cita due passi di Gerolamo – In caput XXVIII
Hieremiae e In caput XIII Matthei; il secondo suona così: «é consuetudine delle Scritture che lo storico
presenti il suo discorso su molte cose secondo quanto in quel tempo tutti ritenevano ovvio».
25
7
letterari” nella enciclica Divino Afflante Spiritu del 30 settembre 1943 e con la costituzione
dogmatica Dei Verbum del 18 novembre 1965.
3. Il dibattito teologico al tempo di Galileo e nei secoli seguenti
Il problema teologico verte sul rapporto tra fede e scienza ed, in particolare, sui rapporti tra
le due metodologie. Rivendicando l’autonomia della scienza dalla teologia e sostenendo la
dignità delle scienze naturali, Galileo le aveva legate ad una metodologia che fa perno
attorno alle “sensate esperienze” ed alle “certe dimostrazioni”.
Il termine «sensate esperienze» ritorna più volte nella lettera A Madama Cristina di
Lorena;30 queste “sensate esperienze” sono il punto di partenza del lavoro scientifico ma
non vanno confuse con la semplice esperienza comune, in larga misura immediata ed
involontaria: sono piuttosto il suo potenziamento attraverso opportuni strumenti così da
poterla rielaborare in termini razionali e critici. Questa convinzione porta Galileo a
sostenere che «non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture ma dalle
sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie».31 Le «certe dimostrazioni» sono il
frutto di una elaborazione della esperienza attraverso procedimenti matematici così da
risalire dai fenomeni di una natura «osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio;
[...]inesorabile e immutabile»32 a quelle leggi che permettono di spiegare il loro verificarsi
e di prevedere il loro futuro. Galileo non pare preoccupato di fissare dei confini alla fede o
alla teologia; il suo intento é piuttosto quello di garantire la libertà di un lavoro scientifico
che con le sue teorie logico-matematiche chiede di spiegare i casi particolari che
l’esperienza presenta.
L’influenza di Galileo su questi problemi, al di fuori dell’Italia, non fu gran che: in
Francia dominava il pensiero di Gassendi ed in Inghilterra quello di Bacone; nel settecento,
30
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 82. 90. 109.
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 90. Lo scienziato argomenta che «procedendo di pari dal Verbo
divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima
esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo di più convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento
dell’universale, dir molte cose diverse in aspetto e quanto al nudo significato delle parole dal vero assoluto;
ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi
impostegli […]pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le
necessarie trasformazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che
condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto
della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura» (ivi).
32
G. Galilei, Sulla libertà della scienza, 90.
31
8
poi, sarà soprattutto Newton a lasciare la sua impronta sulle scienze della natura. Poi, con
P. Bayle e Voltaire e, soprattutto, con la critica alla religione propria dell’enciclopedia, il
caso Galileo diventerà emblematico dell’oscurantismo della Chiesa.33 Questa storia é
sufficientemente nota;34 interessa di più chiedersi quale sia stata la reazione del mondo
cattolico a questo “caso”.35 Non si può dimenticare la vita di Galileo, scritta dal suo
discepolo V. Viviani ancora nel 1654,36 a dodici anni dalla sua morte; l’opera avrà una
grande influenza su tutto il settecento. Grossomodo si può dire che l’atteggiamento
cattolico verso Copernico e Galileo rimane critico fin verso la seconda metà del settecento
quando alcune opere testimoniano un cambio di posizioni;37 in ogni caso sarà nel 1734 che
il S. Uffizio autorizzerà la costruzione di un mausoleo a Galileo nella chiesa di Santa
Croce38 e nel 1757 che i libri che insegnavano il moto della terra saranno tolti dall’Indice
dei libri proibiti.39 In quel contesto nasceranno anche racconti leggendari; é del 1757 il
lavoro di G. Baretti con il famoso: «eppur si muove».40
33
La prima edizione della Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers,
pubblicata a Parigi nel 1754 da Diderot e D’Alembert, non conteneva nessuna voce su Galileo; ne aveva però
su Bacone, Campanella e Cartesio. Alla voce Copernic – Encyclopédie. IV, col. 173-ss – riportava questo
cenno, dopo la menzione della condanna di Galileo e dei timori di Cartesio: «sarebbe veramente da augurare
che un paese così pieno di spirito e di sapere come l’Italia volesse finalmente riconoscere un errore così
pregiudizievole per il progresso delle scienze».
34
A. Rupert Hall, Galileo nel XVIIIo secolo, «Rivista di Filosofia» 15(1979), 367-390; J.S. Spink, Il libero
pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire [1966], Vallecchi, Firenze 1974; J. Delumeau, Le Catholicisme
entre Luther et Voltaire, Presses Universitaires de France, Paris 1971..
35
J. Grisar, Galileistudien. Historische theologische Untersuchungen über die Urtheile der römischen
Congregationen im Galileiprocess, S. Hledler, Regensburg 1882; W. Brandmüller, Der Fall Galilei.
Wirklichkeit und Legende – Hintergründe und . I-II, Université de Louvain, Louvain 1976, 151-163; B.
Jacqueline, «La Chiesa e Galileo nel secolo dell’illuminismo», in P. Poupard (ed.), Galileo Galilei. 350 anni
di storia (1633-1983), 181-195.
36
V. Viviani, Racconto Istorico della vita di Galileo [1654], riedito in Vita di Galileo: il processo di Galileo
narrato da Ferdinando Flora, Rizzoli, Milano 1954.
37
Basta pensare ai lavori del benedettino G. Grandi, Risposta apologetica alle opposizioni di Alessandro
Marchetti. Si difendono in tale occasione il Galilei e il Viviani, Frediani, Lucca 1712; alla stampa in Belgio
di opere scientifiche – Semmes e Van Lemenpoel – che ammettono e difendono la concezione copernicana:
G. Monchamp, Galilée et la Belgique. Essai historique sur les vicissitudes du système de Copernic en
Belgique, G. Moreau-Schouberechts, Saint-Trond 1892.
38
Alla sua morte, 8 gennaio 1642, il corpo di Galileo fu trasferito da Arcetri a Firenze e, su istruzioni del
Granduca, deposto a parte nella chiesa di Santa Croce, dove si trovava la sepoltura dei Medici; quando il S.
Uffizio diede il suo parere favorevole, G. Nelli, erede del lascito che V. Viviani aveva destinato a questo
scopo, poté procedere secondo la volontà del defunto.
39
Nel 1664 Alessandro VII aveva tolto dall’Indice il decreto del 1616 e l’aveva fatto sostituire, alla lettera L,
da una menzione: Libri omnes docentes mobilitatem terrae et immobilitatem solis.
40
G. Baretti, The Italian Library. Containing an account of the lives and works of the most valuable authors
of Italy, A. Millar, London 1757; si tratta di una antologia di autori e di testi tradotta in francese in Querelles
littéraires, Paris 1761. In questo testo si afferma che, uscito di prigione, Galileo fu preso dal rimorso e che,
guardando per terra e battendola con il piede, esclamasse: «eppur si muove». Se il racconto dovesse avere
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Dopo il secolo XVIII, l’influenza del caso Galileo sulla teologia sarà scarso e
praticamente nulla. L’interesse per Galileo sarà tenuto vivo solo dalla polemica
anticattolica dell’illuminismo e dalla corrispondente coscienza di colpa del mondo
cattolico, specie scientifico. É emblematico da questo punto di vista l’Elogio di Galileo
Galilei scritto da un sacerdote scienziato, Paolo Frisi, studioso di matematica e fisica e
docente a Milano ed a Pisa:41 salta completamente la parte dei rapporti tra Galileo e la
Chiesa. L’impatto della cultura illuminista verrà affrontato nei termini scolastici del duplex
ordo cognitionis dove l’ontologia della natura serviva a salvaguardare la ragione naturale e
la sua forza conoscitiva mentre quella della sopranatura rimandava al salto della fede
eliminando in radice la possibilità di una comprensione filosofico-razionale della fede. Da
una parte la ragione naturale terminava ai preambula fidei mentre, dall’altra, la verità
rivelata si fondava sulla autorità assoluta di Dio. Questa esteriorità tra ragione e fede
salvaguardava la fede da ogni difficoltà42 ma il prezzo di questa immunizzazione sarà una
visione autoritaria della rivelazione.
Gli interventi più alti restano quelli magisteriali. Il primo é quello conciliare di
Gaudium et Spes 36 che, dopo aver ricordato l’autonomia delle realtà terrene ed il valore
della ricerca scientifica, osserva: «a questo punto, ci sia concesso di deplorare certi
atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non
avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando
contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede
si oppongano tra loro». Apparentemente generale, questa osservazione é precisata dalla
una qualche base storica, certo non si riferirebbe al momento della liberazione dal carcere. Su tutto si veda
Aa. Vv., Galileo Galilei tra realtà e mito. Itinerario antropologico, Itaca, Castel Bolognese 1996.
41
P. Frisi, Elogio di Galileo Galilei, Stamperia dell’Enciclopedia, Livorno 1775 (ristampato poi da Galeazzi,
Milano 1786).
42
Un ulteriore motivo ed una conferma di questa visione apologetica si può cogliere nella segnalazione di E.
Namer, Giordano Bruno, Seghers, Paris 1966 secondo il quale una implicazione della teoria di Copernico era
che, dato che la terra perdeva il suo posto di centro dell’universo, anche l’intero sistema solare perdeva il suo
ruolo: dato che non vi era più alcuna sfera di stelle fisse a custodire i confini del cosmo, questi confini erano
rimandati all’infinito. Da qui la teoria di alcuni scienziati su una pluralità di mondi: Bernard le Bouyer de
Fontenelle, Entretiens sur la pluralité des Mondes [1761], Flammarion, Paris 1998. Fontenelle era segretario
della Accademia delle Scienze di Parigi. Con questi scienziati anche alcuni letterati sostenevano che la storia
di questa umanità non aveva nulla di particolare e che non solo la storia della salvezza e della redenzione ma
la totalità delle Scritture erano solo invenzione. G.J. Béné, professore di fisica, suggerisce che Bellarmino,
che aveva partecipato al processo contro G. Bruno, temesse soprattutto queste conseguenze nelle tesi di
Copernico e nella loro ripresa da parte di Galileo: Georges J. Béné, «Galileo e gli ambienti scientifici oggi»,
in P. Poupard (ed.), Galileo Galilei. 350 anni di storia (1633-1983), 258.
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nota 7 che rimanda direttamente al testo di P. Paschini, Vita e opere di Galileo Galilei. 2
voll, Pontificia Accademia delle Scienze, Città del Vaticano 1964. L’opera mantiene
ancora oggi un suo valore anche se ha, ovviamente, bisogno di aggiornamenti ma il
rimando ha il valore di applicare il testo della costituzione Gaudium ei Spes direttamente
alla questione di Galileo. Questa applicazione va illuminata con l’altro testo di Gaudium et
Spes 19 dove si insegna che «l’ateismo, considerato nella sua interezza, non é qualcosa di
originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione
critica contro le religioni e, in alcune regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana.
Per questo nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, in quanto per
aver trascurato di educare la propria fede o per una presentazione fallace della dottrina
[...]si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e
della religione». Questo insieme di affermazioni non ha bisogno di commenti.
Il secondo intervento é il discorso pronunciato da Giovanni Paolo II il 10 novembre
1979 alla Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione del centenario della nascita di
A. Einstein.43 Dopo aver riconosciuto la grandezza di Galileo ed aver deplorato quanto
Galileo ebbe a soffrire per colpa della Chiesa,44 Giovanni Paolo II ritiene di poter
presentare «alcuni punti che mi appaiono importanti per collocare nella sua vera luce il
caso Galileo, nel quale le concordanze tra religione e scienza sono più numerose, e
soprattutto più importanti, delle incomprensioni che hanno causato l’aspro e doloroso
conflitto che si é trascinato nei secoli successivi». In pratica Giovanni Paolo II ricorda tre
punti che illuminano questa concordanza. Il primo é la convinzione che le due verità della
scienza e della fede non possono contraddirsi dato che entrambe risalgono a quell’unico
Verbo da cui provengono sia la natura sia la Scrittura. Questo punto é da ritenersi pacifico
per ogni vero credente; lo era anche per Galileo e per i suoi oppositori anche se, poi,
ognuno di essi accentuava l’importanza della natura o della Scrittura. La seconda
sottolineatura del pontefice riguarda la ricerca scientifica in quanto tale: scandagliare i
segreti della natura non porta ad abbandonare la fede ma, al contrario, ad intuirne la
misteriosa e sapiente presenza. Giovanni Paolo II richiama un testo del Sidereus Nuncius in
43
Giovanni Paolo II, «L’armonia profonda che lega le verità della scienza e le verità della fede», in Id.,
Insegnamenti di Giovanni Paolo II. II/2. 1979 (luglio-dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 1980, 1107-114 (testo ufficiale francese). 1115-1120 (traduzione italiana).
44
Il pontefice cita a questo proposito il testo di Gaudium et Spes 36.
11
cui Galileo parla di sé e del suo lavoro «in precedenza illuminato dalla grazia divina»;
anche se solo un credente può parlare in questo modo, non penso che esista un solo
astronomo che non abbia percepito nel cosmo la presenza di un mistero straordinario ed
unico e che, insieme ad esso, non abbia avvertito la coscienza di una piccolezza e di una
qualche appartenenza tutta da precisare ma ugualmente significativa. Infine Giovanni
Paolo II richiama quelle norme epistemologiche presenti nella lettera A madama Cristina
di Lorena e gli riconosce il merito di una «interpretazione dei libri sacri, al di là anche del
senso letterale, ma conforme all’intento e al tipo di esposizione propri di ognuno di essi».
É un merito che gli va francamente riconosciuto.
Conclusione
Si può dire, in conclusione, che la teologia non ha fatto gran conto del problema Galileo:
l’ha vissuto drammaticamente, l’ha tutto sommato riabilitato nel breve volgere di un secolo
e mezzo, l’ha ripreso apologeticamente di fronte alle accuse di un illuminismo ateo e prova
ora ad inquadrarlo in quell’ambito di nuove relazioni che la Chiesa vorrebbe stabilire con
l’ambiente scientifico.
La ragione di questi diversi atteggiamenti va ricondotta – a mio parere – al fatto che
la storia della cultura occidentale moderna ha ben preso superato il problema di Galileo.
Per noi, e da più di un secolo almeno, non si tratta di affermare la libertà e la dignità della
scienza di fronte alla invadenza della teologia ma se mai, al contrario, alla necessità di
affermare la non riducibilità del sapere alla sola concezione matematico-scientifica. Le
scienze umanistiche e, soprattutto, le scienze omnicomprensive come la filosofia e la
teologia, si trovano oggi a dover ripensare a fondo la propria identità di scienza e la propria
metodologia di fronte alla scienza stessa.
Basta leggere La concezione scientifica del mondo, un manifesto del
neopositivismo,45 per rendersene conto. Scrivono gli autori: «il metafisico e il teologo
credono, a torto, di asserire qualcosa, di rappresentare stati di fatto, mediante le loro
proposizioni. Viceversa l’analisi mostra che simili proposizioni non dicono nulla,
esprimendo solo atteggiamenti emotivi. Espressioni del genere possono, certo, avere un
45
H. Hahn – O. Neurath – R. Carnap, La concezione scientifica del mondo, Laterza, Bari 1979. Sul
neopositivismo mi accontento di ricordare P. Peduzzi (ed.), Neopositivismo e unità della scienza, Bompiani,
Milano 1958.
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ruolo pregnante nella vita; ma, al riguardo, lo strumento espressivo adeguato é l’arte, per
esempio la lirica o la musica. Si sceglie, invece, la veste linguistica propria di una teoria
ingenerando un pericolo: quello di simulare un contenuto teorico inesistente. [...]Se un
metafisico o un teologo vogliono mantenere nel linguaggio la forma usuale, debbono
consapevolmente e chiaramente ammettere di non fornire rappresentazioni bensì
espressioni; di non suggerire teorie, informazioni bensì poesie o miti. Quando un mistico
afferma di avere esperienze oltrepassanti tutti i concetti, non é possibile contestare la sua
pretesa. Ma egli non é in grado di parlarne, poiché parlarne significa ricorrere a concetti,
ricondurre a dati di fatto delimitabili scientificamente».46
Anche se non é l’unica maniera di intendere la scienza, questa visione ha ancora
una notevole diffusione nel mondo scientifico ed in quello giovanile. Vi é qui una sfida che
non può essere saltata. Da parte sua la teologia ha provato ad affrontarla cercando di
mantenere la scientificità della teologia47 e di aprire la sua visione ad un difficile ma
fecondo dialogo con il mondo moderno. Resta il fatto che in Galileo, scienziato e credente,
la nostra difficoltà – allora soltanto iniziale – era anche inizialmente superata in una
indicazione delle diverse metodologie, della loro autonomia e della fecondità del loro
confronto. A noi resta l’impegno di ricordare questo inizio, ampliarne la consapevolezza e
celebrare anche in questo la sua grandezza.
Gianni Colzani
46
H. Hahn – O. Neurath – R. Carnap, La concezione scientifica del mondo, 83-84.
G. Sauter, Vor einem Methodenstreit?, 1970; M. Gatzmeier, Theologie als Wissenschaft. I: Die Sache der
Theologie. II: Wissenschaft und Istitutionenkritik, Frohmann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1974-1975;
A. Grabner-Haider, Theorie der Theologie als Wissenschaft, Kösel, München 1974; W. Pannenberg,
Epistemologia e teologia, Queriniana, Brescia 1975; G. Colombo (ed.), L’evidenza e la fede, Glossa, Milano
1988; C. Caltagirone, Scienze e Teologia. Incontri e scontri ai confini della conoscenza, Dehoniane, Bologna
2002.
47
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