N° 24 - Tracce d`Eternità

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CIRCUITO
PALEOSTORIE
GIORGIO GIORDANO
Anno VI
24
Tracce
La rivista digitale del mistero
d’eternità
Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può
pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi
e immagini è necessario contattare i rispettivi autori.
DA OTTOBRE
PER LA SERIE
“I QUADERNI DI
TRACCE”,
DISPONIBILE IN
LIBRERIA
“TERRE
MISTERIOSE”
DELLA NOSTRA
NOEMI STEFANI
(CERCHIO
DELLA LUNA
EDITORE)
UN ESPERIMENTO NELLA GRANDE PIRAMIDE
IL MISTERO DEL
DISORIENTAMENTO
SPAZIO - TEMPORALE
ALL’INTERNO DELLO ZED
MAURIZIO PINCHERLE
NEANDERTHAL
L’ORIGINE
MAI DIMENTICATA
PIER GIORGIO LEPORI
(ARCHEOMISTERICA)
LA BIOCHIMICA
(SBAGLIATA)
DEGLI ELOHIM
DALLA BIBBIA
SECONDO
BIGLINO
FABIO MARINO
OLTRE ROSWELL
IL CORPO
DI GLORIA
MICHELE PERROTTA
PARADIGMA
OLOGRAFICO
ENRICO TRAVAINI
ADDENDUM
NON COSA CADDE
MA COSA SUCCESSE
GIANLUCA RAMPINI
GIUSEPPE BADALUCCO
CONTENUTI
ARTICOLI
PAG. 13 IL MISTERO DEL DISORIENTAMENTO SPAZIO - TEMPORALE
ALL’INTERNO DELLO ZED NELLA GRANDE PIRAMIDE:
UN ESPERIMENTO NELLA GRANDE PIRAMIDE
DI MAURIZIO PINCHERLE
PAG. 26 NEANDERTHAL, L’ORIGINE MAI DIMENTICATA
DI PIER GIORGIO LEPORI (ARCHEOMISTERICA)
PAG. 42 IL CORPO DI GLORIA DI MICHELE PERROTTA
PAG. 46 PARADIGMA OLOGRAFICO DI ENRICO TRAVAINI
CON ADDENDUM DI GIUSEPPE BADALUCCO
PAG. 68 OLTRE ROSWELL: NON COSA CADDE MA COSA SUCCESSE
DI GIANLUCA RAMPINI
RUBRICHE
PAG. 3 NOTE A MARGINE DI GIANLUCA RAMPINI
PAG. 5 POLVERE DI SIMONE BARCELLI
PAG. 6 LUCI DALL’OLTREVERSO DI FABIO MARINO
PAG. 11 PALEOSTORIE DI GIORGIO GIORDANO
PAG. 40 NERO PRESS (REDAZIONE NERO CAFE’)
PAG. 67 CARTA CANTA DI SIMONE BARCELLI
PAG.76 LIFE AFTER LIFE DI NOEMI STEFANI
PAG.78 TERRE MISTERIOSE DI NOEMI STEFANI
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REDAZIONE
Gianluca Rampini [email protected]
Simone Barcelli [email protected]
Fabio Marino [email protected]
Noemi Stefani [email protected]
Progetto grafico e impaginazione
a cura di Simone Barcelli. Revisione testi e
traduzioni a cura della redazione.
TRACCE D’ETERNITA’ COLLABORA CON L’ASSOCIAZIONE ASPIS
E CON GLI EDITORI CERCHIO DELLA LUNA E XPUBLISHING
NOVITA’
DISPONIBILE DA OTTOBRE 2014
PER LA SERIE “I QUADERNI DI TRACCE”
“TERRE MISTERIOSE” DI NOEMI STEFANI
CERCHIO DELLA LUNA EDITORE
2
NOTE A MARGINE
GIANLUCA RAMPINI
L’OPLITA CHE È IN NOI
Come alcuni di voi forse sapranno la collaborazione tra
Tracce d'eternità e Aspis si è
ulteriormente solidificata.
Ormai sono facce della stessa
medaglia. C'è chi dice che la
parola “aspide” origini dal suono onomatopeico del serpente
che... sssstriscia... sul terreno.
Oppure nella sua forma greca
originale ἀσπίς, lo scudo greco, derivi dallo scivolare della
lama sul metallo oplita.
Ma la parola Aspide ha un significato anche molto più moderno. Esiste infatti un missile
aria-aria o superficie-aria il cui
inconfondibile rumore di lancio non può che ben allinearsi
onomatopeicamente alle precedenti ipotesi. Da dove potrebbe provenire una tale associazione? Forse, come credono i sostenitori della teoria
degli antichi alieni, già allora vi
erano mezzi a reazione i cui
rumori sono rimasti impressi
nelle culture primitive a tal
punto da forgiare alcune delle
loro parole. Motori a reazione,
motori a diesel, motori elettrici (LLL). Possibile che già
nell'antichità esistesse una cospirazione per tenere nascosto
il motore ad acqua?
Devo dire che ormai mi sono
convinto che tutto è possibile.
Ma tornando a Tracce noterete che pur diradando le pro-
prie uscite sta progressivamente crescendo la propria
qualità intrinseca. Certamente
è facile cantarsela da soli, credersi belli. Ma tutto il lavoro
svolto sino ad oggi e le nuove
collaborazioni di cui andiamo
particolarmente fieri sono, a
mio parere, dati che vanno al
di là delle opinioni personali.
Di tutte le “interpretazioni”
che ho menzionato prima
(spero se ne sia colto il senso,
se qualcuno non lo ha colto e
pensa sia impazzito, mi scriva
e sarò lieto di spiegare) quella
che più si addice al nostro
gruppo, di questi tempi, è certamente quella dello scudo.
C'è chi sostiene che l'introduzione di quel tipo di scudo abbia dato origine alla formazione che poi sarebbe diventata
la falange, con la sua massima
espressione nell'esercito spartano. Gli opliti, ed era questa
la caratteristica principale, potevano proteggere con il proprio scudo anche il vicino di
formazione. Vi era poi uno spiraglio aperto che permetteva
alla lancia di colpire. Direi che,
a nostro modo, siamo una sorta di falange. Ci spalleggiamo,
non indietreggiamo e colpiamo. La cosa mi sorprende non
poco. Non avrei mai pensato
che il solo occuparsi, criticamente, di certi argomenti
3
avrebbe potuto metterci al
centro di strampalati attacchi.
Vero è, come ho sempre detto
e continuo a credere, tutti
hanno diritto di avere la propria opinione, di sbagliare, di
attribuirsi tutta l'importanza
che un social network può offrire. È la schizofrenia di Facebook. È un fenomeno che mi
ricorda la bolla speculativa sui
mutui negli Stati Uniti il cui
scoppio ha prodotto una crisi
che non vedevano dal 1929.
Per me i social-media stanno
vivendo lo stesso passaggio,
solamente a livello sociale.
Nella prima fase c'è stato un
magnifico accendersi di democrazia e libertà di informazione, alle volte persino oltre
l'apparenza. Successivamente
questa tendenza si è inflazionata fino a espandersi a tal
punto da andar fuori controllo
e produrre un’infinita serie di
casi di delirio comunicativo, di
allucinazioni culturali e crollo
completo del buon senso.
Nonostante tutto questo, o
forse anche un po' grazie a
tutto questo, senza Facebook
credo di poter dire che né
Tracce né Aspis sarebbero mai
nati. Quindi chiudete tutti Facebook, leggetevi Tracce (o
anche un bel libro non sarebbe male) e vedrete che non ve
ne pentirete.
POLVERE
SIMONE BARCELLI
SIGNORI DEL PIANETA,
SCHIAVI DELLA MENTE
Yuval Noah Harari, uno scrittore israeliano laureato in
storia, è il nome del momento. Di lui si comincia a discutere appena tre anni fa,
all’uscita di From Animals into Gods: A Brief History of
Humankind, che in breve cavalca le classifiche di vendita
diventando infine un bestseller, tradotto un po’ in tutto
il mondo.
In Italia è Bompiani che ci regala (si fa per dire, 18,70 euro) queste cinquecento e
passa pagine della versione
italiana Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, uscito
a maggio.
Jared Diamond, Premio Pulitzer autore di Armi, acciaio e
malattie (diventato ormai un
classico), non lesina complimenti al giovane collega: “Da
animali a dèi… affronta i più
grandi interrogativi della storia e del mondo moderno e lo
fa con un linguaggio vivido e
indelebile…”.
E già, il libro è proprio questo: un bel condensato della
nostra scellerata esistenza su
questo pianeta, con l’autore
che riesce a catturare già dalle prime pagine il lettore gra-
zie a una scrittura semplice,
lineare, avvincente.
Harari si interroga, tra le pieghe del libro, sui tanti avvenimenti che hanno contrassegnato il genere umano in così
tanti millenni, portando in
luce le immancabili incongruenze disseminate sul percorso che hanno condotto
all’attuale civiltà.
L’autore, forte di una preparazione multidisciplinare che
spesso sconfina
nell’economia, nell’alta finanza e nella statistica, è convinto che buona parte del nostro passato sia una pura invenzione della fervida immaginazione di alcuni nostri antenati, bravi a raccontare storie e convincere gli altri che
fossero vere.
È così che l’Homo Sapiens si
è convinto dell’esistenza di
cose che esistono solo nella
nostra immaginazione: divinità, diritto divino dei regnanti,
leggi, sovranità dei popoli,
nazioni, società commerciali
e soldi.
La capacità di raccontare
queste incredibili e complesse storie e indurre una moltitudine a crederci, è in fondo
4
l’immenso potere che detiene la nostra specie poiché,
come scrive l’autore, “fa sì
che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di
obiettivi comuni”. E questo è
quel che ci differenzia dalle
altre specie terrestri.
La capacità di creare una realtà immaginaria, secondo
Harari, è una rivoluzione cognitiva che proviene dalle parole (ma anche la scrittura
negli ultimi cinque millenni,
secondo noi, può aver dato
un contributo determinante)
che, oltre a essere il mezzo
principe della trasmissione
delle informazioni necessarie
per chi vive in gruppo, inevitabilmente finiscono per veicolare anche altre manifestazioni provenienti dai recessi
Yuval Noah Harari
più oscuri della nostra mente.
Per ottenere un consenso
sempre più unanime, la nostra esistenza pare costellata
di personaggi in grado di
adattare queste storie ogni
qualvolta ce ne fosse stato
bisogno (pensiamo ai racconti mitologici), come se in fondo andassero incontro al volere della moltitudine. Ecco
che le storie anche improbabili diventano col tempo
accettabili in ogni dove con
l’aggiunta di particolari differenti che, a quanto pare, sono graditi e sufficienti per
convincere tutti della bontà
dei racconti.
L’autore si interroga anche
sul passaggio fondamentale
da raccoglitori-cacciatori ad
agricoltori (quindi l’ingresso
nel Neolitico), convinto che
da quest’altra rivoluzione le
capacità cognitive siano rapidamente scemate poiché i
nostri avi, inseriti in gruppi
sempre più numerosi, si sono
specializzati in mansioni semplici e ripetitive, delegando il
resto ad altri “specialisti”.
Una sconfitta, insomma, se si
pensa che proprio allora
l’uomo stanziale cominciò a
interrogarsi sul futuro (“la
preoccupazione si radicava
non soltanto nei cicli stagionali della produzione, ma anche nella fondamentale incertezza del sistema agricolo”),
a differenza del raccoglitorecacciatore la cui unica preoc-
cupazione era procurarsi il
cibo e un riparo per la notte.
Un altro tema che troverete
sulle pagine di questo volume è quello delle responsabilità del genere umano
nell’estinzione della megafauna, nonostante ancor oggi
si preferisca attribuire questo
e altri disastri ecologici alle
bizzarrie climatiche: un’altra
invenzione della nostra mente per scagionarci dalle responsabilità. E qui Harari non
fa distinzione tra raccoglitoricacciarori o agricoltori, tutti
hanno fatto la loro parte per
distruggere, forse anche inconsapevolmente, l’ambiente
circostante. La rivoluzione
industriale, in tal senso, è
l’ultimo atto della tragedia.
L’analisi dell’autore si spinge,
a tratti anche con veemenza,
a demolire i credi religiosi,
quando cerca di dimostrare
come questi si siano adattati
così bene, alla bisogna, modellando alle esigenze i propri pantheon per accontentare tutti (l’esempio dei Romani
al tempo dell’Impero appare
credibile), salvo poi trasformarsi in un battibaleno da
politeiste a monoteiste.
Interessante l’analisi che rivela come la storia del genere
umano, soprattutto dal Medioevo in poi, sia stata indirizzata dalle spinte espansionistiche dei regnanti (imperi
e ordini religioni) alla cerca di
ingenti profitti economici (il
capitalismo, la nascita delle
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banche e il conio delle monete come armi per detenere il
potere), che hanno condizionato non solo le vite di molte
popolazioni “indigene” ma
anche il cammino della scienza e del progresso, i cui rappresentanti sono stati spesso
ingannati, manipolati o costretti a scendere a patti con i
detentori del potere. Un po’
quello che succede ancor oggi, in un contesto dominato
dalle multinazionali.
L’uomo è diventato dio, ma
va ancora in cerca di verità
elementari. La sua immaginazione è ben descritta
dall’autore in questo passaggio: “Benché l’ordine immaginario esista solo nelle nostre
menti, esso può essere intessuto nella realtà materiale, e
persino scolpito nella pietra”.
Tra i tanti meriti di questo autore, e di questo bel libro, la
capacità di abbracciare tutto
il nostro passato in un colpo
solo e restituirlo nella sua essenza, focalizzando i fatti salienti che hanno contraddistinto il nostro cammino fino
a oggi. Nel bene e soprattutto nel male. Un testo essenziale per comprendere dove
stiamo andando.
LUCI DALL’OLTREVERSO
FABIO MARINO
LA BIOCHIMICA
(SBAGLIATA)
DEGLI ELOHIM
DALLA BIBBIA
SECONDO BIGLINO
PREMESSA INTEGRATIVA (POSTUMA)
Ritengo necessario un ulteriore intervento su questo articolo,
che ha letteralmente reso sgomenti i seguaci più ardenti del sig.
Mauro Biglino, al punto da inventarsi di tutto, pur di sostenere
la scorrettezza strumentale delle mie argomentazioni. Successivamente, pubblicherò anche una breve intervista al dr. Marcello
Germani, che conferma, senza ombra alcuna di dubbio, quello
che io affermo qui. Nel frattempo, desidero sottolineare che nel
copia&incolla dall’elaboratore testi al sito, era saltato un capoverso, che qui riassumo, dedicandolo al contestatore-principe, il
P.C. (Perito Chimico) Alessandro Demontis. Ricordo a lui e a tutti, infatti, che durante la cottura (tale è la “bruciatura” dei sacrifici) avviene un processo di DENATURAZIONE delle proteine
e dei peptidi, per cui i medesimi composti organici perdono
completamente la funzione originaria, in quanto vengono rotti i
legami che “tengono insieme” gli amminoacidi. Quindi, fermo
restando che nel grasso NON ESISTE TRACCIA di endorfine,
quand’anche ce ne fossero, esse verrebbero irreversibilmente
DISATTIVATE dal processo di cottura. E con ciò, chiudiamo il penosissimo epic fail del sig. Demontis. Infine, qualcuno afferma
che le frasi del sig. Biglino sono “vecchie” e risalenti al 2011, come se ciò fosse una giustificazione per una sciocchezza totalmente insostenibile. A tal proposito, ribadisco che il Nostro ha
affermato testualmente quanto contestato nel corso del Simposio C.U.N. di San Marino del Marzo 2014
(DUEMILAQUATTORDICI); ho quindi aggiunto ai link di alcune
delle Sue ineffabili affermazioni anche la data, da cui si evince
che questa è LA POSIZIONE ATTUALE di Biglino in merito alla
querelle dei sacrifici.
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Come molti ormai sanno, il sig.
Mauro Biglino si avvia a diventare
un autentico genio poliedrico dei
nostri tempi. Il Nostro è già famoso per le bizzarre traduzioni pseudo-letterali dell’Antico Testamento (pur ignorando completamente
gli elementi basilari delle cosiddette “espressioni idiomatiche”,
presenti in ogni lingua viva o morta: ulteriori critiche sostanziali
qui), per l’ammirazione sconfinata
nei confronti del rag. Fracchia e di
Ombretta Colli (Gli piace il noto e
vecchio successo “Facciamo finta
che“, risalente al 1975 circa), per
essersi circondato da un manipolo
di sedicenti “esperti”. Anche da
costoro, presumibilmente, deriva
la poliedricità esibita, che si accinge (lo ha ripetutamente anticipato
Lui stesso) a spaziare pure nel
mondo classico di “Iliade” ed
“Odissea”: immagino con le medesime, ineffabili conclusioni delle
sue magniloquenti opere già pubblicate. Nel ricordare ancora una
volta, tuttavia, che il suo “lavoro”
consiste nella scopiazzatura delle idee di Browning (“The Bible
and Flying Saucers”) e di Claude
Vorilhon-Rael, devo altresì notare
che di recente Biglino discorre con
rara competenza anche di Biologia, Biologia Molecolare e Biochimica. Davvero, non è poco. Peccato,
però, che prenda solenni cantonate. La storia del razzo egizio,
malamente “photoshoppato”,
non Gli ha insegnato nulla, vista la
sicumera con cui blatera di Biochimica. Vediamo un po’, dunque.
Nel corso del Simposio sammarinese dello scorso Marzo, Biglino
ha tenuto uno dei suoi soliti interventi: io ed altri Componenti di
ASPIS eravamo presenti, LA DATA
ERA IL 29 MARZO 2014
(DUEMILAQUATTORDICI). Stavolta, però (a parte la sorpresa di trovarlo in un convegno ufologico,
visto che abitualmente rifugge
con uguale sdegno sia la qualifica
di “ufologo” che di “esegeta”: e in
entrambi i casi fa benissimo, visto
quello che scrive e dice…) ha tirato fuori dal cilindro una storiella,
già parzialmente smontata da un
ambizioso giovane. Il lettore probabilmente ricorderà che, tempo
addietro, la NASA pubblicò una
notiziola, secondo cui il POSSIBILE
odore dello spazio interplanetario
poteva essere simile a quello emesso da una graticola arroventata. Si trattava, ovviamente, di una
curiosità, anche perché nessuno si suppone- può respirare nello
spazio vuoto, e quindi annusarlo.
Poteva mai una cosa come questa
non essere strumentalizzata da un
Signore come Mauro Biglino? Ovviamente no! Ed infatti, in quel
convegno Egli inserì nel contesto
del suo neoevemerismo questo
“fatto”, affermando a chiare lettere che il motivo dei sacrifici e degli
olocausti offerti a YHWH/Elohim
era proprio questo: permettere al
nostalgico e brutale alieno di respirare aria di casa, insomma.
Non solo: il Biglino afferma che
OGNI PRIMOGENITO, di OGNI A-
NIMALE (Uomo compreso: e questo già la dice lunga sulla considerazione che l’Autore ha nei confronti della più alta espressione
del libero pensiero…) sarebbe
stato preteso da YHWH. Le cose,
naturalmente, non stanno così:
ma ne parleremo a breve, promesso!, in un articolo a parte. Ma
il vertice del ridicolo Biglino lo
raggiunge quando afferma esplicitamente che “gli è stato riferito” il motivo biochimico per cui il
grasso del neonato umano sarebbe così appetibile per gli spietati
Elohim, YHWH in testa: se bruciato, infatti, si trasformerebbe in
endorfine. Sostanze simili alla
morfina prodotte da qualsiasi organismo, in condizioni particolari;
sostanze che, inalate (non
“annusate“, sig. Biglino: I-N-A-LA-T-E!) da questi selvaggi alieni,
ne placavano ansie e dolori. Qui
siamo veramente ad un livello altissimo, over the top. Ci sarebbe
da ridere, se il concetto in sé non
fosse di tale gravità, da far piangere. Ma controlliamo questa affermazione. Questa (figura 1)
compongono e la disposizione
nello spazio degli atomi stessi è
quella in figura. Osservatela bene.
Il neonato umano possiede effettivamente discrete quantità di
tessuto adiposo (o grasso) BRUNO, come il Famoso Autore afferma. A differenza di quello BIANCO, ben rappresentato nell’adulto
in sovrappeso (non in Biglino: Egli,
fortunatamente, esibisce una figura slanciata che francamente Gli
invidio), quello bruno non è solo
“materiale energetico di riserva”
che perdiamo con una bella dieta,
ma rappresenta una fonte diretta
di energia, per motivi metabolici
che non specifico, perché andremmo troppo nel tecnico. Ebbene, la formula di struttura dei
grassi contenuti nel tessuto adiposo (bruno o bianco la differenza è sostanzialmente trascurabile) è la seguente (figura 2):
La struttura degli acidi grassi
Come chiunque può vedere, le
formule sono drasticamente diverse, e garantisco (prego il LettoFormula di struttura generica delle
endorfine
re di credermi sulla parola, oppure di verificare, se vuole, in quaè la struttura generale delle enlunque libro di Biochimica e/o Biodorfine: non a caso si parla di
logia di livello universitario) che
“formula di struttura”. Queste so- non esiste modo, tanto meno atstanze esercitano un’azione assai traverso la semplice cottura
simile alle cosiddette “droghe”, ed (questo è il “bruciare un sacrifihanno TUTTE una struttura simile cio”), di trasformare il grasso in
a questa: cioè gli atomi che le
endorfine. E nemmeno esiste al-
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cuna evidenza scientifica che
l’inalazione di effluvi di grasso
possa, in qualunque modo, stimolare la produzione di endorfine.
Per ulteriore completezza, segnalo che esistono anche gli steroidi
(generalmente sono ormoni, anche se è molto noto il colesterolo), che derivano dai lipidi e si presentano con questa base generale
(figura 3), e anche in questo caso
non è che somiglino molto alle
endorfine…
Struttura generica degli steroidi
Ora, poiché il Nostro è più sfuggente di un’anguilla, sottolineo
che non solo ho udito con le mie
orecchie quanto da Lui affermato,
ma lo ripete (insieme al suo nuovo mantra “mondo
omerico/Bibbia”) in numerose
interviste.
Ricapitolando: il sig. Biglino farebbe bene, visto il suo recente interesse per la Biologia, a 1 – studiare bene la materia che tanto lo
sta attraendo; 2 – in alternativa
e/o in aggiunta, ricorrere a
“collaboratori” meno compiacenti ideologicamente nei confronti
delle sue bislacche idee, e più
preparati e capaci di spiegarGli
come stanno effettivamente le
cose. A scanso di equivoci, io
NON sono disposto né interessato a farGli da mentore; sono invece molto interessato, per amore
della Verità, a sbugiardarLo ogni
volta che sarà necessario.
Un’osservazione gratuita, però,
voglio regalarGliela, anche se è
strano che i Suoi amici biologi,
genetisti, naturalisti, motoristi e
marconisti non Glie lo abbiano già
detto. Esistono animali che, anche
da adulti, conservano eccezionali
quantità di tessuto adiposo bruno.
Sono tutti quelli che vanno in letargo. Capisco che ghiri e scoiattoli sono piccoli. Ma verso Nord,
specialmente 4-5000 anni fa,
c’erano molti orsi, come anche in
America. Possibile che nessun Elohim si sia inventato l’esclusiva del
commercio di orsi? O che YHWH
(“Absit iniuria verbis!”) fosse così
pezzente, da non riuscire a comprare qualche orso ogni tanto?
Oppure che, dopo aver affrontato
un viaggio megagalattico da chissà
dove, non fosse in grado di fare
quattro passi in America o in
Nord Europa per sgranchirsi le
gambe (o i tentacoli) e catturare
qualche bell’esemplare di Ursus
Spelaeus, invece di accontentarsi
delle briciole ebree?
Ai liberi pensatori l’ardua risposta.
E anche, se vogliono, il diritto di
replica. Preferibilmente assennata…
ADDENDUM
Avevo dichiarato la mia disponibilità a discutere in merito a critiche
“preferibilmente assennate“. Ebbene, accanto a moltissimi complimenti (i cui autori ringrazio!),
ho ricevuto qualche critica. Purtroppo, nemmeno una assennata. Tralascio volentieri quella secondo cui sono stato troppo duro
con il sig. Biglino e sarebbe bastato scrivere che questi sbagliava
SENZA ENTRARE NEL MERITO
(sic!) (e mi limito al riguardo a ricordare il feroce sarcasmo che
spesso Egli stesso usa: chi di spada ferisce, etc. etc.); contrasto
invece direttamente le involute
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affermazioni di un diplomato Perito Chimico, che mi attacca frontalmente così:
“Da chimico non ritengo corretto
che l’ articolista (il quale mi risulta
essere un medico) usi la carta del
‘le formule sono molto diverse’
per sostenere la infondatezza di
un argomento… intanto perchè ha
paragonato due rappresentazioni
diverse, una formula di struttura
breve e una formula di struttura
semplificata. Inoltre porta come
formula di struttura “generica delle endorfine” quella di una particolare endorfina.. le endorfine son
di vario tipo e hanno strutture
molto diverse… nel link mostro la
beta-endorfina per esempio. Se
uno ragionasse come Marino in
quell’ articolo, confrontando la
sua ‘struttura generica’ e quella
della b-endorfina dovrebbe dire
‘son completamente diverse, non
son correlate’. Ha scelto inoltre
proprio una formula di struttura
dove non é mostrato il gruppo carbossibilico COOH tipico dei grassi
e di molte endorfine, una mossa
che non mi aspetterei da un informatore corretto.“
Su tali basi (che dimostrerò del
tutto infondate sotto il profilo
scientifico ed etico), costui lancia
violenti strali contro di me, definendomi, fra l’altro, una
“vergogna per il mondo della
scienza“, e tacciandomi di totale
incapacità ed ignoranza. Affermazioni temperate appena dalla seguente ammissione, giunta solo
dopo essere stato adeguatamente
sbugiardato con dati alla mano:
“Ti ho già abbondantemente risposto: biglino ha scritto una
imprecisione. Doveva scrivere che
la combustione del grasso poteva
liberare eventuali endorfine animali presenti in circolo. Ciò non
toglie che il suo errore, non essendo lui preparato in materia, é me-
no grave del tuo erroneo utilizzo
di discorsi relativi alla somiglianza
delle molecole e al tuo paragonare due tipi di formula di struttura
diversi per sortire un determinato
effetto“.Quindi, se tanto mi dà
tanto, il sig. Biglino che scrive libri
e fa conferenze fondate su un errore marchiano, è giustificato perché, poverino, non è del ramo, e
non è bello “strumentalizzare” i
suoi errori per sbugiardarlo… Interessante filosofia, devo dire.
In ogni caso, una duplice premessa è d’obbligo. La prima è che
questi sono articoli DIVULGATIVI:
se avessi intenzione di scrivere
trattati o libri, certamente -visti i
temi in discussione- ne verrebbero fuori opere comprensibili solo
agli addetti ai lavori, e chiaramente non è questo lo spirito né mio,
né dei Colleghi di ASPIS; un aspetto dunque da tenere a mente
SEMPRE. La seconda è che, in
questa circostanza, sono costretto
a scendere nel dettaglio tecnico.
Cercherò di usare un linguaggio
comprensibile, ma per colpa del
Perito Chimico contestatore qualche concetto potrebbe essere più
ostico del solito. Tuttavia, per
mantenere un livello di comprensibilità generale accettabile, non
sparerò citazioni tratte dalla mia
personale libreria universitaria:
non siamo in una Facoltà, qui; utilizzerò link di eventuale approfondimento reperibili sulla Treccani
on line: un sito prestigioso, indiscutibile, non specialistico ma sufficiente per i miei scopi QUI ED
ORA. Adesso, per chi vuole seguirmi, partiamo pure.
Figura 4 La struttura della betaendorfina
In primo luogo, il Perito Chimico
sbaglia tutto praticamente fin
dall’incipit. Intanto, la formula generica (come l’ho definita subito
all’interno dell’articolo) che ho
pubblicato non è di una endorfina
qualunque (come lui stesso scrive:
“… porta come formula di struttura “generica delle endorfine” quella di una particolare endorfina“:
quindi sa perfettamente che il mio
intento era didascalico!). Un Chimico con la “C” maiuscola che volesse buttarla in rissa anche su un
semplice articoletto scritto per
NON SPECIALISTI avrebbe immediatamente riconosciuto che quella in figura 1 non è una endorfina
(come invece lui conferma), ma è
LA MORFINA. Ho pubblicato
QUELLA immagine solo per esemplificazione, e perché era sufficientemente piccola da non essere invasiva. Il Perito propone invece questa figura (figura 4). Sposta
i termini della questione? No, per
alcuni motivi. Intanto, continua a
non esistere alcuna analogia o
somiglianza fra la figura 4 e le
figure 2 e 3 (o sbaglio?). In secondo luogo, negli oppiacei (di cui le
endorfine, TUTTE, fanno parte)
come è possibile vedere esiste il
gruppo amminico -NH2 (o quello
-NH-), CHE NON SI TROVA AFFATTO nei grassi. Come mai? Semplicissimo: i grassi contenuti nel tessuto adiposo sono LIPIDI, gli oppiacei (e quindi anche le endorfine!) sono PEPTIDI. Stiamo parlando di strutture completamente
diverse: i primi sono costituite da
lunghe catene di Carbonio, Idrogeno ed Ossigeno (C, H, O), variamente legati fra di loro, ma sempre in modalità LINEARE. Esistono
i grassi SATURI (quelli in cui non è
presente alcun doppio legame fra
due atomi di C contigui), quelli
MONO-INSATURI (in cui esiste UN
SOLO doppio legame) e quelli PO-
9
LI-INSATURI (in cui i doppi legami
fra atomi di C contigui sono molteplici); i grassi saturi sono solitamente di origine animale, quelli
poliinsaturi di origine vegetale. Gli
oppiacei (e quindi le endorfine:
QUALUNQUE endorfina), invece,
sono composti derivati dal
“montaggio” di amminoacidi. Le
proteine sono peptidi, più o meno
complessi, pesanti e lunghi; la globina che compone l’emoglobina è
una proteina (e quindi un peptide); l’insulina è una proteina, e
quindi un peptide. Per la precisione, le endorfine sono piccoli peptidi, che nulla hanno a che fare
con i grassi, composti tipicamente
da un numero compreso fra 26 e
32 (SOLITAMENTE!) amminoacidi
I principali componenti del sistema op-
pioide e i loro precursori
(figura 5); i precursori sono peptidi ancora più piccoli, con soli 5 o 6
amminoacidi. Tutte cose che ho
regolarmente spiegato al mio non
troppo gentile Interlocutore. Ora,
dove sarebbe il mio malizioso errore metodologico che mi rende
“la vergogna per la chimica e per
il metodo scientifico” (testuale!)?
Chiedo scusa, ma non lo capisco.
Capisco benissimo, invece, che chi
è messo all’angolo, come il Perito
Chimico in questione, non sapendo ribattere (perché nulla ha ribattuto sugli aspetti tecnici) si dedica all’insulto. Proseguiamo, perché esistono un altro paio di esilaranti chicche buttate lì da costui.
Il Perito Chimico, in chiara confusione, cita alcuni articoli di Veteri-
naria, relativi a studi condotti SUI
BOVINI, in cui si rilevano alcuni
valori delle endorfine a livello
PLASMATICO. Cioè nel sangue. Lui
invece afferma che nei grassi BOVINI vi sono endorfine: falso! In
ogni caso, esiste una sia pur piccola evidenza che siano presenti nel
grasso umano/neonatale? Manco
per idea: uno studio (uno dei tanti) dell’Università di Bari, Facoltà
di Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, specifica CORRETTAMENTE dove si trovano le endorfine nell’Uomo:
Ipofisi anteriore;
Ipofisi intermedia, in entrambi i
casi specificamente nelle cellule
corticotrope, cioè quelle che contengono ACTH (Ormone adrenocorticotropo); il meccanismo di
liberazione è lo stesso per l’ACTH
e le endorfine;
Sistema Nervoso Centrale
(S.N.C.): sono contenute in neuroni lunghi il cui soma è concentrato
soprattutto nell’ipotalamo medio-basale a livello del nucleo arcuato. Dall’ipotalamo i neuroni
endorfinergici si proiettano anteriormente e caudalmente terminando in diverse aree cerebrali: 1)
Setto anteriore 2) Nucleo paraventricolare 3) Nucleo paraventricolare del talamo 4) Nucleo parabrachiale 5) Materia grigia periacqueduttale. In altre, semplici pa-
role: le endorfine NON sono presenti nei tessuti adiposi, ma, in
pratica, solo all’interno
dell’encefalo. L’epic fail
dell’estremo difensore giunge,
inesorabile, quando, nel disperato
tentativo di salvare la faccia, giustifica il sig. Biglino, scrivendo:
“Non é detto, se le endorfine sono
in circolo nei grassi e nei tessuti
dell’ animale, il loro bruciare le
può liberare. Liberare non significa trasformare.“. Abbiamo visto
che le endorfine non si trovano in
circolo, e nemmeno nei grassi.
Poi, per giustificare
l’ingiustificabile difesa d’ufficio,
ribadisce: “biglino ha scritto una
imprecisione. Doveva scrivere che
la combustione del grasso poteva
liberare eventuali endorfine animali presenti in circolo“. Insiste
testardamente su una sciocchezza
scientifica grande come una casa,
dunque.
Da ultimo, sottolineo che il Perito
Chimico sostiene di non aver mai
sentito il sig. Biglino affermare
quanto da me riportato all’inizio
di questo ormai lunghissimo articolo (la trasformazione del grasso
neonatale bruciato in endorfine).
Bene: non solo i Componenti
dell’ASPIS Simone Barcelli, Gianluca Rampini ed Enrico Travaini
possono tranquillamente confermare ciò che io affermo, ma lo
10
stesso sig. Biglino (cosa volentieri
dimenticata dai Suoi entusiasti
sostenitori, che mi accusano di
aver citato un solo episodio…) lo
ripete sistematicamente. Eccone
qualche altro esempio:
1 – Mauro Biglino: “Navi spaziali
ed armi micidiali nell’Antico Testamento” (14/08/2011);
2 – La Bibbia non parla di Dio (Mauro Biglino a Studio Aperto
– 11/07/2014);
3 – Mauro Biglino – l’odore di carne bruciata (Gennaio 2012);
4 – Intervista a Mauro Biglino (24
Luglio 2014).
Mi fermo qui, ma potrei continuare…
La cosa davvero triste è che un
Perito Chimico parli di
“imprecisione da parte di Biglino“, non di “grossolano errore di
fatto e di principio“. Sì, davvero
triste, se pensiamo che questo
signore scrive libri ed articoli, e di
converso mi accusa di “di aver
utilizzato impropriamente due
tipi diversi di formula“.
Come al solito, mi rimetto al giudizio del Lettore. Quello intelligente. A quest’ultimo mi permetto di
dedicare alcuni, ulteriori link di un
certo interesse, che troverete sul
sito dell’associazione ASPIS. Ma i
meno dotati e i soggetti in malafede ne evitino la lettura. Per favore!
PALEOSTORIE
GIORGIO GIORDANO
LA DINASTIA EBRAICA
Genesi. Il primo indizio dell'esistenza degli ebrei è forse
rintracciabile intorno al XII
secolo a.C., in una stele egizia
che fa riferimento alla presenza nei dintorni della terra
di Canaan di una popolazione
nomade di nome Ysrỉr, comunemente interpretato dagli
storici come Israele. Esiste
poi un documento scritto in
lingua ebraica, datato X secolo a.C., ritrovato a Khirbet
Qeiyafa: è una testimonianza
indiscutibile dell'esistenza di
questo popolo in quell'epoca.
Gli ebrei nella sostanza sono
il risultato delle stratificazioni
etniche avvenute in terra di
Palestina nel corso dei secoli
precedenti al 1000 a.C., una
summa di genti composta da
indigeni cananei, filistei stan-
Khirbet Qeiyafa
ziati nell'area (popoli del mare) e naturalmente tribù semitiche, compresi forse i citati Hyksos. Continuando il racconto, una volta conquistata
la Terra Promessa, si impone
il dominio dei Giudici, a tutti
gli effetti autorità morali che
esercitano il potere temporale. Poi finalmente compare
una monarchia vera e propria, prima con Saul, a seguire con Davide e Salomone.
Non si hanno tuttavia tracce
del loro regno unitario (e a
mio avviso le mura di base
del presunto primo Tempio di
Gerusalemme sono molto più
antiche, appartengono alla
misteriosa civiltà megalitica
mediterranea, dunque dagli
ebrei quel luogo sacro è stato
solo riadattato).
Secondo la Bibbia, la monarchia viene “pilotata” da Samuele, giudice e profeta,
quindi ancora una volta
un'autorità religiosa da cui
promana il vero potere. Tutto
lo Stato ebraico illustrato dal
testo sacro è costruito attor-
11
no al culto di Jahvè e al potere dei sommi sacerdoti. La di-
La Stele di Merenptah
nastia regale è una intromissione “necessaria”, anche se
non molto gradita. È evidente
che in Palestina, prima della
cattività babilonese, sono esistiti i due Regni di Giuda e Israele e di conseguenza delle
monarchie, sebbene non nelle forme descritte dall'Antico
Testamento. Un dato che gli
autori del testo non potevano
Battaglia di Giosuè contro gli amoriti (particolare autografo) , cm. 70 x 82, Museo Puškin, Mosca
ignorare e che in caso contrario sarebbe saltato all'occhio
come una macroscopica censura. È stato quindi inevitabile dare forma a una casa regnate Davidica, che verosimilmente non è mai esistita. Una
monarchia durata poco e finita male. E dopo la divisione
dei Regni, a difendere le sorti
del popolo ebraico e del vero
credo, tanto per non sbagliare, gli autori della Bibbia hanno nuovamente indicato i
profeti, ancora figure prettamente religiose. Con la de-
portazione a Babilonia sparisce la supposta regalità ebraica. L'ultimo discendente della
casata è Zorobabele, il fantomatico capo della prima spedizione a Canaan dopo l'Esilio, che “ovviamente” è accompagnato dal sommo sacerdote Giosuè. Ma al momento della dedicazione del
secondo Tempio, Zorobabele
semplicemente non è presente, c'è solo Giosuè. La monarchia Davidica viene quindi abolita senza troppo dolore,
nello spazio di un paio di ri-
12
ghe. E poi arriva Esdra con la
seconda spedizione da Babilonia verso la Terra Santa, che
rifonda lo Stato ebraico attorno al culto di Jahvè e sul potere assoluto dei sommi sacerdoti. Naturalmente Esdra
è un Levita, un discendente di
Aronne: è l'ennesima ufficializzazione dei sacerdoti al potere. Più tardi con i Maccabei,
anche loro Leviti, i sommi sacerdoti diventeranno regnanti a tutti gli effetti, fondando
la dinastia Asmonea.
UN ESPERIMENTO NELLA GRANDE PIRAMIDE
IL MISTERO DEL
DISORIENTAMENTO
SPAZIO - TEMPORALE
ALL’INTERNO DELLO ZED
MAURIZIO PINCHERLE
MOTIVAZIONI DELL’ESPERIMENTO:
LE ESPERIENZE DI DISORIENTAMENTO
Il mio primo viaggio in Egitto
è avvenuto nell’inverno del
1974. Avevo quasi vent’anni
e l’arrivo con la piccola nave
Orfeus nel porto di Alessan-
dria mi portò in un mondo
nuovo, esotico, affascinante.
Ricordo la strada per il Cairo,
lungo il Nilo, i finestrini aperti del taxi anni ‘40, il tramon13
to del sole e la prima fantastica visione, in lontananza,
delle tre piramidi
all’orizzonte. Uno spettacolo
incredibile, una delle emo-
Maurizio Pincherle
zioni più belle della mia vita.
Poi l’arrivo, nel primo pomeriggio del giorno di capodanno, sotto la piramide. Così,
dal basso, mi sembrava una
montagna di pietra. La salita
in quel tunnel, prima ripido
e bassissimo e poi improvvisamente immenso e infine la
camera del Re, cioè lo Zed e
il sarcofago. Le luci flebili,
tenui, rendevano l’ambiente
suggestivo e misterioso.
Trentatré anni ed ero ancora
lì, sempre in un pomeriggio
invernale, il sole ormai basso
sull’orizzonte, i cammelli con
i turisti e la troupe della Rai
più emozionata e ansiosa di
me.
Allora, come ora, misteri e
ricerca nell’ignoto. Quel pomeriggio del capodanno del
1974 eravamo alla ricerca
dello Zed, della torre di pietra all’interno della grande
piramide. Io ero lì per fotografare, per documentare le
scoperte di un gruppo di
pionieri di una nuova archeologia che negli anni successivi portò alla nascita di personaggi come Bauval e Hancock. Di questo gruppo faceva parte anche mio padre
che aveva allora più o meno
la stessa età che ho io oggi.
Ero la mascotte di questo
gruppo eterogeneo di persone entusiaste; mi rendevo
conto di vivere
un’esperienza unica, che
avrei ricordato per tutta la
vita.
Tra le tante cose misteriose,
una mi colpì subito: mentre
ero all’interno della camera
del Re avvertivo attorno a
me uno stato di euforia collettiva, come se le persone
che mi circondavano avessero subito un condizionamento esterno. Ogni volta che
sono rientrato nella piramide ho avuto questa strana
sensazione; ma non si trattava di una cosa soggettiva.
Le differenti persone che mi
accompagnavano nei miei
viaggi in Egitto, susseguitisi
negli anni, tutte le volte che
tornavo nella grande sala del
Re mi facevano notare questo stato mentale alterato;
fino all’ultimo ingresso, con
la troupe di Voyager. Anche
questa volta tutti quanti, autori, tecnici, regista, emozionati ed euforici a chiedermi
che rapporti potessero esserci tra il loro stato di felicità di quel momento e ciò
che avevamo appena finito
di registrare con la nostra
14
apparecchiatura.
Ma non solo uno stato di
grazia, di eccitazione, di euforia; c’era qualcos’altro di
misterioso che molti di quelli
che erano nei vari anni con
me in quel luogo riferivano
come legato alla temporalità: un vero e proprio disorientamento temporale, che
sembrava acuirsi proprio
all’interno di quel contenitore di granito che tutti chiamano sarcofago, ma che forse è qualcos’altro.
E allora ecco il desiderio di
provare e di capire. Per primo si sdraiò mio padre quel
giorno di capodanno. Ricordo come fosse ora il momento in cui gli scattai la fotografia che è stata mostrata
ovunque. Poi io. Infine mio
figlio. Tre generazioni nel
corso di trent’anni… sensazioni diverse, dal disorientamento temporale che rende
impossibile la cognizione del
fluire del tempo, allo stato
vertiginoso che simula quasi
una crisi epilettica,
all’ottundimento delle sensazioni, particolarmente di
quelle acustiche, con incapacità a distinguere la fonte dei
suoni, dei rumori, di riconoscere le voci.
Tutti sintomi che finiscono
immediatamente dopo essere usciti fuori da quel guscio
di pietra.
A parte le diversità delle
sensazioni soggettive incominciai a domandarmi il perché di quelle reazioni cui
avevo sempre assistito e che
avevo personalmente sperimentato tutte le volte che
ero entrato nella grande piramide. Perché quella strana
euforia? Perché quella difficoltà a mantenersi dentro a
un sistema dipendente da
parametri spazio-temporali?
Accade qualcosa in quel luogo che altera le funzioni del
nostro cervello?
Quella tiepida sera di capo-
danno del 1974 mi chiedevo
già queste cose mentre in
taxi ce ne tornavamo allo
Shepard, il nostro vecchio
albergo inglese al centro del
Cairo e il profilo delle piramidi si stagliava
sull’orizzonte tinto dalle ultime luci del tramonto.
Una domanda che mi sono
posto tante volte negli anni
e che è diventata quasi assillante in me quando, per i
misteriosi percorsi della vita,
mi sono ritrovato, nel mio
lavoro, a studiare e ad interessarmi del cervello
dell’uomo.
Brunton racconta la sua straordinaria ed incredibile
esperienza vissuta una notte, in cui si fece rinchiudere
all’interno della Grande Piramide, dai primi momenti, in
cui restò solo ed emozionato
a quando incominciò a presentare alterazioni dello stato psichico, accompagnate
da manifestazioni dispercettive, che lo portarono fino al
punto di sentirsi morire e a
vedersi, subito dopo, morto
all’interno del sarcofago. Gli
parve di vedere, pur con gli
occhi chiusi, grigi spettri di
nebbia che aleggiavano nella
stanza e ombre gigantesche
LE ESPERIENZE DI BRUNTON e paurose che sembravano
E NAPOLEONE ALL’INTERNO uscite da un regno infernale.
DELLA PIRAMIDE
Poi, improvvisamente, le fiTempo fa, rovistando tra dei gure svanirono e presero ad
vecchi libri, trovai un voluavanzare verso di lui due sametto di Paul Brunton, argome luminose ammantate
cheologo ed esploratore in- di bianco. Infine l’esperienza
glese del primo novecento. di uscita dal corpo, voltegNel libro, molto avvincente, giando lungo il soffitto e vedendo se stesso, immobile,
seduto sul pavimento. Quando, il mattino dopo, uscì dalla piramide era in uno stato
di apatia totale, come se fosse sotto l’effetto di una droga. Il racconto è certamente
molto emozionante, ma alla
fine risulta talmente inverosimile che è naturale chiedersi quanto ciò che l’autore
descrive possa essere ritenuto attinente ad esperienze
reali, o quanto, invece, debba essere considerato frutto
L’autore dell’articolo durante una conferenza
15
di suggestione, o addirittura
di fantasia.
Un’altra esperienza sconcertante è quella che visse Napoleone durante la Campagna d’Egitto. Egli aveva un
grande interesse per quei
monumenti grandiosi, che
sfidavano il tempo e per i
misteri che custodivano; si
sentiva attratto particolarmente dalla grande piramide, che allora era quasi completamente sommersa da
enormi dune di sabbia. Volle
entrarvi e chiese di essere
lasciato solo a passarvi la
notte. Restò lì al buio, ma
non si seppe mai cosa accadde. Alcuni ufficiali del suo
seguito riferirono che il mattino seguente egli uscì sconvolto, ma non volle rivelare
a nessuno quello che gli era
capitato all’interno.
In seguito, negli ultimi anni
della sua vita a S. Elena, fece
alcune volte riferimento a
quella terribile notte passata
nella piramide, senza tuttavia mai raccontare i particolari che affermava essere
tanto incredibili da rendere
inverosimile il suo racconto,
che finì quindi per non rivelare mai.
Così, anche sulla base di
queste esperienze di un passato più o meno recente, ho
incominciato a maturare
l’idea di misurare, con gli
strumenti tecnologici di cui
disponiamo attualmente,
quello che potrebbe avveni-
re quando siamo posti in un
ambiente così particolare e
unico, come quello dello
Zed, in cui sono stati osservati i fenomeni di cui abbiamo parlato, fenomeni che
ragionevolmente potrebbero essere anche ricondotti a
variazioni dell’attività encefalica.
È in quest’ottica che è nata
l’idea di effettuare un esperimento che potesse rilevare
e misurare secondo criteri
scientifici (e quindi riproducibili) eventuali variazioni
della produzione elettrica
cerebrale all’interno del sarcofago, rispetto ad un situazione ambientale “neutra”.
tanti sogni irrealizzabili di
una vita.
L’occasione che ha consentito che le cose evolvessero in
un altro senso si è presentata quando la troupe del programma di Rai 2 Voyager si è
recata in Toscana a intervistare mio padre. Uno degli
autori del programma si è
subito dimostrato disponibile ad occuparsi
dell’organizzazione materiale dell’esperimento, che sarebbe stato registrato e trasmesso in una delle puntate.
Così, dopo aver definito alcuni aspetti tecnici, nel
dicembre del 2007, con gli
altri componenti della mia
équipe, composta da un tecL’ESPERIMENTO NELLA
nico di neuro fisiopatologia
GRANDE PIRAMIDE: MISU- e da un delegato della ditta
RAZIONE E COMPARAZIONE di apparecchiature di eletDELL’ATTIVITA’ ELETTRICA
troencefalografia EB-Neuro,
CEREBRALE ALL’INTERNO
sponsor che ha messo a
DELLO ZED E IN AMBIENTE
disposizione l’attrezzatura
NEUTRO
elettronica computerizzata,
Ho più volte pensato a que- siamo partiti per l’Egitto,
sto progetto, che mi sembra- dove la troupe di Voyager
va tanto affascinante quanto stava già preparando tutto il
utopistico e irrealizzabile.
necessario per
Avrei dovuto ottenere
l’effettuazione e la ripresa
l’autorizzazione a utilizzare
dell’esperimento.
la piramide per alcune ore, a
portarvi le apparecchiature L’ESPERIMENTO
elettroniche necessarie, fa- L’esperimento si proponeva
cendole funzionare in un
di valutare se esistono diffeambiente così particolare.
renze tra le registrazioni efLe difficoltà mi sembravano fettuate all’interno del coinsormontabili e realisticasiddetto sarcofago nella
mente non alla mia portata, Grande Piramide e registraper cui l’esperimento si avzioni effettuate in un amviava a divenire uno tra i
biente neutro (nel nostro ca16
so, una camera di albergo).
Si è pensato così di effettuare diverse rilevazioni EEGrafiche, misurando i ritmi cerebrali e le relative mappe
elaborate dal computer.
Sono state utilizzate apparecchiature computerizzate
portatili fornite da EB-Neuro
di Firenze, sponsor
dell’esperimento. Dette apparecchiature erano costituite da una cuffia, una testina
di registrazione, batterie ricaricabili e da un computer
portatile con software
appropriato.
Abbiamo effettuato due
registrazioni a distanza di
tempo di poche ore l’una
dall’altra, cercando di mantenere costanti più parametri possibili (soggetto esaminato, tecnico esaminatore,
tempo di esame, apparecchiatura EEG digitale,
settaggi).
Abbiamo cercato, in altre
parole, di poter variare un
solo parametro, quello ambientale, nel tentativo di
scoprire se questa variazione
potesse, mantenendo stabili
tutte le altre, essere responsabile di eventuali risposte
non uniformi.
L’esperimento è consistito in
una registrazione all’interno
del sarcofago della camera
del Re (1° stanza dello Zed)
nella Piramide di Cheope,
seguita da una seconda in
un ambiente per così dire
“neutro”, in una camera
d’albergo, poco distante dalla Piramide stessa. Lo scopo
dell’esperimento era, come
detto, di valutare se questa
particolare situazione ambientale potesse produrre
variazioni dei potenziali elettrici encefalici del soggetto
esaminato.
È noto che fino ad oggi vi sono state numerose testimonianze di inspiegabili fenomeni dispercettivi e di disorientamento spaziotemporale. L’esperimento
non è stato però pensato
per dare risposte a questi
fenomeni di tipo psichico
(che non possono essere
registrati sperimentalmente
e misurati in modo ripetibile), ma ci si è prefissi di misurare esclusivamente eventuali variazioni di tipo elettrico dei potenziali cerebrali,
dato che solo queste sono
attualmente registrabili e
misurabili in modo certo con
apparecchiature adeguate.
C’è da aggiungere che il nostro test, per la metodologia
usata, non può avere una
pretesa di completa attendibilità scientifica, in quanto il
campione esaminato, per
ovvi motivi, è stato limitato
a una sola persona, per cui
non possiamo essere in
grado di sapere quanto il
risultato finale dell’esame
possa dipendere dalle caratteristiche di quella persona e
dal suo particolare modo di
rispondere a diverse situa17
zioni e sollecitazioni ambientali. Si conviene che sarebbe
stato necessario effettuare il
test su un campione più
allargato di popolazione,
onde ridurre questo margine
di errore dovuto alle diverse
risposte individuali, ma si
deve pensare alle reali difficoltà ambientali, caratteristiche di un luogo così unico e
particolare, visitato, tra
l’altro, ogni giorno da centinaia di persone e così difficilmente raggiungibile (la camera del re è situata a circa
45 metri di altezza).
Pensiamo che questo test
non debba essere considerato che un tentativo iniziale
che potrà aprire forse la
strada ad altri studi più approfonditi, anche sulle variazioni psichiche che sono
state ripetutamente descritte.
Sono state effettuate due
registrazioni della durata di
circa 20 minuti ciascuna, in
situazioni del tutto differenti: l’interno della camera del
Re presentava una temperatura, un’umidità dell’aria e
una saturazione in ossigeno
che non abbiamo registrato,
ma che hanno certamente
“stressato” il nostro soggetto (uomo adulto, di anni 30
circa, in buono stato di salute), il quale presentava, particolarmente all’inizio del
test, una evidente sudorazione che ha condizionato la
comparsa di artefatti a livel-
lo eegrafico. Queste particolari condizioni ambientali
non si sono presentate nella
seconda registrazione, avvenuta in condizioni microclimatiche ottimali.
I RISULTATI
La comparazione dei due
tracciati elettroencefalografici effettuati in condizioni
così diverse, a una prima analisi visiva delle due registrazioni ci porta a concludere che non esistono differenze sostanziali tra i due esami, come risulta evidente
dalla fig. 1. (Tracciato superiore = registrazione in ambiente neutro; tracciato inferiore = registrazione
all’interno della piramide).
Fig. 2: Analisi spettrale effettuata sul tracciato rilevato nel sarcofago
della Camera del Re; oltre al normale alfa occipitale, evidente la presenza di un alfa anteriore in Fp2-C4 (in verde) di quasi analoga rappresentazione.
Potremmo pertanto dedurre
che, non esistendo differenze sostanziali nei tracciati,
sono trascurabili gli effetti di
interferenza dell’ambiente
all’interno della Piramide.
Se però non ci fermiamo so-
Fig. 1: Analisi comparativa visiva dei due tracciati (in basso quello
effettuato all’interno del sarcofago nella camera del Re della Piramide di Cheope).
18
lo all’analisi visiva dei tracciati, ma effettuiamo
un’analisi più approfondita
utilizzando le possibilità di
elaborazione fornitaci dal
computer, che nel corso della registrazione ha memorizzato milioni di dati, possiamo rilevare con certezza che
esistono differenze non trascurabili tra i due tracciati.
Queste differenze riguardano sostanzialmente la presenza di ritmi, assimilabili al
fisiologico ritmo alfa occipitale, che compaiono nel corso di tutta la registrazione
effettuata nella piramide, in
corrispondenza delle aree
frontali (le aree del pensiero) (Fig 2-3) e nella norma
non dovrebbero evidenziarsi,
come in realtà avviene nella
registrazione in ambiente
neutro (v. fig. 4, 5), in cui il
ritmo alfa predomina nettamente in sede occipitale.
Fig.3: Analisi spettrale effettuata sul tracciato rilevato nel sarcofago
della Camera del Re; di nuovo evidente la presenza di un alfa anteriore molto ben rappresentato in Fp2-C4 (in verde), oltre a quello
posteriore.
Fig. 4-5 : Registrazioni in ambiente neutro. In Fp2-C4 (aree
frontali) scarsa rappresentazione di ritmi assimilabili all’alfa
(in verde), in rapporto al ritmo
alfa a livello delle aree posteriori (T4-O2) molto ben
rappresentato
19
Una presenza di un ritmo
strutturato di questo tipo,
come avviene per l’alfa posteriore, che si struttura a
occhi chiusi, quando le cellule nervose delle aree visive
si attivano uniformemente,
potrebbe fare pensare a una
attivazione “armonica” dei
neuroni delle aree frontali,
fenomeno che in condizioni
normali non si rileva.
Possiamo pertanto concludere che mentre dalla comparazione visiva dei due
tracciati non si rilevano differenze sostanziali che possano fare ipotizzare
l’esistenza di interferenze
ambientali maggiori in un
caso rispetto all’altro,
l’analisi ed elaborazione
spettrale computerizzata
mette in evidenza significative differenze tra le due registrazioni, particolarmente
rilevando l’esistenza nelle
aree anteriori di ritmi elettrici assimilabili per banda di
frequenza ad un alfa, unitamente ad una minore
Fig. 6: Grafico delle differenze
della banda di frequenza alfa
nella piramide e in ambiente
neutro (valori relativi a quattro
momenti delle rispettive registrazioni in piramide ed ambiente
neutro).
140,0
120,0
100,0
F2-C4 piramide
80,0
T4-O2 piramide
60,0
F2-C4 neutro
T4-O2 neutro
40,0
→
20,0
0,0
Reg. 1
Reg. 2
Reg. 3
Reg. 4
140,0
120,0
←
100,0
80,0
piramide
60,0
neutro
40,0
20,0
0,0
F2-C4
piramide
Reg. 1
F2-C4 piramide
T4-O2 piramide
F2-C4 neutro
T4-O2 neutro
F2-C4
neutro
T4-O2
piramide
Reg. 2
56,2
113,0
77,3
130
→
T4-O2
neutro
Reg. 3
43,4
71,3
56,8
126
Reg. 4
56,6
72,6
31,1
117
Fig. 7: Grafico delle differenze
della banda di frequenza alfa
nella piramide e in ambiente
neutro (valori medi calcolati sui
dati riportati; cut-off per i valori
estremi).
54,4
50,5
38,1
110
←
80,0
70,0
60,0
Fig. 8: Grafico dei differenziali
dei potenziali alfa registrati a
livello occipitale e frontale nella
piramide e in ambiente neutro
(dati ottenuti dai valori medi
calcolati con cut-off per i valori
estremi)
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Dif ferenziale piramide
Dif ferenziale neutro
piramide
→
F2-C4 piramide
F2-C4 neutro
T4-O2 piramide
T4-O2 neutro
neutro
55,3
47,45
72,0
121,5
Differenziale piramide
Differenziale neutro
20
16,7
74,05
rappresentazione percentuale dell’alfa posteriore, nel
corso di quella effettuata nel
sarcofago della Grande Piramide (v. fig. 8). Una discrepanza di questo tipo, pur essendo da valutare con prudenza, dovrebbe essere considerata significativa, anche
per possibile esistenza di
una ipotizzabile interferenza
ambientale e pertanto meritevole di ulteriori futuri approfondimenti.
CONSIDERAZIONI SUI
RISULTATI
DELL’ESPERIMENTO
L’analisi dei dati ottenuti ci
permette di affermare con
ragionevole sicurezza che
all’interno della Piramide di
Cheope si è avuta una registrazione EEG particolare,
che differisce sostanzialmente dalla registrazione ottenuta nello stesso individuo
nella stessa giornata in ambiente neutro, che può essere considerata del tutto normale e tipica di un soggetto
sano. Il quadro EEG ottenuto
all’interno della Piramide è
caratterizzato da una diffusione del ritmo alfa sui lobi
frontali e temporali, sede
delle aree del pensiero. Non
è noto perché ciò avvenga;
sarebbe opportuno approfondire ulteriormente lo studio, al fine di verificare con
certezza l’esattezza dei dati
ottenuti, attraverso
l’allargamento del campione
studiato, anche con lo scopo
di comprendere i meccanismi neurofisiologici che
stanno alla base di questo
fenomeno. Partendo dai pochi dati ottenuti dal nostro
esperimento, abbiamo a
questo punto deciso di cercare in letteratura
l’eventuale esistenza di altre
condizioni in cui fossero stati
registrati tracciati EEG simili
a quello ottenuto da noi nella Piramide. Con un certo
stupore abbiamo trovato alcuni lavori in cui venivano
citati risultati analoghi al
nostro. Si trattava di rilevazioni EEG, effettuate in diverse situazioni, in cui è stata osservata una diffusione
anteriore del ritmo alfa in
soggetti che venivano esaminati per studiare particolari stati mentali. La differenza con il nostro caso ci appariva però lampante: il soggetto da noi valutato era un
individuo normale posto in
un ambiente particolare; i
soggetti esaminati negli studi reperiti in letteratura presentavano capacità psichiche o stati mentali particolari in situazioni ambientali
presumibilmente normali.
Abbiamo potuto rilevare che
è stato possibile registrare
una diffusione anteriore del
ritmo alfa in condizioni di
attivazione mentale particolare, in assenza di patologia
neuropsichica, nelle seguenti situazioni:
21
Meditazione
Trance
Qigong
Estasi mistica
Analizziamo più in particolare cosa avviene in queste
condizioni:
EFFETTI DELLA
MEDITAZIONE SUL
CERVELLO:
STUDI E OSSERVAZIONI
SCIENTIFICHE
A partire dalla seconda metà
del Novecento, si è iniziato a
utilizzare strumenti moderni
di indagine scientifica, come
l’elettrocardiogramma e
l’elettroencefalogramma,
con lo scopo di analizzare i
processi che si realizzano
durante l’esecuzione degli
esercizi di meditazione.
Nella seconda metà degli anni Sessanta lo psichiatra
giapponese Hirai ha condotto uno studio sistematico su
soggetti esperti di meditazione, quali i monaci Zen.
Hirai, usando l’EEG e l’ECG,
ha documentato un aumento dell’ampiezza e della
regolarità delle onde alfa,
particolarmente a livello delle cortecce frontali, anche a
occhi semiaperti, con una
diminuzione significativa del
consumo di ossigeno, della
frequenza respiratoria e di
quella cardiaca.
Un recente studio, realizzato
da psicofisiologi
dell’Accademia delle scienze
mediche della Russia, utilizzando una raffinata procedura elettroencefalografica,
ha analizzato le modificazioni cerebrali di venti meditanti esperti, sia durante gli
esercizi, sia a riposo, evidenziando come la meditazione
si inserisca nel fluire complesso delle armoniche cerebrali: durante gli esercizi meditativi si è registrata una
riduzione della complessità
dell’attività cerebrale delle
aree fronto-mediali e centrali, associata a un incremento
delle onde alfa. Sembra che
ciò avvenga attraverso un
meccanismo che produce
una disattivazione dei
circuiti irrilevanti per il controllo dell’interno con inibizione delle informazioni non
pertinenti e
una riorganizzazione dei circuiti maggiormente
coinvolti.
di seguire un comportamento a forma di U. Se si considera il ritmo alfa come manifestazione di una relativa
inattività funzionale della
corteccia, l'attivazione di
una particolare area cerebrale si accompagna a una
diminuzione della quantità
di ritmo alfa. Così la maggior
parte dei soggetti destrimani
presenta una maggior quantità di alfa nell'emisfero
destro rispetto al sinistro.
Più la trance è autogena,
maggiore è l'attivazione del
ritmo alfa dell'emisfero destro. La chiusura degli occhi
intensifica la produzione di
onde alfa nel cervello, le
quali si associano con l'esperienza di intuire, sentire e
immaginare in maniera costruttiva ed associativa con il
sistema limbico ipotalamico,
con la corteccia centrale e
con i processi dell'emisfero
destro.
informazione' (Qi), sia all'interno del proprio organismo
sia in entrata e in uscita dal
medesimo. Dal punto di vista elettroencefalografico
sono state accertate alcune
caratteristiche peculiari:
1) Durante lo stato di quiete
Qigong si verifica un aumento dell’intensità del
ritmo alfa e lo spostamento della frequenza
del picco dall’area occipitale a quella frontale;
2) Fenomeni di facilitazione
a livello dell’area troncoencefalica e
dell’ipotalamo (ponte tra
attività psicologica e fisiologica).
3) Prevalenza dei picchi alfa
nell’emisfero sinistro
(linguaggio) all’inizio
dell’esercizio e graduale
estensione della coerenza
cerebrale all’intero cervello.
4) Durante l’emissione di Qi
TRANCE
Il QIGONG
avviene un aumento di
Evans (1972) ha osservato
Per dare una definizione sinintensità dello spettro e
come nello stato di trance il tetica potremmo dire che il
uno spostamento del picritmo alfa presenti un com- Qigong, definito anche
co all’emisfero destro
portamento paradosso.
‘callistenia taoista’, consiste
(immagine) con un ritmo
Esso si desincronizza e scom- in una serie di esercizi di difprossimo alle onde beta,
pare, sia in colui che si
ficoltà progressiva, che si
mentre nel soggetto ricesveglia e torna attento alle
svolgono attraverso il convente si verifica una situaattività cognitive-percettive, trollo del corpo (sia in quiete
zione simile a quella corsia nel soggetto sveglio, in
che in movimento), del
rispondente allo stato di
via di rilassamento, man ma- respiro, del pensiero e delle
meditazione Qigong
no che tende a diventare
emozioni. Lo scopo è quello
(prevalenza onde
sempre più sonnolento.
di acquisire una padronanza
alfa).
In confronto con tali paracosciente dei flussi di
metri il ritmo alfa dimostra
'materia-energia22
Negli elettroencefalogrammi
dei praticanti di Qigong appare un notevole aumento
di coerenza delle onde cerebrali e quindi un maggiore
ordine e un incremento di
energia ricavato dalla sincronicità delle onde, che infatti
aumentano sino a quattro
volte la loro ampiezza.
IL CASO DEI VEGGENTI
DI MEDJUGORJE
Il caso dei ragazzi veggenti di
Medjugorje è balzato
all’attenzione dell’opinione
pubblica agli inizi degli anni
Ottanta. Ancora oggi la chiesa non si esprime ufficialmente su questa vicenda,
che prosegue ormai da quasi
trent’anni. Come tutte le
storie in cui accadano eventi
fuori del normale la scienza
si è interessata del caso studiandolo in modo approfondito, per cercare di comprenderne i meccanismi e il
significato. Diverse equipe
internazionali si sono recate
in questo sperduto paesino
della Bosnia Erzegovina per
registrare ed analizzare i
fenomeni che si caratterizzavano come paranormali,
focalizzando l’attenzione
particolarmente sulla funzionalità neuropsichica dei sensitivi. La prima organica rilevazione scientifica condotta
con l'ausilio delle più avanzate apparecchiature per
studiare e verificare le condizioni fisiologiche dei veg-
genti durante lo stato di
estasi, è stata quella condotta dalla équipe francese diretta dal dott. H. Joyeux,
dell’Università di Montpellier. Il dr. Joyeux ha effettuato 5 tipi di test per studiare
le funzioni vitali principali
dei veggenti: funzione
cerebrale
(elettroencefalogrammi prima, durante e dopo l'estasi);
funzione oculare e visiva con
riflesso fotomotorio, funzione cardiaca con pressione
arteriosa, funzione fonatoria, funzione uditiva. Prima
dell'estasi i ragazzi erano
rilassati, naturali, attenti,
disponibili verso gli altri.
Durante lo stato estatico i
veggenti percepivano una
persona per essi ben reale
"a tre dimensioni" che essi
erano in grado persino di
toccare; “tutti gli sguardi
convergono, situando l'apparizione nel medesimo
punto”. A differenza dei
medium, nelle sedute spiritiche, i ragazzi conservavano
una perfetta coscienza della
propria identità; i loro visi
erano perfettamente armoniosi e rilassati: il tutto evidenziava uno stato di benessere e di felicità. Le loro
pupille continuavano a reagire alla luce durante l'estasi,
ma il riflesso di ammiccamento alla stimolazione
luminosa cessava totalmente. Un EEG-poligrafia con
registrazione dei movimenti
23
oculari, rivelava che, all'inizio dell'estasi, i movimenti
oculari di Marija e Ivan si arrestavano. Questo era un indice sicuro dell'obiettività
dell'apparizione.
“L'interposizione di una persona, di uno schermo o delle
palpebre chiuse, non impedisce la percezione dell'apparizione”.
STUDIO ELETTROENCEFALOGRAFICO
Indagini elettroencefalografiche sono state eseguite in
giorni distinti a tre
"veggenti": a Ivan, il 10 giugno 1984, a Maria il 6 ottobre 1984, a Ivanka il 7 ottobre 1984, con un apparecchiatura a otto canali di registrazione Reega Minihuit-TR
Alvar Electronic. La registrazione, della durata di circa
mezz'ora, veniva realizzata
immediatamente prima, durante, e immediatamente
dopo la vicenda dell’
"apparizione". In tali giorni
la durata dell'estasi fu il 10
giugno di circa 62 secondi, il
6 ottobre di circa 120 secondi, il 7 ottobre di circa 80
secondi. Dalle registrazioni
effettuate è emerso che i
soggetti certamente non
erano affetti da epilessia o
da equivalenti epilettici.
La lettura dei tracciati ha
condotto a escludere che
l'estasi corrispondesse a una
fase di sonno o che fosse
accompagnata da sogni. Per
quanto concerne gli aspetti
elettroencefalografici, prima
dell'estasi l’EEG delle veggenti Ivanka e Marija evidenziava una fusione di ritmo
alfa (stato di rilassamento,
contemplazione) e ritmo
beta (stato di attenzione, di
riflessione). Dopo l’inizio
dell'estasi mistica, invece, il
ritmo beta scompariva lasciando il posto ad un alfa
puro, che predominava progressivamente a cominciare
dall'inizio dell'estasi, diffondendosi su tutte le aree
dell’encefalo. Non comparvero altri ritmi che lasciassero sospettare stati patologici. I risultati di ricerca dell'equipe del dott. Joyeux sono
stati completamente confermati dai test del gruppo di
ricercatori italiani diretto dal
dott. Frigerio (marzo e settembre '85).
Il neurologo Phillip Loron ha
descritto lo stato dei veggenti durante l'apparizione
anche con le seguenti parole:
“Per il tempo delle loro estasi il cervello è assorbito da
una percezione particolare.
Il loro cervello è in uno stato
paragonabile a un profondo
rilassamento, anche se in
quel momento essi sono attivi e tengono gli occhi aperti.
Gli apparecchi EEG che misurano l'attività del cervello
mostrano che tipo di ritmi si
ha durante l'apparizione.
È interessante notare che nel
tempo in cui i ragazzi dicono
di avere l'apparizione essi
sono attivi, tengono gli occhi
aperti, ma il cervello emette
onde che non sono tipiche
per tale condizione (beta),
ma onde alfa diffuse (tipiche
degli stati di meditazione).
Affermiamo l'assenza di
qualsiasi patologia o malattia. Si esclude qualsiasi epilessia o altra malattia nervosa”.
Secondo Phillip Loron la
scienza attualmente non
può spiegare cosa accada, a
livello di funzionalità neurologica, durante le apparizioni: i veggenti appaiono completamente separati dal
mondo esterno e in quei
momenti non reagiscono a
stimoli uditivi, né visivi.
dell’encefalo e in particolare
le aree frontali. Si è potuto
accertare che ciò avviene in
condizioni molto tipiche in
soggetti particolarmente
allenati a raggiungere un
controllo delle proprie funzioni cerebrali e conseguentemente psichiche (monaci
tibetani, taoisti, medium).
Lo stesso fenomeno di diffusione dell’alfa verso le aree
frontali e a tutto l’encefalo
avviene però in modo repentino in soggetti che non hanno fatto alcun training, come
i veggenti di Medjugorje, nel
corso di fenomeni estatici
spontanei ed imprevedibili
caratterizzati anche da alterazione della percezione
sensoriale-sensitiva, che
possono essere ragionevolCONCLUSIONI
mente collegati e ricondotti
Abbiamo visto che l’attività
a modificazioni sconosciute
elettrica cerebrale può mo- e incomprensibili dal punto
dificarsi rispetto ai normali
di vista ezio-patogenetico
parametri di funzionalità in della funzionalità cerebrale.
alcune condizioni. Sembra
La registrazione EEG da noi
che esistano modi di funzio- effettuata all’interno della
nare dell’encefalo che anco- Piramide di Cheope ci mora conosciamo pochissimo,
stra lo stesso tipo di attivama che abbiamo potuto re- zione dell’alfa frontale, in un
gistrare con le sofisticate ap- soggetto senza particolari
parecchiature di cui oggi
poteri, ma soltanto in quella
disponiamo. In particolare
situazione ambientale, che
si sono potute osservare
sembra avere un ruolo partidelle variazioni del ritmo
colarmente significativo nel
alfa, che normalmente è
produrre cambiamenti
presente nelle aree occipitali dell’attività cerebrale in un
visive in stato di veglia a
senso ancora sconosciuto e
riposo, il quale tende, in
misterioso.
questi casi, progressivamente a invadere il resto
24
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and uses of hipnotism. Westport,
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Spiegel,H, Spiegel, D. Trance and
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Maurizio Pincherle è nato nel 1955 a Modena e vive a S.Benedetto del Tronto. Dopo aver conseguito la
maturità scientifica ad Ancona, nel 1984 si è laureato in medicina e chirurgia presso l’Università di Bologna, dove ha anche ottenuto, nel 1989 il diploma di specializzazione in neuropsichiatria infantile, con lode. Nel 1993 si è perfezionato in Sviluppo neuropsicomotorio in età evolutiva presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell`Università La Sapienza di Roma. Dal 1988 al 1992 ha diretto il Centro di riabilitazione
A.N.F.F.A.S. di Macerata, quindi dal 1992 al 2000 ha svolto attività come neuropsichiatra infantile specialista ambulatoriale presso varie ASL delle province di Macerata ed Ascoli Piceno. Dal 1994 svolge anche attività di psicoterapeuta. Dal 1993 al 1996 ha fatto parte del Progetto Helios 2 della C.E.E. sull`handicap; è
stato inoltre tra i redattori delle Linee guida nella riabilitazione precoce emanate dalla CEE. E’ stato docente in numerosi corsi di formazione e di aggiornamento organizzati da scuole e da altri Enti (Comuni,
Regione, Provincie, Ordini dei medici, associazioni culturali, ecc…). Ha fatto parte nel 1994-95 della Commissione Regionale di esperti per lo studio della legge 104 che ha formulato l`Atto di indirizzo regionale
sull’inserimento scolastico dei portatori di handicap. Nel 2000 ha fondato il Centro Diurno per soggetti
affetti da Autismo ed altre psicosi precoci Casa di Alice di Grottammare (AP). Dal 2002 ha collaborato, come Docente di neuropsichiatria infantile, con l`Università degli Studi di Macerata (Corso di Laurea in
Scienze della Formazione Primaria). Dal 2003 è Responsabile dell Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile, dell`Ospedale di Macerata. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche di argomento neuropsichiatrico, su varie riviste specializzate, sugli atti di convegni nazionali ed internazionali, nonché su
Internet. Dal 1992 collabora come Consulente Tecnico d`Ufficio con il Tribunale per i Minorenni delle Marche, il Tribunale di Fermo, di Macerata, Ancona ed Ascoli Piceno, Corte d`Appello delle Marche ed ha al
suo attivo numerose perizie di argomento neuropsichiatrico infantile. Dal 1999 al 2001, è stato Giudice
onorario presso il Tribunale per i Minorenni delle Marche, e dal 2002 è membro esperto di problematiche
neuropsichiatriche dell`età evolutiva presso la Sezione Minori della Corte d`Appello delle Marche. Nel
Marzo 2007 ha fondato l’Associazione “Petali Azzurri Onlus” per il sostegno alle famiglie di bambini con
malattie neuro-psichiche di cui è attualmente presidente. Nel Dicembre 2007 ha condotto uno studio sperimentale sull’attività elettrica cerebrale per la trasmissione televisiva di Rai 2 Voyager all’interno della
Piramide di Cheope.
25
NEANDERTHAL
L’ORIGINE MAI
DIMENTICATA
PIER GIORGIO LEPORI (ARCHEOMISTERICA)
Introduzione
Molte riflessioni è difficile
possano essere autoctone,
spesso e volentieri sono innescate da situazioni particolari
che ci circondano, frasi in famiglia, discussioni in strada,
un dialogo all’interno di un
film, una conferenza e sovrana indiscussa in tal senso la
lettura di un libro. Nel caso
specifico il libro è lo splendido La Storia che Verrà di Simone Barcelli (Ed. Cerchio
della Luna, 2013). Con tanto
di dedica personale
dell’Autore e menzione tra i
ringraziamenti. Non è questo
però l’argomento di questo
articolo. Ivi si parla di Neanderthal e soprattutto del suo
riscatto di fronte all’assise
paleontologica grazie al fiorire - negli ultimi due o tre anni
- di decine di articoli, scoperte, studi che l’Ortodossia illuminata e l’Eterodossia portano avanti aldilà dei luoghi co-
26
Corriere del Ticino (reprise from
Journal of Human Evolution)
Science (Le Scienze edizione
Italia)
Il Sole 24 Ore
Scienze Fanpage
Galileo - Giornale di Scienza
Wired
muni insegnati da decenni ai
nostri pargoli. Un dubbio atroce lo ebbi quando costruii
la Conferenza sulla Tecnologia delle Antiche Civiltà cimentandomi in un incipit antropologico e paleontologico
atto a dimostrare la possibilità di un’evoluzione ‘a tre
dimensioni’ (ovvero
all’interno di periodi storici
interconnessi e di convivenza
tra le varie specie homo) e
non puramente di superamento morfologico o cronologico
tra una specie e l’altra.
Immancabilmente venne fuori un quadro in grado di
smentire la visione bidimensionale che attanaglia i nostri
ricordi ovvero l’escalation
dal primate al Sapiens:
Darwin e ad altri, non ultima
la presenza e lo svilupparsi di
capacità intellettive dapprima
riconosciute solo al presunto
‘ultimo stadio’ ovvero il Sapiens. Fortemente incuriosito,
ho dapprima ipotizzato un lavoro da inserire nella serie
monografica ‘Quaderni di
Tracce’ (pubblicata da Cerchio della Luna Editore, con
cui questa redazione collabora da tempo) ma poi mi è subito balzata agli occhi la forte
difficoltà nel costruire una
guide-line in breve tempo su
un così complesso argomento. Questo mio, infatti, nasce
come sinossi di almeno una
quarantina di articoli trovati
negli archivi in rete, appartenenti alle maggiori testate na-
La figura che osserviamo pretende di visualizzare un cambiamento morfologico tra le
varie specie semplificando al
massimo il darwinismo. Eppure sembra non essere così
poiché il genere homo sta dimostrando di essere una
‘creazione’ della natura grazie alla sua capacità di speciazione all’interno della quale, durante il corso evolutivo,
si manifestano le caratteristiche della specie tanto care a
“Dunque se è esistito un periodo antecedente alla storia
umana conosciuta, esiste anche una storia sconosciuta
che occupa la gran parte
della nostra avventura di uomini. Basterebbe questo ad
zionali o a copertine imporabbattere il ‘senso comune’
tanti nonché naturalmente a
che abbiamo della ‘Storia’ e
spunti presenti in blog di
‘ordine secondario’ - passate- prendere in considerazione
mi il termine - i quali spesso la possibilità che prima di
hanno riproposto articoli ap- noi una o più civiltà evolute
partenenti a ben altri blasoni. abbiano lasciato le loro tracce nei millenni più lontaQueste le testate fonti (ma
non mancherò di apporre note ni.”(1)
È evidente quali sia la spinta
assai più esplicative):
in tal senso: il pensiero eterodosso deve, giocoforza, diveLa Repubblica
La Stampa
nire ortodosso. Questa è la
Focus
ratio dell’Eterodossia. Per
National Geographic Italia
27
e via discorrendo. Come dicevo in precedenza, tranne un
paio di accenni risalenti a prima del 2007, è un proliferare
di dichiarazioni, scoperte e
revisioni redatte tra il 2011 e
il 2014. Se ci soffermiamo
sull’anno della scoperta nella
valle tedesca di Neander,
1856, ci rendiamo subito conto della repentina evoluzione
cognitiva che tuttora si sta
levando dai fossili dell’antico
cugino. Ma perché? Da come
chiosa Adriano Forgione nella prefazione del testo di Barcelli a pag. 5:
quasi 150 anni, il Neanderthal è rimasto nel limbo della
sottospecie Sapiens: qualora
dovessimo considerare
l’esplosione d’interesse tra il
2011 e il 2014 possiamo affermare tranquillamente che
le considerazioni becere di
certa ortodossia hanno obnubilato menti e cultura media
per almeno 155 anni e i danni
in tal senso sono incommensurabili. Il Neanderthal, al
contrario, si scopre come una
specie a sé stante, ipoteticamente derivante
dall’Heidelbergensis, sicuramente lontana da quella inutile ricerca dell’anello mancante, forza estrema dei concetti
ortodossi, motore
dell’incessante retrodatare la
nostra origine (oggi fino a 4,5
-6 milioni di anni) nel tentativo disperato di cercare un
trait-d’union con i geni dei
pan troglodytes (scimpanzé)
o di qualche altra scimmia
antropomorfa, guardandosi
bene dal comunicare che circa il 95% del corredo genetico appartenente a certuni ratti
- ad esempio - coincida con il
nostro.
Mai titolo fu più azzeccato se
non quello del libro scritto da
Simone ‘La Storia che Verrà’.
Allora vediamo in dettaglio la
sinossi degli articoli trovati in
rete.
Categorie di studio
Ho identificato cinque categorie in cui sono suddivisi gli
articoli:
Capacità di dialogo
Genetica
Malattie
Datazione/Estinzione
Caratteristiche Socioculturali
Capacità di dialogo
Tra le varie scoperte che hanno caratterizzato questi ultimi
anni, sicuramente l’aver riconosciuto ai nostri antenati capacità espressive, dialogiche
è davvero la più rivoluzionaria. Fino a qualche decennio
fa, infatti, la paleontologia
affibbiava alle comunicazioni
(presunte oltretutto) tra Neanderthal l’epiteto di ‘grugniti’.
Non è che sospendesse il giudizio, non sia mai: pontificava dall’alto di una presunzio-
28
ne d’inferiorità basata di fatto
sul nulla. A discolpa di questi
‘Soloni’ vi è il progresso brutale della tecnologia rispetto
ai tempi evolutivi di appena
30 anni fa e la libera circolazione delle informazioni.
In un sito israeliano neanderthalensis a Kebara, nel 1989,
fu ritrovato un frammento di
osso ioide, elemento fondamentale per emettere articolazioni sonore ovvero voce. A
quest’osso infatti si coordinano lingua, laringe e i muscoli
che permettono di emettere
suoni fonetici. L’equipe responsabile della scoperta, capitanata dal Prof.
D’Anastasio, è italiana, di
Chieti ed è formata da esperti
antropologi i quali hanno coinvolto i fisici del Centro Internazionale di Fisica Teorica
a Trieste con il fine di utilizzare raggi X
nell’esplorazione profonda
del frammento senza danneggiarlo dopodiché hanno passato la mole di dati da analizzare ad un nucleo di biomatematici australiani.
L’obiettivo? Capire
l’incidenza dei 32 muscoli
legati allo ioide e i loro movimenti in base alle trasformazioni morfologiche del fram-
mento stesso e pertanto dichiarare con certezza l’uso
fonetico. La mappatura funzionò e il tracciato sonoro neandertaliano risultò essere
simmetrico al nostro ma – udite, udite – assai diverso dai
bonobo e dagli scimpanzé.
E qui vi sarebbe da fare una
riflessione.
La parola è dunque molto più
antica dei Sapiens e tra
200mila e 40mila anni or sono voci differenziate riempivano l’area dell’allora Eurasia senza prerogative da parte
del Cro-Magnon. I Neanderthal vivevano dunque in società complesse e ben organizzate, comunicavano e dialogavano tra loro e non solo.
(2)
Il dialogo giustificherebbe
anche il confronto, ad esempio, progettuale su monumenti ritenuti impossibili da noi
moderni per il solito errore:
giudicare in base ai nostri parametri ritenuti i più efficaci,
dimenticando che le espressioni tecnologiche sono coerenti con i tempi contingenti
e non con un’assoluta percezione del progresso lineare.
Afferma giustamente
D’Anastasio:
‘Le nostre osservazioni si aggiungono a una serie di prove
paleontologiche, archeologiche e genetiche che pure indicano che l'uomo di Neanderthal fosse dotato di parola
[…] Dall'uso di pigmenti fino
all'impiego di resti animali
(piume o altro) come orna-
mento personale, diversi
comportamenti possono infatti essere avvicinati a una forma di linguaggio e all'uso di
simboli che erano prima attribuiti esclusivamente a Homo sapiens’. (3)
Affermare l’uso di linguaggi
diretti e indiretti - simbolici vuole dire rivoluzionare il
percepito che abbiamo della
preistoria, nota battaglia eterodossa. Persino la mancanza
di astrazione viene a configurarsi come un’affermazione
basata sulle convenzioni paleontologiche e non su studi
reali. Come hanno fatto i tecnici a stabilire questa capacità?
con una risoluzione non raggiungibile dalla TAC convenzionale. […] I nostri colleghi
australiani e canadesi hanno
poi effettuato alcune simulazioni con la cosiddetta
'analisi degli elementi finiti',
progettata in origine per studiare i materiali aerospaziali
e capace di misurare le risposte biomeccaniche di un campione soggetto a determinate
sollecitazioni’. I risultati
dell'analisi sono stati sorprendenti: hanno mostrato
infatti "significative analogie
nelle performance microbiomeccaniche in risposta
alle stesse sollecitazioni" e
quindi che l'uomo di Neanderthal avesse teoricamente
la capacità di parlare. I nostri risultati sui reperti confermano che l'osso ioide del
Neanderthal avesse lo stesso
tipo di utilizzo e funzionamento dell'uomo moderno
[…]. (4)
‘...nel laboratorio Tomolab di
Elettra, gli scienziati hanno
sottoposto l'uomo di Kebara
ad una microtomografia, una
tecnica a raggi X che consente di riprodurre sezioni o
strati corporei per effettuare
elaborazioni tridimensionali L’articolo continua con altre
29
Repubblica su ‘Le Scienze’,
la versione italiana di Scientific American, il processo evolutivo dovuto ad ibridazione
tra Neanderthal e Sapiens è
ben descritto nei minimi particolari grazie anche ad una
recente ricerca genomica
condotta da Benjamin Vernot
e Joshua M. Akey della
University of Washington a
Seattle e in contemporanea da
un’altra ricerca a cura di SriGenetica
ram Sankararaman e colleghi
Il filone genetico, tra le recenti scoperte sui nostri avi, della Harvard Medical Schosi dipana da un punto fonda- ol e del Max Planck Institut
mentale: tracce di DNA nean- per l'antropologia evoluzionistica a Lipsia: (6)
derthalensis all’interno dei
nostri geni Sapiens. Le obsolete concezioni evolutive ba- ‘Gli studi di genomica hanno
sate sul passaggio estinzione ormai dimostrato che i Neanprecedente-comparsa Homo derthal si incrociarono con i
Sapiens o peggio evoluzione primi esseri umani moderni
quasi metamorfica da Nean- usciti dall'Africa, e che le poderthal a Sapiens, lasciano il polazioni non africane sono il
posto a più convincenti e
prodotto di questo mescolacomprovate ibridazioni ma
mento. Si stima che in media
soprattutto ad una convivenza dall'1 al 4 per cento del getra la nostra specie e i Nean- noma di un non africano sia
derthal durata decine di mil- costituito da sequenze eredilenni. In un articolo datato 29 tate dai Neanderthal’ (7)
gennaio 2014 riportato da La
sensazionali ipotesi è cioè
che i Neanderthal fossero anche in grado di riprodurre
musica, danzare. A riprova vi
sarebbe la scoperta di un
flauto estratto da un femore
d’orso in Slovenia circa
60.000 anni or sono, periodo
caratterizzato da una forte
presenza dell’avo sul pianeta
(Prof. Claudio Tuniz). (5)
30
La ricerca di Vernot e Akey
ha portato a sequenziare il
genoma di 379 individui europei e 286 orientali al fine di
compararlo con le ricostruzioni del genoma Neanderthal:
‘Le analisi hanno confermato
l'esistenza di una discreta variabilità da individuo e individuo nell'entità dei frammenti di DNA risalenti ai Neanderthal, che sono però sistematicamente in numero
più elevato nei soggetti orientali (in media, il 25 per cento
in più)’. (8)
Il risultato rivoluzionario di
queste analisi risiede nel fatto
che l’uomo odierno, il Sapiens-Sapiens, conserva ben
il 20% medio dell’eredità genomica neanderthalensis, a
riprova di miscele ibridanti
avvenute durante i millenni di
convivenza tra noi e l’avo in
questione, smentendo di fatto
il concetto di estinzione totale
e ‘repentina’ per spiegare
l’avvento dei Cro-Magnon su
tutto il pianeta. E non si
esclude che il patrimonio
genetico lasciato in eredità a
noi possa essere ben più elevato di queste medie accertate.
Di ‘incrocio’ si parla anche in
un altro articolo a cura di Nadia Vitali su ‘Scienze
Fanpage’ del 30 marzo 2013
dove vengono messi in evidenza i dati antropologici e
genetici questa volta, però, a
firma italiana. (9)
di intensa attività sessuale, di
incrocio secondo uno studio
pubblicato da Plos One che
vedeva impegnati
‘il gruppo di ricercatori guidato da Laura Longo dei Musei Civici Fiorentini e da Silvana Condemi del Consiglio
Nazionale delle Ricerche
francese presso Marsiglia’
(11)
Dopo la scoperta di un frammento osseo avvenuta negli
‘anni Cinquanta del XX secolo (10), la diatriba ha avuto
alti e bassi alternando affermazioni a clamorose smentite. Lo studio tutto italiano
portato sulla mandibola e sul
mento, tratto caratteristico
‘sfuggente’ peculiare ai Neanderthal rispetto ai Sapiens,
conduce a considerazioni su
morfologie non così marcate
e pertanto un altro indizio da
affiancare al tracciamento genomico. In Europa, oltretutto,
i primi Sapiens avevano molte più caratteristiche tipiche
neanderthalensis rispetto alla
specie più tarda e cambiamenti morfologici in seno ai
più tardi Neanderthal sarebbero l’ennesima conferma
non di una mutazione genetica bensì di ibridazione e contatti molto forti tra le due specie in questione. Il passaggio
da mento sfuggente a mento
prominente sarebbe la prova
Il dilemma, l’enigma, risiede
soprattutto nelle modalità con
cui tale scambio avvenne e se
può lasciare spazio a battute
o facezie è in realtà un quesito fondamentale poiché potrebbe aprire l’orizzonte di
una civiltà multispecie, sorta
di multietnia primordiale con
risvolti clamorosi e rivoluzionari rispetto ai paradigmi socioculturali della paleontologia e dell’antropologia classiche. Questo studio sul DNA
mitocondriale - infatti - ha
stabilito una prevalenza di
maschi Sapiens e femmine
31
Neanderthal. Non a caso i ricercatori hanno parlato di
Ratto delle Sabine ante litteram dove i Sapiens, non coesi
ai Neanderthal in una civile
convivenza, avrebbero perpetrato uno tra i primi stupri etnici con conseguenze psicologiche verosimilmente ancora oggi presenti sotto la nostra soglia.
E non finisce qui.
Enzo Pennetta, biologo, plurilaureato (Laurea in Scienze
Naturali e in Farmacia), insegnante di Scienze (12) si lancia in un’ipotesi ancora più
rivoluzionaria dalle colonne
del suo blog ‘Critica
Scientifica’(www.enzopennet
ta.it) ipotizzando che Neanderthal, Sapiens e Denisova
siano espressioni di un’unica
specie. (13)
Per fare ciò, il Prof. Pennetta
fa un parallelo con la selezione delle specie canine dove
spesso all’interno vi è una
forte differenziazione morfologica per singola specie con
un dato nuovo:
[…] ‘le forti differenze tra le
razze canine sono un chiaro
frutto della selezione, ma di
una selezione che ha ridotto
il patrimonio genetico ottenendo le varietà per impoverimento. La controprova sta
nel fatto, che tutti gli allevatori di ogni tipo conoscono
bene, che lasciando incrociare liberamente le varietà che
hanno selezionato si ritorna
all’origine’. (14)
Secondo la visione di Pennetta, dunque, la differenziazione sarebbe avvenuta non per
evoluzione in senso convenzionale (quindi ‘aumento di
capacità’) bensì per perdita
d’informazione genetica sottolineando il fatto che
l’evoluzione darwiniana in tal
senso reggerebbe poco il confronto poiché dovrebbe ipotizzare un organismo primordiale completo di tutte le informazioni genetiche relative
alla vita e a tutte le sue sfaccettature.
Questa opportunità selettiva
spiegherebbe l’estinzione neanderthalensis a favore di un
gruppo, il Sapiens, più equipaggiato per resistere a decise
variabilità genetiche, un individuo più ‘flessibile’ rispetto
al coinquilino caratterizzato
da variabilità minima e pertanto più soggetto ad estinzione. Egli paventa un problema, tipico delle grandi po-
32
polazioni (ipotesi credibile al
tempo dei Neanderthal rispetto al comparire dei Sapiens
sulla scena) ovvero
l’eccessiva inerzia genetica.
Da qui lo smentire seccamente il neodarwinismo inteso
come arricchimento del patrimonio genetico il quale - per
logica - più che all’estinzione
dovrebbe condurre lungo
l’arco del tempo a metamorfosi. Netta la distinzione tra
evoluzione in generale
(dovuta anche a perdita genetica) e sviluppo di caratteristiche più efficaci e sofisticate
in gruppi isolati che risulteranno poi dominanti (vedi sopravvento dei mammiferi
all’indomani della catastrofe
KT). La variabilità genetica,
intesa come meccanismo centrale per l’evoluzioneestinzione vista da Pennetta
come contraddittoria ma più
realistica rispetto ai canoni
darwinisti e neodarwinisti, è
ribadita sempre sul suo blog
in un articolo del 29 aprile
2014. (15)
Malattie
Carie, virus ma anche interventi medici. Il quadro che
emerge da questa lunga analisi, articolo per articolo, non è
solo diverso ma rivoluzionario rispetto agli stereotipi ortodossi di sempre.
I nostri avi, o consanguinei è
forse l’aggettivo più corretto,
mangiavano bacche di ginepro, ghiande dolci, terebinto e
pinoli, frutti molto grassi,
zuccherosi e ricchi di carboidrati verosimilmente responsabili di diffuse patologie orali, in primis la carie che si
riteneva fosse una malattia
odierna.
A smentirlo è stato un gruppo
di studiosi del Museo di Storia Naturale di Londra e di
varie altre università in Europa e in Marocco concentrati
su un sito marocchino ricco
di 52 resti neanderthalensis,
dai quali è stato possibile evincere il problema analizzando l’arco dentale. (16)
Il sito ha circa 13.700 anni e
testimonia una vita sedentaria
oltre che basata sulla cacciagione nonché un problema
patologico ben antecedente
allo sviluppo dell’agricoltura.
[…] ‘Louise Humphrey e i
suoi colleghi, hanno trovato
bocche quasi completamente
devastate. Più della metà dei
denti di questi nostri antenati, vissuti tra circa 14mila e
15mila anni fa, e che si procuravano di che vivere cacciando e raccogliendo piante
selvatiche, erano distrutti
dalla carie’. (17)
Eppure non erano sprovveduti di fronte ai malesseri procurati dalla Natura. L’analisi
del tartaro depositatosi su
dentature preistoriche appartenenti a Neanderthal vissuti
50.000 anni fa nel sito di El
Sidrón, nel nord della Spagna
(18), rivela che essi prediligevano alcune verdure: piante
arrostite sul fuoco e non per
questioni di gusto o comfort
digestivo bensì per ragioni
mediche:
consumata con ogni probabilità per le sue proprietà
antinfiammatorie’ (19)
‘«Il fatto sorprendente è che
le piante che siamo stati in
grado di identificare hanno
un sapore amaro e basse proprietà nutrizionali» ha affermato la ricercatrice Karen
Hardy, a capo dello studio,
«segno che i Neanderthal apparentemente erano in grado
di selezionare le piante in base alle loro proprietà medicinali». La scoperta non è di
per sé inaspettata, dal momento che anche altri primati
non umani hanno la capacità
di auto-medicarsi e che alcune competenze
"farmacologiche" di questi
uomini preistorici sono note
già dagli anni '70. Ma è la
prima volta che l'ipotesi di
questa pratica viene supportata da prove così evidenti’
(20)
[…] ‘sono state trovate tracce di achillea, un astringente
I nostri cugini iniziano ad esnaturale, e di camomilla,
33
sere visti come una specie
evoluta, anello mancante o
semplicemente normale amministrazione nell’evoluzione
cerebrale nell’uomo per cui la
retrodatazione
dell’intelligenza, delle capacità di discernimento e probabilmente come vedremo anche di organizzazione sociale,
spostano ancor di più indietro
nel tempo il manifestarsi della specie Homo, affatto derivante da trasformazioni di altri esseri viventi, bensì apparendo sul pianeta attraverso
probabili processi di speciazione indicati dalle peculiarità degli uomini affatto endogene.
Non solo carie o disturbi
dell’apparato gastrointestinale, ovviamente, ma anche pericolosi virus addirittura responsabili di insorgenze tumorali. In alcuni pazienti odierni sono stati ritrovati –
all’interno del loro genoma –
tracce sequenziali che afflissero anche Denisovan e Neanderthal. Si tratta di uno studio effettuato da un team appartenente alla Plymouth
University e alla Oxford
University. (21)
Le sequenze virali ancestrali
testimonierebbero un attacco
virale contro un Neandertal
avvenuto 400.000 anni or sono addirittura precedentemente alla diversificazione
evolutiva tra noi e i Neanderthal stessi. Alcuni retrovirus
sono in grado di integrare il
proprio DNA in quello ospite
e permettere a questo di so-
pravvivere per tempi assimilabili alle ere geologiche.
Jack Lenz (Albert Einstein
College of Medicine, New
York):
dono loci con i Denisovan o i
Neanderthal, ma non con gli
altri essere umani di oggi”.’
(23)
In parole povere, qualora fos‘ha infatti trovato 14 sequen- simo convinti di essere totalze retrovirali nei Neanderthal mente avulsi dai nostri cugini
dobbiamo affatto pensarla al
e Denisovan […] (22)
contrario e l’evoluzione dare nonostante un rimettere in winiana o neodarwiniana in
discussione questa scoperta cui individui meglio equipaggiati soppiantano altrettanti
da parte del team di
più deboli è vero in parte: le
Plymouth, in effetti questa
scoperta è stata sancita per 7 debolezze, le peculiarità e le
delle 14 sequenze genomiche tracce ancestrali del ‘caro
estinto’ vivono in noi e in forriscontrate all’interno di 67
ma operativa.
pazienti malati di tumore
‘Le conclusioni dello studio
però ribadiscono anche un
altro concetto, ovvero: gli esseri umani moderni possono
essere molto diversi gli uni
dagli altri nelle porzioni non
codificanti del dna (il cosiddetto dna spazzatura, dove
sono state trovate le sequenze
in questione). “Questo significa”, ha commentato Gkikas
Magiorkinis della University
of Oxford, tra gli autori dello
studio: “che oggi possiamo
trovare individui che condivi-
34
Datazione ed estinzione
Naturalmente non mancano
le ultime scoperte in ambito
cronologico e nelle dinamiche di scomparsa. Ci sono
quattro grandi aree di riflessione nell’ambito
estinzione/datazione:
Mutamenti climatici e glaciazione
Condizioni ambientali negative
per l’accrescimento
Lineamenti morfologici non coerenti con l’ambiente
Anelli mancanti tra noi, Neanderthal e Denisovan
A un approccio generico le
prime due considerazioni e la
terza, oltre ad essere contraddittorie, illustrerebbero una
storia non del tutto coerente
con le convenzioni inerenti le
grandi migrazioni di oltre
40.000 anni fa, considerato
tempo primo di inizio scomparsa dei Neanderthal, anche
perché in quel periodo
l’ultima fase glaciale Wurm
era operativa e da parecchie
migliaia di anni.
Scendiamo nei particolari.
Su Scienze Fanpage è Nadia
Vitali, l’articolista, a sottolineare il dibattito ancora aperto tra studiosi inerente
l’enigma della scomparsa dei
Neanderthal e adducendo come causa principe la glaciazione. (24) Ma non da sola,
essa avrebbe dato
l’antonomastico ‘colpo di
grazia’. Secondo uno degli
ultimi studi pubblicati sulla
rivista ‘Molecular Biology
and Evolution’ (25) individui
neanderthalensis vissuti fino
a 50.000 anni or sono presentavano una variabilità genetica del tutto simile a quella di
un odierno Sapiens per poi,
stranamente, contrarsi in una
condizione tra 40.000 e
36.000 anni or sono similare
a quella di una piccola comunità isolata e pertanto destinata a scomparire. Il picco glaciale insieme all’arrivo di una
specie più forte avrebbero
fatto il resto dell’opera. Eppure, essendo in pieno periodo Wurm, ultima era glaciale,
forte di un periodo compreso
pubblicati su PNAS a proposito del sito di El Sidròn con
maggiori specifiche
(pubblicazione del gruppo di
ricerca del Museo Nazionale
di Scienze Naturali a Madrid,
guidato da Antonio Rosas)
(29).
Questo studio, più che su
questioni rituali, mette
l’accento su situazioni di carestia dovute a mancanza di
apporti nutrizionali sottolineando linee di ipoplasia sulle
ossa scoperte nel sito, segno
inequivocabile di stress da
accrescimento deficitario.
‘Non dimentichiamo che pre- Un articolo appartenente a La
cedenti analisi dei Neander- Stampa e veicolato attraverso
TGcom del 21 agosto 2014,
thal di quel sito hanno motaglia corto: il Neanderthal si
strato segni di taglio su diversi resti ossei: segno che, in è estinto 40.000 anni fa (30)
periodi di elevato stress nu- senza poi rendersi conto che
trizionale, alcuni membri del- adduce a detta scomparsa:
la comunità venivano cannibalizzati dopo la morte’ (28) Graduale macchia di leopardo (31)
Convivenza con Sapiens fino a
(sito di El Sidrón, N.d.A.)
tra 110.000 e 9.600 anni or
sono, probabilmente le cause
- o concause - devono ancora
essere scoperte o ratificate.
Simone Barcelli, nel suo testo
‘La Storia che verrà’ non esita a chiarire un aspetto terribile perpetrato dai Sapiens a
danno dei Neanderthal ovvero la cacciagione di
quest’ultimo ritenuto dai nostri avi più vicini alla stregua
di un animale. (26)
Anche il Neanderthal era comunque dedito al cannibalismo (27):
5.400 anni nel sud Europa
Assente oltre il sud della Francia e
in special modo nella penisola
iberica
Una specifica in tal senso la
si trova in un articolo di Focus.it del 5 dicembre 2006 al
seguente indirizzo:
Infatti i resti di El Sidròn sohttp://www.focus.it/scienza/scienz no su Marte… Pazienza.
e/ominidi-cannivori
La notizia invece
Che non fosse una condizione dell’estinzione a macchia di
rituale ma una necessità data leopardo è confermata dai nudalla trasformazione in senso merosi studi, accennati anche
negativo della propria specie in precedenza, per via
richiamando l’ipotesi di Pen- dell’ibridazione Neanderthalnetta sull’evoluzione involu- Sapiens riconosciuta in setiva ovvero la perdita di patri- quenze genomiche poco dimonio genetico? E quanto
scutibili. Molto interessante,
tutto questo ha inficiato sulla al contrario, è l’ipotesi portaconsiderazione che i Sapiens ta su Le Scienze a proposito
ebbero dei loro cugini?
di un anello mancante - in reAnche Anthropos, il 16 ago- altà un superantenato - presisto 2014, riporta gli studi
35
dio di Denisovan, Neanderthal e Sapiens. L’abstract di
una ricerca più complessa
dall’obiettivo di stabilire le
nostre origini. Al contrario, se
rovistiamo in casa scopriamo
parenti più o meno prossimi
‘condotta da paleoantropolo- sempre all’interno del genere
gi della George Washington Homo.
University, del Konrad Lorenz Institut per l’evoluzione Caratteristiche
e la ricerca cognitiva ad Al- socioculturali
tenberg, in Austria, della In- A chiudere questa sintesi sulle ultime scoperte relative ai
diana University e del consorzio universitario spagnolo nostri cugini, non mancano
certamente gli aspetti socioper lo studio dei fossili del
sito di Atapuerca, in Spagna, culturali spesso conditi da
‘gossip’. Mentre per le queche firmano un articolo su
Proceedings of the National stioni genetiche o morfologiche, paleontologiche in senso
Academy of Sciences (32)
(http://www.pnas.org/content/ stretto è più facile dimostrare
110/45/18196)
attraverso prove tangibili il
livello cui erano giunti i NeIndica la presenza di un omi- anderthal, sotto questo profilo
nide ‘staffetta’ sotteso a tutti i il campo è profondamente icugini sulla base di un’analisi potetico e si basa più su indiche prende in considerazione zi probatori che altro. Eppure
circa 1200 molari e premolari alcune scoperte hanno iniziafossili appartenenti a tredici to a sgomberare l’area da ‘è
gruppi di ominidi di deriva- possibile’ a ‘questo erano,
zione spagnola (sempre a
facevano’. Focus primeggia
proposito dell’articolo prece- sotto questi riflettori e in un
dente)
articolo del 24 febbraio 2012
dal titolo esplicito ‘I Nean‘E’ così emerso, con un’alta derthal si vestivano alla moda?’ (34) propone una scoperaffidabilità statistica, che
nessuna delle specie candida- ta ulteriore rispetto al bote a questo ruolo (come Ho- dypainting ante litteram, che
mo Heidelbergensis, H. Erec- essi adottavano attraverso
tus e H. Antecessor) ha una pigmenti estratti dai molluschi, ad opera di un team di
morfologia dentale corrispondente a quella che ci si paleo-antropologi ferraresi e
aspetterebbe nell’ultimo ante- coordinato da Marco Peresani
e Antonino Tagliacosso, openato comune.’ (33)
rativo nella grotta di Fumane
L’affare si complica. Però è in provincia di Verona (35): i
anche illuminante: cercare
Neanderthal amavano decoanelli mancanti tra animali
rarsi di penne e piume. A tesimilari a noi porta lontano
stimoniarlo sarebbero le nu-
36
merose ossa di uccelli trovate
in loco accanto a quelle degli
avi: ben 660 appartenenti a
22 specie diverse. L’ipotesi è
stata formulata sulla base della scarsa importanza alimentare di questi animali e al
contrario l’essere dotati di
lunghe e variopinte penne e
piume. Accanto all’uso che
dei molluschi facevano come
fonte naturale di colori, i Neanderthal non disprezzavano
queste varietà nella propria
dieta e ben 150.000 anni fa
essi si dedicavano alla loro
pesca come i cugini Sapiens
che risiedevano in Sudafrica.
Questa volta la notizia proviene da un sito ancora più
illustre che è il National Geographic Italia dal titolo
‘Frutti di mare sulla tavola
dei Neanderthal’ risalente al
24 ottobre 2011 (36) a sua
volta presente in PLOS One.
(37)
Lo studio è risultato da una
scoperta nella Grotta di Bajondillo nella Spagna sud occidentale dove, affianco alle
selci lavorate secondo il metodo Levallois, vi erano numerosissimi gusci di molluschi:
‘Gli archeologi durante lo
scavo del livello Bj19, frequentato dai Neanderthal
150 mila anni fa, hanno trovato più di un migliaio, tra
frammenti e gusci interi, di
resti di molluschi appartenenti a diverse specie tra cui
la più rappresentata è Mitilus
galloprovincialis, la tipica
mente sul luogo di raccolta:
‘I ritrovamenti della grotta di
Bajondillo provano che lo
sfruttamento delle risorse costiere e marine da parte dei
Neanderthal è iniziato molto
tempo prima di quanto si
pensasse, quasi contemporaneamente ai sapiens sudafricani. Circa 164 mila anni fa,
infatti, i sapiens che abitavano le grotte costiere di Pinnacle Point -un promontorio vicino alla città di Mossel Bay
in Sudafrica- iniziarono a
cozza del mediterraneo. Se- sfruttare le risorse marine
disponibili, come dimostrano
condo gli studiosi i frutti di
mare sarebbero stati raccolti i resti di molluschi, lumache
di mare e mammiferi marini
facilmente durante le basse
maree, sugli scogli e sui bassi ritrovati dagli archeologi nelfondali sabbiosi. Setacciando la grotta sudafricana
PP13B’. (39)
finemente la terra di scavo
gli archeologi sono riusciti a
recuperare anche delle perle Ancora una volta la prova
intatte di mollusco, introdotte che i sistemi complessi di civilizzazione, anche solo in
dai Neanderthal all'interno
nuce, non furono una prerodella grotta’. (38)
gativa dei Sapiens e tantomeL’idea di rimanere affascinati, no un aspetto legato
probabilmente, dalle perle dei all’evoluzione cronologica
molluschi tanto da introdurle ma affatto in seno a caratteriin grotta lascia presagire un stiche appartenenti anzitutto
uso estetico o ritualistico, il al genere Homo e sviluppateprimo sicuramente appaiato si contemporaneamente tra le
varie specie.
alla fruizione ornamentale
delle piume che abbiamo let- Un articolo del Journal of
Human Evolution esprime
to poc’anzi.
Pescatori ma anche raccogli- una sintesi estremamente intori di molluschi: questa pra- teressante a proposito della
differenziazione culturale
tica si protrasse per oltre
100.000 anni fino a che, circa all’interno della stessa specie
50.000 anni or sono, la costa Neanderthal. Lo studio prenavanzò rispetto all’acqua e i de in considerazione la manipaleontologi ipotizzano che il fattura diversificata delle asce
da lavoro all’interno dei vari
consumo si facesse diretta-
37
gruppi operanti in Europa.
Non solo: l’uso dell’ascia come strumento multiuso è stato tramandato di generazione
in generazione testimoniando
una forma più complessa di
apprendimento e didattica e
non solo puramente replicante sulla scorta di semplici osservazioni:
‘Lo studio è stato condotto
dai ricercatori
dell’Università di Southampton. La dottoressa Karen
Ruebens, del Centro per
l’Archeologia delle Origini
dell’Uomo (CAHO) ha esaminato il design di oltre 1300
utensili in pietra provenienti
da 80 siti diffusi tra Germania, Belgio, Francia e Paesi
Bassi.
La Ruebens è giunta alla
conclusione che dai 115 mila
ai 35 mila anni fa esistevano
tra i Neanderthal nordeuropei due distinte culture, una
che comprende la Gran Bretagna e le regioni a sudovest
della Francia, l’altra che
comprende la Germania e
l’Europa orientale.
I Neanderthal che vivevano
in occidente producevano asce che avevano una certa
simmetria, dando alla pietra
una forma triangolare o di
cuore. I Neanderthal orientali, invece, producevano asce
asimmetriche, una sorta di
coltelli bifacciali, l’antenato
del ‘coltellino svizzero’. (40)
Per la Rubens, oltretutto, produrre utensili e utensili diffe-
renziati non era solo una necessità bensì un’attività socioculturale che sottolinea
ancora di più la stabilità dei
gruppi neanderthalensis in
una sorta di proto-civiltà dotata di organizzazione e regole precise di convivenza.
Il profilo del nostro avo cambia radicalmente rispetto alle
superate convenzioni ortodosse.
Termino questa panoramica
con alcune riflessioni del Dr.
Marco Peresani
(Paleobiologia, Preistoria e
Antropologia dell’Università
di Ferrara, Dipartimento di
Biologia ed Evoluzione) contenute in un suo articolo su
Scienze in Rete. (41)
Parlare di ‘Homo
Symbolicus’ mi è parso come
chiosa finale affatto coerente
con l’intero articolo dove
l’intento è dimostrare definitivamente non solo la complessità intellettiva ed intellettuale dei Neanderthal, bensì guardare alle vicende umane preistoriche con occhi diversi ricordando che oggi appare come scientifico ciò che
fino a dieci, quindici anni fa
era giudicato eterodosso e forse - inammissibile accademicamente. Come Archeomisterica ho sempre affermato
che:
‘utilità dell’Eterodossia è
divenire inutile’
ovvero far si che un enigma
trovi la sua soluzione ed addivenga a scienza positiva.
Oggi è l’Accademia stessa
che alza le mani di fronte ai
pionieri eterodossi i quali iniziarono a nutrire dei seri dubbi verso il paradigma evoluzionistico darwinista e neodarwinista. La necessaria
conseguenza di queste rivoluzioni paleontologiche sarà
rinunciare alla ricerca spasmodica dell’anello mancante, iniziando a considerare
seriamente l’assoluta presenza di un ramo a sé nel panorama biologico chiamato
‘intelligenza’.
Cosa si chiede Peresani? È
lui stesso a dircelo
nell’incipit della sua riflessione:
‘[…] il loro comportamento.
Quest’ultimo aspetto marca
uno dei picchi di attenzione
verso le cause che hanno
portato alla scomparsa dei
nostri “cugini” poco prima
di 40 mila anni fa: come si
rapportavano in confronto
all’ambiente e alle innumerevoli risorse - alimentari e non
- che questo offriva?
Quant’era profondo il grado
di conoscenza del territorio
in cui si muovevano, degli animali che vi abitavano, dei
giacimenti di rocce da scheggiare? Quali sistemi di identificazione adottavano per
loro stessi, le proprie famiglie
e i membri dei gruppi sociali? Gli interrogativi non lasciano dubbi: identificare tra
i Neanderthal comportamenti
etnografici “moderni”, cioè
più prossimi al modo
38
“sapiens” di pensare e strutturare la società, porta inevitabilmente ad interrogarsi
sulla loro origine: autoctona
o il risultato di interazioni
con i primi sapiens Anatomicamente Moderni che si affacciarono sull’Europa forse
già 45mila, ma sicuramente
42mila anni fa?’. (42)
L’archeologia moderna è ancora lontana dall’affermare
che il flusso genico tra Neanderthal e Sapiens sia uno degli ‘anelli mancanti’ e considera ancora le due specie come poco a contatto, sporadico. In realtà questo aspetto
sottolinea ancor di più
l’autonomia intellettuale ed
etnica dei Neanderthal poiché
i comportamenti in relazione
all’utilizzo delle risorse naturali, alla sopravvivenza,
all’arte, ai rituali, alla convivenza insomma in una parola
alla Civiltà sarebbero insiti
nella specie considerata
‘inferiore’ rispetto ai Sapiens
fino a pochissimo tempo fa.
La stessa denominazione
‘sapiens’ ha favorito la cesura
percepita tra le due specie,
cesura in realtà vera in parte.
La scoperta degli ornamenti o
dei monili o addirittura
dell’intarsio ‘spiegato’ ai Sapiens da parte dei Neanderthal (43) rafforza l’idea di una capacità astrattiva fortissima nei nostri cugini, sempre
Peresani, molto simmetrica ai
Sapiens aldilà degli aspetti
morfologici che – in realtà –
ci hanno dato l’idea di una
9. Scienze Fanpage – 30 marzo 2013
‘Neanderthal e Sapiens, la prova di un
“incrocio”?’
10.Scienze Fanpage, ibidem - Mandibola
rinvenuta a Riparo Mezzena, Monti
Lessini. Medio paleolitico, tra 40.000
e 30.000 anni fa – Museo di Storia
‘Oltre a retrodatare di decine Naturale, Verona
11.Scienze Fanpage - ibidem
di migliaia di anni questi
12.http://nogeoingegneria.com/
enzo_pennetta.html
comportamenti nella storia
13.Critica Scientifica – 9 aprile 2013
evolutiva umana, considerati
‘Neanderthal, chi erano e perché si
comunemente appannaggio
sono estinti. Cosa dicono veramente i
dati’
di società più complesse, le
14.Critica Scientifica - ibidem
evidenze contribuiscono a
15.Critica Scientifica – 29 aprile 2014
‘Neanderthal, Denisova e Sapiens: i
modificare l’immagine di
meccanismi darwiniani portano
“bruti” che per oltre cento
all’estinzione, non all’evoluzione’
anni ha ingiustamente ac16.Focus.it – 8 gennaio 2014 di Chiara
compagnato, nella letteratura Palmerini, ‘Denti cariati nell’Età della
Pietra’
scientifica e non, questo no- 17.Focus.it - ibidem
18.Focus.it – 30 luglio 2012 di Elisabetta
stro stretto parente’. (44)
Intini, ‘Il tartaro dei Neanderthal rivela indizi sulle prime cure erboristiche’
Non possiamo che condivide- 19.Focus.it – ibidem
20.Focus.it - ibidem
re appieno.
21.Wired.it – 13 settembre 2014 – ‘Il
virus che dai Neanderthal è arrivato a
NOTE
noi’
1. Simone Barcelli – ‘La Storia che
22.Wired.it - ibidem
Verrà’ - Ed. Il Cerchio della Luna,
23.Wired.it - ibidem
24.Scienze Fanpage – 29 febbraio 2012 –
2013 - pag. 5 e segg.
2. R2 LA SCIENZA – La Repubblica
‘Uomo di Neanderthal, alla ricerca
mercoledì 5 marzo 2014
delle cause di un'estinzione’
3. FOCUS.it - Margherita Fronte - 19
25.http://mbe.oxfordjournals.org/content/
Dicembre 2013
early/2012/02/23/
4. R.it – SCIENZE – 20 dicembre 2013
molbev.mss074.short?rss=1
5. R.it ibidem
26.Simone Barcelli – La Storia che verrà
6. R.it – LE SCIENZE – 29 gennaio
– Ed. Cerchio della Luna 2013, pag.
2014 ‘I geni dei Neanderthal che sono
44
in noi’
27.Focus.it – 30 luglio 2012 di Elisabetta
7. R.it - ibidem
Intini, ‘Il tartaro dei Neanderthal rive8. R.it - ibidem
la indizi sulle prime cure erboristiche’
28.Focus.it - ibidem
subspecie. Ma è solo
un’impressione. Egli termina
giustamente con questa riflessione:
29.Anthropos – 16 agosto 2014 –
‘Neanderthal: cannibale per necessità’
30.La Stampa – 21 agosto 2014 –
‘L’uomo di Neanderthal si è estinto
circa 40.000 anni fa’
31.La Stampa - ibidem
32.Le Scienze su Il Navigatore Curioso –
1 novembre 2013 – ‘L’antenato comune dei Neanderthal e dell’uomo moderno è più antico di quanto si
pensasse’
33.Le Scienze su Il Navigatore Curioso ibidem
34.Focus.it – 24 febbraio 2012 – ‘I Neanderthal si vestivano alla moda?’
35.Focus.it - ibidem
36.National Geographic Italia – 24 ottobre 2011, di Alice Danti ‘Frutti di mare sulla tavola dei Neandertal’
37.PLOS One – 14 settembre 2011 –
‘Earliest Known Use of Marine Resources by Neanderthals’
38.National Geographic Italia – ibidem
39.National Geographic Italia – ibidem
40.Daily Mail – 19 agosto 2013, Sarah
Griffith – ‘Neanderthals had 'distinct
cultures': Ancient tool types show
knowledge was passed down generations’
41.Scienze in Rete – 19 giugno 2014, di
Marco Peresani – ‘Neandertal, Homo
symbolicus?’
42.Scienze in Rete - ibidem
43.Focus.it – 16 agosto 2013, di Elisabetta Intini – ‘Quando i Neanderthal davano lezione ai Sapiens’
44.Scienze in Rete – 19 giugno 2014,
di Marco Peresani – ‘Neandertal,
Homo symbolicus?’
IL NUOVO ROMANZO DI GIANLUCA RAMPINI, ORDINABILE SU AMAZON.IT
Le vicende si svolgono lungo due binari principali, inizialmente lontani ma destinati ad incrociarsi quando ci si avvicina alla
conclusione. Da una parte un giovane antropologo durante le sue ricerche sullo sciamanesimo, partecipando ad un rituale,
accede a una parte della sua memoria in cui sono nascosti ricordi di sofferenze e dolore. Stimolato da questa esperienza,
avvenuta in Tanzania, decide che è arrivato il momento di far luce sul suo passato, di trovare l'origine del disagio che lo
affligge da sempre. Le scoperte che fa lo riportano a casa dei genitori, dove suo malgrado è costretto a fronteggiare i
propri demoni, fino alla fine, fino allo stremo delle sue possibilità, fino in quel luogo della sua mente dove tutto è cominciato e dove tutto si concluderà. Sull'altro versante protagonista è un poliziotto di origine italiana, che si è fatto trasferire
da Boston ad una più tranquilla cittadina costiera sperando così di arrivare alla pensione senza troppe emozioni, lontano
dal caos della città e lontano dai ricordi di una vita familiare infranta dalla sua eccesiva dedizione al lavoro. Ipswich però
diviene teatro di orrendi crimini, uno dopo l'altro vengono ritrovati corpi orrendamente mutilati. Si fa strada tra gli inquirenti l'ipotesi satanista ma emergono dettagli che questa ipotesi non riescono a soddisfare. Il male sembra più profondo,
più radicato. Mentre la città perde fiducia nella polizia, le morti continuano e si avvicinano sempre di più a chi sta intorno
al tenente. Diventa quasi una questione personale. Per risolvere il caso il protagonista dovrà spingersi oltre i propri limiti,
oltre la legge per salvare l'ultima vita che ancora può essere salvata. La conclusione porterà i due protagonisti uno di fronte all'altro e li costringerà a confrontarsi con una realtà che esula dalla nostra. Riusciranno, ciascuno in modo diverso, a
strappare il velo che è posto davanti agli occhi degli uomini, vedere chi o che cosa si trova al di là di questo confine.
39
NERO PRESS
MIRKO GIACCHETTI
FIN DA PICCOLO
Fin da piccolo, in tempi non sospetti.
Il 21 novembre 2008, dove eravate? Io ero in una libreria del
centro, davanti a una imponente piramide di libri. Senza saperlo, osservavo il monumento
funebre dei vecchi tempi, quelli
in cui potevi dichiarare la tua
passione, senza dover tirare in
ballo
ere geologiche come l’infanzia
o la prima adolescenza. Mi
chiedo come faranno le nuove
leve, nate troppo tardi e segnate per sempre, quando dovranno confrontarsi con l’eredità di
quell’evento e non potranno
dire: ho sempre amato vampiri,
sin da quando ero bambino,
prima di Twilight.
Quella trilogia ha sconvolto per
sempre il mondo degli appassionati del lato oscuro della
notte.
Credetemi, non potete più parlare con gli appassionati di
vampiri, senza che qualcuno
non la riesumi per dirne tutto il
male possibile.
Non ho idea del numero totale
di romanzi e film dedicati ai
succhia sangue, ma sono sicuro
che è il titolo più citato dopo
Dracula di Bram Stoker.
Nonostante la paura del contagio e i pregiudizi, gli
“orroromantici” si sono moltiplicati sotto la luce del sole,
hanno conquistato zombie, demoni, streghe e chissà fino a
dove estenderanno il loro regno.
Sono ovunque e sono tra noi.
Cosa abbiamo fatto quando li
abbiamo visti pascolare indisturbati nelle nostre librerie?
Abbiamo provato a scacciarli
quando si sollazzavano nelle
sale cinematografiche in cui siamo cresciuti? Ridevamo tutti
quando Buffy rimbalzava come
un fagiolo matto nello schermo
della tv e ora guardate dove
siamo finiti.
Siamo a un bivio. Possiamo solo
arrenderci, alzare bandiera
bianca e abituarci. In fondo, se
un vampiro brilla come una pal-
40
la da disco music, che male c’è,
sono giovani e lascia che si divertano. Oppure possiamo resistere, riprenderci i vampiri che
vorremmo e far sì che quegli
altri svaniscano nel nulla.
Superiamo il trauma Twilight,
andiamo avanti. Smettiamola di
ricordarcelo ogni volta; mentre
parliamo, alle presentazioni dei
libri e ogni volta che un paio di
canini si allungano più del necessario.
Nero Press non si è arresa è ha
accolto il lato oscuro della notte tra le sue pubblicazioni.
La tecnologia ha fatto passi da
gigante, abbiamo forni a microonde che parlano, frigoriferi
che fanno la spesa, macchine
che parcheggiano da sole,
consolle che ci portano su altri
pianeti definiti
meglio di quello in cui viviamo
e altre mille meraviglie tecnologiche, ma siate sinceri, riuscireste a resistere al fascino un po’
sangue. E prima? C’erano solo
miti e leggende?
Paolo Di Pierdomenico con il
racconto De motu sanguinis ci
riporta indietro nel tempo, nel
1528. Genova è assediata dalla
peste e, per salvare la moglie
dal flagello nero,
Ignazio si ritrova a recapitare
alcune lettere tra un medico
italiano e uno francese condan-
retrò di uno spettacolo di burattini?
Nicola Lombardi con il suo racconto I burattini di Mastr’Aligi
mette in scena uno spettacolo
in grado di rapire il cuore del
giovane Tobia. Il grande
Mastr’Aligi arriva in città e il
protagonista non può mancare
alla rappresentazione, ma il sogno non durerà il tempo di una
avventura. Potrà vedere da vicino gli incredibili burattini fuori
dalla scena, nell’intimità del
camper, invitato da Katia, una
coetanea verso cui sente una
misteriosa attrazione. Varcata
la soglia di quel mondo, la realtà sgretola l’illusione e spalanca
le porte a un incubo senza fine.
L’Ottocento, quello sì che era il
tempo dei vampiri. Il sangue
scorreva a fiumi e Londra e Parigi erano città oscure. Thomas
de Quincey e Baudelaire, due
dannati persi nelle spire
dell’oppio, in bilico tra assassinio e letteratura, fermavano
sulla carta un mondo che non
smetteva di correre. Al cimitero
di Highgate c’era chi andava
veramente a caccia di succhia
nato per eresia, percorrendo la
strada che lo condurrà al cospetto di una creatura assetata
di sangue.
La conoscenza potrebbe non
essere il farmaco che guarisce,
ma il veleno che uccide.
Vi è mai capitato di giocare al E
se fosse? Nel tentativo di indovinare un personaggio famoso,
si possono fare alcune domande per scoprire di chi si tratti.
Se penso ad Abraham Lincoln e
mi chiedessero: “e se fosse una
bandiera?”, dovrei rispondere,
come minimo, quella americana. Un gioco semplice che tende a sviluppare la fantasia e
l’arguzia di chi deve scoprire
l’identità misteriosa.
Nel caso di un vampiro, “se fos-
41
se una musica”?
Matteo Bertone con il romanzo
Diurno Imperfetto ci fa ascoltare tutte le sfumature musicali
per definirlo. Un giovane farmacista torturato con della
pessima poesia e coinvolto, suo
malgrado, in riti orgiastici e circoli di vampire goth dovrà scoprire la sua vera identità. Nel
tentativo di decifrare l’enigma
dell’affascinante Cassandra,
districandosi tra improbabili
analisti e singolari aspiranti
vampiri, l’ironia e l’indolenza lo
aiuteranno a scoprire cosa si
nasconde sotto la superficie
seria delle cose.
Ma non è tutto, presto verrà
anche pubblicato Alba di luna
di Matteo Gambaro…
Visto, si può scrivere e leggere
di vampiri, con la coscienza pulita, senza sentirsi in colpa.
Tutti i titoli sono disponibili nei
principali store digitali o presso
Nero Press Edizioni (http://
neropress.it/ e i profili Facebook Nero Press Edizioni e Nero
Café).
LA SCIENZA DELLE SCUOLE MISTERICHE
IL CORPO DI GLORIA
MICHELE PERROTTA
Mer-Ka-Ba (parole egiziane so interiore che porta l'iniziache significano: MER (Luce), to, o se preferiamo il mistico,
dopo un duro e lunghissimo
KA (Spirito) e BA (Corpo).
percorso meditativo e sopratLa Tradizione Sacra e le diver- tutto operativo, che comporse scuole misteriche chiama- ta uno sforzo fisico ed emotino Merkabah o Merkavah,
vo su sé stesso capace di con“Carro Divino”, “Corpo di Lu- giungere e rendere in comunione l’Io con Dio, ad una trace”, o più esattamente
“Corpo di Gloria”, un proces- sformazione del Se. Tale pro-
42
cesso mira nella difficilissima
impresa di riuscire a costituire e a manifestare il famoso
Corpo di Luce delle tradizioni
esoteriche.
Questi insegnamenti, oltre
che nell’alchimia rinascimentale, che curava molto gli
aspetti di matrice esoterica,
erano presenti e ben radicati
nel mondo giudaico, soprattutto nella Kabbalah , più
precisamente nella letteratura denominata Ma‛ăsēh
Merkābāh.
Molti gruppi mistici, che erano incentrati
sull’interpretazione esoterica
della “visione del Carro” (Merkavah), hanno ereditato questa conoscenza segreta dagli gnostici greci e
persiani, che a loro volta
l’avevano ereditata da una
tradizione caldea di origine
arcaica sumera.
Questa scienza del “Carro
Divino”, insegnata esclusivamente nelle scuole misteriche, era sottoposta ad una
rigida selezione e, secondo
alcune tradizioni, lo studio
della visione del Carro Celeste era proibito a coloro che
non avevano ancora compiuto quarant’anni.
Nel mondo ebraico molte
leggende su questa antica
dottrina esoterica, infatti,
sono inerenti a discepoli impazziti o addirittura folgorati
dalle potenti energie di questa meditazione; secondo
alcune storie che circolano in
ambienti cabalistici, diversi
apprendisti presero fuoco nel
tentativo di imitare l’ascesa al
Trono Divino del profeta Ezechiele.
“ Il cinque del quarto mese
dell'anno trentesimo, mentre mi trovavo fra i deportati
sulle rive del canale Chebàr, i
cieli si aprirono ed ebbi visio-
ni divine. Il cinque del mese - era l'anno quinto della
deportazione del re Ioiachìn
- la parola del Signore fu
rivolta al sacerdote Ezechiele
figlio di Buzì, nel paese dei
Caldei, lungo il canale Chebàr. Qui fu sopra di lui la mano del Signore. Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una
grande nube e un turbinìo di
fuoco, che splendeva tutto
intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di
quattro esseri animati, dei
quali questo era l'aspetto:
avevano sembianza umana
e avevano ciascuno quattro
facce e quattro ali. Le loro
gambe erano diritte e gli
zoccoli dei loro piedi erano
come gli zoccoli dei piedi
d'un vitello, splendenti come
lucido bronzo. Sotto le ali, ai
quattro lati, avevano mani
d'uomo; tutti e quattro avevano le medesime sembianze e le proprie ali, e queste
ali erano unite l'una all'altra. Mentre avanzavano,
non si volgevano indietro,
ma ciascuno andava diritto
avanti a sé. Quanto alle loro
fattezze, ognuno dei quattro
aveva fattezze d'uomo; poi
fattezze di leone a destra,
fattezze di toro a sinistra e,
ognuno dei quattro, fattezze
d'aquila. Le loro ali erano
spiegate verso l'alto; ciascuno aveva due ali che si toc43
cavano e due che coprivano
il corpo. Ciascuno si muoveva davanti a sé; andavano là
dove lo spirito li dirigeva e,
muovendosi, non si voltavano indietro. Tra quegli esseri si vedevano come carboni
ardenti simili a torce che si
muovevano in mezzo a loro.
Il fuoco risplendeva e dal
fuoco si sprigionavano bagliori. Gli esseri andavano
e venivano come un baleno.
Io guardavo quegli esseri ed
ecco sul terreno una ruota al
loro fianco, di tutti e quattro. Le ruote avevano l'aspetto e la struttura come di
topazio e tutt'e quattro la
medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era
come di ruota in mezzo a
un'altra ruota. Potevano
muoversi in quattro direzioni, senza aver bisogno di voltare nel muoversi. La loro
circonferenza era assai grande e i cerchi di tutt'e quattro
erano pieni di occhi tutt'intorno. Quando quegli esseri
viventi si muovevano, anche
le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli
esseri si alzavano da terra,
anche le ruote si alzavano.
Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano
e ugualmente si alzavano,
perché lo spirito dell'essere
vivente era nelle ruote.
Quando essi si muovevano,
esse si muovevano; quando
essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si al-
bianze umane. Da ciò che
sembrava essere dai fianchi
in su, mi apparve splendido
come l'elettro e da ciò che
sembrava dai fianchi in giù,
mi apparve come di fuoco.
Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile
a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore.
Quando la vidi, caddi con la
faccia a terra e udii la voce
zavano da terra, anche le
di uno che parlava ”.
ruote ugualmente si alzava- (EZECHIELE 1:1-28)
no, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. Questa conoscenza segreta,
Al di sopra delle teste degli oltre che nel misticismo eesseri viventi vi era una spe- braico, prese corpo addirittucie di firmamento, simile ad ra all’interno della confraterun cristallo splendente, dinita degli Esseni, successivasteso sopra le loro teste, e
mente fu abbracciata dagli
sotto il firmamento vi erano gnostici, e, infine, dalle diverle loro ali distese, l'una di
se scuole misteriche
contro all'altra; ciascuno ne d’occidente.
aveva due che gli coprivano Il mito della Stella sepolta
il corpo. Quando essi si
nella forma umana è molto
muovevano, io udivo il rom- antico e lo ritroviamo in difbo delle ali, simile al rumore ferenti tradizioni esoteriche:
di grandi acque, come il tuo- “ Fuoco, fuoco interiore, è la
no dell'Onnipotente, come il più potente delle forze, perfragore della tempesta, co- ché esso supera tutte le cose
me il tumulto d'un accampa- e penetra tutte le cose della
mento. Quando poi si ferma- Terra. L'uomo supporta se
vano, ripiegavano le ali. Ci stesso solo in ciò che resiste.
fu un rumore al di sopra del Così la Terra resiste all'uomo
firmamento che era sulle lo- altrimenti egli non resiste…
ro teste. Sopra il firma… L’Uomo è una stella incamento che era sulle loro te- tenata ad un corpo fino alla
ste apparve come una pietra fine, fino a quando si libera
di zaffìro in forma di trono e attraverso la propria lotta.
su questa specie di trono, in Colui che conosce il principio
alto, una figura dalle semdi tutte le cose, libera la sua
44
stella dai regni della notte ”.
(THOT - Tavole di Smeraldo III Tavoletta - La Chiave della
Saggezza)
Possiamo anche accostare
questa arcana tradizione esoterica sul Corpo di Gloria, la
Stella incatenata nell’uomo,
al cosiddetto Corpo Adamantino (chiamato anche Corpo
Arcobaleno) della tradizione
tantrica. È possibile, infatti,
almeno secondo questi antichi segreti iniziatici, ottenere
nel proprio intimo questo
stadio di trascendenza in cui
sarebbe possibile raggiungere l’illuminazione.
Questa sorta di contemplazione di risveglio buddico,
che conduce sia
all’illuminazione che alla trascendenza e, soprattutto, alla
fusione del mascolino con il
femminino sacro, e di conseguenza alla costituzione del
Corpo Adamantino, è, per la
maggiore, presente nella tradizione buddista tibetana,
più specificamente si parla di
questo aspetto
nell’iniziazione tantrica del
Dalai Lama che prende il nome di Kalachakra .
La Merkavah è sostanzialmente un campo elettromagnetico di natura geometrica,
lo stesso che ha la matrice
numerica di tutti i processi
della vita e della creazione,
raffigurata per eccellenza nelle forme dei Solidi Platonici;
tale geometria sacra è calco-
labile come matrice divina
anche attraverso la frequenza
di Fibonacci:
1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,89,14
4…
La fusione delle cinque forme
dei Solidi platonici, che secondo alcune tradizioni esoteriche ha una valenza geometrica-matematica che condurrebbe a Dio, porta, come
risultato, all’immagine del
Cubo di Metatron, che secondo la tradizione ebraica, infatti, il patriarca Enoch utilizzò per salire nei cieli dove vide Dio.
Secondo una teoria fisica, ma
anche secondo alcuni determinati concetti esoterici, il
Cubo di Metatron, assimilabile nelle scuole misteriche anche al “Fiore della Vita”, simboleggerebbe la somma di
tutte le forme che la materia
può assumere: la perfetta
forma della creazione divina.
Nella tradizione cabalistica il
Cubo di Metatron è assimilabile al “Carro” descritto da
Ezechiele che condurrebbe il
mistico, attraverso l'ascesi
mistica, nei regni superiori.
La trasfigurazione di Cristo è
un episodio della vita del
Messia Gesù di Nazaret descritto nei tre vangeli sinottici: Matteo 17:1-8; Marco 9:28; Luca 9:27-36.
L’uomo Gesù, insieme ai discepoli Pietro, Giacomo e
Giovanni, mostra la sua potenza divina su un monte,
cambiando d’aspetto dopo
una profonda meditazione.
In quell’occasione il Cristo, il
vero Sé, assume splendore
nella persona incarnata dal
Logos Divino nell’uomo Gesù,
e, con una straordinaria luce
delle vesti, assume un corpo
differente da quello precedente.
"In verità vi dico: "vi sono
alcuni qui presenti, che non
morranno prima di aver visto il regno di Dio". Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul
monte a pregare. E, mentre
pregava, il suo volto cambiò
d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed
Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato
45
a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni
erano oppressi dal sonno;
tuttavia restarono svegli e
videro la sua gloria e i due
uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano
da lui, Pietro disse a Gesù:
"Maestro, è bello per noi
stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè
e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una
nube e li avvolse; all'entrare
in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il
Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò,
Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto".
(LUCA 9:27-36)
FISICA MODERNA E GRANDI UOMINI DI SCIENZA
PARADIGMA
OLOGRAFICO
ENRICO TRAVAINI
ADDENDUM
GIUSEPPE BADALUCCO
Le teorie sull’universo olografico sono sicuramente tra le
più affascinanti della fisica
moderna. In particolare gli
studi del fisico e filosofo statunitense David Bohm,
del neurochirurgo Karl H. Pribram e del fisico francese A-
lain Aspect sono, certamente, tra i più completi e stimati
in circolazione. Tuttavia queste magnifiche scoperte non
sono sempre ben note al
grande pubblico, rimanendo
spesso oscurate dal caos della rete; oppure studiate in
46
modo assai più complesso
nei corsi di fisica universitari
(la parte fisiologica nei corsi
delle neuroscienze), a cui ovviamente accede solo chi
possiede un certo
background scientificomatematico. In questo artico-
lo si cercherà, per quanto
possibile (e senza tralasciare
la scientificità
dell’argomento), di riassumere e semplificare i concetti
base delle teorie sul
“Paradigma Olografico”, viaggiando attraverso il pensiero
e le opere di questi grandi
uomini di scienza.
Introduzione
David Bohm (WilkesBarre, 20 dicembre 1917 –
Londra, 27 ottobre 1992) seppe spezzare gli
stretti vincoli del pensiero
scientifico dominante, per
costruire un’idea del tutto
nuova, consistente al suo interno, per spiegare fenomeni
molto diversi, con un punto
di vista decisamente differente. Il percorso che portò
Bohm a concepire l’Universo
strutturato come un ologramma iniziò con lo studio
delle particelle subatomiche.
più elementari norme del
buon senso (e della fisica
classica!). Sembra un mondo
regolato dalla “stregoneria”
anziché dalle regole ben precise ed “inflessibili” che tutti
conosciamo. Una delle principali scoperte della fisica
quantistica fu che, spezzando
la materia in pezzi sempre
piu’ piccoli, si raggiunge un
punto in cui essi (cioè particelle come elettroni, fotoni,
ecc.) non posseggono più le
proprietà di veri e propri
“oggetti” (es. l’elettrone visto
come piccola sfera). Sebbene, a volte, l’elettrone possa
anche comportarsi da piccola
particella, i fisici scoprirono
che esso, letteralmente, non
ha alcuna dimensione. Concetto difficile da immaginare:
infatti, osservando la realtà
con i nostri occhi, tutto ha
una dimensione. Eppure, se
si tentano di misurare le dimensioni di un elettrone, si
scopre che è un compito apparentemente impossibile.
Presso lo State College della
Pennsylvania nel 1930 iniziò
ad interessarsi di fisica quantistica. Ciò che intrigò Bohm
fu il fatto che, in questo
“nuovo mondo” (all’epoca
qualcosa di sensazionale),
tutto sembra contraddire le
Un’altra grande scoperta, sul
“comportamento”
dell’elettrone, è la sua capacità di manifestarsi sia come
particella, sia come onda. Ad
esempio se “spariamo” un
fascio di elettroni su uno
schermo televisivo spento,
47
compare un puntino luminoso laddove il fascio colpisce
le sostanze chimiche fosforescenti. Il singolo punto
d’impatto rivela chiaramente
la natura dell’elettrone come
“particella”. Nonostante ciò,
non è l’unica forma che assume, infatti in alcune circostanze può anche dissolversi
in una sfocata nube di energia, comportandosi quindi come un’onda distribuita in una
porzione di spazio. Quando
l’elettrone si manifesta come
onda, compie azioni che nessuna particella è in grado di
eseguire; ad esempio, se viene sparato contro una barriera su cui sono presenti due
fessure, riesce ad attraversarle contemporaneamente entrambe. Nel caso in cui due
elettroni, che si comportano
da onda, entrino in contatto,
producono il cosiddetto
“schema d’interferenza” tipico delle onde. Insomma,
l’elettrone può talvolta manifestare proprietà da onda,
talaltra da particella. Questa
particolare abilità è comune
a tutte le particelle subatomiche. Alcuni fisici moderni ritengono addirittura che tali
fenomeni atomici non dovrebbero essere classificati
né come onda né come particella ma come una
sorta di unione di essi.
L’interconnessione
Un aspetto della realtà quantistica che Bohm trova particolarmente interessante è
l’insolito stato di interconnessione che esisterebbe tra eventi subatomici a prima vista scollegati. Fatto a cui pochissimi fisici danno peso,
per la maggior parte dei casi
infatti, è ritenuto un comportamento irrilevante. Niels
Bohr sottolineò che se le particelle subatomiche esistono solo in presenza
dell’osservatore allora non ha
semplicemente senso parlare
di proprietà delle particelle in
assenza
dell’osservatore. Questo disturbava e non poco i fisici,
da sempre il senso stesso
della scienza sta proprio nello
scoprire le proprietà dei fenomeni fisici. Ma se fosse l’atto stesso di osservazione a creare la proprietà?
Un certo Albert Einstein fu
decisamente contrariato dalle affermazioni di Bohr. Nonostante avesse avuto un
ruolo fondamentale nei primi
passi della teoria quantistica,
non fu in alcun modo convinto da quelli successivi. Secondo Einstein, la conclusione di
Bohr, per cui le proprietà di
una particella non esistono
finché qualcuno non le osserva, è particolarmente criticabile. Semplicemente per Einstein era impossibile che ciò
accadesse. A sostegno di
Bohr ci fu un’altra scoperta:
alcuni processi subatomici
creano delle “coppie di particelle” con proprietà identiche
o fortemente correlate. Si
consideri, ad esempio, il positronio, cioè un sistema costituito da un elettrone e dalla
sua antiparticella,
il positrone; legati insieme a
formare un atomo esotico,
ove quest’ultimo è identico
ad un elettrone ma avente
carica positiva. Siccome il positrone è esattamente la particella opposta all’elettrone, il
loro scontro le annullerebbe,
ottenendo due particelle di
48
luce chiamate “fotoni” le
quali viaggerebbero in direzioni opposte. Tuttavia non
importa quanto i due fotoni
si allontanino l’uno dall’altro,
infatti non appena uno dei
due viene misurato, essi assumono sempre lo stesso
“angolo di polarizzazione” (polarizzazione della radiazione elettromagnetica o elicità: è una caratteristica delle onde elettromagnetiche ed indica la direzione
dell’oscillazione
del vettore campo elettrico durante la propagazione
dell’onda nello spaziotempo). Nel 1935 Einstein
con i colleghi Boris Podolsky
e Nathan Rosen pubblicarono
il famoso saggio: “Può la descrizione quantistica della Realtà essere considerata completa?”; in cui smentiscono le
teorie di Bohr. Secondo la
Teoria Speciale della Relatività di Einstein, infatti, nulla
può viaggiare più veloce della
luce. Questa argomentazione
è meglio conosciuta come il
“paradosso EPR“, tutt’oggi
molto dibattuto a livello
mondiale.
Bohr replicò con un’altra possibile spiegazione: se le parti-
celle non vengono ad esistere prima di essere osservate,
non possono allora nemmeno essere più pensate come
“oggetti indipendenti”. Secondo Bohr, Einstein commise un errore essenziale nel
considerare le particelle separate. Esse sono elementi
di un unico sistema indivisibile e non aveva semplicemente senso concepirle altrimenti. Ad oggi sempre più
fisici aderiscono alla posizione di Bohr, soprattutto perché la teoria quantistica si
dimostra molto utile a prevedere fenomeni fisici a livello
principalmente subatomico.
Primi passi
Inizialmente anche Bohm accettò la posizione di Bohr, restando tuttavia stupito dal
poco interesse che egli mostrava verso il concetto di
“interconnessione”. Dopo la
laurea in Pennsylvania, Bohm
si trasferisce all’Universita’ di
Berkeley in California, dove
consegue il dottorato nel
1943, lavorando al Lawrence
Berkeley Radiation Laboratory. Qui iniziò uno studio sul
plasma (il “plasma”, vero e
proprio quarto stato della
materia, è in definitiva un gas
che contiene con elevata
densità di elettroni e ioni positivi). Bohm scoprì che gli
elettroni, contenuti nel plasma, smettono di comportarsi come unità indipendenti,
assumendo un comportamento ben differente. Infatti
risultò che gli elettroni interagivano fra loro come se fossero, appunto, interconnessi. Guardando gli elettroni
singolarmente sembrerebbe
che il loro movimento sia del
tutto casuale ma osservati in
gruppi più ampi riescono a
produrre comportamenti
che appaiono sorprendentemente organizzati. Bohm rimase affascinato da queste
proprietà “organiche” degli
elettroni, tanto da affermare
spesso di avere l’impressione
che “il mare di elettroni sia
vivo”. Nel 1947 accettò la cattedra a Princeton, dove poté
eseguire nuovi esperimenti
sugli elettroni ed in particolare sui metalli.
Una nuova interpretazione
Ossessionato dalle interconnessioni degli elettroni,
Bohm abbandona lentamente il pensiero di Bohr, cercando una spiegazione al fenomeno. Dopo tre anni di insegnamento a Princeton, non
soddisfatto degli insegnamenti sulla fisica quantistica,
cercò di contattare sia Bohr
che Einstein, per chiederne le
opinioni. Bohr non rispose
(rimase sempre convinto del49
le sue idee), mentre Einstein
lo contattò. Il risultato fu una
serie di profonde conversazioni durate sei settimane,
dove Einstein espresse la sua
ammirazione per la chiarissima esposizione della fisica
quantistica e riconobbe lui
stesso l’insoddisfazione verso
la teoria quantistica prevalente. Conversando, entrambi
riconoscono alla fisica quantistica la capacità di prevedere i fenomeni studiati ma ciò
che più li turbò fu che essa
non dà nessuna spiegazione
“sensata” della struttura del
mondo. Nel 1951 Bohm pubblicò il libro “Quantum Potential Theory”, che divenne
subito un best-seller; nella
sua mente, tuttavia, rimasero
indelebili le conversazioni
con Einstein. Bohm pensò
all’esistenza di una “realtà
più profonda”, un “livello subquantico” che ancora attendeva di essere rivelato. Si rese conto che sarebbe sufficiente ammettere l’esistenza
del nuovo livello per spiegare
le scoperte della fisica quantistica. Bohm chiamò il nuovo
livello “potenziale quantico” e teorizzò che esso sia
presente in tutto lo spazio,
esattamente come la forza di
gravità. A differenza dei campi gravitazionali, magnetici,
ecc., però, l’influenza del
Campo Quantico non diminuisce con la distanza: cioè il
suo effetto ha la stessa forza
ovunque, in ogni punto
dell’Universo. Bohm pubblicò
la sua nuova interpretazione
della teoria quantistica nel
1952. Le reazioni del mondo
scientifico furono quasi tutte
negative. La maggior parte
degli scienziati, infatti, erano
certi che non potessero esistere spiegazioni alternative.
Il problema fu principalmente dato dal punto di vista di
Bohr, estremamente radicato
tra i fisici dell’epoca. Questo
condusse l’alternativa di
Bohm ad essere vista come
una forma di eresia alla dottrina dominante (ortodossa).
Bohm (e in parte anche Einstein) notò che la prospettiva
della scienza era troppo limitata, in particolare quando
occorreva prendere in seria
considerazione idee radicalmente nuove -tutt’oggi la
scienza ortodossa “pecca”
spesso di saccenteria. Nel
1957 scrisse il libro
“Causality and chance in Modern Physics”, nel quale esaminò i pregiudizi filosofici
che rimangono alla base
dell’atteggiamento ostico
che, a volte, la comunità
scientifica assume. Bohm
suggerì di assumere invece
un atteggiamento di apertura
mentale nella ricerca scientifica.
Sempre nella stessa opera,
Bohm sostenne che
l’interpretazione scientifica
della “causalità” è limitata.
Molti effetti osservabili negli
esperimenti o in natura sono
pensati come aventi una o
più cause; Bohm pensò invece che un effetto possa avere
addirittura infinite cause.
Ammise, tuttavia, che nella
stragrande maggioranza dei
casi si ignora l’enorme mole
50
di eventi che producono un
certo effetto. Egli ritenne che
sia ugualmente importante
per gli scienziati ricordare
che non c’è una semplice relazione di singola “causa –
effetto” separata.
Bohm prestò sempre più attenzione al significato del
“potenziale quantico”, cosa
che implicò un contrasto ancora più aspro con la scuola
ortodossa. La scienza ortodossa interpreta da sempre
lo stato di un sistema come
“Unità”, frutto
dell’interazione delle parti. Il
“potenziale quantico” supera
questa visione e suggerisce
che il comportamento delle
parti è organizzato dall’Unità
stessa. Questa nuova concezione va a scontrarsi con le
tesi di Bohr. Addirittura la
teoria di Bohm suggerì che l’
“Unità del Tutto” è la primaria e fondamentale realtà.
Bohm scrisse:
“… tali elettroni in effetti non
sono sparpagliati perché, attraverso l’azione
del potenziale quantico, il Sistema intero è soggetto ad
un unico movimento coordinato, che somiglia più alla
danza di un balletto che a una folla di persone prive di
organizzazione. Questa Unità
quantica del movimento è più
simile all’unità organizzata
con cui funzionano le parti
del corpo di un essere vivente, piuttosto che il tipo di unità che si ottiene mettendo
soltanto insieme pezzi di un
meccanismo…”
Un’implicazione ancora più
sorprendente riguardava la
natura della “locazione”. A
livello di esperienza quotidiana, ogni cosa ha una sua specifica locazione, cioè un luogo in cui si trova e da cui produce eventuali effetti sul
mondo circostante.
L’interpretazione di Bohm implica che a livello subquantico, dove opera appunto
il potenziale quantico, la
“locazione” semplicemente
cessa di esistere. Questa proprietà viene detta dai fisici
“non località”.
L’aspetto “non locale”
del potenziale quantico permise a Bohm di spiegare il collegamento tra particelle gemelle (ogni particella
che viene osservata ha una
particella partner o gemella che la segue dappertutto)
senza violare “il divieto” della
teoria della relatività speciale, per cui nulla può viaggiare
ad una velocità superiore a
quella della luce.
Possiamo semplificare quanto detto con un semplice esempio. Immaginiamo che un
pesce stia nuotando in un acquario. Facciamo finta, per
un momento, di non aver mai
visto prima né un pesce né
un acquario; tutto ciò che
possiamo sapere di essi ci
proviene da due telecamere
televisive collegate a due monitor, una puntata frontalmente verso l’acquario, ed
un’altra di lato. Quando osserveremo i due monitor televisivi, potremmo dedurre
erroneamente che i pesci siano entità differenti. Dopotutto, essendo le telecamere posizionate con angolazioni diverse collegate a due monitor
differenti, ognuna delle due
immagini sarà leggermente
differente. Continuando però
a guardare attentamente, noteremo che quando uno si
gira, anche l’altro lo fa. Quando uno guarda di fronte,
l’altro guarda sempre di lato,
e così via. Prima o poi comunque approderemo
51
all’idea che i “due” pesci sono in effetti un pesce solo.
Secondo Bohm, questo è esattamente ciò che succede
tra “particelle gemelle”, come ad esempio due fotoni
emessi dal decadimento di
un atomo di positronio. Infatti, poiché
il potenziale quantico permea tutto lo spazio,
tutte le particelle
dell’Universo sono connesse
non localmente.
John Stewart Bell fu molto
interessato dagli studi di
Bohm, ed ebbe ad affermare: “Nel 1952 vidi lo scritto di
Bohm. La sua idea era di
completare la meccanica
quantistica affermando che ci
sono delle variabili nascoste,
in aggiunta a quelle che tutti
conosciamo. Ciò mi impressionò enormemente.”. Egli capì che la teoria di
Bohm implicava l’esistenza
della non località; rimaneva
insoluto però il grande problema di verificarla sperimentalmente. Nel 1964 concepì così una geniale prova
matematica, passata alla storia come “Teorema di Bell” o
“Diseguaglianza di Bell”. Ideò
anche un esperimento ma il
basso livello tecnologico
dell’epoca non permise la sua
realizzazione.
Alla fine degli anni ’50 David
Bohm diventò ricercatore
all’università di Bristol in Inghilterra; lì collaborò con Yakir Aharonov, all’epoca giovane ricercatore, ed insieme
scoprirono un nuovo importante esempio di interconnessione. Conclusero che in
certe specifiche circostanze
un elettrone è in grado di
“percepire” la presenza di un
campo magnetico in regioni
dello spazio dove è nulla la
probabilità di trovare
l’elettrone stesso. Questo fenomeno passò alla storia come effetto “AharonovBohm”. Nei primi anni ’60,
iniziò ad occuparsi del concetto di “Ordine”.
La scienza “ortodossa”, in genere, divide le situazioni in
due categorie: quelle le cui
componenti rispondono ad
una certa struttura; e quelle
in cui sono dominate dal puro caso. Bohm si rese conto
che esistono diversi “gradi di
ordine”. Da questa intuizione,
concepì l’idea che le “cose”
che inizialmente percepiamo
come “disordinate”, non lo
sono affatto, o almeno non
sempre. E’ interessante notare che i matematici non sono
in grado di provare la casualità in modo assoluto e sebbene alcune sequenze di numeri vengano dichiarate come
“casuali”, in realtà si tratta
solo di supposizioni. Bohm
ebbe una grande intuizione
guardando un programma
della BBC (a volte anche la TV
può essere anche utile…), il
quale descriveva un semplice
meccanismo, formato da un
cilindro di vetro che contene52
va al suo interno un altro cilindro rotante di diametro
leggermente più piccolo. Lo
spazio interno del contenitore venne riempito di glicerina
(liquido molto denso e trasparente), all’interno della
massa di glicerina venne inserito un piccolo punto
d’inchiostro.
Il meccanismo funziona in
questo modo: quando la manopola, che fa girare il cilindro interno, viene fatta ruotare, la macchia d’inchiostro
si diffonde all’interno della
glicerina formando una circonferenza. Proseguendo con
la rotazione però, si può notare come essa tenda a sparire. Ma cosa succede se invertiamo il senso di rotazione?
Incredibilmente non appena
si inizia a ruotare la manopola nella direzione opposta, la
tenue circonferenza
d’inchiostro ricomincia ad apparire, riformando la macchia
originaria. (vedi figura in pagina) Bohm scrisse:
“Questo esempio mi colpì immediatamente perché è molto significativo circa la questione dell’Ordine, poiché,
quando la macchia
d’inchiostro è diffusa nella
glicerina, continua tuttavia a
mantenere un ordine
“nascosto” (cioè non direttamente visibile), che si rivela
solo nel momento in cui la
macchia viene ricostituita.
D’altra parte, nel nostro linguaggio comune, noi tendia-
mo a dire che l’inchiostro nella glicerina, mentre è diffuso,
è in uno stato di “disordine”.
Ciò mi porta a pensare che, in
questo esempio, sono implicate nuove nozioni di ordine”.
Questa scoperta diede a
Bohm un nuovo punto di vista. Dopo l’esempio del cilindro, si rese presto conto
dell’esistenza di una metafora ancora più efficace per descrivere i diversi livelli di Ordine, l’ologramma.
Come la macchia d’inchiostro
quando diventa “invisibile”
perché sparsa nella glicerina,
lo schema d’interferenza registrato su un pezzo di pellicola olofotografica, appare a
prima vista disordinato. Entrambi posseggono ciò che
Bohm chiama “Ordini nascosti” o “avvolti”; allo stesso
modo l’ordine del plasma è
“avvolto” nel comportamento apparentemente casuale
di ogni singolo elettrone. Da
qui nasce l’ipotesi che
l’Universo stesso usi principi
olografici nel suo esistere e
funzionare - appare esso
stesso come un gigantesco
ologramma in perenne flusso - idea che gli permise di
aggregare tutte le intuizioni
che ebbe nel corso degli anni
in una sola e coerente teoria. Pubblicò i primi lavori sul
tema agli inizi degli anni ’70.
Nel 1980 presentò le sue teorie nel libro intitolato
“Wholeness and the Implicate Order”, opera in cui lega
tutte le sue ricerche in modo
Cos’è un ologramma?
L’ologramma è un supporto fotografico tridimensionale.
Le caratteristiche principali di un ologramma sono:
Una lastra olografica conserva il contenuto informativo
in ogni sua parte, di conseguenza spezzando in più
parti la lastra è possibile ottenere la stessa immagine
tridimensionale con una diminuzione del campo di vista.
È possibile memorizzare sulla stessa lastra olografica più
ologrammi orientando diversamente il raggio laser di
riferimento.
53
veramente meticoloso ed esaustivo.
Bohm affermò sorprendentemente che la realtà tangibile,
quella della nostra vita quotidiana, è in effetti una sorta
di illusione, come
un’immagine olografica. Al
di sotto di essa esiste un ordine più profondo di esistenza,
chiamato “ordine implicato”.
Bohm si convinse che
l’elettrone non è semplicemente una “cosa” ma una
“totalità”. In sostanza, quando uno strumento rivela la
presenza di un singolo elettrone, lo fa perché esso si
svela. Nel caso in cui un elettrone si muovesse, si verificherebbe una sequenza di
“emersioni” ed “immersioni”
tra i due livelli di ordine. L’esempio della pellicola
olografica, quindi, è perfettamente calzante con il concetto di ordine implicato ed esplicato.
Il flusso costante tra i due ordini spiega in che modo le
particelle, come ad esempio
l’elettrone e l’atomo di positronio, possano cambiare forma e passare dall’essere una
certa particella a un’altra differente. Ciò spiegherebbe anche in che modo una certa
particella riesca a manifestarsi sia come particella sia come onda. Secondo Bohm, entrambi gli aspetti sono sempre presenti ma celati in un
sistema quantico; il modo
con cui l’osservatore interagisce con il sistema determina quale aspetto di esso emerge e quale invece rimane
occultato>. Bohm oltrepassa
il fatto che l’ologramma in sé
è un qualcosa di fermo, statico, chiamando il movimento
olografico: “olomovimento”.
L’esistenza di un ordine più
profondo ed organizzato in
modo olografico spiegherebbe anche per quale motivo la
realtà è non-locale a livello
subquantico. Infatti ogni parte di una pellicola olografica
contiene l’informazione della
pellicola intera.
Con la teoria della relatività,
Einstein lasciò il mondo a
bocca aperta, provando che
lo spazio ed il tempo non sono entità separate ma collegate (continuum spaziotemporale).
Definizione
di Spazio-Tempo:
In fisica per spaziotempo,
o cronotopo, si intende la
struttura quadridimensionale dell’
universo. Esso è composto
da quattro dimensioni. Le
tre dello spazio (lunghezza, larghezza e profondità) e
il tempo.
Bohm aggiunse che ogni cosa nell’universo è parte di
un continuum. Nonostante
l’apparente differenza delle
cose a livello fisico, ogni cosa
è l’infinita estensione di ogni
altra cosa. In definitiva persino i due ordini, implicato ed
esplicato, si fondono uno
nell’altro. Chiarì che ciò non
significa affatto che
l’universo sia una gigantesca
massa indifferenziata.
Dopo aver osservato la realtà
fisica passiamo dunque a
quella fisiologica, decisamente più vicina
all’uomo, analizzando le conclusioni tratte dagli studi di
Karl Pribram.
Karl H. Pribram (Vienna, 25
febbraio 1919)
54
è un medico neurochirurgo a
ustriaco, professore
di psichiatria e psicologia in
varie università americane,
tra cui la Stanford
University e la Georgetown
University. I suoi studi più rilevanti riguardano
il cervello umano ed
il sistema nervoso. In particolare, ha contribuito a definire
la natura del sistema limbico
e la relazione tra esso e
la corteccia frontale. Il principale lavoro è lo sviluppo, in
collaborazione con il fisico David Bohm, del cosiddetto “modello cerebrale olografico della funzione cognitiva”,
da lui chiamato “modello olonomico del cervello”.
Con questo modello, Pribram
teorizza che le informazioni,
quindi anche i ricordi, immagazzinati nel nostro cervello
non vengano “registrati” nei
neuroni ma siano il risultato
di figure (detti anche pattern)
d’onda interferenti, spiegando in tal modo la capacità del
cervello di immagazzinare
un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente piccolo. Durante
gli anni quaranta e cinquanta del Novecento, Pribram contribuì allo studio e alla comprensione del
ruolo dei gangli della base
(nuclei sottocorticali localizzati alla base di entrambi gli
emisferi cerebrali e densamente interconnessi con la
corteccia cerebrale, il talamo
e il tronco dell’encefalo, ma
non con il midollo spinale) nell’organizzazione delle
emozioni e delle motivazioni.
Fino ad allora, a questi quattro raggruppamenti neuronali (corpo striato, a sua volta
suddiviso in nucleo caudato, putamen e nucleus accumbens: da notare che il nucleo striato riceve stimoli in
ingresso, detti
“afferenze“, principalmente
dalla corteccia e dal talamo ed è fittamente collegato
al globus pallidus e alla substantia nigra, da cui
parte la maggior parte delle
“uscite”, dette
“efferenze“, dai nuclei della
base verso altre strutture cerebrali, non ultima
la formazione reticolare; il globus pallidus, composto di un segmento esterno e uno interno; il
nucleo subtalamico e la substantia nigra) erano “accreditate” solamente funzioni di tipo motorio.
Ad esempio, la degenerazione dei neuroni dopaminergici
presenti nella substantia nigra è responsabile della tristemente nota malattia di
Parkinson, in cui un aumento
dell’attività dei circuiti cerebrali che inibiscono il movimento causa i sintomi motori. Tuttavia, Pribram, fra gli
altri, pose l’accento
sull’esistenza di un corteo
sintomatologico a carattere
psichico correlato con il Parkinson (come
la bradifrenia o acinesia psichica e altri deficit cognitivi,
fra cui l’attenzione) Egli ha
inoltre scoperto i sistemi sensoriali dell’area cerebrale
chiamata corteccia associativa sensoriale, ha indicato come questi sistemi funzionino
e diano la possibilità di scelta
all’individuo.
La realtà olografica potrebbe
apparire così.
“Cos’è e dov’è collocata la
memoria?”
Pribram prende spunto da
questa semplice domanda,
arrivando a concepire una
teoria rivoluzionaria sulla
55
Piccola parentesi, solo per
farsi un’idea di quanti collegamenti possieda la parola
“memoria”:
In psicologia viene studiata
la memoria come funzione psichica.
In neuroscienza viene studiata la funzione fisiologica della memoria.
Nelle scienze umane emerge
il concetto di memoria
collettiva
In informatica vengono studiate le memorie informatiche (RAM e ROM) .
In elettronica vengono studiate le memorie elettroniche.
In letteratura le memorie so
no testi, anche in forma
di romanzi o saggi, in cui
l’autore tratta di avvenimenti del suo passato.
Costituiscono un autonomo genere letterario denominato memorial
istica
Nella religione cattolica le memorie sono celebrazioni liturgiche dei
santi.
In politica internazionale, il
programma Memoria del
mondo dell’UNESCO (in
inglese, Memory of the
World) mira a individuare e tutelare archivi e documenti storici.
Nell’antichità greca,
l’esigenza di mantenere
in vita la memoria collettiva dava adito a forme
di istituzionalizzazione
(la figura dello mnemon).
memoria umana. All’inizio
degli anni ’40, per la scienza
ortodossa, la memoria era
situata in un punto preciso
del cervello. Si pensava infatti
che ogni singolo ricordo
dell’individuo, ad esempio il
ricordo di un particolare odore, l’ultima volta che si è incontrato un parente o un amico, avesse una precisa collocazione nelle cellule cerebrali. Queste zone furono
battezzate da Richard Semon “engrammi“, ripresi successivamente negli anni ’50
da Wilder Penfield in alcuni
esperimenti sulla memoria.
Definizione di engramma:
Un engramma è un ipotetico elemento neurobiologico
che consentirebbe alla memoria di ricordare
fatti e sensazioni immagazzinandoli come variazioni
biofisiche o biochimiche
nel tessuto del cervello e di
altre strutture nervose.
Pribram nel 1946 ebbe
l’occasione di lavorare con il
grande neuropsicologo Karl
Lashley. Questi condusse ricerche trentennali sui meccanismi che regolano la memoria. Tuttavia Lashley non riuscì a trovare alcuna prova
dell’esistenza degli engrammi, ma addirittura
la sua ricerca contraddiceva
quella di Penfield.
L’esperimento di Lashley consisteva nell’addestrare dei
ratti a compiere certe opera-
zioni ad esempio percorrere
un labirinto. Poi estraeva chirurgicamente parti del cervello, quindi ripeteva la prova. In poche parole, voleva
fisicamente rimuovere la parte di cervello nella quale, si
supponeva, contenere la memoria del labirinto. Incredibilmente, nonostante le zone
rimosse, la memoria dei topi
rimaneva inalterata.
Secondo Pribram la scoperta
era inverosimile: se i ricordi
hanno una sezione specifica,
come si spiegava quel fenomeno?
Concluse che la memoria
non ha una localizzazione
specifica nel cervello ma è in
qualche modo distribuita.
Per quanto, in effetti, a livello
corticale esistano dei “centri”
specifici associati a specifiche
funzioni (le cosiddette “aree
di Brodmann“) che coinvolgono anche i processi mnesici,
la memoria in sé appare decisamente “delocalizzata”, come se esistessero dei meccanismi di ridondanza per proteggerla.
Infatti, Pribram confrontò i
dati ottenuti con i pazienti a
cui si rimuoveva chirurgicamente parte del cervello: essi
56
continuavano a ricordare fatti
e cose precise, nonostante
l’intervento. Persino rimuovendo parti dei lobi temporali, area molto importante,
non si avevano perdite significative nelle memorie dei
pazienti. Nonostante
l’evidenza che le memorie
fossero in qualche modo distribuite, mancava prove più
significative e definitive. A
metà degli anni ’60, lesse un
articolo del “Scientific American” che descriveva la costruzione dell’ologramma,
qui ebbe l’illuminazione. La
memoria funziona come un
ologramma?
Costruzione di un
ologramma
Possiamo riassumere la costruzione di un ologramma in
questo modo: un raggio laser
viene separato in due raggi
distinti attraverso una serie
di specchi. Il primo fascio deve rimbalza sull’oggetto che
si desidera fotografare. Il secondo invece si dovrà scontrare con la luce riflessa del
primo. Questo crea il cosiddetto “schema
d’interferenza” che va ad imprimersi su una superficie fo-
tosensibile. L’immagine sottostante chiarisce ulteriormente quanto detto.
A differenza della pellicola
fotografica tradizionale, ogni
piccolo pezzo della pellicola
olografica contiene
l’informazione
dell’intera immagine.
La vista funziona in modo
olografico?
Una scoperta sorprendente
di Lashley fu che i centri visivi
del cervello resistono in modo sorprendente anche a vaste rimozioni chirurgiche. Utilizzando dei topi come cavie,
scoprì che rimuovendo anche
il 90% della corteccia visiva,
l’animale poteva ancora compiere attività di tipo visivo. A
conferma, alcuni esperimenti
di Pribram, rivelarono che il
98% dei nervi ottici (utilizzò
come cavie dei gatti) possono
essere separati senza alcun
danno significativo. Dopo aver condotto ulteriori esperimenti sul funzionamento della vista, Pribram parlò per la
prima volta di “visione olografica” o “vista olografica”,
stravolgendo tutte le convinzioni dell’epoca sul concetto
stesso di vista.
Il Modello Olonomico
Pribram pubblicò il primo articolo sulla natura olografica
del cervello nel 1966, continuando poi ad espanderla,
dando una spiegazione plausibile a molti “lati oscuri” della Mente.
Il “Modello Olonomico” spiega come il cervello può conservare una quantità immensa di ricordi in uno spazio decisamente ridotto. Qualcuno
provò addiritturaa misurare
la capacità del cervello, arrivando a risultati sorprendenti, come il matematico John
Von Neumann. Egli calcolò
che mediamente l’essere umano, nel corso della vita,
ricorda 10^20 bit di informazione (probabilmente una sovrastima). Più recentemente
si utilizzò un altro metodo:
stimare il numero totale di
sinapsi e quindi presumere
che ogni sinapsi contenga alcuni bit (circa 4 byte). Le stime sul numero di sinapsi sono state fatte in un range tra
10^13 e 10^15, con relative
stime corrispondenti di capacità di memoria. Tirando le
somme si giunge ad una capacità stimata di 4 milioni di
GB (!). A lungo i ricercatori si
sono chiesti quale meccanismo possa spiegare una simile capacità. Una risposta è
proprio l’ologramma, infatti
modificando l’angolo con cui
due laser colpiscono la superficie della pellicola olografica,
è possibile registrare molte
immagini sulla stessa superfi57
cie con una risoluzione
di 3000÷5000 linee/mm .
L’acquisizione delle informazioni e delle abilità
Pribram ritiene, inoltre, che il
modello olografico dia una
spiegazione plausibile alla capacità di trasferire le abilità
acquisite (scrivere, suonare
uno strumento ecc.) da una
parte del corpo ad un’altra.
Per Pribram, questa capacità
si spiega solo sostenendo che
il cervello converta ogni informazione che possiede, in
un linguaggio di schemi
d’interferenza di onde.
La costruzione della realtà
Cos’è la realtà?
Con il termine realtà si intende ciò che esiste effettivamente, diversamente da ciò
che è immaginario, non reale, fittizio. La realtà è da
sempre un concetto molto
dibattuto.
A noi sembrerà normale osservare gli oggetti, interagire
con essi, con le persone, gli
animali. Anche provare emozioni, noi definiamo questi
eventi come reali: realtà interna quando parliamo del
nostro io; realtà esterna
quando interagiamo con
l’esterno. Tuttavia, non è ancora del tutto chiaro in quale
modo il cervello riesce a distinguere tra i due tipi di realtà. Pribram ribadisce che durante l’osservazione,
un’immagine è effettivamente impressa sulla retina
dell’osservatore, ma esso non
percepisce la persona come
se fosse sulla retina, bensì “al
di fuori”, “reale”.
È stupefacente pensare a
quanti processi lavora in contemporanea il nostro cervello. Stesso discorso pensando
a quanti input deve rielaborare, collocandoli correttamente nella visione del
“reale” o dell’immaginario,
senza sbagliare. Questo processo rimane perlopiù un mistero.
Il punto centrale sta proprio
nel comprendere che, in una
mente olografica, essa crea
l’illusione di una realtà, che
invece non c’è.
Un altro esperimento a conferma del Modello olonomico del cervello
Pribram era convinto della
sua teoria olografica, ma si
rese conto (da uomo di scienza!) che senza una solida evidenza sperimentale, essa a-
veva ben poco significato. Paul Pietsch, ricercatore
della Indiana University, gli
fornì risposte decisamente
importanti.
Il fatto interessante è
che Pietsch iniziò i suoi lavori come ardente oppositore della teoria olografica, soprattutto la parte in cui si afferma che la
memoria non ha una locazione specifica nel cervello.
Pietsch decise di smentire
Pribram, con una serie di esperimenti sulle salamandre.
Scoprì infatti che è possibile
rimuovere anche l’intero cervello della salamandra senza
ucciderla, lasciandola come
in uno stato di torpore. Successivamente reinserendo il
cervello essa incredibilmente
tornava a vivere normalmente. Asportò quindi le sezioni
cerebrali (l’emisfero destro e
sinistro) e le ricollegò invertendone il posto; egli era
convintissimo che ciò avrebbe causato scompensi evidenti nel comportamento. Il
suo scopo era di localizzare le
aree definite alla memorizzazione. Inaspettatamente i risultati confermarono la tesi
di Pribram: nessuna delle salamandre esaminate alterò
minimamente le abitudini di
vita. Pietsch tentò ben 700
(!) volte senza avere successo. Da acerrimo oppositore di
Priman, divenne uno dei sostenitori più convinti. I dettagli degli esperimenti (un po’
58
macabri) si trovano nella sua
opera: “Shufflebrain“.
Fin dagli anni ’70 Pribram ebbe sufficienti prove sperimentali da sottoporre al
mondo scientifico; evidenze
sperimentali che singoli neuroni nella corteccia rispondono in modo selettivo a specifiche bande di frequenza, cosa che confermava ulteriormente le sue conclusioni. Pribram si interrogò anche su
cosa fosse la realtà. Il cervello dunque non crea
un’immagine della realtà ma
un ologramma .
L’ologramma di cosa? Di quale realtà?
Incredibilmente Pribram si
rese conto che la conclusione
logica, utilizzando il sistema
olografico, è che la realtà oggettiva attorno a noi (tutto
ciò che ci circonda, qualsiasi
cosa vivente e non) potrebbero esistere non nel modo
in cui crediamo che esistano.
Umilmente, Pribram capì che
la soluzione a questo genere
di domande fosse ben al di
fuori del suo settore di competenza, così si rivolse al figlio, fisico, il quale gli raccomandò di leggere il lavoro del
fisico quantistico David
Bohm. Rimase letteralmente
stupito. Non solo trovò la risposta alle sue domande ma
scoprì che, secondo Bohm,
l’intero Universo è un ologramma.
Il linguaggio matematico
dell’ologramma
Il primo a formulare teorie
sull’ologramma nel 1947 fu
Dennis Gabor, vincitore di un
Premio Nobel. Agli inizi egli
non pensava minimamente al
raggio laser, ma “soltanto” a
migliorare il microscopio elettronico, a quell’epoca ai
primordi. Il suo approccio era
principalmente matematico,
utilizzava un metodo di calcolo inventato da un francese
del diciottesimo secolo, Jean
B. J. Fourier. Semplificando: Fourier elaborò un modello matematico,
nell’ambito dell’analisi armonica, con cui riuscì a rappresentare dei fenomeni fisici
estremamente complessi con
combinazioni lineari di funzioni sinusoidali. Egli riuscì a
dimostrare attraverso le sue
analisi che una qualunque
funzione continua, espressione di fenomeni reali
nell’ambito della fisica, poteva essere scomposta nella
somma di infinite funzioni
seno e coseno, semplificandone l’analisi e permettendone l’adattamento a diverse
branche di studio della fisica,
dalla termodinamica alla fisica moderna. In particolare
Fourier applicò le sue analisi
alle equazioni della termodinamica, che successivamente
furono riformulate in modo
più rigoroso da Dirichlet e
Riemann. La Serie di Fourier
trovò così applicazione, in epoca moderna, nella fisica
quantistica attraverso le soluzioni delle equazioni di
Schrodinger relative alla meccanica ondulatoria, dimostrando che era possibile rappresentare in termini di onde
il comportamento delle particelle nei sistemi quantistici. Per fare un semplice esempio: una telecamera converte un’immagine in frequenze elettromagnetiche ed
una televisione riconverte
queste frequenze
nell’immagine originale. Queste equazioni, permisero a
Gabor, di convertire la fotografia di un oggetto (schemi
d’interferenza) su un pezzo di
pellicola olografica. Gli permisero anche di scoprire un
sistema in grado di riconvertire gli schemi nell’immagine
originale dell’oggetto. Alla
fine degli anni ’60 ed inizio
degli anni ’70, diversi ricercatori contattarono Pribram,
per riferirgli un’interessante
scoperta, cioè che la vista
(senso) funziona come un analizzatore di frequenze. Ciò
sembrerebbe confermare la
teoria che il cervello abbia
funzioni olografiche.
Fu però solo nel 1979 che due neurofisiologi di Berkeley,
59
Russell e Karen De Valois, fecero una scoperta importantissima. Per prima cosa studiarono con cura le ricerche
degli anni ’60 le quali mostravano come ogni cellula del
sistema visivo tenda a rispondere ad uno schema specifico: alcune si attivano quando
l’occhio osserva linee orizzontali, altre quando percepisce linee verticali. La conclusione fu che il cervello acquisisca i segnali dalle cellule,
ognuna altamente specializzata, e li assembli poi per creare la percezione visuale del
mondo esterno. Tuttavia DeValois pensò che la teoria
non fosse del tutto completa.
Per verificare le sue ipotesi,
utilizzo le trasformate di Fourier per convertire semplici
schemi quadrettati e piani in
forme d’onda. Poi, fece alcuni
rilievi per verificare se le cellule del cervello rispondono a
queste nuove immagini. Incredibilmente scoprì che le
cellule non risposero affatto
agli schemi originali ma alle trasformate di Fourier. A
questo punto poteva esserci
una sola conclusione: il cervello utilizza un linguaggio
matematico spiegabile attraverso le trasformate di Fourier – la stessa degli ologrammi –. Questa scoperta fu successivamente confermata da
numerosi altri laboratori
sparsi per il mondo. Pur non
dimostrando in toto che il
cervello funzioni come un o-
logramma, diede abbastanza
prove a favore di Pribram.
Stimolato dall’idea che la corteccia visiva rispondesse non
a schemi ma a frequenze delle varie forme d’onda, Pribram iniziò a ridefinire il ruolo delle frequenze anche per
gli altri sensi.
Capì, a breve, che la loro importanza fu sostanzialmente
sottovalutata dai ricercatori
del ventesimo secolo.
Il ballerino come forma
d’onda
Pribram proseguì nella ricerca, rivedendo “vecchi” studi
di atri autorevoli scienziati.
Inaspettatamente fece una
scoperta davvero sorprendente: lo scienziato russo Nikolai Bernstein rilevò che
persino i nostri movimenti
fisici verrebbero codificati dal
cervello in un linguaggio di
forme d’onda di Fourier. Negli anni ’30, Bernstein fece
vestire alcune persone con
calzamaglie completamente
nere, con su dipinti dei punti
bianchi, in corrispondenza
delle articolazioni. Poi, li mise
contro uno sfondo nero e li
riprese con una cinepresa
mentre compivano varie operazioni in movimento, come
danzare, camminare, saltare,
scrivere a macchina, martellare. Quando sviluppò la pellicola in un film, si potevano
vedere solo i punti bianchi in
movimento sullo schermo,
essi compivano movimenti
fluidi e piuttosto complessi.
Allora, analizzò il materiale
con il metodo di Fourier, convertendo i punti e le linee visibili nel linguaggio di forme
d’onda. Sorprendentemente,
scoprì che le forme d’onda
contenevano schemi
“nascosti” che gli permettevano di predire il movimento
successivo del soggetto con
altissima precisione. Quando
Pribram incontrò il lavoro di
Bernstein, ne riconobbe immediatamente le implicazio60
ni. La fluida interezza
(intelligenza fluida) con cui
tipicamente impariamo moltissime attività fisiche è ben
ardua da spiegare se si pensa
ad un cervello che immagazzina informazioni bit per bit.
È molto più semplice se si
pensa che il cervello compia
un’analisi di Fourier delle abilità fisiche e le assorba nella
loro interezza.
La reazione della comunità
scientifica
Pur supportato da notevoli
prove sperimentali, il modello olografico di Pribram rimane molto controverso. Esistono parecchie teorie accettate
sul funzionamento del cervello e ci sono consistenti prove
sperimentali che le confermano tutte. Tuttavia alcuni
ricercatori pensano che la natura distribuita della memoria si possa spiegare con il
flusso di sostanze chimiche
nel cervello. Secondo altri,
sono i flussi elettrici tra vasti
gruppi di neuroni a spiegare
memoria ed apprendimento.
Ogni scuola di pensiero ha
dei sostenitori convinti, ed e’
probabilmente corretto dire
che tutt’ora la maggior parte
degli scienziati non e’ convinta della visione olografica di
Pribram. Alle reazioni scettiche, Pribram rispose sempre
mostrando una documentazione contenente oltre 500
riferimenti sperimentali (!).
Altri ricercatori ancora reputano accettabile il modello di
Pribram. Il dottor Larry Dossey, ex capo dello staff
all’Ospedale della cittò di
Dallas, ammise che la teoria
di Pribram è una sfida seria a
molte convinzioni di lunga
data sul funzionamento del
cervello ma sottolinea che
“sono molti gli specialisti in
materia attratti da questa visione, se non altro per
l’evidente inadeguatezza degli attuali punti di vista ortodossi”. Il neurologo Richard
Restak, autore della serie televisiva The Brain, condivide
l’opinione di Dossey. Osserva che: “nonostante
l’enormità di prove sperimentali che confermano la dispersione nel cervello delle
abilità umane, la maggior
parte dei ricercatori continua
ad aggrapparsi all’idea che
ogni singola funzione possa
essere localizzata allo stesso
modo con cui le città possono essere localizzate su una
mappa”. Restak ritiene che le
teorie basate su questa premessa siano non solo semplificazioni eccessive ma funzionino da vere e proprie
“camicie di forza” concettuali. Disse inoltre che: “non solo l’ologramma è possibile,
ma attualmente rappresenta
il miglior modello possibile
per la descrizione del funzionamento del cervello”.
Gli studi di Alain Aspect
Bohm e Pribram non furono i
soli ad approdare a tali conclusioni. Analizzando gli studi
di Alain Aspect possiamo
chiaramente osservare ulteriori prove a favore degli studi precedentemente citati.
Alain Aspect (Bordeaux,
1947), sin da bambino, mostrò vivo interesse per la
scienza, in particolare per la
fisica e l’astronomia. Si laureò a Parigi nel 1971. Ma prima di proseguire gli studi,
partì per l’Africa, dove trascorse tre anni svolgendo attività sociali a favore delle
popolazioni indigenti. Tuttavia, dedicava il suo tempo libero ad approfondire le conoscenza sulla meccanica
quantistica, studiando i testi
più completi e approfonditi
allora disponibili. Era particolarmente interessato
all’esperimento EPR e alle sue implicazioni per la comprensione dei fenomeni
quantistici. A quel tempo, i
lavori di John Bell erano praticamente sconosciuti alla
maggioranza dei ricercatori.
Leggendo l’articolo in
61
cui Bell esponeva il suo teorema, capì che esso poteva
rappresentare la chiave per
penetrare i misteri più profondi del mondo quantistico,
con particolare riferimento
all’entanglement. Tornato
dall’Africa e deciso a continuare le sue ricerche, riuscì a
farsi concedere
dall’Università di Parigi
‘’utilizzo di un seminterrato,
dove egli a poco a poco costruì una sofisticata apparecchiatura sperimentale, mediante la quale realizzò tre
serie di esperimenti, via via
più sofisticati, attraverso i
quali si proponeva di dimostrare la realtà del fenomeno
dell’entanglement e quindi la
“completezza” della teoria
dei quanti, confutando così
l’ipotesi dell’esistenza di
“variabili nascoste”. Tutti i
risultati degli esperimenti
confermarono la tesi di partenza, offrendo nuove e importanti conferme non solo
della realtà di uno dei fenomeni più incredibili di tutta la
scienza moderna, ma anche
contribuendo a far conoscere
i lavori di Bell alla comunità
scientifica del tempo. Se vi
ricordate già Bohm parlava
della “Non Località”, ed ecco
quindi il collegamento.
Vinse diversi premi ed incarichi: membro dell’Accademia
delle Scienze, Alain Aspect ha
ricevuto nel 2005
la Medaglia d’Oro
del CNRS (Centro Nazionale
Francese per la Ricerca Scientifica) per le sue ricerche nel
campo della meccanica quantistica. Recentemente vincitore del Premio
Wolf, nel 2010, per le sue ricerche nell’ambito dell’ottica
quantistica e della fisica atomica, nonché del Premio Balzan nel 2013.
Storia e descrizione
dell’esperimento
Esperimento sulla correlazione quantistica: l’esperimento
sulla correlazione quantistica
di Aspect verifica con altissima probabilità il fenomeno
dell’entanglement quantistico e la violazione delle disuguaglianze di Bell, indicando la non veridicità
del principio di località.
Il fisico francese realizzò (tra
il 1981/82) una serie di apparecchiature che cercano di
risolvere il contenzioso che
ormai da mezzo secolo aveva
opposto i fisici che si riconoscevano nelle posizioni
“classiche” (fra i quali Einstein) ai fisici quantistici
della interpretazione di Copenaghen. Insieme a Jean
Dalibard e Gérard Roger, due
ricercatori dell’Istituto
di Ottica dell’Università di Parigi, riesce a verificare con
quasi certezza le ipotesi non
locali della teoria quantistica.
Al centro dell’apparato viene
posto un atomo di calcio, il
cui decadimento produce una coppia di fotoni che si
muovono lungo percorsi op-
posti. Lungo uno di questi
percorsi, a intervalli del tutto
casuali, viene inserito
un cristallo birifrangente, il
quale, una volta che un fotone interagisce con esso, può
con una probabilità del 50%
deviarlo, oppure lasciarlo
proseguire indisturbato. Agli
estremi di ogni tragitto previsto per ciascun fotone viene
posto un rivelatore di fotoni.
In tal modo Aspect ha potuto
verificare che nel momento
in cui il cristallo birifrangente
inserito lungo un percorso
produce la deviazione di un
fotone, evidenziata dal rivelatore posto alla fine del percorso stesso Anche l’altro fotone, che aveva proseguito in
direzione opposta (senza alcun elemento che ne può influenzare la traiettoria), istantaneamente subisce una
deviazione: si verifica cioè un
effetto istantaneo a distanza.
In tal modo Aspect verifica
sperimentalmente il fenomeno non locale
dell’entanglement, previsto
dalla meccanica quantistica
nella sua interpretazione
classica, mostrando nel contempo con probabilità estremamente elevata (oltre
200 deviazioni standard) che,
come predetto dal teorema
di Bell, anche nell’ipotesi
di variabili nascoste, nella
meccanica quantistica o in
altre teorie, sarebbe ancora e
sempre l’abbandono
del principio di località il
62
“prezzo da pagare”. Nonostante tutto ciò sia
totalmente confliggente con
il senso comune, risulta inspiegabile, secondo i fisici
quantistici ortodossi, solo se
si ragiona secondo una logica
classica. Se si pensa invece
che esista un sistema correlato nel quale la distanza spaziale è ininfluente, abbandonando quindi l’idea che particelle separate, ma correlate,
rappresentino enti spazialmente distinti e che le azioni
su di esse si sviluppino tra
luoghi diversi, scompaiono gli
ostacoli concettuali che non
sembrano permettere
un’azione o una comunicazione istantanea a distanza (un
sistema di tipo olografico?).
Tutto ciò prova la correttezza,
almeno in parte, degli studi
di Bohm.
Ultimi esperimenti
il dr. Aaron Chou
Infine vi segnalo una news. Ci
sono ancora ricercatori interessati a queste ricerche, è il
caso del fisico Aaron Chou. Vi
rimando all’articolo (in inglese) dove viene descritto un
nuovo esperimento atto a
spiegare il fenomeno olografico.
NOTA
Questo articolo, già pubblicato
in tre parti sul sito
dell’associazione ASPIS, è una
sorta di “rielaborazione-tributo”
ad un sito ormai non più attivo:
www.grandipassioni.com
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ADDENDUM
GIUSEPPE BADALUCCO
Da quando negli anni venti del
XX secolo le teorie della meccanica quantistica furono esposte al mondo, dalla comunità scientifica, si aprì un acceso dibattito, cui contribuirono
i grandi fisici di quel periodo
(Einstein, Heisenberg, Schrodinger, Bohr, de Broglie, Born
e altri), in merito a quella che
potesse essere considerata
come l’interpretazione più
corretta delle risultanze teoriche e sperimentali della teoria
quantistica. Da ciò ne derivarono una serie di interpretazioni, anche alternative l’una
all’altra, che continuarono ad
essere approfondite dagli studiosi e che ancora oggi non
hanno messo del tutto
d’accordo la comunità scientifica su quella che possa essere
una visione unitaria e completa della fisica quantistica, con
diverse sfumature interpretative che rendono l’argomento
ancora più interessante e degno di considerazione.
LA QUESTIONE
INTERPRETATIVA
DELLA MECCANICA QUANTISTICA
È importante innanzitutto cercare di capire perché esiste
una questione interpretativa
relativamente alle teorie
quantistiche. Sotto questo aspetto occorre sottolineare
che un’interpretazione della
meccanica quantistica è
un’asserzione che cerca di
spiegare le informazioni che la
stessa ci fornisce relativamente alla comprensione del mondo fisico. Molti studiosi hanno
avuto modo di verificare le risultanze teoriche delle teorie
quantistiche in via sperimentale ma allo stesso tempo molti
sono concordi nell’affermare
che il significato e le implicazioni della teoria quantistica
non siano state ancora del tutto comprese dalla comunità
scientifica. Le diverse interpretazioni della meccanica quantistica si differenziano su diversi punti tra cui la considerazione dei principi su cui si fonda, deterministici o meno, per
l’influenza sulla realtà e sulle
difficoltà nei processi di misurazione scientifica degli esperimenti nel campo delle particelle subatomiche e altre questioni oggetto di dibattito.
LE DIFFICOLTA’
INTERPRETATIVE
Le maggiori difficoltà relative
all’interpretazione diretta o
classica della meccanica quantistica riguardarono soprattutto la descrizione tradizionale
con particolare riferimento ad
alcuni aspetti che sono stati
ampiamente discussi dagli studiosi e che si possono così sintetizzare:
- la natura puramente astratta
dei modelli matematici descrittivi
- l’esistenza di processi non
deterministici o irreversibili;
64
- il fenomeno
dell’entanglement quantistico
(cioè fenomeni di relazione
istantanea tra eventi remoti);
- la complementarità delle
possibili descrizioni della realtà.
Sul primo punto occorre specificare che la descrizione attraverso modelli matematici si
fonda su principi matematici
alquanto astratti del tipo Spazi
di Hilbert e operatori relativi.
A differenza della fisica quantistica nella teoria classica le
leggi della meccanica e
dell’elettromagnetismo relative ad un punto spaziale o ad
un campo sono descritte da
numeri reali e funzioni rappresentabili in spazi bidimensionali o tridimensionali che non
necessitano di una particolare
interpretazione. Per quanto
riguarda il secondo punto, nella meccanica quantistica il processo di misura di uno stato di
un sistema atomico sembra
occupare un ruolo importante
a causa della correlazione degli elementi astratti, come la
funzione d’onda, a valori suscettibili di misurazione come
le funzioni di densità di probabilità. Su questo punto è importante sottolineare che come dimostrato da alcuni esperimenti (come quello delle due
fenditure), la misura dello stato di un sistema interagisce
con il sistema stesso in particolari condizioni. Sul terzo
punto occorre chiarire che oltre alle caratteristiche di imprevedibilità e irreversibilità
introdotte dai processi di misurazione bisogna ricordare
che vi sono altri elementi che
la distinguono dalla fisica classica e che non possono essere
descritti dagli stessi modelli,
come il fenomeno
dell’entanglement quantistico
(che vedremo più oltre a proposito del paradosso EinsteinPodolsky- Rosen). Altro importante punto relativo alle difficoltà interpretative riguarda il
principio di complementarità
che sembra violare i principi
della logica proposizionale. Il
principio di complementarietà
stabilisce che non vi è alcuna
descrizione logica (secondo la
logica proposizionale classica)
che possa essere utilizzata per
descrivere simultaneamente
un sistema quantistico S. Ciò
significa che vi sono insiemi A
e B (di proposizioni) complementari che possono descrivere un sistema quantistico, ma
non contemporaneamente.
Un esempio in tal senso è dato
dagli insiemi di proposizioni
che descrivono le proprietà
ondulatorie e corpuscolari di
un sistema S. Secondo la formulazione di alcuni studiosi
ciò indicherebbe il
“fallimento” della logica classica anche se oggi la maggior
parte degli scienziati ritiene
che il principio di complementarietà indica che la composizione di S (nel senso delle sue
proprietà fisiche in termini di
posizione e momento definiti
in un certo intervallo) non segue le regole della logica. Ciò
dipende dalla non commutatività degli operatori matematici
che descrivono le variabili osservabili in meccanica quantistica. A quanto sopra descritto
va aggiunto che il problema
dell’interpretazione della meccanica quantistica ha rappresentato e rappresenta ancora
adesso un argomento scottante di discussione a livello filosofico e scientifico per svariati
motivi legati all’importanza
che essa riveste
nell’interpretazione fisica del
mondo, nella separazione fra
macromondo (degli oggetti
reali) con cui gli esseri umani
interagiscono ogni giorno e il
micromondo delle particelle
subatomiche, che non possiamo vedere, se non al microscopio elettronico, ma di cui
abbiamo appurato l’esistenza
reale. Il Cosmo stesso noi possiamo vederlo e immaginarlo
come un insieme di galassie,
stelle, pianeti, spazi siderali
vuoti (composti da materia oscura) oppure come un
“oceano” di particelle atomiche e subatomiche che forma
il tutto universale, per cui in
realtà anche la materia oscura
è formata da particelle subatomiche “virtuali” che interagiscono e fluttuano nel vuoto
istantaneamente. Le implicazioni di queste affermazioni a
livello scientifico e filosofico
sono molto importanti perché
incidono sulla visione definitiva che l’Uomo sta lentamente
acquisendo del Cosmo stesso,
65
anche se ancora adesso gli
scienziati ammettono di conoscere “bene” solo il 5% circa
della materia presente
nell’Universo, mentre il restante 95% è pressoché sconosciuto e ancora in attesa di essere ben compreso dalla comunità scientifica. Comunque
è importante precisare che il
ventaglio delle ipotesi interpretative è talmente vasto che
in esso è possibile annoverare
anche il pensiero di alcuni fisici (si veda C. Fuchs e A. Peres)
secondo cui
un’interpretazione di una teoria non è altro che
un’equivalenza tra un insieme
di regole per operare sui dati
sperimentali, per cui non esiste una vera e propria questione interpretativa.
L’INTERPRETAZIONE
DI BOHM
L’interpretazione di Bohm detta anche meccanica bohmiana
è stata fornita nel 1952 dal fisico D. Bohm partendo da una
reinterpretazione della teoria
dell’onda pilota di Louis de
Broglie del 1927. Bohm riprese
in considerazione
l’esperimento della diffrazione
degli elettroni con doppia fenditura. Un fascio di elettroni
passa su uno schermo fluorescente con doppia fenditura;
una volta terminato
l’esperimento è possibile notare sullo schermo un insieme
luminoso di bande di diffrazione che furono interpretate come un fenomeno legato agli
effetti delle teorie quantistiche. Secondo Bohm e de Bro-
glie ad ogni particella è possibile associare un’onda che guida il moto della particella (da
cui il termine onda pilota). Tale onda pilota è descritta dalla
funzione d’onda espressa
dall’equazione di Schrodinger
che fu corretta da Bohm nella
sua formulazione matematica
per tenere conto dell’effetto
guida che l’onda ha sulla particella. L’effetto influenzale
dell’onda pilota fu definito attraverso il concetto
di potenziale quantistico che
in termini quantitativi agisce
sulla particella alla stessa stregua dell’interazione delle particelle con i campi, così come
osservato nella fisica classica.
E’ importante precisare che
secondo l’interpretazione di
Copenaghen nella meccanica
quantistica esiste un’unica entità che è la particella subatomica, per esempio l’elettrone,
che manifesta una sorta di
dualismo onda-corpuscolo,
mentre per l’interpretazione
Bohm – de Broglie, la particella è un’entità a parte rispetto
all’onda pilota, ma le due sono
correlate. Nell’esperimento
della doppia fenditura
l’elettrone può attraversare
una sola volta una fenditura
oppure l’altra, mentre l’onda
correlata può attraversarle entrambe; da ciò discenderebbero gli effetti di interferenza
che l’onda può subire e ciò
spiegherebbe i campioni di interferenza osservati nei sistemi rivelatori. L’onda pilota governa il moto delle particelle
evolvendosi secondo i dettami
dell’equazione di Schrodinger.
In particolare generalizzando
l’equazione di Schrodinger in
un sistema formato da più
particelle otteniamo
l’espressione dove l’equazione
di Schrodinger può essere suddivisa in due equazioni accoppiate dove la prima esprime la
probabilità di trovare la particella in un volume infinitesimo
di spazio mentre la seconda
esprime l’energia totale come
somma dell’energia potenziale, del potenziale quantistico e
dell’energia cinetica. In particolare secondo Bohm la variabile di potenziale quantistico
fa si che quando si effettui una
misurazione su un sistema fisico non vi sia la separazione o
ramificazione dell’universo come previsto dalla MWI, mentre rispetto all’interpretazione
di Copenaghen
l’interpretazione di Bohm – de
Broglie riporta la teoria quantistica ad un livello deterministico ed oggettivo, in quanto
sostiene che l’Universo evolva
secondo l’equazione di Schrodinger uniformemente nel
tempo, senza collasso della
funzione d’onda. Ciò che riporta la teoria quantistica
all’oggettività e alla prevalenza di un principio deterministico è proprio l’introduzione
della variabile di potenziale
quantistico, cioè proprio
l’onda pilota, che viene qui
considerata come una variabile nascosta (da Bohm definita
66
forza di potenziale quantistico). In merito a questo punto
occorre precisare che secondo
molti studiosi l’interpretazione
di Bohm, estremamente elegante ed affascinante, potrebbe essere considerato come
un tentativo ben riuscito di riportare la meccanica quantistica nell’itinerario della scienza deterministica ed oggettiva
facendola rientrare in una teoria delle variabile nascoste.
Con l’introduzione delle variabili nascoste, in mancanza delle quali prevarrebbe
un’approssimazione statistica
e probabilistica della scienza
fisica e quindi della meccanica
delle particelle, si riesce ad eliminare e a risolvere gran parte
degli enigmi legati alla meccanica quantistica, dal problema
del gatto di Schrodinger, a
quello dei processi di misura
nonché il problema del collasso della funzione d’onda. A
questa interpretazione si oppone il teorema di Bell (che
vedremo in un prossimo articolo) secondo cui non esistono
teorie delle variabili nascoste
che siano compatibili con la
meccanica quantistica. Inoltre
è importante ricordare che
l’in-terpretazione di Bohm non
trova riscontro nella teoria
quantistica dei campi che è
essenzialmente una teoria locale.
CARTA CANTA
SIMONE BARCELLI
Molte le novità editoriali che
potranno allietare (o meno) i
lettori delle tematiche care a
questa rivista digitale.
La redazione di Tracce
d’eternità, che collabora da
tempo con la casa editrice
XPublishing (sul n. 71 della rivista Fenix, in edicola a settembre, potrete leggere anche un
nostro reportage
sull’enigmatica civiltà anatolica
di Asikli Hoyuk), inizia un nuovo
percorso con un altro noto editore di settore, Cerchio della
Luna Editore: infatti, dal mese
di ottobre uscirà per la serie “I
Quaderni di Tracce”, il volume
“Terre Misteriose” a cura della
nostra storica collaboratrice
Noemi Stefani. Nei prossimi
mesi, speriamo come strenna
natalizia, vedrà la stampa un
corposo lavoro firmato dal nostro editorialista Gianluca Rampini, con prefazione di Lavinia
Pallotta (direttore editoriale
della rivista Xtimes).
Poiché Tracce d’eternità ha
aderito al circuito
dell’associazione ASPIS, dal
prossimo anno proporremo in
sinergia dei Quaderni di approfondimento, in cui daremo conto delle nostre attività di ricerca: non perdete di vista il sito di
ASPIS, infatti da quella piattaforma sarà possibile scaricare
gratuitamente tutta la produzione.
Nel frattempo, diamo il benvenuto alla nuova rivista di XPu-
il numero di settembre, scaricabile gratuitamente dal sito
omonimo. Nonostante una grafica davvero spartana, alcuni
dei contenuti di Signs sono
senz’altro notevoli e nell’ultimo
editoriale La Paglia scrive che
Signs “sta cambiando, noi stiamo cambiando... la sfida continua”: quali saranno le novità
che ci aspettano? Per una rivi-
blishing “Italia Misteriosa”, da
settembre ogni mese in edicola
sotto la guida del direttore Nicola Luca Pezzella.
Qualche novità anche dalla rete: prosegue il percorso, seppur
a singhiozzo, di Signs
Magazine, la rivista digitale di
Roberto La Paglia e Enrico Vincenzi, con cui in passato abbiamo anche collaborato: è on line
sta che muore (La Runa Bianca,
di cui ormai non si hanno più
notizie da tempo), un’altra nasce percorrendo la stessa strada, cioè la fruizione dei contenuti web a pagamento: si tratta
di Orione Magazine, un progetto di Roberto Pinotti, Alfredo
Benni e Carpeoro. Sul sito
dell’associazione FCOIAA (Free
Circulation Of Information Archive Association) ci si può abbonare a pacchetto, tre numeri
per 4,5 euro. Staremo a vedere.
Buona vita...
67
OLTRE ROSWELL
NON COSA CADDE
MA COSA SUCCESSE
GIANLUCA RAMPINI
Nonostante l'episodio risalga
al 1947 esso detiene a mio
parere ancora una posizione
di assoluta centralità nella
storia ufologica del nostro
pianeta e, direi io, non solo in
quella. In questo articolo non
intendo ripercorre pedissequamente gli eventi di quei
primi giorni di luglio, la storia
è ormai ben nota e sono stati
scritti decine di libri e direi
migliaia di articoli in proposito. Quindi in questo senso
non c'è da aggiungere più
nulla. Quello che seconde me
invece manca, comprensibilmente, è un'analisi del perché possa esser successo
quello che è successo.
Domanda che poi nasconde
e, al contempo, scavalca
quella più importante che già
menziono nel titolo. Va pre-
68
messo che non ci si può esimere dallo speculare e sarà
molto difficile che una qualsiasi delle ipotesi che presenterò possa esser mai dimostrata. Ma è un passo che
credo vada fatto, altrimenti
quell'episodio rimarrà sempre e solo un episodio. Per
dovere di chiarezza va anche
specificato questo articolo
non ha lo scopo di dimostra-
re la natura extraterrestre
dell'incidente o del fenomeno ufo in generale, ma quello
di eliminare le spiegazioni false, o quelle semplicemente
sbagliate, e al contempo ipotizzare quali scenari potrebbero nascondersi dietro l'intera faccenda.
Prima di andare a cercare un
significato nell'incidente di
Roswell, mi soffermerò sulle
varie spiegazioni ufficiali ed
ufficiose di ciò che successe:
in buona sostanza sono tutte spiegazioni volte, in un
modo o nell'altro, a soppiantare nell'opinione pubblica
l'idea che un disco volante si
fosse veramente schiantato
nel New Mexico. Idea creata
dai militari stessi che emisero
un comunicato stampa in cui
dissero di aver recuperato un
“disco volante”. La prima delle soluzioni ufficiali tesa a
spiegare il ritrovamento dei
detriti sconosciuti nel ranch
di W.W. Brazel, ( nda detto
Mac Brazel, allevatore della
contea di Lincoln ) fu quella
del pallone sonda. In sostanza, secondo la tesi dell'esercito, i resti di un pallone meteorologico precipitato sarebbero stati scambiati, da loro
stessi, per quelli di un disco
volante. Chi ritiene ancora
oggi che questa ipotesi abbia
qualche fondamento dimentica o tralascia alcuni fatti essenziali. Innanzitutto il momento in cui è “nata” questa
versione: poche ore dopo
che sui giornali uscì l'annuncio, fatto dagli stessi militari,
di aver catturato un disco volante precipitato. Per come la
vedo io, se non si fossero affrettati a fare quell'annuncio
sensazionale, non sarebbero
poi dovuti ricorrere ad un espediente così banale per
cercare di spegnare l'incendio mediatico che ne era seguito. Ci si dimentica poi che
a recuperare i rottami fu
mandato, tra gli altri, il tenente Jesse A. Marcel, che
operava presso l'Intelligence
Office del 509° Stormo alla
Base di Roswell. Tradotto significa un membro dei servizi
segreti militari distaccato
presso l'unico Stormo, nel
1947, con la capacità di trasportare e lanciare la Bomba
Atomica in tutto il mondo.
La base più sorvegliata
dell'epoca. Non poteva che
trattarsi di un militare assolutamente fidato ed esperto.
Egli ha sempre sostenuto che
si trattasse di un velivolo di
origine sconosciuta. Vogliamo presumere che non sarebbe stato in grado di riconoscere un pallone meteoro69
logico? Un altro militare della
base, Walter Haut ufficiale
addetto alle pubbliche relazioni, ha sostenuto sino alla
morte che ciò che aveva visto
era un velivolo extraterrestre.
Per intenderci è quello ritratto nella foto, insieme al Colonnello Blanchard, mentre
“illustra” alcuni dei resti ad i
giornalisti a sostegno
dell'ipotesi del pallone sonda. Non ho detto sino alla
sua morte a caso. Infatti egli
lasciò un memorandum in cui
si diceva sempre convinto di
quanto avesse visto e detto
la prima volta e che la sua ritrattazione fu imposta dal
Col. Blanchard. Per rispetto
nei suoi confronti non volle
mai tornare sull'argomento
ma ritenne che la morte del
suo superiore e la propria,
imminente, fossero il termine
ultimo per il mantenimento
di questo segreto. Infine c'è
la testimonianza di Jesse
Marcel Jr., figlio dell'altro
Jesse, all'epoca undicenne,
che racconta come il padre
gli mostrò alcuni strani oggetti provenienti dal luogo
dell'incidente. Oggetti che
nulla avevano a che vedere
con un pallone aerostatico.
Jesse Marcel Jr, è diventato
anch'egli un militare, un medico militare con una carriera
di tutto rispetto che lo ha
portato persino ad operare
sui campi di battaglia
nell'operazione “Iraqi freedom”. Anche in questo caso,
un testimone che non ha mai
cambiato la propria convinzione. Dopo che negli anni
ottanta questo episodio divenne famoso e conosciuto
come l' “Incidente di Roswell” grazie al libro di Berlitz
e Moore, il dibattito sopito
per molti decenni si rianimò.
L'FBI in risposta alla richieste
di informazioni dei molti ricercatori propose una curiosa spiegazione per la quale il
fraintendimento era dovuto
ad alcuni test su paracaduti e
che i corpi... ritrovati fossero
i militari collaudatori che in
seguito alla caduta da alta
quota erano talmente tumefatti da passare per... alieni!.
I puntini di sospensione e il
punto esclamativo si sono
resi necessari perché così facendo i federali hanno ammesso che in effetti c'erano
dei corpi e che quindi la spiegazione del pallone sonda era falsa sin dal principio.
Ora io voglio dotarmi del solo
buon senso. Potrebbe il corpo di un essere umano tumefatto esser scambiato per un
alieno? Ditemi voi. Per altro
corpi visti da molte persone,
tra cui altri militari e personale medico. Sono famosi gli
schizzi fatti dall'infermiera
Miriam Bush ( sul nome non
si è ancora del tutto certi,
nda. ) in cui era ritratto un
alieno, con occhi neri e grandi e una mano con quattro
dita. E detto tutto ciò, questo
programma di sperimentazione su attrezzature per sopravvivenza in alta quota,
perché di questo si trattava,
non iniziò prima degli anni
50. Come di mostra ad esempio, un referto medico ripor70
tante il ricovero di militare a
causa di un incidente proprio
di questo tipo. Nella fattispecie il referto proviene dalla
base di Holloman e coinvolse
il Capitano Medico Leslie E.
Rason ed il paziente, il Sergente Dan Fulgham. (1)
Si presume che i cadaveri fossero sei. Sei sventurati paracadutisti tutti grosso modo
con le stesse tumefazioni.
Il numero sei dipende dal fatto che vennero richieste 6
bare “ermetiche” e della taglia di un bambino. Come
racconta l'impresario delle
pompe funebri Glenn Dennis,
a cui la richiesta venne sottoposta. Vi è persino la testimonianza di Garner Mason,
figlio e nipote in una famiglia
di Rappresentanze Funebri, il
quale ha affermato che l'azienda di famiglia venne contattata per fornire alcune delle casse di dimensioni ridotte
poiché Dennis non era in grado di fornirle tutte e sei.
Come se non bastasse, per
complicare ulteriormente
l'assunto, la spiegazione successivamente mutò e i corpi
non erano più di esser viventi
ma erano manichini, i famosi
test-dummies, lanciati nel
corso del programma Project
High Dive. (2)
Procedendo per gradi, la successiva spiegazione, anche se
non in ordine di tempo ritorna nell'ambito dei palloni
aerostatici. In particolare si
passa dal semplice pallone
meteorologico ai più complessi palloni sperimentali
lanciati nel corso del progetto Mogul. Questi palloni erano molti più grandi, avevano
una lunga coda su cui erano
sistemati una ventina di apparati riflettenti ed in infine
un sorta di scatola nera che
serviva per la raccolta dei dati. Lo scopo del progetto era
quello di percepire le onde
sonore dei test nucleari sovietici sin da grandissime distanze. Anche qui le considerazioni da fare non mancano.
Questo progetto era stato affidato alla New York
University, i cui ricercatori
per inciso nemmeno sapevano che fosse un progetto top
secret e che si chiamasse così. I diari lavorativi di quegli
scienziati sono stati recuperati e analizzati per valutare
tempi e zone di questi lanci.
L'unico membro ancora in
vita che vi partecipò, Charles
Moore (3), rivedendo tutti gli
appunti, è giunto alla conclusione che il lancio n.4, quello
comunemente inteso come
quello precipitato nel Foster
Ranch della famiglia Brazel,
non è mai stato lanciato a
causa del maltempo.
(Ricordiamo che la notte
dell'incidente c'era una forte
tempesta che alcuni indicano
come la causa del malfunzionamento del velivolo sconosciuto, NDA). Per molti anni
poi la questione si è sostanzialmente acquietata, la con-
trapposizione tra gli ambiti
ufficiali e i ricercatori ufologici si è sclerotizzata su i punti
che abbiamo visto sino ad
ora.
Fino al 2013 quando uscì il
libro di Anne Jacobsen “Area
51” in cui la giornalista diede
una versione inedita dei fatti.
Secondo la sua ricostruzione,
basata esclusivamente va
detto, su un informatore segreto la cui credibilità non è
mai stato possibile verificare
(4), l'oggetto precipitato era
di origine sovietica ed i misteriosi occupanti erano
bambini deformati alla bisogna per sembrare alieni.
Stalin, secondo la fonte, lo
avrebbe fatto per suscitare
terrore nello stile “La guerra
dei mondi”. Il velivolo non era
poi in effetti pilotato dai
bambini ma controllato in remoto. Anche in questo caso
non ritengo questa ipotesi
accettabile. Innanzitutto per
ciò che riguarda il velivolo.
Per ingannare gli americani
sull'origine dello stesso sarebbe stato necessario produrre un prototipo particolarmente esotico. È indubbiamente complesso scavare negli archivi dell'ex Unione Sovietica, ma per quando ne
sappiamo nel 1947 iniziarono
la valutazioni di fattibilità di
un cacciabombardiere sperimentale, un'ala volante denominata Chetverikov RK1.
Ma nulla si mosse prima del
dicembre 1948 quando i test
71
iniziarono. (5)
I russi crearono poi una serie
di aree spia per voli ad altissima quota in risposta agli U2,
la prima generazione fu quella dei Yak-25RV Mandrake,
seguiti dai Myasischev M-17
Mystic-A and Myasischev M55 Mystic-B e poi da altri ancora, ma che nessuno al
mondo avrebbe mai confuso
con un oggetto di origine
“sconosciuta”. E non si vede
perché se i Russi possedevano un aereo ancor più avveniristico avessero dovuto
“sprecarlo” per una simile
missione offrendolo su un
piatto d'argento agli americani. Oppure non ci capisce
perché non usarlo per scopi
bellici di più rilevante portata. In generale non esistono
resoconti ufficiali e non, per
quanto io abbia cercato, di
incidenti di questo tipo ne
nel periodo della guerra ne
nella successiva guerra fredda. Mentre ad esempio sembra sia successo con dei palloni giapponesi che traspor-
tavano esplosivo. Durante il
conflitto i giapponesi lanciarono questi palloni, che chiamavano Fu-Go, palloni bomba, per colpire dalla distanza
le città della costa occidentale statunitense ed alcuni di
questi palloni giunse in effetti. In un caso ci fu un'esplosione, morirono una donna
incinta e alcuni ragazzi, ma la
notizia venne tenuta segreta,
per far credere ai Giapponesi
che quei palloni fossero del
tutto inefficaci inducendoli a
smettere di lanciarli. (6)
Questo caso è utile a dimostrare che presto o tardi, se ci
fossero stati casi di crash sovietici sul suolo americano,
ormai lo sapremmo. Pensare
che i Russi siano arrivati proprio a Roswell al primo colpo
nel 1947 quando la loro tecnologia si esprimeva sostanzialmente con i primi MiG mi
sembra oltremodo improbabile. Gli americani, ad esempio, solamente negli anni '60,
sorvolarono l'Unione Sovietica con gli U2. Chiudiamo la
questione dell'ipotesi russa
tornando un attimo agli occupanti di tale velivolo sovietico. In sostanza vale la stessa
obiezione fatta per gli altri
casi. Non ritengo logico pensare che personale militare e
medico possa scambiare dei
bambini, se pur deformi, con
degli alieni. L'ultima ipotesi
non esogena che voglio prendere in considerazione non è
una delle più comuni, anzi è
forse circolata ma mai presa
troppo sul serio. Io lo faccio
interpretando il ruolo dell'avvocato del Diavolo. Per non
lasciar nulla di intentato.
In fin dei conti se è plausibile
discutere di progetti segreti
sovietici, tanto più lo è degli
americani stessi. Potrebbe
quindi l'incidente di Roswell
esser stato provocato da un
velivolo sperimentale statunitense? Non esiste prova alcuna che un simile velivolo, nel
1947, esistesse e pare difficile ritenere che anche fosse
esistito avrebbe preso alla
sprovvista l'esercito ed i suoi
servizi informativi i quali avrebbero isolato la notizia
per tempo. Non sarebbe stato certo necessario inventarsi
la storia del disco volante.
Come ho accennato all'inizio
di questo articolo, a questo
punto, non posso esimermi
dallo speculare. Basandomi
sui fatti fin'ora esposti si possono fare delle valutazioni
con un grado sempre crescente di azzardo. La prima è
più condivisa ipotesi è che
l'oggetto sia in effetti un velivolo extraterrestre precipitato e occupato da alieni di piccole dimensioni. Questo soddisferebbe tutte le testimonianze sia riguardo il relitto
ed i suoi detriti che quelle riguardo i corpi. Esiste però a
questo livello la disputa concernente quanto sia credibile
che una razza aliena proveniente, come minimo, da un
72
altro sistema stellare si trovi
poi a mal partito per un temporale o a causa di un radar
terrestre come ipotizzato dai
ricercatori che sostengono
tale ipotesi. Chi trova accettabile questa eventualità immagina una civiltà non troppo avanzata rispetto alla nostra. Che sia giunta sino al
nostro sistema viaggiano al di
sotto della velocità della luce
con una sorta di arca generazionale e senza una reale preparazione ad affrontare tutte
le possibili variabili di pianeti
a loro alieni. Personalmente
trovo accettabile l'idea
dell'arca ma continuo a credere che per farlo ci voglia un
livello tecnologico e scientifico ben più avanzato del nostro. Tale da rendere piuttosto illogica l'idea dell'incidente. In fin dei conti noi stessi
siamo arrivati sulla Luna con
una tecnologia piuttosto rudimentale e siamo atterrati e
ripartiti al primo tentativo.
Abbiamo fatto atterrare diversi rover su Marte sempre
con un certa facilità. Non si
vede perché una razza molto
più avanzata della nostra dovrebbe trovarsi in difficoltà
su un pianeta che non si può
certo dire abbia condizioni
atmosferiche estreme. In generale quindi mi sento di poter accettare l'ipotesi extraterrestre ma non quella
dell'incidente. Anche riprendendo l'ipotesi dell'origine
statunitense dell'oggetto la
casualità dell'evento è una
caratteristica che mi sento di
escludere. Come abbiamo
detto in precedenza il relitto
era troppo esotico, tale da
non essere riconoscibile da
personale militare esperto,
per essere un qualsiasi tipo di
velivolo sperimentale precipitato durante un test.
Le presenza dei corpi naturalmente aggiunge un ulteriore
livello di complessità. Infine
le testimonianze sia che i testimoni avessero mentito o
che fossero stati raggirati ad
arte, dimostrano un livello di
sofisticazione e di coerenza
che un evento casuale non
può produrre. Quindi extraterrestre o terrestre l'incidente forse non è avvenuto per
caso. Certo le motivazioni a
seconda dei due scenari cambiano radicalmente. Nel primo caso un razza aliena potrebbe aver “regalato” un
contenitore di informazioni
tecnologiche e scientifiche
camuffandolo da incidente.
Non so quanti di voi ricordino
la serie X-Files. In quel caso
c'era un conflitto tra una
parte di alieni dominante,
che voleva impadronirsi della
Terra tramite gli ibridi umano-alieni, e una minoranza
ribelle, che non riteneva questa una prevaricazione inaccettabile e aiutava quindi segretamente gli umani e sviluppare difese adeguate.
A Roswell potrebbe essere
andata così, se l'ipotesi extraterrestre è quella giusta.
Ma se la messa in scena era
di matrice terrestre, quindi
sostanzialmente americana?
Cosa potrebbe aver spinto i
massimi livelli di comando a
inventarsi una cosa simile?
Per dirla a modo degli americani si potrebbe definire un
false flag, un falso bersaglio
per l'opinione pubblica.
Una bella e corposa distrazione con cui attrarre lo sguardo
della gente lontano dalle operazioni segrete portate avanti del governo stesso. In-
73
trodurre l'idea della presenza
extraterrestre, dei dischi volanti e degli ufo, avrebbe dato una grossa mano a mimetizzare nella confusione generale molti attività sperimentali altrimenti troppo visibili. Per arrivare a trattare
l'ultima ipotesi dobbiamo abbandonare in parte il modo
tradizionale con cui interpretiamo la nostra realtà.
Mi concedo una ulteriore
breve premessa per rendere
comprensibile quanto dirò
poi in conclusione. La nostra
visione dell'universo è dominata ormai da molti decenni
dalla meccanica quantistica.
Grazie ad essa siamo in grado
di fare incredibili previsioni
sperimentali ma ci troviamo
anche di fronte a fenomeni
apparentemente inspiegabili.
Einstein stesso che individuando la natura duale corpuscolare e ondulatoria della
luce scoprì di fato i quanti di
luce ha poi mal sopportato le
anomalie che la meccanica
quantistica produce.
Una di queste la definì una
sorta di “azione fantasma a
distanza”. (7)
Ma la validità sperimentale
ha prevalso grazie a fisici del
calibro di Heisenberg, Schrodinger, Bohr e molti altri che
hanno di fatti preso in ostaggio la ricerca fino ai giorni nostri. Gli enormi successi ottenuti hanno però ottenuto anche il risultato di aver tralasciato, più o meno volonta-
riamente, di prendere in considerazione alcuni fenomeni
che tale ricerca ha prodotto e
che non sono spiegabili.
Sono sostanzialmente il frutto del concetto di non località che è portante nella meccanica quantistica. Uno di
questi fenomeni, quello che
Einstein criticava (8), è un fenomeno per cui l'informazione che governa alcune caratteristiche delle particelle può
viaggiare più veloce della luce. Cosa impossibile.
Questo effetto è stato denominato entanglement e rimane a tutt'oggi uno dei misteri
più inspiegabili della fisica.
Questo non deve però far gridare al miracolo perché l'assunto che nulla viaggia più
veloce della luce rimane valido. Einstein aveva sicuramente ragione. David Bohm, fisico coevo di Einstein e Bohr,
ha trovato una soluzione concettuale alle obiezioni logiche
e ai risultati sperimentali,
ipotizzando che
l'universo sia una sorta di
ologramma suddiviso in una
parte esplicata, quella che
noi percepiamo, ed una parte
implicata che governa il tutto. Un'altra caratteristica tipica della meccanica quantistica, osteggiata da Einstein, era
che le proprietà delle particelle non esistono sino a che
non vengono osservate, esistono cioè in uno stato di sovrapposizione che si riduce in
collasso (Collasso della fun-
zione d'onda. NDA) che ne
determina lo stato. In sostanza si profila la possibilità che
la coscienza dell'osservatore
influenzi l'esperimento. Anche in questo caso l'ipotesi
olografica di viene in soccorso in quanto tutto è interconnesso, non esiste una reale
distinzione l'osservatore e la
particella. La coscienza sarebbe effettivamente in grado di
produrre la realtà interagendo con l'ologramma in cui saremmo immersi. Prima di
tornare a Roswell, inglobando queste complesse questioni fisiche, passiamo brevemente attraverso il mondo
del “paranormale” nel suo
senso più ampio. Senza voler
offendere la sensibilità religiosa di nessuno vorrei portare i miracoli ad esempio di
come questo potrebbe applicarsi alla realtà. In definitiva i
miracoli, quelli che accadono
ad esempio a Lourdes e ce ne
sono di documentati (9), potrebbero essere l'influenza di
una volontà, sia quella di Dio
o quella della persona malata, sulla materia. Nell'attuale
contesto scientifico ciò rimane inspiegabile mentre secondo il paradigma olografico
ipotizzato da Bohm (Bohm
pose le basi fisiche per tale
paradigma mentre Carl Pribram applicò questo concetto
al cervello. Le due teorie si
integrarono alla perfezione
creando appunto quello che è
definito il paradigma ologra74
fico. NDA) assumere un senso compiuto ed ottiene una
base scientifica, seppur olistica. La vastità e l'antichità della nostra galassia, per non
dire del nostro universo, ci
permette di immaginare che
esistano civiltà enormemente
più evolute della nostra.
Quelle che Mikio Kaku definisce civiltà di livello 3, capaci
forse di imbrigliare l'energia
delle stelle o di creare universi, di spostarsi dall'uno all'altro. Se l'ipotesi di Bohm fosse
corretta una tale civiltà potrebbe aver compreso appieno il funzionamento dell'universo olografico, il modo di
accedere all'ordine implicato
e di conseguenze sfruttare
queste conoscenze per viaggiare o per alterare la realtà a
seconda delle proprie necessità. Un esempio cinematografico, stupendamente iconico, di questo rapporto tra
una realtà esplicita, illusoria
ed una implicata, non conoscibile con i nostri sensi è
certamente Matrix.
Tornando a Roswell, se una
civiltà di questo tipo fosse
per qualche motivo interessata al nostro mondo potrebbe aver prodotto l' “evento
Roswell”, così come altri, al
fin di introdurre nella nostra
storia un evento destabilizzante, un innesto di energia
da produrre un salto quantico nella nostra visione dell'universo, uno strumento per
indirizzare la nostra evoluzio-
ne. Per gli appassionati della
fantascienza vale la pena ricordare il romanzo di Isaac
Asimov “La fine dell'eternità”.
Uno scenario nel quale le
scoperte umane hanno permesso il raggiungimento
dell’eternità, tramite la realizzazione del viaggio nel tempo. I Tecnici, mettendo in
pratica gli ordini dei Calcolatori, si occupano di viaggiare
fra un secolo e l’altro operando quei minimi cambiamenti
che hanno come ripercussione l’alterazione del corso della Storia: a volte basta un barattolo spostato da uno scaffale all’altro. (10)
Sarà la mia predisposizione
narrativa ma questa idea mi
sembri calzi a pennello con
quanto detto sin ora. Anzi introduce nuovamente la variabile umana anche in questo
contesto di super progresso
tecnologico.
Concludo questo articolo riprendendo solo per un attimo il film Matrix e l'ipotesi
che noi si sia parte di una simulazione informatica ad opera di altre intelligenze. Naturalmente è una provocazione ma viene presa più sul serio di quanto non si creda.
(11)
Senza voler immaginare uno
scenario alla Dark City, e a
una simulazione ad opera di
alieni, potrebbe essere la nostra stessa civiltà avanzata a
tal punto da esser in grado di
creare una simulazione della
John Gribbon, “Q come
realtà in cui poi noi starem- 7.
Quanto”. Macro Edizioni. p.
mo vivendo. Se così fosse tut244.
ti gli eventi che consideriamo
Nel 1935 Einstein con i colinspiegabili potrebbero rien- 8.
leghi Boris Podolsky e Nathan
trare nel novero degli errori
Rosen pubblicarono il famoso
di sistema o di variabili imsaggio: "Può la descrizione
pazzite. Potrebbe far tutto
quantistica della Realtà essere
parte della matrice e noi poconsiderata completa?"; in cui
tremmo essere volutamente
smentiscono le teorie di
indotti a credere che sia imBohr. Secondo la Teoria Spepossibile. Del resto chi ha aciale della Relatività di Einnalizzato filosoficamente
stein, infatti, nulla può viaggiaquesti scenari fa notare che
re più veloce della luce. Questa
ciò sarebbe un'ipotesi ottimiargomentazione è meglio costica, perché significherebbe
nosciuta come il "paradosso
che non ci siamo autodistrutEPR", tutt'oggi molto dibattuto
ti prima di arrivare ad un tale
a livello mondiale.
livello tecnologico.
9.
NOTE
1. “The Roswell Report: Case Closed,” James McAndrews, Headquarters United States Air
Force, 1997 pag.118.
2.
“The Roswell Report: Case
Closed,” James McAndrews,
Headquarters United States Air
Force, 1997 pag.69.
3.
http://
kevinrandle.blogspot.it/2007/07/
project-mogul-androswell.html
4.
http://
www.popularmechanics.com/
technology/aviation/ufo/area51-was-the-roswell-ufo-reallya-soviet-hoax-5794200
5.
http://www.century-offlight.net/Aviation%20history/
flying%20wings/
soviet_wings.htm
6.
http://
www.wired.com/2010/05/050
5japanese-balloon-killsoregon/
75
Vedi il caso di Vittorio Michelli. Affetto da un cancro terminale alle ossa che aveva distrutto parte del bacino, nel
1962 si recò a Lourdes. Li avvenne l'inizio della guarigione
miracolosa, non solo il tumore
si fermò ma le ossa si ricostruirono in maniera scientificamente inspiegabile. Il miracolo
venne ratificato dalla commisione Vaticana.
10.
http://www.sololibri.net/
La-fine-dell-eternita-IsaacAsimov.html
11.
“Constraints on the Universe as a Numerical Simulation,
Silas” R. Beane, Zohreh Davoudi y and Martin J. Savage.
LIFE AFTER LIFE
NOEMI STEFANI
SPIRITUALITÀ
Mi ricordo una breve vacanza, un fine settimana al mare
prima dell' estate: eravamo
vicino a Venezia. Dopo il tramonto andiamo tutti, cane
compreso, a fare due passi lungo la spiaggia. Città alle
spalle, c'è sempre questa
smania di sentire la sabbia
umida sotto i piedi, di lasciare che le onde della risacca
arrivino a bagnare quel poco
che basta per dare il senso
della vita meravigliosa che
c'è intorno. E respirare... Aria
di libertà. Una spiaggia tranquilla anche in piena estate,
mai affollata e fuori stagione
è raro incontrare gente. Per
questo ci siamo sorpresi
quando abbiamo sentito delle voci e ci siamo girati a
guardare un gruppo di persone che stava arrivando verso
di noi. Sembravano in attesa
di qualcosa. Penso che aspettassero un momento preciso
in cui la luce incomincia a
perdere forze, e tutto diventa
sfuocato, evanescente. Ho
notato che erano quasi tutti
vestiti di bianco ad eccezione
di un uomo dalla pelle scura.
Sembrava un indiano o un
inca con capelli lunghi e ve-
stiva d'arancione. Incuriosita
mi sono fermata a distanza
per guardare cosa stessero
facendo. Si erano messi in
cerchio e gridavano e saltavano, stavano battendo i piedi
nella sabbia. L'uomo in arancione aveva una specie di
stola sulle spalle e a un certo
punto sembrava dare delle
disposizioni, parlava a ognuno di loro. Si è avvicinato a
una ragazza, ha detto qualcosa che non potevo sentire
perché ero distante. Poi l'ha
toccata allo stomaco e la ragazza è caduta a terra. Ad uno ad uno, ha toccato tutti
quelli che stavano in cerchio,
e tutti sono caduti, crollati nella sabbia. Girava intorno
e li guardava a terra. Poi li ha
toccati ancora dicendo qual-
76
cosa e uno per uno e si sono
rialzati. Avrei voluto avvicinarmi, sentire, chiedere... Ma
non ho fatto nulla di tutto
questo. Io ero soltanto un osservatore fuori da quel quadro. Ho già visto qualcosa di
simile. Mi fa pensare a un
movimento detto dei
“carismatici pentacostali”, anche loro dicendo preghiere
liberatorie fanno più o meno
le stesse cose ma in chiesa.
“Rinnovamento carismatico è
un termine utilizzato per indicare un movimento che, originatosi dal pentecostalismo
evangelico, ora ha assunto
una dimensione o anche un
valore cristiano interconfessionale, il cui scopo è l'adozione dei carismi all'interno
delle chiese in cui le varie co-
munità ed associazioni
carismatiche operano.
‘Carismatico’ è una parola
generica, che descrive quei
cristiani che ritengono che le
manifestazioni dello Spirito
Santo viste nei primi tempi
della Chiesa (parlare in varie
lingue, guarigioni, miracoli)
siano ancora possibili per i
Cristiani di oggi, e andrebbero sperimentati come allora.”
e ancora
“L'esperienza dei carismatici
mostra come lo Spirito Santo
doni la libertà spirituale di
amare secondo il cuore di Cristo: ha dato loro la forza di
abbandonare l'alcool, la droga, gli abusi sessuali, ma anche i sentimenti di odio, le
vecchie gelosie, rendendoli
capaci di amare.”
(tratto da Wikipedia)
Da come vengono descritti, si
parla dei doni dello Spirito
Santo e sembra che questi
doni siano riservati soltanto
ai cristiani. Ma cosa avevo
visto? Aveva l'aspetto
di un'esperienza mistica ma
non mi ha dato l'impressione
che avessero a che fare con
la chiesa cattolica. E non mi è
nemmeno sembrato che fingessero di cadere, o che fosse la messinscena di uno
spettacolo teatrale. C'è una
grande differenza tra religione e spiritualità. Si può essere molto religiosi e attenersi
a tutte le regole dettate dagli
uomini che insegnano il rispetto di Dio. Ma essere spirituali significa che si segue
un "istinto" che viene dal
cuore. Significa che le cose
terrene perdono di valore,
mentre si cercano sentimenti
di rispetto e compassione, di
comprensione e di amore. È
qualche cosa di intrinseco,
77
che nasce da dentro. O c' è o
non c' è. Non esiste soltanto
il mondo fisico. Se lo spirito si
mette in ascolto, allora le risposte arrivano, si aprono infinite possibilità che la freddezza di una religione, fatta
di regole che portano a Dio,
non ha mai conosciuto. E non
penso nemmeno che la spiritualità sia una prerogativa
dell'essere umano. Ho visto
sentimenti... Una luce negli
occhi degli animali che potrei
definire senso di compassione e d' amore. Li ho visti
comportarsi in modo gentile,
con bontà gli uni verso gli altri senza specismo. Se c'è bisogno loro sono disposti a
servire, a donare come possono, fino a sacrificarsi. Possiamo dire la stessa cosa per
gli esseri umani?
TERRE MISTERIOSE
NOEMI STEFANI
EGITTO - DAHAB
Questo viaggio è rimasto in
sospeso per mesi, la destinazione incerta fino a pochi
giorni prima. C'erano delle
agitazioni in Egitto, Israele
minacciava di bombardare la
striscia di Gaza dove vive la
maggior parte del popolo palestinese. La striscia di terra ha fatto parte dell' Egitto
fino al 1967 quando fu occupata da Israele durante la
Guerra dei 6 giorni, insomma
un momento non favorevole
per il turismo. Avevano chiu-
so anche l'aeroporto di
Sharm el Sheikh. La Farnesina
aveva messo lo sconsiglio che vuol dire se volete
partire fate pure ma a vostro
rischio e pericolo. Una strana
estate, grigio e pioggia tutti i
giorni tanto che in un raro
giorno di sole ero uscita
sull'uscio e guardavo il cielo
miracolosamente azzurro,
senza scie chimiche. Pensavo
al viaggio, e alzando gli occhi
al sole (ho pensato all'altro
sole, Jesus) con il cuore ho
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chiesto “chissà se riuscirò ad
andare a Dahab, riuscirò a
vedere il Sinai dove secondo
la Bibbia è iniziato tutto...?”
All'orizzonte ho visto arrivare un uccello in volo, grande,
diverso dai soliti passeri, rondini o colombe che si affacciano dai tetti qui intorno.
Anzi, passeri e rondini hanno
incominciato a volare e a stridere come impazziti. Le ali
battevano l'aria senza nessuna fretta apparente. Il falco è
arrivato e dopo aver fatto un
largo giro sopra di me si è allontanato, tornato da dove
veniva. L'ho preso come una
risposta. Il falco... Ho collegato la simbologia e ho pensato a Ra (Il sole, Ra, Horus il
dio-uomo, ancora Jesus
quindi). La risposta era SI’, la
risposta era quella, sarei partita. E così è stato. Finalmente l'agenzia conferma la destinazione, ma ci cambiano il
volo e l'aeroporto. La Malpensa è distante da Milano e
da qui il volo è all'alba. Prenoto il taxi alle 3.30, chiudo
la valigia. Un'ultima occhiata
alla borsa e metto il passaporto e carta d'imbarco sul
tavolo per sicurezza, non vorrei dimenticare proprio quelli. Vado a letto presto, prima
del solito, ma il sonno non
arriva. Conto le ore, vado a
fare pipì poi guardo la sveglia, è mezzanotte. Torno e
provo a chiudere gli occhi per
un po’. Dormo e mi sveglio
all'improvviso, sono le 3 e
venti. In 10 minuti devo essere pronta. Mi vesto veloce
come Fantozzi. Lavo la faccia,
bevo un caffè al volo, prendo
borsa e valigia ed esco in perfetto orario. Il taxi è già fuori
che aspetta. Vispo e pimpante nel buio della strada l'autista ha voglia di parlare, io no.
Butta lì qualche frase, dice
che le strade sono interrotte
e dobbiamo fare delle deviazioni, parla del traffico. Io
faccio di sì con la testa e poi
chiudo gli occhi e provo a ri-
posare ancora un po’, mi sento intontita dal sonno.
Ho appuntamento con mia
sorella al terminal 1 dell'aeroporto. Accendo il cellulare
che squilla quasi subito. È lei
che mi sta aspettando dal
terminal 2. Ha capito male, è
contrariata e anche abbastanza innervosita si direbbe
dal tono di voce. Quando la
raggiungiamo, è seduta sulla
valigia sotto a un lampione.
Faccia sbattuta per il sonno,
dice che fatica a camminare,
ha problemi a una gamba ma
non avrebbe mai rinunciato a
partire con me. Dice anche
che hanno cercato di rubarle
la valigia sostituendola con
una vuota ma per fortuna lei
se ne era accorta. Camminiamo lentamente. Fa pochi passi e poi deve fermarsi; finalmente hanno caricato i bagagli. Complicato se lo fanno
all'ultimo momento, e bisogna camminare veloci per79
ché alla Malpensa c'è più di
un chilometro per arrivare al
gate di imbarco. Stanno chiamando il nostro volo. La precedo e spiego agli impiegati
che abbiamo un problema,
poi come Dio vuole, Allahuakbar riusciamo a decollare e
ad arrivare a destinazione. Fa
caldo, tanto... Trascino le valige, do una mano anche a lei
che è in difficoltà. C'è un po’
di verde da attraversare e
nell'erba, all'ombra di una
palma, c'è un tizio che si pulisce accuratamente le dita dei
piedi, poi si passa le mani nel
naso e tra i capelli. Mah.. Paese che vai, usanze che trovi,
dicono. Allahu-akbar, come
Dio vuole ci aspetta una Jeep
con autista, e mentre tutti gli
altri turisti si avviano verso gli
autobus per Sharm, noi si sale su quest’auto, verso Dahab. Mia sorella davanti e io
dietro con i bagagli. Durante
il percorso soltanto monta-
gne rocciose e deserto, interrotto qua e la da qualche rado cespuglio dove una volta
era acqua. La strada è una
linea retta, una striscia grigia,
niente traffico, solo noi. L'autista è un beduino che parla
soltanto arabo e qualche parola d'inglese. Gli chiedo se
potremmo avere brutte sorprese, spiego che il viaggio ci
è stato sconsigliato. Lui sposta lo specchietto per vedere
dietro. Mi sorride, ma vedo
che è attento alla strada,
guarda a destra e sinistra e lo
sguardo è preoccupato (quasi
mi preoccupo anch'io). Ci sono stati attacchi ai turisti da
parte dei beduini (che sono
mal tollerati dagli egiziani) e
dei jihadisti che sono anche
più feroci, con aggressioni
furti e spari. Io continuo a
sobbalzare a ogni buca trattenendo le valige che si spostano, e così arriviamo al primo posto di blocco. Poi ce ne
saranno altri due. Militari in
mimetica con il fucile in mano ci fanno segno di fermarci.
Basta poco, qualsiasi piccola
complicazione e ci bloccano.
Il caldo non lo sento più. Mi
sudano le mani finché ci fanno segno di proseguire. Per
alleggerire la tensione, guardo mia sorella da dietro gli
occhiali specchiati e sogghigno. È pallida. Butto lì:
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“Sempre comoda tu, la più
fortunata”. Lei si gira con una
smorfia: “Sì, colpa tua, guarda qua dove siamo. Verrai
ben giù di lì che poi ti sistemo
per le feste”. Una sorella
maggiore è sempre un po’
mamma... Anche quando hai
i capelli bianchi. Rido, rido di
gusto (forse è soltanto un fatto di nervi), mi sganascio e
non riesco a fermarmi, e ride
anche lei. L'autista ci guarda
male, parlavamo in italiano
e forse ha pensato che ridessimo di lui. Prima di arrivare
a Dahab c'è una montagna a
forma di cammello disteso
che dorme. Il piccolo nucleo
di case in stile arabo e dimesso è poco distante dall'albergo che ci ospita, ben altra
struttura. Dalla porta d'ingresso ad arco s'intravede il
blu del mare, una vista mozzafiato. La stanchezza del viaggio sparisce subito. Il tempo di avere la camera e di ca-
pire dove siamo e come
muoverci e si va in spiaggia.
Dietro l'albergo ci sono le
montagne, il gruppo del
Monte Sinai, di fronte il mare
con una fila di piccoli rilievi
all'orizzonte. Ci sono viali alberati con palme così cariche
di datteri che i rami si chinano quasi a terra. La spiaggia è
piena di ombrelloni ma vuota
di gente. Il paragone con le
nostre spiagge super affollate
è più che evidente. Pare che
questo mare sia la gioia dei
surfisti che invece non mancano, e sembra proprio che si
divertano un mondo. A sinistra c'è bassa marea, il mare
si divide per una sottile striscia di sabbia di circa un chilometro. Frammenti di corallo bianco e piccoli pesci spuntano a pelo di un acqua trasparente. È una breve passeggiata che porta ai confini
dell'Arabia Saudita. Gli egiziani prendono i cavalli e li spin-
gono al galoppo, si divertono
a farli correre avanti e indietro. Poi spariscono tra le dune. Fa molto caldo e c'è silenzio. La spiaggia è quasi deserta in questo pomeriggio di
luglio. Sono sensazioni da descrivere al momento, prima
che svaniscano per sempre.
Una leggera nebbia vela
le montagne all'orizzonte, il
mare è piatto, azzurro inten-
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so increspato da piccole onde
come brividi di energia. C'è
un senso di attesa mentre
sistemo l'asciugamano e siedo sotto l'ombrellone. Da un
punto indefinito si alza una
voce... Siamo in Ramadan, e
ripete Allahu-hakbar, come
Dio vuole, infinite volte, alza
il tono e la preghiera diventa
quasi una canzone, una litania. Penso tra me che cantare
è proibito secondo il Corano,
ma perché togliere anche una delle poche cose che
danno gioia all'essere umano? Il vento gentile porta le
parole di una lingua che non
conosco, ma il senso è
“Grazie Dio che nella tua
grandezza hai creato tutto”.
La voce rimane sospesa
nell'aria anche dopo, resta
l'eco e anche nel silenzio
sembra di sentire ancora pregare. Infilo la maschera e scivolo nell'acqua fresca. Il sole
filtra losanghe dorate che si
riflettono nel fondo della
sabbia bianca. Il silenzio è interrotto soltanto dal mio respiro attraverso la maschera,
tutto è pace. Seguo sciami di
microscopici pesci "neon"
strisciati di azzurro e rosso
che si spostano a sinistra e a
destra con la velocità di un
lampo. Pesci curiosi che mi
osservano senza paura. Ci sono pesci più grandi che assomigliano alle sogliole con una
piccola macchia nera sulla
coda. Scavano la sabbia con
delle specie di baffi che hanno vicino alle branchie e non
sembrano essere disturbati
dalla mia presenza. C'è anche
un pesce pappagallo che mi
guarda dal punto più fondo,
dove l'acqua è scura, poi si
volta e se ne va subito annoiato. Vicino a un masso di corallo c'è una piccola serpe a
strisce grigie e nere. Mi ricorda Taba, anni fa, quando
un'altra serpe a strisce gialle
Anubi (ma forse sono sciacalli) e poi ci sono anche due
gatti, magri anche loro e
sembrano la dea Bestet. Vengo a sapere che gli Egiziani
non nutrono gli animali, ma li
scacciano. Capisco i cani, che
secondo gli arabi sono esseri
impuri, ma i gatti? Al ristorante dell'hotel ci sono soltanto turisti stranieri, specialmente russi che non parlano
una parola d'inglese. Noi italiani siamo quattro. Una coppia di quasi sposi e noi due,
mia sorella e io. È una buona
e nere mi era passata tra i
occasione per fare amicizia
con i locali e parlare con i capiedi. Basta, per ora ne ho
abbastanza. Mi hanno detto merieri sugli usi e costumi
che per vedere tanti pesci co- del posto. Noto che alcuni
lorati c'è un posto che si rag- hanno un segno scuro sulla
fronte, come un livido. Chiegiunge in barca, si chiama
Napoleon Reef, ci andremo do cosa sia al cameriere, e mi
sicuramente. Aldilà della re- risponde che è un modo per
esibire che sei un osservante
cinzione che delimita la
spiaggia ci sono quattro cani. del Corano. La fronte batte la
Sono di una magrezza inde- terra e si segna. In Ramadan
pregano molto spesso, digiuscrivibile, assomigliano ad
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nano e non bevono durante il
giorno. Tutto questo con quasi cinquanta gradi di calore
infernale giorno e notte. Il
cameriere dice che a volte
sviene anche, ma che è giusto così. Vicino ai tavoli all'esterno del ristorante c è un
piccolo forno. Una donna,
Shamira, seduta a terra tutta
coperta, si guardava intorno
mentre preparava le focacce
di pane arabo da infornare.
Prova a immaginare... Il forno
bollente... Se già faceva così
caldo per gli altri con abiti estivi come doveva stare lei.
Sudava, e si cuoceva anche
lei dentro ai suoi panni arabi.
Ramadan significa PURIFICAZIONE. Vuol dire guardare i
turisti che mangiano e bevono davanti a te (una cosa
normale ) mentre quasi nessuno prende il tuo pane.
Non potevo guardarla... Ho
fatto un gesto che non avrei
dovuto ma non ho saputo
trattenermi. Sono andata al
banco dei dolci e in un tovagliolo di carta ne ho presi
quattro per lei e glieli ho portati. Le ho detto: “Samira,
prendi i dolcetti, potrai mangiarli dopo il tramonto, quando è lecito”. Lei ha sorriso
meravigliata, sembrava non
crederci e diceva: “È per me?
For me?”. Sì, ho detto, ma ho
dovuto insistere perché li
prendesse. Tornata al mio tavolo ho capito da come i camerieri maschi la guardavano
male che poteva essere un
problema. Infatti, quando
stavo andando via ho visto
che uno dei camerieri si è fatto dare i dolci e li ha fatti sparire sotto al banco di lavoro.
Li avrebbero mangiati loro?
Io non ero musulmana, e forse bastava questo per sporcare quel gesto di amicizia. Ci si
annoia un po’ noi due sole.
Scambiamo quattro parole
con i ragazzi del centro massaggi, si lamentano che è
sempre vuoto. Si parla della
situazione economica, facciamo il confronto tra noi italiani e loro. Non c è da stare
allegri ne lì ne qui in Italia.
Poi a mia sorella viene una
brillante idea... Vorrebbe uscire una sera e andare a
mangiare il pesce in un ristorante locale. Questa cosa non
mi va. Siamo due donne sole,
in un paese musulmano con
una mentalità diversa e a non
molti chilometri di distanza
da qui si stanno massacrando, e sparano missili (Gaza).
Alla fine, Tayson, uno dei ragazzi si offre di accompagnarci, mangerà con noi. Viene a prenderci in taxi e si
scende in un posto un
po’isolato, l'auto non può andare più avanti di così. Si
cammina su uno sterrato
sabbioso, polvere che vola.
Mia sorella incomincia a lamentarsi perché fa fatica a
camminare e io le sibilo un
vaffa… tra i denti. Io non volevo essere lì. Siamo in mezzo
a un gruppo desolato di case,
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qualche luce e molti negozi
vuoti. Tutto un'altro mondo
rispetto all'albergo. Ci guardano male (o forse è soltanto
una mia impressione), per
fortuna c'è Tayson che ci accompagna. Qualcuno ci invita
a entrare nel suo negozio. Sono solo cianfrusaglie marcate
Taiwan, ma noi stiamo cercando altro. Ci invitano a entrare ma non sono convinti
nemmeno loro di vendere,
sono rassegnati poveri beduini del deserto. C'è tensione.
Sento i loro sguardi che ci
scrutano. Alla fine siamo due
infedeli, poco di buono venute a invadere la loro terra.
Poco importa i sentimenti
d'amore per l'Egitto che ci
hanno portato lì. Finalmente
vedo l'insegna del ristorante
Ali Babà, e poi scoprirò perché si chiama così. Alì e i suoi
ladroni sono riusciti a spillarci
un bel pacco di soldi. Ristorante semi vuoto. Sediamo
vicino a una ringhiera che da
sul mare, ed è tutto molto
romantico per le luci sull'acqua e i pesci che nuotano.
Sento una presenza sotto il
tavolo. È arrivato un gatto, mi
si avvicina e mi guarda. Ha
uno sguardo disperato. Gli
tiro un pezzetto di pane. Passano due minuti e ne arrivano altri quattro e incominciano a litigare tra loro perché
sono affamatissimi. Passo il
tempo a fare piccoli bocconi
di pane e li lancio sotto il tavolo. Uno mi chiama con la
non mi piace. A me no, ma ai
gatti sì. Il ragazzo e mia sorella invece sembrano gradire
molto e in poco tempo lasciano il vassoio quasi vuoto.
Quando siamo rientrati in albergo, sentivo che c'era qualcosa che non andava al mio
stomaco. È bastato sdraiarmi
e ho cominciato a vomitare,
sembrava che non dovessi
mai fermarmi. Erano le cinque di mattina e non avevo
più bile da tirare su. Un conato di vomito e ho sentito il
zampa, delicatamente. Il ca- pavimento tremare sotto ai
meriere se ne accorge e arri- piedi, sono caduta, abbracciata al water. Era ora di chiava con uno spruzzino e li fa
mare il medico. Il dottor Iscappare, ma poi tornano.
slam ha detto che non ero
Nessuno dà da mangiare a
messa molto bene e voleva
queste povere bestie. Non
voglio stare a discutere, ma ricoverarmi in ospedale. La
insisto perché il cameriere se reception ha chiamato mia
sorella (che invece stava bene vada via. Questa sera i
gatti mangeranno, e non solo nissimo) e si vedeva dall'epane, perché il pesce è arri- spressione addormentatavato. Ne mangio poco. Ara- spaventata che non avrebbe
mai immaginato... Punture e
gosta e gamberoni non mi
fanno impazzire in genere e pastiglie, era una brutta infequesti hanno un sapore che zione, veramente brutta an-
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che per il medico che ne vedeva tante. Non sono più stata bene fino alla fine, sempre
nausea fino all'ultimo giorno,
quando pensavo a qualche
oggetto ricordo da prendere
al volo prima di tornare. Tra
le tante cianfrusaglie in vetrina c'era qualcosa di chiaro
che mi colpì subito, la piccola
statua di una divinità.
E come al principio, così la
fine. Il falco, Ra era ciò che
mi avrebbe ricordato questo
viaggio, nel bene e nel male,
come sempre un'esperienza
formativa e meravigliosa.
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