CIRCUITO PALEOSTORIE GIORGIO GIORDANO Anno VI 24 Tracce La rivista digitale del mistero d’eternità Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. DA OTTOBRE PER LA SERIE “I QUADERNI DI TRACCE”, DISPONIBILE IN LIBRERIA “TERRE MISTERIOSE” DELLA NOSTRA NOEMI STEFANI (CERCHIO DELLA LUNA EDITORE) UN ESPERIMENTO NELLA GRANDE PIRAMIDE IL MISTERO DEL DISORIENTAMENTO SPAZIO - TEMPORALE ALL’INTERNO DELLO ZED MAURIZIO PINCHERLE NEANDERTHAL L’ORIGINE MAI DIMENTICATA PIER GIORGIO LEPORI (ARCHEOMISTERICA) LA BIOCHIMICA (SBAGLIATA) DEGLI ELOHIM DALLA BIBBIA SECONDO BIGLINO FABIO MARINO OLTRE ROSWELL IL CORPO DI GLORIA MICHELE PERROTTA PARADIGMA OLOGRAFICO ENRICO TRAVAINI ADDENDUM NON COSA CADDE MA COSA SUCCESSE GIANLUCA RAMPINI GIUSEPPE BADALUCCO CONTENUTI ARTICOLI PAG. 13 IL MISTERO DEL DISORIENTAMENTO SPAZIO - TEMPORALE ALL’INTERNO DELLO ZED NELLA GRANDE PIRAMIDE: UN ESPERIMENTO NELLA GRANDE PIRAMIDE DI MAURIZIO PINCHERLE PAG. 26 NEANDERTHAL, L’ORIGINE MAI DIMENTICATA DI PIER GIORGIO LEPORI (ARCHEOMISTERICA) PAG. 42 IL CORPO DI GLORIA DI MICHELE PERROTTA PAG. 46 PARADIGMA OLOGRAFICO DI ENRICO TRAVAINI CON ADDENDUM DI GIUSEPPE BADALUCCO PAG. 68 OLTRE ROSWELL: NON COSA CADDE MA COSA SUCCESSE DI GIANLUCA RAMPINI RUBRICHE PAG. 3 NOTE A MARGINE DI GIANLUCA RAMPINI PAG. 5 POLVERE DI SIMONE BARCELLI PAG. 6 LUCI DALL’OLTREVERSO DI FABIO MARINO PAG. 11 PALEOSTORIE DI GIORGIO GIORDANO PAG. 40 NERO PRESS (REDAZIONE NERO CAFE’) PAG. 67 CARTA CANTA DI SIMONE BARCELLI PAG.76 LIFE AFTER LIFE DI NOEMI STEFANI PAG.78 TERRE MISTERIOSE DI NOEMI STEFANI Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito agli utenti del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. REDAZIONE Gianluca Rampini [email protected] Simone Barcelli [email protected] Fabio Marino [email protected] Noemi Stefani [email protected] Progetto grafico e impaginazione a cura di Simone Barcelli. Revisione testi e traduzioni a cura della redazione. TRACCE D’ETERNITA’ COLLABORA CON L’ASSOCIAZIONE ASPIS E CON GLI EDITORI CERCHIO DELLA LUNA E XPUBLISHING NOVITA’ DISPONIBILE DA OTTOBRE 2014 PER LA SERIE “I QUADERNI DI TRACCE” “TERRE MISTERIOSE” DI NOEMI STEFANI CERCHIO DELLA LUNA EDITORE 2 NOTE A MARGINE GIANLUCA RAMPINI L’OPLITA CHE È IN NOI Come alcuni di voi forse sapranno la collaborazione tra Tracce d'eternità e Aspis si è ulteriormente solidificata. Ormai sono facce della stessa medaglia. C'è chi dice che la parola “aspide” origini dal suono onomatopeico del serpente che... sssstriscia... sul terreno. Oppure nella sua forma greca originale ἀσπίς, lo scudo greco, derivi dallo scivolare della lama sul metallo oplita. Ma la parola Aspide ha un significato anche molto più moderno. Esiste infatti un missile aria-aria o superficie-aria il cui inconfondibile rumore di lancio non può che ben allinearsi onomatopeicamente alle precedenti ipotesi. Da dove potrebbe provenire una tale associazione? Forse, come credono i sostenitori della teoria degli antichi alieni, già allora vi erano mezzi a reazione i cui rumori sono rimasti impressi nelle culture primitive a tal punto da forgiare alcune delle loro parole. Motori a reazione, motori a diesel, motori elettrici (LLL). Possibile che già nell'antichità esistesse una cospirazione per tenere nascosto il motore ad acqua? Devo dire che ormai mi sono convinto che tutto è possibile. Ma tornando a Tracce noterete che pur diradando le pro- prie uscite sta progressivamente crescendo la propria qualità intrinseca. Certamente è facile cantarsela da soli, credersi belli. Ma tutto il lavoro svolto sino ad oggi e le nuove collaborazioni di cui andiamo particolarmente fieri sono, a mio parere, dati che vanno al di là delle opinioni personali. Di tutte le “interpretazioni” che ho menzionato prima (spero se ne sia colto il senso, se qualcuno non lo ha colto e pensa sia impazzito, mi scriva e sarò lieto di spiegare) quella che più si addice al nostro gruppo, di questi tempi, è certamente quella dello scudo. C'è chi sostiene che l'introduzione di quel tipo di scudo abbia dato origine alla formazione che poi sarebbe diventata la falange, con la sua massima espressione nell'esercito spartano. Gli opliti, ed era questa la caratteristica principale, potevano proteggere con il proprio scudo anche il vicino di formazione. Vi era poi uno spiraglio aperto che permetteva alla lancia di colpire. Direi che, a nostro modo, siamo una sorta di falange. Ci spalleggiamo, non indietreggiamo e colpiamo. La cosa mi sorprende non poco. Non avrei mai pensato che il solo occuparsi, criticamente, di certi argomenti 3 avrebbe potuto metterci al centro di strampalati attacchi. Vero è, come ho sempre detto e continuo a credere, tutti hanno diritto di avere la propria opinione, di sbagliare, di attribuirsi tutta l'importanza che un social network può offrire. È la schizofrenia di Facebook. È un fenomeno che mi ricorda la bolla speculativa sui mutui negli Stati Uniti il cui scoppio ha prodotto una crisi che non vedevano dal 1929. Per me i social-media stanno vivendo lo stesso passaggio, solamente a livello sociale. Nella prima fase c'è stato un magnifico accendersi di democrazia e libertà di informazione, alle volte persino oltre l'apparenza. Successivamente questa tendenza si è inflazionata fino a espandersi a tal punto da andar fuori controllo e produrre un’infinita serie di casi di delirio comunicativo, di allucinazioni culturali e crollo completo del buon senso. Nonostante tutto questo, o forse anche un po' grazie a tutto questo, senza Facebook credo di poter dire che né Tracce né Aspis sarebbero mai nati. Quindi chiudete tutti Facebook, leggetevi Tracce (o anche un bel libro non sarebbe male) e vedrete che non ve ne pentirete. POLVERE SIMONE BARCELLI SIGNORI DEL PIANETA, SCHIAVI DELLA MENTE Yuval Noah Harari, uno scrittore israeliano laureato in storia, è il nome del momento. Di lui si comincia a discutere appena tre anni fa, all’uscita di From Animals into Gods: A Brief History of Humankind, che in breve cavalca le classifiche di vendita diventando infine un bestseller, tradotto un po’ in tutto il mondo. In Italia è Bompiani che ci regala (si fa per dire, 18,70 euro) queste cinquecento e passa pagine della versione italiana Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, uscito a maggio. Jared Diamond, Premio Pulitzer autore di Armi, acciaio e malattie (diventato ormai un classico), non lesina complimenti al giovane collega: “Da animali a dèi… affronta i più grandi interrogativi della storia e del mondo moderno e lo fa con un linguaggio vivido e indelebile…”. E già, il libro è proprio questo: un bel condensato della nostra scellerata esistenza su questo pianeta, con l’autore che riesce a catturare già dalle prime pagine il lettore gra- zie a una scrittura semplice, lineare, avvincente. Harari si interroga, tra le pieghe del libro, sui tanti avvenimenti che hanno contrassegnato il genere umano in così tanti millenni, portando in luce le immancabili incongruenze disseminate sul percorso che hanno condotto all’attuale civiltà. L’autore, forte di una preparazione multidisciplinare che spesso sconfina nell’economia, nell’alta finanza e nella statistica, è convinto che buona parte del nostro passato sia una pura invenzione della fervida immaginazione di alcuni nostri antenati, bravi a raccontare storie e convincere gli altri che fossero vere. È così che l’Homo Sapiens si è convinto dell’esistenza di cose che esistono solo nella nostra immaginazione: divinità, diritto divino dei regnanti, leggi, sovranità dei popoli, nazioni, società commerciali e soldi. La capacità di raccontare queste incredibili e complesse storie e indurre una moltitudine a crederci, è in fondo 4 l’immenso potere che detiene la nostra specie poiché, come scrive l’autore, “fa sì che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni”. E questo è quel che ci differenzia dalle altre specie terrestri. La capacità di creare una realtà immaginaria, secondo Harari, è una rivoluzione cognitiva che proviene dalle parole (ma anche la scrittura negli ultimi cinque millenni, secondo noi, può aver dato un contributo determinante) che, oltre a essere il mezzo principe della trasmissione delle informazioni necessarie per chi vive in gruppo, inevitabilmente finiscono per veicolare anche altre manifestazioni provenienti dai recessi Yuval Noah Harari più oscuri della nostra mente. Per ottenere un consenso sempre più unanime, la nostra esistenza pare costellata di personaggi in grado di adattare queste storie ogni qualvolta ce ne fosse stato bisogno (pensiamo ai racconti mitologici), come se in fondo andassero incontro al volere della moltitudine. Ecco che le storie anche improbabili diventano col tempo accettabili in ogni dove con l’aggiunta di particolari differenti che, a quanto pare, sono graditi e sufficienti per convincere tutti della bontà dei racconti. L’autore si interroga anche sul passaggio fondamentale da raccoglitori-cacciatori ad agricoltori (quindi l’ingresso nel Neolitico), convinto che da quest’altra rivoluzione le capacità cognitive siano rapidamente scemate poiché i nostri avi, inseriti in gruppi sempre più numerosi, si sono specializzati in mansioni semplici e ripetitive, delegando il resto ad altri “specialisti”. Una sconfitta, insomma, se si pensa che proprio allora l’uomo stanziale cominciò a interrogarsi sul futuro (“la preoccupazione si radicava non soltanto nei cicli stagionali della produzione, ma anche nella fondamentale incertezza del sistema agricolo”), a differenza del raccoglitorecacciatore la cui unica preoc- cupazione era procurarsi il cibo e un riparo per la notte. Un altro tema che troverete sulle pagine di questo volume è quello delle responsabilità del genere umano nell’estinzione della megafauna, nonostante ancor oggi si preferisca attribuire questo e altri disastri ecologici alle bizzarrie climatiche: un’altra invenzione della nostra mente per scagionarci dalle responsabilità. E qui Harari non fa distinzione tra raccoglitoricacciarori o agricoltori, tutti hanno fatto la loro parte per distruggere, forse anche inconsapevolmente, l’ambiente circostante. La rivoluzione industriale, in tal senso, è l’ultimo atto della tragedia. L’analisi dell’autore si spinge, a tratti anche con veemenza, a demolire i credi religiosi, quando cerca di dimostrare come questi si siano adattati così bene, alla bisogna, modellando alle esigenze i propri pantheon per accontentare tutti (l’esempio dei Romani al tempo dell’Impero appare credibile), salvo poi trasformarsi in un battibaleno da politeiste a monoteiste. Interessante l’analisi che rivela come la storia del genere umano, soprattutto dal Medioevo in poi, sia stata indirizzata dalle spinte espansionistiche dei regnanti (imperi e ordini religioni) alla cerca di ingenti profitti economici (il capitalismo, la nascita delle 5 banche e il conio delle monete come armi per detenere il potere), che hanno condizionato non solo le vite di molte popolazioni “indigene” ma anche il cammino della scienza e del progresso, i cui rappresentanti sono stati spesso ingannati, manipolati o costretti a scendere a patti con i detentori del potere. Un po’ quello che succede ancor oggi, in un contesto dominato dalle multinazionali. L’uomo è diventato dio, ma va ancora in cerca di verità elementari. La sua immaginazione è ben descritta dall’autore in questo passaggio: “Benché l’ordine immaginario esista solo nelle nostre menti, esso può essere intessuto nella realtà materiale, e persino scolpito nella pietra”. Tra i tanti meriti di questo autore, e di questo bel libro, la capacità di abbracciare tutto il nostro passato in un colpo solo e restituirlo nella sua essenza, focalizzando i fatti salienti che hanno contraddistinto il nostro cammino fino a oggi. Nel bene e soprattutto nel male. Un testo essenziale per comprendere dove stiamo andando. LUCI DALL’OLTREVERSO FABIO MARINO LA BIOCHIMICA (SBAGLIATA) DEGLI ELOHIM DALLA BIBBIA SECONDO BIGLINO PREMESSA INTEGRATIVA (POSTUMA) Ritengo necessario un ulteriore intervento su questo articolo, che ha letteralmente reso sgomenti i seguaci più ardenti del sig. Mauro Biglino, al punto da inventarsi di tutto, pur di sostenere la scorrettezza strumentale delle mie argomentazioni. Successivamente, pubblicherò anche una breve intervista al dr. Marcello Germani, che conferma, senza ombra alcuna di dubbio, quello che io affermo qui. Nel frattempo, desidero sottolineare che nel copia&incolla dall’elaboratore testi al sito, era saltato un capoverso, che qui riassumo, dedicandolo al contestatore-principe, il P.C. (Perito Chimico) Alessandro Demontis. Ricordo a lui e a tutti, infatti, che durante la cottura (tale è la “bruciatura” dei sacrifici) avviene un processo di DENATURAZIONE delle proteine e dei peptidi, per cui i medesimi composti organici perdono completamente la funzione originaria, in quanto vengono rotti i legami che “tengono insieme” gli amminoacidi. Quindi, fermo restando che nel grasso NON ESISTE TRACCIA di endorfine, quand’anche ce ne fossero, esse verrebbero irreversibilmente DISATTIVATE dal processo di cottura. E con ciò, chiudiamo il penosissimo epic fail del sig. Demontis. Infine, qualcuno afferma che le frasi del sig. Biglino sono “vecchie” e risalenti al 2011, come se ciò fosse una giustificazione per una sciocchezza totalmente insostenibile. A tal proposito, ribadisco che il Nostro ha affermato testualmente quanto contestato nel corso del Simposio C.U.N. di San Marino del Marzo 2014 (DUEMILAQUATTORDICI); ho quindi aggiunto ai link di alcune delle Sue ineffabili affermazioni anche la data, da cui si evince che questa è LA POSIZIONE ATTUALE di Biglino in merito alla querelle dei sacrifici. 6 Come molti ormai sanno, il sig. Mauro Biglino si avvia a diventare un autentico genio poliedrico dei nostri tempi. Il Nostro è già famoso per le bizzarre traduzioni pseudo-letterali dell’Antico Testamento (pur ignorando completamente gli elementi basilari delle cosiddette “espressioni idiomatiche”, presenti in ogni lingua viva o morta: ulteriori critiche sostanziali qui), per l’ammirazione sconfinata nei confronti del rag. Fracchia e di Ombretta Colli (Gli piace il noto e vecchio successo “Facciamo finta che“, risalente al 1975 circa), per essersi circondato da un manipolo di sedicenti “esperti”. Anche da costoro, presumibilmente, deriva la poliedricità esibita, che si accinge (lo ha ripetutamente anticipato Lui stesso) a spaziare pure nel mondo classico di “Iliade” ed “Odissea”: immagino con le medesime, ineffabili conclusioni delle sue magniloquenti opere già pubblicate. Nel ricordare ancora una volta, tuttavia, che il suo “lavoro” consiste nella scopiazzatura delle idee di Browning (“The Bible and Flying Saucers”) e di Claude Vorilhon-Rael, devo altresì notare che di recente Biglino discorre con rara competenza anche di Biologia, Biologia Molecolare e Biochimica. Davvero, non è poco. Peccato, però, che prenda solenni cantonate. La storia del razzo egizio, malamente “photoshoppato”, non Gli ha insegnato nulla, vista la sicumera con cui blatera di Biochimica. Vediamo un po’, dunque. Nel corso del Simposio sammarinese dello scorso Marzo, Biglino ha tenuto uno dei suoi soliti interventi: io ed altri Componenti di ASPIS eravamo presenti, LA DATA ERA IL 29 MARZO 2014 (DUEMILAQUATTORDICI). Stavolta, però (a parte la sorpresa di trovarlo in un convegno ufologico, visto che abitualmente rifugge con uguale sdegno sia la qualifica di “ufologo” che di “esegeta”: e in entrambi i casi fa benissimo, visto quello che scrive e dice…) ha tirato fuori dal cilindro una storiella, già parzialmente smontata da un ambizioso giovane. Il lettore probabilmente ricorderà che, tempo addietro, la NASA pubblicò una notiziola, secondo cui il POSSIBILE odore dello spazio interplanetario poteva essere simile a quello emesso da una graticola arroventata. Si trattava, ovviamente, di una curiosità, anche perché nessuno si suppone- può respirare nello spazio vuoto, e quindi annusarlo. Poteva mai una cosa come questa non essere strumentalizzata da un Signore come Mauro Biglino? Ovviamente no! Ed infatti, in quel convegno Egli inserì nel contesto del suo neoevemerismo questo “fatto”, affermando a chiare lettere che il motivo dei sacrifici e degli olocausti offerti a YHWH/Elohim era proprio questo: permettere al nostalgico e brutale alieno di respirare aria di casa, insomma. Non solo: il Biglino afferma che OGNI PRIMOGENITO, di OGNI A- NIMALE (Uomo compreso: e questo già la dice lunga sulla considerazione che l’Autore ha nei confronti della più alta espressione del libero pensiero…) sarebbe stato preteso da YHWH. Le cose, naturalmente, non stanno così: ma ne parleremo a breve, promesso!, in un articolo a parte. Ma il vertice del ridicolo Biglino lo raggiunge quando afferma esplicitamente che “gli è stato riferito” il motivo biochimico per cui il grasso del neonato umano sarebbe così appetibile per gli spietati Elohim, YHWH in testa: se bruciato, infatti, si trasformerebbe in endorfine. Sostanze simili alla morfina prodotte da qualsiasi organismo, in condizioni particolari; sostanze che, inalate (non “annusate“, sig. Biglino: I-N-A-LA-T-E!) da questi selvaggi alieni, ne placavano ansie e dolori. Qui siamo veramente ad un livello altissimo, over the top. Ci sarebbe da ridere, se il concetto in sé non fosse di tale gravità, da far piangere. Ma controlliamo questa affermazione. Questa (figura 1) compongono e la disposizione nello spazio degli atomi stessi è quella in figura. Osservatela bene. Il neonato umano possiede effettivamente discrete quantità di tessuto adiposo (o grasso) BRUNO, come il Famoso Autore afferma. A differenza di quello BIANCO, ben rappresentato nell’adulto in sovrappeso (non in Biglino: Egli, fortunatamente, esibisce una figura slanciata che francamente Gli invidio), quello bruno non è solo “materiale energetico di riserva” che perdiamo con una bella dieta, ma rappresenta una fonte diretta di energia, per motivi metabolici che non specifico, perché andremmo troppo nel tecnico. Ebbene, la formula di struttura dei grassi contenuti nel tessuto adiposo (bruno o bianco la differenza è sostanzialmente trascurabile) è la seguente (figura 2): La struttura degli acidi grassi Come chiunque può vedere, le formule sono drasticamente diverse, e garantisco (prego il LettoFormula di struttura generica delle endorfine re di credermi sulla parola, oppure di verificare, se vuole, in quaè la struttura generale delle enlunque libro di Biochimica e/o Biodorfine: non a caso si parla di logia di livello universitario) che “formula di struttura”. Queste so- non esiste modo, tanto meno atstanze esercitano un’azione assai traverso la semplice cottura simile alle cosiddette “droghe”, ed (questo è il “bruciare un sacrifihanno TUTTE una struttura simile cio”), di trasformare il grasso in a questa: cioè gli atomi che le endorfine. E nemmeno esiste al- 7 cuna evidenza scientifica che l’inalazione di effluvi di grasso possa, in qualunque modo, stimolare la produzione di endorfine. Per ulteriore completezza, segnalo che esistono anche gli steroidi (generalmente sono ormoni, anche se è molto noto il colesterolo), che derivano dai lipidi e si presentano con questa base generale (figura 3), e anche in questo caso non è che somiglino molto alle endorfine… Struttura generica degli steroidi Ora, poiché il Nostro è più sfuggente di un’anguilla, sottolineo che non solo ho udito con le mie orecchie quanto da Lui affermato, ma lo ripete (insieme al suo nuovo mantra “mondo omerico/Bibbia”) in numerose interviste. Ricapitolando: il sig. Biglino farebbe bene, visto il suo recente interesse per la Biologia, a 1 – studiare bene la materia che tanto lo sta attraendo; 2 – in alternativa e/o in aggiunta, ricorrere a “collaboratori” meno compiacenti ideologicamente nei confronti delle sue bislacche idee, e più preparati e capaci di spiegarGli come stanno effettivamente le cose. A scanso di equivoci, io NON sono disposto né interessato a farGli da mentore; sono invece molto interessato, per amore della Verità, a sbugiardarLo ogni volta che sarà necessario. Un’osservazione gratuita, però, voglio regalarGliela, anche se è strano che i Suoi amici biologi, genetisti, naturalisti, motoristi e marconisti non Glie lo abbiano già detto. Esistono animali che, anche da adulti, conservano eccezionali quantità di tessuto adiposo bruno. Sono tutti quelli che vanno in letargo. Capisco che ghiri e scoiattoli sono piccoli. Ma verso Nord, specialmente 4-5000 anni fa, c’erano molti orsi, come anche in America. Possibile che nessun Elohim si sia inventato l’esclusiva del commercio di orsi? O che YHWH (“Absit iniuria verbis!”) fosse così pezzente, da non riuscire a comprare qualche orso ogni tanto? Oppure che, dopo aver affrontato un viaggio megagalattico da chissà dove, non fosse in grado di fare quattro passi in America o in Nord Europa per sgranchirsi le gambe (o i tentacoli) e catturare qualche bell’esemplare di Ursus Spelaeus, invece di accontentarsi delle briciole ebree? Ai liberi pensatori l’ardua risposta. E anche, se vogliono, il diritto di replica. Preferibilmente assennata… ADDENDUM Avevo dichiarato la mia disponibilità a discutere in merito a critiche “preferibilmente assennate“. Ebbene, accanto a moltissimi complimenti (i cui autori ringrazio!), ho ricevuto qualche critica. Purtroppo, nemmeno una assennata. Tralascio volentieri quella secondo cui sono stato troppo duro con il sig. Biglino e sarebbe bastato scrivere che questi sbagliava SENZA ENTRARE NEL MERITO (sic!) (e mi limito al riguardo a ricordare il feroce sarcasmo che spesso Egli stesso usa: chi di spada ferisce, etc. etc.); contrasto invece direttamente le involute 8 affermazioni di un diplomato Perito Chimico, che mi attacca frontalmente così: “Da chimico non ritengo corretto che l’ articolista (il quale mi risulta essere un medico) usi la carta del ‘le formule sono molto diverse’ per sostenere la infondatezza di un argomento… intanto perchè ha paragonato due rappresentazioni diverse, una formula di struttura breve e una formula di struttura semplificata. Inoltre porta come formula di struttura “generica delle endorfine” quella di una particolare endorfina.. le endorfine son di vario tipo e hanno strutture molto diverse… nel link mostro la beta-endorfina per esempio. Se uno ragionasse come Marino in quell’ articolo, confrontando la sua ‘struttura generica’ e quella della b-endorfina dovrebbe dire ‘son completamente diverse, non son correlate’. Ha scelto inoltre proprio una formula di struttura dove non é mostrato il gruppo carbossibilico COOH tipico dei grassi e di molte endorfine, una mossa che non mi aspetterei da un informatore corretto.“ Su tali basi (che dimostrerò del tutto infondate sotto il profilo scientifico ed etico), costui lancia violenti strali contro di me, definendomi, fra l’altro, una “vergogna per il mondo della scienza“, e tacciandomi di totale incapacità ed ignoranza. Affermazioni temperate appena dalla seguente ammissione, giunta solo dopo essere stato adeguatamente sbugiardato con dati alla mano: “Ti ho già abbondantemente risposto: biglino ha scritto una imprecisione. Doveva scrivere che la combustione del grasso poteva liberare eventuali endorfine animali presenti in circolo. Ciò non toglie che il suo errore, non essendo lui preparato in materia, é me- no grave del tuo erroneo utilizzo di discorsi relativi alla somiglianza delle molecole e al tuo paragonare due tipi di formula di struttura diversi per sortire un determinato effetto“.Quindi, se tanto mi dà tanto, il sig. Biglino che scrive libri e fa conferenze fondate su un errore marchiano, è giustificato perché, poverino, non è del ramo, e non è bello “strumentalizzare” i suoi errori per sbugiardarlo… Interessante filosofia, devo dire. In ogni caso, una duplice premessa è d’obbligo. La prima è che questi sono articoli DIVULGATIVI: se avessi intenzione di scrivere trattati o libri, certamente -visti i temi in discussione- ne verrebbero fuori opere comprensibili solo agli addetti ai lavori, e chiaramente non è questo lo spirito né mio, né dei Colleghi di ASPIS; un aspetto dunque da tenere a mente SEMPRE. La seconda è che, in questa circostanza, sono costretto a scendere nel dettaglio tecnico. Cercherò di usare un linguaggio comprensibile, ma per colpa del Perito Chimico contestatore qualche concetto potrebbe essere più ostico del solito. Tuttavia, per mantenere un livello di comprensibilità generale accettabile, non sparerò citazioni tratte dalla mia personale libreria universitaria: non siamo in una Facoltà, qui; utilizzerò link di eventuale approfondimento reperibili sulla Treccani on line: un sito prestigioso, indiscutibile, non specialistico ma sufficiente per i miei scopi QUI ED ORA. Adesso, per chi vuole seguirmi, partiamo pure. Figura 4 La struttura della betaendorfina In primo luogo, il Perito Chimico sbaglia tutto praticamente fin dall’incipit. Intanto, la formula generica (come l’ho definita subito all’interno dell’articolo) che ho pubblicato non è di una endorfina qualunque (come lui stesso scrive: “… porta come formula di struttura “generica delle endorfine” quella di una particolare endorfina“: quindi sa perfettamente che il mio intento era didascalico!). Un Chimico con la “C” maiuscola che volesse buttarla in rissa anche su un semplice articoletto scritto per NON SPECIALISTI avrebbe immediatamente riconosciuto che quella in figura 1 non è una endorfina (come invece lui conferma), ma è LA MORFINA. Ho pubblicato QUELLA immagine solo per esemplificazione, e perché era sufficientemente piccola da non essere invasiva. Il Perito propone invece questa figura (figura 4). Sposta i termini della questione? No, per alcuni motivi. Intanto, continua a non esistere alcuna analogia o somiglianza fra la figura 4 e le figure 2 e 3 (o sbaglio?). In secondo luogo, negli oppiacei (di cui le endorfine, TUTTE, fanno parte) come è possibile vedere esiste il gruppo amminico -NH2 (o quello -NH-), CHE NON SI TROVA AFFATTO nei grassi. Come mai? Semplicissimo: i grassi contenuti nel tessuto adiposo sono LIPIDI, gli oppiacei (e quindi anche le endorfine!) sono PEPTIDI. Stiamo parlando di strutture completamente diverse: i primi sono costituite da lunghe catene di Carbonio, Idrogeno ed Ossigeno (C, H, O), variamente legati fra di loro, ma sempre in modalità LINEARE. Esistono i grassi SATURI (quelli in cui non è presente alcun doppio legame fra due atomi di C contigui), quelli MONO-INSATURI (in cui esiste UN SOLO doppio legame) e quelli PO- 9 LI-INSATURI (in cui i doppi legami fra atomi di C contigui sono molteplici); i grassi saturi sono solitamente di origine animale, quelli poliinsaturi di origine vegetale. Gli oppiacei (e quindi le endorfine: QUALUNQUE endorfina), invece, sono composti derivati dal “montaggio” di amminoacidi. Le proteine sono peptidi, più o meno complessi, pesanti e lunghi; la globina che compone l’emoglobina è una proteina (e quindi un peptide); l’insulina è una proteina, e quindi un peptide. Per la precisione, le endorfine sono piccoli peptidi, che nulla hanno a che fare con i grassi, composti tipicamente da un numero compreso fra 26 e 32 (SOLITAMENTE!) amminoacidi I principali componenti del sistema op- pioide e i loro precursori (figura 5); i precursori sono peptidi ancora più piccoli, con soli 5 o 6 amminoacidi. Tutte cose che ho regolarmente spiegato al mio non troppo gentile Interlocutore. Ora, dove sarebbe il mio malizioso errore metodologico che mi rende “la vergogna per la chimica e per il metodo scientifico” (testuale!)? Chiedo scusa, ma non lo capisco. Capisco benissimo, invece, che chi è messo all’angolo, come il Perito Chimico in questione, non sapendo ribattere (perché nulla ha ribattuto sugli aspetti tecnici) si dedica all’insulto. Proseguiamo, perché esistono un altro paio di esilaranti chicche buttate lì da costui. Il Perito Chimico, in chiara confusione, cita alcuni articoli di Veteri- naria, relativi a studi condotti SUI BOVINI, in cui si rilevano alcuni valori delle endorfine a livello PLASMATICO. Cioè nel sangue. Lui invece afferma che nei grassi BOVINI vi sono endorfine: falso! In ogni caso, esiste una sia pur piccola evidenza che siano presenti nel grasso umano/neonatale? Manco per idea: uno studio (uno dei tanti) dell’Università di Bari, Facoltà di Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, specifica CORRETTAMENTE dove si trovano le endorfine nell’Uomo: Ipofisi anteriore; Ipofisi intermedia, in entrambi i casi specificamente nelle cellule corticotrope, cioè quelle che contengono ACTH (Ormone adrenocorticotropo); il meccanismo di liberazione è lo stesso per l’ACTH e le endorfine; Sistema Nervoso Centrale (S.N.C.): sono contenute in neuroni lunghi il cui soma è concentrato soprattutto nell’ipotalamo medio-basale a livello del nucleo arcuato. Dall’ipotalamo i neuroni endorfinergici si proiettano anteriormente e caudalmente terminando in diverse aree cerebrali: 1) Setto anteriore 2) Nucleo paraventricolare 3) Nucleo paraventricolare del talamo 4) Nucleo parabrachiale 5) Materia grigia periacqueduttale. In altre, semplici pa- role: le endorfine NON sono presenti nei tessuti adiposi, ma, in pratica, solo all’interno dell’encefalo. L’epic fail dell’estremo difensore giunge, inesorabile, quando, nel disperato tentativo di salvare la faccia, giustifica il sig. Biglino, scrivendo: “Non é detto, se le endorfine sono in circolo nei grassi e nei tessuti dell’ animale, il loro bruciare le può liberare. Liberare non significa trasformare.“. Abbiamo visto che le endorfine non si trovano in circolo, e nemmeno nei grassi. Poi, per giustificare l’ingiustificabile difesa d’ufficio, ribadisce: “biglino ha scritto una imprecisione. Doveva scrivere che la combustione del grasso poteva liberare eventuali endorfine animali presenti in circolo“. Insiste testardamente su una sciocchezza scientifica grande come una casa, dunque. Da ultimo, sottolineo che il Perito Chimico sostiene di non aver mai sentito il sig. Biglino affermare quanto da me riportato all’inizio di questo ormai lunghissimo articolo (la trasformazione del grasso neonatale bruciato in endorfine). Bene: non solo i Componenti dell’ASPIS Simone Barcelli, Gianluca Rampini ed Enrico Travaini possono tranquillamente confermare ciò che io affermo, ma lo 10 stesso sig. Biglino (cosa volentieri dimenticata dai Suoi entusiasti sostenitori, che mi accusano di aver citato un solo episodio…) lo ripete sistematicamente. Eccone qualche altro esempio: 1 – Mauro Biglino: “Navi spaziali ed armi micidiali nell’Antico Testamento” (14/08/2011); 2 – La Bibbia non parla di Dio (Mauro Biglino a Studio Aperto – 11/07/2014); 3 – Mauro Biglino – l’odore di carne bruciata (Gennaio 2012); 4 – Intervista a Mauro Biglino (24 Luglio 2014). Mi fermo qui, ma potrei continuare… La cosa davvero triste è che un Perito Chimico parli di “imprecisione da parte di Biglino“, non di “grossolano errore di fatto e di principio“. Sì, davvero triste, se pensiamo che questo signore scrive libri ed articoli, e di converso mi accusa di “di aver utilizzato impropriamente due tipi diversi di formula“. Come al solito, mi rimetto al giudizio del Lettore. Quello intelligente. A quest’ultimo mi permetto di dedicare alcuni, ulteriori link di un certo interesse, che troverete sul sito dell’associazione ASPIS. Ma i meno dotati e i soggetti in malafede ne evitino la lettura. Per favore! PALEOSTORIE GIORGIO GIORDANO LA DINASTIA EBRAICA Genesi. Il primo indizio dell'esistenza degli ebrei è forse rintracciabile intorno al XII secolo a.C., in una stele egizia che fa riferimento alla presenza nei dintorni della terra di Canaan di una popolazione nomade di nome Ysrỉr, comunemente interpretato dagli storici come Israele. Esiste poi un documento scritto in lingua ebraica, datato X secolo a.C., ritrovato a Khirbet Qeiyafa: è una testimonianza indiscutibile dell'esistenza di questo popolo in quell'epoca. Gli ebrei nella sostanza sono il risultato delle stratificazioni etniche avvenute in terra di Palestina nel corso dei secoli precedenti al 1000 a.C., una summa di genti composta da indigeni cananei, filistei stan- Khirbet Qeiyafa ziati nell'area (popoli del mare) e naturalmente tribù semitiche, compresi forse i citati Hyksos. Continuando il racconto, una volta conquistata la Terra Promessa, si impone il dominio dei Giudici, a tutti gli effetti autorità morali che esercitano il potere temporale. Poi finalmente compare una monarchia vera e propria, prima con Saul, a seguire con Davide e Salomone. Non si hanno tuttavia tracce del loro regno unitario (e a mio avviso le mura di base del presunto primo Tempio di Gerusalemme sono molto più antiche, appartengono alla misteriosa civiltà megalitica mediterranea, dunque dagli ebrei quel luogo sacro è stato solo riadattato). Secondo la Bibbia, la monarchia viene “pilotata” da Samuele, giudice e profeta, quindi ancora una volta un'autorità religiosa da cui promana il vero potere. Tutto lo Stato ebraico illustrato dal testo sacro è costruito attor- 11 no al culto di Jahvè e al potere dei sommi sacerdoti. La di- La Stele di Merenptah nastia regale è una intromissione “necessaria”, anche se non molto gradita. È evidente che in Palestina, prima della cattività babilonese, sono esistiti i due Regni di Giuda e Israele e di conseguenza delle monarchie, sebbene non nelle forme descritte dall'Antico Testamento. Un dato che gli autori del testo non potevano Battaglia di Giosuè contro gli amoriti (particolare autografo) , cm. 70 x 82, Museo Puškin, Mosca ignorare e che in caso contrario sarebbe saltato all'occhio come una macroscopica censura. È stato quindi inevitabile dare forma a una casa regnate Davidica, che verosimilmente non è mai esistita. Una monarchia durata poco e finita male. E dopo la divisione dei Regni, a difendere le sorti del popolo ebraico e del vero credo, tanto per non sbagliare, gli autori della Bibbia hanno nuovamente indicato i profeti, ancora figure prettamente religiose. Con la de- portazione a Babilonia sparisce la supposta regalità ebraica. L'ultimo discendente della casata è Zorobabele, il fantomatico capo della prima spedizione a Canaan dopo l'Esilio, che “ovviamente” è accompagnato dal sommo sacerdote Giosuè. Ma al momento della dedicazione del secondo Tempio, Zorobabele semplicemente non è presente, c'è solo Giosuè. La monarchia Davidica viene quindi abolita senza troppo dolore, nello spazio di un paio di ri- 12 ghe. E poi arriva Esdra con la seconda spedizione da Babilonia verso la Terra Santa, che rifonda lo Stato ebraico attorno al culto di Jahvè e sul potere assoluto dei sommi sacerdoti. Naturalmente Esdra è un Levita, un discendente di Aronne: è l'ennesima ufficializzazione dei sacerdoti al potere. Più tardi con i Maccabei, anche loro Leviti, i sommi sacerdoti diventeranno regnanti a tutti gli effetti, fondando la dinastia Asmonea. UN ESPERIMENTO NELLA GRANDE PIRAMIDE IL MISTERO DEL DISORIENTAMENTO SPAZIO - TEMPORALE ALL’INTERNO DELLO ZED MAURIZIO PINCHERLE MOTIVAZIONI DELL’ESPERIMENTO: LE ESPERIENZE DI DISORIENTAMENTO Il mio primo viaggio in Egitto è avvenuto nell’inverno del 1974. Avevo quasi vent’anni e l’arrivo con la piccola nave Orfeus nel porto di Alessan- dria mi portò in un mondo nuovo, esotico, affascinante. Ricordo la strada per il Cairo, lungo il Nilo, i finestrini aperti del taxi anni ‘40, il tramon13 to del sole e la prima fantastica visione, in lontananza, delle tre piramidi all’orizzonte. Uno spettacolo incredibile, una delle emo- Maurizio Pincherle zioni più belle della mia vita. Poi l’arrivo, nel primo pomeriggio del giorno di capodanno, sotto la piramide. Così, dal basso, mi sembrava una montagna di pietra. La salita in quel tunnel, prima ripido e bassissimo e poi improvvisamente immenso e infine la camera del Re, cioè lo Zed e il sarcofago. Le luci flebili, tenui, rendevano l’ambiente suggestivo e misterioso. Trentatré anni ed ero ancora lì, sempre in un pomeriggio invernale, il sole ormai basso sull’orizzonte, i cammelli con i turisti e la troupe della Rai più emozionata e ansiosa di me. Allora, come ora, misteri e ricerca nell’ignoto. Quel pomeriggio del capodanno del 1974 eravamo alla ricerca dello Zed, della torre di pietra all’interno della grande piramide. Io ero lì per fotografare, per documentare le scoperte di un gruppo di pionieri di una nuova archeologia che negli anni successivi portò alla nascita di personaggi come Bauval e Hancock. Di questo gruppo faceva parte anche mio padre che aveva allora più o meno la stessa età che ho io oggi. Ero la mascotte di questo gruppo eterogeneo di persone entusiaste; mi rendevo conto di vivere un’esperienza unica, che avrei ricordato per tutta la vita. Tra le tante cose misteriose, una mi colpì subito: mentre ero all’interno della camera del Re avvertivo attorno a me uno stato di euforia collettiva, come se le persone che mi circondavano avessero subito un condizionamento esterno. Ogni volta che sono rientrato nella piramide ho avuto questa strana sensazione; ma non si trattava di una cosa soggettiva. Le differenti persone che mi accompagnavano nei miei viaggi in Egitto, susseguitisi negli anni, tutte le volte che tornavo nella grande sala del Re mi facevano notare questo stato mentale alterato; fino all’ultimo ingresso, con la troupe di Voyager. Anche questa volta tutti quanti, autori, tecnici, regista, emozionati ed euforici a chiedermi che rapporti potessero esserci tra il loro stato di felicità di quel momento e ciò che avevamo appena finito di registrare con la nostra 14 apparecchiatura. Ma non solo uno stato di grazia, di eccitazione, di euforia; c’era qualcos’altro di misterioso che molti di quelli che erano nei vari anni con me in quel luogo riferivano come legato alla temporalità: un vero e proprio disorientamento temporale, che sembrava acuirsi proprio all’interno di quel contenitore di granito che tutti chiamano sarcofago, ma che forse è qualcos’altro. E allora ecco il desiderio di provare e di capire. Per primo si sdraiò mio padre quel giorno di capodanno. Ricordo come fosse ora il momento in cui gli scattai la fotografia che è stata mostrata ovunque. Poi io. Infine mio figlio. Tre generazioni nel corso di trent’anni… sensazioni diverse, dal disorientamento temporale che rende impossibile la cognizione del fluire del tempo, allo stato vertiginoso che simula quasi una crisi epilettica, all’ottundimento delle sensazioni, particolarmente di quelle acustiche, con incapacità a distinguere la fonte dei suoni, dei rumori, di riconoscere le voci. Tutti sintomi che finiscono immediatamente dopo essere usciti fuori da quel guscio di pietra. A parte le diversità delle sensazioni soggettive incominciai a domandarmi il perché di quelle reazioni cui avevo sempre assistito e che avevo personalmente sperimentato tutte le volte che ero entrato nella grande piramide. Perché quella strana euforia? Perché quella difficoltà a mantenersi dentro a un sistema dipendente da parametri spazio-temporali? Accade qualcosa in quel luogo che altera le funzioni del nostro cervello? Quella tiepida sera di capo- danno del 1974 mi chiedevo già queste cose mentre in taxi ce ne tornavamo allo Shepard, il nostro vecchio albergo inglese al centro del Cairo e il profilo delle piramidi si stagliava sull’orizzonte tinto dalle ultime luci del tramonto. Una domanda che mi sono posto tante volte negli anni e che è diventata quasi assillante in me quando, per i misteriosi percorsi della vita, mi sono ritrovato, nel mio lavoro, a studiare e ad interessarmi del cervello dell’uomo. Brunton racconta la sua straordinaria ed incredibile esperienza vissuta una notte, in cui si fece rinchiudere all’interno della Grande Piramide, dai primi momenti, in cui restò solo ed emozionato a quando incominciò a presentare alterazioni dello stato psichico, accompagnate da manifestazioni dispercettive, che lo portarono fino al punto di sentirsi morire e a vedersi, subito dopo, morto all’interno del sarcofago. Gli parve di vedere, pur con gli occhi chiusi, grigi spettri di nebbia che aleggiavano nella stanza e ombre gigantesche LE ESPERIENZE DI BRUNTON e paurose che sembravano E NAPOLEONE ALL’INTERNO uscite da un regno infernale. DELLA PIRAMIDE Poi, improvvisamente, le fiTempo fa, rovistando tra dei gure svanirono e presero ad vecchi libri, trovai un voluavanzare verso di lui due sametto di Paul Brunton, argome luminose ammantate cheologo ed esploratore in- di bianco. Infine l’esperienza glese del primo novecento. di uscita dal corpo, voltegNel libro, molto avvincente, giando lungo il soffitto e vedendo se stesso, immobile, seduto sul pavimento. Quando, il mattino dopo, uscì dalla piramide era in uno stato di apatia totale, come se fosse sotto l’effetto di una droga. Il racconto è certamente molto emozionante, ma alla fine risulta talmente inverosimile che è naturale chiedersi quanto ciò che l’autore descrive possa essere ritenuto attinente ad esperienze reali, o quanto, invece, debba essere considerato frutto L’autore dell’articolo durante una conferenza 15 di suggestione, o addirittura di fantasia. Un’altra esperienza sconcertante è quella che visse Napoleone durante la Campagna d’Egitto. Egli aveva un grande interesse per quei monumenti grandiosi, che sfidavano il tempo e per i misteri che custodivano; si sentiva attratto particolarmente dalla grande piramide, che allora era quasi completamente sommersa da enormi dune di sabbia. Volle entrarvi e chiese di essere lasciato solo a passarvi la notte. Restò lì al buio, ma non si seppe mai cosa accadde. Alcuni ufficiali del suo seguito riferirono che il mattino seguente egli uscì sconvolto, ma non volle rivelare a nessuno quello che gli era capitato all’interno. In seguito, negli ultimi anni della sua vita a S. Elena, fece alcune volte riferimento a quella terribile notte passata nella piramide, senza tuttavia mai raccontare i particolari che affermava essere tanto incredibili da rendere inverosimile il suo racconto, che finì quindi per non rivelare mai. Così, anche sulla base di queste esperienze di un passato più o meno recente, ho incominciato a maturare l’idea di misurare, con gli strumenti tecnologici di cui disponiamo attualmente, quello che potrebbe avveni- re quando siamo posti in un ambiente così particolare e unico, come quello dello Zed, in cui sono stati osservati i fenomeni di cui abbiamo parlato, fenomeni che ragionevolmente potrebbero essere anche ricondotti a variazioni dell’attività encefalica. È in quest’ottica che è nata l’idea di effettuare un esperimento che potesse rilevare e misurare secondo criteri scientifici (e quindi riproducibili) eventuali variazioni della produzione elettrica cerebrale all’interno del sarcofago, rispetto ad un situazione ambientale “neutra”. tanti sogni irrealizzabili di una vita. L’occasione che ha consentito che le cose evolvessero in un altro senso si è presentata quando la troupe del programma di Rai 2 Voyager si è recata in Toscana a intervistare mio padre. Uno degli autori del programma si è subito dimostrato disponibile ad occuparsi dell’organizzazione materiale dell’esperimento, che sarebbe stato registrato e trasmesso in una delle puntate. Così, dopo aver definito alcuni aspetti tecnici, nel dicembre del 2007, con gli altri componenti della mia équipe, composta da un tecL’ESPERIMENTO NELLA nico di neuro fisiopatologia GRANDE PIRAMIDE: MISU- e da un delegato della ditta RAZIONE E COMPARAZIONE di apparecchiature di eletDELL’ATTIVITA’ ELETTRICA troencefalografia EB-Neuro, CEREBRALE ALL’INTERNO sponsor che ha messo a DELLO ZED E IN AMBIENTE disposizione l’attrezzatura NEUTRO elettronica computerizzata, Ho più volte pensato a que- siamo partiti per l’Egitto, sto progetto, che mi sembra- dove la troupe di Voyager va tanto affascinante quanto stava già preparando tutto il utopistico e irrealizzabile. necessario per Avrei dovuto ottenere l’effettuazione e la ripresa l’autorizzazione a utilizzare dell’esperimento. la piramide per alcune ore, a portarvi le apparecchiature L’ESPERIMENTO elettroniche necessarie, fa- L’esperimento si proponeva cendole funzionare in un di valutare se esistono diffeambiente così particolare. renze tra le registrazioni efLe difficoltà mi sembravano fettuate all’interno del coinsormontabili e realisticasiddetto sarcofago nella mente non alla mia portata, Grande Piramide e registraper cui l’esperimento si avzioni effettuate in un amviava a divenire uno tra i biente neutro (nel nostro ca16 so, una camera di albergo). Si è pensato così di effettuare diverse rilevazioni EEGrafiche, misurando i ritmi cerebrali e le relative mappe elaborate dal computer. Sono state utilizzate apparecchiature computerizzate portatili fornite da EB-Neuro di Firenze, sponsor dell’esperimento. Dette apparecchiature erano costituite da una cuffia, una testina di registrazione, batterie ricaricabili e da un computer portatile con software appropriato. Abbiamo effettuato due registrazioni a distanza di tempo di poche ore l’una dall’altra, cercando di mantenere costanti più parametri possibili (soggetto esaminato, tecnico esaminatore, tempo di esame, apparecchiatura EEG digitale, settaggi). Abbiamo cercato, in altre parole, di poter variare un solo parametro, quello ambientale, nel tentativo di scoprire se questa variazione potesse, mantenendo stabili tutte le altre, essere responsabile di eventuali risposte non uniformi. L’esperimento è consistito in una registrazione all’interno del sarcofago della camera del Re (1° stanza dello Zed) nella Piramide di Cheope, seguita da una seconda in un ambiente per così dire “neutro”, in una camera d’albergo, poco distante dalla Piramide stessa. Lo scopo dell’esperimento era, come detto, di valutare se questa particolare situazione ambientale potesse produrre variazioni dei potenziali elettrici encefalici del soggetto esaminato. È noto che fino ad oggi vi sono state numerose testimonianze di inspiegabili fenomeni dispercettivi e di disorientamento spaziotemporale. L’esperimento non è stato però pensato per dare risposte a questi fenomeni di tipo psichico (che non possono essere registrati sperimentalmente e misurati in modo ripetibile), ma ci si è prefissi di misurare esclusivamente eventuali variazioni di tipo elettrico dei potenziali cerebrali, dato che solo queste sono attualmente registrabili e misurabili in modo certo con apparecchiature adeguate. C’è da aggiungere che il nostro test, per la metodologia usata, non può avere una pretesa di completa attendibilità scientifica, in quanto il campione esaminato, per ovvi motivi, è stato limitato a una sola persona, per cui non possiamo essere in grado di sapere quanto il risultato finale dell’esame possa dipendere dalle caratteristiche di quella persona e dal suo particolare modo di rispondere a diverse situa17 zioni e sollecitazioni ambientali. Si conviene che sarebbe stato necessario effettuare il test su un campione più allargato di popolazione, onde ridurre questo margine di errore dovuto alle diverse risposte individuali, ma si deve pensare alle reali difficoltà ambientali, caratteristiche di un luogo così unico e particolare, visitato, tra l’altro, ogni giorno da centinaia di persone e così difficilmente raggiungibile (la camera del re è situata a circa 45 metri di altezza). Pensiamo che questo test non debba essere considerato che un tentativo iniziale che potrà aprire forse la strada ad altri studi più approfonditi, anche sulle variazioni psichiche che sono state ripetutamente descritte. Sono state effettuate due registrazioni della durata di circa 20 minuti ciascuna, in situazioni del tutto differenti: l’interno della camera del Re presentava una temperatura, un’umidità dell’aria e una saturazione in ossigeno che non abbiamo registrato, ma che hanno certamente “stressato” il nostro soggetto (uomo adulto, di anni 30 circa, in buono stato di salute), il quale presentava, particolarmente all’inizio del test, una evidente sudorazione che ha condizionato la comparsa di artefatti a livel- lo eegrafico. Queste particolari condizioni ambientali non si sono presentate nella seconda registrazione, avvenuta in condizioni microclimatiche ottimali. I RISULTATI La comparazione dei due tracciati elettroencefalografici effettuati in condizioni così diverse, a una prima analisi visiva delle due registrazioni ci porta a concludere che non esistono differenze sostanziali tra i due esami, come risulta evidente dalla fig. 1. (Tracciato superiore = registrazione in ambiente neutro; tracciato inferiore = registrazione all’interno della piramide). Fig. 2: Analisi spettrale effettuata sul tracciato rilevato nel sarcofago della Camera del Re; oltre al normale alfa occipitale, evidente la presenza di un alfa anteriore in Fp2-C4 (in verde) di quasi analoga rappresentazione. Potremmo pertanto dedurre che, non esistendo differenze sostanziali nei tracciati, sono trascurabili gli effetti di interferenza dell’ambiente all’interno della Piramide. Se però non ci fermiamo so- Fig. 1: Analisi comparativa visiva dei due tracciati (in basso quello effettuato all’interno del sarcofago nella camera del Re della Piramide di Cheope). 18 lo all’analisi visiva dei tracciati, ma effettuiamo un’analisi più approfondita utilizzando le possibilità di elaborazione fornitaci dal computer, che nel corso della registrazione ha memorizzato milioni di dati, possiamo rilevare con certezza che esistono differenze non trascurabili tra i due tracciati. Queste differenze riguardano sostanzialmente la presenza di ritmi, assimilabili al fisiologico ritmo alfa occipitale, che compaiono nel corso di tutta la registrazione effettuata nella piramide, in corrispondenza delle aree frontali (le aree del pensiero) (Fig 2-3) e nella norma non dovrebbero evidenziarsi, come in realtà avviene nella registrazione in ambiente neutro (v. fig. 4, 5), in cui il ritmo alfa predomina nettamente in sede occipitale. Fig.3: Analisi spettrale effettuata sul tracciato rilevato nel sarcofago della Camera del Re; di nuovo evidente la presenza di un alfa anteriore molto ben rappresentato in Fp2-C4 (in verde), oltre a quello posteriore. Fig. 4-5 : Registrazioni in ambiente neutro. In Fp2-C4 (aree frontali) scarsa rappresentazione di ritmi assimilabili all’alfa (in verde), in rapporto al ritmo alfa a livello delle aree posteriori (T4-O2) molto ben rappresentato 19 Una presenza di un ritmo strutturato di questo tipo, come avviene per l’alfa posteriore, che si struttura a occhi chiusi, quando le cellule nervose delle aree visive si attivano uniformemente, potrebbe fare pensare a una attivazione “armonica” dei neuroni delle aree frontali, fenomeno che in condizioni normali non si rileva. Possiamo pertanto concludere che mentre dalla comparazione visiva dei due tracciati non si rilevano differenze sostanziali che possano fare ipotizzare l’esistenza di interferenze ambientali maggiori in un caso rispetto all’altro, l’analisi ed elaborazione spettrale computerizzata mette in evidenza significative differenze tra le due registrazioni, particolarmente rilevando l’esistenza nelle aree anteriori di ritmi elettrici assimilabili per banda di frequenza ad un alfa, unitamente ad una minore Fig. 6: Grafico delle differenze della banda di frequenza alfa nella piramide e in ambiente neutro (valori relativi a quattro momenti delle rispettive registrazioni in piramide ed ambiente neutro). 140,0 120,0 100,0 F2-C4 piramide 80,0 T4-O2 piramide 60,0 F2-C4 neutro T4-O2 neutro 40,0 → 20,0 0,0 Reg. 1 Reg. 2 Reg. 3 Reg. 4 140,0 120,0 ← 100,0 80,0 piramide 60,0 neutro 40,0 20,0 0,0 F2-C4 piramide Reg. 1 F2-C4 piramide T4-O2 piramide F2-C4 neutro T4-O2 neutro F2-C4 neutro T4-O2 piramide Reg. 2 56,2 113,0 77,3 130 → T4-O2 neutro Reg. 3 43,4 71,3 56,8 126 Reg. 4 56,6 72,6 31,1 117 Fig. 7: Grafico delle differenze della banda di frequenza alfa nella piramide e in ambiente neutro (valori medi calcolati sui dati riportati; cut-off per i valori estremi). 54,4 50,5 38,1 110 ← 80,0 70,0 60,0 Fig. 8: Grafico dei differenziali dei potenziali alfa registrati a livello occipitale e frontale nella piramide e in ambiente neutro (dati ottenuti dai valori medi calcolati con cut-off per i valori estremi) 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 Dif ferenziale piramide Dif ferenziale neutro piramide → F2-C4 piramide F2-C4 neutro T4-O2 piramide T4-O2 neutro neutro 55,3 47,45 72,0 121,5 Differenziale piramide Differenziale neutro 20 16,7 74,05 rappresentazione percentuale dell’alfa posteriore, nel corso di quella effettuata nel sarcofago della Grande Piramide (v. fig. 8). Una discrepanza di questo tipo, pur essendo da valutare con prudenza, dovrebbe essere considerata significativa, anche per possibile esistenza di una ipotizzabile interferenza ambientale e pertanto meritevole di ulteriori futuri approfondimenti. CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI DELL’ESPERIMENTO L’analisi dei dati ottenuti ci permette di affermare con ragionevole sicurezza che all’interno della Piramide di Cheope si è avuta una registrazione EEG particolare, che differisce sostanzialmente dalla registrazione ottenuta nello stesso individuo nella stessa giornata in ambiente neutro, che può essere considerata del tutto normale e tipica di un soggetto sano. Il quadro EEG ottenuto all’interno della Piramide è caratterizzato da una diffusione del ritmo alfa sui lobi frontali e temporali, sede delle aree del pensiero. Non è noto perché ciò avvenga; sarebbe opportuno approfondire ulteriormente lo studio, al fine di verificare con certezza l’esattezza dei dati ottenuti, attraverso l’allargamento del campione studiato, anche con lo scopo di comprendere i meccanismi neurofisiologici che stanno alla base di questo fenomeno. Partendo dai pochi dati ottenuti dal nostro esperimento, abbiamo a questo punto deciso di cercare in letteratura l’eventuale esistenza di altre condizioni in cui fossero stati registrati tracciati EEG simili a quello ottenuto da noi nella Piramide. Con un certo stupore abbiamo trovato alcuni lavori in cui venivano citati risultati analoghi al nostro. Si trattava di rilevazioni EEG, effettuate in diverse situazioni, in cui è stata osservata una diffusione anteriore del ritmo alfa in soggetti che venivano esaminati per studiare particolari stati mentali. La differenza con il nostro caso ci appariva però lampante: il soggetto da noi valutato era un individuo normale posto in un ambiente particolare; i soggetti esaminati negli studi reperiti in letteratura presentavano capacità psichiche o stati mentali particolari in situazioni ambientali presumibilmente normali. Abbiamo potuto rilevare che è stato possibile registrare una diffusione anteriore del ritmo alfa in condizioni di attivazione mentale particolare, in assenza di patologia neuropsichica, nelle seguenti situazioni: 21 Meditazione Trance Qigong Estasi mistica Analizziamo più in particolare cosa avviene in queste condizioni: EFFETTI DELLA MEDITAZIONE SUL CERVELLO: STUDI E OSSERVAZIONI SCIENTIFICHE A partire dalla seconda metà del Novecento, si è iniziato a utilizzare strumenti moderni di indagine scientifica, come l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma, con lo scopo di analizzare i processi che si realizzano durante l’esecuzione degli esercizi di meditazione. Nella seconda metà degli anni Sessanta lo psichiatra giapponese Hirai ha condotto uno studio sistematico su soggetti esperti di meditazione, quali i monaci Zen. Hirai, usando l’EEG e l’ECG, ha documentato un aumento dell’ampiezza e della regolarità delle onde alfa, particolarmente a livello delle cortecce frontali, anche a occhi semiaperti, con una diminuzione significativa del consumo di ossigeno, della frequenza respiratoria e di quella cardiaca. Un recente studio, realizzato da psicofisiologi dell’Accademia delle scienze mediche della Russia, utilizzando una raffinata procedura elettroencefalografica, ha analizzato le modificazioni cerebrali di venti meditanti esperti, sia durante gli esercizi, sia a riposo, evidenziando come la meditazione si inserisca nel fluire complesso delle armoniche cerebrali: durante gli esercizi meditativi si è registrata una riduzione della complessità dell’attività cerebrale delle aree fronto-mediali e centrali, associata a un incremento delle onde alfa. Sembra che ciò avvenga attraverso un meccanismo che produce una disattivazione dei circuiti irrilevanti per il controllo dell’interno con inibizione delle informazioni non pertinenti e una riorganizzazione dei circuiti maggiormente coinvolti. di seguire un comportamento a forma di U. Se si considera il ritmo alfa come manifestazione di una relativa inattività funzionale della corteccia, l'attivazione di una particolare area cerebrale si accompagna a una diminuzione della quantità di ritmo alfa. Così la maggior parte dei soggetti destrimani presenta una maggior quantità di alfa nell'emisfero destro rispetto al sinistro. Più la trance è autogena, maggiore è l'attivazione del ritmo alfa dell'emisfero destro. La chiusura degli occhi intensifica la produzione di onde alfa nel cervello, le quali si associano con l'esperienza di intuire, sentire e immaginare in maniera costruttiva ed associativa con il sistema limbico ipotalamico, con la corteccia centrale e con i processi dell'emisfero destro. informazione' (Qi), sia all'interno del proprio organismo sia in entrata e in uscita dal medesimo. Dal punto di vista elettroencefalografico sono state accertate alcune caratteristiche peculiari: 1) Durante lo stato di quiete Qigong si verifica un aumento dell’intensità del ritmo alfa e lo spostamento della frequenza del picco dall’area occipitale a quella frontale; 2) Fenomeni di facilitazione a livello dell’area troncoencefalica e dell’ipotalamo (ponte tra attività psicologica e fisiologica). 3) Prevalenza dei picchi alfa nell’emisfero sinistro (linguaggio) all’inizio dell’esercizio e graduale estensione della coerenza cerebrale all’intero cervello. 4) Durante l’emissione di Qi TRANCE Il QIGONG avviene un aumento di Evans (1972) ha osservato Per dare una definizione sinintensità dello spettro e come nello stato di trance il tetica potremmo dire che il uno spostamento del picritmo alfa presenti un com- Qigong, definito anche co all’emisfero destro portamento paradosso. ‘callistenia taoista’, consiste (immagine) con un ritmo Esso si desincronizza e scom- in una serie di esercizi di difprossimo alle onde beta, pare, sia in colui che si ficoltà progressiva, che si mentre nel soggetto ricesveglia e torna attento alle svolgono attraverso il convente si verifica una situaattività cognitive-percettive, trollo del corpo (sia in quiete zione simile a quella corsia nel soggetto sveglio, in che in movimento), del rispondente allo stato di via di rilassamento, man ma- respiro, del pensiero e delle meditazione Qigong no che tende a diventare emozioni. Lo scopo è quello (prevalenza onde sempre più sonnolento. di acquisire una padronanza alfa). In confronto con tali paracosciente dei flussi di metri il ritmo alfa dimostra 'materia-energia22 Negli elettroencefalogrammi dei praticanti di Qigong appare un notevole aumento di coerenza delle onde cerebrali e quindi un maggiore ordine e un incremento di energia ricavato dalla sincronicità delle onde, che infatti aumentano sino a quattro volte la loro ampiezza. IL CASO DEI VEGGENTI DI MEDJUGORJE Il caso dei ragazzi veggenti di Medjugorje è balzato all’attenzione dell’opinione pubblica agli inizi degli anni Ottanta. Ancora oggi la chiesa non si esprime ufficialmente su questa vicenda, che prosegue ormai da quasi trent’anni. Come tutte le storie in cui accadano eventi fuori del normale la scienza si è interessata del caso studiandolo in modo approfondito, per cercare di comprenderne i meccanismi e il significato. Diverse equipe internazionali si sono recate in questo sperduto paesino della Bosnia Erzegovina per registrare ed analizzare i fenomeni che si caratterizzavano come paranormali, focalizzando l’attenzione particolarmente sulla funzionalità neuropsichica dei sensitivi. La prima organica rilevazione scientifica condotta con l'ausilio delle più avanzate apparecchiature per studiare e verificare le condizioni fisiologiche dei veg- genti durante lo stato di estasi, è stata quella condotta dalla équipe francese diretta dal dott. H. Joyeux, dell’Università di Montpellier. Il dr. Joyeux ha effettuato 5 tipi di test per studiare le funzioni vitali principali dei veggenti: funzione cerebrale (elettroencefalogrammi prima, durante e dopo l'estasi); funzione oculare e visiva con riflesso fotomotorio, funzione cardiaca con pressione arteriosa, funzione fonatoria, funzione uditiva. Prima dell'estasi i ragazzi erano rilassati, naturali, attenti, disponibili verso gli altri. Durante lo stato estatico i veggenti percepivano una persona per essi ben reale "a tre dimensioni" che essi erano in grado persino di toccare; “tutti gli sguardi convergono, situando l'apparizione nel medesimo punto”. A differenza dei medium, nelle sedute spiritiche, i ragazzi conservavano una perfetta coscienza della propria identità; i loro visi erano perfettamente armoniosi e rilassati: il tutto evidenziava uno stato di benessere e di felicità. Le loro pupille continuavano a reagire alla luce durante l'estasi, ma il riflesso di ammiccamento alla stimolazione luminosa cessava totalmente. Un EEG-poligrafia con registrazione dei movimenti 23 oculari, rivelava che, all'inizio dell'estasi, i movimenti oculari di Marija e Ivan si arrestavano. Questo era un indice sicuro dell'obiettività dell'apparizione. “L'interposizione di una persona, di uno schermo o delle palpebre chiuse, non impedisce la percezione dell'apparizione”. STUDIO ELETTROENCEFALOGRAFICO Indagini elettroencefalografiche sono state eseguite in giorni distinti a tre "veggenti": a Ivan, il 10 giugno 1984, a Maria il 6 ottobre 1984, a Ivanka il 7 ottobre 1984, con un apparecchiatura a otto canali di registrazione Reega Minihuit-TR Alvar Electronic. La registrazione, della durata di circa mezz'ora, veniva realizzata immediatamente prima, durante, e immediatamente dopo la vicenda dell’ "apparizione". In tali giorni la durata dell'estasi fu il 10 giugno di circa 62 secondi, il 6 ottobre di circa 120 secondi, il 7 ottobre di circa 80 secondi. Dalle registrazioni effettuate è emerso che i soggetti certamente non erano affetti da epilessia o da equivalenti epilettici. La lettura dei tracciati ha condotto a escludere che l'estasi corrispondesse a una fase di sonno o che fosse accompagnata da sogni. Per quanto concerne gli aspetti elettroencefalografici, prima dell'estasi l’EEG delle veggenti Ivanka e Marija evidenziava una fusione di ritmo alfa (stato di rilassamento, contemplazione) e ritmo beta (stato di attenzione, di riflessione). Dopo l’inizio dell'estasi mistica, invece, il ritmo beta scompariva lasciando il posto ad un alfa puro, che predominava progressivamente a cominciare dall'inizio dell'estasi, diffondendosi su tutte le aree dell’encefalo. Non comparvero altri ritmi che lasciassero sospettare stati patologici. I risultati di ricerca dell'equipe del dott. Joyeux sono stati completamente confermati dai test del gruppo di ricercatori italiani diretto dal dott. Frigerio (marzo e settembre '85). Il neurologo Phillip Loron ha descritto lo stato dei veggenti durante l'apparizione anche con le seguenti parole: “Per il tempo delle loro estasi il cervello è assorbito da una percezione particolare. Il loro cervello è in uno stato paragonabile a un profondo rilassamento, anche se in quel momento essi sono attivi e tengono gli occhi aperti. Gli apparecchi EEG che misurano l'attività del cervello mostrano che tipo di ritmi si ha durante l'apparizione. È interessante notare che nel tempo in cui i ragazzi dicono di avere l'apparizione essi sono attivi, tengono gli occhi aperti, ma il cervello emette onde che non sono tipiche per tale condizione (beta), ma onde alfa diffuse (tipiche degli stati di meditazione). Affermiamo l'assenza di qualsiasi patologia o malattia. Si esclude qualsiasi epilessia o altra malattia nervosa”. Secondo Phillip Loron la scienza attualmente non può spiegare cosa accada, a livello di funzionalità neurologica, durante le apparizioni: i veggenti appaiono completamente separati dal mondo esterno e in quei momenti non reagiscono a stimoli uditivi, né visivi. dell’encefalo e in particolare le aree frontali. Si è potuto accertare che ciò avviene in condizioni molto tipiche in soggetti particolarmente allenati a raggiungere un controllo delle proprie funzioni cerebrali e conseguentemente psichiche (monaci tibetani, taoisti, medium). Lo stesso fenomeno di diffusione dell’alfa verso le aree frontali e a tutto l’encefalo avviene però in modo repentino in soggetti che non hanno fatto alcun training, come i veggenti di Medjugorje, nel corso di fenomeni estatici spontanei ed imprevedibili caratterizzati anche da alterazione della percezione sensoriale-sensitiva, che possono essere ragionevolCONCLUSIONI mente collegati e ricondotti Abbiamo visto che l’attività a modificazioni sconosciute elettrica cerebrale può mo- e incomprensibili dal punto dificarsi rispetto ai normali di vista ezio-patogenetico parametri di funzionalità in della funzionalità cerebrale. alcune condizioni. Sembra La registrazione EEG da noi che esistano modi di funzio- effettuata all’interno della nare dell’encefalo che anco- Piramide di Cheope ci mora conosciamo pochissimo, stra lo stesso tipo di attivama che abbiamo potuto re- zione dell’alfa frontale, in un gistrare con le sofisticate ap- soggetto senza particolari parecchiature di cui oggi poteri, ma soltanto in quella disponiamo. In particolare situazione ambientale, che si sono potute osservare sembra avere un ruolo partidelle variazioni del ritmo colarmente significativo nel alfa, che normalmente è produrre cambiamenti presente nelle aree occipitali dell’attività cerebrale in un visive in stato di veglia a senso ancora sconosciuto e riposo, il quale tende, in misterioso. questi casi, progressivamente a invadere il resto 24 BIBLIOGRAFIA Bernheim, H. Suggestive therapeutives: A tratise on the nature and uses of hipnotism. Westport, Conn:Associated Booksellers,1886-1957 Bertini,M, Lewis,H.B.,Witkin H.A., Some preliminary observation with an experimental procedure for the study of hipypnagogic adn related phenomena. Arch. Psich. Neurol. Psychiat. 6, 493-534. 1964 Brunton, Paul; Egitto segreto. Armenia Editore, Milano 1978 Carosella, A., Bottaccioli, F., Meditazione, psiche e cervello, Tecniche Nuove, Milano 2003 Eisemberg, D., Wright, T. L. En- counters with Qi, 1985, Trad. it.: La Via della Medicina Cinese, Ubaldini, Roma 1986 Frigerio, L., Mattalia, G., Bianchi, L. Dossier scientifico su Medjugorje. ARPA 1986 Hobson, J.A. Mc Carley,R.W. The brain as a dream generator:an activation syntesis. Hypothesis of the dream process.Am..J. Psychiat., 134,1335-1348? 1977. Hubel, D.H. Single unit activity in striate cortex of unreistrained cats. J. Physiol. (Lond.). 1959. Joyeux, H., Laurentin, R. Studi medici e scientifici sulle apparizioni di Medjugorje, Ed. Queriniana, Brescia 1985 Mancia, M. Neurofisiologia e Vi- ta Mentale.-Zanichelli. BOLOGNA 1980. Pincherle, Mario, La Grande Piramide, come fu costruita e cosa nasconde, Filelfo Ed., Ancona 1977 Pincherle, Mario, La Grande Piramide e Lo Zed, Macro Edizioni, Cesena 2000 Piscicelli,U. Trance e Psicoterapie Brevi.-SEU-Roma 1995 Sierra, Javier; Il segreto egizio di Napoleone. Marco Tropea Ed. Il Saggiatore, Milano 2006 Spiegel,H, Spiegel, D. Trance and Treatment. Basic Books. New York. 1978 Maurizio Pincherle è nato nel 1955 a Modena e vive a S.Benedetto del Tronto. Dopo aver conseguito la maturità scientifica ad Ancona, nel 1984 si è laureato in medicina e chirurgia presso l’Università di Bologna, dove ha anche ottenuto, nel 1989 il diploma di specializzazione in neuropsichiatria infantile, con lode. Nel 1993 si è perfezionato in Sviluppo neuropsicomotorio in età evolutiva presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell`Università La Sapienza di Roma. Dal 1988 al 1992 ha diretto il Centro di riabilitazione A.N.F.F.A.S. di Macerata, quindi dal 1992 al 2000 ha svolto attività come neuropsichiatra infantile specialista ambulatoriale presso varie ASL delle province di Macerata ed Ascoli Piceno. Dal 1994 svolge anche attività di psicoterapeuta. Dal 1993 al 1996 ha fatto parte del Progetto Helios 2 della C.E.E. sull`handicap; è stato inoltre tra i redattori delle Linee guida nella riabilitazione precoce emanate dalla CEE. E’ stato docente in numerosi corsi di formazione e di aggiornamento organizzati da scuole e da altri Enti (Comuni, Regione, Provincie, Ordini dei medici, associazioni culturali, ecc…). Ha fatto parte nel 1994-95 della Commissione Regionale di esperti per lo studio della legge 104 che ha formulato l`Atto di indirizzo regionale sull’inserimento scolastico dei portatori di handicap. Nel 2000 ha fondato il Centro Diurno per soggetti affetti da Autismo ed altre psicosi precoci Casa di Alice di Grottammare (AP). Dal 2002 ha collaborato, come Docente di neuropsichiatria infantile, con l`Università degli Studi di Macerata (Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria). Dal 2003 è Responsabile dell Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile, dell`Ospedale di Macerata. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche di argomento neuropsichiatrico, su varie riviste specializzate, sugli atti di convegni nazionali ed internazionali, nonché su Internet. Dal 1992 collabora come Consulente Tecnico d`Ufficio con il Tribunale per i Minorenni delle Marche, il Tribunale di Fermo, di Macerata, Ancona ed Ascoli Piceno, Corte d`Appello delle Marche ed ha al suo attivo numerose perizie di argomento neuropsichiatrico infantile. Dal 1999 al 2001, è stato Giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni delle Marche, e dal 2002 è membro esperto di problematiche neuropsichiatriche dell`età evolutiva presso la Sezione Minori della Corte d`Appello delle Marche. Nel Marzo 2007 ha fondato l’Associazione “Petali Azzurri Onlus” per il sostegno alle famiglie di bambini con malattie neuro-psichiche di cui è attualmente presidente. Nel Dicembre 2007 ha condotto uno studio sperimentale sull’attività elettrica cerebrale per la trasmissione televisiva di Rai 2 Voyager all’interno della Piramide di Cheope. 25 NEANDERTHAL L’ORIGINE MAI DIMENTICATA PIER GIORGIO LEPORI (ARCHEOMISTERICA) Introduzione Molte riflessioni è difficile possano essere autoctone, spesso e volentieri sono innescate da situazioni particolari che ci circondano, frasi in famiglia, discussioni in strada, un dialogo all’interno di un film, una conferenza e sovrana indiscussa in tal senso la lettura di un libro. Nel caso specifico il libro è lo splendido La Storia che Verrà di Simone Barcelli (Ed. Cerchio della Luna, 2013). Con tanto di dedica personale dell’Autore e menzione tra i ringraziamenti. Non è questo però l’argomento di questo articolo. Ivi si parla di Neanderthal e soprattutto del suo riscatto di fronte all’assise paleontologica grazie al fiorire - negli ultimi due o tre anni - di decine di articoli, scoperte, studi che l’Ortodossia illuminata e l’Eterodossia portano avanti aldilà dei luoghi co- 26 Corriere del Ticino (reprise from Journal of Human Evolution) Science (Le Scienze edizione Italia) Il Sole 24 Ore Scienze Fanpage Galileo - Giornale di Scienza Wired muni insegnati da decenni ai nostri pargoli. Un dubbio atroce lo ebbi quando costruii la Conferenza sulla Tecnologia delle Antiche Civiltà cimentandomi in un incipit antropologico e paleontologico atto a dimostrare la possibilità di un’evoluzione ‘a tre dimensioni’ (ovvero all’interno di periodi storici interconnessi e di convivenza tra le varie specie homo) e non puramente di superamento morfologico o cronologico tra una specie e l’altra. Immancabilmente venne fuori un quadro in grado di smentire la visione bidimensionale che attanaglia i nostri ricordi ovvero l’escalation dal primate al Sapiens: Darwin e ad altri, non ultima la presenza e lo svilupparsi di capacità intellettive dapprima riconosciute solo al presunto ‘ultimo stadio’ ovvero il Sapiens. Fortemente incuriosito, ho dapprima ipotizzato un lavoro da inserire nella serie monografica ‘Quaderni di Tracce’ (pubblicata da Cerchio della Luna Editore, con cui questa redazione collabora da tempo) ma poi mi è subito balzata agli occhi la forte difficoltà nel costruire una guide-line in breve tempo su un così complesso argomento. Questo mio, infatti, nasce come sinossi di almeno una quarantina di articoli trovati negli archivi in rete, appartenenti alle maggiori testate na- La figura che osserviamo pretende di visualizzare un cambiamento morfologico tra le varie specie semplificando al massimo il darwinismo. Eppure sembra non essere così poiché il genere homo sta dimostrando di essere una ‘creazione’ della natura grazie alla sua capacità di speciazione all’interno della quale, durante il corso evolutivo, si manifestano le caratteristiche della specie tanto care a “Dunque se è esistito un periodo antecedente alla storia umana conosciuta, esiste anche una storia sconosciuta che occupa la gran parte della nostra avventura di uomini. Basterebbe questo ad zionali o a copertine imporabbattere il ‘senso comune’ tanti nonché naturalmente a che abbiamo della ‘Storia’ e spunti presenti in blog di ‘ordine secondario’ - passate- prendere in considerazione mi il termine - i quali spesso la possibilità che prima di hanno riproposto articoli ap- noi una o più civiltà evolute partenenti a ben altri blasoni. abbiano lasciato le loro tracce nei millenni più lontaQueste le testate fonti (ma non mancherò di apporre note ni.”(1) È evidente quali sia la spinta assai più esplicative): in tal senso: il pensiero eterodosso deve, giocoforza, diveLa Repubblica La Stampa nire ortodosso. Questa è la Focus ratio dell’Eterodossia. Per National Geographic Italia 27 e via discorrendo. Come dicevo in precedenza, tranne un paio di accenni risalenti a prima del 2007, è un proliferare di dichiarazioni, scoperte e revisioni redatte tra il 2011 e il 2014. Se ci soffermiamo sull’anno della scoperta nella valle tedesca di Neander, 1856, ci rendiamo subito conto della repentina evoluzione cognitiva che tuttora si sta levando dai fossili dell’antico cugino. Ma perché? Da come chiosa Adriano Forgione nella prefazione del testo di Barcelli a pag. 5: quasi 150 anni, il Neanderthal è rimasto nel limbo della sottospecie Sapiens: qualora dovessimo considerare l’esplosione d’interesse tra il 2011 e il 2014 possiamo affermare tranquillamente che le considerazioni becere di certa ortodossia hanno obnubilato menti e cultura media per almeno 155 anni e i danni in tal senso sono incommensurabili. Il Neanderthal, al contrario, si scopre come una specie a sé stante, ipoteticamente derivante dall’Heidelbergensis, sicuramente lontana da quella inutile ricerca dell’anello mancante, forza estrema dei concetti ortodossi, motore dell’incessante retrodatare la nostra origine (oggi fino a 4,5 -6 milioni di anni) nel tentativo disperato di cercare un trait-d’union con i geni dei pan troglodytes (scimpanzé) o di qualche altra scimmia antropomorfa, guardandosi bene dal comunicare che circa il 95% del corredo genetico appartenente a certuni ratti - ad esempio - coincida con il nostro. Mai titolo fu più azzeccato se non quello del libro scritto da Simone ‘La Storia che Verrà’. Allora vediamo in dettaglio la sinossi degli articoli trovati in rete. Categorie di studio Ho identificato cinque categorie in cui sono suddivisi gli articoli: Capacità di dialogo Genetica Malattie Datazione/Estinzione Caratteristiche Socioculturali Capacità di dialogo Tra le varie scoperte che hanno caratterizzato questi ultimi anni, sicuramente l’aver riconosciuto ai nostri antenati capacità espressive, dialogiche è davvero la più rivoluzionaria. Fino a qualche decennio fa, infatti, la paleontologia affibbiava alle comunicazioni (presunte oltretutto) tra Neanderthal l’epiteto di ‘grugniti’. Non è che sospendesse il giudizio, non sia mai: pontificava dall’alto di una presunzio- 28 ne d’inferiorità basata di fatto sul nulla. A discolpa di questi ‘Soloni’ vi è il progresso brutale della tecnologia rispetto ai tempi evolutivi di appena 30 anni fa e la libera circolazione delle informazioni. In un sito israeliano neanderthalensis a Kebara, nel 1989, fu ritrovato un frammento di osso ioide, elemento fondamentale per emettere articolazioni sonore ovvero voce. A quest’osso infatti si coordinano lingua, laringe e i muscoli che permettono di emettere suoni fonetici. L’equipe responsabile della scoperta, capitanata dal Prof. D’Anastasio, è italiana, di Chieti ed è formata da esperti antropologi i quali hanno coinvolto i fisici del Centro Internazionale di Fisica Teorica a Trieste con il fine di utilizzare raggi X nell’esplorazione profonda del frammento senza danneggiarlo dopodiché hanno passato la mole di dati da analizzare ad un nucleo di biomatematici australiani. L’obiettivo? Capire l’incidenza dei 32 muscoli legati allo ioide e i loro movimenti in base alle trasformazioni morfologiche del fram- mento stesso e pertanto dichiarare con certezza l’uso fonetico. La mappatura funzionò e il tracciato sonoro neandertaliano risultò essere simmetrico al nostro ma – udite, udite – assai diverso dai bonobo e dagli scimpanzé. E qui vi sarebbe da fare una riflessione. La parola è dunque molto più antica dei Sapiens e tra 200mila e 40mila anni or sono voci differenziate riempivano l’area dell’allora Eurasia senza prerogative da parte del Cro-Magnon. I Neanderthal vivevano dunque in società complesse e ben organizzate, comunicavano e dialogavano tra loro e non solo. (2) Il dialogo giustificherebbe anche il confronto, ad esempio, progettuale su monumenti ritenuti impossibili da noi moderni per il solito errore: giudicare in base ai nostri parametri ritenuti i più efficaci, dimenticando che le espressioni tecnologiche sono coerenti con i tempi contingenti e non con un’assoluta percezione del progresso lineare. Afferma giustamente D’Anastasio: ‘Le nostre osservazioni si aggiungono a una serie di prove paleontologiche, archeologiche e genetiche che pure indicano che l'uomo di Neanderthal fosse dotato di parola […] Dall'uso di pigmenti fino all'impiego di resti animali (piume o altro) come orna- mento personale, diversi comportamenti possono infatti essere avvicinati a una forma di linguaggio e all'uso di simboli che erano prima attribuiti esclusivamente a Homo sapiens’. (3) Affermare l’uso di linguaggi diretti e indiretti - simbolici vuole dire rivoluzionare il percepito che abbiamo della preistoria, nota battaglia eterodossa. Persino la mancanza di astrazione viene a configurarsi come un’affermazione basata sulle convenzioni paleontologiche e non su studi reali. Come hanno fatto i tecnici a stabilire questa capacità? con una risoluzione non raggiungibile dalla TAC convenzionale. […] I nostri colleghi australiani e canadesi hanno poi effettuato alcune simulazioni con la cosiddetta 'analisi degli elementi finiti', progettata in origine per studiare i materiali aerospaziali e capace di misurare le risposte biomeccaniche di un campione soggetto a determinate sollecitazioni’. I risultati dell'analisi sono stati sorprendenti: hanno mostrato infatti "significative analogie nelle performance microbiomeccaniche in risposta alle stesse sollecitazioni" e quindi che l'uomo di Neanderthal avesse teoricamente la capacità di parlare. I nostri risultati sui reperti confermano che l'osso ioide del Neanderthal avesse lo stesso tipo di utilizzo e funzionamento dell'uomo moderno […]. (4) ‘...nel laboratorio Tomolab di Elettra, gli scienziati hanno sottoposto l'uomo di Kebara ad una microtomografia, una tecnica a raggi X che consente di riprodurre sezioni o strati corporei per effettuare elaborazioni tridimensionali L’articolo continua con altre 29 Repubblica su ‘Le Scienze’, la versione italiana di Scientific American, il processo evolutivo dovuto ad ibridazione tra Neanderthal e Sapiens è ben descritto nei minimi particolari grazie anche ad una recente ricerca genomica condotta da Benjamin Vernot e Joshua M. Akey della University of Washington a Seattle e in contemporanea da un’altra ricerca a cura di SriGenetica ram Sankararaman e colleghi Il filone genetico, tra le recenti scoperte sui nostri avi, della Harvard Medical Schosi dipana da un punto fonda- ol e del Max Planck Institut mentale: tracce di DNA nean- per l'antropologia evoluzionistica a Lipsia: (6) derthalensis all’interno dei nostri geni Sapiens. Le obsolete concezioni evolutive ba- ‘Gli studi di genomica hanno sate sul passaggio estinzione ormai dimostrato che i Neanprecedente-comparsa Homo derthal si incrociarono con i Sapiens o peggio evoluzione primi esseri umani moderni quasi metamorfica da Nean- usciti dall'Africa, e che le poderthal a Sapiens, lasciano il polazioni non africane sono il posto a più convincenti e prodotto di questo mescolacomprovate ibridazioni ma mento. Si stima che in media soprattutto ad una convivenza dall'1 al 4 per cento del getra la nostra specie e i Nean- noma di un non africano sia derthal durata decine di mil- costituito da sequenze eredilenni. In un articolo datato 29 tate dai Neanderthal’ (7) gennaio 2014 riportato da La sensazionali ipotesi è cioè che i Neanderthal fossero anche in grado di riprodurre musica, danzare. A riprova vi sarebbe la scoperta di un flauto estratto da un femore d’orso in Slovenia circa 60.000 anni or sono, periodo caratterizzato da una forte presenza dell’avo sul pianeta (Prof. Claudio Tuniz). (5) 30 La ricerca di Vernot e Akey ha portato a sequenziare il genoma di 379 individui europei e 286 orientali al fine di compararlo con le ricostruzioni del genoma Neanderthal: ‘Le analisi hanno confermato l'esistenza di una discreta variabilità da individuo e individuo nell'entità dei frammenti di DNA risalenti ai Neanderthal, che sono però sistematicamente in numero più elevato nei soggetti orientali (in media, il 25 per cento in più)’. (8) Il risultato rivoluzionario di queste analisi risiede nel fatto che l’uomo odierno, il Sapiens-Sapiens, conserva ben il 20% medio dell’eredità genomica neanderthalensis, a riprova di miscele ibridanti avvenute durante i millenni di convivenza tra noi e l’avo in questione, smentendo di fatto il concetto di estinzione totale e ‘repentina’ per spiegare l’avvento dei Cro-Magnon su tutto il pianeta. E non si esclude che il patrimonio genetico lasciato in eredità a noi possa essere ben più elevato di queste medie accertate. Di ‘incrocio’ si parla anche in un altro articolo a cura di Nadia Vitali su ‘Scienze Fanpage’ del 30 marzo 2013 dove vengono messi in evidenza i dati antropologici e genetici questa volta, però, a firma italiana. (9) di intensa attività sessuale, di incrocio secondo uno studio pubblicato da Plos One che vedeva impegnati ‘il gruppo di ricercatori guidato da Laura Longo dei Musei Civici Fiorentini e da Silvana Condemi del Consiglio Nazionale delle Ricerche francese presso Marsiglia’ (11) Dopo la scoperta di un frammento osseo avvenuta negli ‘anni Cinquanta del XX secolo (10), la diatriba ha avuto alti e bassi alternando affermazioni a clamorose smentite. Lo studio tutto italiano portato sulla mandibola e sul mento, tratto caratteristico ‘sfuggente’ peculiare ai Neanderthal rispetto ai Sapiens, conduce a considerazioni su morfologie non così marcate e pertanto un altro indizio da affiancare al tracciamento genomico. In Europa, oltretutto, i primi Sapiens avevano molte più caratteristiche tipiche neanderthalensis rispetto alla specie più tarda e cambiamenti morfologici in seno ai più tardi Neanderthal sarebbero l’ennesima conferma non di una mutazione genetica bensì di ibridazione e contatti molto forti tra le due specie in questione. Il passaggio da mento sfuggente a mento prominente sarebbe la prova Il dilemma, l’enigma, risiede soprattutto nelle modalità con cui tale scambio avvenne e se può lasciare spazio a battute o facezie è in realtà un quesito fondamentale poiché potrebbe aprire l’orizzonte di una civiltà multispecie, sorta di multietnia primordiale con risvolti clamorosi e rivoluzionari rispetto ai paradigmi socioculturali della paleontologia e dell’antropologia classiche. Questo studio sul DNA mitocondriale - infatti - ha stabilito una prevalenza di maschi Sapiens e femmine 31 Neanderthal. Non a caso i ricercatori hanno parlato di Ratto delle Sabine ante litteram dove i Sapiens, non coesi ai Neanderthal in una civile convivenza, avrebbero perpetrato uno tra i primi stupri etnici con conseguenze psicologiche verosimilmente ancora oggi presenti sotto la nostra soglia. E non finisce qui. Enzo Pennetta, biologo, plurilaureato (Laurea in Scienze Naturali e in Farmacia), insegnante di Scienze (12) si lancia in un’ipotesi ancora più rivoluzionaria dalle colonne del suo blog ‘Critica Scientifica’(www.enzopennet ta.it) ipotizzando che Neanderthal, Sapiens e Denisova siano espressioni di un’unica specie. (13) Per fare ciò, il Prof. Pennetta fa un parallelo con la selezione delle specie canine dove spesso all’interno vi è una forte differenziazione morfologica per singola specie con un dato nuovo: […] ‘le forti differenze tra le razze canine sono un chiaro frutto della selezione, ma di una selezione che ha ridotto il patrimonio genetico ottenendo le varietà per impoverimento. La controprova sta nel fatto, che tutti gli allevatori di ogni tipo conoscono bene, che lasciando incrociare liberamente le varietà che hanno selezionato si ritorna all’origine’. (14) Secondo la visione di Pennetta, dunque, la differenziazione sarebbe avvenuta non per evoluzione in senso convenzionale (quindi ‘aumento di capacità’) bensì per perdita d’informazione genetica sottolineando il fatto che l’evoluzione darwiniana in tal senso reggerebbe poco il confronto poiché dovrebbe ipotizzare un organismo primordiale completo di tutte le informazioni genetiche relative alla vita e a tutte le sue sfaccettature. Questa opportunità selettiva spiegherebbe l’estinzione neanderthalensis a favore di un gruppo, il Sapiens, più equipaggiato per resistere a decise variabilità genetiche, un individuo più ‘flessibile’ rispetto al coinquilino caratterizzato da variabilità minima e pertanto più soggetto ad estinzione. Egli paventa un problema, tipico delle grandi po- 32 polazioni (ipotesi credibile al tempo dei Neanderthal rispetto al comparire dei Sapiens sulla scena) ovvero l’eccessiva inerzia genetica. Da qui lo smentire seccamente il neodarwinismo inteso come arricchimento del patrimonio genetico il quale - per logica - più che all’estinzione dovrebbe condurre lungo l’arco del tempo a metamorfosi. Netta la distinzione tra evoluzione in generale (dovuta anche a perdita genetica) e sviluppo di caratteristiche più efficaci e sofisticate in gruppi isolati che risulteranno poi dominanti (vedi sopravvento dei mammiferi all’indomani della catastrofe KT). La variabilità genetica, intesa come meccanismo centrale per l’evoluzioneestinzione vista da Pennetta come contraddittoria ma più realistica rispetto ai canoni darwinisti e neodarwinisti, è ribadita sempre sul suo blog in un articolo del 29 aprile 2014. (15) Malattie Carie, virus ma anche interventi medici. Il quadro che emerge da questa lunga analisi, articolo per articolo, non è solo diverso ma rivoluzionario rispetto agli stereotipi ortodossi di sempre. I nostri avi, o consanguinei è forse l’aggettivo più corretto, mangiavano bacche di ginepro, ghiande dolci, terebinto e pinoli, frutti molto grassi, zuccherosi e ricchi di carboidrati verosimilmente responsabili di diffuse patologie orali, in primis la carie che si riteneva fosse una malattia odierna. A smentirlo è stato un gruppo di studiosi del Museo di Storia Naturale di Londra e di varie altre università in Europa e in Marocco concentrati su un sito marocchino ricco di 52 resti neanderthalensis, dai quali è stato possibile evincere il problema analizzando l’arco dentale. (16) Il sito ha circa 13.700 anni e testimonia una vita sedentaria oltre che basata sulla cacciagione nonché un problema patologico ben antecedente allo sviluppo dell’agricoltura. […] ‘Louise Humphrey e i suoi colleghi, hanno trovato bocche quasi completamente devastate. Più della metà dei denti di questi nostri antenati, vissuti tra circa 14mila e 15mila anni fa, e che si procuravano di che vivere cacciando e raccogliendo piante selvatiche, erano distrutti dalla carie’. (17) Eppure non erano sprovveduti di fronte ai malesseri procurati dalla Natura. L’analisi del tartaro depositatosi su dentature preistoriche appartenenti a Neanderthal vissuti 50.000 anni fa nel sito di El Sidrón, nel nord della Spagna (18), rivela che essi prediligevano alcune verdure: piante arrostite sul fuoco e non per questioni di gusto o comfort digestivo bensì per ragioni mediche: consumata con ogni probabilità per le sue proprietà antinfiammatorie’ (19) ‘«Il fatto sorprendente è che le piante che siamo stati in grado di identificare hanno un sapore amaro e basse proprietà nutrizionali» ha affermato la ricercatrice Karen Hardy, a capo dello studio, «segno che i Neanderthal apparentemente erano in grado di selezionare le piante in base alle loro proprietà medicinali». La scoperta non è di per sé inaspettata, dal momento che anche altri primati non umani hanno la capacità di auto-medicarsi e che alcune competenze "farmacologiche" di questi uomini preistorici sono note già dagli anni '70. Ma è la prima volta che l'ipotesi di questa pratica viene supportata da prove così evidenti’ (20) […] ‘sono state trovate tracce di achillea, un astringente I nostri cugini iniziano ad esnaturale, e di camomilla, 33 sere visti come una specie evoluta, anello mancante o semplicemente normale amministrazione nell’evoluzione cerebrale nell’uomo per cui la retrodatazione dell’intelligenza, delle capacità di discernimento e probabilmente come vedremo anche di organizzazione sociale, spostano ancor di più indietro nel tempo il manifestarsi della specie Homo, affatto derivante da trasformazioni di altri esseri viventi, bensì apparendo sul pianeta attraverso probabili processi di speciazione indicati dalle peculiarità degli uomini affatto endogene. Non solo carie o disturbi dell’apparato gastrointestinale, ovviamente, ma anche pericolosi virus addirittura responsabili di insorgenze tumorali. In alcuni pazienti odierni sono stati ritrovati – all’interno del loro genoma – tracce sequenziali che afflissero anche Denisovan e Neanderthal. Si tratta di uno studio effettuato da un team appartenente alla Plymouth University e alla Oxford University. (21) Le sequenze virali ancestrali testimonierebbero un attacco virale contro un Neandertal avvenuto 400.000 anni or sono addirittura precedentemente alla diversificazione evolutiva tra noi e i Neanderthal stessi. Alcuni retrovirus sono in grado di integrare il proprio DNA in quello ospite e permettere a questo di so- pravvivere per tempi assimilabili alle ere geologiche. Jack Lenz (Albert Einstein College of Medicine, New York): dono loci con i Denisovan o i Neanderthal, ma non con gli altri essere umani di oggi”.’ (23) In parole povere, qualora fos‘ha infatti trovato 14 sequen- simo convinti di essere totalze retrovirali nei Neanderthal mente avulsi dai nostri cugini dobbiamo affatto pensarla al e Denisovan […] (22) contrario e l’evoluzione dare nonostante un rimettere in winiana o neodarwiniana in discussione questa scoperta cui individui meglio equipaggiati soppiantano altrettanti da parte del team di più deboli è vero in parte: le Plymouth, in effetti questa scoperta è stata sancita per 7 debolezze, le peculiarità e le delle 14 sequenze genomiche tracce ancestrali del ‘caro estinto’ vivono in noi e in forriscontrate all’interno di 67 ma operativa. pazienti malati di tumore ‘Le conclusioni dello studio però ribadiscono anche un altro concetto, ovvero: gli esseri umani moderni possono essere molto diversi gli uni dagli altri nelle porzioni non codificanti del dna (il cosiddetto dna spazzatura, dove sono state trovate le sequenze in questione). “Questo significa”, ha commentato Gkikas Magiorkinis della University of Oxford, tra gli autori dello studio: “che oggi possiamo trovare individui che condivi- 34 Datazione ed estinzione Naturalmente non mancano le ultime scoperte in ambito cronologico e nelle dinamiche di scomparsa. Ci sono quattro grandi aree di riflessione nell’ambito estinzione/datazione: Mutamenti climatici e glaciazione Condizioni ambientali negative per l’accrescimento Lineamenti morfologici non coerenti con l’ambiente Anelli mancanti tra noi, Neanderthal e Denisovan A un approccio generico le prime due considerazioni e la terza, oltre ad essere contraddittorie, illustrerebbero una storia non del tutto coerente con le convenzioni inerenti le grandi migrazioni di oltre 40.000 anni fa, considerato tempo primo di inizio scomparsa dei Neanderthal, anche perché in quel periodo l’ultima fase glaciale Wurm era operativa e da parecchie migliaia di anni. Scendiamo nei particolari. Su Scienze Fanpage è Nadia Vitali, l’articolista, a sottolineare il dibattito ancora aperto tra studiosi inerente l’enigma della scomparsa dei Neanderthal e adducendo come causa principe la glaciazione. (24) Ma non da sola, essa avrebbe dato l’antonomastico ‘colpo di grazia’. Secondo uno degli ultimi studi pubblicati sulla rivista ‘Molecular Biology and Evolution’ (25) individui neanderthalensis vissuti fino a 50.000 anni or sono presentavano una variabilità genetica del tutto simile a quella di un odierno Sapiens per poi, stranamente, contrarsi in una condizione tra 40.000 e 36.000 anni or sono similare a quella di una piccola comunità isolata e pertanto destinata a scomparire. Il picco glaciale insieme all’arrivo di una specie più forte avrebbero fatto il resto dell’opera. Eppure, essendo in pieno periodo Wurm, ultima era glaciale, forte di un periodo compreso pubblicati su PNAS a proposito del sito di El Sidròn con maggiori specifiche (pubblicazione del gruppo di ricerca del Museo Nazionale di Scienze Naturali a Madrid, guidato da Antonio Rosas) (29). Questo studio, più che su questioni rituali, mette l’accento su situazioni di carestia dovute a mancanza di apporti nutrizionali sottolineando linee di ipoplasia sulle ossa scoperte nel sito, segno inequivocabile di stress da accrescimento deficitario. ‘Non dimentichiamo che pre- Un articolo appartenente a La cedenti analisi dei Neander- Stampa e veicolato attraverso TGcom del 21 agosto 2014, thal di quel sito hanno motaglia corto: il Neanderthal si strato segni di taglio su diversi resti ossei: segno che, in è estinto 40.000 anni fa (30) periodi di elevato stress nu- senza poi rendersi conto che trizionale, alcuni membri del- adduce a detta scomparsa: la comunità venivano cannibalizzati dopo la morte’ (28) Graduale macchia di leopardo (31) Convivenza con Sapiens fino a (sito di El Sidrón, N.d.A.) tra 110.000 e 9.600 anni or sono, probabilmente le cause - o concause - devono ancora essere scoperte o ratificate. Simone Barcelli, nel suo testo ‘La Storia che verrà’ non esita a chiarire un aspetto terribile perpetrato dai Sapiens a danno dei Neanderthal ovvero la cacciagione di quest’ultimo ritenuto dai nostri avi più vicini alla stregua di un animale. (26) Anche il Neanderthal era comunque dedito al cannibalismo (27): 5.400 anni nel sud Europa Assente oltre il sud della Francia e in special modo nella penisola iberica Una specifica in tal senso la si trova in un articolo di Focus.it del 5 dicembre 2006 al seguente indirizzo: Infatti i resti di El Sidròn sohttp://www.focus.it/scienza/scienz no su Marte… Pazienza. e/ominidi-cannivori La notizia invece Che non fosse una condizione dell’estinzione a macchia di rituale ma una necessità data leopardo è confermata dai nudalla trasformazione in senso merosi studi, accennati anche negativo della propria specie in precedenza, per via richiamando l’ipotesi di Pen- dell’ibridazione Neanderthalnetta sull’evoluzione involu- Sapiens riconosciuta in setiva ovvero la perdita di patri- quenze genomiche poco dimonio genetico? E quanto scutibili. Molto interessante, tutto questo ha inficiato sulla al contrario, è l’ipotesi portaconsiderazione che i Sapiens ta su Le Scienze a proposito ebbero dei loro cugini? di un anello mancante - in reAnche Anthropos, il 16 ago- altà un superantenato - presisto 2014, riporta gli studi 35 dio di Denisovan, Neanderthal e Sapiens. L’abstract di una ricerca più complessa dall’obiettivo di stabilire le nostre origini. Al contrario, se rovistiamo in casa scopriamo parenti più o meno prossimi ‘condotta da paleoantropolo- sempre all’interno del genere gi della George Washington Homo. University, del Konrad Lorenz Institut per l’evoluzione Caratteristiche e la ricerca cognitiva ad Al- socioculturali tenberg, in Austria, della In- A chiudere questa sintesi sulle ultime scoperte relative ai diana University e del consorzio universitario spagnolo nostri cugini, non mancano certamente gli aspetti socioper lo studio dei fossili del sito di Atapuerca, in Spagna, culturali spesso conditi da ‘gossip’. Mentre per le queche firmano un articolo su Proceedings of the National stioni genetiche o morfologiche, paleontologiche in senso Academy of Sciences (32) (http://www.pnas.org/content/ stretto è più facile dimostrare 110/45/18196) attraverso prove tangibili il livello cui erano giunti i NeIndica la presenza di un omi- anderthal, sotto questo profilo nide ‘staffetta’ sotteso a tutti i il campo è profondamente icugini sulla base di un’analisi potetico e si basa più su indiche prende in considerazione zi probatori che altro. Eppure circa 1200 molari e premolari alcune scoperte hanno iniziafossili appartenenti a tredici to a sgomberare l’area da ‘è gruppi di ominidi di deriva- possibile’ a ‘questo erano, zione spagnola (sempre a facevano’. Focus primeggia proposito dell’articolo prece- sotto questi riflettori e in un dente) articolo del 24 febbraio 2012 dal titolo esplicito ‘I Nean‘E’ così emerso, con un’alta derthal si vestivano alla moda?’ (34) propone una scoperaffidabilità statistica, che nessuna delle specie candida- ta ulteriore rispetto al bote a questo ruolo (come Ho- dypainting ante litteram, che mo Heidelbergensis, H. Erec- essi adottavano attraverso tus e H. Antecessor) ha una pigmenti estratti dai molluschi, ad opera di un team di morfologia dentale corrispondente a quella che ci si paleo-antropologi ferraresi e aspetterebbe nell’ultimo ante- coordinato da Marco Peresani e Antonino Tagliacosso, openato comune.’ (33) rativo nella grotta di Fumane L’affare si complica. Però è in provincia di Verona (35): i anche illuminante: cercare Neanderthal amavano decoanelli mancanti tra animali rarsi di penne e piume. A tesimilari a noi porta lontano stimoniarlo sarebbero le nu- 36 merose ossa di uccelli trovate in loco accanto a quelle degli avi: ben 660 appartenenti a 22 specie diverse. L’ipotesi è stata formulata sulla base della scarsa importanza alimentare di questi animali e al contrario l’essere dotati di lunghe e variopinte penne e piume. Accanto all’uso che dei molluschi facevano come fonte naturale di colori, i Neanderthal non disprezzavano queste varietà nella propria dieta e ben 150.000 anni fa essi si dedicavano alla loro pesca come i cugini Sapiens che risiedevano in Sudafrica. Questa volta la notizia proviene da un sito ancora più illustre che è il National Geographic Italia dal titolo ‘Frutti di mare sulla tavola dei Neanderthal’ risalente al 24 ottobre 2011 (36) a sua volta presente in PLOS One. (37) Lo studio è risultato da una scoperta nella Grotta di Bajondillo nella Spagna sud occidentale dove, affianco alle selci lavorate secondo il metodo Levallois, vi erano numerosissimi gusci di molluschi: ‘Gli archeologi durante lo scavo del livello Bj19, frequentato dai Neanderthal 150 mila anni fa, hanno trovato più di un migliaio, tra frammenti e gusci interi, di resti di molluschi appartenenti a diverse specie tra cui la più rappresentata è Mitilus galloprovincialis, la tipica mente sul luogo di raccolta: ‘I ritrovamenti della grotta di Bajondillo provano che lo sfruttamento delle risorse costiere e marine da parte dei Neanderthal è iniziato molto tempo prima di quanto si pensasse, quasi contemporaneamente ai sapiens sudafricani. Circa 164 mila anni fa, infatti, i sapiens che abitavano le grotte costiere di Pinnacle Point -un promontorio vicino alla città di Mossel Bay in Sudafrica- iniziarono a cozza del mediterraneo. Se- sfruttare le risorse marine disponibili, come dimostrano condo gli studiosi i frutti di mare sarebbero stati raccolti i resti di molluschi, lumache di mare e mammiferi marini facilmente durante le basse maree, sugli scogli e sui bassi ritrovati dagli archeologi nelfondali sabbiosi. Setacciando la grotta sudafricana PP13B’. (39) finemente la terra di scavo gli archeologi sono riusciti a recuperare anche delle perle Ancora una volta la prova intatte di mollusco, introdotte che i sistemi complessi di civilizzazione, anche solo in dai Neanderthal all'interno nuce, non furono una prerodella grotta’. (38) gativa dei Sapiens e tantomeL’idea di rimanere affascinati, no un aspetto legato probabilmente, dalle perle dei all’evoluzione cronologica molluschi tanto da introdurle ma affatto in seno a caratteriin grotta lascia presagire un stiche appartenenti anzitutto uso estetico o ritualistico, il al genere Homo e sviluppateprimo sicuramente appaiato si contemporaneamente tra le varie specie. alla fruizione ornamentale delle piume che abbiamo let- Un articolo del Journal of Human Evolution esprime to poc’anzi. Pescatori ma anche raccogli- una sintesi estremamente intori di molluschi: questa pra- teressante a proposito della differenziazione culturale tica si protrasse per oltre 100.000 anni fino a che, circa all’interno della stessa specie 50.000 anni or sono, la costa Neanderthal. Lo studio prenavanzò rispetto all’acqua e i de in considerazione la manipaleontologi ipotizzano che il fattura diversificata delle asce da lavoro all’interno dei vari consumo si facesse diretta- 37 gruppi operanti in Europa. Non solo: l’uso dell’ascia come strumento multiuso è stato tramandato di generazione in generazione testimoniando una forma più complessa di apprendimento e didattica e non solo puramente replicante sulla scorta di semplici osservazioni: ‘Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell’Università di Southampton. La dottoressa Karen Ruebens, del Centro per l’Archeologia delle Origini dell’Uomo (CAHO) ha esaminato il design di oltre 1300 utensili in pietra provenienti da 80 siti diffusi tra Germania, Belgio, Francia e Paesi Bassi. La Ruebens è giunta alla conclusione che dai 115 mila ai 35 mila anni fa esistevano tra i Neanderthal nordeuropei due distinte culture, una che comprende la Gran Bretagna e le regioni a sudovest della Francia, l’altra che comprende la Germania e l’Europa orientale. I Neanderthal che vivevano in occidente producevano asce che avevano una certa simmetria, dando alla pietra una forma triangolare o di cuore. I Neanderthal orientali, invece, producevano asce asimmetriche, una sorta di coltelli bifacciali, l’antenato del ‘coltellino svizzero’. (40) Per la Rubens, oltretutto, produrre utensili e utensili diffe- renziati non era solo una necessità bensì un’attività socioculturale che sottolinea ancora di più la stabilità dei gruppi neanderthalensis in una sorta di proto-civiltà dotata di organizzazione e regole precise di convivenza. Il profilo del nostro avo cambia radicalmente rispetto alle superate convenzioni ortodosse. Termino questa panoramica con alcune riflessioni del Dr. Marco Peresani (Paleobiologia, Preistoria e Antropologia dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Biologia ed Evoluzione) contenute in un suo articolo su Scienze in Rete. (41) Parlare di ‘Homo Symbolicus’ mi è parso come chiosa finale affatto coerente con l’intero articolo dove l’intento è dimostrare definitivamente non solo la complessità intellettiva ed intellettuale dei Neanderthal, bensì guardare alle vicende umane preistoriche con occhi diversi ricordando che oggi appare come scientifico ciò che fino a dieci, quindici anni fa era giudicato eterodosso e forse - inammissibile accademicamente. Come Archeomisterica ho sempre affermato che: ‘utilità dell’Eterodossia è divenire inutile’ ovvero far si che un enigma trovi la sua soluzione ed addivenga a scienza positiva. Oggi è l’Accademia stessa che alza le mani di fronte ai pionieri eterodossi i quali iniziarono a nutrire dei seri dubbi verso il paradigma evoluzionistico darwinista e neodarwinista. La necessaria conseguenza di queste rivoluzioni paleontologiche sarà rinunciare alla ricerca spasmodica dell’anello mancante, iniziando a considerare seriamente l’assoluta presenza di un ramo a sé nel panorama biologico chiamato ‘intelligenza’. Cosa si chiede Peresani? È lui stesso a dircelo nell’incipit della sua riflessione: ‘[…] il loro comportamento. Quest’ultimo aspetto marca uno dei picchi di attenzione verso le cause che hanno portato alla scomparsa dei nostri “cugini” poco prima di 40 mila anni fa: come si rapportavano in confronto all’ambiente e alle innumerevoli risorse - alimentari e non - che questo offriva? Quant’era profondo il grado di conoscenza del territorio in cui si muovevano, degli animali che vi abitavano, dei giacimenti di rocce da scheggiare? Quali sistemi di identificazione adottavano per loro stessi, le proprie famiglie e i membri dei gruppi sociali? Gli interrogativi non lasciano dubbi: identificare tra i Neanderthal comportamenti etnografici “moderni”, cioè più prossimi al modo 38 “sapiens” di pensare e strutturare la società, porta inevitabilmente ad interrogarsi sulla loro origine: autoctona o il risultato di interazioni con i primi sapiens Anatomicamente Moderni che si affacciarono sull’Europa forse già 45mila, ma sicuramente 42mila anni fa?’. (42) L’archeologia moderna è ancora lontana dall’affermare che il flusso genico tra Neanderthal e Sapiens sia uno degli ‘anelli mancanti’ e considera ancora le due specie come poco a contatto, sporadico. In realtà questo aspetto sottolinea ancor di più l’autonomia intellettuale ed etnica dei Neanderthal poiché i comportamenti in relazione all’utilizzo delle risorse naturali, alla sopravvivenza, all’arte, ai rituali, alla convivenza insomma in una parola alla Civiltà sarebbero insiti nella specie considerata ‘inferiore’ rispetto ai Sapiens fino a pochissimo tempo fa. La stessa denominazione ‘sapiens’ ha favorito la cesura percepita tra le due specie, cesura in realtà vera in parte. La scoperta degli ornamenti o dei monili o addirittura dell’intarsio ‘spiegato’ ai Sapiens da parte dei Neanderthal (43) rafforza l’idea di una capacità astrattiva fortissima nei nostri cugini, sempre Peresani, molto simmetrica ai Sapiens aldilà degli aspetti morfologici che – in realtà – ci hanno dato l’idea di una 9. Scienze Fanpage – 30 marzo 2013 ‘Neanderthal e Sapiens, la prova di un “incrocio”?’ 10.Scienze Fanpage, ibidem - Mandibola rinvenuta a Riparo Mezzena, Monti Lessini. Medio paleolitico, tra 40.000 e 30.000 anni fa – Museo di Storia ‘Oltre a retrodatare di decine Naturale, Verona 11.Scienze Fanpage - ibidem di migliaia di anni questi 12.http://nogeoingegneria.com/ enzo_pennetta.html comportamenti nella storia 13.Critica Scientifica – 9 aprile 2013 evolutiva umana, considerati ‘Neanderthal, chi erano e perché si comunemente appannaggio sono estinti. Cosa dicono veramente i dati’ di società più complesse, le 14.Critica Scientifica - ibidem evidenze contribuiscono a 15.Critica Scientifica – 29 aprile 2014 ‘Neanderthal, Denisova e Sapiens: i modificare l’immagine di meccanismi darwiniani portano “bruti” che per oltre cento all’estinzione, non all’evoluzione’ anni ha ingiustamente ac16.Focus.it – 8 gennaio 2014 di Chiara compagnato, nella letteratura Palmerini, ‘Denti cariati nell’Età della Pietra’ scientifica e non, questo no- 17.Focus.it - ibidem 18.Focus.it – 30 luglio 2012 di Elisabetta stro stretto parente’. (44) Intini, ‘Il tartaro dei Neanderthal rivela indizi sulle prime cure erboristiche’ Non possiamo che condivide- 19.Focus.it – ibidem 20.Focus.it - ibidem re appieno. 21.Wired.it – 13 settembre 2014 – ‘Il virus che dai Neanderthal è arrivato a NOTE noi’ 1. Simone Barcelli – ‘La Storia che 22.Wired.it - ibidem Verrà’ - Ed. Il Cerchio della Luna, 23.Wired.it - ibidem 24.Scienze Fanpage – 29 febbraio 2012 – 2013 - pag. 5 e segg. 2. R2 LA SCIENZA – La Repubblica ‘Uomo di Neanderthal, alla ricerca mercoledì 5 marzo 2014 delle cause di un'estinzione’ 3. FOCUS.it - Margherita Fronte - 19 25.http://mbe.oxfordjournals.org/content/ Dicembre 2013 early/2012/02/23/ 4. R.it – SCIENZE – 20 dicembre 2013 molbev.mss074.short?rss=1 5. R.it ibidem 26.Simone Barcelli – La Storia che verrà 6. R.it – LE SCIENZE – 29 gennaio – Ed. Cerchio della Luna 2013, pag. 2014 ‘I geni dei Neanderthal che sono 44 in noi’ 27.Focus.it – 30 luglio 2012 di Elisabetta 7. R.it - ibidem Intini, ‘Il tartaro dei Neanderthal rive8. R.it - ibidem la indizi sulle prime cure erboristiche’ 28.Focus.it - ibidem subspecie. Ma è solo un’impressione. Egli termina giustamente con questa riflessione: 29.Anthropos – 16 agosto 2014 – ‘Neanderthal: cannibale per necessità’ 30.La Stampa – 21 agosto 2014 – ‘L’uomo di Neanderthal si è estinto circa 40.000 anni fa’ 31.La Stampa - ibidem 32.Le Scienze su Il Navigatore Curioso – 1 novembre 2013 – ‘L’antenato comune dei Neanderthal e dell’uomo moderno è più antico di quanto si pensasse’ 33.Le Scienze su Il Navigatore Curioso ibidem 34.Focus.it – 24 febbraio 2012 – ‘I Neanderthal si vestivano alla moda?’ 35.Focus.it - ibidem 36.National Geographic Italia – 24 ottobre 2011, di Alice Danti ‘Frutti di mare sulla tavola dei Neandertal’ 37.PLOS One – 14 settembre 2011 – ‘Earliest Known Use of Marine Resources by Neanderthals’ 38.National Geographic Italia – ibidem 39.National Geographic Italia – ibidem 40.Daily Mail – 19 agosto 2013, Sarah Griffith – ‘Neanderthals had 'distinct cultures': Ancient tool types show knowledge was passed down generations’ 41.Scienze in Rete – 19 giugno 2014, di Marco Peresani – ‘Neandertal, Homo symbolicus?’ 42.Scienze in Rete - ibidem 43.Focus.it – 16 agosto 2013, di Elisabetta Intini – ‘Quando i Neanderthal davano lezione ai Sapiens’ 44.Scienze in Rete – 19 giugno 2014, di Marco Peresani – ‘Neandertal, Homo symbolicus?’ IL NUOVO ROMANZO DI GIANLUCA RAMPINI, ORDINABILE SU AMAZON.IT Le vicende si svolgono lungo due binari principali, inizialmente lontani ma destinati ad incrociarsi quando ci si avvicina alla conclusione. Da una parte un giovane antropologo durante le sue ricerche sullo sciamanesimo, partecipando ad un rituale, accede a una parte della sua memoria in cui sono nascosti ricordi di sofferenze e dolore. Stimolato da questa esperienza, avvenuta in Tanzania, decide che è arrivato il momento di far luce sul suo passato, di trovare l'origine del disagio che lo affligge da sempre. Le scoperte che fa lo riportano a casa dei genitori, dove suo malgrado è costretto a fronteggiare i propri demoni, fino alla fine, fino allo stremo delle sue possibilità, fino in quel luogo della sua mente dove tutto è cominciato e dove tutto si concluderà. Sull'altro versante protagonista è un poliziotto di origine italiana, che si è fatto trasferire da Boston ad una più tranquilla cittadina costiera sperando così di arrivare alla pensione senza troppe emozioni, lontano dal caos della città e lontano dai ricordi di una vita familiare infranta dalla sua eccesiva dedizione al lavoro. Ipswich però diviene teatro di orrendi crimini, uno dopo l'altro vengono ritrovati corpi orrendamente mutilati. Si fa strada tra gli inquirenti l'ipotesi satanista ma emergono dettagli che questa ipotesi non riescono a soddisfare. Il male sembra più profondo, più radicato. Mentre la città perde fiducia nella polizia, le morti continuano e si avvicinano sempre di più a chi sta intorno al tenente. Diventa quasi una questione personale. Per risolvere il caso il protagonista dovrà spingersi oltre i propri limiti, oltre la legge per salvare l'ultima vita che ancora può essere salvata. La conclusione porterà i due protagonisti uno di fronte all'altro e li costringerà a confrontarsi con una realtà che esula dalla nostra. Riusciranno, ciascuno in modo diverso, a strappare il velo che è posto davanti agli occhi degli uomini, vedere chi o che cosa si trova al di là di questo confine. 39 NERO PRESS MIRKO GIACCHETTI FIN DA PICCOLO Fin da piccolo, in tempi non sospetti. Il 21 novembre 2008, dove eravate? Io ero in una libreria del centro, davanti a una imponente piramide di libri. Senza saperlo, osservavo il monumento funebre dei vecchi tempi, quelli in cui potevi dichiarare la tua passione, senza dover tirare in ballo ere geologiche come l’infanzia o la prima adolescenza. Mi chiedo come faranno le nuove leve, nate troppo tardi e segnate per sempre, quando dovranno confrontarsi con l’eredità di quell’evento e non potranno dire: ho sempre amato vampiri, sin da quando ero bambino, prima di Twilight. Quella trilogia ha sconvolto per sempre il mondo degli appassionati del lato oscuro della notte. Credetemi, non potete più parlare con gli appassionati di vampiri, senza che qualcuno non la riesumi per dirne tutto il male possibile. Non ho idea del numero totale di romanzi e film dedicati ai succhia sangue, ma sono sicuro che è il titolo più citato dopo Dracula di Bram Stoker. Nonostante la paura del contagio e i pregiudizi, gli “orroromantici” si sono moltiplicati sotto la luce del sole, hanno conquistato zombie, demoni, streghe e chissà fino a dove estenderanno il loro regno. Sono ovunque e sono tra noi. Cosa abbiamo fatto quando li abbiamo visti pascolare indisturbati nelle nostre librerie? Abbiamo provato a scacciarli quando si sollazzavano nelle sale cinematografiche in cui siamo cresciuti? Ridevamo tutti quando Buffy rimbalzava come un fagiolo matto nello schermo della tv e ora guardate dove siamo finiti. Siamo a un bivio. Possiamo solo arrenderci, alzare bandiera bianca e abituarci. In fondo, se un vampiro brilla come una pal- 40 la da disco music, che male c’è, sono giovani e lascia che si divertano. Oppure possiamo resistere, riprenderci i vampiri che vorremmo e far sì che quegli altri svaniscano nel nulla. Superiamo il trauma Twilight, andiamo avanti. Smettiamola di ricordarcelo ogni volta; mentre parliamo, alle presentazioni dei libri e ogni volta che un paio di canini si allungano più del necessario. Nero Press non si è arresa è ha accolto il lato oscuro della notte tra le sue pubblicazioni. La tecnologia ha fatto passi da gigante, abbiamo forni a microonde che parlano, frigoriferi che fanno la spesa, macchine che parcheggiano da sole, consolle che ci portano su altri pianeti definiti meglio di quello in cui viviamo e altre mille meraviglie tecnologiche, ma siate sinceri, riuscireste a resistere al fascino un po’ sangue. E prima? C’erano solo miti e leggende? Paolo Di Pierdomenico con il racconto De motu sanguinis ci riporta indietro nel tempo, nel 1528. Genova è assediata dalla peste e, per salvare la moglie dal flagello nero, Ignazio si ritrova a recapitare alcune lettere tra un medico italiano e uno francese condan- retrò di uno spettacolo di burattini? Nicola Lombardi con il suo racconto I burattini di Mastr’Aligi mette in scena uno spettacolo in grado di rapire il cuore del giovane Tobia. Il grande Mastr’Aligi arriva in città e il protagonista non può mancare alla rappresentazione, ma il sogno non durerà il tempo di una avventura. Potrà vedere da vicino gli incredibili burattini fuori dalla scena, nell’intimità del camper, invitato da Katia, una coetanea verso cui sente una misteriosa attrazione. Varcata la soglia di quel mondo, la realtà sgretola l’illusione e spalanca le porte a un incubo senza fine. L’Ottocento, quello sì che era il tempo dei vampiri. Il sangue scorreva a fiumi e Londra e Parigi erano città oscure. Thomas de Quincey e Baudelaire, due dannati persi nelle spire dell’oppio, in bilico tra assassinio e letteratura, fermavano sulla carta un mondo che non smetteva di correre. Al cimitero di Highgate c’era chi andava veramente a caccia di succhia nato per eresia, percorrendo la strada che lo condurrà al cospetto di una creatura assetata di sangue. La conoscenza potrebbe non essere il farmaco che guarisce, ma il veleno che uccide. Vi è mai capitato di giocare al E se fosse? Nel tentativo di indovinare un personaggio famoso, si possono fare alcune domande per scoprire di chi si tratti. Se penso ad Abraham Lincoln e mi chiedessero: “e se fosse una bandiera?”, dovrei rispondere, come minimo, quella americana. Un gioco semplice che tende a sviluppare la fantasia e l’arguzia di chi deve scoprire l’identità misteriosa. Nel caso di un vampiro, “se fos- 41 se una musica”? Matteo Bertone con il romanzo Diurno Imperfetto ci fa ascoltare tutte le sfumature musicali per definirlo. Un giovane farmacista torturato con della pessima poesia e coinvolto, suo malgrado, in riti orgiastici e circoli di vampire goth dovrà scoprire la sua vera identità. Nel tentativo di decifrare l’enigma dell’affascinante Cassandra, districandosi tra improbabili analisti e singolari aspiranti vampiri, l’ironia e l’indolenza lo aiuteranno a scoprire cosa si nasconde sotto la superficie seria delle cose. Ma non è tutto, presto verrà anche pubblicato Alba di luna di Matteo Gambaro… Visto, si può scrivere e leggere di vampiri, con la coscienza pulita, senza sentirsi in colpa. Tutti i titoli sono disponibili nei principali store digitali o presso Nero Press Edizioni (http:// neropress.it/ e i profili Facebook Nero Press Edizioni e Nero Café). LA SCIENZA DELLE SCUOLE MISTERICHE IL CORPO DI GLORIA MICHELE PERROTTA Mer-Ka-Ba (parole egiziane so interiore che porta l'iniziache significano: MER (Luce), to, o se preferiamo il mistico, dopo un duro e lunghissimo KA (Spirito) e BA (Corpo). percorso meditativo e sopratLa Tradizione Sacra e le diver- tutto operativo, che comporse scuole misteriche chiama- ta uno sforzo fisico ed emotino Merkabah o Merkavah, vo su sé stesso capace di con“Carro Divino”, “Corpo di Lu- giungere e rendere in comunione l’Io con Dio, ad una trace”, o più esattamente “Corpo di Gloria”, un proces- sformazione del Se. Tale pro- 42 cesso mira nella difficilissima impresa di riuscire a costituire e a manifestare il famoso Corpo di Luce delle tradizioni esoteriche. Questi insegnamenti, oltre che nell’alchimia rinascimentale, che curava molto gli aspetti di matrice esoterica, erano presenti e ben radicati nel mondo giudaico, soprattutto nella Kabbalah , più precisamente nella letteratura denominata Ma‛ăsēh Merkābāh. Molti gruppi mistici, che erano incentrati sull’interpretazione esoterica della “visione del Carro” (Merkavah), hanno ereditato questa conoscenza segreta dagli gnostici greci e persiani, che a loro volta l’avevano ereditata da una tradizione caldea di origine arcaica sumera. Questa scienza del “Carro Divino”, insegnata esclusivamente nelle scuole misteriche, era sottoposta ad una rigida selezione e, secondo alcune tradizioni, lo studio della visione del Carro Celeste era proibito a coloro che non avevano ancora compiuto quarant’anni. Nel mondo ebraico molte leggende su questa antica dottrina esoterica, infatti, sono inerenti a discepoli impazziti o addirittura folgorati dalle potenti energie di questa meditazione; secondo alcune storie che circolano in ambienti cabalistici, diversi apprendisti presero fuoco nel tentativo di imitare l’ascesa al Trono Divino del profeta Ezechiele. “ Il cinque del quarto mese dell'anno trentesimo, mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visio- ni divine. Il cinque del mese - era l'anno quinto della deportazione del re Ioiachìn - la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il canale Chebàr. Qui fu sopra di lui la mano del Signore. Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. Le loro gambe erano diritte e gli zoccoli dei loro piedi erano come gli zoccoli dei piedi d'un vitello, splendenti come lucido bronzo. Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d'uomo; tutti e quattro avevano le medesime sembianze e le proprie ali, e queste ali erano unite l'una all'altra. Mentre avanzavano, non si volgevano indietro, ma ciascuno andava diritto avanti a sé. Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila. Le loro ali erano spiegate verso l'alto; ciascuno aveva due ali che si toc43 cavano e due che coprivano il corpo. Ciascuno si muoveva davanti a sé; andavano là dove lo spirito li dirigeva e, muovendosi, non si voltavano indietro. Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano bagliori. Gli esseri andavano e venivano come un baleno. Io guardavo quegli esseri ed ecco sul terreno una ruota al loro fianco, di tutti e quattro. Le ruote avevano l'aspetto e la struttura come di topazio e tutt'e quattro la medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di ruota in mezzo a un'altra ruota. Potevano muoversi in quattro direzioni, senza aver bisogno di voltare nel muoversi. La loro circonferenza era assai grande e i cerchi di tutt'e quattro erano pieni di occhi tutt'intorno. Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra, anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse si muovevano; quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si al- bianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce zavano da terra, anche le di uno che parlava ”. ruote ugualmente si alzava- (EZECHIELE 1:1-28) no, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. Questa conoscenza segreta, Al di sopra delle teste degli oltre che nel misticismo eesseri viventi vi era una spe- braico, prese corpo addirittucie di firmamento, simile ad ra all’interno della confraterun cristallo splendente, dinita degli Esseni, successivasteso sopra le loro teste, e mente fu abbracciata dagli sotto il firmamento vi erano gnostici, e, infine, dalle diverle loro ali distese, l'una di se scuole misteriche contro all'altra; ciascuno ne d’occidente. aveva due che gli coprivano Il mito della Stella sepolta il corpo. Quando essi si nella forma umana è molto muovevano, io udivo il rom- antico e lo ritroviamo in difbo delle ali, simile al rumore ferenti tradizioni esoteriche: di grandi acque, come il tuo- “ Fuoco, fuoco interiore, è la no dell'Onnipotente, come il più potente delle forze, perfragore della tempesta, co- ché esso supera tutte le cose me il tumulto d'un accampa- e penetra tutte le cose della mento. Quando poi si ferma- Terra. L'uomo supporta se vano, ripiegavano le ali. Ci stesso solo in ciò che resiste. fu un rumore al di sopra del Così la Terra resiste all'uomo firmamento che era sulle lo- altrimenti egli non resiste… ro teste. Sopra il firma… L’Uomo è una stella incamento che era sulle loro te- tenata ad un corpo fino alla ste apparve come una pietra fine, fino a quando si libera di zaffìro in forma di trono e attraverso la propria lotta. su questa specie di trono, in Colui che conosce il principio alto, una figura dalle semdi tutte le cose, libera la sua 44 stella dai regni della notte ”. (THOT - Tavole di Smeraldo III Tavoletta - La Chiave della Saggezza) Possiamo anche accostare questa arcana tradizione esoterica sul Corpo di Gloria, la Stella incatenata nell’uomo, al cosiddetto Corpo Adamantino (chiamato anche Corpo Arcobaleno) della tradizione tantrica. È possibile, infatti, almeno secondo questi antichi segreti iniziatici, ottenere nel proprio intimo questo stadio di trascendenza in cui sarebbe possibile raggiungere l’illuminazione. Questa sorta di contemplazione di risveglio buddico, che conduce sia all’illuminazione che alla trascendenza e, soprattutto, alla fusione del mascolino con il femminino sacro, e di conseguenza alla costituzione del Corpo Adamantino, è, per la maggiore, presente nella tradizione buddista tibetana, più specificamente si parla di questo aspetto nell’iniziazione tantrica del Dalai Lama che prende il nome di Kalachakra . La Merkavah è sostanzialmente un campo elettromagnetico di natura geometrica, lo stesso che ha la matrice numerica di tutti i processi della vita e della creazione, raffigurata per eccellenza nelle forme dei Solidi Platonici; tale geometria sacra è calco- labile come matrice divina anche attraverso la frequenza di Fibonacci: 1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,89,14 4… La fusione delle cinque forme dei Solidi platonici, che secondo alcune tradizioni esoteriche ha una valenza geometrica-matematica che condurrebbe a Dio, porta, come risultato, all’immagine del Cubo di Metatron, che secondo la tradizione ebraica, infatti, il patriarca Enoch utilizzò per salire nei cieli dove vide Dio. Secondo una teoria fisica, ma anche secondo alcuni determinati concetti esoterici, il Cubo di Metatron, assimilabile nelle scuole misteriche anche al “Fiore della Vita”, simboleggerebbe la somma di tutte le forme che la materia può assumere: la perfetta forma della creazione divina. Nella tradizione cabalistica il Cubo di Metatron è assimilabile al “Carro” descritto da Ezechiele che condurrebbe il mistico, attraverso l'ascesi mistica, nei regni superiori. La trasfigurazione di Cristo è un episodio della vita del Messia Gesù di Nazaret descritto nei tre vangeli sinottici: Matteo 17:1-8; Marco 9:28; Luca 9:27-36. L’uomo Gesù, insieme ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, mostra la sua potenza divina su un monte, cambiando d’aspetto dopo una profonda meditazione. In quell’occasione il Cristo, il vero Sé, assume splendore nella persona incarnata dal Logos Divino nell’uomo Gesù, e, con una straordinaria luce delle vesti, assume un corpo differente da quello precedente. "In verità vi dico: "vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio". Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato 45 a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto". (LUCA 9:27-36) FISICA MODERNA E GRANDI UOMINI DI SCIENZA PARADIGMA OLOGRAFICO ENRICO TRAVAINI ADDENDUM GIUSEPPE BADALUCCO Le teorie sull’universo olografico sono sicuramente tra le più affascinanti della fisica moderna. In particolare gli studi del fisico e filosofo statunitense David Bohm, del neurochirurgo Karl H. Pribram e del fisico francese A- lain Aspect sono, certamente, tra i più completi e stimati in circolazione. Tuttavia queste magnifiche scoperte non sono sempre ben note al grande pubblico, rimanendo spesso oscurate dal caos della rete; oppure studiate in 46 modo assai più complesso nei corsi di fisica universitari (la parte fisiologica nei corsi delle neuroscienze), a cui ovviamente accede solo chi possiede un certo background scientificomatematico. In questo artico- lo si cercherà, per quanto possibile (e senza tralasciare la scientificità dell’argomento), di riassumere e semplificare i concetti base delle teorie sul “Paradigma Olografico”, viaggiando attraverso il pensiero e le opere di questi grandi uomini di scienza. Introduzione David Bohm (WilkesBarre, 20 dicembre 1917 – Londra, 27 ottobre 1992) seppe spezzare gli stretti vincoli del pensiero scientifico dominante, per costruire un’idea del tutto nuova, consistente al suo interno, per spiegare fenomeni molto diversi, con un punto di vista decisamente differente. Il percorso che portò Bohm a concepire l’Universo strutturato come un ologramma iniziò con lo studio delle particelle subatomiche. più elementari norme del buon senso (e della fisica classica!). Sembra un mondo regolato dalla “stregoneria” anziché dalle regole ben precise ed “inflessibili” che tutti conosciamo. Una delle principali scoperte della fisica quantistica fu che, spezzando la materia in pezzi sempre piu’ piccoli, si raggiunge un punto in cui essi (cioè particelle come elettroni, fotoni, ecc.) non posseggono più le proprietà di veri e propri “oggetti” (es. l’elettrone visto come piccola sfera). Sebbene, a volte, l’elettrone possa anche comportarsi da piccola particella, i fisici scoprirono che esso, letteralmente, non ha alcuna dimensione. Concetto difficile da immaginare: infatti, osservando la realtà con i nostri occhi, tutto ha una dimensione. Eppure, se si tentano di misurare le dimensioni di un elettrone, si scopre che è un compito apparentemente impossibile. Presso lo State College della Pennsylvania nel 1930 iniziò ad interessarsi di fisica quantistica. Ciò che intrigò Bohm fu il fatto che, in questo “nuovo mondo” (all’epoca qualcosa di sensazionale), tutto sembra contraddire le Un’altra grande scoperta, sul “comportamento” dell’elettrone, è la sua capacità di manifestarsi sia come particella, sia come onda. Ad esempio se “spariamo” un fascio di elettroni su uno schermo televisivo spento, 47 compare un puntino luminoso laddove il fascio colpisce le sostanze chimiche fosforescenti. Il singolo punto d’impatto rivela chiaramente la natura dell’elettrone come “particella”. Nonostante ciò, non è l’unica forma che assume, infatti in alcune circostanze può anche dissolversi in una sfocata nube di energia, comportandosi quindi come un’onda distribuita in una porzione di spazio. Quando l’elettrone si manifesta come onda, compie azioni che nessuna particella è in grado di eseguire; ad esempio, se viene sparato contro una barriera su cui sono presenti due fessure, riesce ad attraversarle contemporaneamente entrambe. Nel caso in cui due elettroni, che si comportano da onda, entrino in contatto, producono il cosiddetto “schema d’interferenza” tipico delle onde. Insomma, l’elettrone può talvolta manifestare proprietà da onda, talaltra da particella. Questa particolare abilità è comune a tutte le particelle subatomiche. Alcuni fisici moderni ritengono addirittura che tali fenomeni atomici non dovrebbero essere classificati né come onda né come particella ma come una sorta di unione di essi. L’interconnessione Un aspetto della realtà quantistica che Bohm trova particolarmente interessante è l’insolito stato di interconnessione che esisterebbe tra eventi subatomici a prima vista scollegati. Fatto a cui pochissimi fisici danno peso, per la maggior parte dei casi infatti, è ritenuto un comportamento irrilevante. Niels Bohr sottolineò che se le particelle subatomiche esistono solo in presenza dell’osservatore allora non ha semplicemente senso parlare di proprietà delle particelle in assenza dell’osservatore. Questo disturbava e non poco i fisici, da sempre il senso stesso della scienza sta proprio nello scoprire le proprietà dei fenomeni fisici. Ma se fosse l’atto stesso di osservazione a creare la proprietà? Un certo Albert Einstein fu decisamente contrariato dalle affermazioni di Bohr. Nonostante avesse avuto un ruolo fondamentale nei primi passi della teoria quantistica, non fu in alcun modo convinto da quelli successivi. Secondo Einstein, la conclusione di Bohr, per cui le proprietà di una particella non esistono finché qualcuno non le osserva, è particolarmente criticabile. Semplicemente per Einstein era impossibile che ciò accadesse. A sostegno di Bohr ci fu un’altra scoperta: alcuni processi subatomici creano delle “coppie di particelle” con proprietà identiche o fortemente correlate. Si consideri, ad esempio, il positronio, cioè un sistema costituito da un elettrone e dalla sua antiparticella, il positrone; legati insieme a formare un atomo esotico, ove quest’ultimo è identico ad un elettrone ma avente carica positiva. Siccome il positrone è esattamente la particella opposta all’elettrone, il loro scontro le annullerebbe, ottenendo due particelle di 48 luce chiamate “fotoni” le quali viaggerebbero in direzioni opposte. Tuttavia non importa quanto i due fotoni si allontanino l’uno dall’altro, infatti non appena uno dei due viene misurato, essi assumono sempre lo stesso “angolo di polarizzazione” (polarizzazione della radiazione elettromagnetica o elicità: è una caratteristica delle onde elettromagnetiche ed indica la direzione dell’oscillazione del vettore campo elettrico durante la propagazione dell’onda nello spaziotempo). Nel 1935 Einstein con i colleghi Boris Podolsky e Nathan Rosen pubblicarono il famoso saggio: “Può la descrizione quantistica della Realtà essere considerata completa?”; in cui smentiscono le teorie di Bohr. Secondo la Teoria Speciale della Relatività di Einstein, infatti, nulla può viaggiare più veloce della luce. Questa argomentazione è meglio conosciuta come il “paradosso EPR“, tutt’oggi molto dibattuto a livello mondiale. Bohr replicò con un’altra possibile spiegazione: se le parti- celle non vengono ad esistere prima di essere osservate, non possono allora nemmeno essere più pensate come “oggetti indipendenti”. Secondo Bohr, Einstein commise un errore essenziale nel considerare le particelle separate. Esse sono elementi di un unico sistema indivisibile e non aveva semplicemente senso concepirle altrimenti. Ad oggi sempre più fisici aderiscono alla posizione di Bohr, soprattutto perché la teoria quantistica si dimostra molto utile a prevedere fenomeni fisici a livello principalmente subatomico. Primi passi Inizialmente anche Bohm accettò la posizione di Bohr, restando tuttavia stupito dal poco interesse che egli mostrava verso il concetto di “interconnessione”. Dopo la laurea in Pennsylvania, Bohm si trasferisce all’Universita’ di Berkeley in California, dove consegue il dottorato nel 1943, lavorando al Lawrence Berkeley Radiation Laboratory. Qui iniziò uno studio sul plasma (il “plasma”, vero e proprio quarto stato della materia, è in definitiva un gas che contiene con elevata densità di elettroni e ioni positivi). Bohm scoprì che gli elettroni, contenuti nel plasma, smettono di comportarsi come unità indipendenti, assumendo un comportamento ben differente. Infatti risultò che gli elettroni interagivano fra loro come se fossero, appunto, interconnessi. Guardando gli elettroni singolarmente sembrerebbe che il loro movimento sia del tutto casuale ma osservati in gruppi più ampi riescono a produrre comportamenti che appaiono sorprendentemente organizzati. Bohm rimase affascinato da queste proprietà “organiche” degli elettroni, tanto da affermare spesso di avere l’impressione che “il mare di elettroni sia vivo”. Nel 1947 accettò la cattedra a Princeton, dove poté eseguire nuovi esperimenti sugli elettroni ed in particolare sui metalli. Una nuova interpretazione Ossessionato dalle interconnessioni degli elettroni, Bohm abbandona lentamente il pensiero di Bohr, cercando una spiegazione al fenomeno. Dopo tre anni di insegnamento a Princeton, non soddisfatto degli insegnamenti sulla fisica quantistica, cercò di contattare sia Bohr che Einstein, per chiederne le opinioni. Bohr non rispose (rimase sempre convinto del49 le sue idee), mentre Einstein lo contattò. Il risultato fu una serie di profonde conversazioni durate sei settimane, dove Einstein espresse la sua ammirazione per la chiarissima esposizione della fisica quantistica e riconobbe lui stesso l’insoddisfazione verso la teoria quantistica prevalente. Conversando, entrambi riconoscono alla fisica quantistica la capacità di prevedere i fenomeni studiati ma ciò che più li turbò fu che essa non dà nessuna spiegazione “sensata” della struttura del mondo. Nel 1951 Bohm pubblicò il libro “Quantum Potential Theory”, che divenne subito un best-seller; nella sua mente, tuttavia, rimasero indelebili le conversazioni con Einstein. Bohm pensò all’esistenza di una “realtà più profonda”, un “livello subquantico” che ancora attendeva di essere rivelato. Si rese conto che sarebbe sufficiente ammettere l’esistenza del nuovo livello per spiegare le scoperte della fisica quantistica. Bohm chiamò il nuovo livello “potenziale quantico” e teorizzò che esso sia presente in tutto lo spazio, esattamente come la forza di gravità. A differenza dei campi gravitazionali, magnetici, ecc., però, l’influenza del Campo Quantico non diminuisce con la distanza: cioè il suo effetto ha la stessa forza ovunque, in ogni punto dell’Universo. Bohm pubblicò la sua nuova interpretazione della teoria quantistica nel 1952. Le reazioni del mondo scientifico furono quasi tutte negative. La maggior parte degli scienziati, infatti, erano certi che non potessero esistere spiegazioni alternative. Il problema fu principalmente dato dal punto di vista di Bohr, estremamente radicato tra i fisici dell’epoca. Questo condusse l’alternativa di Bohm ad essere vista come una forma di eresia alla dottrina dominante (ortodossa). Bohm (e in parte anche Einstein) notò che la prospettiva della scienza era troppo limitata, in particolare quando occorreva prendere in seria considerazione idee radicalmente nuove -tutt’oggi la scienza ortodossa “pecca” spesso di saccenteria. Nel 1957 scrisse il libro “Causality and chance in Modern Physics”, nel quale esaminò i pregiudizi filosofici che rimangono alla base dell’atteggiamento ostico che, a volte, la comunità scientifica assume. Bohm suggerì di assumere invece un atteggiamento di apertura mentale nella ricerca scientifica. Sempre nella stessa opera, Bohm sostenne che l’interpretazione scientifica della “causalità” è limitata. Molti effetti osservabili negli esperimenti o in natura sono pensati come aventi una o più cause; Bohm pensò invece che un effetto possa avere addirittura infinite cause. Ammise, tuttavia, che nella stragrande maggioranza dei casi si ignora l’enorme mole 50 di eventi che producono un certo effetto. Egli ritenne che sia ugualmente importante per gli scienziati ricordare che non c’è una semplice relazione di singola “causa – effetto” separata. Bohm prestò sempre più attenzione al significato del “potenziale quantico”, cosa che implicò un contrasto ancora più aspro con la scuola ortodossa. La scienza ortodossa interpreta da sempre lo stato di un sistema come “Unità”, frutto dell’interazione delle parti. Il “potenziale quantico” supera questa visione e suggerisce che il comportamento delle parti è organizzato dall’Unità stessa. Questa nuova concezione va a scontrarsi con le tesi di Bohr. Addirittura la teoria di Bohm suggerì che l’ “Unità del Tutto” è la primaria e fondamentale realtà. Bohm scrisse: “… tali elettroni in effetti non sono sparpagliati perché, attraverso l’azione del potenziale quantico, il Sistema intero è soggetto ad un unico movimento coordinato, che somiglia più alla danza di un balletto che a una folla di persone prive di organizzazione. Questa Unità quantica del movimento è più simile all’unità organizzata con cui funzionano le parti del corpo di un essere vivente, piuttosto che il tipo di unità che si ottiene mettendo soltanto insieme pezzi di un meccanismo…” Un’implicazione ancora più sorprendente riguardava la natura della “locazione”. A livello di esperienza quotidiana, ogni cosa ha una sua specifica locazione, cioè un luogo in cui si trova e da cui produce eventuali effetti sul mondo circostante. L’interpretazione di Bohm implica che a livello subquantico, dove opera appunto il potenziale quantico, la “locazione” semplicemente cessa di esistere. Questa proprietà viene detta dai fisici “non località”. L’aspetto “non locale” del potenziale quantico permise a Bohm di spiegare il collegamento tra particelle gemelle (ogni particella che viene osservata ha una particella partner o gemella che la segue dappertutto) senza violare “il divieto” della teoria della relatività speciale, per cui nulla può viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce. Possiamo semplificare quanto detto con un semplice esempio. Immaginiamo che un pesce stia nuotando in un acquario. Facciamo finta, per un momento, di non aver mai visto prima né un pesce né un acquario; tutto ciò che possiamo sapere di essi ci proviene da due telecamere televisive collegate a due monitor, una puntata frontalmente verso l’acquario, ed un’altra di lato. Quando osserveremo i due monitor televisivi, potremmo dedurre erroneamente che i pesci siano entità differenti. Dopotutto, essendo le telecamere posizionate con angolazioni diverse collegate a due monitor differenti, ognuna delle due immagini sarà leggermente differente. Continuando però a guardare attentamente, noteremo che quando uno si gira, anche l’altro lo fa. Quando uno guarda di fronte, l’altro guarda sempre di lato, e così via. Prima o poi comunque approderemo 51 all’idea che i “due” pesci sono in effetti un pesce solo. Secondo Bohm, questo è esattamente ciò che succede tra “particelle gemelle”, come ad esempio due fotoni emessi dal decadimento di un atomo di positronio. Infatti, poiché il potenziale quantico permea tutto lo spazio, tutte le particelle dell’Universo sono connesse non localmente. John Stewart Bell fu molto interessato dagli studi di Bohm, ed ebbe ad affermare: “Nel 1952 vidi lo scritto di Bohm. La sua idea era di completare la meccanica quantistica affermando che ci sono delle variabili nascoste, in aggiunta a quelle che tutti conosciamo. Ciò mi impressionò enormemente.”. Egli capì che la teoria di Bohm implicava l’esistenza della non località; rimaneva insoluto però il grande problema di verificarla sperimentalmente. Nel 1964 concepì così una geniale prova matematica, passata alla storia come “Teorema di Bell” o “Diseguaglianza di Bell”. Ideò anche un esperimento ma il basso livello tecnologico dell’epoca non permise la sua realizzazione. Alla fine degli anni ’50 David Bohm diventò ricercatore all’università di Bristol in Inghilterra; lì collaborò con Yakir Aharonov, all’epoca giovane ricercatore, ed insieme scoprirono un nuovo importante esempio di interconnessione. Conclusero che in certe specifiche circostanze un elettrone è in grado di “percepire” la presenza di un campo magnetico in regioni dello spazio dove è nulla la probabilità di trovare l’elettrone stesso. Questo fenomeno passò alla storia come effetto “AharonovBohm”. Nei primi anni ’60, iniziò ad occuparsi del concetto di “Ordine”. La scienza “ortodossa”, in genere, divide le situazioni in due categorie: quelle le cui componenti rispondono ad una certa struttura; e quelle in cui sono dominate dal puro caso. Bohm si rese conto che esistono diversi “gradi di ordine”. Da questa intuizione, concepì l’idea che le “cose” che inizialmente percepiamo come “disordinate”, non lo sono affatto, o almeno non sempre. E’ interessante notare che i matematici non sono in grado di provare la casualità in modo assoluto e sebbene alcune sequenze di numeri vengano dichiarate come “casuali”, in realtà si tratta solo di supposizioni. Bohm ebbe una grande intuizione guardando un programma della BBC (a volte anche la TV può essere anche utile…), il quale descriveva un semplice meccanismo, formato da un cilindro di vetro che contene52 va al suo interno un altro cilindro rotante di diametro leggermente più piccolo. Lo spazio interno del contenitore venne riempito di glicerina (liquido molto denso e trasparente), all’interno della massa di glicerina venne inserito un piccolo punto d’inchiostro. Il meccanismo funziona in questo modo: quando la manopola, che fa girare il cilindro interno, viene fatta ruotare, la macchia d’inchiostro si diffonde all’interno della glicerina formando una circonferenza. Proseguendo con la rotazione però, si può notare come essa tenda a sparire. Ma cosa succede se invertiamo il senso di rotazione? Incredibilmente non appena si inizia a ruotare la manopola nella direzione opposta, la tenue circonferenza d’inchiostro ricomincia ad apparire, riformando la macchia originaria. (vedi figura in pagina) Bohm scrisse: “Questo esempio mi colpì immediatamente perché è molto significativo circa la questione dell’Ordine, poiché, quando la macchia d’inchiostro è diffusa nella glicerina, continua tuttavia a mantenere un ordine “nascosto” (cioè non direttamente visibile), che si rivela solo nel momento in cui la macchia viene ricostituita. D’altra parte, nel nostro linguaggio comune, noi tendia- mo a dire che l’inchiostro nella glicerina, mentre è diffuso, è in uno stato di “disordine”. Ciò mi porta a pensare che, in questo esempio, sono implicate nuove nozioni di ordine”. Questa scoperta diede a Bohm un nuovo punto di vista. Dopo l’esempio del cilindro, si rese presto conto dell’esistenza di una metafora ancora più efficace per descrivere i diversi livelli di Ordine, l’ologramma. Come la macchia d’inchiostro quando diventa “invisibile” perché sparsa nella glicerina, lo schema d’interferenza registrato su un pezzo di pellicola olofotografica, appare a prima vista disordinato. Entrambi posseggono ciò che Bohm chiama “Ordini nascosti” o “avvolti”; allo stesso modo l’ordine del plasma è “avvolto” nel comportamento apparentemente casuale di ogni singolo elettrone. Da qui nasce l’ipotesi che l’Universo stesso usi principi olografici nel suo esistere e funzionare - appare esso stesso come un gigantesco ologramma in perenne flusso - idea che gli permise di aggregare tutte le intuizioni che ebbe nel corso degli anni in una sola e coerente teoria. Pubblicò i primi lavori sul tema agli inizi degli anni ’70. Nel 1980 presentò le sue teorie nel libro intitolato “Wholeness and the Implicate Order”, opera in cui lega tutte le sue ricerche in modo Cos’è un ologramma? L’ologramma è un supporto fotografico tridimensionale. Le caratteristiche principali di un ologramma sono: Una lastra olografica conserva il contenuto informativo in ogni sua parte, di conseguenza spezzando in più parti la lastra è possibile ottenere la stessa immagine tridimensionale con una diminuzione del campo di vista. È possibile memorizzare sulla stessa lastra olografica più ologrammi orientando diversamente il raggio laser di riferimento. 53 veramente meticoloso ed esaustivo. Bohm affermò sorprendentemente che la realtà tangibile, quella della nostra vita quotidiana, è in effetti una sorta di illusione, come un’immagine olografica. Al di sotto di essa esiste un ordine più profondo di esistenza, chiamato “ordine implicato”. Bohm si convinse che l’elettrone non è semplicemente una “cosa” ma una “totalità”. In sostanza, quando uno strumento rivela la presenza di un singolo elettrone, lo fa perché esso si svela. Nel caso in cui un elettrone si muovesse, si verificherebbe una sequenza di “emersioni” ed “immersioni” tra i due livelli di ordine. L’esempio della pellicola olografica, quindi, è perfettamente calzante con il concetto di ordine implicato ed esplicato. Il flusso costante tra i due ordini spiega in che modo le particelle, come ad esempio l’elettrone e l’atomo di positronio, possano cambiare forma e passare dall’essere una certa particella a un’altra differente. Ciò spiegherebbe anche in che modo una certa particella riesca a manifestarsi sia come particella sia come onda. Secondo Bohm, entrambi gli aspetti sono sempre presenti ma celati in un sistema quantico; il modo con cui l’osservatore interagisce con il sistema determina quale aspetto di esso emerge e quale invece rimane occultato>. Bohm oltrepassa il fatto che l’ologramma in sé è un qualcosa di fermo, statico, chiamando il movimento olografico: “olomovimento”. L’esistenza di un ordine più profondo ed organizzato in modo olografico spiegherebbe anche per quale motivo la realtà è non-locale a livello subquantico. Infatti ogni parte di una pellicola olografica contiene l’informazione della pellicola intera. Con la teoria della relatività, Einstein lasciò il mondo a bocca aperta, provando che lo spazio ed il tempo non sono entità separate ma collegate (continuum spaziotemporale). Definizione di Spazio-Tempo: In fisica per spaziotempo, o cronotopo, si intende la struttura quadridimensionale dell’ universo. Esso è composto da quattro dimensioni. Le tre dello spazio (lunghezza, larghezza e profondità) e il tempo. Bohm aggiunse che ogni cosa nell’universo è parte di un continuum. Nonostante l’apparente differenza delle cose a livello fisico, ogni cosa è l’infinita estensione di ogni altra cosa. In definitiva persino i due ordini, implicato ed esplicato, si fondono uno nell’altro. Chiarì che ciò non significa affatto che l’universo sia una gigantesca massa indifferenziata. Dopo aver osservato la realtà fisica passiamo dunque a quella fisiologica, decisamente più vicina all’uomo, analizzando le conclusioni tratte dagli studi di Karl Pribram. Karl H. Pribram (Vienna, 25 febbraio 1919) 54 è un medico neurochirurgo a ustriaco, professore di psichiatria e psicologia in varie università americane, tra cui la Stanford University e la Georgetown University. I suoi studi più rilevanti riguardano il cervello umano ed il sistema nervoso. In particolare, ha contribuito a definire la natura del sistema limbico e la relazione tra esso e la corteccia frontale. Il principale lavoro è lo sviluppo, in collaborazione con il fisico David Bohm, del cosiddetto “modello cerebrale olografico della funzione cognitiva”, da lui chiamato “modello olonomico del cervello”. Con questo modello, Pribram teorizza che le informazioni, quindi anche i ricordi, immagazzinati nel nostro cervello non vengano “registrati” nei neuroni ma siano il risultato di figure (detti anche pattern) d’onda interferenti, spiegando in tal modo la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente piccolo. Durante gli anni quaranta e cinquanta del Novecento, Pribram contribuì allo studio e alla comprensione del ruolo dei gangli della base (nuclei sottocorticali localizzati alla base di entrambi gli emisferi cerebrali e densamente interconnessi con la corteccia cerebrale, il talamo e il tronco dell’encefalo, ma non con il midollo spinale) nell’organizzazione delle emozioni e delle motivazioni. Fino ad allora, a questi quattro raggruppamenti neuronali (corpo striato, a sua volta suddiviso in nucleo caudato, putamen e nucleus accumbens: da notare che il nucleo striato riceve stimoli in ingresso, detti “afferenze“, principalmente dalla corteccia e dal talamo ed è fittamente collegato al globus pallidus e alla substantia nigra, da cui parte la maggior parte delle “uscite”, dette “efferenze“, dai nuclei della base verso altre strutture cerebrali, non ultima la formazione reticolare; il globus pallidus, composto di un segmento esterno e uno interno; il nucleo subtalamico e la substantia nigra) erano “accreditate” solamente funzioni di tipo motorio. Ad esempio, la degenerazione dei neuroni dopaminergici presenti nella substantia nigra è responsabile della tristemente nota malattia di Parkinson, in cui un aumento dell’attività dei circuiti cerebrali che inibiscono il movimento causa i sintomi motori. Tuttavia, Pribram, fra gli altri, pose l’accento sull’esistenza di un corteo sintomatologico a carattere psichico correlato con il Parkinson (come la bradifrenia o acinesia psichica e altri deficit cognitivi, fra cui l’attenzione) Egli ha inoltre scoperto i sistemi sensoriali dell’area cerebrale chiamata corteccia associativa sensoriale, ha indicato come questi sistemi funzionino e diano la possibilità di scelta all’individuo. La realtà olografica potrebbe apparire così. “Cos’è e dov’è collocata la memoria?” Pribram prende spunto da questa semplice domanda, arrivando a concepire una teoria rivoluzionaria sulla 55 Piccola parentesi, solo per farsi un’idea di quanti collegamenti possieda la parola “memoria”: In psicologia viene studiata la memoria come funzione psichica. In neuroscienza viene studiata la funzione fisiologica della memoria. Nelle scienze umane emerge il concetto di memoria collettiva In informatica vengono studiate le memorie informatiche (RAM e ROM) . In elettronica vengono studiate le memorie elettroniche. In letteratura le memorie so no testi, anche in forma di romanzi o saggi, in cui l’autore tratta di avvenimenti del suo passato. Costituiscono un autonomo genere letterario denominato memorial istica Nella religione cattolica le memorie sono celebrazioni liturgiche dei santi. In politica internazionale, il programma Memoria del mondo dell’UNESCO (in inglese, Memory of the World) mira a individuare e tutelare archivi e documenti storici. Nell’antichità greca, l’esigenza di mantenere in vita la memoria collettiva dava adito a forme di istituzionalizzazione (la figura dello mnemon). memoria umana. All’inizio degli anni ’40, per la scienza ortodossa, la memoria era situata in un punto preciso del cervello. Si pensava infatti che ogni singolo ricordo dell’individuo, ad esempio il ricordo di un particolare odore, l’ultima volta che si è incontrato un parente o un amico, avesse una precisa collocazione nelle cellule cerebrali. Queste zone furono battezzate da Richard Semon “engrammi“, ripresi successivamente negli anni ’50 da Wilder Penfield in alcuni esperimenti sulla memoria. Definizione di engramma: Un engramma è un ipotetico elemento neurobiologico che consentirebbe alla memoria di ricordare fatti e sensazioni immagazzinandoli come variazioni biofisiche o biochimiche nel tessuto del cervello e di altre strutture nervose. Pribram nel 1946 ebbe l’occasione di lavorare con il grande neuropsicologo Karl Lashley. Questi condusse ricerche trentennali sui meccanismi che regolano la memoria. Tuttavia Lashley non riuscì a trovare alcuna prova dell’esistenza degli engrammi, ma addirittura la sua ricerca contraddiceva quella di Penfield. L’esperimento di Lashley consisteva nell’addestrare dei ratti a compiere certe opera- zioni ad esempio percorrere un labirinto. Poi estraeva chirurgicamente parti del cervello, quindi ripeteva la prova. In poche parole, voleva fisicamente rimuovere la parte di cervello nella quale, si supponeva, contenere la memoria del labirinto. Incredibilmente, nonostante le zone rimosse, la memoria dei topi rimaneva inalterata. Secondo Pribram la scoperta era inverosimile: se i ricordi hanno una sezione specifica, come si spiegava quel fenomeno? Concluse che la memoria non ha una localizzazione specifica nel cervello ma è in qualche modo distribuita. Per quanto, in effetti, a livello corticale esistano dei “centri” specifici associati a specifiche funzioni (le cosiddette “aree di Brodmann“) che coinvolgono anche i processi mnesici, la memoria in sé appare decisamente “delocalizzata”, come se esistessero dei meccanismi di ridondanza per proteggerla. Infatti, Pribram confrontò i dati ottenuti con i pazienti a cui si rimuoveva chirurgicamente parte del cervello: essi 56 continuavano a ricordare fatti e cose precise, nonostante l’intervento. Persino rimuovendo parti dei lobi temporali, area molto importante, non si avevano perdite significative nelle memorie dei pazienti. Nonostante l’evidenza che le memorie fossero in qualche modo distribuite, mancava prove più significative e definitive. A metà degli anni ’60, lesse un articolo del “Scientific American” che descriveva la costruzione dell’ologramma, qui ebbe l’illuminazione. La memoria funziona come un ologramma? Costruzione di un ologramma Possiamo riassumere la costruzione di un ologramma in questo modo: un raggio laser viene separato in due raggi distinti attraverso una serie di specchi. Il primo fascio deve rimbalza sull’oggetto che si desidera fotografare. Il secondo invece si dovrà scontrare con la luce riflessa del primo. Questo crea il cosiddetto “schema d’interferenza” che va ad imprimersi su una superficie fo- tosensibile. L’immagine sottostante chiarisce ulteriormente quanto detto. A differenza della pellicola fotografica tradizionale, ogni piccolo pezzo della pellicola olografica contiene l’informazione dell’intera immagine. La vista funziona in modo olografico? Una scoperta sorprendente di Lashley fu che i centri visivi del cervello resistono in modo sorprendente anche a vaste rimozioni chirurgiche. Utilizzando dei topi come cavie, scoprì che rimuovendo anche il 90% della corteccia visiva, l’animale poteva ancora compiere attività di tipo visivo. A conferma, alcuni esperimenti di Pribram, rivelarono che il 98% dei nervi ottici (utilizzò come cavie dei gatti) possono essere separati senza alcun danno significativo. Dopo aver condotto ulteriori esperimenti sul funzionamento della vista, Pribram parlò per la prima volta di “visione olografica” o “vista olografica”, stravolgendo tutte le convinzioni dell’epoca sul concetto stesso di vista. Il Modello Olonomico Pribram pubblicò il primo articolo sulla natura olografica del cervello nel 1966, continuando poi ad espanderla, dando una spiegazione plausibile a molti “lati oscuri” della Mente. Il “Modello Olonomico” spiega come il cervello può conservare una quantità immensa di ricordi in uno spazio decisamente ridotto. Qualcuno provò addiritturaa misurare la capacità del cervello, arrivando a risultati sorprendenti, come il matematico John Von Neumann. Egli calcolò che mediamente l’essere umano, nel corso della vita, ricorda 10^20 bit di informazione (probabilmente una sovrastima). Più recentemente si utilizzò un altro metodo: stimare il numero totale di sinapsi e quindi presumere che ogni sinapsi contenga alcuni bit (circa 4 byte). Le stime sul numero di sinapsi sono state fatte in un range tra 10^13 e 10^15, con relative stime corrispondenti di capacità di memoria. Tirando le somme si giunge ad una capacità stimata di 4 milioni di GB (!). A lungo i ricercatori si sono chiesti quale meccanismo possa spiegare una simile capacità. Una risposta è proprio l’ologramma, infatti modificando l’angolo con cui due laser colpiscono la superficie della pellicola olografica, è possibile registrare molte immagini sulla stessa superfi57 cie con una risoluzione di 3000÷5000 linee/mm . L’acquisizione delle informazioni e delle abilità Pribram ritiene, inoltre, che il modello olografico dia una spiegazione plausibile alla capacità di trasferire le abilità acquisite (scrivere, suonare uno strumento ecc.) da una parte del corpo ad un’altra. Per Pribram, questa capacità si spiega solo sostenendo che il cervello converta ogni informazione che possiede, in un linguaggio di schemi d’interferenza di onde. La costruzione della realtà Cos’è la realtà? Con il termine realtà si intende ciò che esiste effettivamente, diversamente da ciò che è immaginario, non reale, fittizio. La realtà è da sempre un concetto molto dibattuto. A noi sembrerà normale osservare gli oggetti, interagire con essi, con le persone, gli animali. Anche provare emozioni, noi definiamo questi eventi come reali: realtà interna quando parliamo del nostro io; realtà esterna quando interagiamo con l’esterno. Tuttavia, non è ancora del tutto chiaro in quale modo il cervello riesce a distinguere tra i due tipi di realtà. Pribram ribadisce che durante l’osservazione, un’immagine è effettivamente impressa sulla retina dell’osservatore, ma esso non percepisce la persona come se fosse sulla retina, bensì “al di fuori”, “reale”. È stupefacente pensare a quanti processi lavora in contemporanea il nostro cervello. Stesso discorso pensando a quanti input deve rielaborare, collocandoli correttamente nella visione del “reale” o dell’immaginario, senza sbagliare. Questo processo rimane perlopiù un mistero. Il punto centrale sta proprio nel comprendere che, in una mente olografica, essa crea l’illusione di una realtà, che invece non c’è. Un altro esperimento a conferma del Modello olonomico del cervello Pribram era convinto della sua teoria olografica, ma si rese conto (da uomo di scienza!) che senza una solida evidenza sperimentale, essa a- veva ben poco significato. Paul Pietsch, ricercatore della Indiana University, gli fornì risposte decisamente importanti. Il fatto interessante è che Pietsch iniziò i suoi lavori come ardente oppositore della teoria olografica, soprattutto la parte in cui si afferma che la memoria non ha una locazione specifica nel cervello. Pietsch decise di smentire Pribram, con una serie di esperimenti sulle salamandre. Scoprì infatti che è possibile rimuovere anche l’intero cervello della salamandra senza ucciderla, lasciandola come in uno stato di torpore. Successivamente reinserendo il cervello essa incredibilmente tornava a vivere normalmente. Asportò quindi le sezioni cerebrali (l’emisfero destro e sinistro) e le ricollegò invertendone il posto; egli era convintissimo che ciò avrebbe causato scompensi evidenti nel comportamento. Il suo scopo era di localizzare le aree definite alla memorizzazione. Inaspettatamente i risultati confermarono la tesi di Pribram: nessuna delle salamandre esaminate alterò minimamente le abitudini di vita. Pietsch tentò ben 700 (!) volte senza avere successo. Da acerrimo oppositore di Priman, divenne uno dei sostenitori più convinti. I dettagli degli esperimenti (un po’ 58 macabri) si trovano nella sua opera: “Shufflebrain“. Fin dagli anni ’70 Pribram ebbe sufficienti prove sperimentali da sottoporre al mondo scientifico; evidenze sperimentali che singoli neuroni nella corteccia rispondono in modo selettivo a specifiche bande di frequenza, cosa che confermava ulteriormente le sue conclusioni. Pribram si interrogò anche su cosa fosse la realtà. Il cervello dunque non crea un’immagine della realtà ma un ologramma . L’ologramma di cosa? Di quale realtà? Incredibilmente Pribram si rese conto che la conclusione logica, utilizzando il sistema olografico, è che la realtà oggettiva attorno a noi (tutto ciò che ci circonda, qualsiasi cosa vivente e non) potrebbero esistere non nel modo in cui crediamo che esistano. Umilmente, Pribram capì che la soluzione a questo genere di domande fosse ben al di fuori del suo settore di competenza, così si rivolse al figlio, fisico, il quale gli raccomandò di leggere il lavoro del fisico quantistico David Bohm. Rimase letteralmente stupito. Non solo trovò la risposta alle sue domande ma scoprì che, secondo Bohm, l’intero Universo è un ologramma. Il linguaggio matematico dell’ologramma Il primo a formulare teorie sull’ologramma nel 1947 fu Dennis Gabor, vincitore di un Premio Nobel. Agli inizi egli non pensava minimamente al raggio laser, ma “soltanto” a migliorare il microscopio elettronico, a quell’epoca ai primordi. Il suo approccio era principalmente matematico, utilizzava un metodo di calcolo inventato da un francese del diciottesimo secolo, Jean B. J. Fourier. Semplificando: Fourier elaborò un modello matematico, nell’ambito dell’analisi armonica, con cui riuscì a rappresentare dei fenomeni fisici estremamente complessi con combinazioni lineari di funzioni sinusoidali. Egli riuscì a dimostrare attraverso le sue analisi che una qualunque funzione continua, espressione di fenomeni reali nell’ambito della fisica, poteva essere scomposta nella somma di infinite funzioni seno e coseno, semplificandone l’analisi e permettendone l’adattamento a diverse branche di studio della fisica, dalla termodinamica alla fisica moderna. In particolare Fourier applicò le sue analisi alle equazioni della termodinamica, che successivamente furono riformulate in modo più rigoroso da Dirichlet e Riemann. La Serie di Fourier trovò così applicazione, in epoca moderna, nella fisica quantistica attraverso le soluzioni delle equazioni di Schrodinger relative alla meccanica ondulatoria, dimostrando che era possibile rappresentare in termini di onde il comportamento delle particelle nei sistemi quantistici. Per fare un semplice esempio: una telecamera converte un’immagine in frequenze elettromagnetiche ed una televisione riconverte queste frequenze nell’immagine originale. Queste equazioni, permisero a Gabor, di convertire la fotografia di un oggetto (schemi d’interferenza) su un pezzo di pellicola olografica. Gli permisero anche di scoprire un sistema in grado di riconvertire gli schemi nell’immagine originale dell’oggetto. Alla fine degli anni ’60 ed inizio degli anni ’70, diversi ricercatori contattarono Pribram, per riferirgli un’interessante scoperta, cioè che la vista (senso) funziona come un analizzatore di frequenze. Ciò sembrerebbe confermare la teoria che il cervello abbia funzioni olografiche. Fu però solo nel 1979 che due neurofisiologi di Berkeley, 59 Russell e Karen De Valois, fecero una scoperta importantissima. Per prima cosa studiarono con cura le ricerche degli anni ’60 le quali mostravano come ogni cellula del sistema visivo tenda a rispondere ad uno schema specifico: alcune si attivano quando l’occhio osserva linee orizzontali, altre quando percepisce linee verticali. La conclusione fu che il cervello acquisisca i segnali dalle cellule, ognuna altamente specializzata, e li assembli poi per creare la percezione visuale del mondo esterno. Tuttavia DeValois pensò che la teoria non fosse del tutto completa. Per verificare le sue ipotesi, utilizzo le trasformate di Fourier per convertire semplici schemi quadrettati e piani in forme d’onda. Poi, fece alcuni rilievi per verificare se le cellule del cervello rispondono a queste nuove immagini. Incredibilmente scoprì che le cellule non risposero affatto agli schemi originali ma alle trasformate di Fourier. A questo punto poteva esserci una sola conclusione: il cervello utilizza un linguaggio matematico spiegabile attraverso le trasformate di Fourier – la stessa degli ologrammi –. Questa scoperta fu successivamente confermata da numerosi altri laboratori sparsi per il mondo. Pur non dimostrando in toto che il cervello funzioni come un o- logramma, diede abbastanza prove a favore di Pribram. Stimolato dall’idea che la corteccia visiva rispondesse non a schemi ma a frequenze delle varie forme d’onda, Pribram iniziò a ridefinire il ruolo delle frequenze anche per gli altri sensi. Capì, a breve, che la loro importanza fu sostanzialmente sottovalutata dai ricercatori del ventesimo secolo. Il ballerino come forma d’onda Pribram proseguì nella ricerca, rivedendo “vecchi” studi di atri autorevoli scienziati. Inaspettatamente fece una scoperta davvero sorprendente: lo scienziato russo Nikolai Bernstein rilevò che persino i nostri movimenti fisici verrebbero codificati dal cervello in un linguaggio di forme d’onda di Fourier. Negli anni ’30, Bernstein fece vestire alcune persone con calzamaglie completamente nere, con su dipinti dei punti bianchi, in corrispondenza delle articolazioni. Poi, li mise contro uno sfondo nero e li riprese con una cinepresa mentre compivano varie operazioni in movimento, come danzare, camminare, saltare, scrivere a macchina, martellare. Quando sviluppò la pellicola in un film, si potevano vedere solo i punti bianchi in movimento sullo schermo, essi compivano movimenti fluidi e piuttosto complessi. Allora, analizzò il materiale con il metodo di Fourier, convertendo i punti e le linee visibili nel linguaggio di forme d’onda. Sorprendentemente, scoprì che le forme d’onda contenevano schemi “nascosti” che gli permettevano di predire il movimento successivo del soggetto con altissima precisione. Quando Pribram incontrò il lavoro di Bernstein, ne riconobbe immediatamente le implicazio60 ni. La fluida interezza (intelligenza fluida) con cui tipicamente impariamo moltissime attività fisiche è ben ardua da spiegare se si pensa ad un cervello che immagazzina informazioni bit per bit. È molto più semplice se si pensa che il cervello compia un’analisi di Fourier delle abilità fisiche e le assorba nella loro interezza. La reazione della comunità scientifica Pur supportato da notevoli prove sperimentali, il modello olografico di Pribram rimane molto controverso. Esistono parecchie teorie accettate sul funzionamento del cervello e ci sono consistenti prove sperimentali che le confermano tutte. Tuttavia alcuni ricercatori pensano che la natura distribuita della memoria si possa spiegare con il flusso di sostanze chimiche nel cervello. Secondo altri, sono i flussi elettrici tra vasti gruppi di neuroni a spiegare memoria ed apprendimento. Ogni scuola di pensiero ha dei sostenitori convinti, ed e’ probabilmente corretto dire che tutt’ora la maggior parte degli scienziati non e’ convinta della visione olografica di Pribram. Alle reazioni scettiche, Pribram rispose sempre mostrando una documentazione contenente oltre 500 riferimenti sperimentali (!). Altri ricercatori ancora reputano accettabile il modello di Pribram. Il dottor Larry Dossey, ex capo dello staff all’Ospedale della cittò di Dallas, ammise che la teoria di Pribram è una sfida seria a molte convinzioni di lunga data sul funzionamento del cervello ma sottolinea che “sono molti gli specialisti in materia attratti da questa visione, se non altro per l’evidente inadeguatezza degli attuali punti di vista ortodossi”. Il neurologo Richard Restak, autore della serie televisiva The Brain, condivide l’opinione di Dossey. Osserva che: “nonostante l’enormità di prove sperimentali che confermano la dispersione nel cervello delle abilità umane, la maggior parte dei ricercatori continua ad aggrapparsi all’idea che ogni singola funzione possa essere localizzata allo stesso modo con cui le città possono essere localizzate su una mappa”. Restak ritiene che le teorie basate su questa premessa siano non solo semplificazioni eccessive ma funzionino da vere e proprie “camicie di forza” concettuali. Disse inoltre che: “non solo l’ologramma è possibile, ma attualmente rappresenta il miglior modello possibile per la descrizione del funzionamento del cervello”. Gli studi di Alain Aspect Bohm e Pribram non furono i soli ad approdare a tali conclusioni. Analizzando gli studi di Alain Aspect possiamo chiaramente osservare ulteriori prove a favore degli studi precedentemente citati. Alain Aspect (Bordeaux, 1947), sin da bambino, mostrò vivo interesse per la scienza, in particolare per la fisica e l’astronomia. Si laureò a Parigi nel 1971. Ma prima di proseguire gli studi, partì per l’Africa, dove trascorse tre anni svolgendo attività sociali a favore delle popolazioni indigenti. Tuttavia, dedicava il suo tempo libero ad approfondire le conoscenza sulla meccanica quantistica, studiando i testi più completi e approfonditi allora disponibili. Era particolarmente interessato all’esperimento EPR e alle sue implicazioni per la comprensione dei fenomeni quantistici. A quel tempo, i lavori di John Bell erano praticamente sconosciuti alla maggioranza dei ricercatori. Leggendo l’articolo in 61 cui Bell esponeva il suo teorema, capì che esso poteva rappresentare la chiave per penetrare i misteri più profondi del mondo quantistico, con particolare riferimento all’entanglement. Tornato dall’Africa e deciso a continuare le sue ricerche, riuscì a farsi concedere dall’Università di Parigi ‘’utilizzo di un seminterrato, dove egli a poco a poco costruì una sofisticata apparecchiatura sperimentale, mediante la quale realizzò tre serie di esperimenti, via via più sofisticati, attraverso i quali si proponeva di dimostrare la realtà del fenomeno dell’entanglement e quindi la “completezza” della teoria dei quanti, confutando così l’ipotesi dell’esistenza di “variabili nascoste”. Tutti i risultati degli esperimenti confermarono la tesi di partenza, offrendo nuove e importanti conferme non solo della realtà di uno dei fenomeni più incredibili di tutta la scienza moderna, ma anche contribuendo a far conoscere i lavori di Bell alla comunità scientifica del tempo. Se vi ricordate già Bohm parlava della “Non Località”, ed ecco quindi il collegamento. Vinse diversi premi ed incarichi: membro dell’Accademia delle Scienze, Alain Aspect ha ricevuto nel 2005 la Medaglia d’Oro del CNRS (Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica) per le sue ricerche nel campo della meccanica quantistica. Recentemente vincitore del Premio Wolf, nel 2010, per le sue ricerche nell’ambito dell’ottica quantistica e della fisica atomica, nonché del Premio Balzan nel 2013. Storia e descrizione dell’esperimento Esperimento sulla correlazione quantistica: l’esperimento sulla correlazione quantistica di Aspect verifica con altissima probabilità il fenomeno dell’entanglement quantistico e la violazione delle disuguaglianze di Bell, indicando la non veridicità del principio di località. Il fisico francese realizzò (tra il 1981/82) una serie di apparecchiature che cercano di risolvere il contenzioso che ormai da mezzo secolo aveva opposto i fisici che si riconoscevano nelle posizioni “classiche” (fra i quali Einstein) ai fisici quantistici della interpretazione di Copenaghen. Insieme a Jean Dalibard e Gérard Roger, due ricercatori dell’Istituto di Ottica dell’Università di Parigi, riesce a verificare con quasi certezza le ipotesi non locali della teoria quantistica. Al centro dell’apparato viene posto un atomo di calcio, il cui decadimento produce una coppia di fotoni che si muovono lungo percorsi op- posti. Lungo uno di questi percorsi, a intervalli del tutto casuali, viene inserito un cristallo birifrangente, il quale, una volta che un fotone interagisce con esso, può con una probabilità del 50% deviarlo, oppure lasciarlo proseguire indisturbato. Agli estremi di ogni tragitto previsto per ciascun fotone viene posto un rivelatore di fotoni. In tal modo Aspect ha potuto verificare che nel momento in cui il cristallo birifrangente inserito lungo un percorso produce la deviazione di un fotone, evidenziata dal rivelatore posto alla fine del percorso stesso Anche l’altro fotone, che aveva proseguito in direzione opposta (senza alcun elemento che ne può influenzare la traiettoria), istantaneamente subisce una deviazione: si verifica cioè un effetto istantaneo a distanza. In tal modo Aspect verifica sperimentalmente il fenomeno non locale dell’entanglement, previsto dalla meccanica quantistica nella sua interpretazione classica, mostrando nel contempo con probabilità estremamente elevata (oltre 200 deviazioni standard) che, come predetto dal teorema di Bell, anche nell’ipotesi di variabili nascoste, nella meccanica quantistica o in altre teorie, sarebbe ancora e sempre l’abbandono del principio di località il 62 “prezzo da pagare”. Nonostante tutto ciò sia totalmente confliggente con il senso comune, risulta inspiegabile, secondo i fisici quantistici ortodossi, solo se si ragiona secondo una logica classica. Se si pensa invece che esista un sistema correlato nel quale la distanza spaziale è ininfluente, abbandonando quindi l’idea che particelle separate, ma correlate, rappresentino enti spazialmente distinti e che le azioni su di esse si sviluppino tra luoghi diversi, scompaiono gli ostacoli concettuali che non sembrano permettere un’azione o una comunicazione istantanea a distanza (un sistema di tipo olografico?). Tutto ciò prova la correttezza, almeno in parte, degli studi di Bohm. Ultimi esperimenti il dr. Aaron Chou Infine vi segnalo una news. Ci sono ancora ricercatori interessati a queste ricerche, è il caso del fisico Aaron Chou. Vi rimando all’articolo (in inglese) dove viene descritto un nuovo esperimento atto a spiegare il fenomeno olografico. NOTA Questo articolo, già pubblicato in tre parti sul sito dell’associazione ASPIS, è una sorta di “rielaborazione-tributo” ad un sito ormai non più attivo: www.grandipassioni.com BIBLIOGRAFIA Einstein Light – La Teoria della Relatività alla portata di tutti, di Martin Kornelius ed. Macro. L’universale Scienze Vol. I e II ed. Le Garzantine. Quantum Theory, New York: Prentice Hall. 1989 reprint, New York: Dover Causality and Chance in Modern Physics, 1961 Harper edition reprinted in 1980 by Philadelphia: U of Pennsylvania Press Causalità e caso. 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Da ciò ne derivarono una serie di interpretazioni, anche alternative l’una all’altra, che continuarono ad essere approfondite dagli studiosi e che ancora oggi non hanno messo del tutto d’accordo la comunità scientifica su quella che possa essere una visione unitaria e completa della fisica quantistica, con diverse sfumature interpretative che rendono l’argomento ancora più interessante e degno di considerazione. LA QUESTIONE INTERPRETATIVA DELLA MECCANICA QUANTISTICA È importante innanzitutto cercare di capire perché esiste una questione interpretativa relativamente alle teorie quantistiche. Sotto questo aspetto occorre sottolineare che un’interpretazione della meccanica quantistica è un’asserzione che cerca di spiegare le informazioni che la stessa ci fornisce relativamente alla comprensione del mondo fisico. Molti studiosi hanno avuto modo di verificare le risultanze teoriche delle teorie quantistiche in via sperimentale ma allo stesso tempo molti sono concordi nell’affermare che il significato e le implicazioni della teoria quantistica non siano state ancora del tutto comprese dalla comunità scientifica. Le diverse interpretazioni della meccanica quantistica si differenziano su diversi punti tra cui la considerazione dei principi su cui si fonda, deterministici o meno, per l’influenza sulla realtà e sulle difficoltà nei processi di misurazione scientifica degli esperimenti nel campo delle particelle subatomiche e altre questioni oggetto di dibattito. LE DIFFICOLTA’ INTERPRETATIVE Le maggiori difficoltà relative all’interpretazione diretta o classica della meccanica quantistica riguardarono soprattutto la descrizione tradizionale con particolare riferimento ad alcuni aspetti che sono stati ampiamente discussi dagli studiosi e che si possono così sintetizzare: - la natura puramente astratta dei modelli matematici descrittivi - l’esistenza di processi non deterministici o irreversibili; 64 - il fenomeno dell’entanglement quantistico (cioè fenomeni di relazione istantanea tra eventi remoti); - la complementarità delle possibili descrizioni della realtà. Sul primo punto occorre specificare che la descrizione attraverso modelli matematici si fonda su principi matematici alquanto astratti del tipo Spazi di Hilbert e operatori relativi. A differenza della fisica quantistica nella teoria classica le leggi della meccanica e dell’elettromagnetismo relative ad un punto spaziale o ad un campo sono descritte da numeri reali e funzioni rappresentabili in spazi bidimensionali o tridimensionali che non necessitano di una particolare interpretazione. Per quanto riguarda il secondo punto, nella meccanica quantistica il processo di misura di uno stato di un sistema atomico sembra occupare un ruolo importante a causa della correlazione degli elementi astratti, come la funzione d’onda, a valori suscettibili di misurazione come le funzioni di densità di probabilità. Su questo punto è importante sottolineare che come dimostrato da alcuni esperimenti (come quello delle due fenditure), la misura dello stato di un sistema interagisce con il sistema stesso in particolari condizioni. Sul terzo punto occorre chiarire che oltre alle caratteristiche di imprevedibilità e irreversibilità introdotte dai processi di misurazione bisogna ricordare che vi sono altri elementi che la distinguono dalla fisica classica e che non possono essere descritti dagli stessi modelli, come il fenomeno dell’entanglement quantistico (che vedremo più oltre a proposito del paradosso EinsteinPodolsky- Rosen). Altro importante punto relativo alle difficoltà interpretative riguarda il principio di complementarità che sembra violare i principi della logica proposizionale. Il principio di complementarietà stabilisce che non vi è alcuna descrizione logica (secondo la logica proposizionale classica) che possa essere utilizzata per descrivere simultaneamente un sistema quantistico S. Ciò significa che vi sono insiemi A e B (di proposizioni) complementari che possono descrivere un sistema quantistico, ma non contemporaneamente. Un esempio in tal senso è dato dagli insiemi di proposizioni che descrivono le proprietà ondulatorie e corpuscolari di un sistema S. Secondo la formulazione di alcuni studiosi ciò indicherebbe il “fallimento” della logica classica anche se oggi la maggior parte degli scienziati ritiene che il principio di complementarietà indica che la composizione di S (nel senso delle sue proprietà fisiche in termini di posizione e momento definiti in un certo intervallo) non segue le regole della logica. Ciò dipende dalla non commutatività degli operatori matematici che descrivono le variabili osservabili in meccanica quantistica. A quanto sopra descritto va aggiunto che il problema dell’interpretazione della meccanica quantistica ha rappresentato e rappresenta ancora adesso un argomento scottante di discussione a livello filosofico e scientifico per svariati motivi legati all’importanza che essa riveste nell’interpretazione fisica del mondo, nella separazione fra macromondo (degli oggetti reali) con cui gli esseri umani interagiscono ogni giorno e il micromondo delle particelle subatomiche, che non possiamo vedere, se non al microscopio elettronico, ma di cui abbiamo appurato l’esistenza reale. Il Cosmo stesso noi possiamo vederlo e immaginarlo come un insieme di galassie, stelle, pianeti, spazi siderali vuoti (composti da materia oscura) oppure come un “oceano” di particelle atomiche e subatomiche che forma il tutto universale, per cui in realtà anche la materia oscura è formata da particelle subatomiche “virtuali” che interagiscono e fluttuano nel vuoto istantaneamente. Le implicazioni di queste affermazioni a livello scientifico e filosofico sono molto importanti perché incidono sulla visione definitiva che l’Uomo sta lentamente acquisendo del Cosmo stesso, 65 anche se ancora adesso gli scienziati ammettono di conoscere “bene” solo il 5% circa della materia presente nell’Universo, mentre il restante 95% è pressoché sconosciuto e ancora in attesa di essere ben compreso dalla comunità scientifica. Comunque è importante precisare che il ventaglio delle ipotesi interpretative è talmente vasto che in esso è possibile annoverare anche il pensiero di alcuni fisici (si veda C. Fuchs e A. Peres) secondo cui un’interpretazione di una teoria non è altro che un’equivalenza tra un insieme di regole per operare sui dati sperimentali, per cui non esiste una vera e propria questione interpretativa. L’INTERPRETAZIONE DI BOHM L’interpretazione di Bohm detta anche meccanica bohmiana è stata fornita nel 1952 dal fisico D. Bohm partendo da una reinterpretazione della teoria dell’onda pilota di Louis de Broglie del 1927. Bohm riprese in considerazione l’esperimento della diffrazione degli elettroni con doppia fenditura. Un fascio di elettroni passa su uno schermo fluorescente con doppia fenditura; una volta terminato l’esperimento è possibile notare sullo schermo un insieme luminoso di bande di diffrazione che furono interpretate come un fenomeno legato agli effetti delle teorie quantistiche. Secondo Bohm e de Bro- glie ad ogni particella è possibile associare un’onda che guida il moto della particella (da cui il termine onda pilota). Tale onda pilota è descritta dalla funzione d’onda espressa dall’equazione di Schrodinger che fu corretta da Bohm nella sua formulazione matematica per tenere conto dell’effetto guida che l’onda ha sulla particella. L’effetto influenzale dell’onda pilota fu definito attraverso il concetto di potenziale quantistico che in termini quantitativi agisce sulla particella alla stessa stregua dell’interazione delle particelle con i campi, così come osservato nella fisica classica. E’ importante precisare che secondo l’interpretazione di Copenaghen nella meccanica quantistica esiste un’unica entità che è la particella subatomica, per esempio l’elettrone, che manifesta una sorta di dualismo onda-corpuscolo, mentre per l’interpretazione Bohm – de Broglie, la particella è un’entità a parte rispetto all’onda pilota, ma le due sono correlate. Nell’esperimento della doppia fenditura l’elettrone può attraversare una sola volta una fenditura oppure l’altra, mentre l’onda correlata può attraversarle entrambe; da ciò discenderebbero gli effetti di interferenza che l’onda può subire e ciò spiegherebbe i campioni di interferenza osservati nei sistemi rivelatori. L’onda pilota governa il moto delle particelle evolvendosi secondo i dettami dell’equazione di Schrodinger. In particolare generalizzando l’equazione di Schrodinger in un sistema formato da più particelle otteniamo l’espressione dove l’equazione di Schrodinger può essere suddivisa in due equazioni accoppiate dove la prima esprime la probabilità di trovare la particella in un volume infinitesimo di spazio mentre la seconda esprime l’energia totale come somma dell’energia potenziale, del potenziale quantistico e dell’energia cinetica. In particolare secondo Bohm la variabile di potenziale quantistico fa si che quando si effettui una misurazione su un sistema fisico non vi sia la separazione o ramificazione dell’universo come previsto dalla MWI, mentre rispetto all’interpretazione di Copenaghen l’interpretazione di Bohm – de Broglie riporta la teoria quantistica ad un livello deterministico ed oggettivo, in quanto sostiene che l’Universo evolva secondo l’equazione di Schrodinger uniformemente nel tempo, senza collasso della funzione d’onda. Ciò che riporta la teoria quantistica all’oggettività e alla prevalenza di un principio deterministico è proprio l’introduzione della variabile di potenziale quantistico, cioè proprio l’onda pilota, che viene qui considerata come una variabile nascosta (da Bohm definita 66 forza di potenziale quantistico). In merito a questo punto occorre precisare che secondo molti studiosi l’interpretazione di Bohm, estremamente elegante ed affascinante, potrebbe essere considerato come un tentativo ben riuscito di riportare la meccanica quantistica nell’itinerario della scienza deterministica ed oggettiva facendola rientrare in una teoria delle variabile nascoste. Con l’introduzione delle variabili nascoste, in mancanza delle quali prevarrebbe un’approssimazione statistica e probabilistica della scienza fisica e quindi della meccanica delle particelle, si riesce ad eliminare e a risolvere gran parte degli enigmi legati alla meccanica quantistica, dal problema del gatto di Schrodinger, a quello dei processi di misura nonché il problema del collasso della funzione d’onda. A questa interpretazione si oppone il teorema di Bell (che vedremo in un prossimo articolo) secondo cui non esistono teorie delle variabili nascoste che siano compatibili con la meccanica quantistica. Inoltre è importante ricordare che l’in-terpretazione di Bohm non trova riscontro nella teoria quantistica dei campi che è essenzialmente una teoria locale. CARTA CANTA SIMONE BARCELLI Molte le novità editoriali che potranno allietare (o meno) i lettori delle tematiche care a questa rivista digitale. La redazione di Tracce d’eternità, che collabora da tempo con la casa editrice XPublishing (sul n. 71 della rivista Fenix, in edicola a settembre, potrete leggere anche un nostro reportage sull’enigmatica civiltà anatolica di Asikli Hoyuk), inizia un nuovo percorso con un altro noto editore di settore, Cerchio della Luna Editore: infatti, dal mese di ottobre uscirà per la serie “I Quaderni di Tracce”, il volume “Terre Misteriose” a cura della nostra storica collaboratrice Noemi Stefani. Nei prossimi mesi, speriamo come strenna natalizia, vedrà la stampa un corposo lavoro firmato dal nostro editorialista Gianluca Rampini, con prefazione di Lavinia Pallotta (direttore editoriale della rivista Xtimes). Poiché Tracce d’eternità ha aderito al circuito dell’associazione ASPIS, dal prossimo anno proporremo in sinergia dei Quaderni di approfondimento, in cui daremo conto delle nostre attività di ricerca: non perdete di vista il sito di ASPIS, infatti da quella piattaforma sarà possibile scaricare gratuitamente tutta la produzione. Nel frattempo, diamo il benvenuto alla nuova rivista di XPu- il numero di settembre, scaricabile gratuitamente dal sito omonimo. Nonostante una grafica davvero spartana, alcuni dei contenuti di Signs sono senz’altro notevoli e nell’ultimo editoriale La Paglia scrive che Signs “sta cambiando, noi stiamo cambiando... la sfida continua”: quali saranno le novità che ci aspettano? Per una rivi- blishing “Italia Misteriosa”, da settembre ogni mese in edicola sotto la guida del direttore Nicola Luca Pezzella. Qualche novità anche dalla rete: prosegue il percorso, seppur a singhiozzo, di Signs Magazine, la rivista digitale di Roberto La Paglia e Enrico Vincenzi, con cui in passato abbiamo anche collaborato: è on line sta che muore (La Runa Bianca, di cui ormai non si hanno più notizie da tempo), un’altra nasce percorrendo la stessa strada, cioè la fruizione dei contenuti web a pagamento: si tratta di Orione Magazine, un progetto di Roberto Pinotti, Alfredo Benni e Carpeoro. Sul sito dell’associazione FCOIAA (Free Circulation Of Information Archive Association) ci si può abbonare a pacchetto, tre numeri per 4,5 euro. Staremo a vedere. Buona vita... 67 OLTRE ROSWELL NON COSA CADDE MA COSA SUCCESSE GIANLUCA RAMPINI Nonostante l'episodio risalga al 1947 esso detiene a mio parere ancora una posizione di assoluta centralità nella storia ufologica del nostro pianeta e, direi io, non solo in quella. In questo articolo non intendo ripercorre pedissequamente gli eventi di quei primi giorni di luglio, la storia è ormai ben nota e sono stati scritti decine di libri e direi migliaia di articoli in proposito. Quindi in questo senso non c'è da aggiungere più nulla. Quello che seconde me invece manca, comprensibilmente, è un'analisi del perché possa esser successo quello che è successo. Domanda che poi nasconde e, al contempo, scavalca quella più importante che già menziono nel titolo. Va pre- 68 messo che non ci si può esimere dallo speculare e sarà molto difficile che una qualsiasi delle ipotesi che presenterò possa esser mai dimostrata. Ma è un passo che credo vada fatto, altrimenti quell'episodio rimarrà sempre e solo un episodio. Per dovere di chiarezza va anche specificato questo articolo non ha lo scopo di dimostra- re la natura extraterrestre dell'incidente o del fenomeno ufo in generale, ma quello di eliminare le spiegazioni false, o quelle semplicemente sbagliate, e al contempo ipotizzare quali scenari potrebbero nascondersi dietro l'intera faccenda. Prima di andare a cercare un significato nell'incidente di Roswell, mi soffermerò sulle varie spiegazioni ufficiali ed ufficiose di ciò che successe: in buona sostanza sono tutte spiegazioni volte, in un modo o nell'altro, a soppiantare nell'opinione pubblica l'idea che un disco volante si fosse veramente schiantato nel New Mexico. Idea creata dai militari stessi che emisero un comunicato stampa in cui dissero di aver recuperato un “disco volante”. La prima delle soluzioni ufficiali tesa a spiegare il ritrovamento dei detriti sconosciuti nel ranch di W.W. Brazel, ( nda detto Mac Brazel, allevatore della contea di Lincoln ) fu quella del pallone sonda. In sostanza, secondo la tesi dell'esercito, i resti di un pallone meteorologico precipitato sarebbero stati scambiati, da loro stessi, per quelli di un disco volante. Chi ritiene ancora oggi che questa ipotesi abbia qualche fondamento dimentica o tralascia alcuni fatti essenziali. Innanzitutto il momento in cui è “nata” questa versione: poche ore dopo che sui giornali uscì l'annuncio, fatto dagli stessi militari, di aver catturato un disco volante precipitato. Per come la vedo io, se non si fossero affrettati a fare quell'annuncio sensazionale, non sarebbero poi dovuti ricorrere ad un espediente così banale per cercare di spegnare l'incendio mediatico che ne era seguito. Ci si dimentica poi che a recuperare i rottami fu mandato, tra gli altri, il tenente Jesse A. Marcel, che operava presso l'Intelligence Office del 509° Stormo alla Base di Roswell. Tradotto significa un membro dei servizi segreti militari distaccato presso l'unico Stormo, nel 1947, con la capacità di trasportare e lanciare la Bomba Atomica in tutto il mondo. La base più sorvegliata dell'epoca. Non poteva che trattarsi di un militare assolutamente fidato ed esperto. Egli ha sempre sostenuto che si trattasse di un velivolo di origine sconosciuta. Vogliamo presumere che non sarebbe stato in grado di riconoscere un pallone meteoro69 logico? Un altro militare della base, Walter Haut ufficiale addetto alle pubbliche relazioni, ha sostenuto sino alla morte che ciò che aveva visto era un velivolo extraterrestre. Per intenderci è quello ritratto nella foto, insieme al Colonnello Blanchard, mentre “illustra” alcuni dei resti ad i giornalisti a sostegno dell'ipotesi del pallone sonda. Non ho detto sino alla sua morte a caso. Infatti egli lasciò un memorandum in cui si diceva sempre convinto di quanto avesse visto e detto la prima volta e che la sua ritrattazione fu imposta dal Col. Blanchard. Per rispetto nei suoi confronti non volle mai tornare sull'argomento ma ritenne che la morte del suo superiore e la propria, imminente, fossero il termine ultimo per il mantenimento di questo segreto. Infine c'è la testimonianza di Jesse Marcel Jr., figlio dell'altro Jesse, all'epoca undicenne, che racconta come il padre gli mostrò alcuni strani oggetti provenienti dal luogo dell'incidente. Oggetti che nulla avevano a che vedere con un pallone aerostatico. Jesse Marcel Jr, è diventato anch'egli un militare, un medico militare con una carriera di tutto rispetto che lo ha portato persino ad operare sui campi di battaglia nell'operazione “Iraqi freedom”. Anche in questo caso, un testimone che non ha mai cambiato la propria convinzione. Dopo che negli anni ottanta questo episodio divenne famoso e conosciuto come l' “Incidente di Roswell” grazie al libro di Berlitz e Moore, il dibattito sopito per molti decenni si rianimò. L'FBI in risposta alla richieste di informazioni dei molti ricercatori propose una curiosa spiegazione per la quale il fraintendimento era dovuto ad alcuni test su paracaduti e che i corpi... ritrovati fossero i militari collaudatori che in seguito alla caduta da alta quota erano talmente tumefatti da passare per... alieni!. I puntini di sospensione e il punto esclamativo si sono resi necessari perché così facendo i federali hanno ammesso che in effetti c'erano dei corpi e che quindi la spiegazione del pallone sonda era falsa sin dal principio. Ora io voglio dotarmi del solo buon senso. Potrebbe il corpo di un essere umano tumefatto esser scambiato per un alieno? Ditemi voi. Per altro corpi visti da molte persone, tra cui altri militari e personale medico. Sono famosi gli schizzi fatti dall'infermiera Miriam Bush ( sul nome non si è ancora del tutto certi, nda. ) in cui era ritratto un alieno, con occhi neri e grandi e una mano con quattro dita. E detto tutto ciò, questo programma di sperimentazione su attrezzature per sopravvivenza in alta quota, perché di questo si trattava, non iniziò prima degli anni 50. Come di mostra ad esempio, un referto medico ripor70 tante il ricovero di militare a causa di un incidente proprio di questo tipo. Nella fattispecie il referto proviene dalla base di Holloman e coinvolse il Capitano Medico Leslie E. Rason ed il paziente, il Sergente Dan Fulgham. (1) Si presume che i cadaveri fossero sei. Sei sventurati paracadutisti tutti grosso modo con le stesse tumefazioni. Il numero sei dipende dal fatto che vennero richieste 6 bare “ermetiche” e della taglia di un bambino. Come racconta l'impresario delle pompe funebri Glenn Dennis, a cui la richiesta venne sottoposta. Vi è persino la testimonianza di Garner Mason, figlio e nipote in una famiglia di Rappresentanze Funebri, il quale ha affermato che l'azienda di famiglia venne contattata per fornire alcune delle casse di dimensioni ridotte poiché Dennis non era in grado di fornirle tutte e sei. Come se non bastasse, per complicare ulteriormente l'assunto, la spiegazione successivamente mutò e i corpi non erano più di esser viventi ma erano manichini, i famosi test-dummies, lanciati nel corso del programma Project High Dive. (2) Procedendo per gradi, la successiva spiegazione, anche se non in ordine di tempo ritorna nell'ambito dei palloni aerostatici. In particolare si passa dal semplice pallone meteorologico ai più complessi palloni sperimentali lanciati nel corso del progetto Mogul. Questi palloni erano molti più grandi, avevano una lunga coda su cui erano sistemati una ventina di apparati riflettenti ed in infine un sorta di scatola nera che serviva per la raccolta dei dati. Lo scopo del progetto era quello di percepire le onde sonore dei test nucleari sovietici sin da grandissime distanze. Anche qui le considerazioni da fare non mancano. Questo progetto era stato affidato alla New York University, i cui ricercatori per inciso nemmeno sapevano che fosse un progetto top secret e che si chiamasse così. I diari lavorativi di quegli scienziati sono stati recuperati e analizzati per valutare tempi e zone di questi lanci. L'unico membro ancora in vita che vi partecipò, Charles Moore (3), rivedendo tutti gli appunti, è giunto alla conclusione che il lancio n.4, quello comunemente inteso come quello precipitato nel Foster Ranch della famiglia Brazel, non è mai stato lanciato a causa del maltempo. (Ricordiamo che la notte dell'incidente c'era una forte tempesta che alcuni indicano come la causa del malfunzionamento del velivolo sconosciuto, NDA). Per molti anni poi la questione si è sostanzialmente acquietata, la con- trapposizione tra gli ambiti ufficiali e i ricercatori ufologici si è sclerotizzata su i punti che abbiamo visto sino ad ora. Fino al 2013 quando uscì il libro di Anne Jacobsen “Area 51” in cui la giornalista diede una versione inedita dei fatti. Secondo la sua ricostruzione, basata esclusivamente va detto, su un informatore segreto la cui credibilità non è mai stato possibile verificare (4), l'oggetto precipitato era di origine sovietica ed i misteriosi occupanti erano bambini deformati alla bisogna per sembrare alieni. Stalin, secondo la fonte, lo avrebbe fatto per suscitare terrore nello stile “La guerra dei mondi”. Il velivolo non era poi in effetti pilotato dai bambini ma controllato in remoto. Anche in questo caso non ritengo questa ipotesi accettabile. Innanzitutto per ciò che riguarda il velivolo. Per ingannare gli americani sull'origine dello stesso sarebbe stato necessario produrre un prototipo particolarmente esotico. È indubbiamente complesso scavare negli archivi dell'ex Unione Sovietica, ma per quando ne sappiamo nel 1947 iniziarono la valutazioni di fattibilità di un cacciabombardiere sperimentale, un'ala volante denominata Chetverikov RK1. Ma nulla si mosse prima del dicembre 1948 quando i test 71 iniziarono. (5) I russi crearono poi una serie di aree spia per voli ad altissima quota in risposta agli U2, la prima generazione fu quella dei Yak-25RV Mandrake, seguiti dai Myasischev M-17 Mystic-A and Myasischev M55 Mystic-B e poi da altri ancora, ma che nessuno al mondo avrebbe mai confuso con un oggetto di origine “sconosciuta”. E non si vede perché se i Russi possedevano un aereo ancor più avveniristico avessero dovuto “sprecarlo” per una simile missione offrendolo su un piatto d'argento agli americani. Oppure non ci capisce perché non usarlo per scopi bellici di più rilevante portata. In generale non esistono resoconti ufficiali e non, per quanto io abbia cercato, di incidenti di questo tipo ne nel periodo della guerra ne nella successiva guerra fredda. Mentre ad esempio sembra sia successo con dei palloni giapponesi che traspor- tavano esplosivo. Durante il conflitto i giapponesi lanciarono questi palloni, che chiamavano Fu-Go, palloni bomba, per colpire dalla distanza le città della costa occidentale statunitense ed alcuni di questi palloni giunse in effetti. In un caso ci fu un'esplosione, morirono una donna incinta e alcuni ragazzi, ma la notizia venne tenuta segreta, per far credere ai Giapponesi che quei palloni fossero del tutto inefficaci inducendoli a smettere di lanciarli. (6) Questo caso è utile a dimostrare che presto o tardi, se ci fossero stati casi di crash sovietici sul suolo americano, ormai lo sapremmo. Pensare che i Russi siano arrivati proprio a Roswell al primo colpo nel 1947 quando la loro tecnologia si esprimeva sostanzialmente con i primi MiG mi sembra oltremodo improbabile. Gli americani, ad esempio, solamente negli anni '60, sorvolarono l'Unione Sovietica con gli U2. Chiudiamo la questione dell'ipotesi russa tornando un attimo agli occupanti di tale velivolo sovietico. In sostanza vale la stessa obiezione fatta per gli altri casi. Non ritengo logico pensare che personale militare e medico possa scambiare dei bambini, se pur deformi, con degli alieni. L'ultima ipotesi non esogena che voglio prendere in considerazione non è una delle più comuni, anzi è forse circolata ma mai presa troppo sul serio. Io lo faccio interpretando il ruolo dell'avvocato del Diavolo. Per non lasciar nulla di intentato. In fin dei conti se è plausibile discutere di progetti segreti sovietici, tanto più lo è degli americani stessi. Potrebbe quindi l'incidente di Roswell esser stato provocato da un velivolo sperimentale statunitense? Non esiste prova alcuna che un simile velivolo, nel 1947, esistesse e pare difficile ritenere che anche fosse esistito avrebbe preso alla sprovvista l'esercito ed i suoi servizi informativi i quali avrebbero isolato la notizia per tempo. Non sarebbe stato certo necessario inventarsi la storia del disco volante. Come ho accennato all'inizio di questo articolo, a questo punto, non posso esimermi dallo speculare. Basandomi sui fatti fin'ora esposti si possono fare delle valutazioni con un grado sempre crescente di azzardo. La prima è più condivisa ipotesi è che l'oggetto sia in effetti un velivolo extraterrestre precipitato e occupato da alieni di piccole dimensioni. Questo soddisferebbe tutte le testimonianze sia riguardo il relitto ed i suoi detriti che quelle riguardo i corpi. Esiste però a questo livello la disputa concernente quanto sia credibile che una razza aliena proveniente, come minimo, da un 72 altro sistema stellare si trovi poi a mal partito per un temporale o a causa di un radar terrestre come ipotizzato dai ricercatori che sostengono tale ipotesi. Chi trova accettabile questa eventualità immagina una civiltà non troppo avanzata rispetto alla nostra. Che sia giunta sino al nostro sistema viaggiano al di sotto della velocità della luce con una sorta di arca generazionale e senza una reale preparazione ad affrontare tutte le possibili variabili di pianeti a loro alieni. Personalmente trovo accettabile l'idea dell'arca ma continuo a credere che per farlo ci voglia un livello tecnologico e scientifico ben più avanzato del nostro. Tale da rendere piuttosto illogica l'idea dell'incidente. In fin dei conti noi stessi siamo arrivati sulla Luna con una tecnologia piuttosto rudimentale e siamo atterrati e ripartiti al primo tentativo. Abbiamo fatto atterrare diversi rover su Marte sempre con un certa facilità. Non si vede perché una razza molto più avanzata della nostra dovrebbe trovarsi in difficoltà su un pianeta che non si può certo dire abbia condizioni atmosferiche estreme. In generale quindi mi sento di poter accettare l'ipotesi extraterrestre ma non quella dell'incidente. Anche riprendendo l'ipotesi dell'origine statunitense dell'oggetto la casualità dell'evento è una caratteristica che mi sento di escludere. Come abbiamo detto in precedenza il relitto era troppo esotico, tale da non essere riconoscibile da personale militare esperto, per essere un qualsiasi tipo di velivolo sperimentale precipitato durante un test. Le presenza dei corpi naturalmente aggiunge un ulteriore livello di complessità. Infine le testimonianze sia che i testimoni avessero mentito o che fossero stati raggirati ad arte, dimostrano un livello di sofisticazione e di coerenza che un evento casuale non può produrre. Quindi extraterrestre o terrestre l'incidente forse non è avvenuto per caso. Certo le motivazioni a seconda dei due scenari cambiano radicalmente. Nel primo caso un razza aliena potrebbe aver “regalato” un contenitore di informazioni tecnologiche e scientifiche camuffandolo da incidente. Non so quanti di voi ricordino la serie X-Files. In quel caso c'era un conflitto tra una parte di alieni dominante, che voleva impadronirsi della Terra tramite gli ibridi umano-alieni, e una minoranza ribelle, che non riteneva questa una prevaricazione inaccettabile e aiutava quindi segretamente gli umani e sviluppare difese adeguate. A Roswell potrebbe essere andata così, se l'ipotesi extraterrestre è quella giusta. Ma se la messa in scena era di matrice terrestre, quindi sostanzialmente americana? Cosa potrebbe aver spinto i massimi livelli di comando a inventarsi una cosa simile? Per dirla a modo degli americani si potrebbe definire un false flag, un falso bersaglio per l'opinione pubblica. Una bella e corposa distrazione con cui attrarre lo sguardo della gente lontano dalle operazioni segrete portate avanti del governo stesso. In- 73 trodurre l'idea della presenza extraterrestre, dei dischi volanti e degli ufo, avrebbe dato una grossa mano a mimetizzare nella confusione generale molti attività sperimentali altrimenti troppo visibili. Per arrivare a trattare l'ultima ipotesi dobbiamo abbandonare in parte il modo tradizionale con cui interpretiamo la nostra realtà. Mi concedo una ulteriore breve premessa per rendere comprensibile quanto dirò poi in conclusione. La nostra visione dell'universo è dominata ormai da molti decenni dalla meccanica quantistica. Grazie ad essa siamo in grado di fare incredibili previsioni sperimentali ma ci troviamo anche di fronte a fenomeni apparentemente inspiegabili. Einstein stesso che individuando la natura duale corpuscolare e ondulatoria della luce scoprì di fato i quanti di luce ha poi mal sopportato le anomalie che la meccanica quantistica produce. Una di queste la definì una sorta di “azione fantasma a distanza”. (7) Ma la validità sperimentale ha prevalso grazie a fisici del calibro di Heisenberg, Schrodinger, Bohr e molti altri che hanno di fatti preso in ostaggio la ricerca fino ai giorni nostri. Gli enormi successi ottenuti hanno però ottenuto anche il risultato di aver tralasciato, più o meno volonta- riamente, di prendere in considerazione alcuni fenomeni che tale ricerca ha prodotto e che non sono spiegabili. Sono sostanzialmente il frutto del concetto di non località che è portante nella meccanica quantistica. Uno di questi fenomeni, quello che Einstein criticava (8), è un fenomeno per cui l'informazione che governa alcune caratteristiche delle particelle può viaggiare più veloce della luce. Cosa impossibile. Questo effetto è stato denominato entanglement e rimane a tutt'oggi uno dei misteri più inspiegabili della fisica. Questo non deve però far gridare al miracolo perché l'assunto che nulla viaggia più veloce della luce rimane valido. Einstein aveva sicuramente ragione. David Bohm, fisico coevo di Einstein e Bohr, ha trovato una soluzione concettuale alle obiezioni logiche e ai risultati sperimentali, ipotizzando che l'universo sia una sorta di ologramma suddiviso in una parte esplicata, quella che noi percepiamo, ed una parte implicata che governa il tutto. Un'altra caratteristica tipica della meccanica quantistica, osteggiata da Einstein, era che le proprietà delle particelle non esistono sino a che non vengono osservate, esistono cioè in uno stato di sovrapposizione che si riduce in collasso (Collasso della fun- zione d'onda. NDA) che ne determina lo stato. In sostanza si profila la possibilità che la coscienza dell'osservatore influenzi l'esperimento. Anche in questo caso l'ipotesi olografica di viene in soccorso in quanto tutto è interconnesso, non esiste una reale distinzione l'osservatore e la particella. La coscienza sarebbe effettivamente in grado di produrre la realtà interagendo con l'ologramma in cui saremmo immersi. Prima di tornare a Roswell, inglobando queste complesse questioni fisiche, passiamo brevemente attraverso il mondo del “paranormale” nel suo senso più ampio. Senza voler offendere la sensibilità religiosa di nessuno vorrei portare i miracoli ad esempio di come questo potrebbe applicarsi alla realtà. In definitiva i miracoli, quelli che accadono ad esempio a Lourdes e ce ne sono di documentati (9), potrebbero essere l'influenza di una volontà, sia quella di Dio o quella della persona malata, sulla materia. Nell'attuale contesto scientifico ciò rimane inspiegabile mentre secondo il paradigma olografico ipotizzato da Bohm (Bohm pose le basi fisiche per tale paradigma mentre Carl Pribram applicò questo concetto al cervello. Le due teorie si integrarono alla perfezione creando appunto quello che è definito il paradigma ologra74 fico. NDA) assumere un senso compiuto ed ottiene una base scientifica, seppur olistica. La vastità e l'antichità della nostra galassia, per non dire del nostro universo, ci permette di immaginare che esistano civiltà enormemente più evolute della nostra. Quelle che Mikio Kaku definisce civiltà di livello 3, capaci forse di imbrigliare l'energia delle stelle o di creare universi, di spostarsi dall'uno all'altro. Se l'ipotesi di Bohm fosse corretta una tale civiltà potrebbe aver compreso appieno il funzionamento dell'universo olografico, il modo di accedere all'ordine implicato e di conseguenze sfruttare queste conoscenze per viaggiare o per alterare la realtà a seconda delle proprie necessità. Un esempio cinematografico, stupendamente iconico, di questo rapporto tra una realtà esplicita, illusoria ed una implicata, non conoscibile con i nostri sensi è certamente Matrix. Tornando a Roswell, se una civiltà di questo tipo fosse per qualche motivo interessata al nostro mondo potrebbe aver prodotto l' “evento Roswell”, così come altri, al fin di introdurre nella nostra storia un evento destabilizzante, un innesto di energia da produrre un salto quantico nella nostra visione dell'universo, uno strumento per indirizzare la nostra evoluzio- ne. Per gli appassionati della fantascienza vale la pena ricordare il romanzo di Isaac Asimov “La fine dell'eternità”. Uno scenario nel quale le scoperte umane hanno permesso il raggiungimento dell’eternità, tramite la realizzazione del viaggio nel tempo. I Tecnici, mettendo in pratica gli ordini dei Calcolatori, si occupano di viaggiare fra un secolo e l’altro operando quei minimi cambiamenti che hanno come ripercussione l’alterazione del corso della Storia: a volte basta un barattolo spostato da uno scaffale all’altro. (10) Sarà la mia predisposizione narrativa ma questa idea mi sembri calzi a pennello con quanto detto sin ora. Anzi introduce nuovamente la variabile umana anche in questo contesto di super progresso tecnologico. Concludo questo articolo riprendendo solo per un attimo il film Matrix e l'ipotesi che noi si sia parte di una simulazione informatica ad opera di altre intelligenze. Naturalmente è una provocazione ma viene presa più sul serio di quanto non si creda. (11) Senza voler immaginare uno scenario alla Dark City, e a una simulazione ad opera di alieni, potrebbe essere la nostra stessa civiltà avanzata a tal punto da esser in grado di creare una simulazione della John Gribbon, “Q come realtà in cui poi noi starem- 7. Quanto”. Macro Edizioni. p. mo vivendo. Se così fosse tut244. ti gli eventi che consideriamo Nel 1935 Einstein con i colinspiegabili potrebbero rien- 8. leghi Boris Podolsky e Nathan trare nel novero degli errori Rosen pubblicarono il famoso di sistema o di variabili imsaggio: "Può la descrizione pazzite. Potrebbe far tutto quantistica della Realtà essere parte della matrice e noi poconsiderata completa?"; in cui tremmo essere volutamente smentiscono le teorie di indotti a credere che sia imBohr. Secondo la Teoria Spepossibile. Del resto chi ha aciale della Relatività di Einnalizzato filosoficamente stein, infatti, nulla può viaggiaquesti scenari fa notare che re più veloce della luce. Questa ciò sarebbe un'ipotesi ottimiargomentazione è meglio costica, perché significherebbe nosciuta come il "paradosso che non ci siamo autodistrutEPR", tutt'oggi molto dibattuto ti prima di arrivare ad un tale a livello mondiale. livello tecnologico. 9. NOTE 1. “The Roswell Report: Case Closed,” James McAndrews, Headquarters United States Air Force, 1997 pag.118. 2. “The Roswell Report: Case Closed,” James McAndrews, Headquarters United States Air Force, 1997 pag.69. 3. http:// kevinrandle.blogspot.it/2007/07/ project-mogul-androswell.html 4. http:// www.popularmechanics.com/ technology/aviation/ufo/area51-was-the-roswell-ufo-reallya-soviet-hoax-5794200 5. http://www.century-offlight.net/Aviation%20history/ flying%20wings/ soviet_wings.htm 6. http:// www.wired.com/2010/05/050 5japanese-balloon-killsoregon/ 75 Vedi il caso di Vittorio Michelli. Affetto da un cancro terminale alle ossa che aveva distrutto parte del bacino, nel 1962 si recò a Lourdes. Li avvenne l'inizio della guarigione miracolosa, non solo il tumore si fermò ma le ossa si ricostruirono in maniera scientificamente inspiegabile. Il miracolo venne ratificato dalla commisione Vaticana. 10. http://www.sololibri.net/ La-fine-dell-eternita-IsaacAsimov.html 11. “Constraints on the Universe as a Numerical Simulation, Silas” R. Beane, Zohreh Davoudi y and Martin J. Savage. LIFE AFTER LIFE NOEMI STEFANI SPIRITUALITÀ Mi ricordo una breve vacanza, un fine settimana al mare prima dell' estate: eravamo vicino a Venezia. Dopo il tramonto andiamo tutti, cane compreso, a fare due passi lungo la spiaggia. Città alle spalle, c'è sempre questa smania di sentire la sabbia umida sotto i piedi, di lasciare che le onde della risacca arrivino a bagnare quel poco che basta per dare il senso della vita meravigliosa che c'è intorno. E respirare... Aria di libertà. Una spiaggia tranquilla anche in piena estate, mai affollata e fuori stagione è raro incontrare gente. Per questo ci siamo sorpresi quando abbiamo sentito delle voci e ci siamo girati a guardare un gruppo di persone che stava arrivando verso di noi. Sembravano in attesa di qualcosa. Penso che aspettassero un momento preciso in cui la luce incomincia a perdere forze, e tutto diventa sfuocato, evanescente. Ho notato che erano quasi tutti vestiti di bianco ad eccezione di un uomo dalla pelle scura. Sembrava un indiano o un inca con capelli lunghi e ve- stiva d'arancione. Incuriosita mi sono fermata a distanza per guardare cosa stessero facendo. Si erano messi in cerchio e gridavano e saltavano, stavano battendo i piedi nella sabbia. L'uomo in arancione aveva una specie di stola sulle spalle e a un certo punto sembrava dare delle disposizioni, parlava a ognuno di loro. Si è avvicinato a una ragazza, ha detto qualcosa che non potevo sentire perché ero distante. Poi l'ha toccata allo stomaco e la ragazza è caduta a terra. Ad uno ad uno, ha toccato tutti quelli che stavano in cerchio, e tutti sono caduti, crollati nella sabbia. Girava intorno e li guardava a terra. Poi li ha toccati ancora dicendo qual- 76 cosa e uno per uno e si sono rialzati. Avrei voluto avvicinarmi, sentire, chiedere... Ma non ho fatto nulla di tutto questo. Io ero soltanto un osservatore fuori da quel quadro. Ho già visto qualcosa di simile. Mi fa pensare a un movimento detto dei “carismatici pentacostali”, anche loro dicendo preghiere liberatorie fanno più o meno le stesse cose ma in chiesa. “Rinnovamento carismatico è un termine utilizzato per indicare un movimento che, originatosi dal pentecostalismo evangelico, ora ha assunto una dimensione o anche un valore cristiano interconfessionale, il cui scopo è l'adozione dei carismi all'interno delle chiese in cui le varie co- munità ed associazioni carismatiche operano. ‘Carismatico’ è una parola generica, che descrive quei cristiani che ritengono che le manifestazioni dello Spirito Santo viste nei primi tempi della Chiesa (parlare in varie lingue, guarigioni, miracoli) siano ancora possibili per i Cristiani di oggi, e andrebbero sperimentati come allora.” e ancora “L'esperienza dei carismatici mostra come lo Spirito Santo doni la libertà spirituale di amare secondo il cuore di Cristo: ha dato loro la forza di abbandonare l'alcool, la droga, gli abusi sessuali, ma anche i sentimenti di odio, le vecchie gelosie, rendendoli capaci di amare.” (tratto da Wikipedia) Da come vengono descritti, si parla dei doni dello Spirito Santo e sembra che questi doni siano riservati soltanto ai cristiani. Ma cosa avevo visto? Aveva l'aspetto di un'esperienza mistica ma non mi ha dato l'impressione che avessero a che fare con la chiesa cattolica. E non mi è nemmeno sembrato che fingessero di cadere, o che fosse la messinscena di uno spettacolo teatrale. C'è una grande differenza tra religione e spiritualità. Si può essere molto religiosi e attenersi a tutte le regole dettate dagli uomini che insegnano il rispetto di Dio. Ma essere spirituali significa che si segue un "istinto" che viene dal cuore. Significa che le cose terrene perdono di valore, mentre si cercano sentimenti di rispetto e compassione, di comprensione e di amore. È qualche cosa di intrinseco, 77 che nasce da dentro. O c' è o non c' è. Non esiste soltanto il mondo fisico. Se lo spirito si mette in ascolto, allora le risposte arrivano, si aprono infinite possibilità che la freddezza di una religione, fatta di regole che portano a Dio, non ha mai conosciuto. E non penso nemmeno che la spiritualità sia una prerogativa dell'essere umano. Ho visto sentimenti... Una luce negli occhi degli animali che potrei definire senso di compassione e d' amore. Li ho visti comportarsi in modo gentile, con bontà gli uni verso gli altri senza specismo. Se c'è bisogno loro sono disposti a servire, a donare come possono, fino a sacrificarsi. Possiamo dire la stessa cosa per gli esseri umani? TERRE MISTERIOSE NOEMI STEFANI EGITTO - DAHAB Questo viaggio è rimasto in sospeso per mesi, la destinazione incerta fino a pochi giorni prima. C'erano delle agitazioni in Egitto, Israele minacciava di bombardare la striscia di Gaza dove vive la maggior parte del popolo palestinese. La striscia di terra ha fatto parte dell' Egitto fino al 1967 quando fu occupata da Israele durante la Guerra dei 6 giorni, insomma un momento non favorevole per il turismo. Avevano chiu- so anche l'aeroporto di Sharm el Sheikh. La Farnesina aveva messo lo sconsiglio che vuol dire se volete partire fate pure ma a vostro rischio e pericolo. Una strana estate, grigio e pioggia tutti i giorni tanto che in un raro giorno di sole ero uscita sull'uscio e guardavo il cielo miracolosamente azzurro, senza scie chimiche. Pensavo al viaggio, e alzando gli occhi al sole (ho pensato all'altro sole, Jesus) con il cuore ho 78 chiesto “chissà se riuscirò ad andare a Dahab, riuscirò a vedere il Sinai dove secondo la Bibbia è iniziato tutto...?” All'orizzonte ho visto arrivare un uccello in volo, grande, diverso dai soliti passeri, rondini o colombe che si affacciano dai tetti qui intorno. Anzi, passeri e rondini hanno incominciato a volare e a stridere come impazziti. Le ali battevano l'aria senza nessuna fretta apparente. Il falco è arrivato e dopo aver fatto un largo giro sopra di me si è allontanato, tornato da dove veniva. L'ho preso come una risposta. Il falco... Ho collegato la simbologia e ho pensato a Ra (Il sole, Ra, Horus il dio-uomo, ancora Jesus quindi). La risposta era SI’, la risposta era quella, sarei partita. E così è stato. Finalmente l'agenzia conferma la destinazione, ma ci cambiano il volo e l'aeroporto. La Malpensa è distante da Milano e da qui il volo è all'alba. Prenoto il taxi alle 3.30, chiudo la valigia. Un'ultima occhiata alla borsa e metto il passaporto e carta d'imbarco sul tavolo per sicurezza, non vorrei dimenticare proprio quelli. Vado a letto presto, prima del solito, ma il sonno non arriva. Conto le ore, vado a fare pipì poi guardo la sveglia, è mezzanotte. Torno e provo a chiudere gli occhi per un po’. Dormo e mi sveglio all'improvviso, sono le 3 e venti. In 10 minuti devo essere pronta. Mi vesto veloce come Fantozzi. Lavo la faccia, bevo un caffè al volo, prendo borsa e valigia ed esco in perfetto orario. Il taxi è già fuori che aspetta. Vispo e pimpante nel buio della strada l'autista ha voglia di parlare, io no. Butta lì qualche frase, dice che le strade sono interrotte e dobbiamo fare delle deviazioni, parla del traffico. Io faccio di sì con la testa e poi chiudo gli occhi e provo a ri- posare ancora un po’, mi sento intontita dal sonno. Ho appuntamento con mia sorella al terminal 1 dell'aeroporto. Accendo il cellulare che squilla quasi subito. È lei che mi sta aspettando dal terminal 2. Ha capito male, è contrariata e anche abbastanza innervosita si direbbe dal tono di voce. Quando la raggiungiamo, è seduta sulla valigia sotto a un lampione. Faccia sbattuta per il sonno, dice che fatica a camminare, ha problemi a una gamba ma non avrebbe mai rinunciato a partire con me. Dice anche che hanno cercato di rubarle la valigia sostituendola con una vuota ma per fortuna lei se ne era accorta. Camminiamo lentamente. Fa pochi passi e poi deve fermarsi; finalmente hanno caricato i bagagli. Complicato se lo fanno all'ultimo momento, e bisogna camminare veloci per79 ché alla Malpensa c'è più di un chilometro per arrivare al gate di imbarco. Stanno chiamando il nostro volo. La precedo e spiego agli impiegati che abbiamo un problema, poi come Dio vuole, Allahuakbar riusciamo a decollare e ad arrivare a destinazione. Fa caldo, tanto... Trascino le valige, do una mano anche a lei che è in difficoltà. C'è un po’ di verde da attraversare e nell'erba, all'ombra di una palma, c'è un tizio che si pulisce accuratamente le dita dei piedi, poi si passa le mani nel naso e tra i capelli. Mah.. Paese che vai, usanze che trovi, dicono. Allahu-akbar, come Dio vuole ci aspetta una Jeep con autista, e mentre tutti gli altri turisti si avviano verso gli autobus per Sharm, noi si sale su quest’auto, verso Dahab. Mia sorella davanti e io dietro con i bagagli. Durante il percorso soltanto monta- gne rocciose e deserto, interrotto qua e la da qualche rado cespuglio dove una volta era acqua. La strada è una linea retta, una striscia grigia, niente traffico, solo noi. L'autista è un beduino che parla soltanto arabo e qualche parola d'inglese. Gli chiedo se potremmo avere brutte sorprese, spiego che il viaggio ci è stato sconsigliato. Lui sposta lo specchietto per vedere dietro. Mi sorride, ma vedo che è attento alla strada, guarda a destra e sinistra e lo sguardo è preoccupato (quasi mi preoccupo anch'io). Ci sono stati attacchi ai turisti da parte dei beduini (che sono mal tollerati dagli egiziani) e dei jihadisti che sono anche più feroci, con aggressioni furti e spari. Io continuo a sobbalzare a ogni buca trattenendo le valige che si spostano, e così arriviamo al primo posto di blocco. Poi ce ne saranno altri due. Militari in mimetica con il fucile in mano ci fanno segno di fermarci. Basta poco, qualsiasi piccola complicazione e ci bloccano. Il caldo non lo sento più. Mi sudano le mani finché ci fanno segno di proseguire. Per alleggerire la tensione, guardo mia sorella da dietro gli occhiali specchiati e sogghigno. È pallida. Butto lì: 80 “Sempre comoda tu, la più fortunata”. Lei si gira con una smorfia: “Sì, colpa tua, guarda qua dove siamo. Verrai ben giù di lì che poi ti sistemo per le feste”. Una sorella maggiore è sempre un po’ mamma... Anche quando hai i capelli bianchi. Rido, rido di gusto (forse è soltanto un fatto di nervi), mi sganascio e non riesco a fermarmi, e ride anche lei. L'autista ci guarda male, parlavamo in italiano e forse ha pensato che ridessimo di lui. Prima di arrivare a Dahab c'è una montagna a forma di cammello disteso che dorme. Il piccolo nucleo di case in stile arabo e dimesso è poco distante dall'albergo che ci ospita, ben altra struttura. Dalla porta d'ingresso ad arco s'intravede il blu del mare, una vista mozzafiato. La stanchezza del viaggio sparisce subito. Il tempo di avere la camera e di ca- pire dove siamo e come muoverci e si va in spiaggia. Dietro l'albergo ci sono le montagne, il gruppo del Monte Sinai, di fronte il mare con una fila di piccoli rilievi all'orizzonte. Ci sono viali alberati con palme così cariche di datteri che i rami si chinano quasi a terra. La spiaggia è piena di ombrelloni ma vuota di gente. Il paragone con le nostre spiagge super affollate è più che evidente. Pare che questo mare sia la gioia dei surfisti che invece non mancano, e sembra proprio che si divertano un mondo. A sinistra c'è bassa marea, il mare si divide per una sottile striscia di sabbia di circa un chilometro. Frammenti di corallo bianco e piccoli pesci spuntano a pelo di un acqua trasparente. È una breve passeggiata che porta ai confini dell'Arabia Saudita. Gli egiziani prendono i cavalli e li spin- gono al galoppo, si divertono a farli correre avanti e indietro. Poi spariscono tra le dune. Fa molto caldo e c'è silenzio. La spiaggia è quasi deserta in questo pomeriggio di luglio. Sono sensazioni da descrivere al momento, prima che svaniscano per sempre. Una leggera nebbia vela le montagne all'orizzonte, il mare è piatto, azzurro inten- 81 so increspato da piccole onde come brividi di energia. C'è un senso di attesa mentre sistemo l'asciugamano e siedo sotto l'ombrellone. Da un punto indefinito si alza una voce... Siamo in Ramadan, e ripete Allahu-hakbar, come Dio vuole, infinite volte, alza il tono e la preghiera diventa quasi una canzone, una litania. Penso tra me che cantare è proibito secondo il Corano, ma perché togliere anche una delle poche cose che danno gioia all'essere umano? Il vento gentile porta le parole di una lingua che non conosco, ma il senso è “Grazie Dio che nella tua grandezza hai creato tutto”. La voce rimane sospesa nell'aria anche dopo, resta l'eco e anche nel silenzio sembra di sentire ancora pregare. Infilo la maschera e scivolo nell'acqua fresca. Il sole filtra losanghe dorate che si riflettono nel fondo della sabbia bianca. Il silenzio è interrotto soltanto dal mio respiro attraverso la maschera, tutto è pace. Seguo sciami di microscopici pesci "neon" strisciati di azzurro e rosso che si spostano a sinistra e a destra con la velocità di un lampo. Pesci curiosi che mi osservano senza paura. Ci sono pesci più grandi che assomigliano alle sogliole con una piccola macchia nera sulla coda. Scavano la sabbia con delle specie di baffi che hanno vicino alle branchie e non sembrano essere disturbati dalla mia presenza. C'è anche un pesce pappagallo che mi guarda dal punto più fondo, dove l'acqua è scura, poi si volta e se ne va subito annoiato. Vicino a un masso di corallo c'è una piccola serpe a strisce grigie e nere. Mi ricorda Taba, anni fa, quando un'altra serpe a strisce gialle Anubi (ma forse sono sciacalli) e poi ci sono anche due gatti, magri anche loro e sembrano la dea Bestet. Vengo a sapere che gli Egiziani non nutrono gli animali, ma li scacciano. Capisco i cani, che secondo gli arabi sono esseri impuri, ma i gatti? Al ristorante dell'hotel ci sono soltanto turisti stranieri, specialmente russi che non parlano una parola d'inglese. Noi italiani siamo quattro. Una coppia di quasi sposi e noi due, mia sorella e io. È una buona e nere mi era passata tra i occasione per fare amicizia con i locali e parlare con i capiedi. Basta, per ora ne ho abbastanza. Mi hanno detto merieri sugli usi e costumi che per vedere tanti pesci co- del posto. Noto che alcuni lorati c'è un posto che si rag- hanno un segno scuro sulla fronte, come un livido. Chiegiunge in barca, si chiama Napoleon Reef, ci andremo do cosa sia al cameriere, e mi sicuramente. Aldilà della re- risponde che è un modo per esibire che sei un osservante cinzione che delimita la spiaggia ci sono quattro cani. del Corano. La fronte batte la Sono di una magrezza inde- terra e si segna. In Ramadan pregano molto spesso, digiuscrivibile, assomigliano ad 82 nano e non bevono durante il giorno. Tutto questo con quasi cinquanta gradi di calore infernale giorno e notte. Il cameriere dice che a volte sviene anche, ma che è giusto così. Vicino ai tavoli all'esterno del ristorante c è un piccolo forno. Una donna, Shamira, seduta a terra tutta coperta, si guardava intorno mentre preparava le focacce di pane arabo da infornare. Prova a immaginare... Il forno bollente... Se già faceva così caldo per gli altri con abiti estivi come doveva stare lei. Sudava, e si cuoceva anche lei dentro ai suoi panni arabi. Ramadan significa PURIFICAZIONE. Vuol dire guardare i turisti che mangiano e bevono davanti a te (una cosa normale ) mentre quasi nessuno prende il tuo pane. Non potevo guardarla... Ho fatto un gesto che non avrei dovuto ma non ho saputo trattenermi. Sono andata al banco dei dolci e in un tovagliolo di carta ne ho presi quattro per lei e glieli ho portati. Le ho detto: “Samira, prendi i dolcetti, potrai mangiarli dopo il tramonto, quando è lecito”. Lei ha sorriso meravigliata, sembrava non crederci e diceva: “È per me? For me?”. Sì, ho detto, ma ho dovuto insistere perché li prendesse. Tornata al mio tavolo ho capito da come i camerieri maschi la guardavano male che poteva essere un problema. Infatti, quando stavo andando via ho visto che uno dei camerieri si è fatto dare i dolci e li ha fatti sparire sotto al banco di lavoro. Li avrebbero mangiati loro? Io non ero musulmana, e forse bastava questo per sporcare quel gesto di amicizia. Ci si annoia un po’ noi due sole. Scambiamo quattro parole con i ragazzi del centro massaggi, si lamentano che è sempre vuoto. Si parla della situazione economica, facciamo il confronto tra noi italiani e loro. Non c è da stare allegri ne lì ne qui in Italia. Poi a mia sorella viene una brillante idea... Vorrebbe uscire una sera e andare a mangiare il pesce in un ristorante locale. Questa cosa non mi va. Siamo due donne sole, in un paese musulmano con una mentalità diversa e a non molti chilometri di distanza da qui si stanno massacrando, e sparano missili (Gaza). Alla fine, Tayson, uno dei ragazzi si offre di accompagnarci, mangerà con noi. Viene a prenderci in taxi e si scende in un posto un po’isolato, l'auto non può andare più avanti di così. Si cammina su uno sterrato sabbioso, polvere che vola. Mia sorella incomincia a lamentarsi perché fa fatica a camminare e io le sibilo un vaffa… tra i denti. Io non volevo essere lì. Siamo in mezzo a un gruppo desolato di case, 83 qualche luce e molti negozi vuoti. Tutto un'altro mondo rispetto all'albergo. Ci guardano male (o forse è soltanto una mia impressione), per fortuna c'è Tayson che ci accompagna. Qualcuno ci invita a entrare nel suo negozio. Sono solo cianfrusaglie marcate Taiwan, ma noi stiamo cercando altro. Ci invitano a entrare ma non sono convinti nemmeno loro di vendere, sono rassegnati poveri beduini del deserto. C'è tensione. Sento i loro sguardi che ci scrutano. Alla fine siamo due infedeli, poco di buono venute a invadere la loro terra. Poco importa i sentimenti d'amore per l'Egitto che ci hanno portato lì. Finalmente vedo l'insegna del ristorante Ali Babà, e poi scoprirò perché si chiama così. Alì e i suoi ladroni sono riusciti a spillarci un bel pacco di soldi. Ristorante semi vuoto. Sediamo vicino a una ringhiera che da sul mare, ed è tutto molto romantico per le luci sull'acqua e i pesci che nuotano. Sento una presenza sotto il tavolo. È arrivato un gatto, mi si avvicina e mi guarda. Ha uno sguardo disperato. Gli tiro un pezzetto di pane. Passano due minuti e ne arrivano altri quattro e incominciano a litigare tra loro perché sono affamatissimi. Passo il tempo a fare piccoli bocconi di pane e li lancio sotto il tavolo. Uno mi chiama con la non mi piace. A me no, ma ai gatti sì. Il ragazzo e mia sorella invece sembrano gradire molto e in poco tempo lasciano il vassoio quasi vuoto. Quando siamo rientrati in albergo, sentivo che c'era qualcosa che non andava al mio stomaco. È bastato sdraiarmi e ho cominciato a vomitare, sembrava che non dovessi mai fermarmi. Erano le cinque di mattina e non avevo più bile da tirare su. Un conato di vomito e ho sentito il zampa, delicatamente. Il ca- pavimento tremare sotto ai meriere se ne accorge e arri- piedi, sono caduta, abbracciata al water. Era ora di chiava con uno spruzzino e li fa mare il medico. Il dottor Iscappare, ma poi tornano. slam ha detto che non ero Nessuno dà da mangiare a messa molto bene e voleva queste povere bestie. Non voglio stare a discutere, ma ricoverarmi in ospedale. La insisto perché il cameriere se reception ha chiamato mia sorella (che invece stava bene vada via. Questa sera i gatti mangeranno, e non solo nissimo) e si vedeva dall'epane, perché il pesce è arri- spressione addormentatavato. Ne mangio poco. Ara- spaventata che non avrebbe mai immaginato... Punture e gosta e gamberoni non mi fanno impazzire in genere e pastiglie, era una brutta infequesti hanno un sapore che zione, veramente brutta an- 84 che per il medico che ne vedeva tante. Non sono più stata bene fino alla fine, sempre nausea fino all'ultimo giorno, quando pensavo a qualche oggetto ricordo da prendere al volo prima di tornare. Tra le tante cianfrusaglie in vetrina c'era qualcosa di chiaro che mi colpì subito, la piccola statua di una divinità. E come al principio, così la fine. Il falco, Ra era ciò che mi avrebbe ricordato questo viaggio, nel bene e nel male, come sempre un'esperienza formativa e meravigliosa.